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mercoledì 1 gennaio 2025

STRANGE WORLD - UN MONDO MISTERIOSO

(Strange world di Don Hall e Qui Nguyen, 2022)

Durante le festività natalizie è sempre piacevole mettersi sul divano, infilarsi sotto una bella copertina e, bevanda calda alla mano, andarsi a recuperare qualche bel cartone animato; così, dopo aver visto il fallimentare Wish di casa Disney, abbiamo fatto un passo indietro recuperando anche il classico precedente uscito a fine 2022, Strange World - Un mondo misterioso che vede alla regia un quasi veterano Don Hall che all'attivo vanta già Winnie the Pooh - Nuove avventure nel bosco dei 100 acri, Big Hero 6, Oceania e Raya e l'ultimo drago; per questo Strange World Hall è coadiuvato alla regia dal collega Qui Nguyen già soggettista di Raya. Proprio quest'ultimo titolo, che vedeva già coinvolti i due artefici di Strange world, preoccupava un poco per l'esito di questo nuovo film; per ricordare di che cosa parlasse Raya (film anonimo come Wish ma meglio realizzato) sono dovuto andare a rileggere il commento al titolo in questione, cosa che dimostra come l'opera nulla abbia lasciato alla memoria. Allo stesso modo anche Wish, a pochi giorni dalla visione, sta iniziando a sgretolarsi nella mia mente, film più attento a non scontentare nessuno che non a costruire un qualcosa di seppur minimamente interessante o coinvolgente. Diciamo quindi che non si è partiti proprio con il piede giusto nell'affrontare questa visione e invece, sorpresa sorpresa, Strange world si è rivelato un prodotto ben confezionato, divertente e con diverse frecce al suo arco (temi) su cui costruire una bella storia; magari mai diventerà uno dei capisaldi di casa Disney ma almeno il film offre un intrattenimento ben più che piacevole anche se, dati alla mano, anch'esso al botteghino è andato maluccio, facendo così un bel buco nell'acqua (e non solo). C'è da dire che oggi Disney ha la possibilità di recuperare pubblico e soldi con gli abbonamenti su piattaforma, lì pare che Strange world abbia fatto faville, diventa più difficile quindi inquadrare se un film nel complessivo arco di fruizione possa considerarsi o meno un vero flop, diciamo che almeno in prima battuta Strange world (come altri prodotti della Disney più recente) non ha di certo "spaccato".

Avalonia è una ridente cittadina incastonata nel mezzo di montagne invalicabili, quindi un poco isolata e con qualche difficoltà in fatto di innovazione e progresso. Per fortuna tra i suoi abitanti ci sono i Clade; papà Jaeger è un intrepido avventuriero disposto a tutto pur di valicare le montagne e andare alla scoperta di nuovi mondi e nuove possibilità per Avalonia, suo figlio Searcher, più mite e riflessivo, è più il tipo dello studioso, uno che cerca di tirare fuori il meglio dalle risorse a disposizione, da ciò che offre la terra, e per questo poco apprezzato dal padre che vorrebbe un discendente coraggioso e scavezzacollo come lui, pronto a buttarsi a capofitto verso l'incognito. Durante una spedizione alla quale partecipano anche il sindaco Callisto Mal e altri avventurieri i Clade si separano: Jaeger andrà incontro all'incognito senza far più ritorno a casa, Searcher si fermerà a studiare una nuova pianta, il Pando, dalla quale riuscirà ad estrarre l'energia necessaria ad Avalonia per fare il balzo in avanti e ottenere così luce elettrica, mezzi tecnologici, sostentamento e una vita moderna ed equilibrata. Searcher diverrà così un vero eroe per Avalonia, si dedicherà alla coltivazione su vasta scala del Pando, si sposerà con la coltivatrice Meridian dalla quale avrà anche un figlio, un ragazzo in gamba di nome Ethan. Dopo alcuni anni il Pando inizia a perdere le sue capacità energetiche, il problema sembra arrivare direttamente dalle radici, dalle profondità della terra, insieme a Callisto il mite Searcher sarà costretto a imbarcarsi in una nuova e pericolosa avventura nel tentativo di salvare il Pando e Avalonia tutta, sarà seguito dalla sua famiglia in un viaggio in uno "strano mondo" sotterraneo dove ritroverà suo padre e dovrà fare i conti con una serie di "legami di famiglia" tutti da scoprire e imparare ad apprezzare.

Se Wish si apre tornando al classico librone delle fiabe con le pagine che si sfogliano da sole che caratterizzava i primi storici lunghi d'animazione Disney, Strange World - Un mondo misterioso, tenendo fede al suo genere d'elezione, offre una bellissima apertura che omaggia i fumetti d'avventura vintage, i pulp magazines alla Doc Savage, i libri di genere per ragazzi, sfoggiando inoltre un logo che non può non riportare alla mente uno dei più grandi eroi d'avventura moderni, l'intramontabile Indiana Jones di Steven Spielberg. E in fondo questo è Strange World, un bel film d'animazione di genere avventuroso, magari non troppo innovativo ma ben realizzato, ben saldo nel suo genere e con delle cose da dire, magari non tutte inserite al meglio nel contesto generale ma che garantiscono più livelli di lettura e un intrattenimento più interessante di quel che l'anno successivo la Disney realizzerà con Wish. Al centro della narrazione ci sono i legami familiari padre/figlio e lo scontro tra generazioni. Hall e Nguyen ci presentano due padri, di diversa fattura, che cercano di forzare i loro figli a seguire le loro stesse orme e a forgiarli secondo la propria natura: Jaeger vede in suo figlio un animo troppo mite, poco avventuroso e non accetta i suoi interessi per il mondo circostante, quello più a portata di mano; allo stesso modo Searcher non accetta che suo figlio Ethan abbia una grande ammirazione per il ritrovato nonno e che nei suoi desideri sia più simile a lui che al suo stesso padre. A differenziarlo da entrambi, questione che apre un bel discorso, anche incoraggiante sulle nuove generazioni, il fatto che il ragazzo sia più attento all'ambiente, alla vita e al rispetto per l'altro dei componenti più anziani della sua famiglia. C'è un concetto di famiglia ampio e moderno nel film, anche esageratamente inclusivo (papà bianco, mamma nera, figlio gay, cane disabile, donna macho e super affermata, etc..) come ora sembra essere d'obbligo, unico punto gestito con superficialità, non ci sono temi e approfondimenti a riguardo, alcune scelte sono ingenue, il nonno ad esempio è un uomo d'altri tempi che rompe le scatole su tutto ma accetta di buon grado le relazioni omosessuali del nipote, un po' un controsenso per il personaggio, diciamo che questo potrebbe essere l'ideale punto d'arrivo in una società dove l'inclusività sarà la prassi, il tutto andrebbe però gestito con un poco di senso e non solo tanto per fare. Il film (no spoiler) si avvia alla fine con una bella nota ecologica che chiude il cerchio di una narrazione nel complesso ben realizzata e divertente, visivamente colorata e strutturata con la giusta dovizia di particolari e attenzione. Magari Strange world sarà stato un flop al botteghino ma dal punto di vista qualitativo in fondo non ci si può lamentare.

lunedì 30 dicembre 2024

WISH

(di Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, 2023)

La Walt Disney Animation Studios fu fondata nel 1923 dai fratelli Walt e Roy Disney; facendo due calcoli nel 2023, anno di uscita di questo Wish, la casa cinematografica che diede i natali a Topolino, Paperino, alla Biancaneve di celluloide e a tantissimi altri miti dell'infanzia più o meno di chiunque ha compiuto 100 anni. 100 anni non si compiono tutti i giorni, così in casa Disney hanno pensato di celebrare la lietissima ricorrenza dedicando ad essa il Classico di quell'anno, nella fattispecie Wish che è il sessantaduesimo dei Classici Disney. Probabilmente non avrebbero potuto fare peggio (si ok, avrebbero anche potuto, ma ci siamo capiti). Per inquadrare con poche parole la debacle artistica alla quale la Disney è andata incontro con Wish, il quale viene considerato (almeno per quel che riguarda le sale) anche un flop commerciale, basti dire che nello stesso anno lo Studio Ghibli, senza dover festeggiare particolari ricorrenze se non l'avvicinarsi della pensione per il maestro Miyazaki, è uscito con Il ragazzo e l'airone. Ora il parallelo non vuole essere uno sparare sulla croce rossa, il confronto per forza di cose risulterebbe scomodo (impietoso?) per la Disney che ne uscirebbe con le ossa rotte date le qualità messe in campo, è però un chiaro segnale di come le cose dalle parti di Burbank non stiano funzionando a dovere, nemmeno un po', soprattutto vista l'occasione ghiottissima del centenario che avrebbe dovuto essere salutato con un film memorabile e non con un'opera fiacchissima che si riduce al divertimento dello scovare i vari easter eggs e le citazioni della storia dei classici d'animazione Disney sparsi per tutta la durata di questo Wish, filmetto abbastanza insignificante se privato del summenzionato giochino. Un poco di impegno in più sarebbe stato auspicabile.

