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«Cantar sottile»: ancora sulla «vesta» di 'Per una ghirlandetta'

QUADERNI DI ATTI E STUDI COMITATO DI BERGAMO - SOCIETÀ DANTE ALIGHIERI PER IL SETTIMO CENTENARIO DANTESCO ☙ COMITATO SCIENTIFICO Rino Caputo · Maria Sofia Lannutti · Thomas Persico Donato Pirovano · Diego Quaglioni · Marco Sirtori Natascia Tonelli · Riccardo Viel 3 SULLE TRACCE DEL DANTE MINORE Prospettive di ricerca per lo studio delle fonti dantesche II A cura di THOMAS PERSICO, MARCO SIRTORI e RICCARDO VIEL 5 SULLE TRACCE DEL DANTE MINORE II Prospettive di ricerca per lo studio delle fonti dantesche a cura di Thomas Persico, Marco Sirtori e Riccardo Viel p 182, cm 15x22 ISBN: 978-88-6642-330-0 Printed in Italy by Sestanteinc - Bergamo ©  Comitato di Bergamo - Società Dante Alighieri ©  gli Autori per i testi ©  Sestante Edizioni :.-2<2/7<70:*T,276-*@276.:.-2<7.:0*5*;,7 Quaderni di Atti e Studi - Per il Settimo Centenario Dantesco Collana del Comitato di Bergamo della Società Dante Alighieri :.;2-.6<.6@77:2; Direttore progetto “Dante Alighieri ” del Comitato di Bergamo della Società Dante Alighieri$175*; .:;2,7 752<*<7#,2.6<2T,7 "267*8=<7D*:2*#7T**66=<<2D$175*; .:;2,7D76*<7Pirovano 2.07!=*042762D*:,7#2:<7:2D*<*;,2*$76.442D"2,,*:-7&2.4 6,78.:<26* Angelo Celsi, Manfredi di Svevia (particolare), , olio su tela, x,576-*@276.:.-2<7.:0*5*;,7 &74=5. 8=++42,*<7 ,76 24 ,76<:2+=<7 -2 #.-. Centrale della Società Dante Ali012.:276-*@276.:.-2<7.:0*5*;,7#.;<*6<.-2@2762 6 SOMMARIO PREFAZIONE 1 Marco Grimaldi Dante oltre la ‘Commedia’. Nota introduttiva 5 Thomas Persico · Marco Sirtori · Riccardo Viel Sulle tracce di Dante 11 LE FONTI DI DANTE Antonio Montefusco Ancora su Epistole dantesche e ‘dictamen’: osservazioni sulla ‘salutatio’ dell’Epistola a Enrico VII 17 Giovanni Barberi Squarotti «Sonar Bracchetti»: un contro-emblema stilnovista? 31 Maria Sofia Lannutti «Cantar sottile»: ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ 45 Thomas Persico «Cantilena» e canzone: alcuni riscontri lessicali 65 Francesco Ciabattoni Tra «vesta» e «soave armonia»: La retorica musicale dalle ‘Rime’ alla ‘Vita nuova’ 87 VII Sommario DANTE IN PROSPETTIVA Attilio Cicchella Fortuna e ricezione di Dante nel secolo XVI: Giangiorgio Trissino traduttore del ‘De vulgari eloquentia’ VIII 107 Marco Sirtori Il viaggio dantesco di Alfred Bassermann: una prospettiva politica 139 INDICE dei nomi e dei manoscritti 161 ANGELO CELSI, Manfredi di Svevia, 2014, olio su tela, 160x140 cm, Fondazione Credito Bergamasco. ☙ MARIA SOFIA LANNUTTI «CANTAR SOTTILE»: ANCORA SULLA «VESTA» DI ‘PER UNA GHIRLANDETTA’ Nella prosa che introduce l’unica ballata della Vita nova, Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore, Amore prende la parola per raccomandare all’amante di scrivere un testo poetico che esprima all’amata i suoi veri sentimenti. Il testo poetico dovrà essere adornato da una soave armonia, in cui Amore stesso sarà presente tutte le volte che quel testo sarà cantato e ascoltato. Amore è dunque potenzialmente insito nella musica, il dolce sòno, la nota soave: «Queste parole fa che siano quasi un mezzo, sì che tu non parli a lei immediatamente, che non è degno; e no le mandare in parte, sanza me, ove potessero essere intese da lei, ma falle adornare di soave armonia, ne la quale io sarò tutte le volte che farà mestiere» (5, 15 [XII 18]).1 Per altri tre testi lirici di Dante, fattori interni o esterni delineano la circostanza di un’intonazione musicale reale e non solo potenziale e simbolica come in Ballata, i’ vo’: la stanza isolata di canzone Lo meo servente core e le due ballate Deh, Vïoletta, che in ombra d’Amore e Per una ghirlandetta. Si può ritenere che Lo meo servente core sia la pulcella nuda, senza vesta, che Dante invia a Lippo amico perché la rivesta con la musica, almeno secondo l’interpretazione oggi prevalente;2 Deh, 1 DANTE ALIGHIERI, Vita nova, a cura di G. GORNI, in DANTE ALIGHIERI, Opere, dir. M. SANTAGATA, vol. I. Rime, Vita nova, De vulgari eloquentia, a cura di C. GIUNTA, G. GORNI, M. TAVONI, Milano, Mondadori, 2010, pp. 745-1063: 860. 2 Cfr. DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA cit., p. 133; DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di M. GRIMALDI, in DANTE ALIGHIERI, Vita nuova – Rime, a cura di D. PIROVANO, M. GRIMALDI, Roma, Salerno, 2015, pp. 293-800: 690. Sulle 45 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ Vïoletta era accompagnata nel perduto codice Boccolini da una rubrica che recitava «Parole di Dante e suono di Scochetto»3 (un Lippo e uno Scochetto sono nell’elenco di musicisti contenuto nel sonetto di Nicolò de’ Rossi Io vidi ombre);4 Per una ghirlandetta nomina nella sua ultima strofe una vesta preesistente, alla quale, a differenza della vesta di Lo meo servente core, è stato più pacificamente attribuito un significato musicale, come nota Thomas Persico in un recente articolo che ne approfondisce la portata architestuale.5 I tre testi sono collegati da tratti formali, stilistici e tematici. Innanzitutto la