Il Manuale Completo Di Teoria Musicale 2

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Il manuale

completo di
Teoria Musicale
Il primo manuale che non si basa
su difficili nozioni da imparare a
memoria ma spiega la logica
dietro la teoria attraverso metodi
pratici di facile comprensione.
Introduzione
La musica è un arte e, come tutte le arti, non basta una vita
per ritenersi esperti. Sarebbe una bugia, quindi, dirti che
dopo la lettura di questo ebook saprai tutto sulla musica.
Una cosa positiva però c'è, la teoria della musica è un
argomento abbastanza contenuto, basterà un po' di
impegno e in poco tempo potrai conoscere tutto quello che
ti serve.

Spesso la teoria della musica è vista come un argomento


estremamente difficile, fatto di nozioni, regole e definizioni
che nulla hanno a che vedere con la pratica strumentale. In
realtà, se si prova un approccio diverso da quello
accademico, la teoria della musica può essere molto più
semplice da comprendere soprattuto se si parte da un
approccio logico e strettamente connesso all’applicazione
pratica dei concetti al pianoforte o al proprio strumento.

Per questo motivo, in questo manuale oltre a fornirti le


spiegazioni teoriche dei vari argomenti ti consiglierò degli
esercizi e dei trucchi che ti aiuteranno a comprendere al
100% quello di cui stiamo parlando.

Detto questo, non mi resta che augurarti una buona


lettura!
Indice
1. Il pentagramma

2. Le chiavi musicali
2.1. La chiave di Sol
2.2. La chiave di Fa
2.2.1 La chiave di Basso
2.2.2 La chiave di Baritono
2.3. La chiave di Do
2.3.1 La chiave di Soprano
2.3.2 La chiave di Mezzosoprano
2.3.3 La chiave di Contralto
2.3.4 La chiave di Tenore

3. I tagli addizionali

4. Il valore in musica
4.1 Le figurazioni
4.2 Le pause
4.3 Altri simboli che modificano la durata delle note
4.3.1 Il punto di valore
4.3.2 La legatura di valore
4.3.3 Lo staccato
4.3.4 La corona

5. I tempi e la battuta
5.1 Il tempo
5.2 Movimenti
5.3 Suddivisioni
5.4 tempi semplici e composti

6 . Le alterazioni
6.1 Il diesis
6.2 Il bemolle
6.3 Il doppiodiesis
6.4 Il dobbiobemolle

7. Gli Intervalli
7.1 La distanza
7.2 La qualità

8. Le scale
8.1 La scala maggiore
8.2 Definire gli intervalli partendo dalla scala maggiore
8.3 La scala minore
8.4 La scala minore naturale
8.5 La scala minore armonica
8.6 La scala minore melodica

9. Il circolo delle quinte -


9.1 Trovare le alterazioni con il circolo delle quinte
9.2 Esercizi sulle scale e sul circolo delle quinte
1. Il pentagramma
Il pentagramma è composto da cinque linee e quattro
spazi ed è paragonabile ad una griglia che ci indica dove
collocare le note. Un po’ come i quadretti per un quaderno
di matematica, il pentagramma serve a posizionare le note
all’interno di uno spazio ben definito.

2. Le chiavi musicali
All’inizio del pentagramma viene sempre posto un simbolo
chiamato chiave che determina il nome delle note.
Esistono diverse chiavi:
La chiave di Sol,
La chiave di Fa
la chiave di Do.

A seconda di che chiave troviamo all’inizio del


pentagramma sapremo che nome dare alle diverse note
sulle linee e sugli spazi. Pensa all’alfabeto, sia nella lingua
italiana che in quella francese che in quella inglese,
abbiamo A B C D F ecc.., questi simboli di per sé non
hanno nessun suono, fino a quando noi non stabiliamo a
che lingua appartengono, in quel momento sapremo che,
per la lingua italiana la A corrisponde a quel determinato
suono. Non appena cambiamo lingua dovremo cambiare
anche la pronuncia della lettera.

