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venerdì 10 febbraio 2023

Sei pezzi facili - testi di Mattia Torre, regia di Paolo Sorrentino

Mattia Torre è morto troppo presto, e questo sei pezzi facili sono un bellissimo omaggio alla sua opera, con un regista di serie A e attori perfetti per le loro parti.

i sei pezzi fanno ridere e pensare, fanno immedesimare gli spettatori, e di sicuro guardare i sei pezzi non è tempo perduto, anzi...

buona (speciale) visione - Ismaele

ps: su Raiplay è possibile vedere, di Mattia Torre, anche La linea verticale



QUI si possono vedere i sei pezzi facili, su Raiplay

 

 

 

REZIOSO

…Se volete conoscere un autore gigantesco come Mattia Torre gustatevi questo piccolo gioiello di perfidia e umanità. 6 pezzi facili è un regalo di cui godere a lungo, un'eredità che fortunatamente non ci verrà mai tolta.

da qui

 

Mattia Torre scriveva di noi, di quello che siamo, dell’essenza disinibita delle cose. I suoi spettacoli teatrali erano specchi: il pubblico li vedeva, e intanto si riconosceva. Parlava di cibo, politica e comunità. Di cosa vuol dire stare insieme, e di cosa, poi, significa vivere in solitudine. Torre sapeva, perché partiva dall’assunto di raccontare ciò che aveva visto e provato; e se esagerava, esagerava in modo lungimirante, contando le distanze, affidandosi agli attori, dando a ogni parola e ogni pausa un peso preciso. Non si limitava a scrivere: intesseva trame, le creava; si divertiva a tenerle insieme, a vederle intrecciate, ordinatamente confuse, e a rileggerle. Era preciso. Un fedele, prima che un esperto, di quello che faceva. Descriveva la commedia come una cosa seria, serissima, e sacra. Con le sue regole, i suoi accorgimenti, il suo modo d’essere. Torre usava la realtà come fonte d’ispirazione, e non si allontanava molto nelle sue opere: rimaneva lì, meditabondo, musicale, perfetto. E probabilmente, per raccogliere questa visione, non poteva esserci miglior regista di Paolo Sorrentino. Perché anche lui, come scrittore, è preciso. Anche lui usa l’immagine non per saltare, ma per unire. Da una parte c’è il teatro, con la sua elegante povertà e la sua fiera essenzialità; e dall’altra c’è il cinema da Oscar, che punta ad ammaliare con la sua bellezza e con la sua pienezza.

Eppure, in mezzo, c’è molto di più. C’è, appunto, un’idea precisa di scrittura e messa in scena, di ritmo e dialogo: io inizio, tu continui; tu rilanci, e io rilancio. Un botta e risposta costante, frenetico, che non annoia, non appesantisce, ma regge. Migliora. Supera qualunque tipo di aspettative: non siamo qui per vedere la vita e basta; siamo qui per riderne, per bearcene, per poter ascoltare attivamente, senza mai subire. In Sei pezzi facili, dal 19 novembre su Rai3 e in anteprima su Raiplay, Sorrentino dirige Torre ed è facile notare immediatamente il meglio di entrambi: la mano che guida la camera e che si mette al servizio della parola scritta, e la parola scritta che, grazie alla mano che guida la camera, può essere ancora più libera. «Questo lavoro è il tentativo di valorizzare e amplificare la cassa di risonanza sul teatro di Mattia Torre», ha detto Sorrentino. «Io ho fatto una regia con dei minimi appigli cinematografici, perché è l’unica cosa che so veramente fare. C’è una leggera ibridazione del teatro con il cinema. Però rispettando sempre e comunque quello che aveva in testa Mattia. Che, da quello che ho capito raccogliendo mezze frasi dei suoi attori, aveva delle idee molto, molto precise sui suoi spettacoli. Io ho cercato di intervenire senza alterare le sue decisioni. Anche se tutto questo deve andare in televisione, il teatro di Torre è totalmente compiuto, e quindi non aveva bisogno di interventi, se non di interventi di – appunto – ritmo cinematografico».