brevitas: Lo meo servente core e Deh, Vïoletta sono costituiti da quattordici versi, endecasillabi e settenari, Per una ghirlandetta da ventiquattro, ma con una misura che oscilla tra settenario e novenario, ottenendo un analogo effetto di concisione (è il solo testo di Dante che non fa uso di versi lunghi). Poi il motivo della visione dell’amata, mentale e non reale, che è centrale nelle due ballate e appena accennata in Lo meo servente core. Per una ghirlandetta e Lo meo servente core sono canti di lontananza dall’amata, anzi dal luogo dell’amata, dove l’amante vuole fare ritorno, lo stesso luogo che possiamo immaginare sia lo scenario dell’innamoramento descritto al passato in Deh, Vïoletta: Violetta, forse lo stesso personaggio fittizio interpretazioni discordanti dei lemmi vesta e rivestire nel sonetto di Dante, si veda il recente contributo di T. PERSICO, Una vesta ch’altrui fu data. Imitazione metrica e architestualità in una giovanile ballata dantesca, con un'introduzione su contrafacta e cantasi come, «Rivista di studi danteschi», XVII (2017), pp. 317-342: 331-332. 3 Cfr. GIOVAN MARIO CRESCIMBENI, L’istoria della volgar poesia, Roma, Antonio de’ Rossi, 1698, pp. 409-410, dove si attribuisce a Scochetto una ballata monostrofica, Deh, non celate a gli occhi quel dilecto, che di Deh Vïoletta riprende l’esortativo all’inizio della ripresa e della volta. 4 M. SALEM ELSHEIKH, I musicisti di Dante (Casella, Lippo, Scochetto) in Nicolò de’ Rossi, «Studi Danteschi», XLVIII (1971), pp. 153-166, alle pp. 159-60; CLAUDIA DI FONZO, Della musica e di Dante: paralipomeni lievi, in Scritti offerti a Francesco Mazzoni dagli allievi fiorentini, Firenze, Società Dantesca Italiana, 1998, pp. 47-61: 51-52. 5 T. PERSICO, Una vesta ch’altrui fu data, cit., p. 329. 46 Sulle tracce del Dante minore che in Per una ghirlandetta Dante chiama Fioretta, ha dapprima ferito il cuore dell’amante, poi ha creato in lui la speranza, che ora, nel presente, risana la ferita ogni volta che (in parte […] là dove) si dimostra benevola. La chiusa, che ribadisce l’indisponibilità dell’amata attraverso il «motivo […] provenzale della dannosa tardanza»,6 dannosa per la stessa amata, chiarisce che la visione di lei ridente è solo immaginata, proiezione della speranza. Deh, Vïoletta, che in ombra d’Amore ne gli occhi miei sí subito apparisti, aggi pietà del cor che tu feristi, che spera in te e disïando more. Tu, Vïoletta, in forma più che umana, foco mettesti dentro in la mia mente col tuo piacer ch’io vidi; poi con atto di spirito cocente creasti speme, che in parte mi sana là dove tu mi ridi. Deh, non guardare perché a lei mi fidi, ma drizza li occhi al gran disio che m’arde, ché mille donne già per esser tarde sentiron pena de l’altrui dolore.7 5 10 Il motivo della «dannosa tardanza», noto ma non scontato, lo ritroviamo anche nella canzone trilingue Aï faus ris, dove l’attesa eccessiva, causa della mala sorte dell’amante, come si dice alla fine della prima stanza, rischia di ritorcersi contro l’amata. L’amante, stanco di aspettarla, potrebbe infatti rivolgere la sua attenzione verso un’altra donna (è la svolta profilata nella conclusione della seconda stanza). Il v. 35 «ch’ïo venga a veder sua faccia allegra» sembra indicare che anche in questo caso l’amante non può vedere la faccia allegra 6 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di G. CONTINI, Torino, Einaudi, 1946, p. 59. Le rime di Dante si citano secondo l’ed. a cura di D. DE ROBERTIS, Firenze, Le Lettere, 2002, tranne nel caso di Per una ghirlandetta, per cui si segue il testo in DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA, cit., pp. 3-744: 172. 7 47 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ dell’amata, corrispettivo del riso risanatore di Deh, Vïoletta. La lontananza sembra dunque implicita. Richiamo l’attenzione sul verso finale della prima strofe: «né già mai tocca di fioretto il verde», ‘non raggiunge mai la parte verde, viva, non inaridita, del fiore’, vedendo mortificata ogni speranza. Il vezzeggiativo fioretto può essere messo in relazione con i senhal Fioretta e Violetta delle due ballate, ma l’intero secondo emistichio è invece vicino al secondo emistichio di un verso del Purgatorio compreso nel discorso in cui Manfredi condanna aspramente gli alti prelati al servizio di Carlo d’Angiò responsabili della propria scomunica. Si noti che i due luoghi sono accomunati anche dalla scelta della rara rima in -ERDE (perde : verde). Aï faus ris Tu sai ben come gaude miserum eius cor qui prestolatur: je l’esper tant, et pas de moi ne cure. Ai Dieus, quante malure atque fortuna ruinosa datur a colui ch’aspettando il tempo perde, né già mai tocca di fioretto il verde. 10 Purg. III Per lor maladizion sì non si perde, che non possa tornar, l’etterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde. 133 Il che lascia scorgere un possibile secondo significato politico, tutto da investigare, insito nel linguaggio particolarmente evasivo e allusivo della canzone, lamento per un tradimento subito, per una promessa non mantenuta,8 che Dante scrive in tre lingue perché possa avere la massima risonanza, nel latino della Chiesa, nel suo volgare 8 G. BRESCHI, Aï faus ris, pour quoi traï avés, in DANTE ALIGHIERI, Le quindici canzoni lette da diversi. II. 8-15, con appendice di 16 e 18, Lecce, PensaMultiMedia, 2012, pp. 305-337: 333. 