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venerdì 9 agosto 2013

agosto agosto, blog mio non ti conosco...


...e invece noooo, vi sembra che noi ce ne partiamo armi e bagagli e vi lasciamo qui, soli e soletti, per andare a spaparanzarci sotto il sole di meravigliose spiagge solitarie o a prendere il fresco ai piedi di immacolati ghiacciai??
Beh in realtà si. Ovvero, magari non partiamo per lidi meravigliosi e super esclusivi ma ci prendiamo un po’ di (meritato) riposo. In fondo non vi lasciamo proprio soli: potrete scegliere quale film vedere pescando tra le recensioni del Ragazzo Cannibale, decidere quali letture vi accompagneranno sotto l’ombrellone dai consigli di Elle e de la Firma Cangiante o attingere alla fonte del fantasioso Robydick o dei racconti musicati di Bartolo Federico. Saranno deliziosi compagni di vacanza la saggia Vincenzina e le sue incursioni fra arte e realtà o il globetrotter Badit. Non dimenticate di mettere nel vostro ipod le canzoni di Diamond Dog, le compilation di Bartolo e, last but not least, di quei quattro disgraziati di (in rigoroso disordine ma partendo dai padroni di casa Radiopanesalame) Alediggei, Fradiggei, DannyRock ed IndieBrett. Qui ve lo chiediamo come favore personale, ascoltateli e, soprattutto votate la compilation che preferite: i ragazzi (beh, per un paio, si fa per dire…) si sono impegnati parecchio per scegliere la migliore colonna sonora dell’estate. E che il pacato spirito di Bradi Pitt sia con tutti voi e vi accompagni con la rilassatezza dovuta ai periodi di vacanza, ovunque essi siano trascorsi.
Noi riposeremo le stanche membra ma continueremo a pensare a come tenervi compagnia all’agorà de L’Orablù. Torneremo fra qualche giorno, con nuove iniziative e con il solito, esorbitante entusiasmo
Nel frattempo continuate a mandarci le vostre cartoline...

Prima di concludere vorremo ringraziare infinitamente Cristina (I.E.) per il suo prezioso supporto a questo blog, un abbraccio da tutti noi de L'Orablù!

Ultimissima cosa... in anteprima data e logo della nuova edizione di Senza Palco...



A presto!



domenica 2 giugno 2013

Il Miracolo di Zappalà





Zappalà di nome faceva Zeppolino, il papà alla sua nascita volle ironizzare sul suo destino già scritto per condizioni fisiche e sociali, e già che c'era cogliere un'occasione per mandare a fancristi il prete del posto che gli stava sul riproduttore. 55 anni e già 45 di lavoro sul groppone, 165 cm donati con parsimonia dalla natura manco costassero un tot l'uno, in compenso un tronco taurino costruito frequentando assiduamente il bodycenter "raccolta di ortaggi", palestra ecologicamente corretta sita nella piana di Sibari.
Dopo 10 anni di mazzo a tarallo nelle campagne la grande occasione del lavoro al Nord, in una mensa aziendale, 35 anni a lavar piatti, pentole e marmitte e trascinar ramazze sui pavimenti e spugne sui tavoli. Tartagliava un pochino il buonZap/papa/p/p/palà, poi era timido e discreto, s'impappinava al bancone a riempir piatti dove provava disagio, quindi era contento così, mai rotto le palle a nessuno e guai a mancare di rispetto a quello che faceva, potevi dirgli tutto ma non dire che il suo lavoro era umiliante - Se io non la/lala/lavo e puuu/lisco qua che me/memer/merda vi ma/ma/mmm/mangiate poi voi? - e nessuno aveva da obiettare.
Per il resto mitezza assoluta, i bolli della pensione sudati uno ad uno senza un giorno di malattia. Lo chiamavano tutti Zazzà, anche alla stazione di Lodi, dove ogni mattina arrivava con la bicicletta dal suo rustico in campagna per prendere il locale delle 6:30 e recarsi a Milano. Volle andare a vivere in campagna d'accordo con Concetta, una bella donna napoletana ora più che in carne che mai fu magra, morbida e setosa come un bel guanciale, che aveva trasfuso il suo dialetto anche al marito. 4 figli gli aveva dato Concetta, che sa la miseria come mai erano tutti oltre il metroesettanta femmine comprese, tanto che Zazzà qualche dubbio sulla paternità ogni tanto se lo faceva scappare - Nè Cunce', ma comme caspita è che so' accussì alti 'sti guagliun? - (strano, col dialetto non tartagliava quasi mai) e quella sempre la stessa risposta - Song 'i yogùrt della coop, Zazzà! - e si facevano una risata. Concetta le era sempre stata fedele, e poi Zazzà, oltre ad essere devoto ed affettuoso, era un "trombateur" appassionato di prima categoria, col tarello non falliva una sillaba!

giovedì 9 maggio 2013

Trippanzé

Piccolo breviario di considerazioni a margine di "un uomo di sostanza" (uomo "de panza"...)





