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Linee guida per la progettazione della viabilità forestale in Lombardia: stabilità delle

scarpate e opere di stabilizzazione

Prof. Gian Battista Bischetti


Dr. Tommaso Simonato

Istituto di Idraulica Agraria dell’Università degli Studi di Milano


Via Celoria, 2 – 20133 Milano

Documento redatto nell’ambito del contratto di ricerca tra Università degli Studi di Milano,
Regione Lombardia – D.G. Agricoltura e C.M. della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esine e
riviera, “Interazione tra processi idrologici e viabilità forestale nel bacino sperimentale del t.
Pioverna orientale (Valsassina) - ipotesi di criteri di progettazione della viabilità forestale”.

Milano, 2005
La viabilità agro-silvo-pastorale rappresenta un fattore strategico per il mantenimento e lo sviluppo
socio-economico delle popolazioni residenti nelle aree montane e collinari della regione Lombardia.
Per tutelare le attività agro-forestali in questi territori, è necessario ampliare e conservare una
diffusa ed efficiente rete viaria che permetta una corretta e moderna gestione agricola e forestale.
Bisogna però prendere atto che la realizzazione di nuove strade agro-silvo-pastorali, costruite senza
idonee opere di regimazione delle acque superficiali e di contenimento dei versanti, nonché la
carente manutenzione della viabilità esistente, costituiscono una delle potenziali cause d’innesco dei
fenomeni di dissesto idrogeologico.

La Regione Lombardia, già con la direttiva adottata con deliberazione n. VII/14016 del 8 agosto
2003, ha definito le strade agro-silvo-pastorali suddividendole in classi di transitabilità, anche sulla
base delle caratteristiche costruttive (larghezza, pendenza ecc.). Inoltre ha fornito una metodologia
per il loro censimento anche in funzione della programmazione degli interventi di manutenzione,
ed ha indicato delle soluzioni tecniche-amministrative atte a migliorarne le caratteristiche
costruttive, promuoverne la gestione e la regolamentazione del transito.

Con questo manuale la Regione Lombardia intende fornire ai tecnici di tutti gli enti competenti,
Comunità Montane, Amministrazioni Provinciali e Comuni, e ai liberi professionisti uno strumento
per una corretta progettazione e realizzazione delle strade agro-silvo-pastorali.

Attualmente nella pratica progettuale e realizzativa corrente della viabilità continuano ad essere
ripetute una serie di “cattive pratiche”. Generalmente i progettisti non sviluppano a sufficienza i
progetti che risultano carenti nella raccolta dei dati topografici, geomorfologici, idrologici,
idrogeologici. Inoltre non vengono generalmente utilizzate al meglio le informazioni territoriali che
la Regione rende disponibili attraverso il suo Sistema Informativo Territoriale. Spesso la limitata
disponibilità finanziaria determina la scelta di privilegiare lo sviluppo lineare della strada a
discapito della realizzazione delle opere “accessorie” di regimazione delle acque superficiali e di
consolidamento delle scarpate, anche se questo può comportare maggiori oneri costruttivi. Mentre
queste opere di fatto risultano determinanti nella riduzione dell’impatto ambientale e consentono di
limitare gli interventi di manutenzione e quindi i costi di gestione.

In particolare il volume ha come finalità di riassumere le conoscenze e le innovazioni tecniche


relative ai rapporti tra la circolazione idrica, la stabilità del pendii e la viabilità agro-silvo-pastorale,
cercando di fornire una revisione critica ed un aggiornamento alle tecniche di regimazione delle
acque e di consolidamento dei versanti fino ad oggi adottate, anche alla luce delle diverse esigenze
connesse all’aumento della fruizione turistico-ricreativa.

Vicepresidente della Regione Lombardia


e Assessore all’Agricoltura
Viviana Beccalossi
INDICE

1 INTRODUZIONE .............................................................................................................1

2 DISSESTI E VIABILITÀ FORESTALE .........................................................................3

2.1 Introduzione..............................................................................................................3

2.2 Instabilità di versante...............................................................................................3


2.2.1 Definizione .........................................................................................................3
2.2.2 Tipologie di movimento .....................................................................................3
2.2.3 Attività................................................................................................................6
2.2.4 Cause delle frane ................................................................................................8
2.2.5 Ruolo dell’acqua nell’instabilità di versante ......................................................8

2.3 Instabilità dei pendii artificiali................................................................................9

2.4 Tipologie di dissesto più frequenti nell’ambito della viabilità agro-silvo-


pastorale ..............................................................................................................................11

2.5 Valutazione della stabilità dei versanti.................................................................12

2.6 Identificazione delle aree suscettive d’instabilità ................................................15

3 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SEZIONI.....................................17

3.1 Introduzione............................................................................................................17

3.2 Tecniche costruttive ...............................................................................................17


3.2.1 Compensazione scavo-riporto ..........................................................................18
3.2.2 Riporto parziale ................................................................................................19
3.2.3 Scavo ................................................................................................................19
3.2.4 Rilevato ............................................................................................................20
3.2.5 Gradonatura ......................................................................................................20
3.2.6 Attraversamento di frane superficiali con meccanismo rotazionale.................21

3.3 Pendenza delle scarpate .........................................................................................21


3.3.1 Scarpate in roccia .............................................................................................22
3.3.2 Scarpate in terreni.............................................................................................23

4 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DELLE SEZIONI ........................................26

4.1 Introduzione............................................................................................................26

I
4.2 Opere di drenaggio della scarpata ........................................................................27

I metodi che possono essere applicati per migliorare le condizioni di drenaggio, sia
superficiale che profondo, e conseguentemente per migliorare le condizioni di stabilità
di una scarpata sono prioritari rispetto ad altri metodi di stabilizzazione, perché
generalmente producono sostanziali benefici a costi significativamente inferiori. ......27
4.2.1 Fosso di guardia................................................................................................28
4.2.2 Dreni suborizzontali .........................................................................................28
4.2.3 Cuneo drenante.................................................................................................29

4.3 Opere di sostegno....................................................................................................29


4.3.1 Generalità .........................................................................................................29
4.3.2 Criteri di progetto .............................................................................................30
4.3.3 Palificate...........................................................................................................32
4.3.3.1 Generalità .....................................................................................................32
4.3.3.2 Tecnica costruttiva .......................................................................................34
4.3.3.3 Materiali impiegati e tempi di realizzazione ................................................37
4.3.3.4 Messa a dimora delle talee ...........................................................................39
4.3.3.5 Dimensionamento delle palificate a parete doppia.......................................40
4.3.4 Scogliere e muri in pietrame ............................................................................43

4.4 OPERE DI RINFORZO E DI COPERTURA.....................................................45


4.4.1 Gradonate .........................................................................................................45
4.4.1.1 Dimensionamento.........................................................................................46
4.4.2 Grate vive .........................................................................................................49
4.4.3 Inerbimenti .......................................................................................................50
4.4.4 Coperture diffuse..............................................................................................51

5 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................53

APPENDICE 1: ANALISI DI STABILITA’ DEI PENDII ..................................................58

Introduzione........................................................................................................................58

Metodo del pendio indefinito.............................................................................................58

Scivolamenti planari...........................................................................................................60
Presenza di acqua lungo il pendio ....................................................................................61
Frattura di trazione ...........................................................................................................62
Carico uniformemente distribuito ....................................................................................63

II
Metodo di Bishop semplificato (1955) ..............................................................................64

APPENDICE 2: VERIFICHE DELLE OPERE DI SOSTEGNO........................................68

Forze agenti e cenni sul calcolo della spinta delle terre ..................................................68

Estensione teoria di Rankine .............................................................................................70


Presenza di una falda........................................................................................................70
Effetto di un sovraccarico uniforme .................................................................................70
Opera con base inclinata...................................................................................................72

Verifiche dei muri di sostegno...........................................................................................72


Verifica alla traslazione....................................................................................................73
5.1.1 Verifica al ribaltamento....................................................................................75
5.1.2 Verifica al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento)....76

APPENDICE 3: TERMINI DELLA LEGENDA DELLA CARTA LITOLOGICA ALLA


SCALA 1:10.000 (CARTOGRAFIA GEOAMBIENTALE, REGIONE LOMBARDIA) .....83

INDICE delle FIGURE

Figura 1: tipologie di frana maggiormente diffuse in ambito agro-silvo-pastorale: a) Frana di


crollo, b) Scivolamento rotazionale, c) Scivolamento traslazionale, d) Colamenti o flussi.
............................................................................................................................................5
Figura 2: Principali dissesti che possono verificarsi lungo una strada forestale: A) frana
lungo la scarpata di scavo (“cutslope slide”); B) frana che ha interessato la scarpata di
riporto (“fillslope slide”); C) colata detritica che attraversa la strada in corrispondenza
di un impluvio...................................................................................................................12
Figura 3: effetto della diversione di un corso d’acqua (da Furniss et al., 1997) ....................12
Figura 4: compensazione scavo-riporto ..................................................................................18
Figura 5: realizzazione dell’unghia di valle ............................................................................18
Figura 6: schema di realizzazione con riporto parziale ..........................................................19
Figura 7: realizzazione in scavo ..............................................................................................19
Figura 8: realizzazione in rilevato...........................................................................................20
Figura 9: realizzazione con gradonatura ................................................................................20
Figura 10: alleggerimento della testata e carico del piede di una frana potenziale nell’ambito
della costruzione di una strada agro-silvo-pastorale mediante compensazione sterri-
riporti ...............................................................................................................................21