48 Sulle tracce del Dante minore illustre e in francese, che è anche la lingua di Carlo di Valois, traditore e responsabile della rovina di Firenze e sua (Purg. XX 73-74 «Sanz’arme n’esce e solo con la lancia / con la qual giostrò Giuda, e quella ponta / sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia»). Nel De vulgari eloquentia Dante lo definisce «Totila secundus», paragonandolo al re dei Goti che secondo Villani entrò in Firenze con l’inganno e la distrusse. Colpisce l’immagine floreale che Dante usa per rappresentare l’esilio toccato a molti e a sé stesso in conseguenza della svolta politica dovuta alla missione di Carlo: «Eiecta maxima parte florum de sinu tuo, Florentia, nequicquam Trinacriam Totila secundus adivit» ‘Strappata la maggior parte dei fiori dal seno tuo, Firenze, invano in Trinacria il secondo Totila si spinse’ (II VI 5).9 L’ipotesi che vorrei proporre alla discussione è che i tre testi di Dante cum soni modulatione risalgano alla prima fase dell’esilio, ancora aperta alla possibilità di un ritorno a Firenze, la stessa in cui Dante scrisse la canzone trilingue e il De vulgari eloquentia, diversamente da quanto si tende a pensare. Contini definisce Per una ghirlandetta «prima ballata di Dante»;10 De Robertis, nell’incipit dell’introduzione alla stessa ballata, definisce il gruppo da 28 a 33 che comprende i tre testi «forse prime prove di “dir parole per rima”».11 Dante, come sappiamo, frequentò nei primi anni dell’esilio le corti 9 DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di M. TAVONI, in DANTE ALIGHIERI, Opere, dir. M. SANTAGATA, vol I. Rime, Vita nova, De vulgari eloquentia, a cura di C. GIUNTA, G. GORNI, M. TAVONI, Milano, Mondadori, 2011, pp. 10651547: 1442-1445. 10 Ed. cit., p. 55; ma si veda DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA, cit., p. 177: «L’idea che questa sia la “prima ballata di Dante” (Contini) riflette il disagio di fronte a un componimento che però, piuttosto che appartenere al ‘periodo cavalcantiano’ del poeta o a una generica “aura stilnovista” (Contini), sembra, più radicalmente, alludere a un’altra cultura letteraria – quella dei generi lirici oggettivi francesi – e a un’altra, più tarda età». 11 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di D. DE ROBERTIS, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005, p. 267. 49 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ dell’Italia settentrionale, particolarmente interessate alla ricezione delle novità, anche musicali, di provenienza francese, e dove il francese divenne lingua letteraria «per scelta culturale».12 Al di là della motivazione politica che ho suggerito, questa circostanza sarebbe già sufficiente a spiegare la scelta del francese come lingua addirittura d’esordio della canzone trilingue. Lo ha giustamente osservato Riccardo Viel in un saggio recente, che ambienta Aï faus ris nella Marca Trevigiana tra il 1303 e il 1306, con fondati argomenti che muovono dall’esame della tradizione manoscritta.13 Attraverso l’analisi di Per una ghirlandetta e riprendendo una linea interpretativa applicata alla lirica prestilnovistica, vorrei anche profilare la possibilità che in questi testi il motivo della lontananza, unitamente alla prospettiva del ritorno, vada messo in relazione con l’esilio, cioè che la lontananza sia metafora dell’esilio;14 e che Fioretta, 12 G. FOLENA, La Romània d’oltremare: francese e veneziano nel Levante, in Atti del XIV Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza (Napoli, 15-20 aprile 1974), a cura di A. VÀRVARO, Napoli-Amsterdam, Macchiaroli-Benjamins, 19781981, vol. I, 1978, pp. 399-406; poi in ID., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova, Programma, 1990, pp. 269-286: 272-273; cit. in L. MORLINO, Spunti per un riesame della costellazione letteraria franco-italiana, «Francigena» 1 (2015), pp. 5-81: 29. 13 R. VIEL, «Aï faux ris»: tracce del francese di Dante e del suo pubblico, «Studj romanzi», XII (2016), pp. 91-136, in partic. le pp. 130-133. 14 L’idea di una sovrapposizione di significato erotico e politico nella poesia italiana delle Origini, in particolare in relazione al tema della lontananza e dell’esilio, muove dai saggi di G. FOLENA, Cultura poetica dei primi Fiorentini, «Giornale storico della letteratura italiana», CXLVII (1970), pp. 1-42, ora in ID., Textus testis. Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 159-196, di L. ROSSI, Brunetto, Bondie, Dante e il tema dell'esilio, in "Feconde venner le carte". Studi in onore di O. Besomi, a cura di T. CRIVELLI, Bellinzona, Casagrande, 1997, pp. 13-34, di M. PICONE, Le città toscane, in Lo spazio del letterario del Medioevo volgare, a cura di P. Boitani et alii, I II: La produzione del testo, Roma, Salerno Editrice, 2001, p. 695-734. È stata approfondita da J. BARTUSCHAT, Themes moraux et politiques chez quelques poétes florentins prestilnovistes: une hypothese de recherche, in La poésie politique dans l'Italie médiévale, études réunies par A. FONTES BARATTO, M. MARIETTI et C. PERRUS, Paris, Presses Sorbonne Nouvelle, 2005 = «Arzana. Cahiers de litterature médiévale italienne», XI (2005), pp. 87-104, e ancora, in relazione a Dante, da M. 50 Sulle tracce del Dante minore e la sua variante Violetta, alludano a Firenze (Florentia) e ai suoi fiori strappati, la patria lontana in cui si spera ancora, nonostante tutto, di fare ritorno: «amorem versus me non tantum curat / quantum spes in me iam de ipsa durat», «lei nutre per me un amore ancora più esiguo di quanto non sia la speranza che io ripongo in lei».15 Così si conclude l’ultima stanza di Aï faus ris. La speranza, si sa, è l’ultima a morire, forse quella stessa speranza, ormai ridotta al lumicino, che Dante dimostra di nutrire nell’ultima parte della canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, dove si trova la menzione esplicita dell’esilio, seguita dall’immagine dei bianchi fiori divenuti persi per volontà divina o per ineluttabile destino e dalla descrizione della sofferenza generata innanzitutto dall’impossibilità di vedere l’amata, metafora, credo, della patria lontana.16 PICONE, Esilio e “peregrinatio”: dalla “Vita nova” alla canzone montanina, «Italianistica. Rivista di letteratura italiana», 36 (2007), pp. 11-24, in relazione a Brunetto Latini, da S. LUBELLO, Brunetto Latini, S’eo son distretto inamoratamente (V 181): tra lettori antichi e moderni, in A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla ricezione di Brunetto Latini dal Medioevo al Rinascimento. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Basel, 810 giugno 2006), a cura di I. MAFFIA SCARIATI, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2008, pp. 515-534. Ha poi ripreso questa prospettiva, rilanciandola, R. ZANNI, Dalla lontananza all’esilio nella lirica italiana del XIII secolo, «Arzana. Cahiers de litterature médiévale italienne», XVI-XVII (2013), pp. 325-63 (alle pp. 325-6, nota 1, la bibliografia pregressa). 15 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA, cit., p. 639. 16 Per l’interpretazione politica del linguaggio cifrato del primo congedo di Tre donne, cfr. da ultimo E. FENZI, “Tre donne” 73-107: la colpa, il pentimento, il perdono, in Grupo Tenzone, Tre donne intorno al cor mi son venute, ed. J. VARELA-PORTAS DE ORDUÑA, Madrid, Departamento de Filología Italiana UCM-Asociación Complutense de Dantologia, 2007, pp. 91-124, da leggere con la discussione di S. CARRAI, Il doppio congedo di ‘Tre donne intorno al cor mi son venute’, in Le rime di Dante. Gargnano del Garda (25-27 settembre 2008), a cura di C. BERRA e P. BORSA, Milano, Cisalpina, 2010, pp. 197-211: 201. 51 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ Ed io, che ascolto nel parlar divino consolarsi e dolersi cosí alti dispersi, l’essilio che m’è dato, onor mi tegno: ché, se giudizio o forza di destino vuol pur che ’l mondo versi i bianchi fiori in persi, cader co’ buoni è pur di lode degno. E se non che de gli occhi miei ’l bel segno per lontananza m’è tolto dal viso, che m’àve in foco miso, lieve mi conterei ciò che m’è grave; 75 80 Se non consideriamo i due più antichi testi lirici in volgare di sì, la Canzone ravennate e il Frammento piacentino, muniti di melodia in regime di tradizione manoscritta occasionale,17 la produzione di musica su testi profani è documentata in Italia a partire dalle prime prove della cosiddetta Ars Nova italiana, che reinterpreta l’Ars Nova francese proponendo originali soluzioni tecniche e artistiche, e che oggi possiamo leggere nelle antologie retrospettive compilate tra la seconda metà del Trecento e i primi decenni del Quattrocento. I primi musicisti dell’Ars Nova prestarono servizio presso le corti di Verona, Padova, Milano. Alcune tra le più antiche composizioni arsnovistiche profane pervenute sono da collegarsi alla corte di Mastino II e Alberto della Scala, tra il 1329 e il 1351. Difficile pensare che nascessero dal nulla, mentre è più verosimile che fossero espressione di una tradizione poetico-musicale già formata in un contesto multiculturale in cui la musica aveva un ruolo non secondario.18 Ne è testimonianza il Bisbidìs di Immanuel Romano, che descrive la vita 17 Su cui si veda il vol. Tracce di una tradizione sommersa. I primi testi lirici italiani tra poesia e musica. Atti del Seminario di studi (Cremona, 19 e 20 febbraio 2004), a cura di M. S. LANNUTTI e M. LOCANTO, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005. 18 Un quadro d’insieme delle composizioni ambientate nelle signorie “lombarde” si trova in F. A. GALLO, Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia. Il Medioevo II, Torino, EDT, 1979, pp. 61-64. 