Oggi a passeggio col cane ho beccato un bel po' d'acqua e siccome non uso (quasi) mai ombrelli, me so' infracicato bene bene. Entro in ascensore e scopro che la maglietta era completamente bagnata fino all'ombelico, sotto quasi asciutta! Santidei, l'ennesima caricatura del mio panzone globoso, sono scoppiato a ridere. Mi sono messo così a pensare a tutti i momenti dove la trippitudine si manifesta nella mia comunissima vita quotidiana, ne è venuto fuori un piccolo elenco:

AL BAR
Evito le brioche con lo zucchero a velo, che inevitabilmente, con contorno di briciole, non cade più a terra ad ogni morso ma finisce per adornare con greche e merletti bianchi casuali il mio alto bacino, cosa abbastanza imbarazzante. Potrebbe essere artisticamente interessante riprodurre greche e merletti citati, ci penserò.

IN UFFICIO
Le sedie moderne permettono posture comode anche per noi panzuti. I problemi sorgono quando si deve passare dalla posizione svaccosonnacchiosa a quella erettoindaffarata, manovra sempre goffa, che richiede un complesso movimento della schiena per equilibrare le masse in gioco, quasi un oooh-issa!, necessita di pratica. Imbarazzi per le sedie che si rompono, o i braccioli troppo stretti attraverso i quali le natiche devono aprirsi un varco prima di giungere alla seduta.

OSPITE DA AMICI O PARENTI A PRANZO
T'abbuffano, senza pietà. Come glie lo spieghi che sei grasso ma non un'idrovora? Portate infinite, piatti strabordanti, e se rifuti "macomecazzo?!? solo da me non mangi, ma allora non ti piace?..." . Occorre dar fondo a tutta la dialettica e diplomazia di cui si dispone, è una situazione topica, priva di qualunque soluzione pianificabile.

AL NEGOZIO D'ABBIGLIAMENTO
Porto una 56-58 di spalle, solo che deve essere lunga la maglietta, altrimenti non mi arriva in vita! Sono anche 190cm, che col giro panza, calcolando la derivata, sulla gaussiana, moltiplicato pigrecomezzi ecc... fa sì che le magliette è un casino trovarle. Costumi sono costretto a prendere odiosi boxer, quelli a mutanda non esistono per me (e nemmeno per il correttore ortografico che mi segna "mutanda" in rosso). Provare le scarpe è una rottura immane, il piegamento necessario ad allacciarle già ogni mattina non è un momento allegro.

IN MACCHINA
Ho avuto anche delle panda, quelle di tanti anni fa, da ragazzo, la magrezza permetteva contorsioni spontanee senza problemi, e nella pandina riuscivo a farci davvero di tutto! Ora solo entrare in una berlina "bassa", che non abbia una certa altezza da terra, è una manovra, ma uscirne è quasi un parto!

AL W.C.
La minzione eretta è sempre più operazione di tentoni, la scrollatina finale a memoria e senza controllo di termine del gocciolamento, l'alzata della zip certe volte avviene con un o-la-va-o-la-spacca. Ho le braccia lunghe, questo dovrebbe consentirmi di circumnavigare il globo ventrale ancora in futuro, con un certo margine per ulteriori lievitazioni.

A LETTO PER DORMIRE
A pancia sotto è impossibile, vengono dolori alla cervicale, la schiena risulta piegata con andamento iperbolico, non va bene. Si tende a stare supini, però in questo caso il russare assurge a decibel insopportabili anche per i vicini. La via di mezzo efficace è sul fianco, non posizione fetale che è per gente agile ma semidistesa, pancione spiaggiato, ogni tanto rotazione, funziona bene e toglie forza di gravità alla massa che per tutto il giorno ha torturato le lombari.

A LETTO PER QUELL'ALTRA COSA LLA'
Questo aspetto Primario e Fondamentale per non dire Centrale della vita umana tutto sommato viene ancora soddisfatto a dovere, posso fornire fin dei consigli. La posizione classica risulta molto impegnativa, fare le flessioni in sovrappeso so'ccazzi per chiunque e poi l'angolo da tenere è meno acuto per dare modo alla panza di non interferire, quindi flessioni a braccia distese, un casino. Direi che le posizioni migliori sono: io sotto e lei sopra a fare i numeri che preferisce, piace poi alle donne dominatrici, è estremamente rilassante inoltre, almeno a me, riduce moltissimo il rischio di precox; oppure io in piedi e lei prona non sdraiata davanti, longitudinalmente, da ambo i lati a seconda del momento cosa richiede, a patto che la cavità interessata sia in corrispondente altezza col mio bacino, ed è quella che preferisco da sempre, animalesca con fascino ancestrale, figuriamoci adesso che è una panacea.

Concludendo
Non sono al livello dello sconosciuto della foto, sono messo un filo meglio, ma insomma, con un po' d'impegno ce la posso fare a raggiungerlo.