III
Figura 11: fosso di guardia......................................................................................................28
Figura 12: drenaggio suborizzontale.......................................................................................28
Figura 13: cuneo drenante con grata e palificata ...................................................................28
Figura 14: Tipologie di muro di contenimento. .......................................................................30
Figura 15: verifica di stabilità globale dell’insieme muro-terreno. ........................................32
Figura 16: Palificata (vista frontale).......................................................................................32
Figura 17: palificate a parete semplice e a parete doppia (sezione).......................................33
Figura 18: Drenaggio delle fondazioni....................................................................................34
Figura 19: Congiunzione dei tronchi (da: Regione Lombardia, 2000). ..................................34
Figura 20: Disposizione continua ed alternata degli elementi trasversali (vista frontale). ....35
Figura 21: Vista assonometrica di una palificata e del relativo riempimento (ridisegnato da
D’Agostino, 2000). ...........................................................................................................36
Figura 22: Messa a dimora delle talee (da: Regione Lombardia, 2000). ...............................40
Figura 23 Rappresentazione schematica di un’opera di sostegno in pietrame .......................44
Figura 24: Schema di costruzione di un muro in pietrame con terreno di riporto e tubo
drenante a tergo (ridisegnato da Gray e Sotir, 1996)......................................................44
Figura 25:schema costruttivo delle gradonate (da Regione Lombardia, 2000)......................45
Figura 26: similitudine tra rinforzo sintetico e con talea ........................................................46
Figura 27: schema di rinforzo di un pendio sistemato a gradonata........................................47
Figura 28: schema costruttivo della grata viva (da Regione Lombardia, 2000).....................50
Figura 29: idrosemina su scarpate stradali.............................................................................51
Figura 30: copertura diffusa su scarpata stradale ..................................................................52
Figura 31: schema del pendio indefinito .................................................................................59
Figura 32: schema dello scivolamento planare di un cuneo di riporto ...................................61
Figura 33:distribuzione delle pressioni con valore massimo a metà altezza ..........................62
Figura 34: scivolamento del blocco in presenza di una frattura di trazione ...........................63
Figura 35: schema delle forze nel caso di cuneo caricato.......................................................64
Figura 36: schema delle forze sul concio nel metodo di Bishop..............................................65
Figura 37: schema delle forze nel metodo di Bishop semplificato ..........................................66
Figura 38: schema delle forze agenti su un’opera di sostegno................................................68
Figura 39: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo su una parete verticale
liscia .................................................................................................................................69
Figura 40: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo sottoposto ad un
sovraccarico uniformemente distribuito. .........................................................................71

IV
Figura 41: Schema statico di una palificata inclinata rispetto all’orizzontale (sezione). .......74
Figura 42: Sezione basale della palificata. Centro di sollecitazione (a) interno al nocciolo
centrale della sezione di base; (b) coincidente con l’estremo del nocciolo centrale; (c)
interno al terzo medio di valle..........................................................................................78
Figura 43: Schema di rottura del terreno per il calcolo di qlim ...............................................80

INDICE delle TABELLE

Tabella I– Tipologia dei movimenti franosi (modificato da: Varnes, 1978)..............................4


Tabella II: scala dell’intensità delle frane in base alla velocità................................................7
Tabella III: classificazione di Cruden e Varnes (1994) .............................................................8
Tabella IV: fattori che governano la stabilità dei versanti (in evidenza i fattori che
maggiormente interessano la viabilità agro-silvo-pastorale)..........................................10
Tabella V: Valori medi delle pendenze di scarpate in roccia. .................................................23
Tabella VI: Linee guida per la pendenza delle scarpate di scavo e di riporto (modificato da
British Columbia Forest Code, 1995) ..............................................................................24
Tabella VII: Proprietà fisico-meccaniche e indicazioni a scopo ingegneristico dei terreni (da:
Washington Division of Geology and Earth Resources Bulletin 78-1989, modificato)...25
Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni
meccaniche (da Giordano, 1988). ....................................................................................38
Tabella IX: durabilità nei confronti dei patogeni e resistenza nei confronti degli insetti del
legname (mod. da De Antonis e Molinari, 2003) .............................................................39
Tabella X: Materiale e tempi di costruzione per m2 di paramento esterno (da Carbonari e
Mezzanotte, 1993). ...........................................................................................................39
Tabella XI: Formule per il calcolo della base B dell’opera. ...................................................41
Tabella XII: Parametri utilizzati nel calcolo del rapporto B/H delle palificate. ....................41
Tabella XIII: Valori del rapporto B/H. ...................................................................................42
Tabella XIV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la
pendenza del versante a fine lavori, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di
diametro e 10 pezzi/m.......................................................................................................48
Tabella XV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la
pendenza del versante dopo 15 mesi dall’impianto, per talee di salice rosso di 1 m di
lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m ........................................................................49

V
Tabella XVI: Valori di φ in relazione alla granulometria del terreno (da Terzaghi e Peck,
1967).................................................................................................................................72
Tabella XVII: Valori del carico di sicurezza del terreno in relazione alla caratteristiche del
terreno di fondazione (modificato da Colombo, 1977). ...................................................77
Tabella XVIII: Valori dei fattori di capacità portante secondo Terzaghi (da Lancellotta,
1993).................................................................................................................................81

VI
1 INTRODUZIONE
Tra tutti i possibili impatti della presenza di una strada agro-silvo-pastorale in ambito
montano e collinare vi sono quelli relativi al dissesto idrogeologico, che possono costituire
un fattore rilevante sia ai fini dell’efficienza della strada stessa (riduzione della sicurezza di
transito fino alla totale interruzione), sia un fattore di degrado a scala di versante e di
bacino (aumento del sedimento prodotto e peggioramento della qualità dei corpi idrici,
sovralluvionamento degli alvei e predisposizione all’innesco di colate detritiche).
In diverse aree del mondo numerosi Autori (McCashion e Rice, 1983; Meghan, 1984;
Rood, 1984; Amaranthus et al., 1985; Sidle, 1985; McClelland et al., 1999), hanno
dimostrato che la presenza di strade negli ambienti agro-silvo-pastorali è una causa
importante per l’innesco di fenomeni di franamento superficiale; secondo Gucinski et al.
(2000) in ambito forestale la presenza di strade comporterebbe un aumento di frane in
proporzione variabile tra 1 a 30 e 1 a 300.
In genere, le frane associate alle strade agro-silvo-pastorali sono fenomeni di tipo
superficiale che mobilitano piccole quantità di materiale che a causa del loro numero
(McClelland et al., 1999), tuttavia, possono costituire un grosso problema di sicurezza
della strada e un notevole onere in termini di manutenzione. La movimentazione diffusa di
materiale solido, inoltre, può intasare gli impluvi predisponendo le condizioni per l’innesco
di colate detritiche.
La presenza di strade come causa dei franamenti, in particolare, sembra essere
particolarmente rilevante in ambienti caratterizzati da pendenze modeste dove in
condizioni naturali non si avrebbero fenomeni di dissesto (McClelland et al., 1999; Jakob,
2000).
Le cause dei franamenti innescati dalla presenza di una strada sono dovuti sostanzialmente
a tre ordini di fattori:
• la creazione di scarpate con minor stabilità rispetto al versante naturale, a causa
della maggiore pendenza e delle caratteristiche del terreno (poco compatto con
forte presenza di materiale organico) che è anche più facilmente erodibile perché
privo di copertura vegetale;
• la maggior probabilità di saturazione della scarpata di valle, a causa della cattiva
gestione del deflusso superficiale che vi si riversa;

1
• la diversione dei piccoli impluvi, dovuta all’inadeguatezza e soprattutto
all’inefficienza dei manufatti idraulici (Donald et al., 1996; Furniss et al., 1997) che
fa sì che il deflusso si riversi dapprima sulla sede stradale e poi sulla scarpata di
valle, determinandone l’erosione o la saturazione.

Il presente documento si pone l’obiettivo di riassumere le conoscenze relative ai rapporti


tra la stabilità dei versanti e viabilità agro-silvo-pastorale e di fornire elementi utili per una
corretta progettazione e realizzazione degli interventi sistematori maggiormente indicati in
tale contesto.
Per quanto riguarda la struttura del documento, esso può essere idealmente diviso in due
parti: la prima è di carattere prevalentemente metodologico e richiama i principi di stabilità
dei versanti con riferimento alle tipologie di dissesto, alla loro attività, alle possibili cause
d’innesco, per concludere con una rassegna dei più comuni dissesti associati alla
realizzazione delle strade agro-silvo-pastorali; la seconda è invece di carattere applicativo e
tratta degli elementi progettuali e realizzativi delle opere di sostegno e di rinforzo più
diffuse in ambito forestale, che consentono di prevenire fenomeni di dissesto lungo le
scarpate di valle e/o monte.

2
2 DISSESTI E VIABILITÀ FORESTALE

2.1 Introduzione
Le relazioni fra strade e territorio montano sono molto più intense di quanto si possa
pensare soprattutto in un territorio, quale quello lombardo, dove la natura dei terreni e del
clima portano a fenomeni di dissesto idrogeologico (in atto o potenziale) che risultano
spesso problematici rispetto alle esigenze di mobilità dell’uomo. L’abbandono del
territorio montano, inoltre, ha spesso contribuito ad alterare il già precario equilibrio tra
uomo e montagna, venendo meno l’attenta opera di vigilanza e di capillare e tempestivo
intervento eseguito sia dai proprietari, che dal personale degli Enti preposti. La
conseguenza di ciò è l’attivazione (o la riattivazione) di fenomeni gravitativi indesiderati
(frane, caduta massi e smottamenti di terreno) che risulta particolarmente accentuata in
concomitanza delle infrastrutture viarie in occasione degli eventi meteorici intensi.
Nel presente capitolo verranno richiamati i principi inerenti la stabilità dei versanti e delle
scarpate artificiali e descritte le principali forme che interessano la viabilità agro-silvo-
pastorale.

2.2 Instabilità di versante


2.2.1 Definizione
In accordo con Varnes (1978) con il termine frana s’intende un fenomeno naturale in cui,
sotto l’azione della forza di gravità, si verifica lungo una superficie definita un movimento
verso il basso o verso l’esterno del pendio, del materiale (roccia, terreno, rinterri, ecc.) che
costituisce il versante (naturale o artificiale). Tali fenomeni vengono comunemente definiti
anche come movimenti in massa, cioè movimenti di versante che si realizzano sotto
l’influenza della gravità e senza un vero mezzo di trasporto; a questo termine può essere
opposto quello di trasporto in massa, ossia di materiale trasportato (sempre a causa della
gravità) in un mezzo di movimento, come ad esempio l’acqua (Crosta, 2001).
2.2.2 Tipologie di movimento
La distinzione in diversi tipi di movimento secondo cui può avvenire una frana costituisce,
oltre che un comune e affermato sistema di classificazione, un punto di partenza sia per la
scelta del modello di analisi di stabilità, sia per la programmazione d’indagini specifiche,
sia per l’individuazione delle tecniche sistematorie più opportune.