52 Sulle tracce del Dante minore di corte nella Verona di Cangrande Della Scala, verosimilmente intorno al 1312. I versi del Bisbidìs riferiscono della presenza di intellettuali provenienti da tutt’Europa e attestano l’attività sinergica di poeti, intonatori e cantori.19 e quivi Tedeschi, Latini e Franceschi, Fiammenghi e Ingheleschi insieme parlare; 36 Chitarre e lïute vïole e flaùte, voci alt’ed agute qui s’odon cantare. 40 E qui bon cantori con intonatori, e qui trovatori udrai concordare. 44 Con questo ambiente Dante, che soggiornò a Verona la prima volta tra il 1303 e il 1304, era di certo venuto in contatto.20 E mi sembra plausibile che in quell’ambiente avesse potuto ascoltare poesia francese intonata, anche nella forma del virelai. Per alcuni aspetti stilistici e formali, Per una ghirlandetta può essere in effetti accostata alla lirica galloromanza. Su questa sua connotazione insistono i commenti di Claudio Giunta e Marco Grimaldi.21 L’uso del raro novenario, che corrisponde all’octosyllabe, verso tra i più frequenti nella poesia lirica e narrativa in lingua d’oc e d’oïl, e l’eccezionale ripetizione di due rime della ripresa nella volta, di cui una tronca, fanno appunto pensare alla dansa occitana e al virelai francese, dove la ripetizione delle rime del refrain nella volta è normale (nella ballata di Dante la rima del primo verso non è ripetuta per via della concatenatio). Il legame con il virelai può dirsi rafforzato 19 M. MARTI, Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano, Rizzoli, 1956, pp. 322-327. Sulla prima fase dell’esilio di Dante, cfr. G. INDIZIO, Le tappe venete dell’esilio di Dante, «Miscellanea Marciana», XIX (2004), pp. 35-64, ora in Problemi di biografia dantesca, Ravenna, Longo, 2014, pp. 93-114. 21 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA, cit., pp. 172-177; DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di M. GRIMALDI, cit., p. 688. 20 53 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ dalle scelte stilistiche, che rimandano ai generi oggettivi francesi, o comunque improntati al registro della bonne vie, come dimostra chiaramente il ricorrere dei vezzeggiativi in -etta e quindi lo stesso senhal Fioretta. Tutto considerato, Per una ghirlandetta denota una speciale ricercatezza, una forma di sperimentalismo innanzitutto metrico, che contamina, integrandoli, tratti appartenenti a differenti linguaggi poetici: nella ripresa e nella volta il settenario italiano abbinato al vezzeggiativo in rima ghirlandetta e alla rima tronca di ispirazione galloromanza; nelle mutazioni l’octosyllabe galloromanzo abbinato a tre vezzeggiativi distribuiti nelle tre strofe: ghirlandetta e Fioretta all’inizio del secondo verso, parolette a inizio di stanza, con l’aggettivo novelle, forse per influenza di iuncturae del tipo novel chant o novel so, tutt’altro che rare nella lirica galloromanza. Per una ghirlandetta ch’io vidi, mi farà sospirare ogni fiore. I’ vidi a voi, donna, portare ghirlandetta di fior’ gentile, e sovra lei vidi volare un angiolel d’amore umìle; e ’l suo cantar sottile dicea: «Chi mi vedrà lauderà ’l mio signore». S’ïo sarò là dove sia Fioretta mia bella e gentile, allor dirò a la donna mia che port’in testa i mie’ sospiri. Ma per crescer disire la mia donna verrà coronata d’Amore. Le parolette mie novelle, che di fiori fatt’han ballata, per leggiadria ci hanno tolt’elle 54 5 10 15 20 Sulle tracce del Dante minore una vesta ch’altrui fu data: però siate pregata, qual uom la canterà, che li facciate onore. Nella volta dell’ultima stanza, che ha funzione di congedo, l’amante prega la dedicataria di accogliere benevolmente chiunque canterà la ballata. Il presupposto di questa richiesta potrebbe essere un motivo che ricorre in diverse canzoni di trovatori, ovvero l’evenienza di un’esecuzione musicale imperfetta, che può compromettere il delicato equilibrio del testo poetico. Riporto qui a titolo di esempio la prima strofe di una canzone di Peire d’Alvernha (BdT 323,2): Ab fina ioia comenssa lo vers qui bels motz assona, e de re no·i a faillenssa; mas no m’es bon qe l’apreigna tals cui mos chans non coveigna, q’ieu non vuoill avols chantaire, cel que tot chan desfaissona, mon doutz sonet torn’en bram. [Con gioia impeccabile si apre il vers che fa consonare belle parole, e non vi sono affatto magagne; però non mi sta bene che lo apprenda uno al quale il mio canto non si confaccia, perché non voglio che un cantore scadente, che storpia ogni canto, trasformi in bramito la mia dolce melodia.]22 Più difficile è invece capire l’esatto significato della prima parte dell’ultima stanza, e soprattutto del v. 21 «una vesta ch’altrui fu data». Se nessuno mette in dubbio che qui si stia parlando della musica su cui il testo sarà cantato, non è altrettanto chiara la provenienza di quella musica. L’interpretazione del v. 21 offerta da Giunta («‘una veste altrui è stata data alle mie parole’»), ripresa da Grimaldi, e già proposta da Contini, parte dal presupposto che altrui sia attributo di vesta, una vesta altrui che fu data: le parole si sarebbero appropriate (ci 22 PEIRE D’ALVERNHE, Poesie, a cura di A. FRATTA, Roma, Vecchiarelli, 1996, p. 8. 