Ecco, in musica è la stessa cosa. Una nota posta sulla


prima linea del pentagramma corrisponderà a diversi suoni
a seconda di che chiave scegliamo.
Ricorda, però, che la successione delle note è sempre la
stessa: DO RE MI FA SOL LA SI DO.
Faccio un esempio partendo dalla nota Do. La nota Do può
trovarsi in diverse linee o spazi nel pentagramma a
seconda della chiave presente, ma dopo la nota Do ci sarà
sempre la nota Re a cui seguirà per forza la nota Mi.
Quindi una determinata chiave cambia la posizione di
TUTTE le note in successione.

2.1 La chiave di Sol


La chiave di sol, anche chiamata chiave di violino, è la più
utilizzata e quindi, anche quella che devi conoscere meglio
perché probabilmente quando ti troverai a leggere uno
spartito per il tuo strumento sarà l’unica che troverai.
Questa chiave è rappresentata da questo simbolo 𝄞 e le
note sul pentagramma prenderanno questi nomi:

Mi Fa Sol La Si Do Re Mi Fa
Sappiamo quindi che se sul pentagramma troviamo la
chiave di violino sulla prima linea troveremo la nota MI, sul
primo spazio FA, sulla seconda linea SOL, e così via.

Per imparare a leggere più velocemente le note ti consiglio


di imparare la loro posizione imparando a memoria questo
schema:
Note nelle linee: Mi - sol - si - re - fa
Note negli spazi: Fa - la - do - mi

2.2 La chiave di Fa
Si chiama chiave di FA in quanto la linea sulla quale viene
posizionata prende sempre il nome di FA.
Questa chiave può essere posizionata a due altezze
diverse del pentagramma: sulla quarta linea o sulla terza.
Quando è posta sulla quarta linea, la chiave di fa è
chiamata chiave di basso, quando è posizionata sulla terza
linea la chiave di fa è chiamata chiave di baritono.

Chiave di basso Chiave di Baritono

2.2.1 La chiave di Basso


Partendo dalla posizione della chiave possiamo ricavare il
Fa e orientarci per trovare tutte le altre note della chiave di
basso.
Quindi, se saliamo troviamo le note SOL e LA. Invece, se
scendiamo le note MI, RE, DO, SI, LA, SOL.
La chiave di basso, insieme alla chiave di violino, è una
chiave importante da conoscere e padroneggiare: infatti,
viene spesso usata da strumenti popolari quali il pianoforte
(per la mano sinistra, di solito), il basso, il violoncello, il
contrabbasso ecc…

Sol La Si Do Re Mi Fa Sol La

2.2.2 La chiave di Baritono


Lo stesso ragionamento che abbiamo fatto per la chiave di
basso possiamo applicarlo alla chiave di Baritono. Quindi,
sappiamo che la linea sulla quale è posta la chiave è la
linea della nota Fa, e ricaviamoci tutte le note

Si Do Re Mi Fa Sol La Si Do

2.3 La chiave di Do
Si chiama chiave di Do perché la nota posta sulla linea
dove si trova la chiave prenderà sempre il nome Do.
Questa chiave può essere posizionata in quattro diverse
linee a seconda del registro che copre. Sulla prima linea
viene chiamata chiave di soprano; sulla seconda chiave di
Mezzo Soprano; sulla terza chiave di Contralto; sulla
quarta chiave di Tenore.

Chiave di Soprano

Chiave di Mezzsoprano

Chiave di Contralto

Chiave di Tenore

2.3.1 La chiave di Soprano


La chiave di soprano è posta sul primo rigo del
pentagramma, la nota posta sullo stesso rigo, quindi
prenderà il nome di Do. Da qui possiamo ricavarci i nomi di
tutte le altre note

Do Re Mi Fa Sol La Si Do Re
2.3.2 La chiave di Mezzosoprano
La chiave di Mezzo Soprano è posta sul secondo rigo del
pentagramma, la nota posta sullo stesso rigo prenderà il
nome di DO

La Si Do Re Mi Fa Sol La Si

2.3.3 La chiave di Contralto


La chiave di Contralto è posta sul terzo rigo del
pentagramma, la nota posta sullo stesso rigo prenderà il
nome di Do.