Il felice regno di Rosas è retto dal magnifico Re Magnifico (sigh!), un regnante che ha studiato la magia fino a padroneggiarne l'arte tanto da apprendere i segreti per realizzare i sogni dei suoi sudditi che proprio per questo motivo amano e idolatrano il loro sovrano e la sua consorte Amaya. Così i cittadini di Rosas affidano i loro sogni a Magnifico affinché questi li custodisca in attesa della cerimonia mensile durante la quale il sogno di uno dei sudditi verrà realizzato. Questa procedura, che all'apparenza potrebbe sembrare... ehm... magnifica, in realtà induce i cittadini a dimenticare il loro sogno proprio perché affidato a un altro e non più in loro possesso, rendendoli un po' più vuoti nell'attesa che il sogno venga esaudito e reintegrato in loro. Tra i tanti abitanti del regno a Rosas vive anche la famiglia della giovane Asha, un ragazza che vorrebbe veder esaudito il sogno di suo nonno Sabino che compie 100 anni (sì, come la Disney) e magari diventare una discepola e seguace del Magnifico, aiutandolo nella gestione dei sogni dei cittadini di Rosas. Ottenuta la possibilità di sostenere un provino per diventare effettivamente aiutante di Magnifico, la ragazza scopre che il re non è affatto un uomo di buon cuore ma che vaglia uno per uno i sogni dei suoi sudditi esaudendone solo quelli banali e innocui e accantonando per sempre tutti quelli che potrebbero anche solo minimamente alterare lo status quo del regno, motivo per il quale il desiderio di nonno Sabino viene messo da parte. Delusa Asha confida il suo scoramento alle stelle che le mandano come aiutante/angelo custode una delle stelle di Super Mario Galaxy (o qualcosa di molto simile); con il suo aiuto e con quello dei sette nani, no, scusate, con quello dei suoi sette amici, Asha tenterà di aprire gli occhi alla gente di Rosas e rovesciare il Magnifico.

Vista anche l'occasione particolare Wish si rivela un film parecchio deludente. Di divertente c'è la ricostruzione della storia delle produzioni Disney attraverso strizzate d'occhio e citazioni che a un certo punto si iniziano a cogliere a ritmo incalzante, in parte distraendo lo spettatore dalla storia narrata (che tanto è poca cosa e non richiede troppa attenzione) ma anche offrendo l'unico spunto per poter apprezzare un film altrimenti fiacco. La storia ha pochissime chiavi di lettura se non le più scoperte, trite e banali del tipo "mai rinunciare ai propri sogni" viste e riviste milioni di volte, il personaggio di Asha non offre nessuno spunto degno di nota e sembra essere uno dei più dimenticabili e insapori creati dalla Disney negli ultimi anni, la stellina che la accompagna è ottima per realizzarne peluche e merchandising (è almeno caruccia da regalare ai bambini) e anche nel cast dei comprimari non spunta un personaggio degno di nota nemmeno a cercarlo con il lanternino. Ancora una volta manca un villain di peso, il Magnifico di magnifico non ha proprio nulla, forse giusto il ciuffo, lo sviluppo della vicenda è semplicemente scontato e noioso, anche l'idea di integrare l'animazione digitale a quella classica fallisce miseramente donando a Wish l'aspetto di un prodotto di seconda fascia, senza verve nemmeno sotto il punto di vista della mera animazione. Inoltre le canzoni, inserite una dietro l'altra, sono sinceramente sfiancanti, dopo un po' non se ne può più. La nota positiva è che se per festeggiare i suoi 100 anni la Disney ci ha regalato Wish, beh, le cose non potranno che andar meglio in futuro, anche se alcune recensioni di Oceania 2 lascino purtroppo supporre ben altro.

domenica 14 luglio 2024

INSIDE OUT 2

(di Kelsey Mann, 2024)

È possibile che quella che andrete a leggere sarà un'impressione sull'ultimo film di casa Pixar un poco di parte. Non credo che in questo ci sia nulla di male, soprattutto se la cosa viene esplicitata in maniera chiara e limpida. Diciamo subito che rispetto al suo predecessore Inside out 2 compie un passo in avanti. Dal primo episodio che vedeva protagonista per la prima volta la giovane Riley sono passati quasi dieci anni (Inside out uscì nel 2015); in che cosa dunque la casa di produzione "della lampada" compie questo passo in avanti? Per rispondere a questa domanda non servono grandi analisi né particolari elucubrazioni perché la risposta è la più immediata tra quelle possibili. Semplicemente Inside out 2 si sposta un poco in avanti nel tempo e vede la sua protagonista, Riley appunto, passare dalla pre-adolescenza del film d'esordio a un'adolescenza piena con tutti gli sconquassi che questa particolare età può portare nella vita di una giovane fanciulla. Lo schema messo in campo già dieci anni fa trova terreno fertilissimo nella nuova situazione psicologica ed emotiva in cui Riley si viene a trovare, in Pixar si muovono quindi sul sicuro, sia dal punto di vista meramente formale (lo stile di animazione per intenderci), sia sul piano della struttura narrativa. Il film infatti non presenta grosse novità, l'esordio del regista Kelsey Mann non stupisce quanto fece il primo episodio, opera che reputai all'epoca (e reputo tutt'ora) un piccolo grande gioiello d'animazione, però, nonostante lo schema vada a ripetersi senza grandi innovazioni, Inside out 2 è un film, soprattutto se messo in relazione ai nostri tempi, forse ancor più prezioso del suo predecessore.

La piccola Riley è cresciuta e si è finalmente ambientata nella sua nuova città; qui ha trovato Bree e Grace, le sue due amiche del cuore, continua a praticare con amore il gioco dell'hockey e si prepara per il passaggio alla scuola di grado superiore. Nel mezzo di tutti questi aspetti positivi, mentre Gioia nella sua testa è salda al comando della ormai affiatata squadra di emozioni formata anche da Disgusto, Rabbia, Tristezza e Paura, irrompe nella vita di Riley quella forza sconosciuta e difficilmente gestibile che va sotto il nome di adolescenza. Così nella testa di Riley partono i lavori di rinnovamento, una nuova consolle viene installata per far posto alle nuove emozioni che andranno ad affiancare il team di Gioia per i prossimi anni, tutte emozioni con le quali finora Riley non aveva avuto a che fare: queste sono Invidia, Ennui (noia), Imbarazzo e soprattutto la più nociva e pericolosa (se non controllata) Ansia. Prima dell'inizio del liceo le tre amiche hanno la possibilità di frequentare un campo estivo di alcuni giorni durante il quale verranno selezionate alcune giovani ragazze per entrare nella prestigiosa squadra femminile di hockey delle Firehawks. Mentre Bree, Grace e Riley si recano al campo quest'ultima scopre che le prime due non frequenteranno il suo stesso liceo; a Riley crolla il mondo addosso, si vede già proiettata nella nuova scuola in completa solitudine, Ansia inizia a prendere il controllo nella mente della ragazza facendole compiere scelte a volte discutibili e mettendo in pericolo quella  costruzione dell'io che finora per Riley aveva prodotto una personalità attiva e positiva. Starà al gruppo di Gioia tentare di mettere a posto le cose.