55 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ hanno tol’elle), dopo averla ricevuta, di una musica composta da un’altra persona o appartenuta a un’altra persona.23 Le parolette mie novelle, che di fiori fatt’han ballata, per leggiadria ci hanno tolt’elle una vesta ch’altrui fu data: però siate pregata, qual uom la canterà, che li facciate onore. 20 Confesso che questa interpretazione non mi sembra del tutto soddisfacente. Noto che sarebbe stato possibile costruire il verso accostando l’attributo al sostantivo senza danno né per la misura né per l’assetto ritmico; e che, soprattutto, seguendo più da vicino la disposizione delle parole nel verso, la frase ha comunque un senso: per adornarsene (per leggiadria)24 le mie parole si sono appropriate di una musica che fu data ad altri, posto che altrui può essere riferito solo a persona. Questa seconda possibile interpretazione pone però il problema di stabilire a chi quella musica fu data. A un altro autore? A un altro cantore? Ma quale autore o quale cantore? Per cantare quale testo? E da chi? Credo che la risposta vada cercata innanzitutto all’interno della ballata stessa, che nella prima strofe offre proprio l’immagine di un angiolel d’amore che canta, di un angelo cantore emanazione di Amore o forse innamorato. Nella visione, ambientata nel passato, il cantar sottile rivela la missione dell’angelo, indurre a lodare Amore: «“Chi mi vedrà / lauderà ’l mio signore”». 23 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA, cit., p. 176; DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di M. GRIMALDI, cit., p. 694: «una musica che apparteneva già ad altri»; DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di G. CONTINI, cit., p. 56: «La vesta altrui sarà la melodia d’un’altra ballata». 24 GRIMALDI, ed. cit., p. 694, invece: «in virtù della loro natura leggiadra». 56 Sulle tracce del Dante minore I’ vidi a voi, donna, portare ghirlandetta di fior’ gentile, e sovra lei vidi volare un angiolel d’amore umìle; e ’l suo cantar sottile dicea: «Chi mi vedrà lauderà ’l mio signore». 5 10 Insomma, la vesta di cui la ballata si appropria potrebbe essere proprio la musica che è stata data all’angelo, lui sì capace di cantare in modo nobile e puro, a differenza del potenziale cantore della ballata, la cui natura umana (qual uom la canterà) non può garantire un canto di pari qualità, tanto che l’amata è pregata di essere benevola nei suoi confronti. Si tratta dunque di una musica non umana, credo data all’angelo da Amore stesso, che nella Vita nova, lo si è visto, è in effetti insito nella musica, quasi si identifica con la musica. Si tratta di un canto d’amore non diverso da quello di cui scrive Iacopone da Todi nella lauda O novo canto.25 Canto d’amore ce trova a tuttore a chi ce sa entrare; con Deo se conforma emprende la norma de ben Lo disiare; co’ serafino deventa divino, d’amore enflammato. 35 E non diverso dal canto degli angeli che volano al di sopra della Vergine nel XXXII canto del Paradiso. Si notino le analogie: I' vidi … e sovra lei vidi / Io vidi sopra lei; portare / portata; volare / trasvolar; angiolel d’amore / quello amor (l’arcangelo Gabriele); cantar sottile equivale poi a divina cantilena, canto non umano. È possibile che Dante abbia scritto i versi del Paradiso avendo in mente la prima stanza di Per una ghirlandetta. 25 IACOPONE DA TODI, Laudi Trattato e Detti, a cura di F. AGENO, Firenze, Le Monnier, 1953, pp. 261-264. 57 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza, che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese, né mi mostrò di Dio tanto sembiante; E quello amor che primo lì discese, cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’, dinanzi a lei le sue ali distese. Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, sì ch’ogne vista sen fé più serena. 90 93 96 99 Lo scenario che ho delineato fa della ballata di Dante un testo dal complesso significato simbolico, che può essere ulteriormente approfondito, anche alla luce del tema della lontananza come metafora dell’esilio. Credo che questo tema possa dirsi insito nella seconda stanza, dove l’amante prospetta la possibilità di trovarsi in futuro nello stesso luogo in cui si trova l’amata, alias Fioretta, variante di Fiorenza, in modo da poterle rivelare in presentia che i fiori di cui è composta la ghirlanda che adorna il suo capo sono in realtà i suoi sospiri, e i sospiri, si sa, esprimono il desiderio del ricongiungimento (assumo qui la lezione dei manoscritti a la donna mia, giustamente rispettata da Giunta e Grimaldi, mentre Barbi e De Robertis eliminano la preposizione). S’ïo sarò là dove sia Fioretta mia bella e gentile, allor dirò a la donna mia che port’in testa i mie’ sospiri. Ma per crescer disire la mia donna verrà coronata d’Amore. 