Fa Sol La Si Do Re Mi Fa Sol

2.3.4 La chiave di Tenore


La chiave di Tenore è posta sul quarto rigo del
pentagramma, la nota posta sullo stesso rigo prenderà il
nome di Do
Re Mi Fa Sol La Si Do Re Mi

3. I tagli addizionali
Abbiamo visto come le chiavi determinano il suono delle
note all’interno del pentagramma. Se ti sei seduto al
pianoforte a suonare le note nelle varie chiavi ti sarai
accorto che queste rappresentano solo una piccola parte
dei suoni che hai a disposizione sulla tastiera. Come
facciamo a rappresentare quelli che mancano? Con i tagli
addizionali.
I tagli addizionali sono delle linee che vengono poste sulle
note. Queste linee possono essere in testa o in gola

Taglio in testa
Taglio in gola

I tagli addizionali vengono usati come prolungamento del


pentagramma per scrivere note che si trovano sopra o
sotto l’estensione del pentagramma.
La diversa posizione, in testo o in gola, simula infatti, la
nota nello spazio (nel caso del taglio in gola) o nella linea
(nel caso del taglio in testa).

4. Il valore in musica
Quando leggiamo uno spartito, dobbiamo individuare due
cose:

1. che note sono

2. quanto durano quelle note

Per quanto riguarda il primo punto, abbiamo già capito


come fare nel capitolo precedente riguardante le chiavi
musicali. Per il secondo punto, invece dobbiamo conoscere
le figurazioni.
4.1 Le figurazioni
Le figurazioni sono dei segni grafici che identificano i valori
delle note, ovvero quanto dura un determinato suono.

Ad ogni figurazione corrisponde un valore:

Come vedi se procediamo dalla figurazione più grande


noteremo come ogni figurazione più piccola è la metà della
precedente. A livello grafico la diminuzione di valore è
rappresentato dalla codina chiamata “cediglia” che è
presente dalla croma in poi. Ogni codina rappresenta una
figurazione più piccola.
4.2 Le pause
La musica non è solo suono, ma anche silenzio. E, proprio
come abbiamo visto per le figurazioni, anche il silenzio ha
bisogno di essere quantificato. A svolgere questo compito
troviamo le pause.
Ad ogni figurazione corrisponde una pausa dello stesso
valore:

4.3 Altri simboli che modificano la


durata dei suoni
Nel paragrafo sulle figurazioni abbiamo visto come i valore
delle note vadano per multipli di due. Questo significa che
non potrò mai trovare una nota che vale tre?
No, esistono, infatti, altri segni grafici che modificano il
valore delle figurazioni.

4.3.1 Il punto di valore


Il punto di valore è un punto posto accanto a una
figurazione o a una pausa musicale che aumenta la durata
della nota davanti a cui si trova di metà del suo valore.

+ =

4.3.2 La legatura di valore


La legatura di valore collega due note di uguale altezza
sommando il valore delle note che unisce.

+ =

4.3.3 Lo staccato
Lo staccato è un punto disegnato sopra la nota che ne
dimezza il valore.

=
4.3.4 La corona
La corona è un simbolo che aumenta il valore della nota a
piacere dell’esecutore. Non ha quindi un valore preciso da
rispettare.

5. Il tempo e la battuta
Se hai guardato almeno una volta uno spartito ti sarai
accorto che dopo una serie di note c’è una linea verticale
che attraversa il pentagramma. Questa linea serve a
delimitare la battuta.

Cosa è la battuta? Possiamo vedere la battuta come un


cassetto dentro il quale si posizionano le note. Però a
differenza dei cassetti normali, la battuta ha una regola:
Devono entrarci esattamente il numero di oggetti (o
figurazioni) che basta per riempirlo perfettamente, né di
più, né di meno.
Ti starai chiedendo come fare a capire quante figurazioni
puoi inserire all’interno della battuta, la risposta è:
attraverso il tempo.

5.1 Il Tempo
Il tempo in musica, a differenza di quello che rappresenta
nella vita quotidiana, non è un concetto astratto, anzi, è un
dato codificato da seguire in maniere molto rigida. E’
rappresentato da dei numeri all’inizio del pentagramma
posti subito dopo la chiave, che sembrano ma NON sono
una frazione. Questi numeri, chiamati indicazione metrica,
determinano quante figurazioni una battuta dovrà
contenere.
Se, per esempio, il tempo indicato è di 4/4, dentro la
battuta dovranno esserci figurazioni che sommate devono
corrispondere sempre ad una durata complessiva di 4/4.
Ma cosa rappresentano i due numeri se non sono una
frazione?
Il numero superiore indica quanti movimenti si trovano in
una battuta e il numero inferiore quanto vale ognuno di
questi movimenti.
Lo so, adesso sarai confuso, ma non preoccuparti, sarà più
chiaro dopo aver letto il prossimo paragrafo.
5.2 I movimenti
Abbiamo paragonato la battuta ad un cassetto,
paragoniamo adesso i movimenti a degli organizer che
dividono il cassetto in altre piccole sezioni. In quante
sezioni, e, quindi, in quanti movimenti si divide una battuta
è indicato dal numero superiore dell’indicazione metrica. Il
numero inferiore, invece, indica quanto vale ognuno di
questi movimenti.