3
Tabella I– Tipologia dei movimenti franosi (modificato da: Varnes, 1978).
TIPO DI MATERIALE
TIPO DI MOVIMENTO
terra (earth) detrito (debris) roccia (rock)
crolli (falls) crollo di terra crollo di detrito crollo di roccia
ribaltamenti (topples) ribaltamenti di ribaltamenti di ribaltamenti di
terra detrito roccia
scivolamenti scivolamenti scivolamenti
rotazionali rotazionali di rotazionali di rotazionali di
scivolamenti terra detrito roccia
(slides) scivolamenti scivolamenti scivolamenti
traslativi traslazionali di traslazionali di traslazionali di
terra detrito roccia
espandimenti laterali espandimenti espandimenti espandimenti
(lateral spreads) laterali di terra laterali di detrito laterali di roccia
colamenti o flussi (flows) colata di terra colata di detrito flusso in roccia
frane complesse (complex) combinazione di due o più tipi di movimento
La classificazione dei fenomeni franosi più nota ed utilizzata è senza dubbio quella di
Varnes (1978), riportata in Tabella I; di seguito si riportano le definizioni relative alle
diverse tipologie di fenomeno:

Crolli: movimenti di una massa di dimensioni variabili che si stacca da una parete lungo
una superficie con minimo spostamento di taglio e procede per caduta libera, rimbalzi,
rotolamento e talora scivolamento (Figura 1a). Il movimento è molto rapido od
estremamente rapido e normalmente il pendio da cui ha origine il crollo è fortemente
inclinato (> 70°).
Ribaltamenti: movimenti per rotazione verso l’esterno del pendio in genere di elementi
rocciosi attorno ad un punto di rotazione situato al di sotto del baricentro della massa
interessata, per azione della gravità, di fluidi e/o di sollecitazioni sismiche.
Scivolamenti: spostamenti a blocchi multipli o a blocco singolo intatto per scorrimento
lungo una o più superfici di rottura o lungo una zona di limitato spessore soggetta a intense
deformazioni di taglio. Nel caso di scivolamenti rotazionali (Figura 1b) la superficie di
rottura è curva e concava verso l’alto; essi sono dovuti a forze che producono quindi un
movimento di rotazione attorno ad un punto situato al di sopra del centro di gravità della
massa. Gli scivolamenti traslazionali (Figura 1c) si verificano, invece, in prevalenza
lungo una superficie piana o debolmente ondulata che corrisponde spesso a discontinuità
geologico-strutturali come piani di faglia o di strato e fratture maggiori, oppure lungo
superfici di contatto tra substrato roccioso e copertura di terreno.

4
profilo a V e lasciano depositi laterali. Le colate in terra o fango (earthflow e mudflow)
coinvolgono in genere materiali fini, con morfologie variabili in funzione del contenuto
d’acqua, ma generalmente presentano una forma stretta e allungata con una zona di
svuotamento prevalente a monte e con lobo di accumulo al piede, mentre la zona
intermedia è caratterizzata da un settore più o meno incanalato (Crosta, 2001).
Frane complesse: la definizione di frana complessa è stata proposta e impiegata più volte
con significati differenti e quindi diverse tipologie di fenomeno sono state classificate in
tale gruppo. Varnes (1978), ad esempio, intende con tale termine il movimento di una
massa risultante dalla combinazione di una o più tipologie di movimento sia in settori
diversi (suddivisione spaziale) sia in fasi diverse di sviluppo del movimento stesso
(suddivisione temporale), mentre per frane composite intende quelle in cui la superficie di
movimento è formata dalla combinazione di elementi piani e curvi. Secondo le indicazioni
del Working Party on World Lanslide Inventory (WP/WLI 1993, 1994) le frane composite
prevedono invece la combinazione simultanea di più tipologie di movimento.
2.2.3 Attività
Nell’ambito degli studi relativi alla stabilità dei versanti è fondamentale, oltre
all’individuazione della tipologia del fenomeno, anche la valutazione dello stato
d’attività, stile e distribuzione dell'attività del movimento (WP\WLI, 1993, 1994).
Senza entrare nel dettaglio, di seguito vengono trattati alcuni aspetti riguardanti lo stato di
attività di una frana, mentre per quanto riguarda lo stile e la distribuzione di attività se ne
danno solo le definizioni rimandando a testi specialistici per un approfondimento.
Lo stato di attività descrive le informazioni disponibili circa il momento in cui si è
realizzato il movimento ed è quindi utile per prevedere il tipo di evoluzione temporale; il
fenomeno può quindi essere distinto in:
• Attivo: se attualmente in movimento, ossia se al momento dell’osservazione o
dell’esecuzione dello studio si sono rilevati indizi di movimento
• Sospeso: se mossasi nell’ultimo ciclo stagionale ma non è attualmente attiva
• Riattivato: se attiva dopo essere stata inattiva
• Inattivo: se mossasi per l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale. Può dividersi
inoltre secondo le classi seguenti:
o Quiescente: quando inattiva ma riattivabile dalle sue cause originali tuttora
esistenti

6
o Naturalmente stabilizzato: se inattiva e non più influenzata dalle sue cause
originali
o Artificialmente stabilizzato: se inattiva e protetta dalle cause originali tramite
misure di stabilizzazione di origine antropica
o Relitto: se inattiva e sviluppatasi in condizioni morfologiche e climatiche
considerevolmente diverse dalle attuali. Sinonimi di relitta ritrovabili in
letteratura sono antica, fossile e paleofrana
Lo stile di attività descrive il modo con cui i diversi meccanismi di movimento
contribuiscano alla frana in esame.
La distribuzione di attività, infine, descrive il modo in cui la frana si sta evolvendo o
muovendo, e quindi fornisce informazioni circa l’evoluzione spaziale del dissesto.
Risulta inoltre evidente come lo stato di attività influenzi notevolmente qualsiasi analisi del
rischio di frana, influenzando l’intensità del fenomeno di instabilità e, di conseguenza,
sono state proposte diverse classificazioni riguardanti la velocità di movimento (Tabella
II).

Tabella II: scala dell’intensità delle frane in base alla velocità


Varnes (1978) Cruden e Varnes (1994) Hungr
(1981)
mm/s classe descrizione mm/s mm/s
3 m/s 3*103 VII estremamente 5 m/s 5*103 1.1*103
rapido
0.3 m/min 5*100 VI molto rapido 3 m/min. 50
1.5 m/g 17*10-3 V rapido 1.8 m/h 0.5
1.5 m/mese 0.6*10-3 IV moderato 13 m/mese 5*10-3 3.5*10-3
1.5 m/anno 48*10-6 III lento 16 m/a 5*10-5 3.5*10-5
0.06 m/anno 1.*10-6 II molto lento 16 mm/a 0.5*10-6
I estremamente
lento

In particolare, la scala di Cruden e Varnes (1994) comprende anche una classificazione


dell’intensità del fenomeno franoso sulla base dei danni attesi per le classi di velocità
individuate (Tabella III)

7
Tabella III: classificazione di Cruden e Varnes (1994)

CLASSE DESCRIZIONE
VII Edifici distrutti per impatto del materiale; qualsiasi tentativo di porsi in salvo
è impossibile; catastrofe di eccezionale violenza
VI perdita di alcune vite umane, l'evacuazione completa della popolazione è
impossibile
V l'evacuazione della popolazione è possibile, distruzione di immobili ed
installazioni permanenti
IV possibile mantenimento di strutture temporanee o poco danneggiabili
possibilità di intraprendere lavori di rinforzo e restauro durante il movimento;
III strutture meno danneggiabili e mantenibili con frequenti lavori di rinforzo,
salvo accelerazioni del movimento
II alcune strutture permanenti possono essere danneggiate dal movimento
I movimento impercettibile senza monitoraggio; costruzione edifici possibile
con precauzioni
2.2.4 Cause delle frane
L’identificazione, la classificazione, l’analisi di un fenomeno franoso sono fortemente
influenzate dal riconoscimento dei fattori che ne controllano il processo, e in particolare
delle cause predisponenti e innescanti (Sowers e Sowers, 1970). Le cause principali dei
movimenti franosi sono da ascrivere a fattori tettonici (storia tettonica e neotettonica,
sismicità), litologici (composizione, tessitura, alterazione dei materiali), morfologici
(topografia e morfometria dei versanti), idrogeologici (idrografia, drenaggio,
caratteristiche delle falde acquifere), meteorologici (condizioni climatiche generali),
pedologici (tipo di suolo), antropici (azioni dell’uomo che influenzano l’equilibrio del
versante).
Tali fattori si ripercuotono in termini di forze agenti sul versante, sforzi di taglio che
agiscono in senso destabilizzante e resistenza al taglio che agisce in senso stabilizzante e
possono essere distinti in due gruppi: fattori che aumentano le tensioni di taglio e fattori
che riducono la resistenza al taglio (Tabella IV).
2.2.5 Ruolo dell’acqua nell’instabilità di versante
Da quanto precedentemente illustrato l’acqua rappresenta un fattore dominante
nell’instabilità di versante e in particolare nell’innesco dei movimenti franosi, come del
resto è evidente anche dalla concomitanza tra frane ed eventi meteorici caratterizzati da
precipitazioni abbondanti e/o intense. La presenza dell’acqua nel terreno può essere dovuta
a fenomeni di tipo differente quali la presenza di falde sotterranee o sospese, l’umidità del
terreno nella zona non satura, il deflusso superficiale e sottosuperficiale, l’acqua di

8
idratazione dei minerali. In tali fenomeni può essere rilevante, oltre alle condizioni
climatiche (entità e caratteristiche spazio-temporali delle precipitazioni) ed al regime
idrologico, anche l’azione dell’uomo in termini di gestione delle acque superficiali e
sottosuperficiali (presenza e gestione di invasi naturali e/o artificiali, perdite dai
sottoservizi o serbatoi e gestione del deflusso in corrispondenza della rete viaria).