Chi vi scrive (e qui torniamo alla poca imparzialità nel giudizio) è, prima che un appassionato di cinema, un papà di una ragazza adolescente che da diversi anni combatte un rapporto difficile e per alcuni aspetti (quello della socialità) quasi invalidante con stati d'ansia incontrollabili e conseguenti crisi di panico. È questa una condizione che quando si presenta a certi livelli di importanza, come è capitato per nostra figlia, va affrontata con l'ausilio e il supporto di personale preparato. Per chi vive da anni una situazione di questo tipo un film come Inside out 2 non può essere visto (per fortuna) con l'occhio clinico e distaccato che potrebbe avere uno spettatore meno coinvolto. Nel mettere in scena il passaggio all'adolescenza la sceneggiatura di Meg LeFauve coglie perfettamente quello che può essere considerato uno dei mali delle generazioni giovani di questo particolare periodo storico, un male meno diffuso fino ad alcuni decenni orsono; gli stati d'ansia fuori controllo sono in aumento continuo nei ragazzi e la struttura narrativa del film ne evidenzia benissimo la pericolosità quando questi fenomeni non si riescono a tenere a bada. C'è una scena in particolare nel film, un momento di una partita decisiva al campo estivo, minuti in cui nella testa di Riley si affastellano dubbi, preoccupazioni e rimorsi gestiti da un'Ansia sempre più dominante alla consolle nella sua testa, che sfocia in una vera e propria crisi di panico, una scena coraggiosa che al cinema ha fatto scoppiare in lacrime nostra figlia e noi genitori (e tantissime altre persone suppongo), un momento che ha piazzato lì sullo schermo, ben evidente, il dolore, il trauma, la fatica con le quali la nostra bambina (che ormai bambina più non è) si trova a combattere tutti i giorni. È una scena che ti strazia il cuore, probabilmente è un effetto che farebbe a qualsiasi spettatore dotato di un minimo di sensibilità, figuratevi a noi che combattiamo con situazioni come queste ormai da molto tempo. La gestione di questo nuovo personaggio, Ansia, deve aver richiesto uno studio accurato in casa Pixar, un lavoro che rischia di venire un po' sottovalutato (come mi è capitato di leggere) da chi ovviamente è meno coinvolto da questo aspetto in particolare che in effetti si mangia (proprio come fa la vera ansia) tutto il resto. Uno dei difetti che si potrebbero attribuire al film è infatti quello di sfruttare meno di quel che sarebbe stato possibile emozioni come Imbarazzo ed Ennui, personaggi che si sarebbero potuti prestare a un sacco di situazioni, sia di alleggerimento (che in una certa misura ci sono) che più seriose, e che avrebbero potuto arricchire ancor di più questo Inside out 2, ma in fondo in poco più di un'ora e mezzo va da sé che non si può infilare proprio tutto. Di tanto in tanto fa capolino Nostalgia, rappresentata come una vecchina che viene a più riprese invitata a togliersi di torno perché ancora non è arrivato il suo momento di mettersi alla consolle, altro tocco intelligente usato con levità in casa Pixar ma che fa breccia nella testa degli spettatori più adulti. Poche novità quindi se valutiamo il film dal punto di vista dell'innovazione ma grande attenzione nei contenuti e una grande importanza nel veicolare messaggi e consapevolezza. Troppo spesso i nostri ragazzi non stanno bene, ma noi, come società, come collettivo, non tanto come singole famiglie (che ovviamente si concentrano sui propri figli), che cosa stiamo davvero facendo per loro?

giovedì 4 gennaio 2024

IL RAGAZZO E L'AIRONE

(Kimi-tachi wa dō ikiru ka di Hayao Miyazaki, 2023)

Esce già il primo di gennaio quello che è senza dubbio uno dei film più attesi dell'anno e che, ne siamo certi, a dodici mesi da oggi sarà uno di quelli che verranno inseriti nelle classifiche dei migliori film del 2024. Ancora non v'è certezza sul fatto che questo sarà a tutti gli effetti l'ultimo lascito del conclamato maestro dell'animazione giapponese (e tradizionale) Hayao Miyazaki, cosa probabile vista l'età del Nostro, Il ragazzo e l'airone potrebbe quindi venir considerato il testamento di Miyazaki (lo fu già Si alza il vento) e forse per la tipologia di opera alla quale ci troviamo di fronte questo potrebbe risultare molto appropriato. Se con Si alza il vento Miyazaki faceva i conti con l'ambiguità dell'eredità paterna e con l'ambivalenza della passione dello stesso Miyazaki, noto pacifista, per gli aerei militari, grandi esempi di ingegneria e dell'acume tecnico umano ma anche macchine latrici di morte, Il ragazzo e l'airone sembra una summa degli elementi che nel corso degli anni hanno caratterizzato il cinema del regista giapponese, un film difficile da leggere quanto semplice da amare, carico di simbolismi, bizzarrie, creature fantastiche e ruoli dall'interpretazione non scontata e per niente immediata. Un testamento si diceva che ha il sapore però della rinascita, per il protagonista Mahito Maki ma che in generale coinvolge tutte le riflessioni che l'alternarsi e il sovrapporsi dei mondi immaginifici qui creati da Miyazaki sono capaci di far (ri)nascere e suscitare, riflessioni affascinanti e avvolgenti (sui significati, sul cinema del maestro) quanto difficili (o impossibili) da dirimere con certezza.

Seconda Guerra Mondiale, durante un bombardamento viene distrutto l'ospedale dove lavora la madre di Mahito, nulla possono il tentativo di intervento dei pompieri o del marito per salvare la donna, Mahito diviene così un giovane orfano afflitto dal dolore. Qualche tempo più tardi il padre del ragazzo sposa la bella sorella della moglie, Natsuko, la famiglia si trasferisce così in una grande residenza in campagna vicina alla fabbrica di componenti militari dove l'uomo lavorerà. Qui Natsuko cerca di farsi accettare come "nuova mamma" da Mahito che, ancora sofferente per la perdita della madre, si dimostra educatamente ostile alla nuova situazione familiare. Un giorno, girovagando nei pressi della sua nuova casa immersa nel verde, Mahito incappa in una vecchia torre nascosta tra i boschi e ne è subito attratto. Purtroppo l'entrata è interdetta e le vecchie donne di servizio della casa tentano di dissuadere il ragazzo dall'idea di entrare nella torre. In più uno strano airone cinerino dal piumaggio bianco e azzurro inizia a tormentare il ragazzo facendogli intuire la possibilità di poter incontrare di nuovo la sua madre defunta. L'incontro tra questi elementi condurrà Mahito (e non solo lui) in un'avventura dove i confini del reale si slabbreranno in favore di una molteplicità di universi, di tempi, di realtà che condurranno il ragazzo (e non solo lui) verso una nuova fase della sua vita.