numero di movimenti

I movimento II movimento III movimento IV movimento

Quanto vale un movimento (1/4)

A differenza delle battute la divisione dei movimenti non è


rappresentata da nessun segno grafico. E’ una
scomposizione mentale che ci serve per avere una visione
più chiara delle figurazioni e che ci servirà in un secondo
momento per il solfeggio.
5.3 Le suddivisioni
Scomporre in parti più piccole ci aiuta a capire meglio
quanto spazio esattamente occupa un oggetto. Immagina
di avere davanti a te un terreno enorme e dovere capire
esattamente quanto spazio occuperà una futura casa,
diventa difficile senza punti di riferimento. Se, però, inizi a
scomporlo in parti sempre più piccole la situazione cambia.
La stessa cosa succede in musica. Scomporre le battute in
parti sempre più piccole ci aiuta a collocare le figurazioni
nel tempo.

Proprio per questi motivi anche i movimenti sono divisibili


in parti più piccole che vengono chiamate “suddivisioni”. Il
valore della suddivisione è sempre la metà del valore di un
movimento (quindi, come abbiamo visto nel paragrafo
precedente, se siamo in 4/4 il valore di movimento sarà
dato del numero inferiore ovvero 1/4, cioè una
semiminima) e prende il nome di unità di suddivisione.
Facciamo di nuovo un esempio in 4/4: abbiamo visto che
un movimento è composto da 1/4 ovvero da una
semiminima, quindi la sua suddivisione sarà 1/8 ovvero
una croma.

. Valore di movimento

Unità di suddivisione
5.4 Tempi semlici e composti
I tempi in musica possono essere diversi e si dividono in
due categorie:
tempi semplici
tempi composti

I tempi semplici sono tutti quei tempi che hanno una


suddivisione binaria. Ogni movimento quindi è divisibile in
due. In 4/4 ogni movimento vale 1/4, quindi la suddivisione
sarà di due figurazioni da 1/8, dunque, la suddivisione è
binaria. Il 4/4 è un tempo semplice.

Nei tempi composti, invece la suddivisione è ternaria,


quindi ogni movimento sarà divisibile in tre figurazioni più
piccole.
Ricordi il discorso che abbiamo fatto nei paragrafi
precedenti? “In quante sezioni, e, quindi, in quanti
movimenti si divide una battuta è indicato dal numero
superiore della “frazione”. Il numero inferiore, invece,
indica quanto vale ognuno di questi movimenti.”
Ecco, tutto questo per i tempi composti non vale. Nei
tempi composti il numero superiore indica quante
suddivisioni troveremo all’interno di tutta la battuta. Il
numero inferiore, invece, indica quanto vale ogni
suddivisione

Numero di suddivisioni

Quanto vale la suddivisone


Tempi semplici

sopra img

Tempi composti
6. Le alterazioni
Le alterazioni sono dei segni grafici che modificano
l’altezza di un suono. Per comprendere al meglio i prossimi
paragrafi ti consiglio di sederti al pianoforte o alla tastiera,
nel caso non avessi nessuna delle due cose scarica sul
telefono una tastiera virtuale.
Le alterazioni possono essere transitorie o in chiave.

Si chiamano transitorie quelle alterazioni che hanno durata


di una battuta. Questo significa che se all’interno di una
misura trovi, per esempio, un Do# tutti i Do successivi
all’interno della battuta, saranno diesis anche se non
presenteranno il simbolo “#”. Dalla battuta seguente
torneranno naturali senza alcun segno che lo specifichi.