Tutto, insomma, sembra ridursi (o allargarsi?) a questo: al modo in cui la forma cerca il contenuto, e in cui il contenuto, in un’altra dimensione, può finalmente trovare spazio. Guardando “Gola” con Valerio Aprea, si vede subito la semplicità della scenografia, con il leggio, le luci, un solo uomo fermo sul palco. Poi intervengono i suoni, le inquadrature a tradimento di Sorrentino sul pubblico che ride, che si diverte, che – incredibilmente – partecipa. Ci sono due velocità, e sono due velocità che non vanno mai in contrasto: quella della sceneggiatura, e quindi dell’interpretazione, e quella della regia, e quindi delle immagini. Valerio Mastandrea, parlando di Sei pezzi facili, l’ha descritto come un «viaggio sentimentale»: «Voglio ringraziare Paolo perché ha portato la sua emozione vicino alla nostra, e non sopra di essa: non è stato invasivo, è stato rispettosissimo e ha avuto un approccio sano». Sorrentino ha, prima di tutto, osservato. E poi capito, appreso e, solo alla fine, agito. Nelle foto delle prove, scattate da Ago Panini, si riconoscono l’allegria trascinante dell’esercizio e la condivisione genuina con gli attori.

«Mattia era un regista molto rigoroso, perché era uno scrittore molto rigoroso, e dirigeva i suoi spettacoli come una prosecuzione della sua scrittura», ha detto Francesca Rocca. «Paolo è stato un’intuizione, e io ho avuto il privilegio di poter intuire e desiderare una persona come Paolo avendo al mio fianco un amico e un fratello come Lorenzo [Mieli, produttore e AD di The Apartment, ndr]. Perché Paolo? L’ho capito solamente ieri, lo ammetto. Quando abbiamo celebrato Mattia all’Ambra Jovinelli, l’apertura l’ha fatta Lorenzo e ha detto delle cose incredibili. Da lui, però, me lo aspettavo: Lorenzo era lo sposo lavorativo di Mattia. […] Paolo ha letto un pezzo che aveva scritto per Mattia, e ascoltandolo ho capito che Paolo aveva fotografato Mattia pur non conoscendolo da molto tempo. Ha mantenuto una distanza rispettosa, goliardica, raccontando il Mattia dei loro incontri lavorativi, delle cena; ed era esattamente quello che amo di Mattia».

Ora, in Sei pezzi facili, ritroviamo Torre, il suo genio, la sua penna onesta, magnetica, assoluta, e anche, come sguardo silenzioso, Sorrentino: i due, insieme, si muovono su due strade parallele; non c’è sfida, non c’è voglia di trasformare tutto in qualcos’altro; c’è – e ne abbiamo già parlato – il rispetto di un autore per un altro, e la centralità, conquistata così duramente, della parola scritta sul resto. Gli attori, le figure, le facce, sono la sostanza viva e vibrante, il ponte di carne ed espressioni che chiude, in modo piuttosto preciso, questo cerchio. Sei pezzi facili è qualcosa di cui essere felici: come spettatori, certo; ma pure come persone. Perché un gruppo d’amici s’è riunito, ha lavorato insieme, e ha ascoltato un altro regista, un altro direttore d’orchestra, per suonare la musica di chi non c’è più. E il merito, per una volta, è tutto loro. Non del fato, non di qualcosa più grande: da Francesca Rocca a Lorenzo Mieli, e da Paolo Sorrentino al cast di attori e attrici. Mattia Torre vive nella sua parola, e finalmente, anche se solo per pochi sabati, avrà il pubblico che ha sempre meritato.

Sei pezzi facili raccoglie alcune delle opere più famose e apprezzate di Mattia Torre. È una produzione di Fremantle in collaborazione con The Apartment, parte Fremantle, per Rai Cultura. La regia televisiva è curata da Paolo Sorrentino. Sei pezzi facili andrà in onda dal 19 novembre per cinque sabati conseguitivi, alle 22, su Rai3. Andranno in scena: “Migliore” con Valerio Mastandrea, “Perfetta” con Geppi Cucciari (26 novembre), “Qui e ora” con Valerio Aprea e Paolo Calabresi; “456” con Giordano Agrusta, Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino e Carlo De Ruggieri (10 dicembre), “In mezzo al mare” e “Gola” con Valerio Aprea (17 dicembre).