La storia che principia con la tragedia della guerra, il padre del protagonista che dirige una fabbrica dove si producono le calottine degli aeroplani militari, sono elementi che danno a Il ragazzo e l'airone un senso di continuità con il precedente film di Miyazaki, Si alza il vento, così come lo fanno alcune frasi che sembrano parlare tra loro; questo lungometraggio è in parte ispirato al romanzo di Genzaburo Yoshino E voi come vivrete?, titolo che mostra una certa assonanza con il verso di Paul Valery presente nel precedente lungometraggio: Le vent se leve, il faut tenter de vivre! In generale è tutta la struttura del film che sembra avere legami con il cinema passato di Miyazaki, i riferimenti sono molteplici, l'eroe è però qui un  ragazzo (fatto singolare, Miyazaki predilige le figure femminili), forse per questo sembra esserci una componente più distruttiva nella sua figura rispetto ad altre passate (le ferite autoinflitte, lo sprezzo del pericolo senza tentennamenti), come già accennato è difficile capire se nella testa di Miyazaki ci fosse l'idea di un addio (artistico?) o quella di una costruzione articolata e complessa, finanche onirica (Internazionale accosta addirittura Lynch a quest'opera) di una possibile rinascita tutta da elaborare, quel che è certo è che da questo lavoro emerge una cifra immaginifica con pochi rivali che per fascino può ricordare a ragione opere come La città incantata o Laputa - Il castello nel cielo. Tra spunti autobiografici, segni di stile ricorrenti (il cibo, i panorami mozzafiato, le creaturine fantastiche e simpatiche, qui i Warawara, le intriganti vecchine) e momenti di forte commozione (già dall'incipit) qui l'unica certezza è che tutto è mutevole, complesso, come lo sono i ruoli dei vari personaggi, in realtà diverse, in tempi diversi, in situazioni diverse. Per quel che riguarda la forma sembra che Miyazaki abbia lavorato su due livelli, uno sui fondali che sembrano dipinti, fermi, realistici, una sorta di rappresentazione della Storia, del reale, un altro invece dove si muovono con un'animazione più vivace i protagonisti che appunto hanno necessità di mutare, di evolvere in qualcos'altro e che quindi non possono appartenere a quell'animazione più statica e definita ma devono avere la possibilità di essere inglobati in mondi nuovi (come Mahito nelle viscere del pesce) e cangianti. Ennesimo capolavoro? Forse ce lo dirà il tempo, Il ragazzo e l'airone necessita di essere elaborato, la percezione dello stesso può darsi sia anch'essa una cosa mutevole, è molto facile che sia così, quindi perché pronunciarsi ora con un giudizio che non lascerebbe possibilità al cambiamento?

martedì 19 dicembre 2023

GEN DI HIROSHIMA 2

(Hadashi no Gen 2 di Toshio Hirata, 1986)

Iniziamo con una precisazione per sgomberare ogni dubbio: in realtà non esiste un lungometraggio d'animazione dal titolo Gen di Hiroshima 2, così come non troverete nemmeno un primo capitolo omonimo, questo perché i due film tratti dal manga, questo sì dal titolo Gen di Hiroshima, non sono mai stati doppiati in italiano, se ne possono però facilmente trovare le versioni originali (Hadashi no Gen) sottotitolate nella nostra lingua effettuando una semplice ricerca su Youtube, una visione gratuita che vale assolutamente la pena di affrontare. Si è scelto qui di usare il titolo italiano del manga semplicemente per aiutare il lettore più spaesato e a digiuno dell'argomento a orientarsi con maggiore facilità. Hadashi no Gen 2 segue il primo capitolo a distanza di circa tre anni, è questo lo stesso arco di tempo che intercorre dallo scoppio della bomba atomica a Hiroshima e i fatti narrati in questo film alla cui regia arriva Toshio Hirata, animatore che va a sostituire Mori Masaki che si era occupato della direzione del primo capitolo. Nella stesura di questo secondo episodio delle avventure del giovane Gen Nakaoka non è più coinvolto l'autore del manga Keiji Nakazawa che nelle pagine del suo fumetto narrò i giorni della bomba e l'immane tragedia che lui e la sua famiglia hanno vissuto sulla propria pelle quando Nakazawa era ancora un bambino. Vengono qui esposti il dramma e i danni che l'esperienza nucleare ha catapultato sul Giappone e sui suoi abitanti sul lungo termine, mostrandone le conseguenze terribili che si protrassero ben oltre i giorni della Guerra Mondiale sia a livello economico sia sul piano della salute fisica e mentale dei giapponesi dell'epoca.

Sono passati tre anni da quando l'atomica su Hiroshima ha portato via gran parte della famiglia al giovane Gen che ora vive con il fratellino adottivo Ryuta e la madre Kimie la quale però mostra segni di una salute sempre più cagionevole dovuta all'avvelenamento da radiazioni scaturite dall'esplosione della bomba. Lentamente il Giappone e i giapponesi stanno tentando di rialzare la testa, una delle prime azioni post disastro nucleare è la stesura di una costituzione che ripudia in toto la guerra e che dismette a tempo indeterminato ogni tipo di esercito o di armamento. Nonostante questi buoni propositi il Paese è ancora in preda alla distruzione, alla miseria, alla mancanza di cibo, tutti problemi che si fanno sentire in misura ancora maggiore nella popolazione giovane che ormai conta moltissimi orfani costretti a vivere per strada e impossibilitati a trovare lavori di sostentamento o a partecipare al processo di istruzione che potrebbe aprire loro un futuro con qualche briciolo di speranza. Sarà proprio uno di questi gruppi di ragazzi di strada, dopo un'iniziale avversione, a legare maggiormente con i due fratelli Nakaoka, tutti orfani e maltrattati da adulti avidi e poco solidali, una solidarietà che sta proprio nel cuore dei più giovani pronti ad aiutarsi l'uno con l'altro e a prendersi cura anche degli adulti più indifesi.

Film decisamente più abbordabile e meno agghiacciante del suo predecessore che si è dimostrato essere un vero pugno nello stomaco, una delle cose più terribili viste nel segmento "animazione" e non solo. Anche Hadashi no Gen 2 dipinge un quadro degli eventi tutt'altro che roseo tra la malattia e i sacrifici della madre dei due protagonisti, i morsi della fame diffusi, le condizioni di vita precarie di molti bambini e anziani indifesi, eppure in contrapposizione al primo capitolo questo è in qualche modo un film della ricostruzione mentre il precedente era la cronaca della distruzione. Anche l'animazione asseconda questo aspetto, oltre a non presentare sequenze terribili come quelle viste in occasione dello sgancio della bomba, in Hadashi no Gen 2 c'è uno stile di disegno più tondo e moderno, curato e meno incline alle asperità dei tratti, armonioso in misura maggiore e con diverse aperture umoristiche. Interessanti i personaggi, soprattutto la scontrosa bambina Katsuko, un'orfana che tra le varie tragedie subisce anche l'onta di essere rimasta sfregiata terribilmente dall'esplosione, costretta a convivere con un'inestetismo che sarà oggetto di uno dei passaggi più commoventi del film. Meno incisivo del capitolo precedente (sarebbe stato impossibile il contrario) anche questo nuovo episodio non manca di motivi d'interesse, una narrazione che assume il valore di memoria di anni ed eventi bui che è necessario non dimenticare mai.

venerdì 21 luglio 2023

LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE

(Kaguya-hime no monogatari di Isao Takahata, 2013)

Quando pensiamo all'animazione dello Studio Ghibli il nome che alla maggior parte del pubblico balza subito alla mente è senza dubbio alcuno quello dell'inarrivabile maestro Hayao Miyazaki, autore del maggior numero di opere dello Studio, tra queste sicuramente ci sono alcune tra le più amate e riconoscibili di Ghibli, il suo Totoro ha raggiunto una popolarità tale da essere diventato un essere fantastico riconoscibile in tutto il mondo e il simbolo grafico che contraddistingue le opere dello Studio Ghibli ancora oggi. Non dobbiamo però dimenticare che i fondatori dello Studio furono quattro, due produttori e due animatori, insieme a Miyazaki c'è sempre stato l'imprescindibile Isao Takahata che ci ha purtroppo lasciati ormai da qualche anno (2018). Se i lungometraggi diretti da Miyazaki non hanno davvero bisogno di nessuna presentazione, anche i lavori di Takahata hanno regalato ai fan parecchie gioie e alcuni titoli memorabili: suoi lo struggente Una tomba per le lucciole, uno dei racconti più dolorosi e commoventi messi in piedi dalla produzione Ghibli, un vero capolavoro, il racconto intimo e delicato di Pioggia di ricordi, altro esito riuscitissimo, il particolare Pom Poko, forse meno accattivante ma di certo originale con le sue figure dei tanuki, strani animaletti che popolano le colline sopra Tokyo, e ancora la commedia familiare de I miei vicini Yamada fino ad arrivare infine a quest'ultima meraviglia, La storia della principessa splendente, lungometraggio dalla realizzazione travagliata e ultimo lavoro lasciatoci da Takahata. Ovviamente il lavoro di Takahata non si limita alle opere realizzate per lo Studio Ghibli, si può trovare il suo zampino in diverse serie che ci hanno allietati fin da bambini, cosine come Heidi, Marco (che per molti era Dagli Appennini alle Ande), Le avventure di Lupin III e il bellissimo Anna dai capelli rossi. Per questo La storia della principessa splendente Takahata adatta un fiaba giapponese del X secolo ispirandosi anche ad alcuni elementi della vecchia Heidi, riportandoli alla realtà e alla sensibilità giapponese (per i lettori nati su un altro mondo ricordiamo che Heidi era ambientato tra Svizzera e Germania).