15 Da questo punto di vista, non sarà forse un caso che la serie gentile : umìle : sottile della prima stanza si ritrovi in altro ordine nella prima parte del canto VIII del Purgatorio, che si apre con la celebre 58 Sulle tracce del Dante minore immagine dei naviganti invasi al tramonto dall’intensa nostalgia della propria patria, e precisamente nei versi che descrivono l’essercito dei principi nella valletta mentre, divenuto silenzioso dopo aver cantato l’inno di Compieta, aspetta palido e umìle l’arrivo serale degli angeli. Anche in questo caso mi pare possibile che il passo della Commedia sia stato influenzato dalla prima stanza di Per una ghirlandetta. Alla luce dei versi del Purgatorio, l’aggettivo umìle della ballata credo possa essere messo in relazione con l’idea di timor rispetto al signore. I’ vidi a voi, donna, portare ghirlandetta di fior’ gentile, e sovra lei vidi volare un angiolel d’amore umìle; e ’l suo cantar sottile dicea: «Chi mi vedrà lauderà ’l mio signore». 5 10 Purg. VIII Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché ’l velo è ora ben tanto sottile, certo che ’l trapassar dentro è leggero. Io vidi quello essercito gentile tacito poscia riguardare in sùe, quasi aspettando, palido e umìle; e vidi uscir de l’alto e scender giùe due angeli con due spade affocate, tronche e private de le punte sue. 20 25 Una riflessione merita anche la volta della seconda stanza, a cominciare dal suo secondo verso. La lezione di tutti i manoscritti è in realtà non «la mia donna verrà», con integrazione dell’articolo secondo l’edizione di De Robertis (Barbi seguito da Contini mette a testo «mïa donna verrà», con mia bisillabico), ma «una donna verrà / coronata d’Amore». 59 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ S’ïo sarò là dove sia Fioretta mia bella e gentile, allor dirò a la donna mia che port’in testa i mie’ sospiri. Ma per crescer disire una donna verrà coronata d’Amore. 15 Come nota Giunta, il v. 17 «coronata d’Amore» è passibile di più interpretazioni.26 Se si esclude, come secondo me è preferibile, che verrà sia ausiliare della forma passiva e d’Amore sia complemento d’agente,27 si può pensare che la donna coronata d’Amore non sia Fioretta, perché a differenza di Fioretta il suo capo non è circondato da una ghirlandetta di fiori ovvero di sospiri sovrastata da un angiolel d’amore ma da una corona fatta d’amore (in tal caso amore sarebbe nome comune e non nome proprio). Se poi si considera che coronata d’amore può significare ‘in possesso dell’amore’ (Giunta cita Monte Andrea, D’Amor son preso, v. 12 «di Fin Presgio portate la corona»), è lecito supporre che si voglia qui dire che la donna è ‘innamorata’. Anche per questa immagine è possibile fare un raffronto con un luogo mariano del Paradiso, il passo del canto XXIII in cui Maria (bel fior) appare nella sua apoteosi come rosa mistica, intorno alla quale gira l’arcangelo Gabriele, formando una corona luminosa. Nel suo canto, incomparabilmente più dolce di ogni canto umano, l’arcangelo si definisce appunto amore angelico. Par. XXIII Il nome del bel fior ch’io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l’animo ad avvisar lo maggior foco; 26 90 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di C. GIUNTA, cit., p. 179-180; DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di M. GRIMALDI, cit., pp. 693-694. 27 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di D. DE ROBERTIS, cit., p. 269: «Non, come finora si è letto, “da Amore”». 60 Sulle tracce del Dante minore e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che là sù vince come qua giù vinse, per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela e girossi intorno ad ella. Qualunque melodia più dolce suona qua giù e più a sé l’anima tira, parrebbe nube che squarciata tona, comparata al sonar di quella lira onde si coronava il bel zaffiro del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. «Io sono amore angelico, che giro l’alta letizia che spira del ventre che fu albergo del nostro disiro; e girerommi, donna del ciel, mentre che seguirai tuo figlio, e farai dia più la spera supprema perché lì entre». 93 96 99 102 105 109 Stando anche alla lezione dei manoscritti, sembrerebbe dunque che la ballata metta in scena non una ma due donne, secondo un’ipotesi prospettata già da Marco Grimaldi.28 È allora possibile stabilire un nesso con i due sonetti citati da Grimaldi, Due donne in cima della mente mia e Io mi senti’ svegliar dentr’a lo core, della Vita nova, chiamato in causa anche da De Robertis.29 La prosa chiarisce che nel sonetto della Vita nova, scritto per il primo amico, monna Vanna, amata dal destinatario, è chiamata Primavera per la sua bellezza, e precede monna Bice, assimilata ad Amore, come Giovanni Battista precedette la verace luce (15 [XXIV] 1-7).30 Nell’altro sonetto, le due donne rappresentano parallelamente la Bellezza e la Virtù, e pongono il problema della loro complementarietà nell’amore perfetto, alla fine ammessa dal fonte del gentil parlare, l’intelletto. Si notino la condivisione 28 DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di M. GRIMALDI, cit., pp. 693-694. DANTE ALIGHIERI, Rime, a cura di D. DE ROBERTIS, cit., p. 269: «Qui è Amore che le fa corona, come nel son. cit. è Amore che accompagna le due donne». 