Academia.eduAcademia.edu

Roberto Conz | « Je ne sais pas…» – o del balbettio di Kurtág –

2019, da "Vortex Temporum" - Éditions Donner Lieu (Paris)

Esitare per meglio lasciare venire il pensiero, nella sua purezza, nella sua verità, ripetere, ripetere, fino a che non emerge il ricordo dimenticato, accogliere il silenzio come una possibilità, e l’occasione unica di intendere finalmente il senso delle parole. (Haydée Charbagi)

Roberto Conz « Je ne sais pas… » – o del balbettio di Kurtág – … e penso al balbettare anche. Il balbettare che costringe il linguaggio ad incepparsi per dar luogo all’eccedenza di ciò che non sarebbe altrimenti dicibile… «perché è prima della parola, talvolta sul farsi della parola, o nella resa della parola.» 1 Si sa che chi balbetta smette di farlo nel momento in cui gli è richiesto di parlare a ritmo di metronomo. O di cantare. Il balbettio si mostra allora come un’anomalia del tempo condiviso. Esigenza di dar voce al tempo del soggetto che avanza con passo incerto dentro le ortogonalità delle strutture. Già da tempo conoscevo … pas à pas – nulle part … ma quest’opera, ogni volta che mi sforzavo di parlarne, si sottraeva alle parole, restia e come inaccessibile. Mi decisi allora di scrivere al compositore, György Kurtág, per chiedergli se accettava di aiutarmi, di parlarmi del suo lavoro, di Beckett e di quei frammenti poetici che aveva scelto, quasi dieci anni prima, di unire alla sua musica. Qualche giorno più tardi, il telefono suona. Una voce esitante, dolce e ferma ad un tempo: “Buongiorno, sono György Kurtág.” Accettava. Ne seguirono due interviste. Alle mie domande, Kurtág non rispondeva che con un mormorio, un silenzio, uno spiazzante «non so…». Ho dovuto imparare a rispettare questi silenzi, questi non-detti, attendere che le parole venissero, accettare che non venivano. Ma sul filo di questo balbettio (“la mia lingua materna”, piace dire a Kurtág), dentro questo silenzio, poco a poco – passo a passo – le idee venivano, luminose, e le annotavo così come si raccoglie un tesoro. Esitare per meglio lasciare venire il pensiero, nella sua purezza, nella sua verità, ripetere, ripetere, fino a che non emerge il ricordo dimenticato, accogliere il silenzio come una possibilità, e l’occasione unica di intendere finalmente il senso delle parole.2 In questo struggente esergo del bellissimo testo che Haydée Charbagi dedica all’op.36 di Kurtág, troviamo un ulteriore accenno ad un luogo caro al compositore: l’incrinarsi della voce, della linea, del progetto. Affinché si crei un varco. En la grieta creo, creándome 3 L’incrinarsi di ciò che sappiamo di sapere. Per attendere…                                                                                                                 1 Miorandi, 2007 Charbagi, 2009: 285 3 «Nella crepa creo, creandomi», A. Kurapel, A pesar de todo, la vida, (in Conz, 2002: 99)   2 … Il momento dell’ignoranza, lo stupore difronte all’inatteso che viene. Ignoranza come tentativo di lasciar venire ciò che forse verrà, e che verrà solamente se lasciato venire. Ignoranza come condizione per una venuta? Penso alla grande lezione proustiana per cui la memoria involontaria nasce soltanto dall’oblio e solo la dimenticanza permette l’accesso al ricordo. 4 E ancora… Bisogna dunque che il sapere si accompagni ad un uguale oblio del sapere stesso. Il non sapere non è ignoranza ma un atto difficile di superamento della conoscenza. Solo a tale prezzo un’opera è in ogni istante quella sorta di inizio… 5 Credo che la grande forza del gesto di Kurtág sia stata proprio quella di rimettere in gioco l’incerto in un momento in cui il linguaggio musicale europeo si stava irrigidendo entro le logiche del serialismo integrale. In anni in cui la musica viene vivisezionata in parametri, lui scrive La scala di do maggiore esplosa su tutti i registri, quasi ad abbracciare, nelle due ultime note, l’intera tastiera del pianoforte. Sette note sui tasti bianchi, collegate da tre esili legature tratteggiate che le respirano in domanda, risposta e – dopo una breve corona – coda. I valori sono la bianca e la nera, senza altre indicazioni di durata. Nessuna indicazione neppure di metronomo, né di dinamica o di espressione. Le mani si incrociano in modo del tutto antieconomico. L’interprete si ritrova in una condizione di                                                                                                                 4 5 Miorandi, Ivi. Bachelard, 2015: 23 disarmante nudità che lo riconduce solo a se stesso. Il