Un anziano tagliatore di bambù assiste nella foresta a un evento miracoloso: dall'interno di un fusto di bambù nasce una bambina splendente, avvolta in un'aura di luce bianca, una piccola gemma; sarà proprio "gemma di bambù" il nome che le daranno i ragazzini della zona. Così questa tenera bimba crescerà grazie alle cure amorevoli del tagliatore di bambù e di sua moglie; la sua crescita è prodigiosa, un fenomeno ultraterreno, in poco tempo quella che è una neonata diventa una giovane ragazzina che legherà con i coetanei del villaggio montano in cui vive, soprattutto con il giovane Sutemaru. Principessa, così la chiama amorevolmente il suo papà, diventa sempre più la ragione di vita dei suoi genitori; un giorno, dentro un'altra canna di bambù, il papà di Principessa trova dell'oro e delle stoffe pregiate. L'anziano interpreta questo come un altro segno del cielo, una volontà superiore che sembra volere per Principessa un destino da nobile dama e non da semplice, ma felice, contadina. Così il papà decide di portare la famiglia a vivere in un grande palazzo della capitale, qui Principessa diventa una sorta di leggenda per la sua grazia e bellezza, ma in città la principessa splendente è sola, conduce una vita ritirata e triste, sacrificata nell'intento di non dare una delusione al suo papà che, seppur un poco accecato dal prestigio ottenuto, continua a voler bene in modo sincero alla sua figlia miracolosa. Saranno molti i nobili uomini a voler sposare "gemma di bambù", ma lei non vuole un legame che poggi su basi così inconsistenti...

La storia della principessa splendente esce nel 2013, sono passati quattordici anni dalla precedente regia di Isao Takahata, I miei vicini Yamada che con questo film ha un legame di continuità almeno per quel che riguarda la sperimentazione grafica. Se i toni generali dei due lungometraggi sono parecchio differenti (I miei vicini Yamada virava su sentieri più divertiti) La storia della principessa splendente sviluppa quel segno scarno, su fondo in prevalenza bianco, che si discosta molto dagli esiti più noti e riusciti dello Studio Ghibli ma che riesce a dimostrare tutta la padronanza del tratto che diventa poesia pura, senza intenzione di usare frasi fatte o roboanti, questo è ciò che hanno realizzato Takahata e i suoi collaboratori con questo testamento virtuoso di magistrale delicatezza e amore per la tradizione. Quello che lo spettatore si trova di fronte agli occhi richiama infatti moltissimo la tradizione del disegno giapponese, come ha potuto constatare chi ha potuto vedere la recente e bellissima mostra Utamaro, Hokusai, Hiroshige presso la Promotrice delle Belle Arti di Torino, ennesima dimostrazione che la via del digitale non è l'unica percorribile, anzi. Sul piano dei contenuti siamo di fronte a una fiaba, spesso triste, dove i temi e gli spunti si contano innumerevoli: c'è lo sradicamento, l'abbandono della propria terra con tutte le conseguenze di malinconico dolore che ne conseguono, compresa la perdita degli affetti cari, c'è l'ambizione dei genitori e la loro volontà, perseguita magari anche con buone intenzioni, di pilotare la vita dei propri figli impedendone di fatto la felicità, c'è la riflessione sulla vacuità della ricchezza materiale e un sacco di altre cose. Nei ritmi il film di Takahata si discosta un poco dalla struttura dell'animazione moderna alla quale siamo più abituati, si superano abbondantemente le due ore di durata per un film che richiede di essere abbracciato con amore, di dedicargli un'attenzione e una sensibilità estranee alla media, si verrà ripagati. Un'ottima visione in attesa che esca l'ultimo di Miyazaki; Takahata già ci manca, preghiamo per il futuro dello Studio.

martedì 11 luglio 2023

SPIDER-MAN: ACROSS THE SPIDER-VERSE

(di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson, 2023)

Nel 2018 usciva Spider-Man: Un nuovo universo, diretto da un altro team di registi sempre per la Sony Pictures Animation (i tre erano Persichetti, Ramsey e Rothman). L'uscita di questo film d'animazione fu una bellissima sorpresa, una boccata d'aria fresca per un'opera che sembrava sul serio portare l'animazione un passo avanti, un salto nel futuro a mezzo di qualcosa che aveva il profumo di nuovo, originale, mai visto e dannatamente ben riuscito. Questo Spider-man: Across the Spider-Verse, sequel di Un nuovo universo, non ha tra le frecce al suo arco quell'effetto sorpresa suscitato dal primo capitolo, ciò nonostante il film di Dos Santos, Powers (già direttore di Soul della Pixar) e Thompson si avvicina moltissimo all'essere un capolavoro, di certo per quel che riguarda il cinema d'animazione ma al netto di questo, Across the Spider-Verse si ritaglia anche un posto tra i film migliori del genere supereroico (di certo il migliore di quest'anno finora). Inoltre, assodato il lavoro strepitoso compiuto sul versante dell'animazione (altro Oscar in arrivo?) Across the Spider-verse è anche un film riuscitissimo nel suo narrare l'adolescenza, il rapporto difficile che si ha a quell'età con gli adulti, con i genitori, persone che cercano in ogni modo di far la cosa giusta per i propri figli, per mantenerli al sicuro e proteggerli e che facendolo sbagliano inevitabilmente qualcosa, spesso per troppo amore o per difficoltà nel capire i giovani e i tempi, i cambiamenti, le loro reali aspirazioni. Insomma, se l'aspetto tecnico è semplicemente stupefacente, quello narrativo tiene il passo, per non parlare poi del ritmo indiavolato che fa passare queste due ore e venti in un baleno (sì, i film brevi sembra non si possano più fare nel circuito mainstream).

Nell'universo del Nostro Miles Morales, a.k.a. Spider-Man, non ci sono più gli amici che il ragazzo aveva conosciuto durante la passata avventura, gli Spider-Men delle altre dimensioni sono tornati a casa loro, così Miles si barcamena tra un forte senso di mancanza per l'amica Gwen, i problemi scolastici, la vita da Spider-Man e le aspettative dei suoi genitori che Miles non vorrebbe deludere ma che spesso non coincidono con i desideri del ragazzo. Nel frattempo, in un altro universo, Gwen affronta problemi simili: il difficile rapporto col padre, poliziotto che dà la caccia a Spider Woman inconsapevole che questa altri non è che sua figlia, la mancanza di Miles e le sfide con avversari provenienti da altre dimensioni. Al termine di uno di questi scontri Gwen viene reclutata dal riluttante Miguel O'Hara (lo Spider-Man del 2099) e da Jessica Drew (un'altra Spider-Woman) per entrare a far parte della Spider Society, un gruppo di Spider-Men provenienti da vari universi che tentano di tenere insieme il tessuto del multiverso cercando di evitare contaminazioni tra le varie realtà e assicurando che alcuni eventi, dei nodi focali, non vengano mai alterati nelle varie realtà per evitare spiacevoli e complicati effetti a cascata. Ma a sconvolgere il multiverso sarà proprio uno dei nemici di Miles, un criminale all'apparenza di mezza tacca ma ben determinato a vendicarsi di Spider-Man per quanto successo durante il loro precedente incontro: La Macchia. Per ripristinare il multiverso e fermare i piani di vendetta della Macchia, Spider-Man e la Spider Society dovranno collaborare, ma i sacrifici per rimettere tutto a posto sembrano essere di quelli impossibili da accettare.