30 DANTE ALIGHIERI, Vita nova, cit., pp. 954-959. 29 61 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ delle rime e dei rimanti nelle quartine dei due sonetti e le altre affinità testuali. Io mi senti’ svegliar dentr’a lo core un spirito amoroso che dormia: e poi vidi venir da lungi Amore allegro sì, che appena il conoscia, dicendo: «Or pensa pur di farmi onore»; e ciascuna parola sua ridea. E poco stando meco il mio segnore, guardando ’n quella parte onde venia, io vidi monna Vanna e monna Bice venire inver lo loco là ov’ io era, l’una appresso de l’altra maraviglia; e sì come la mente mi ridice, Amor mi disse: «Quell’è Primavera, e quell’ha nome Amor, sì mi somiglia». Due donne in cima de la mente mia venute sono a ragionar d’amore: l’una ha in sé cortesia e valore, prudenza e onestà in compagnia; l’altra ha bellezza e vaga leggiadria, adorna gentilezza le fa onore: e io, merzé del dolce mio signore, mi sto a piè de la lor signoria. Parlan Bellezza e Virtù a l’intelletto e fan quistion come un cor puote stare intra due donne con amor perfetto. Risponde il fonte del gentil parlare ch’amar si può bellezza per diletto e puossi amar virtù per operare. Ma due sono le donne di cui si parla anche nella prima delle canzoni del Convivio, Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete, una donna reale che non c’è più e un’altra che prende il suo posto, personificazione della Filosofia. Nell’ultima strofe, il verso che introduce l’emissario di Amore, «dice uno spiritel d’amor gentile» in rima con umìle, è molto vicino al v. 7 «un angiolel d’amore umìle» della ballata. «Tu non se’ morta, ma se’ ismarrita, anima nostra, che sì ti lamenti», dice uno spiritel d’amor gentile; «ché quella bella donna che tu senti, ha transmutata in tanto la tua vita, che n’hai paura, sì se’ fatta vile! 40 45 Facendo tesoro di questa contestualizzazione, l’interpretazione della seconda stanza di Per una ghirlandetta potrebbe essere questa: l’amante fa presente che, se riuscirà a essere nello stesso luogo in cui si trova Fioretta, dopo averle rivelato in presentia la vera natura dei fiori che porta in testa, cioè dopo averle rivelato il suo desiderio, si 62 Sulle tracce del Dante minore aspetta di vederlo crescere in lui grazie all’avvento di una seconda donna coronata d’Amore, cioè anch’essa finalmente innamorata, che lo legherà a sé con maggior forza. Innamorata come apparirà Matelda a Dante, e come era apparsa la pasturella all’amante della ballata di Cavalcanti: «Cantando come donna innamorata» (Purg. XXIX 1) riscrive un verso di Per un boschetto, v. 7 «cantava come fosse ’namorata». Insomma, ancora due donne, una solo bella, l’altra anche sapiente. Vengono in mente le due donne protagoniste del terzo sogno di Dante nel purgatorio, Lia e Rachele, Lia intenta, mentre canta, a intrecciare una ghirlanda di cui vuole adornarsi, Rachele assorta nella contemplazione. Non diversamente da monna Vanna e monna Bice, alias Primavera e Amore, l’una anticipazione dello splendore dell’altra, o da Bellezza e Virtù, che possono convivere e interagire nello stesso cuore, oppure dalle due donne di Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete, o ancora da Lia e Rachele, che prefigurano le due anime di Matelda, donna bella e sapiente, Fioretta e la seconda donna della nostra ballata sono due diverse manifestazioni dell’amata e rappresentano due modi di vivere l’amore, che è uno. Petrarca riproporrà lo stesso tema nella canzone cosiddetta della Gloria (Rvf 119), dove la donna più bella assai che ’l sole chiede all’amante di sollevare lo sguardo in alto, e l’amante vede allora una seconda donna, sentendo crescere il suo desiderio (la canzone è legata a Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete dall’incipit del congedo: «Canzon, io credo che saranno radi / color che tua ragione intendan bene […]»; «Canzon, chi tua ragion chiamasse oscura […]»). quand’ella: - Or mira - et leva’ gli occhi un poco in più riposto loco – donna ch’a pochi si mostrò già mai. – Ratto inchinai la fronte vergognosa, sentendo novo dentro maggior foco… 65 63 «Cantar sottile»: Ancora sulla «vesta» di ‘Per una ghirlandetta’ L’attacco dell’ultima stanza di Per una ghirlandetta rivela infine che i fiori, ovvero i sospiri (il desiderio del ricongiungimento), sono la materia di cui è fatta la ballata, che quindi la ballata e la ghirlanda sono la stessa cosa, e che l’amante e il poeta sono la stessa persona. Sullo sfondo c’è Amore, il signore che l’angelo induce a lodare cantando. Tra l’amante poeta e Amore, tra Fioretta e la donna coronata d’Amore, c’è in fondo la stessa relazione che c’è tra il canto dell’uomo (qual uom la canterà) e il canto dell’angelo (cantar sottile). La ricerca di cui si offrono i risultati nel presente articolo è parte integrante del progetto Advanced Grant «European Ars Nova: Multilingual Poetry and Polyphonic Song in the Late Middle Ages» (ArsNova), finanziato dallo European Research Council nell’ambito del programma «Horizon 2020 research and innovation» dell’Unione Europea (Grant Agreement n° 786379). 64