Chissà che questo post autodispregiativo non possa ispirare a qualche azienda di abbigliamento, automobili, confezione brioche, sedie e scrivanie per uffici, qualche curiosa ed efficace idea per agevolare gli obesi, una categoria disabile trascurata ma che rappresenta un Grosso Bacino (testualmente) di consumatori.

Sui pranzi da parenti e/o amici non ci sono soluzioni né speranze, ma siccome m'invitano quasi sempre persone d'ottimo gusto per cibo e vino, e non a caso sono amici, dubito vi potrò mai rinunciare.

Robydick

mercoledì 1 maggio 2013

Brevodramma contemporaneo


Un nuovo amico entra a fare parte della varia umanità che popola questo blog.
Si chiama Roberto e nel web è noto come ROBYDICK, soldato semplice nello sterminato esercito dei “padri di famiglia separati”, 47 anni disadorni, indossati da cisposo burbero clochard, appassionato di cinema e di libri. Ogni tanto quando qualche evento, anche banale ma in qualche modo toccante, gli porta ispirazione, trova conforto nello scrivere e nel condividere con gli altri grazie al meraviglioso editore pubblico, (quasi) senza censure, e gratuito che è il web. 
Come primo post ci regala un brevodramma, già pubblicato tempo fa sul suo blog, molto adatto a questa giornata. 

Brevodramma contemporaneo

Inverno 2013, Torino.

Era commovente quella specie di pupazzo di neve, comparso come dal nulla il giorno di Santo Stefano. Nessuno lì a Borgata Vittoria sapeva chi l'avesse allestito in quell'angolo misconosciuto, con una siepe a cerchio ormai solo legno per l'incuria e una piccola panchina stretta tra le sue fitte trame. Dimensioni umane, il pupazzo era seduto, gambe unite, braccia conserte e testa appoggiata di lato. C'era una piccola edicola una volta. Morta l'ultima anziana che vi accendeva ceri alla madonnina questa sparì, forse rubata. 

Non era di neve in realtà ma di galaverna, indurita e inspessita dal nebbioso gelo che seguì. Furono giorni bui, come a Santa Lucia. I bambini andavano a giocarci con rispetto, quasi fosse di cristallo, un gioiello da accudire. L'ornarono con sottili rami ricamati, coperte di foglie gelate, per cappello un nido di rondini. Contribuirono a conservarlo, dandogli ogni giorno che passava sempre più forma. Qualche adulto accompagnatore cercò senza successo delle lacrime in quel viso malinconico.



Il gelo lo preservò a lungo, anche dalle speculazioni religiose e il pupazzo rimase un allegro gioco per bambini. Quell'angolo però era molto apprezzato pure dagli adulti che ci andavano apposta, anche senza pargoli da accudire. Era un luogo riposante. Emanava quella calma intima che si trova solo nei cimiteri, dove sei a contatto con un vissuto placato a incolmabile distanza dai bisogni, senza però il triste memento delle lapidi.



I primi raggi di sole di fine gennaio del nuovo anno fecero dimenticare il pupazzo. Il freddo si era attenuato. Un giorno un bimbo ci andò alla siepe, così, per un riflesso. Tornò tutto felice dalla mamma - E' vero, è vero il pupazzo! sembra un angelo che dorme! - e questa corse subito a vedere, con un entusiasmo che fatalmente svanì, come il ghiaccio al sole da quel corpo ancora integro ma in decomposizione. Chiamarono i vigili, fu identificato quindi trasportato a l'obitorio. Era P.L., scapolo, emigrato dalla Calabria 25 anni prima appena maggiorenne. Gli ultimi che l'avevano visto vivo erano i fedeli all'uscita dalla messa natalizia, gli stessi che poi amarono il pupazzo, mentre sul sagrato mendicava spicci avvolto in un cartone.



Morì per assideramento, con indosso la tuta da catena di montaggio e gli scarponi antinfortunistici. Non aveva altro da mettersi ma venne interpretato come un segno di affezione. La Fabbrica Italiana Automobili Torino partecipò con una rappresentanza dirigenziale alle esequie di quel suo ex-operaio, elogiandone la riconoscenza dimostrata all'azienda nonostante da essa venne licenziato l'estate precedente. Atto necessario per "ragioni di opportunità economica, agevolare competitività sul mercato internazionale", così dissero a P.L. chiedendogli un sacrificio e aggiungendo che "licenziavano qualcuno per non licenziare tutti con la chiusura dello stabilimento".



Alla memoria di P.L. titolarono la sala colloqui dell'ufficio del personale, quella che gli operai chiamano "sala della nascita e della morte". Non suona mai così: i mille dialetti della fabbrica ne hanno la loro versione.
E' il luogo che se va bene si vede una volta sola, se va male due. Là si presentano i candidati alle assunzioni e quando occorre, sempre più spesso, vengono convocati gli esuberi.