2.3 Instabilità dei pendii artificiali


I pendii artificiali possono essere realizzati tramite scavo (trincee), riporto (rilevati), o
scavo e parziale riporto sopra la topografia preesistente (il caso più frequente nelle strade
Agro-Silvo-Pastorali) e possono essere realizzati con materiale naturale (terreno di scavo)
o artificiale (inerti, rifiuti vari, ecc.) disposto senza tecniche particolari, con tecniche
semplici (compattazione), o rinforzato (terre rinforzate), con appoggio diretto sulla vecchia
topografia o su una topografia modificata (Crosta, 2001).
Nel caso di scarpate realizzate in scavo su terreno naturale, chiaramente, vale quanto
esposto in precedenza per i pendii naturali, anche se per essi nello studio dei problemi di
stabilità si dovrà prestare particolare attenzione ad alcuni fattori che possono influenzare la
tipologia delle superfici di rottura; tra essi ricordiamo:
• la struttura dell’opera (geometria, eterogeneità, anisotropia, ecc.);
• il metodo e i tempi di esecuzione;
• le caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali impiegati nella realizzazione;
• le caratteristiche dei terreni di fondazione;
• le tipologie degli eventuali elementi di rinforzo (geometria, posizione, resistenza, ecc.);
• le condizioni idrauliche e idrogeologiche dell’area.
Per quanto riguarda la viabilità minore, i dissesti possono essenzialmente riguardare la
scarpata di monte e quella di valle. Per quest’ultima, secondo Gray e Sotir (1996), i
fenomeni più comuni si originano dal materiale di riporto e sono caratterizzati da
movimenti più o meno superficiali lungo superfici approssimativamente planari,
essenzialmente secondo tre diverse modalità:
• una prima tipologia è quella in cui si ha uno scivolamento superficiale del margine
esterno del riporto. Si tratta di una sorta di scivolamento traslazionale, che può essere
analizzato attraverso il metodo del “pendio indefinito”, in quanto lo spessore della
massa instabile è molto inferiore alla lunghezza del riporto stesso (Gonsior e Gardner,
1971, suggeriscono un valore minimo del rapporto “lunghezza/spessore” pari a 20);

9
Tabella IV: fattori che governano la stabilità dei versanti (in evidenza i fattori che
maggiormente interessano la viabilità agro-silvo-pastorale)
erosione glaciale, fluviale, marina
FATTORI CHE AUMENTANO GLI SFORZI DI TAGLIO

Rimozione del frane che modificano la topografia del versante


supporto laterale azioni antropiche: strade, cave, scavo/riporto, canali,
ecc.
sottoescavazione fluviale
Rimozione del alterazione ed erosione “sotterranea” di rocce solubili o
supporto sottostante materiali argillosi
estrazione mineraria
naturale (precipitazioni solide e/o liquide; accumulo di
detrito di versante; vegetazione; pressioni di filtrazione)
Sovraccarico antropico (es.: rinterri e rilevati; discariche; peso di
strutture varie e/o mezzi meccanici; perdite di acqua dai
sottoservizi)
spinta idrostatica dell’acqua in fratture o cavità
spinta dovuta alla presenza di ghiaccio nelle fratture
Spinta laterale effetto del vento
rigonfiamento per fenomeni di idratazione delle argille,
dei gessi o di anidrite
movimenti positivi o negativi dei versanti in seguito a
variazioni di pressione nella camera magmatica
Processi vulcanici terremoti con collasso della colonna eruttiva
intrusione di dicchi
esplosioni freatomagmatiche
terremoti
Sforzi transitori
vibrazioni (es.: esplosivi, transito mezzi, ecc.)
Tettonica regionale
rammollimento delle argille fessurate
Processi essicazione delle argille
FATTORI CHE CAUSANO UNA

d’alterazione fisico- migrazione delle acque verso il fronte di saturazione


RESISTENZA AL TAGLIO

chimica disintegrazione fisica di rocce granulari


DIMINUZIONE DELLA

idratazione di minerali
Variazione delle immersione in acqua totale o parziale del versante
forze intergranulari
per contenuto
d’acqua e pressione
nei pori e/ o nelle
fratture
Variazioni nella fessurazione
struttura rimaneggiamento di materiali strutturati
riduzione dell’azione delle radici
Disboscamento
riduzione dell’evapotraspirazione
perdita progressiva di resistenza per creep
Altre cause presenza di tane di animali
...
10
• una seconda tipologia di rottura prevede lo scivolamento dell’intera massa riportata,
lungo il contatto con la superficie naturale del pendio (sia essa costituita da depositi
superficiali o da roccia in posto). Tale fenomenologia è comune secondo gli Autori nel
caso di riporti costituiti da materiale sciolto, semplicemente accatastato a valle e non
costipato, lungo pendii ripidi, come nel caso delle strade realizzate attraverso la
consueta tecnica “scavo-riporto”); in tale caso risulta maggiormente appropriata più
appropriata l’analisi di stabilità secondo il metodo dello “scivolamento a cuneo” (cfr.
Appendice 1);
• una terza tipologia, infine, è costituita dai dissesti più complessi che finiscono per
interessare il materiale posto al di sotto del riporto; in questi casi la superficie di
scivolamento può essere anche più profonda del contatto riporto-versante e presentare
forme articolate. In queste situazioni si consiglia di eseguire tutte le verifiche del caso
(ad esempio attraverso il “metodo dei conci”; cfr. Appendice 1), ipotizzando una serie
di superfici di scivolamento curve, al fine di individuare la più critica, e prevedere la
realizzazione di opere accessorie di sostegno del versante.

2.4 Tipologie di dissesto più frequenti nell’ambito della viabilità agro-


silvo-pastorale
La presenza di una strada agro-silvo-pastorale, come precedentemente accennato,
comporta una serie di alterazioni che interessano la geometria del versante, la dinamica
della circolazione idrica e le caratteristiche del substrato (Bischetti, 2005). Queste incidono
direttamente sui fattori che regolano la stabilità sia del versante naturale, che delle scarpate
che si formano con la realizzazione della strada, aumentando la probabilità d’innesco di
alcune tipologie di dissesti.
In particolare si può avere il collasso della scarpata o del versante a monte
dell’infrastruttura (Figura 2A), il cedimento della scarpata di riporto (spesso non rinforzata
con adeguate opere di sostegno; Figura 2B), erosione o deposito di materiale solido in
corrispondenza degli impluvi che convogliano colate detritiche originatesi nel tratto di
monte dell’impluvio stesso (Figura 2C).
Una delle cause del cedimento della scarpata di valle è sicuramente l’aumento del
contenuto idrico causato dall’alterazione del naturale percorso dell’acqua o, molto più
spesso, dalla deviazione del deflusso inalveato (ad esempio a causa dell’inefficienza del
manufatto realizzato per il suo attraversamento) che una volta arrivato sulla sede stradale la

11
segue fino a sfociare su una
porzione di versante non
C
protetta (Figura 3). Si tenga
presente che questo tipo di
fenomeno è molto spesso la
A
fonte primaria di detrito e la
B causa principale di cedimento
delle strade agro-silvo-
pastorali (Furniss et al.,
1997); le conseguenze della
Figura 2: Principali dissesti che possono verificarsi lungo
una strada forestale: A) frana lungo la scarpata di scavo diversione e del successivo
(“cutslope slide”); B) frana che ha interessato la scarpata deflusso sul versante non
di riporto (“fillslope slide”); C) colata detritica che
attraversa la strada in corrispondenza di un impluvio. protetto, infatti, consistono
nell’incisione di un nuovo
canale che rimane instabile per un periodo più o
meno lungo, nell’innesco di franamenti che
evolvono in colate detritiche che si riversano a valle
nella rete idrografica o su tratti sottostanti della
strada con un effetto cascata.
In ogni caso, l’interazione tra le strade e i fenomeni
di dissesto può modificare la magnitudo e la
direzione del deflusso superficiale e delle colate
detritiche e può facilitare il passaggio da semplice
deflusso a colata di detriti e materiale vegetale,
causando notevoli danni alle infrastrutture.

2.5 Valutazione della stabilità dei


Figura 3: effetto della diversione di
un corso d’acqua (da Furniss et al., versanti
1997) La valutazione della stabilità di un versante, sia esso
naturale o artificiale, è tesa a verificarne le condizioni di sicurezza in senso globale. A tal
fine è possibile ricorrere a diversi metodi, tra cui i metodi per l’equilibrio limite (per
valutare la rottura o lo stato limite) e i metodi numerici (differenze finite, elementi finiti,

12
ecc.) per la valutazione dei limiti di funzionalità delle strutture naturali o non (Crosta,
2001).
L’analisi della stabilità globale di un versante effettuata tramite l’applicazione dei metodi
dell’equilibrio limite, in genere, ha come risultato il calcolo di un fattore di sicurezza. I
metodi dell’equilibrio limite, infatti, risolvono il problema dell’equilibrio globale della
massa di terreno delimitato dalla superficie di rottura e inteso come corpo rigido; essi si
basano sulle seguenti ipotesi:
• si assume un meccanismo di rottura specifico (reale per frane avvenute, potenziale -la
più critica- per frane temute);
• il criterio di rottura è in genere assunto lineare e solitamente è quello di Mohr-
Coulomb:
τ = c ' + σ ' tanφ ' [1]

che intoduce due parametri principali di resistenza (coesione, c’, e angolo di resistenza
al teglio, φ’) e fa uso della componente normale dello sforzo agente sul piano di
rottura;
• il materiale è assunto rigido perfettamente plastico;
• non sono considerati gli sforzi interni ai singoli blocchi assunti rigidi;
• i metodi devono risultare versatili nel consentire analisi con superfici di tipo diverso,
terreni eterogenei e condizioni idrauliche differenti;
• il valore della resistenza al taglio mobilizzata o necessaria all’equilibrio è rapportata a
quella disponibile a meno di un determinato fattore di sicurezza (FS), ossia:
τf
FS = [2]
τ mob
• il fattore di sicurezza è uniforme lungo la superficie di scorrimento, ossia la medesima
percentuale di resistenza al taglio è mobilitata sull’intera superficie di scorrimento e lo
stesso fattore di sicurezza è applicato ad entrambi i termini di resistenza:
c' tanφ '
τf = +σ ' [3]
FS FS
All’equilibrio si ha τf =τmob (cioè FS = 1) ed i pendii per cui FS>1 potrebbero essere
considerati in linea di principio stabili. In realtà occorre tenere conto dell’incertezza
introdotta dalle ipotesi semplificatrici degli schemi di calcolo e soprattutto dell’incertezza e
dell’elevata variabilità spaziale che caratterizza i parametri geotecnici. Nella prassi