Le alterazioni in chiave sono, invece, quelle che trovi


segnate subito dopo la chiave. Servono ad alterare le note
del rigo o dello spazio su cui sono poste per tutta la durata
del brano (o fin quando non vengano annullate da un
bequadro). Se hai un Fa# in chiave tutti i Fa che troverai
scritti nel brano saranno diesis anche se non presentano il
simbolo #

6.1 Il diesis
Partiamo dalla nota Do. Sai dove si trovano i suoni nella
tastiera? Se la risposta è no, il do è il primo tasto bianco
prima dei due neri.

Premi il Do, questo suono è anche chiamato Do naturale.


Adesso premi il tasto immediatamente sopra il Do, ecco,
questo è il Do#.
Il diesis aumenta la nota davanti cui è posto di un
semitono cromatico.
Si, lo so che non hai idea di cosa sia un semitono
cromatico, non preoccuparti lo vedremo tra un attimo.
Intanto, questa è la definizione accademica di cosa fa un
diesis.

6.2 Il bemolle
Partiamo sempre dalla nota Do, questa volta però premi il
tasto immediatamente sotto il Do (stai attento questa volta
non è un tasto nero). Ecco quello si chiama Do bemolle.
Il bemolle abbassa la nota davanti cui è posto di un
semitono cromatico.
6.3 Il bequadro
Il bequadro serve a rendere una nota, che prima era stata
alterata (cioè era diesis o bemolle), naturale. Le alterazioni
hanno durata di una battuta, quindi, se trovi un Do# tutti
gli altri Do che troverai dopo di questo all’interno della
stessa battuta saranno sempre # anche se non verrà più
specificato dal simbolo.

Sono sempre diesis anche se non preceduti dal simbolo #

Per far ritornare la nota naturale servirà specificarlo


ponendo davanti ad essa il simbolo del bequadro che
annullerà il diesis da quella nota in poi (sempre all’interno
della battuta).

6.4 Il doppiodiesis
Sei sempre seduto al pianoforte? Perfetto, partiamo
sempre da Do. Adesso metti il dito sul tasto
immediatamente sopra il Do ma non premere la nota. Ci
sei? Dovresti avere il dito sul tasto nero. Sali ancora di un
tasto, quello immediatamente sopra il testo nero su cui hai
il dito. Ecco quello è il Doppio diesis.
Il doppio diesis innalza di due semitoni cromatici la nota
davanti cui è posto.

Adesso, se già sai dove si trovano i suoni sulla tastiera ti


starai dicendo “non è possibile, quella è la nota Re”. Si hai
ragione, è anche la nota Re. E’ un concetto che può essere
difficile da comprendere inizialmente, ma in musica
abbiamo dei suoni che sono detti “omofoni”, cioè, che
anche se hanno nomi diversi, corrispondo allo stesso
suono.
Nel caso tu dovessi trovare nello spartito un DO doppio
diesis suonerai questo tasto

Nel caso dovessi trovare un RE suonerai esattamente lo


stesso tasto.
Ti starai chiedendo il senso di tutto questo, il motivo sta
nell’armonia e nel peso che ogni determinata nota ha
all’interno di un ambito tonale. Questi però, sono
argomenti avanzati che affronteremo in un secondo
momento.
6.5 Il doppiobemolle
Partiamo sempre dal Do, adesso sposta il dito sul tasto più
vicino senza premerlo, continua a scorrere il dito sul tasto
immediatamente sotto quello dove hai poggiato il dito.
Perfetto, adesso dovresti avere il dito su un tasto nero.
Quello è Do doppio bemolle.
Il doppio bemolle abbasta di due semitoni cromatici la nota
davanti cui è posto.

7. Gli intervalli
L’intervallo è lo spazio che si trova tra due suoni. Siediti al
pianoforte, e suona la nota Do e poi Do#, questo è
l’intervallo più piccolo che puoi trovare tra due suoni e si
chiama intervallo di semitono. I semitoni possono essere
diatonici o cromatici. Si dicono diatonici quando il nome
della nota cambia (ad esempio DO REb); vengono detti
cromatici quando il nome della nota resta lo stesso (ad
esempio DO DO#).

