leopardi
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LA VITA (1798-1837)
I primi anni
Nasce nel 1798 a Recanati, piccola città delle Marche, da una famiglia nobile.
Il padre aveva una grande passione per la letteratura, raccolse una ricca biblioteca,
nutrì grande ammirazione e affetto per il figlio.
La madre, donna austera e inflessibile, si occupava solo di risollevare il patrimonio
familiare oberato dai debiti, disinteressandosi completamente del figlio, tanto da
diventare la prima causa della sua infelicità.
Maggiore di 10 fratelli mostra presto un'indole vivace e sensibile. Fu educato da
precettori ecclesiastici.
Dai 10 ai 17 anni Giacomo decise di studiare da solo: si chiuse così nella biblioteca
paterna, affrontando prima di tutto la filologia greca e latina, imparò poi l'ebraico e le
lingue moderne, scrisse opere di erudizione e un inno in greco.
Fuori Recanati
Dopo vari tentativi andati a vuoto per ottenere un lavoro che gli permettesse di lasciare la
sua città, Leopardi ottiene il permesso di lasciare la famiglia, grazie all'intercessione
dello zio materno, e nel 1822 parte per Roma.
La città gli sembrò molto superficiale e poco ospitale.
A causa dell'assenza di un impiego Leopardi e' costretto a tornare a Recanati dove
rimane per quasi due anni, finché un editore milanese gli propone di di andare da lui
a Milano per curare un'edizione dei classici.
In questo periodo compose la maggior parte delle Operette morali (1824), prima
sintesi del suo pensiero.
Dal ’25 al ’28 il poeta vagabonda per l’Italia in cerca di un impiego che gli
consentisse di lasciare per sempre Recanati .
Leopardi rimane poche settimane a Milano, che gli sembrò ancora meno ospitale di
Roma, dove conobbe Monti e poi i trasferì a Bologna, che gli fece un'ottima
impressione. Qui strinse molte care amicizie e amò appassionatamente la contessa
Teresa Carniani Malvezzi, amica di letterati e letterata lei stessa.
Dopo un altro soggiorno a Recanati, dove passò l'inverno, nel 1827 Leopardi si trasferì a
Firenze, sia per l'amicizia che lo legava al Giordani, sia per il desiderio di vivere in
Toscana. Qui entrò in contatto con gli intellettuali del Viesseux, tra i quali Manzoni,
ma si trovò più che mai solo, tra questi intellettuali ottimisti, amanti del progresso e
dell'idea della perfettibilità dell'uomo.
Si trasferisce poi a Pisa, dove il clima mite giova alla sua salute e dove si diede anche alla
vita mondana.
Durante il periodo pisano scrive i due canti Il Risorgimento e A Silvia e dà inizio alla
stagione poetica dei “Grandi idilli”.
Nel ’28 è costretto, per ragioni economiche, a tornare a Recanati (insieme a Gioberti, che
si ferma qualche giorno a casa sua). Qui rimane con suo grande dolore per quasi due
anni, finché, dopo altri tentativi per trovare un lavoro, esce di nuovo nel ‘30, grazie
all’intervento degli amici toscani che, per riaverlo con loro a Firenze, gli forniscono per
un anno un modesto assegno senza un preciso obbligo di restituzione.
In questo periodo scrive Le ricordanze, Il passero solitario, La quiete dopo la
tempesta, Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante
dell'Asia.
A Firenze rimase dal 1830 al 1833, e nonostante i suoi gravi problemi di salute, cura
l'edizione definitiva dei Canti (1831).
In questo periodo nutre una forte passione per Fanny Targioni Tozzetti, il suo ultimo
e sfortunato amore, ma ebbe una cocente delusione e, dopo due anni, si convinse che
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anche l'amore era un'illusione tramontata per sempre.
In occasione dei moti carbonari del 1831, Recanati lo elesse deputato
dell'Assemblea Nazionale che doveva convocarsi a Bologna, ma l'incarico non fu
mai portato a termine perché pochi giorni dopo la nomina gli Austriaci entrarono
in città.
Strinse amicizia con l’esule politico napoletano Antonio Ranieri e decise di far con lui
vita comune, per cui lo seguì prima a Roma, poi a Firenze e infine a Napoli.
In questo periodo scrisse tre liriche ispirate all'amore per la Targioni Tozzetti, tra le
quali A se stesso e Aspasia.
Leopardi alloggia a Napoli con Ranieri e la sorella di lui Paolina, ma d'estate vive in una
villa tra Torre del Greco e Torre Annunziata, su consiglio dei medici.