da qui



domenica 27 giugno 2021

sabato 30 dicembre 2017

Guerra - Pippo Delbono



Incroci, passaggi, sovrapposizioni, viaggi, spostamenti. Tra cinema e altri luoghi, e altre arti. Cinema, teatro, sofferenza, disagio e guerra. Un uomo di teatro come Pippo Delbono mette in scena uno spettacolo che si chiama Guerra e lo porta nei luoghi dove la guerra è di casa da decenni, In Palestina e in Israele. Tra appunti di viaggio, emozioni, sguardi attenti a quanto lo circonda, l'autore "fotografa" e racconta storie e drammi quotidiani, di dolore e allegria, con semplicità e poesia. Cinema italiano che va a guardare il mondo. Non sappiamo se Pippo Delbono continuerà a fare cinema. Se insistesse, lui teatrante fisico e atroce, battagliero e umanissimo, potrebbe inventarsi un suo percorso (un po' come ha fatto Martone) lungo il quale mescolare palcoscenico e schermo, ante ed esistenza, innocenza e crudeltà. Noi ci auguriamo che continui. Delbono: «Quando lo spettacolo c'è, quando è compiuto, non significa che ho capito, che c'è una risposta. No, Io spettacolo, in realtà, è come profonda domanda». Amiamo i registi che ci regalano buone domande.
Da Film Tv, 2003

lunedì 26 ottobre 2015

Da evitare assolutamente (a proposito di uno spettacolo teatrale)

La imaginación del futuro - La Re-sentida

Quando in una bilancia con due piatti si toglie peso a un piatto, l’altro sale.
Se nel confronto Allende – Pinochet si descrive Allende come un idiota, se si dice che è sua la colpa del golpe e del terrore e della dittatura terribile dei militari, per non aver ceduto ai militari e agli Stati Uniti, e che la rivoluzione è un sogno borghese, è chiaro che si stanno tessendo le lodi di Pinochet e dei suoi.
Chissà se fra i finanziatori di questa opera di revisionismo ci sono gli eredi di Pinochet, che hanno depredato il Cile (qui), o magari i familiari e amici di Allende, esiliati e uccisi, come il ministro Orlando Letelier, ammazzato a Washington nel 1966, a 44 anni (qui).
Se c’è un caso in cui si deve essere manichei è questo, senza se e senza ma.
Quello che fanno questi giovanotti, in italiano si chiama revisionismo, che poi siano sfacciati e dissacranti (quiperché dicono che papa Francesco è un pedofilo, che Thatcher si allargava l’ano, perché l’attrice si toglie il reggiseno e vuol fare un pompino, a me non ha fatto ridere e non farà ridere.
C’è chi parla bene di questo spettacolo (vedi qui qui o qui), bontà loro.
Io sto con Les Inrockuptibles, che dicono che questo spettacolo è da evitare assolutamente (“A éviter de toute urgence”, qui).

In giro per il mondo molti dicono che questo spettacolo è una vergogna(qui e qui, per esempio, con parole chiare e inequivocabili, senza compromessi).
Anche l’Associació Allende a Tarragona (leggi qui) denuncia lo schifo dello spettacolo.

Siccome siamo d’accordo con Che Guevara (la cui immagine gli attori strappano tanto allegramente durante lo spettacolo, è finzione, lo sappiamo tutti) che diceva "O siamo capaci di sconfiggere le opinioni contrarie con la discussione, o dobbiamo lasciarle esprimere. Non è possibile sconfiggere le opinioni con la forza, perché questo blocca il libero sviluppo dell'intelligenza", lasciamoli pure esprimere i giovanotti: noi sappiamo che questo spettacolo “es una mierda”, una merda schifosa, venata di un fascismo soft, tanto è finzione.
Leggo che le scuole portano gli alunni e vai di standing ovation, è uno spettacolo cool, un giorno di vacanza, tanto con la storia arrivano alla prima guerra mondiale e il Cile è così lontano.
Mala tempora currunt.

Dice John Berger (sembrano parole scritte per quest’occasione):
La memoria implica un atto di redenzione. Ciò che è ricordato è salvato dall’annullamento. Ciò che è dimenticato è stato rinnegato. Se tutti gli eventi sono visti istantaneamente da un occhio soprannaturale, al di fuori del tempo, la distinzione fra ricordare e dimenticare si trasforma in un giudizio, in un atto di giustizia, grazie al quale il riconoscimento equivale a essere ricordato e la condanna a essere dimenticato.

Per chi pensa che Salvador Allende non sia stato un deficiente, ma uno dei grandi del Novecento, ecco un intervista a S.A. di Roberto Rossellini (qui), e due grandi film di Patricio Guzman (qui e qui).

I revisionisti si astengano e si guardino e riguardino La imaginación del futuro, magari al teatrino di CasaPound.