Suona, adesso, Do e poi Re. Questi due suoni sono


separati da DUE semitoni: quello che va da Do a Do# e
quello che da Do# a Re. Due semitoni creano un tono,
abbastanza logico, no?
Adesso che sappiamo cosa sono gli intervalli facciamo un
passo avanti.
Gli intervalli si classificano :
per distanza
per qualità

7.1 La distanza
Un intervallo presuppone la relazione tra due suoni. La
distanza che c’è tra questi due suoni determina il primo
parametro di classificazione.

In base alla distanza puoi classificare gli intervalli come:


unisono;
intervallo di seconda;
intervallo di terza;
intervallo di quarta;
intervallo di quinta;
intervallo di settima;
intervallo d’ottava
Per conoscere la distanza tra un intervallo e l’altro, basta
contare seguendo la successione dei suoni.
Se l’intervallo è DO – MI basta contare le note da DO a MI
ovvero DO, RE, MI: in questo caso, l’intervallo è di terza. Il
procedimento è abbasta semplice, bisogna prestare
attenzione solo agli intervalli come DO- DO# e DO- REb
che, pur se a livello uditivo corrispondono agli stessi suoni,
sono in realtà intervalli diversi. Il primo é un intervallo di
unisono perché nella successione dei suoni non c’è alcuna
distanza tra Do e Do. Il secondo è un intervallo di seconda
perché, contando, il Re è la seconda nota dopo il Do.
L’intervallo musicale può essere ascendente nel caso in cui
la seconda nota presa in considerazione sia più alta della
prima ( es. DO – SOL) o discendente nel caso in cui la
seconda nota presa in considerazione sia più bassa della
prima (es. Fa4 – Re4).

Ascendente Discendente

7.2 La qualità
Una volta stabilita la distanza dell’intervallo, è il momento
di attribuire la qualità, che viene stabilita in base
all’ampiezza dell’intervallo. Nel paragrafo precedente
abbiamo visto che gli intervalli vengono definiti per
distanza contando la distanza che c’è tra le due note
seguendo la successione dei suoni. Sappiamo quindi che,
per esempio Do-Re è un intervallo di seconda. Ma se ti
chiedessi che intervallo è Do-Re#? Si, è sempre un
intervallo di seconda, ma prova a suonarli al pianoforte,
Do-Re e Do-Re# sono molto diversi tra loro. Ci serve
quindi un’ulteriore modo per definire intervalli che sono
dello stesso tipo (Seconda, terza quarta) ma suonano
diversamente.
Dobbiamo attribuire una qualità all’intervallo in base alla
sua ampiezza.
Gli intervalli, infatti, possono essere maggiori, minori,
eccedenti, diminuiti e giusti, ed in particolare:
l’unisono può essere giusto, eccedente e diminuito;
l’intervallo di seconda può essere maggiore, minore,
eccedente e diminuito;
l’intervallo di terza può essere maggiore, minore,
eccedente e diminuito;
l’intervallo di quarta può essere giusto, eccedente e
diminuito;
l’intervallo di quinta può essere giusto, eccedente e
diminuito;
l’intervallo di sesta può essere maggiore, minore,
eccedente e diminuito;
l’intervallo di settima può essere maggiore, minore,
eccedente e diminuito;
l’intervallo di ottava può essere giusto, eccedente e
diminuito;
Ricorda gli intervalli di unisono, ottava, quarta e quinta non
possono mai essere maggiori o minori, ma sono gli unici a
potere essere giusti!

Ti starai domandando come fare a sapere quando un


intervallo è maggiore, minore, eccedente o diminuito.
Secondo l’insegnamento scolastico, si può riconoscere il
tipo di intervallo contando quanti toni e semitoni sono
compresi al suo interno (ad esempio un intervallo di
seconda maggiore DO RE è formato da due semitoni).
Quindi sapremmo che tutti gli intervalli di seconda
maggiore sono formati da due semitoni, uno cromatico e
uno diatonico. Questo metodo, tuttavia, può risultare
difficile e un po’ macchinoso… ma non temere! Ho un
piccolo consiglio per aiutarti a riconoscere gli intervalli in
modo più facile ma prima ti serve conoscere le scale,
quindi mettiamo in pausa questo argomento per
riprenderlo tra poco.