In questo periodo attacca quella che lui definisce "la nuova filosofia positiva"
scrivendo Palinodia al marchese Gino Capponi, I nuovi credenti, Paralipomeni alla
Batriacomiomachia e La ginestra, simbolo della concezione filosofica dell'ultimo
Leopardi.
In un primo tempo la sua salute trova qualche sollievo, ma poi le malattie che lo
affliggevano (nevrastenia, idropisia, asma, ecc.) cominciarono a peggiorare e nel 1837,
mentre stava per lasciare Napoli, infestata dal colera, morì forse di mal di cuore,
invocando, come Goethe, la luce.
PERSONALITÀ E PENSIERO
Leopardi segna la crisi del Romanticismo, il punto più estremo di quella parabola
idealistica (aspirazione a una vita sempre più piena e più alta, a una felicità cui
non si può attingere), di cui Alfieri, Foscolo (idealismo eroico) e Monti erano stati la
premessa incompiuta e Manzoni il massimo interprete (idealismo religioso).
Pessimismo eroico
Anche Leopardi muove da una premessa eroica, si parla infatti di pessimismo eroico:
1) la gloria
2) l'amore
3) la patria: il patriottismo degli anni giovanili viene presto spento dallo scetticismo (A se
stesso).
Pessimismo teorico
Da ciò deriva il concetto di Natura matrigna: essa procede secondo leggi meccaniche,
senza badare all'uomo, il quale viene calpestato, e la sua aspirazione alla felicità è
un'illusione irraggiungibile (cfr. La ginestra, ecc.).
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Pessimismo pratico
Si parla poi di una fase del pensiero leopardiano definita del pessimismo pratico.
L'uomo potrebbe evitare il dolore, a patto di spogliarsi della sua umanità in tre
modi:
- con il suicidio (Bruto minore, Ultimo Canto di Saffo, Operette morali);
- con il sonno (Operette morali);
- con il regredire all'incosciente innocenza naturale (cfr. Rousseau): l'animale
incosciente non soffre (Passero solitario, Canto notturno di un pastore errante
dall'Asia, Operette morali), mentre l'uomo (che pensa e ha una coscienza) è votato
a soffrire sempre più, a causa del progredire della civiltà.
Pessimismo storico
Pessimismo cosmico
Mano a mano che Leopardi abbandona la religione cattolica e si rivolge alla filosofia
sensista, abbandona questa concezione per approdare ad un pessimismo più radicale:
- la Natura diventa una forza meccanicistica indifferente
- l’infinito non è raggiungibile
- l’esistenza è dolore
- l’esistenza è incomprensibile
- la felicità è la momentanea cessazione del dolore
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OPERE MAGGIORI
Sono quasi tutte state composte nel triennio in cui L. pensava di aver ormai abbandonato
la poesia (1823-1826).
Si tratta di 24 scritti, in forma perlopiù di dialoghi o monologhi, “morali” in quanto
esprimono in forma allegorica la meditazione leopardiana sul senso dell’esistenza,
sul destino di dolore dell’uomo e sul meccanicismo indifferente della Natura.
Dialogo della Moda e della Morte, Dialogo della Natura e di un'Anima, Dialogo
della Natura e di un Islandese, Elogio degli uccelli, Dialogo di un Venditore di
almanacchi e di un Passeggere, Dialogo di Tristano e di un amico, Dialogo di
Cristoforo Colombo e di Pietro Guittierrez, Dialogo di Federico Ruysh e delle sue
mummie, Cantico del gallo silvestre, Dialogo di Plotino e di Porfirio, Dialogo di
Torquato Tasso e del suo genio familiare.
Dialogo della Moda e della Morte (1824). L. volle forse confutare l'apologia della moda
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scritta da Melchiorre Gioia nel suo Galateo. La Moda e la Morte sono sorelle, perché
entrambe sono figlie della Caducità, e perché la Moda possiede usanze antigieniche, che
conducono alla morte più in fretta.
Dialogo della Natura e di un Islandese (1824). La natura non opera per garantire la
felicità umana. Questa, qualunque precauzione si prenda, è irraggiungibile per un motivo
di ordine cosmologico, perché la vita cosmica è un eterno circuito di produzione e
distruzione.
Elogio degli uccelli (1824). Gli uccelli sono superiori agli uomini perché fisicamente
meglio portati a godere e a essere felici: infatti, per il continuo moto, non soffrono la noia,
e per la maggiore sensibilità dell'udito e della vista, hanno immaginazione più ricca, come i
fanciulli.