13
applicativa, di conseguenza, vengono considerati stabili i versanti in cui la resistenza al
taglio supera le tensioni di taglio di una certa quota; secondo la normativa geotecnica
vigente (D.M. 11/3/1988) tale quota è fissata nel 30 % ed il progettista è tenuto a verificare
o garantire un FS ≥ 1.3 per:
• fronti di scavo in terreni omogenei;
• rilevati stradali di tutti i tipi;
• pendii naturali interessati da lavori di qualsiasi tipo.
Valori diversi (ma sempre maggiori di 1.3) possono essere giustificati, caso per caso,
tenendo conto della complessità geologica e dell'importanza dell'opera.
Per quanto riguarda invece i versanti naturali, la scelta è lasciata direttamente al
progettista, ossia in funzione delle condizioni locali e ambientali, delle caratteristiche dei
materiali, del rischio connesso, ecc., sarà possibile determinare un fattore di sicurezza
significativo.
In relazione ai valori del fattore di sicurezza, si possono perciò distinguere tre casi:
• FS < 1 : il pendio si trova in condizioni di instabilità globale;
• 1 ≤ FS ≤ 1.3 : il pendio si trova in condizioni prossime all’equilibrio limite, anche un
piccolo incremento degli sforzi tangenziali o una riduzione delle resistenze al taglio
sulla superficie potenziale di rottura può innescare un fenomeno franoso;
• FS > 1.3 : il pendio si trova in condizioni di stabilità globale.
I metodi che fanno riferimento al principio dell’equilibrio limite possono a loro volta
essere distinti in lineari e non lineari.
I metodi lineari dell’equilibrio limite sono di uso semplice poiché per essi esiste
un’equazione lineare per il calcolo di FS (Nash, 1987). I casi che possono essere analizzati
con i metodi di tipo lineare sono quelli del pendio indefinito, dell’analisi “φu = 0”, del
metodo ordinario dei conci, dello scivolamento di blocco o cuneo, del ribaltamento (gli
ultimi due sono generalmente adatti a problemi di instabilità in roccia).
Poiché il pendio non sempre è omogeneo e possono sussistere condizioni di flusso non
facilmente schematizzabili, per un’analisi in condizioni drenate è indispensabile far ricorso
a metodi che suddividono la massa interessata da un movimento in un numero conveniente
di conci, in modo da valutare in diversi punti lungo la superficie di rottura gli sforzi
efficaci. Tuttavia in questi approcci di calcolo molte delle forze in gioco non sono note

14
all’inizio dell’analisi per cui si devono introdurre ipotesi che portano a soluzioni di tipo
non lineare.
Alcuni dei metodi, lineari e non lineari, d’interesse per la viabilità agro-silvo-pastorale
sono illustrati in Appendice 1.

2.6 Identificazione delle aree suscettive d’instabilità


Nell’ambito della progettazione e della realizzazione della viabilità agro-silvo-pastorale il
riconoscimento delle aree o dei punti suscettivi d’instabilità costituisce un elemento di
primaria importanza sia per la sicurezza del transito, sia per la funzionalità e la durata
dell’infrastruttura. Evitare l’attraversamento di aree caratterizzate da un’instabilità in atto o
potenziale, infatti, costituisce il primo e fondamentale metodo per non dover effettuare
interventi di stabilizzazione in fase di realizzazione o fine lavori; sebbene tale
considerazione appaia del tutto ovvia, nella realtà non è quasi mai tenuta in debito conto
durante le fasi di pianificazione della viabilità agro-silvo-pastorale, che dovrebbe essere
proprio il momento più adatto per recuperare tutte le informazioni disponibili per l’area in
esame sottoforma di carte di base e tematiche (topografia, geolitologia, geomorfologia,
pedologia, uso del suolo, idrologia, ecc.), di inventario dei dissesti idrogeologici
(cartografia e schede frane), di fotografie aeree, di studi e rapporti specialistici. A tale
proposito, negli ultimi anni la Regione Lombardia ha pubblicato un certo numero di
monografie sui dissesti idrogeologici, riferite a zone specifiche del territorio lombardo, tra
cui ricordiamo:
• Cartografia geoambientale (in scala 1:10.000);
• Carte del Censimento dei Dissesti della Regione Lombardia (in scala 1:25.000);
• Atlanti dei Centri Abitati Instabili (nell’ambito del progetto SCAI);
• Atlante dei Conoidi (in corso di allestimento);
• Carte Inventario delle Frane e dei Dissesti Idrogeologici della Regione Lombardia (in
scala 1:10.000).
Le considerazioni che possono essere tratte dall’analisi della documentazione reperita, non
devono prescindere dall’affidabilità, dall’aggiornamento e, nel caso delle carte, dalla scala
di rilevamento e di restituzione; nel caso in cui dalla documentazione emergesse una anche
moderata suscettività d’instabilità (in atto o potenziale) delle aree interessate
dall’infrastruttura, diviene quanto mai opportuno eseguire un sopralluogo con tecnici
competenti.

15
Anche nel caso in cui la documentazione disponibile per la zona non presenti elementi di
preoccupazione è bene, sia nel corso dei sopralluoghi per la definizione del tracciato, sia
durante la realizzazione delle infrastrutture, prestare attenzione ad alcuni semplici
indicatori di instabilità che sono di seguito richiamati:
• dissesti recenti che indicano una propensione al dissesto dell’area;
• erosioni o depositi di detrito sciolto o di materiale legnoso in concomitanza di impluvi
o alla base dei versanti che indicano il verificarsi di fenomeni di colate detritiche;
• fratture di trazione che indicano la presenza di movimenti in atto;
• segni di distacco recente da affioramenti rocciosi (sono costituiti da zone di colore più
chiaro) o da accumulo di detrito alla base del pendio;
• segni di saturazione ricorrente (dati da orizzonti di suolo grigiastri o macchie giallo-
rossastre);
• affioramenti di deflusso sottosuperficiale;
• depressioni del terreno sia nel senso della pendenza che trasversali, le prime indicano
una possibile scarpata di frana relitta o un punto di deflusso concentrato, le seconde
indicano una zona di concentrazione del deflusso sottosuperficiale;
• anomalie della rete di drenaggio superficiale;
• masse di terreno di forma irregolare più o meno lobata, rigonfiamenti lungo il versante
che indicano aree di accumulo;
• elementi rettilinei (strade, tubazioni, linee elettriche) traslati localmente o spezzati o
ribassati;
• presenza di vegetazione igrofila;
• piante eccessivamente inclinate o curvate (tronchi a J) che indicano un movimento
degli strati superficiali del terreno.
Qualora, anche durante la costruzione dell’infrastruttura si riscontrasse la presenza di
alcuni di questi caratteri e/o delle loro associazioni tipici delle aree in frana o suscettibili a
franare, occorre considerare la possibilità di cambiare il tracciato o se ciò non fosse
possibile, di intervenire con opere di sostegno e di rinforzo. Gli interventi eseguiti in fase
di costruzione, infatti, risultano sicuramente più efficaci ed economici (senza considerare
la sicurezza del transito), rispetto a quelli che andranno eseguiti a fronte di un fenomeno di
dissesto in atto.

16
3 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SEZIONI

3.1 Introduzione
La realizzazione di una strada che attraversa un versante comporta, come precedentemente
accennato, una serie di alterazioni alla geometria originaria del versante che possono essere
causa di successivi dissesti. In particolare, occorrerà prestare particolare attenzione ai
seguenti aspetti:
• avere cura che l’eventuale sbancamento non provochi il cedimento del versante a
monte e che la pendenza della relativa scarpata sia compatibile con le caratteristiche
del materiale e le condizioni idrologiche (ricorrendo eventualmente alla realizzazione
di opere di rinforzo o di sostegno);
• avere cura che la scarpata di valle garantisca la stabilità del versante anche in
condizioni di eventi meteorici intensi, evitando un eccessivo appesantimento del
versante dovuto al peso del materiale e soprattutto all’eccesso idrico ed evitando il
rischio di diversioni degli impluvi (cfr. § 2.4).
Dal punto di vista progettuale e costruttivo si tratta di realizzare scarpate di pendenza
compatibile con le caratteristiche del materiale, di utilizzare tecniche costruttive adeguate e
di gestire adeguatamente il deflusso superficiale e sottosuperficiale.

3.2 Tecniche costruttive


Una delle cause più diffuse di dissesti legati alla viabilità agro-silvo-pastorale è costituita
dal sovraccarico del riporto che costituisce la scarpata di valle (Chatwin et al., 1994) e
soprattutto in concomitanza di un elevato contenuto d’acqua, dovuto alla pendenza del
piano stradale verso valle o da un’inefficace gestione del deflusso.
Le strade agro-silvo-pastorali che attraversano un versante possono essere realizzate
seguendo differenti tecniche costruttive; in genere, questo tipo di strade vengono realizzate
secondo il principio della compensazione tra scavi e riporti (Bortoli, 1982; Mazzalai,
1984), mentre dal punto di vista della stabilità andrebbe adottato lo schema più adeguato
alle caratteristiche di ciascuna sezione. Nei paragrafi seguenti vengono illustrati sia lo
schema della compensazione tra scavo e riporto, sia alcuni metodi poco utilizzati in Italia
ma che andrebbero presi in considerazione nelle situazioni particolarmente problematiche.

