Academia.eduAcademia.edu

188 - Omaggio a Lellia Cracco Ruggini

VII,26 - OMAGGIO A LELLIA CRACCO RUGGINI Il libro s’intitola Humana sapit, è pubblicato a cura di Jean-Michel Carrié e Rita Lizzi Testa come volume III della Bibliothèque de l’Antiquité Tardive (2002, pp. 504) e riunisce 46 contributi (su temi tardoantichi per l’appunto) che altrettanti studiosi delle più diverse nazionalità hanno voluto offrire a Lellia Cracco Ruggini, in riconoscimento dei molti meriti da lei acquisiti con la sua lunga, intelligente, rinnovatrice attività di ricerca in questo campo. I curatori hanno ripartito i contributi in sei sezioni tematiche intitolate rispettivamente: I. L’Italie; II. Les élites et leur culture; III. Christianisme et église; IV. Économie et société; V. Droit et administration; VI. Historiographie antique et moderne, che, sebbene non siano state predisposte a priori, corrispondono, non a caso, ad altrettanti nuclei forti degli interessi scientifici dell’onorata. È normale infatti che in libri come questo i singoli contributi tendano spontaneamente a scegliere strade già fruttuosamente percorse dall’onorato in modo tale che alla fine la loro somma perviene a restituirne, almeno in parte, la complessità del cammino. Nel caso specifico, è da dire che un limite al pieno conseguimento di questo risultato è stato posto dall’aver ristretto l’ambito dei contributi raccolti all’epoca tardoantica. È vero infatti che questo è stato, e questo rimane, il campo d’elezione degli studi di Lellia Cracco Ruggini, ma chi scorra la sua bibliografia raccolta all’inizio del volume (235 titoli) non farà fatica a vedere che non sono affatto infrequenti in essa, per così dire, le fughe all’indietro, non fosse altro per capire meglio a partire da che si sia prodotta quella realtà, pur essa mutevole, del mondo tardoantico, che particolarmente la interessa. Ne consegue che alcuni aspetti della sua personalità risultano un poco sottorappresentati. Come che sia, crederei che l’immagine dell’onorata che il libro fornisce sia comunque, per quanto certamente incompleta e forse anche imperfetta, non tuttavia tale da dover essere disconosciuta dall’interessata e da risultare irriconoscibile o indegna per gli altri. Per chi ne parla, il vantaggio di miscellanee come questa è che una loro adeguata presentazione, nel brevissimo tempo concesso, è così evidentemente impossibile da metterlo al riparo da ogni critica per tutto quello che ometterà, anzi da consentirgli di essere del tutto arbitrario nelle sue scelte. Volendo dare un’idea del contenuto dell’opera, mi avvarrò dunque pienamente di questa licenza ed accennerò soltanto ad alcuni tra i 46 contributi affollanti il libro con la loro ricchezza e varietà che, indipendentemente da ogni giudizio di valore comparativo, sono risultati più vicini ai miei attuali interessi. Nella sezione sull’Italia, Heikki Solin (63-66) prende lo spunto da un recente corpus delle iscrizioni giudaiche dell’Europa occidentale per parlare della presenza ebraica ad Ostia e per ridiscutere alcune iscrizioni che riguardano quella comunità. Kayoko Tabata (67-78) riesamina invece l’insieme delle testimonianze, vere o presunte, relative ai comites civitatum nell’Italia ostrogota cercando di ridefinirne * Presentazione di: “Humana sapit”. Études d’antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini. Edité par JEANMICHEL CARRIÉ et RITA LIZZI TESTA. Préface de PETER BROWN (Bibliothèque de l’Antiquité Tardive, 3), Turnhout 2002, Roma Accademia dei Lincei ed École Française de Rome. Inedito. 1704 VII - LIBROS IUDICARE AUT IN PUBLICUM PRODUCERE funzioni e significato. Credo abbia ragione a non ritenere pertinente alla documentazione il noto sarcofago siracusano di Adelphia, il cui marito Balerius è stato per altri versi associato agli Aradii ed alla sontuosa Villa di Piazza Armerina. Giuliano Volpe (79-93), pubblicando poi un mattone restituito dagli scavi della villa, con annesso complesso monumentale paleocristiano, di San Giusto (Lucera), sul quale figura in monogramma il nome di tal Iohannis (l’interpretazione del monogramma mi sembra sicura), indaga sulle possibilità alternative che vi si debba vedere, o un vescovo del saltus Carminianensis che avrebbe avuto colà la sua sede, o il magister militum Iohannis attivo in Puglia e più in generale in Italia, al tempo della guerra gotica. La datazione più probabile del mattone sembra infatti di età giustinianea. Nella successiva sezione, dedicata allo studio delle élites e delle loro culture, abbiamo lo studio prosopografico di François Chausson (131-153), formalmente dedicato alla sorella di Costantino denominata Anastasia, in realtà approdante ad un approfondito riesame dei molti legami intercorrenti tra tutta una serie di famiglie aristocratiche del IV sec. Ritroviamo qui l’affascinante e labirintico modo di procedere cui l’autore ci ha abituato con numerosi altri suoi lavori dello stesso tipo. Nella sezione Christianisme et église, Glen Bowersock (209-217) riesamina il complesso della documentazione che attribuisce a Costantino, la fondazione della Basilica di