Il canto degli uccelli è come il riso negli uomini, ma il canto è segno di gioia, mentre il riso
è spesso una "specie di pazzia non durabile", in quanto provocato dall'esperienza della
vanità delle cose.
Dialogo di Tristano e di un amico (1832). Tristano (cioè lo stesso L.) finge di avere
cambiato la sua opinione pessimistica sulla natura umana e sostiene con amara ironia, di
credere alla felicità e al progresso. Nelle sue ultime parole però, ripiegando su se stesso,
confessa fermamente la propria infelicità e dichiara di desiderare sopra ogni cosa la morte.
I CANTI
La lirica leopardiana, che va dal 1816 al 1836, si può dividere in due periodi, separati
da circa tre anni (1823-1826), durante i quali il poeta si dedicò alla composizione delle
Operette morali.
Entrambi i periodi hanno come denominatore comune il dolore ma, mentre nel primo
periodo prevale il concetto di dolore individuale, e la natura è invocata come potenza
misteriosa, allo stesso tempo ostile e benevola, nel secondo periodo predomina il
concetto del dolore universale, e la natura è concepita come "matrigna".
Per quel che riguarda la forma, nel secondo periodo prevale l'uso della canzone libera
(cosiddetta leopardiana), costituita da endecasillabi e settenari variamente intrecciati e
rimati.
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Nel ’18 scrive All’Italia e Sopra il monumento di Dante che riflettono il gusto e le
tematiche romantiche, mentre ricalcano l’eloquenza dei modelli classici. L’infelicità
individuale può trovare un compenso nell’azione.
In All'Italia, il poeta riprendendo l'eredità di Parini, Alfieri e Foscolo, lancia agli Italiani un
appello di risveglio e di rinnovamento. Predominante è il contrasto tra la grandezza
passata e la miseria presente (l'Italia decaduta e ingannata dalla dominazione
napoleonica e austriaca). Oltre a reminescenze petrarchesche e montiane, qua e là domina
uno spirito di schietto eroismo.
In Sopra il monumento di Dante si deplora la recente tirannia della Francia e si esalta il
nostro passato
Ad Angelo Mai e A un vincitore nel gioco del pallone: presentano ancora qualche eco
della poesia patriottica, ma ormai l'amor patrio si fa sconsolato e disperato (cfr.
Paralipomeni) ed è presente un lento declino delle illusioni e irrompe l’arido vero.
Ad Angelo Mai (1820) che aveva scoperto la Repubblica di Cicerone. La canzone rievoca
il Rinascimento (Dante, Ariosto, Tasso), concludendo che il mondo delle illusioni è
morto ucciso dalla ragione e che Alfieri ha cercato invano di restaurarlo.
A un vincitore nel gioco del pallone (1821): celebra i giochi ellenici, che preparavano i
giovani a imprese gloriose.
Alla Primavera o delle favole antiche (1822): ritorna il motivo della canzone Ad
Angelo Mai, allargato e applicato al mondo antico; il poeta celebra la mitologia antica,
che abbelliva la vita di immagini consolanti e serene, mentre la ragione ha ucciso quelle
illusioni poetiche e il mondo è ormai vuoto. In questo componimento abbiamo il tramonto
dei tempi migliori del mondo.
Sono stati scritti tra il 1819 e il 1821 e sono stati chiamati da Leopardi idilli (un
componimento poetico di brevi dimensioni con spiccate caratteristiche soggettive), con
riferimento ai componimenti greci che avevano questo nome.
Fanno parte dei Canti, ma se ne discostano per uno stile più libero e conforme ai
moti del cuore e per un abbandono al ricordo al vagheggiamento di
un’adolescenza, un’infanzia perduta.
Sono piccoli quadri che raccontano rivelazioni spirituali colte nel loro affiorare.
Essi comprendono:
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La sera del dì di festa, Alla luna, L’infinito, Il Frammento, Il sogno, La vita
solitaria.
La sera del dì di festa (1820). Descrive il, contrasto tra la pace della notte e il
travaglio del poeta che sa di non essere amato.
Il sogno (1821). Descrive l'apparizione all'alba di una fanciulla morta cara al poeta (cfr.
Silvia).
La vita solitaria (1821). Ripete il motivo dell'infinito, intrecciato con quello delle
illusioni d'amore (cfr. Le Ricordanze).