17
3.2.1 Compensazione scavo-riporto
Il metodo prevede di eseguire una prima
pista per l’avanzamento dell’escavatore
che verrà poi progressivamente allargata
realizzando in scavo la scarpata di monte
e con riporto quella di valle (Figura 4). Il
materiale più superficiale è bene sia
accantonato per poter essere utilizzato per
la finitura delle scarpate; il terreno più
Figura 4: compensazione scavo-riporto
grossolano può essere invece utilizzato
per realizzare un’“unghia” che consenta il
deposito del materiale derivante dallo
scavo (riducendo il rotolamento di
materiale a valle) e sia di supporto per la
scarpata di riporto (Figura 5). L’utilizzo
di piante messe di traverso per ancorare il
materiale, suggerito in diversi manuali di
origine statunitense, è una soluzione

Figura 5: realizzazione dell’unghia di valle valida solo per tracciati temporanei, in


quanto dopo 5÷7 anni il legname non è
più in grado di esercitare una funzione di supporto (Chatwin et al., 1994). La scarpata di
valle, infine, deve essere adeguatamente compattata al fine di aumentarne la resistenza al
taglio.
Il materiale grossolano derivante dallo scavo della scarpata di monte può essere utilizzato
anche per la realizzazione dello strato di base della sede viaria.
Al fine di ridurre la possibilità di scivolamento della scarpata di valle, in generale, occorre
limitare il più possibile la quantità di materiale riportato sul versante di valle; tale quantità
è legata alla larghezza della strada ed alla pendenza del versante. Per una larghezza del
riporto di 1.5 m, infatti, passando da una pendenza del versante del 50% al 70% il volume
del materiale depositato sul versante di valle raddoppia e per una pendenza del 50%
passando da una larghezza del riporto da 1.5 a 2 m il volume aumenta del 50%.
Per quanto riguarda le pendenze limite che possono essere assegnate alla scarpata di valle,
Chatwin et al. (1994) indicano 55-60% (circa 30°), tali valori si riducono drasticamente
18
quando il grado di saturazione della scarpata aumenta per l’inefficienza del sistema di
drenaggio. Tali indicazioni sono anche confermate dalle analisi condotte secondo lo
schema del cuneo (cfr. Appendice 1 (Bassi, 2002).
3.2.2 Riporto parziale
Questo tipo di schema viene utilizzato
su pendenze elevate, superiori al 60%,
dove il materiale proveniente dallo
scavo e riversato sul versante di valle
non riesce a formare un cuneo
sufficientemente stabile, ma solamente
uno strato di terreno che si prolunga sul
versante fino ad una variazione di
pendenza o a ridosso di grossi massi o Figura 6: schema di realizzazione con riporto
ceppaie; in quest’ultimo caso, tuttavia, parziale
occorre avere cura che non si formino zone con pendenze eccessive, in quanto massi e
ceppaie non garantiscono la stabilità sul lungo periodo. Lo scavo della banchina nel terreno
naturale raggiunge i ¾ della larghezza dell’intera strada.
Secondo Chatwin et al. (1994), questa soluzione è attuabile solamente in presenza di
materiale grossolano, mentre è da evitare in terreni a tessitura fine.
3.2.3 Scavo
Il metodo prevede la realizzazione della sede
stradale interamente in scavo (Figura 7) e
viene utilizzato quando le caratteristiche del
materiale e/o le pendenze in gioco non
garantiscono la realizzazione di una seppur
minima scarpata di riporto. Il materiale di
scavo viene riversato sul versante di valle,
con un forte impatto sull’ambiente
Figura 7: realizzazione in scavo
circostante, oppure riutilizzato per proteggere
il fondo stradale altrove o portato dove non crea problemi richiedendo oneri aggiuntivi.
Questa soluzione è da evitare in presenza di un substrato instabile e in terreni a matrice fine
e di spessore elevato, dove può innescare movimenti profondi di tipo rotazionale anche
consistenti.
19
3.2.4 Rilevato
Questo schema prevede lo scavo di una
banchina interamente nel versante
naturale ed il deposito del materiale sul
tratto retrostante; in questo modo si viene
a creare un rilevato rispetto al versante
naturale (Figura 8). È una soluzione che
può essere attuata per evitare di riversare
il materiale sul versante di valle o di
Figura 8: realizzazione in rilevato doverlo trasportare altrove con costi
aggiuntivi.
Condizione indispensabile affinché questa soluzione non crei problemi è che il materiale
sia sufficientemente grossolano e drenante.
3.2.5 Gradonatura
Si tratta di realizzare una piccola
banchina completamente in scavo alcuni
metri sotto il piano stradale di progetto;
a causa del ridotto volume il materiale
può essere riversato sul versante senza
grossi problemi. Completata la prima
banchina, ci si muove verso monte
scavandone un’altra e riversando il
Figura 9: realizzazione con gradonatura materiale sulla prima banchina e così via
fino alla quota di progetto del piano stradale (Figura 9). È una buona soluzione per
ottenere un piano stradale stabile minimizzando la quantità di materiale riversato lungo il
versante; occorre però prestare molta attenzione al drenaggio per evitare la saturazione
della scarpata di valle. Le banchine interposte tra i gradoni dovranno pertanto essere
equipaggiate con canalette drenanti che intercettano le acque di dilavamento.
La costruzione di gradonature comporta indubbiamente un aumento delle attività e
conseguentemente un aumento dei costi di scavo, tuttavia può successivamente ridurre i
costi di manutenzione.

20
3.2.6 Attraversamento di frane
superficiali con meccanismo
rotazionale
Nel caso in cui non sia possibile evitare
l’attraversamento di aree interessate da
un dissesto di tipo rotazionale, in atto o
potenziale, è possibile realizzare
l’infrastruttura minimizzando il rischio o
addirittura incrementando la stabilità del
versante (Chatwin et al., 1994). In Figura 10: alleggerimento della testata e
carico del piede di una frana potenziale
generale, infatti, su di una frana si può
nell’ambito della costruzione di una strada
agire caricandone il piede ed agro-silvo-pastorale mediante compensazione
sterri-riporti
alleggerendo la testata; nella costruzione
della strada scavi e riporti, quindi dovranno essere effettuati seguendo tale schema (Figura
10). Nel caso l’unico tracciato possibile vada ad interagire con dissesti estesi (Chatwin et
al., 1994), la strada dovrebbe attraversarne il piede minimizzando lo sbancamento ed
effettuando un riporto adeguato alla pendenza; qualora si debba invece attraversarne la
testata, occorre lavorare completamente in scavo evitando il riporto sul versante di valle
instabile. In nessun caso lo si deve attraversare nella porzione mediana.
Si sottolinea che una tale soluzione richiede tassativamente che la superficie di
scivolamento e le caratteristiche geomeccaniche siano correttamente identificate e
supportate da adeguate campagne di misura, e che la valutazione della stabilità sia eseguita
da parte di tecnici specializzati con comprovata esperienza nel settore.

3.3 Pendenza delle scarpate


Per scarpata s’intende la superficie di raccordo tra il solido stradale e il terreno naturale. La
progettazione di un fronte di scavo ha come scopo quello di determinare un’altezza e
un’inclinazione media del fronte tale da garantire, nel rispetto delle esigenze economiche
in fase di realizzazione, la stabilità dello scavo per un previsto periodo di tempo.
In generale, le scarpate hanno pendenza unica che dipende da molteplici fattori quali le
caratteristiche del terreno/roccia, la stabilità geotecnica, la presenza o meno di acqua sia in
superficie che nel sottosuolo, gli interventi di consolidamento previsti, la possibilità di
erosione e i problemi d’impatto ambientale.

21
La normativa nazionale per le strade “civili” (C.N.R., 1980) e per scarpate d’altezza non
elevate (intorno ai 3 metri) dà alcune indicazioni di massima, consigliando pendenze non
superiori ad 1:5. Quando per motivi pratici tale pendenza non risulti adottabile, e
comunque per altezze maggiori di 3 metri, diventa più conveniente arrivare gradatamente a
pendenze di 2:3, realizzando contemporaneamente opere di contenimento del terreno e di
drenaggio. Volendo affrontare l’argomento con un maggior dettaglio, occorre innanzitutto
differenziare la pendenza da assegnare alle scarpate in funzione del tipo di “substrato” in
cui si realizza lo scavo, distinguendo tra scarpate in roccia e scarpate in terreni.
3.3.1 Scarpate in roccia
Nelle situazioni di scavo in rocce compatte, non alterate e con modesta anisotropia
meccanica, in genere non si manifestano grossi problemi di stabilità per cui, in linea di
principio, sarebbe possibile adottare pendenze elevate, pressoché verticali. Tale soluzione,
sebbene minimizzi lo scavo, è sconsigliabile in termini di sicurezza del transito e di costi di
manutenzione; essa, infatti, può portare ad un degrado della scarpata più o meno rapido in
funzione del tipo di roccia e dell’intensità dei fenomeni atmosferici, con conseguente
caduta di elementi di varia grandezza sulla sede stradale. Per ovviare a tali inconvenienti è
buona norma assegnare alle scarpate pendenze minori di quelle strettamente richieste in
termini di stabilità; in generale, per altezze inferiori a 8-10 metri si può far riferimento ai
valori di massima riportati nella Tabella V. La letteratura, in ogni caso, riporta valori della
pendenza delle scarpate di scavo in roccia mai superiori ad un rapporto di 4 a 1 (76°). In
genere, inoltre, le scarpate di riporto si realizzeranno secondo un’inclinazione inferiore
rispetto a quelle di scavo.
Nel caso di rocce “tenere”, come ad esempio marne, conglomerati o argilloscisti, la tecnica
costruttiva può prevedere la realizzazione di una gradonatura che ha il vantaggio da un
lato, di minimizzare i rischi di cadute di massi e blocchi sulla strada, dall’altro di rallentare
e ridurre il degrado e l’erosione dell’ammasso roccioso, dovuti a fenomeni di dilavamento,
poiché il gradone dissipa l’energia della corrente.
Se lo scavo viene realizzato in rocce stratificate e fratturate (caso piuttosto frequente nella
pratica), possono verificarsi problemi di stabilità anche molto complessi in funzione delle
caratteristiche geomeccaniche dell’ammasso roccioso e delle caratteristiche delle
discontinuità presenti. Lo studio della stabilità in questi casi può diventare complesso, sia
per la quantità di informazioni geologiche necessarie, sia perché molto spesso la superficie
di distacco non può essere considerata piana. Per situazioni di questo tipo si raccomanda di
22
Tabella V: Valori medi delle pendenze di scarpate in roccia.
Legenda Carta Litologica Pendenza
Tipo di roccia Cartografia Geoambientale scarpata
Regione Lombardia1 (vert/orizz)
Rocce ignee IA, IB, EA, EB, FL 4/1 – 2/1
Rocce sedimentarie
arenarie e calcari massicci Ac, As, Cm, Cn, Dm 4/1 – 2/1
rocce stratificate (orizzontali o a reggipoggio) Cs, Dm (se stratificata) 2/1 – 1.33/1
marne e argilliti Al, Fl, Am, Mc, Ss 1.33/1 – 1/1
Rocce metamorfiche
gneiss, scisti, serpentiniti, marmi GN, MQ, MC 4/1 – 2/1
ardesie, filladi FD 2/1 – 1.33/1
ricorrere a tecnici specializzati in grado di utilizzare una schematizzazione adeguata dei
problemi di stabilità dei pendii in roccia.