Il film, che alla sceneggiatura vede Lord e Miller già artefici dei brand di Piovono polpette e The Lego Movie (Lego presenti anche in Across the Spider-verse), indovina perfettamente un connubio di più linguaggi: il primo è il melting-pot tecnico-visivo che unisce una serie di stili d'animazione differenti capaci di restituire la ricchezza che dovrebbe logicamente essere propria di un multiverso. È possibile che, posto che finissimo davvero tutti risucchiati in un altro universo, questo si presenti identico al nostro? E se la risposta fosse no, come appariremmo noi in quell'altro universo? Forse come un'anomalia, un segno grafico differente e distinto che potrebbe comunque convivere con quelli dell'altro universo e che potrebbero diventare una miriade e coesistere tutti insieme in caso di multiverso. Ecco, un pochino Spider-Man: Across the Spider-verse ci restituisce questa idea, moderna e ingarbugliata, che sul grande schermo però funziona maledettamente bene e ha la capacità di lasciare lo spettatore con la bocca aperta per l'intera durata del film. Oltre alla meraviglia visiva c'è un altro linguaggio che funziona bene (o almeno così mi sembra), il film parla ai giovani, i protagonisti usano mezzi e abitudini dei ragazzi e veicolano con le loro storie un sentire che potrebbe essere di molti adolescenti, i rapporti tra i personaggi sono ben sviluppati, quegli con gli adulti, più conflittuali, anche, magari un pizzico "cinematografici" ma nei concetti di base credibili. Funzionano anche molto bene il linguaggio musicale che accompagna le avventure di Miles Morales e soci e quello puramente da Marvel-fan, con una buona dose di riferimenti alla Casa delle Idee (bellissima la comparsa dello statico Spider-Man dei cartoni animati anni 70) e alla tradizione del mondo dell'Uomo Ragno. C'è davvero poco che si possa rimproverare a questo film, piccolo (ma neanche tanto) capolavoro immaginifico, uno di quelli che un domani forse indicheremo come precursore per nuove strade che sicuramente vedranno in futuro il loro giusto sviluppo.

domenica 18 dicembre 2022

L'ARTE DELLA FELICITÀ

(di Alessandro Rak, 2013)

Interessante realtà nostrana quella che ruota intorno al napoletano Alessandro Rak, uno dei fondatori dello studio Rak&Scop di stanza nei quartieri spagnoli di Napoli con il quale Rak ha prodotto animazione, fumetti, video musicali (24 Grana, Bisca) e altro ancora. L'arte della felicità è il primo lungometraggio d'animazione a cura di Rak, seguiranno poi ancora Gatta Cenerentola e il recente Yaya e Lennie - The walking liberty uscito lo scorso anno. Sceneggiato con toni in parte autobiografici da Luciano Stella, il film prende il titolo dall'omonima manifestazione culturale nata a Napoli per volere dello stesso Stella, diverrà poi, in seguito a un'elaborazione in fase di scrittura, un discorso universale sul dolore della perdita, degli affetti, sull'accantonare le passioni di una vita, quelle che quella vita permettono di riempirla e anche, in qualche misura, sugli antidoti ai quali si può ricorrere per non cadere nell'apatia, nelle depressioni, nel baratro di dolori troppo grandi e strazianti da affrontare con la dovuta lucidità. Tutto questo accade sullo sfondo di una Napoli per lo più inedita, molto piovosa, quasi apocalittica e mai solcata da un raggio di sole (da una pizza, da un mandolino, a sfatare i luoghi comuni) immersa però in una musicalità sempre affascinante e avvolgente.

A Napoli piove, piove a dirotto, come a incorniciare una situazione climatica tetra e avversa che ben rispecchia l'umore (nemmeno troppo passeggero) di Sergio, un tassista rinchiuso nell'abitacolo della sua automobile per tutta la durata del giorno, un'auto zozza, in disordine, dove si accumulano i rifiuti e si avvicendano passeggeri e storie capaci di aprire spiragli o lanciare frecciate di senso dentro al guscio di dolore di Sergio che col suo mestiere di tassista si sta autoinfliggendo un esilio nella tristezza, il taxi come un veicolo di sofferenza dovuta all'incapacità di superare la perdita dell'amato fratello Alfredo. Quest'ultimo è partito da tempo immemore alla volta del Tibet per seguire un percorso insieme ai monaci buddhisti, alle spalle lascia un fratello minore che ha ancora vivi tutti i ricordi di un'infanzia condivisa, gli sfottò del fratello più grande e soprattutto quella passione comune per la musica che è finanche impossibile da valutare per Sergio, tanto era preziosa e tanto capace di dare un senso vero all'esistenza dei due fratelli napoletani. Poi accade qualcosa, il Tibet, e così Sergio non solo perde Alfredo ma in qualche modo perde anche la musica, la voglia viscerale di avere proprio quella vita lì, a poco valgono tutti gli sforzi del fratello maggiore (ormai le videochiamate si fanno anche dai monasteri buddhisti) per cercare di convincere Sergio a non buttare la sua vita, a non punirsi e a cercare quella felicità alla quale Sergio sembra ormai aver rinunciato.

Alessandro Rak, insieme ai suoi collaboratori, compie il salto non facile dal disegno fermo a quello animato trovando uno stile molto felice che ben si sposa con una narrazione del reale, a un primo sguardo la cifra di stile messa in campo per realizzare questo L'arte della felicità fa in qualche modo pensare a tecniche come quella del rotoscopio, un processo con il quale la recitazione di attori in carne e ossa viene in seguito girata in animazione. Invece qui si è usata pura animazione riuscendo a trovare un realismo impressionante, un lavoro che rende merito alla scuola italiana in un campo dominato da produzioni estere, statunitensi soprattutto e giapponesi, con risultati di tutto rispetto. Al di là dell'ottima realizzazione tecnica L'arte della felicità mette in campo movimenti interiori ricchi e complessi, riuscendo a commuovere in diversi passaggi e ad avvincere grazie alle invettive di Sergio, allo scavo sul rapporto con un fratello ormai lontano che tanto ha significato per il protagonista. Gli incontri con i passeggeri del taxi regalano sempre qualcosa, uno spiraglio, attimi di consapevolezza, molto bella la figura dello zio Luciano, graziato dalla voce di Renato Carpentieri; a questo proposito si è attinto a belle voci della tradizione napoletana, oltre a Carpentieri anche l'indimenticabile Nando Paone, e poi Lucio Allocca, Patrizia Di Martino, Renato Polizzy Carbonelli (tutti dall'ormai storico Un Posto al Sole). Molto importante l'accompagnamento musicale che ci conduce attraverso una Napoli poco battuta, funestata dalla pioggia, da un po' di sconforto e da cumuli di immondizia, specchio esteriore di un disagio dell'anima. Ottimo risultato per quello che è a tutti gli effetti un esordio, urge quindi il recupero delle opere successive di questo autore da tenere sicuramente d'occhio.

giovedì 8 dicembre 2022

LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA

(La fameuse invasion des ours en Sicile di Lorenzo Mattotti, 2019)