8. Le scale
Una scala è una successione ordinata di suoni che procede
per grado congiunto.
Analizziamo bene questa definizione. Una scala può
essere definita tale quando tutti i suoni si trovano uno
dopo l’altro ovvero per grado congiunto. Siediti al
pianoforte e suona solo i tasti bianchi partendo dal Do e
arrivando al Do successivo, questa che hai appena
suonato è la scala Maggiore di Do.
I vari suoni all’intento della scala vengono chiamati gradi.
La prima nota della scala sarà il primo grado o la Tonica, la
seconda nota sarà il secondo grado, poi troveremo il terzo
grado e così via..
Di seguito la tabella con i nomi di tutti i gradi:

I grado Tonica

II grado Sopratonica

III grado Mediante, Modale Caratteristica


IV grado Sottodominante

V grado Dominante

VI grado Sopradominante

VII grado Sensibile

8.1 Le scale maggiori


Le scale possono essere di vario tipo, noi in questo
manuale affronteremo quella maggiore e quella minore
che sono le scale su cui si basa il nostro sistema tonale.
Il tipo di scala è definito dalla relazione che c’è tra i diversi
suoni della scala. Mi spiego meglio. Siediti al pianoforte e
suona Do, adesso spostati a Re e poi a Mi. Tra Do e Re,
così come tra Re e Mi, ci sta un tasto nero, Giusto?
Perfetto. Adesso suona Mi e poi Fa, qui, come vedi il tasto
nero non c’è, l’intervallo, infatti, è più piccolo di quelli che
abbiamo visto prima (Do- Re e Re-Mi). E’ un intervallo di
semitono. Una determinata successione di toni e semitoni
definisce il modo della scala (cioè se è maggiore o minore).
La scala maggiore è composta da cinque Toni e due
Semitoni diatonici che devono essere disposti esattamente
in questo modo:
T = Tono
S = Semitono

T T S T T T S

Per creare una scala maggiore, quindi, dobbiamo


rispettare questa successione di intervalli. Prova a
costruire la scala si Sol prendendo come esempio la scala
di Do.
Parti da Sol e sposta il dito sulla tastiera un Tono sopra,
quindi sul La. Adesso un’altro tono sopra e troverai il Si.
Attento! Adesso c’è un semitono quindi da Si andiamo a
Do. Ecc..
Conoscendo questa struttura potrai costruirti tutte le scale
maggiori.

8.2 Definire gli intervalli partendo dalla


scala maggiore
Riprendiamo adesso il discorso sugli intervalli. Ritengo che
imparare a memoria la nozione “l’intervallo di terza
maggiore è formato da due toni, quello di terza minore da
un tono e un semitono diatonico” sia molto noioso. Ecco
perché personalmente ho sempre utilizzato un altro
metodo: Partire dalla scala maggiore.
Quello che dobbiamo fare è memorizzare gli intervalli che
si trovano nella scala maggiore.
Una volta fatto questo, ricaveremo la definizione degli altri
intervalli mettendoli in relazione con la scala maggiore.
Ad esempio, se il nostro intervallo è Do-Mi prendiamo
come riferimento la scala del primo suono dell’intervallo
(ovvero la scala di Do maggiore). Sappiamo che Do-Mi è
un intervallo di terza e sappiamo che è un intervallo
presente nella scala di Do; l’intervallo di terza nella scala
maggiore è sempre maggiore (come puoi vedere
nell’immagine sopra), quindi, anche in questo caso,
l’intervallo è di terza maggiore.
Facciamo un altro esempio: se l’intervallo che dobbiamo
analizzare è Do-Mib, prendiamo sempre come riferimento
la scala della prima nota dell’intervallo (ovvero Do
maggiore) e chiediamoci se l’intervallo Do-Mib è presente
all’interno della scala di Do maggiore. La risposta è no, in
quanto nella scala di Do maggiore la terza è il Mi naturale.
A questo punto vediamo di quanti semitoni è più piccolo
l’intervallo rispetto a quello della scala maggiore: in questo
caso è più piccolo di un semitono, quindi sarà un intervallo
di terza minore.
Ricorda che gli intervalli minori sono più piccoli di quelli
maggiori di un semitono; quelli diminuiti di due mentre
quelli eccedenti sono più grandi di due semitoni. Gli
intervalli giusti (come Do Sol) diventano eccedenti
alzandoli di un semitono Do-Sol# e diminuiti abbassandoli
di un semitono Do-Solb.