San Pietro a Roma e, constatato che questa in nessun caso risale al tempo di questo imperatore, come pure che nulla negli scavi costringe a far rimontare la costruzione all’età sua, ne trae la conseguenza, clamorosa, che la basilica stessa non sia dovuta a lui ma sia stata in realtà costruita dopo la sua morte, verosimilmente da Costante; solo in seguito essa gli sarebbe stata attribuita per motivi ideologici, così come gli fu attribuita anche la costruzione di Santa Sofia a Costantinopoli benché questa fosse opera di Costanzo. Nella stessa sezione Luce Pietri (253-263) redige un inventario di tutte le fondazioni private di oratoria, monasteria, xenodochia (una settantina) di cui si abbia in qualche modo documentazione tra la fine del IV e l’inizio del VII sec., pervenendo a riconoscere un momento di cesura nella loro storia alla fine del V sec., quando Papa Gelasio stabilisce che esse non possano più aver luogo senza autorizzazione pontificia. Questa regola, rafforzata in seguito da Pelagio I e Gregorio Magno, produce, insieme con altri fattori politici e religiosi, dei cambiamenti sensibili nella natura di questo tipo di munificenza, prima lasciato alla libera iniziativa ed allo spirito religioso dei singoli. Nella IV sezione (Économie Économie et société société), mi limito a segnalare l’impegnativo contributo di Jean-Michel Carrié (309-332) sulle associazioni di mestiere nella tarda antichità. L’ispirazione è evidentemente tratta dalle fondamentali ricerche svolte in questo campo da Lellia Ruggini. L’indagine, complessa, non e riassumibile in breve. Dirò solo che, a giudizio dell’autore, un rapporto di continuità non è ravvisabile, né tra i collegi alto e medio imperiali e quelli di IV- VI sec., né tra questi ultimi e le successive corporazioni medievali. Inoltre non si può parlare di corporativismo di Stato generalizzato. Vi furono, se mai, degli obblighi speciali per quei corpora che erano contrattualmente legati allo Stato per le necessità dell’annona e per tutta una serie di altre associazioni professionali che dovettero essere istituite nel IV sec. per far fronte ai nuovi obblighi derivanti dalla riforma fiscale. Vengo infine alle ultime due sezioni, rispettivamente con il contributo di Andrea Giardina (395-403) e di Emilio Gabba (425-426). Andrea Giardina, studiata la storia della denominazione di magistriani in sostituzione di quella di agentes in rebus, da un lato esclude, poiché essa non si diffonde prima del V sec., che la studiatissima Vita Aberci in cui compare possa esser fatta risalire al IV sec., come pure si è sostenuto, dall’altro dimostra che, la loro presenza nella Passio Processi et Martiniani non è motivo sufficiente per datare l’opera al VI sec. Emilio Gabba, invece, richiamata un’iscrizione di Thugga in cui si afferma che ad un tale, il Senatus e la plebs cittadini hanno conferito gratuitamente le insegne ed i privilegi magistratuali omnium portarum sententiis, cioè, letteralmente, “secondo il parere unanime delle porte”, riaffronta il problema del significato di queste portae ed arriva alla ragionevole conclusione, 26 - OMAGGIO A LELLIA CRACCO RUGGINI 1705 sostenuta da confronti di età medievale, che con le portae stesse s’intendano i vari quartieri cittadini (ognuno facente capo ad una porta) la cui popolazione poteva essere chiamata ad esprimere pareri (sententiae) su singole questioni. Mi fermo qui. Avevo dichiarato che la scelta sarebbe stata del tutto arbitraria e così è stato. Poiché però non ho letto solo questi contributi, ma anche tutti gli altri, spero di essere ascoltato se raccomando vivamente di estendere la lettura a tutto il libro nel quale non ho riscontrato, come in altri casi, clamorose cadute. Al contrario ne ho ricavato l’impressione che tutti, indipendentemente dall’età e dalle qualifiche accademiche, contribuendo ad un libro in onore di Lellia Ruggini, abbiano sentito la responsabilità e l’impegno di non sfigurare nel confronto con un modello così elevato. Vorrei segnalare in particolare le belle pagine che nel volume sono dovute a tanti suoi allievi, diretti o acquisiti, a loro volta divenuti maestri o sulla via di diventarlo, perché esse sono la miglior dimostrazione di ciò che Lellia Ruggini ha rappresentato e rappresenta negli studi tardoantichi. Per tutto questo rinvio del resto, sia alla premessa dei curatori, sia alle pagine dedicatorie di Peter Brown che, dopo aver spiegato ciò che il complesso dell’opera dell’onorata ha significato per lui stesso, nel confronto con altri tipi di approccio alla medesima realtà storica, si concludono qualificando il libro non come un dono, ma piuttosto come una sorta di grata restituzione, sicché ad essa possono applicarsi le stesse parole della dedica giustinianea di Santa Sofia nella traduzione latina del Baronio: Tua de tuis tibi offerimus. Il libro è prodotto con sobrietà, ma anche con cura e buon gusto. Non mancano gli indici analitici che in opere del genere si trovano piuttosto raramente. Un solo appunto finale: la foto non rende piena giustizia all’onorata, che a mio giudizio è molto meglio nell’originale.