3.3.2 Scarpate in terreni


Quando lo scavo interessa i terreni sciolti, la pendenza della scarpata deve essere assegnata
in modo tale da garantire la stabilità del pendio con un opportuno coefficiente di sicurezza
(si ricorda che la normativa geotecnica in materia di pendii fissa il Fattore di Sicurezza
minimo nel valore di 1.3). Tralasciando qui ogni dettaglio circa i diversi metodi d’analisi di
stabilità dei pendii, vengono di seguito proposte alcune indicazioni di massima circa
l’inclinazione delle scarpate.
Nel caso in cui non siano disponibili studi specifici (per esempio relazioni geotecniche)
riguardanti la tipologia del terreno interessato dalle operazioni di scavo, di norma in Italia
la scarpata di monte si realizza con una pendenza di 1:1, anche se sono tuttavia possibili
inclinazioni maggiori sino a 3:2 sui terreni più stabili (di natura grossolana). Dovranno
invece essere ridotte a 2:3 per terreni fini coesivi, soprattutto in presenza di acque
sottosuperficiali. Nelle scarpate di riporto, il materiale può essere disposto secondo
l’angolo naturale di attrito interno (Bortoli, 1982).
Anche nella letteratura straniera i riferimenti relativi all’inclinazione delle scarpate sono
scarsi, soprattutto in relazione alla classificazione granulometrica del terreno interessato
dallo scavo. In Tabella VI si riportano i valori utilizzati in Canada e negli Stati Uniti
d’America, in funzione della granulometria del materiale.

1
Per una definizione particolareggiata delle litologie si rimanda all’Appendice 3.
23
Si noti che tali valori nell’ambiente italiano devono essere intesi come indicativi e
soprattutto, essi valgono per scarpate d’altezza inferiore a 3 metri. La fonte stessa della
tabella, inoltre, consiglia di ridurre le pendenze in corso d’opera, nel caso vi sia la presenza
di fratture di trazione di neoformazione (o a monte della scarpata o sulla superficie
stradale) o nel caso in cui insorgano fenomeni di instabilità lungo il pendio interessato
dall’opera.
Altri valori che oltre alla classificazione granulometrica del terreno fanno riferimento
anche alla sua origine sono riportati in Tabella VII, che fornisce anche l’indicazione di
alcuni parametri geotecnici utili per i principali impieghi dei materiali in ambito
ingegneristico.

Tabella VI: Linee guida per la pendenza delle scarpate di scavo e di riporto (modificato da
British Columbia Forest Code, 1995)
Scarpate di scavo Scarpate di riporto
materiale2 pendenza materiale pendenza
miscele di sabbia e ghiaia (GP) miscele di sabbia e
sabbie da sciolte ad addensate 1/1.5 ghiaia (GP)
(SW, SP) sabbie (SW, SP)
1/1.5
miscele di ghiaia,
sabbie limose (SM) 1/1 sabbia, limo
e argilla (GM, GC)
limi da addensati a molto
addensati 1/0.75
sino a cementati (ML) limi (ML, MH)
1/2.5
limi soffici, limi argillosi (MH) 1/1.5 argille (CL, CH)
argille limose (CL)
1/1
argille inorganiche (CH)

2
classificazione USCS (Unified Soil Classification System)riportata nell’Appendice 4.
24
Tabella VII: Proprietà fisico-meccaniche e indicazioni a scopo ingegneristico dei terreni
(da: Washington Division of Geology and Earth Resources Bulletin 78-1989, modificato)
classificazione Peso di angolo di coesione erodibilità capacità difficoltà inclinazione
volume resistenza relativa portante di scavo scarpata
origine USCS secco al taglio
3
g/cm ° kg/cm2 kg/ cm2 %
alluvionali
alta energia GW, GP, 1,85 - 2,10 30 - 35 0 bassa 0,75 – 1,00 bassa 50÷65
GM
bassa energia ML, SM, medio-
1,45 - 1,85 15 - 30 0 – 0,25 0,25 – 0,75 bassa 25÷50
SP, SW alta
glaciali
medio- medio-
till SM, ML 1,90 - 2,25 35 - 45 0,50 – 2,00 0,75 – 2,50 50÷100
bassa alta
fluvioglaciali GW, GP medio- medio-
1,85 - 2,10 30 - 40 0 – 0,50 0,75 – 1,50
SW,SP,SM bassa bassa 50÷70
glaciolacustri ML, medio-
1,60 - 1,90 30 - 40 0 – 1,50 0,50 – 1,00 media
SP,SM alta 25÷50
lacustri
inorganici ML, SM,
1,10 - 1,60 5,0 - 20 0 – 0,10 alta 0 – 0,25 bassa 0÷25
MH
organici
OL, PT 0,15 - 1,10 0 - 10 0 – 0,10 alta 0 – 0,25 bassa 0÷25

eolici
molto
loess ML, SM 1,25 - 1,60 20 - 30 0,25 – 0,50 0,25 – 0,50 bassa 25÷50
alta

25
4 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DELLE SEZIONI

4.1 Introduzione
Il principale modo per rendere stabili le sezioni che compongono la viabilità agro-silvo-
pastorale è, come precedentemente illustrato, quello di evitare di attraversare aree
potenzialmente instabili o peggio con dissesti in atto. Poiché ciò non è sempre possibile e
la precisa identificazione di tali aree non è né semplice, né scevra da incertezza, spesso ci
si trova a dover effettuare interventi di stabilizzazione in corso d’opera o su strade già
realizzate. Nel caso della viabilità agro-silvo-pastorale, gli interventi dovranno combinare
la sicurezza con l’economicità delle opere ed il ridotto impatto ambientale.
Gli interventi che possono essere realizzati in ambito agro-silvo-pastorale possono essere
essenzialmente suddivisi nei seguenti tipi:
• protezione del corpo stradale da caduta massi e franamenti:
la caduta massi è un fenomeno sottovalutato nell’ambito della viabilità agro-silvo-
pastorale anche se dal punto di vista del rischio per il transito rappresenta un evento
estremamente pericoloso, data anche la rapidità con cui si manifesta. Per questo motivo
è fondamentale in fase di realizzazione o di completamento dei lavori rimuovere gli
ammassi instabili di maggiore dimensione. Gli interventi di sistemazione sono costituiti
da interventi puntuali di disgaggio, effettuati mediante rimozione meccanica dei blocchi
rocciosi pericolanti, e da interventi di copertura e messa in sicurezza delle pendici di
monte, costituiti dalla posa in opera di reti metalliche tirantate e funi in acciaio; in taluni
casi può essere sufficiente la posa di stuoie e l’idrosemina. Le reti in aderenza, in
particolare, ben si adattano alla morfologia del territorio, costituiscono soluzione valida
ed economicamente poco onerosa pur necessitando di mano d’opera specializzata per la
manutenzione ordinaria e straordinaria;
• consolidamento delle scarpate di monte:
in generale, la stabilità delle scarpate di monte dipende dalla pendenza che viene loro
conferita durante la realizzazione del corpo stradale, in relazione al tipo di substrato ed
alla presenza di acqua. Talvolta le condizioni del versante attraversato richiedono di
realizzare scarpate con una pendenza che da sola non ne garantirebbe la stabilità con
ragionevole sicurezza; in tali casi, di conseguenza, occorre effettuare adeguati interventi
che contribuiscono da una parte a favorire lo smaltimento delle acque, dall’altra a
rinforzare o sostenere la scarpata stessa.
26
In tale situazione è essenziale la ricerca della provenienza delle acque superficiali e
d’infiltrazione e la loro regimazione che può essere conseguita mediante fossi di guardia
costruiti sul versante a monte della scarpata e sistemi di drenaggio superficiale,
sottosuperficiale e profondo. In taluni casi può essere necessario ricorrere al principio
del cuneo drenante ricostruendo la scarpata con materiale grossolano ad elevata capacità
drenante. Le opere di sostegno più indicate nell’ambito della viabilità agro-silvo-
pastorale sono le palificate, le gabbionate metalliche, i muri e/o le scogliere a secco,
limitando ai casi più critici la costruzione di muri in calcestruzzo o in cemento armato e
le terre rinforzate con elementi sintetici. Le opere di rinforzo e copertura possono essere
realizzate mediante gradonate, fascinate, inerbimento, geostuoie, ecc.;
• consolidamento delle scarpate a valle:
l’instabilità delle scarpate di valle si verifica nella maggior parte dei casi a causa del
sovraccarico del cuneo di riporto dovuto alle sue dimensioni ed alla presenza di acqua;
ulteriore causa d’instabilità è l’erosione dovuta al deflusso convogliato sulla scarpata
dal piano viario o dall’inefficienza del sistema di drenaggio. Un’ultima causa, seppure
meno frequente, è l’erosione spondale di corsi d’acqua fiancheggianti la strada stessa.
Gli interventi, in questo caso, consisteranno quindi in un’attenta progettazione,
esecuzione e manutenzione della rete di smaltimento dei deflussi provenienti dal piano
stradale e dagli impluvi (Bischetti, 2005), e in opere di sostegno e di rinforzo come per
la scarpata di monte.
Al fine di scongiurare invece le erosioni spondali è consigliato in molti casi procedere
alla costruzione di scogliere in materiale lapideo, oltre alla regimazione idraulica per
mezzo di briglie, soglie e pennelli.