Alla Luna (1819-1820). L. affronta il tema del ricordo che trasforma la realtà,
migliorandola. Il ricordo, anche se triste e doloroso, ha un potere consolatorio e la
lontananza nel tempo, come quella nello spazio, rende le immagini indeterminate, quindi
particolarmente poetiche. Il poeta instaura con la luna, sua interlocutrice privilegiata (cfr.
Canto notturno di un pastore errante dall'Asia), un dialogo affettuoso, illudendosi che essa
possa partecipare al suo dolore.
I grandi Idilli
Come negli Idilli anche nei Grandi Idilli si trova il tema fondamentale di una felicità
perduta fatta di illusioni, una felicità che riaffiora con il ricordo.
Il pessimismo si fa totale, vicenda universale (Canto notturno di un pastore
errante).
Essi sono: A Silvia, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del
villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Il metro è quello della canzone libera che si intona al libero fluire degli stati della
coscienza.
A Silvia (1828). Il poeta ricorda soavemente la morte della giovane Teresa Fattorini,
figlia del cocchiere di famiglia, identificata, nella seconda parte della lirica con la propria
speranza.
La quiete dopo la tempesta (1829). La gioia non è che la cessazione del dolore,
cioè un valore negativo, un non essere.
Il sabato del villaggio (1829). L'attesa della gioia è più bella della gioia stessa: il
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piacere risiede nella speranza e nell'immaginazione.
Canto notturno di un pastore errante dell'Asia (1830). Il miglior canto del dolore
universale, e in genere di tutta l'opera poetica di L. Lo spunto gli viene da un articolo de
Journal des savants (1826), in cui si parlava dei pastori Kirghisi (Kirghizistan, stato
dell’Asia centrale) che passavano la notte seduti su una pietra a guardare la luna e a
improvvisare parole tristi su arie malinconiche. Il poeta immagina che un pastore
interroghi la luna sul mistero della vita e della morte, e invidi il proprio gregge
incosciente che non soffre, concludendo con una desolata constatazione della
infelicità universale.
Tra le altre liriche del dolore universale possiamo ricordare anche Il passero solitario
e Il tramonto della luna.
Il passero solitario (1829). Il poeta si sofferma ad ascoltare il passero solitario, che dal
campanile della chiesa di S. Agostino a Recanati, eleva il suo canto nell'aria serena della
primavera, e pensa che l'uccello, essere irragionevole e istintivo, è tranquillo e
felice, mentre lui è amareggiato dal pensiero dei piaceri non gustati e perduti per
sempre.
Il tramonto della luna (1836). Il poeta paragona il tramonto della luna a quello della
giovinezza. E' l'ultimo canto di L., e dettò a Ranieri i sei versi finali poche ore prima della
morte.
Le ultime liriche (1832-1834; 1836): il riscatto del pessimismo cosmico grazie alla
poesia e alla solidarietà fra gli uomini.
Aspasia (1834). E' un'amara satira antifemminista, contro la donna, sempre stata per il
poeta croce e delizia
Nella Ginestra il pessimismo cosmico si riscatta e diventa istanza di solidarietà tra gli
uomini e invito a guardare in faccia la realtà senza facili illusioni o vittimismi.
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Il poeta coglie l'occasione per esprimere i dogmi della sua filosofia sensistica con
un'allegoria sull'infelice insurrezione dei moti liberali napoletani del '21 (i topi
sono i liberali, le rane i conservatori...).
L'autore deride tutti nello stesso modo, forse più i topi degli altri: il suo pessimismo
non gli consente ormai nessun serio interesse per il Risorgimento.
Il tono storico e la vis comica dell'opera non sono propri di L., che sotto il riso artificiale
scopre spesso il suo intimo dolore.
I PENSIERI
E' una raccolta di 111 pensieri, pubblicati postumi da Ranieri; per il loro significato hanno
stretta attinenza con le Operette morali.
LO ZIBALDONE
Fu pubblicato postumo nel 1898, nel centenario della nascita del poeta, con il titolo di
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura.
Si tratta di una ampissima raccolta di 3619 osservazioni, ragionamenti, note, che
Leopardi segnò per se stesso, dal 1817 al 1832, man mano che gli venivano in mente.
Anche quest'opera ha stretta attinenza con le Operette morali, ma vi si trovano in
germe anche molte idee dei Canti.
L'EPISTOLARIO
Molto copioso e anch'esso pubblicato postumo, è un ottimo commento ai Canti, perché
rivela la vita infelice e la grandezza d'animo di L.
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