Una bellissima trasposizione della fiaba omonima di Dino Buzzati a opera di uno dei più importanti fumettisti e illustratori italiani: Lorenzo Mattotti. In realtà La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Buzzati è catalogato come romanzo, un romanzo che della fiaba per ogni età ha tutto il sapore, lo stesso che emana da ogni singolo fotogramma dell'opera di Mattotti che per lo scritto del suo collega (Buzzati era anche pittore) nutre profondo rispetto e con il quale costruisce una continuità filologica che ne testimonia il chiaro apprezzamento e il fortissimo debito artistico, un legame forte che per Mattotti non è mai una costrizione ma piuttosto un'occasione per esaltarne il lavoro in una continuità tra testo/illustrazioni di Buzzati e animazione finale portata avanti con grande coerenza. Dispiace constatare come un'opera di assoluto valore come questa sia stata in sala un mezzo disastro, anzi, si può dire un disastro completo visto che la casa di produzione francese Prima Linea, a causa di questo flop commerciale, chiuse addirittura i battenti. Si era a un passo dall'esplosione della paura da contagio, vuoi anche che ormai l'animazione di stampo più tradizionale muove meno appeal in gran parte del pubblico, mettiamoci anche il fatto che da anni per le famiglie spendere è diventato sempre più complicato, alla fine della fiera le cose per Mattotti e soci, solo dal punto di vista degli incassi, ed è un solo purtroppo grande quanto una casa, sono andate piuttosto male.

Causa il cattivo tempo il cantastorie Gideone e la piccola Almerina trovano riparo in una grotta buia; la ragazzina teme che qualche orso lì sia padrone di casa, Gideone la rassicura dicendole che di orsi in Sicilia non ce ne sono più. L'orso ovviamente c'è e immantinente si palesa: è un'orso enorme e anziano quello che i due intrusi cercano di rabbonire principiando a raccontare una storia, quella della famosa invasione degli orsi in Sicilia. Molto tempo prima Leonzio era re degli orsi; in una giornata di piacevole relax il re perde un attimo di vista il suo unico cucciolo, Tonio, senza più riuscire a ritrovarlo. La sparizione di Tonio fa cadere Leonzio in un'immutabile immobilismo che nemmeno l'arrivo dell'inverno riesce a scuotere. Solo quando alcuni orsi suoi sudditi, provati ormai dalla fame, fanno notare al re che Tonio potrebbe trovarsi tra gli umani, che notoriamente molto amano gli orsetti, Leonzio si scuote e porta la sua tribù verso gli insediamenti umani all'epoca governati dal belligerante Granduca. Le buone intenzioni degli orsi vengono travisate e grazie all'invasato condottiero, fiancheggiato dal mago De Ambrosiis destinato a cambiare schieramento, inizia tra uomini e animali una battaglia campale di vaste proporzioni. Solo col tempo gli orsi riusciranno ad arrivare in città e a sostenere un rapporto pacifico con gli umani, ma questi due mondi sono destinati a non essere troppo compatibili.

Prima esperienza da regista per Mattotti che come illustratore al cinema aveva già dato i suoi contributi; progetto lungo da portare a termine e baciato da poca fortuna, La famosa invasione degli orsi in Sicilia rimane in ogni caso un gioiello dell'animazione degli ultimi anni. Le geometrie morbide del disegnatore bresciano confermano lo stile proprio dell'autore, riscontrabile già in diverse sue opere su carta, ma riescono in modo naturale ad abbracciare anche il lavoro fatto da Buzzati all'epoca della pubblicazione del libro. Effettuando una ricerca in rete e paragonando alcuni dei disegni dello scrittore con le sequenze animate costruite da Mattotti e dal suo staff si può vedere come la "matita" di Mattotti rimanga fedele a quella di Buzzati senza mai tradire l'arte di nessuno dei due maestri, ne viene fuori un connubio di rara eleganza e dolcezza per un film d'animazione molto adatto agli spettatori più giovani ma che riesce a incantare con la sua bellezza e la sua apparente semplicità anche gli adulti. Per la versione italiana del film (quella originale è francese) si è fatta un'ottima scelta sul versante doppiaggio, tre dei protagonisti principali reggono sulle corde vocali di Toni Servillo (Leonzio), Antonio Albanese (Gedeone) e addirittura su quelle del grande Andrea Camilleri (il vecchio orso), l'immagine più viva della Sicilia. Molto interessante la struttura dove nel finale è proprio lo spettatore, il vecchio orso, a riaprire e rinarrare la vicenda di Leonzio e Tonio, in un'inversione con Gedeone e Almerina tra pubblico e cantastorie. Poco da dire, gemma dell'animazione di questi anni, peccato per gli scarsi riscontri in termini economici.

sabato 16 luglio 2022

RENAISSANCE

(di Christian Volckman, 2006)

Non si è parlato abbastanza di Renaissance all'epoca della sua uscita, il film di Christian Volckman avrebbe meritato una maggiore visibilità e un occhio più attento da parte della distribuzione nostrana che porta in Italia questo film d'animazione solo nel 2019, a tredici anni dalla sua uscita sul mercato francese e in altri paesi europei. Renaissance è un noir, un giallo se preferite, calato in un contesto fantascientifico e ambientato nella Parigi del 2054; se dal punto di vista narrativo il film non offre particolari novità pur rimanendo sempre gradevole nello sviluppo dell'intreccio fatto di passaggi scontati, diversi cliché,  ma anche di qualche buona rivelazione, è nella realizzazione tecnica che stupisce e si rivela tanto affascinante e a suo modo spettacolare nel suo bianco e nero nettissimo, quanto stupefacente nella varietà di effetti e soluzioni visive che il team di animatori digitali è riuscito a portare sullo schermo. Miscuglio tra motion capture e grafica computerizzata, Reinassance vede all'opera attori in carne e ossa poi ribaltati in animazione e doppiati da un cast di volti noti, almeno in prima battuta (quella inglese), composto da nomi quali Daniel Craig, Ian Holm, Jonathan Price e Sean Pertwee. Al loro lavoro si aggiunge quello degli animatori e del regista che lascia realmente a bocca aperta e che ha poco (o nulla) da invidiare a produzioni più blasonate e che hanno riscosso maggiori riscontri nello stesso periodo d'uscita di questo film.

Parigi 2054, una città dove convivono le vecchie vestigia della Ville Lumière e costruzioni moderne che torreggiano sui bassifondi della città. La giovane scienziata Ilona Tavuiev viene rapita; la donna è una ricercatrice della megacorporazione Avalon e nel tempo libero aiuta anche l'ex collega Muller a mandare avanti la sua clinica gratuita. Delle indagini sulla scomparsa viene incaricato il capitano Barthélémy Karas, un poliziotto di grande esperienza che non si fa scrupolo di aggirare gli stessi regolamenti del dipartimento per garantire giustizia e la buona riuscita delle sue indagini nelle quali verrà in qualche modo aiutato da Bislan Tavuiev, sorella di Ilona. Le indagini portano Karas a sondare prima gli ambienti della Avalon di cui conoscerà il viscido amministratore delegato Paul Dellenbach, poi a interrogare il dottor Muller dal quale scoprirà che Ilona ha in passato lavorato sulla ricerca di una cura per la progeria, una malattia che induce sintomi di precoce invecchiamento nei bambini. Il caso prenderà una piega più movimentata quando verrà avvistata l'auto della rapita, la notizia scatenerà il classico inseguimento, immancabile in ogni action movie che si rispetti, e porterà il poliziotto a confrontarsi con l'ambiente criminale di quella Parigi del futuro andando a bussare direttamente a casa di Farfella, boss criminale di origini arabe e vecchio amico di Karas.