tempo è quello del suo respiro. Del suo gesto. Tre corone di diversa lunghezza – ma quale? – sembrano ulteriormente sospendere un tempo indecidibile che rimanda a una condizione di fragilità assoluta. Flowers We Are, Frail Flowers.6 E sbaglieremmo ad intendere questo brano come un lavoro minore. Kurtág stesso lo definisce come uno dei suoi lavori migliori e a lui più cari, più volte ripreso e trascritto. Chi ha familiarità con le partiture dell’autore sa bene lo sconcerto in cui ci lasciano proprio rispetto alla dimensione temporale. Un’idea di «tempo segmentato» cede il posto a quella di «tempo vissuto». Non ripetibile. Non definibile a priori sulla carta. La logica quantitativa cara agli strutturalisti sembra qui cedere di fronte allo stupore, alla sospensione, al non poter sapere una volta per tutte. È un tempo che non sa. Non sa più. Uno spiazzante « Je ne sais pas… » Attesa [1559- 1979 - 2018] 7 Nell’intavolatura per liuto rinascimentale l’esagramma orizzontale indica i sei «cori» – le sei corde doppie. I numeri stanno per i tasti sui quali premere le dita. Le stanghette verticali sono invece le misure. Le suddivisioni del tempo. Quella specie di uncini sospesi sopra l’esagramma, infine, rappresentano le durate delle note. Crome, semicrome…                                                                                                                 6 7 György Kurtág , Jatekok, Vol. I, ed. Ricordi, Milano 1991   Matelart, 1979: 23 Oggi che non lo devo più suonare, torno a guardare questa immagine. C’è qualcosa di struggente in essa che allora, intento ad altro, non sapevo vedere. Una breve fantasia forse. Non lo sappiamo – non è indicato – e il laconico brano si presta a più di una forma. O forse piuttosto un tastar de corde. Meraviglioso genere in cui il liutista si avvia al concerto tastando le corde del suo strumento. Un procedere incerto. Quasi a tentoni. Senza quasi sapere. C’è una qualche ritrosia nelle stanghette di misura, come restie a segmentare il tempo in battute. Sghembe. Segnate da una mano esitante. Così come i numeri che paiono finalmente quasi respirare, privi di ogni meccanica precisione. Come passi che procedono un poco svagati, disponibili alla sorpresa. Anch’essi in qualche modo incerti, smangiati. Il traspirare di tante esecuzioni, forse. Chissà… E poi l’esagramma che indica sì le corde del liuto ma è anche sostegno al tempo. Ché è pur su quelle corde che prende forma – che affiora, diverso ad ogni suo ritorno – il tempo di questa musica. È un tempo che fluttua, lo si vede bene, sospinto da chissà quale respiro sommerso. E si svuota di ogni indicazione poi. All’improvviso. Come in attesa. Come solchi in attesa di dar voce e forma all’incerto che ci compone. L’incerto che siamo. E frana nel bianco in fine, in una speranza di indeterminato. Quasi a dar luogo ad una scrittura adiastematica in campo aperto.8 Ghirigori [X sec. - 2018]                                                                                                                 8 Si tratta della prima forma di notazione del canto gregoriano (precedente al X secolo). Qui non note ma frammenti di melismi erano annotati accanto alla parola sacra del testo. Simile a schegge di arabesco, questo tipo di notazione era priva di una precisa indicazione temporale e intervallare. Il respiro della parola sacra sosteneva il fluire del canto. Bibliografia Bachelard, G., (2015), La poetica dello spazio, Bari: Edizioni Dedalo. Beckett, S., (1984), «Three dialogoues», in Disjecta Miscellaneous Writings, New York: Groove Press. Beckett, S., (1990), What is the Word, in As the Story Was Told: Late and Uncollected Prose, London: John Calder. Beckless-Wilson, R., (Dec. 1998), Kurtág’s Instrumental Music, 1988-1998, in Tempo 207 pp.15-21. Benjamin, W., (1995a), Tesi di filosofia della storia, in Angelous Novus, Torino: Einaudi, pp.75-86. Benjamin, W., (1995b) Di alcuni motivi in Baudelaire, Torino: Einaudi, pp.89-130. Benjamin, W., (1998), L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, Torino: Einaudi. Benjamin, W., (2000), I passagges di Parigi, Torino: Einaudi. Benjamin, W., (2007) Infanzia berlinese, Torino: Einaudi. Bettini, M., (2012), Vertere, un’antropologia della traduzione nella cultura antica, Torino: Einaudi. Biase, A. de, (2014), Hériter de la ville, Paris: édition donner lieu. Brecht, B. (2005), Poesie. II : 1934.1956, Torino: Einaudi. Calasso, R., (2005), La follia che viene dalle ninfe, Milano: Adelphi. Charbagi, H., (2009) György Kurtág… “ Pas à pas – nulle part…” op.36 in Gestes, fragments, timbres : la musique de György Kurtág. Paris: L’Harmattan. Cicero, V., (2010), in G. Bachelard, Dialettica della durata, Milano: Bompiani, pp.5-35. Conz, R. (2002 – 2004), Come esule pelle tra parola e mondo, in Paesaggi di parole: https://robertoconzworks.wordpress.com/parole-da-guardare/paesaggi-di-parole/ Conz, R., (2000a), Treni, in CNZRRT55D09Z345Y, Rovereto: Nicolodi. Conz, R., (2000b), Ipotesi per un identikit, in CNZRRT55D09Z345Y, Rovereto: Nicolodi. Conz, R., (2002), Tra, Rovereto: Nicolodi. Conz, R., (2003a), Teoria, Linguaggio, Visione. Tavole ortottiche, Rovereto: archivio MART. Conz, R., (2003b), Una cocciuta speranza di epifania, Trento: archivio Galleria Civica. Conz, R., (2004), Le mappe del mondo, di proprietà dell’autore. Conz, R., (2006), In tua assenza, Rovereto: edizioni Osiride. Conz, R., (2009), In tua assenza, per pianoforte. Conz, R., (2013), CD In tua assenza, Bologna: A Simple Lunch. Conz, R., (2016 – 2017), Still, Suite Malferrari, per pianoforte. Conz, R., (2017) Still, Suite II, per pianoforte. Corano, (1988), Milano: Rizzoli. Didi-Huberman, G., (2006), L’immagine insepolta, Torino: Bollati Boringhieri. Didi-Huberman, G., (2007), Storia dell’arte e anacronismo delle immagini. Torino: Bollati Boringhieri. Didi-Huberman, G., (2009) in La somiglianza per contatto, Torino: Bollati Boringhieri. Didi-Huberman, G., (2011), La conoscenza accidentale, Torino: Bollati Boringhieri. Didi-Huberman, G., (2013), Ninfa Moderna, Milano: Abscondita-Aesthetica. Didi-Huberman, G., (2015), Il passo leggero dell’ancella, Bologna: EDB. Dolar, M., (2008), What’s in a Voice, http://philosovereign.blogspot.it/2014/02/mladendolar-whats-in-voice-transkript.html Dolar, M., (2014) La voce del padrone, Napoli: Orthotes. Foucault, M., (1967), Le parole e le cose, Milano: Rizzoli. Gardini, N., (2014), Lacuna, Torino: Einaudi. Gargani, A.G., (1992), Lo stupore e il caso, Bari: Laterza. Gerlich, T. & Kunkel, M., (2002), "Tempi passati" or "Tempi da venire...?": Seeking Melody in the Music of Sándor Veress and György Kurtág, in Studia musicologica Academiae Scientiarum Hugaricae, vol. 43, 3-4, pp.421-438. Gussow, M., (1998), Conversazioni con (e su) Beckett, Milano: Ubulibri. Kunkel, M., (2001), “… folly for t[w]o…”: Samuel’s Beckett’s What is the Word and György Kurtág Mi is a szó, Opus 30 – in Contemporary music review, Vol.20, Issue 2-3, pp.109127. La Casa, E., Zanini P., (2017), Mesurer / Se mesurer, Création on air, France Culture. Lacan, J., (2003), Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi, Torino: Einaudi. Leopardi, G., (1962), L’infinito, in Canti, Torino: Einaudi. Matelart, J., (1979), Intavolatura de leuto, Roma 1559, Firenze: ed. S.P.E.S. Melville, H., (2016), Moby Dick, Torino: Einaudi. Merleau-Ponty, M., (2003), Fenomenologia della percezione, Milano: Bompiani. Metzer, D., (2009), Musical Modernism at the Turn of the Twenty-First Century, Cambridge: Univerity Press. Miorandi, P., (2007), Ospitalità dello sguardo. https://robertoconzworks.wordpress.com/testi-critici/paolo-miorandi-ospitalita-dellosguardo/ Newman, B., (1992), «The sublime is Now»/«Ohio,1949», in Selected Writings and Interviews, Berkley: University of California Press. Pessoa, F., (2000), Il libro dell’inquietudine, Milano: Feltrinelli. Pigozzi, L., (2013), Voci smarrite, arte e legame sociale contro il dominio dell’anestesia, Milano: et al./edizioni. Rilke, R. M., (1983) «Annunciazione», in Poesie, Torino: Einaudi. Rimbaud, A., (1972), Poesie, Roma: Newton Compton editori. Salinger, J.D., (1961), Il giovane Holden, , Torino: Einaudi. Sebald, W. G., (2002), Austerlitz, Milano: Adelphi. Serres, M., (1992), Il manto di Arlecchino, Venezia: Marsilio. Simic, C., (2005), Il cacciatore di immagini, Milano: Adelphi. Tiezzi, E., (1996), Fermare il tempo, Milano: Raffaello Cortina Editore. Tosser, G., (2009), La bougie silencieuse de György Kurtág et Andreï Tarkovski, in Gestes, fragments, timbres : la musique de György Kurtág. Paris: L’Harmattan. Varchetta, G., (1997), «Introduzione», in Karl Weick, Senso e significato nell’organizzazione, Milano: Raffello Cortina. Varga, B. A., (2009), György Kurtág, Three Interviews, Univ. of Rochester Press. Wordsworth, W., Il preludio, Milano: Mondadori, 2015 Zambrano, M., (2017), Chiari del bosco, Milano: SE. Zanini, P., (1997) Significati del confine, Milano: Bruno Mondadori. Zsondi, P., (2007) «Speranza nel passato», in Infanzia Berlinese. Su Walter Benjamin, Torino: Einaudi, pp.129-151.