8.3 La scala minore


Ogni scala maggiore ha una relativa minore. Le relative
minori sono le scale che si creano sul sesto grado di ogni
scala maggiore. Facciamo un esempio sulla scala di Re
maggiore: Partiamo dal sesto grado, ovvero SI e
costruiamo la scala seguendo i suoni della scala di Re
maggiore (Stai attento a rispettare le alterazioni). La scala
che troverai sarà quella che vedi in rosso:
Ecco, quella che vedi è la scala di SI minore naturale.
La scala minore può essere di tre tipi:
- Naturale
- Armonica
- Melodica

8.4 La scala minore naturale


La scala naturale ha le stesse alterazioni della relativa
maggiore, sia per moto ascendente che per moto
discendente.

8.5 La scala minore armonica


La scala minore armonica ha le stesse alterazioni della
relativa maggiore, più il settimo grado alterato sia in senso
ascendente che discendente.

8.6 La scala minore melodica


La scala minore melodica presenta le stesse alterazioni
della relativa maggiore con un piccolo cambiamento: il
sesto e settimo grado sono alterati in senso ascendente
ma ritornano naturali in senso discendente.

9. Il circolo delle quinte


Come abbiamo visto nel capito precedente le scale, fra
maggiori e minori, sono veramente tante e ogni tonalità
presenta alterazioni diverse. Memorizzarle tutte è
obbligatorio, non conoscere le scale è un pò come non
sapere le tabelline. Se pensi che sia impossibile, tranquillo,
il circolo delle quinte può aiutarti.
Il circolo delle quinte è un sistema che ti permette di dare
un ordine alle tonalità e alle alterazioni relative ad ogni
tonalità.
Si chiama circolo delle quinte perché partendo da DO e
procedendo in senso orario, ogni nota è una quinta giusta
sopra la nota precedente nel “cerchio”. Partendo da DO
bisogna contare 5 note per definire la tonalità che seguirà,
in questo caso SOL, da SOL dovremo contare un’altra
quinta ascendente per trovare la tonalità successiva
ovvero RE.
Attraverso questo procedimento saremo in grado di
ricavare tutte le tonalità con i diesis.
Ogni tonalità avrà in chiave un’alterazione in più rispetto
alla tonalità precedente. La tonalità da cui partiamo è DO
che in chiave non ha nessuna alterazione. Come abbiamo
detto, una quinta sopra abbiamo il SOL che avrà in chiave
un’alterazione in più della tonalità precedente, quindi il
FA#. Procedendo allo stesso modo una quinta sopra SOL
si trova il RE che avrà in chiave due alterazioni ovvero FA#
e DO#.
Se, invece, vuoi ricavare le tonalità con i bemolle ti basterà
procedere in senso antiiorario. Ogni tonalità avrà in chiave
un bemolle in più rispetto alla tonalità precedente.

Ti ricordi la successione dei suoni? Ecco, abbiamo pure la


successione delle alterazioni. Impararla potrebbe tornarti
molto utile:

I diesis: Fa# Do# Sol# Re# La# Mi# Si#


I bemolle: SIb Mib LAb REb SOLb DOb FAb
Senso orario per i diesis

Senso antiorario per i bemolle


9.1 Trovare le alterazioni con il circolo
delle quinte
Il circolo delle quinte è un procedimento che può tornarti
veramente utile nella vita quotidiana. Le scale sono la base
del sistema tonale e, quindi, di gran parte della musica che
studiamo e leggiamo. Ti sarà sicuramente capitato di voler
suonare o improvvisare su un brano in una certa tonalità e
non ricordarti le alterazioni di quella scala. Il circolo delle
quinte risolve questo problema.
Immagina di voler suonare un brano in tonalità di Fa
maggiore e vuoi sapere quali e quante alterazioni hai in
chiave. Ti basterà contare quante “posizioni” sei distante
rispetto a DO e aggiungere un diesis (seguendo la
successione) per ogni posizione.

9.2 Esercizi sulle scale e sul circolo


Un buon modo per imparare e applicare la teoria al tuo
strumento è eseguire lentamente tutte le scale
proseguendo seguendo il circolo delle quinte. Quindi, parti
da Do ed esegui lentamente la scala; poi conta una quinta
ascendente e suona la scala di Sol; continua così per tutto
il circolo.

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