L'impatto visivo di Renaissance è stupefacente, i contrasti tra i bianchi e i neri sono nettissimi, l'uso del grigio è limitato a pochi dettagli di costruzione, nonostante la scala di grigi sia limitata (quasi inesistente in realtà), la ricerca del dettaglio è accuratissima e l'intero scenario ricreato non perde mai di definizione e cura dei particolari. Lungo l'intera durata del film sono molte le soluzioni e gli effetti che si possono ammirare messi in campo dal comparto tecnico, pensiamo solo alla resa degli ologrammi o dei cartelloni pubblicitari digitali (che fanno tanto Blade Runner) o alle tute invisibili degli scagnozzi della Avalon delineate in maniera superba. La parte del leone la fa questa Parigi futuribile, dominata dalla sagoma del Sacro Cuore, dove svetta ancora la Tour Eiffel e dove si sovrastano uno sull'altro i vari livelli di una città che mantiene un tocco oscuro sia all'altezza delle vecchie strade storiche, sia nelle abitazioni sopraelevate e fornite di mobilità grazie a un sistema di braccia idrauliche. Il contrasto tra la vecchia e la nuova Parigi è sublime, impreziosito da innumerevoli dettagli: le luci accese nei palazzi notturni, i lampi di luce, la pioggia battente che ricrea la perfetta atmosfera del noir, le disco decadenti, i giochi di ombre, l'architettura cittadina. Ottima la regia che nell'animazione a volte non viene tenuta nel giusto conto dallo spettatore, i movimenti qui sono molto fluidi, anche quelli di macchina, la direzione di Volckman garantisce il giusto dinamismo che serve a valorizzare al meglio l'animazione, prendiamo a esempio la riuscita sequenza dell'inseguimento tra le strade di Parigi davvero ben realizzata. Si potrebbe continuare a lungo a elogiare le trovate visive (la stanza bianca che fiorisce, il look delle uniformi, i riflessi e le trasparenze..) ma il concetto è ormai chiaro, dal punto di vista della sceneggiatura il plot è convenzionale, qualche buon momento ma nessuna grande sorpresa, sotto questo aspetto Renaissance potrebbe anche deludere qualche spettatore ma l'impianto scenico vale comunque tutto il prezzo del biglietto che, tra l'altro, è pure gratuito essendo il film presente sull'interessante piattaforma Vvvvid, basta l'accesso con Facebook, la visione di qualche spot prima del film e via che si va, con una qualità video davvero molto alta. Non avete scuse.

domenica 1 maggio 2022

APOLLO 10 E MEZZO

(Apollo 10 1⁄2: A space age childhood di Richard Linklater, 2022)

All'interno di una proposta cinematografica (le serie sono un discorso a parte) che spesso offre una pletora di prodotti medi non sempre memorabili, ogni tot di tempo Netflix ci stupisce con un botto d'autore o con opere parecchio interessanti, vengono in mente ad esempio È stata la mano di Dio di Sorrentino, il The irishman di Scorsese, anche il divertente Don't look up di McKay, le ultime cose di Spike Lee o Roma di Cuarón e via discorrendo. Ora, senza troppi clamori, arriva il turno dell'ultima opera di Richard Linklater, regista interessante che ancora una volta colpisce nel segno con un film riuscitissimo e anche parecchio originale, in parte autobiografico, almeno per quelli che sono i ricordi personali di un'epoca ormai lontana e che coglie bene non solo un momento storico, un decennio, un evento, ma anche un'età, un istante nel tempo che (forse) è stato suo così come viene narrato in Apollo 10 e mezzo, ma che sicuramente è stato di tutti nei sentimenti, nelle sensazioni, nelle esperienze, per quanto queste possano essere state dissimili per epoca e luoghi (non tutti siamo cresciuti nell'America degli anni 60 ovviamente). Sebbene ci sia uno spunto finzionale nella narrazione di Linklater, quello che esce con prepotenza lungo lo srotolarsi del film e che si prende pian piano tutta la scena, è il flusso dei ricordi di giovinezza del protagonista, Stan, un bambino che all'epoca della corsa allo spazio, siamo appunto nei 60 a Houston (abbiamo un problema), aveva circa dieci anni. La sua infanzia, quella dei suoi fratelli, quella dei ragazzi del vicinato e in generale stile e prospettive di vita degli americani dell'epoca sono il nodo focale di un'amarcord molto dolce a dispetto di tutto, questioni sociali e guerra del Vietnam compresi, perché soprattutto per i ragazzini c'era ancora quella consapevolezza che in fondo si poteva ancora "scivolare nel sonno, sapendo che tutto sarebbe andato bene".

Siamo sul finire degli anni 60, l'America, come il resto del mondo d'altronde, è in trepidante attesa del momento in cui l'uomo per la prima volta nella Storia poggerà piede sulla Luna. Stan è un bambino di circa nove anni che vive a pochi chilometri dal centro di controllo della N.A.S.A. a Houston; è proprio qui che il papà di Stan lavora, un semplice impiegato dell'ufficio acquisti. In quegli anni Houston sembra una città in piena espansione, proprio grazie all'attività spaziale sorgono nuovi quartieri residenziali, molte famiglie vi si stabiliscono, proprio come quella di Stan formata da mamma (casalinga), papà e ben sei figli Stan compreso, tre maschi e tre femmine di cui il nostro protagonista è il più giovane. Tempo di ultimi test prima della missione Apollo 11, ora accade che, per un errore di progettazione, il velivolo di test che servirà a preparare il volo di Aldrin, Armstrong e Collins venga realizzato in scala troppo ridotta per i tre astronauti adulti, le menti fini della N.A.S.A. penseranno bene di far testare il tutto a un bambino, la scelta ricadrà proprio su Stan, tutta la missione però dovrà ovviamente svolgersi nel più assoluto riserbo mentre sullo sfondo proseguono le contestazioni del '68 e i giovani americani continuano a morire in Vietnam.

La trama imbastita da Linklater, quella di un giovane Stan collaudatore per la N.A.S.A., è un mero pretesto per mettere in scena un viaggio sul viale dei ricordi, un'affettuosa e coinvolgente ricostruzione di un'epoca, di sentimenti sepolti nel passato, di un momento storico irripetibile; è questo l'aspetto del film prevalente e che si mangerà quel filo di trama assolutamente marginale, ed è anche ciò che più cattura l'attenzione dello spettatore. Voce off quasi onnipresente, è il racconto dell'autore a portarci alla sua infanzia; per rendere la meraviglia di un periodo che all'apparenza vedeva il futuro spianarsi roseo per le giovani generazioni di americani bianchi, borghesi e tutto sommato benestanti, Linklater per la terza volta nella sua filmografia ricorre alla tecnica del rotoscopio, questa permette di convertire il girato effettuato con veri attori in animazione donando all'effetto finale, almeno in questo caso, sia un tocco sognante, quasi magico, ma anche un forte approccio fotorealistico. Quella che si respira è un'aria di fiducia, di ottimismo, un'America con consumi in crescita, una società del capitale in espansione nonostante le attenzioni al risparmio (la famiglia di Stan è composta da otto persone e un solo lavoratore) e all'ecologia, in questa situazione ci sono ragazzini per lo più spensierati, attratti dalla corsa alla Luna che a Houston (un po' come in tutta la nazione) si respira più o meno ovunque, ci sono poi giovani più grandi attenti ai cambiamenti della società, alla guerra, ai nuovi fenomeni musicali e culturali.

Tecnicamente molto indovinato, la realizzazione animata restituisce un'aria sognante che ben si sposa all'ottimismo di fondo e permette tutta una serie di variazioni visive quando si passa a raccontare i filmati televisivi d'epoca, i discorsi del presidente, i reportage di guerra, l'elenco vastissimo di serial televisivi, film, giochi da tavolo e altro ancora che allietavano le giornate dei ragazzi nei 60. La forma della narrazione passa dal classico racconto a un piglio ora più documentaristico, ora più legato a un libero flusso di ricordi, è un viaggio tenerissimo quello che Linklater ci propone, il sottotitolo originale non per nulla è A space age childhood (Un'infanzia dell'epoca spaziale), un'incursione in una terra di nuove prospettive in un Paese che innocente assolutamente non era ma che ancora poteva sembrarlo agli occhi dei giovani ragazzini e a quelli di alcuni dei loro genitori.

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