4.2 Opere di drenaggio della scarpata

I metodi che possono essere applicati per migliorare le condizioni di drenaggio, sia
superficiale che profondo, e conseguentemente per migliorare le condizioni di stabilità di
una scarpata sono prioritari rispetto ad altri metodi di stabilizzazione, perché generalmente
producono sostanziali benefici a costi significativamente inferiori.
Nel presente paragrafo verranno illustrati i sistemi di drenaggio che interessano il corpo
della scarpata, mentre per i sistemi di drenaggio superficiale si rimanda a Bischetti (2005).
I drenaggi profondi potranno essere correttamente progettati e realizzati solamente dopo
aver effettuato studi idrologici ed idrogeologici in un intorno significativo dell’area, in
27
fini fino a 10-15 m in terreni sabbiosi (Chatwin et al., 1994).
4.2.3 Cuneo drenante
Si tratta di riempire il piede della scarpata con pietrame in modo da avere un duplice
effetto, da una parte viene favorito il drenaggio, dall’altra viene aumentato il carico alla
base della scarpata stessa. In genere per favorire il trattenimento del materiale grossolano
viene realizzata una grata viva, a sua volta fondata su una scogliera a secco o una palificata
(Figura 13).

4.3 Opere di sostegno


4.3.1 Generalità
Le opere di sostegno possono essere definite come strutture in grado di contenere e
contrastare le spinte esercitate da un fronte di terreno. In generale si distinguono in opere
rigide o flessibili, le seconde a differenza delle prime sono caratterizzate da una certa
deformabilità (Lancellotta, 1993). In entrambi i casi l’entità e la distribuzione delle azioni
che il terreno esercita sull’opera dipendono dall’entità e dalla tipologia di movimento che
la struttura manifesta e pertanto la determinazione di queste azioni richiede la risoluzione
di un problema legato all’interazione terreno-opera di sostegno. Nella totalità dei casi per
le opere rigide si ricorre a soluzioni di tipo approssimato (ad esempio quelle ricavabili con
il metodo “dell’equilibrio limite globale”), la cui validità applicativa è giustificata non
tanto dall’impostazione del problema fisico più o meno corretta, quanto dalle conferme che
le previsioni teoriche hanno avuto da osservazioni e sperimentazioni sul comportamento
delle strutture reali o in scala (Lancellotta, 1993; Lambe e Whitman, 1997).
In base ai materiali con cui vengono costruiti, si possono individuare diverse tipologie di
muro di sostegno: muri in cemento armato, in calcestruzzo, in malta e pietrame, cellulari
(“crib walls”), in pietrame a secco, misti in legno e pietrame (“palificate”), gabbionate,
terre rinforzate.
In ogni caso, fatta eccezione per i muri in cemento armato che consentono svariate
soluzioni costruttive tali da “alleggerire” l’intera struttura di sostegno, le tipologie sopra
elencate possono essere considerate a tutti gli effetti “muri a gravità” essendo opere
massicce e pesanti che si oppongo con il proprio peso alle sollecitazioni cui sono
sottoposte.
I muri di sostegno vengono utilizzati frequentemente per sostenere terrapieni e manufatti
quando, per esigenze costruttive o topografiche, non si riesca a dare ai terreni rimossi una

29
pendenza inferiore all’angolo di attrito del materiale. Tali opere trovano largo impiego
nell’ambito delle costruzioni stradali (ordinarie e agro-silvo-pastorali) lungo i versanti.
Nell’ambito della viabilità ordinaria e non, i muri di sostegno (indipendentemente dal
materiale con cui vengono realizzati) in base alla loro funzione possono essere distinti in
(Figura 14):
• muri di sostegno propriamente detti, che sostengono un rilevato raggiungendo in
genere il piano della carreggiata;
• muri di sottoscarpa, che pur sostenendo un rilevato non si sviluppano in altezza sino al
piano viabile, per cui tra tale piano e il muro di contenimento, in genere, il terreno si
dispone secondo la scarpata naturale;
• muri di controripa, destinati a limitare la scarpata di una trincea o di uno scavo,
sostengono cioè il terreno dalla parte verso monte.
Piano stradale

muro di sostegno muro di sottoscarpa muro di controripa

Figura 14: Tipologie di muro di contenimento.


Nei primi due casi l’opera, indipendentemente dalle sue caratteristiche costruttive, sarà
sottoposta sia all’azione della spinta delle terre del rilevato che dei carichi che transitano
sulla strada; i muri di controripa invece saranno, in linea di massima, sollecitati solo dalla
spinta delle terre. Da ciò risulta chiaro che forma e dimensioni di un’opera di sostegno
dipendono, oltre che dal materiale e dagli accorgimenti costruttivi che si intendono
adottare, da vari fattori relativi alla natura e condizioni dei terreni da contenere, nonché dai
sovraccarichi ammissibili sul piano viabile.
4.3.2 Criteri di progetto
Il comportamento dell’opera di sostegno, intesa come complesso struttura-terreno, deve
essere esaminata tenendo conto di diversi fattori, fra cui:
• topografia del terreno prima e dopo l’inserimento dell’opera;
• modalità di esecuzione dell’opera e del rinterro;
30
• successione stratigrafica e proprietà fisico-meccaniche dei terreni di fondazione e di
eventuali materiali di riporto interessati dall’opera;
• eventuali falde idriche;
• drenaggi e opere accessorie per lo smaltimento delle acque superficiali e sotterranee;
• manufatti o altre opere antropiche circostanti;
• caratteristiche di resistenza e deformabilità dell’opera.
Andranno inoltre effettuate le verifiche previste dalla normativa vigente nel campo delle
opere di sostegno nelle condizioni corrispondenti alle diverse fasi costruttive ed al termine
della costruzione, tenendo conto delle eventuali oscillazioni del livello dell’acqua nel
sottosuolo.
Nella progettazione di un’opera di sostegno, così come previsto dal DM 11/03/88 (sezione
D), a prescindere dal materiale con cui si realizza il manufatto, devono essere eseguite le
seguenti verifiche di stabilità:
• alla traslazione sul piano di posa:
se le forze di attrito al contatto fondazione-terreno non sono in grado di contrastare la
componente orizzontale della spinta attiva, il muro cede, scivolando lungo il piano di
posa. Per la sicurezza nei confronti di tale instabilità, il rapporto tra la somma delle
forze resistenti nella direzione dello scorrimento e la somma delle componenti nella
medesima direzione delle azioni sul muro dovrà essere ≥ 1.3;
• al ribaltamento:
affinché l’opera non si ribalti attorno allo spigolo di valle, la risultante dei carichi non
deve cadere al di fuori del nocciolo d’inerzia dell’intera sezione di base del muro.
Perciò, per assicurarne la stabilità, il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti e
quello delle forze ribaltanti calcolati rispetto allo spigolo di valle dovrà essere ≥ 1.5;
• al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento):
la stabilità allo schiacciamento è verificata quando la tensione di compressione
massima, cui è sottoposta l’opera, è minore del carico di sicurezza a compressione (Cs)
del terreno di fondazione;
• globale dell’insieme opera-terreno:

31
Dopo aver verificato le tre condizioni di
stabilità esterna dell’opera di sostegno,
soprattutto in presenza di strati coesivi
profondi di scarse caratteristiche
meccaniche, dovrà essere analizzata la
stabilità globale del complesso opera-
terreno nei confronti dei fenomeni di

Figura 15: verifica di stabilità globale scorrimento più o meno profondo (Figura
dell’insieme muro-terreno. 15). Il metodo di calcolo per la verifica
della stabilità deve essere scelto tenendo conto della posizione e della forma delle
possibili superfici di scorrimento, dell'assetto strutturale, delle caratteristiche
meccaniche del terreno, nonché della distribuzione delle pressioni neutre. Quando
sussistano condizioni tali da non consentire una esatta valutazione delle pressioni
neutre, i calcoli di verifica devono essere effettuati assumendo le più sfavorevoli
condizioni che ragionevolmente si possono prevedere per la situazione in esame. In ogni
caso si procederà valutando le superfici di scorrimento cinematicamente possibili, in
numero sufficiente per ricercare la superficie cui corrisponde, nella situazione
considerata, il coefficiente di sicurezza più basso.
Nel caso di terreni omogenei e nei quali le pressioni neutre siano note con sufficiente
attendibilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1.3 (DM 11/03/88,
Sezione G).
Per una trattazione di maggior dettaglio sulle verifiche delle opere di sostegno si rimanda
all’Appendice 2 ed ai testi di scienza e tecnica delle costruzioni.
4.3.3 Palificate

4.3.3.1 Generalità

La palificata, o muro in legname e


pietrame, è costituita da una struttura
portante in legno formata da elementi
longitudinali (correnti) e da elementi
trasversali (traversi o tiranti). La
Figura 16: Palificata (vista frontale). sovrapposizione di un piano di correnti
e uno di tiranti si definisce strato (o

32
piano) e l’opera viene realizzata sovrapponendo
con cura uno strato all’altro sino a raggiungere
l’altezza di progetto (Figura 16).
Nel campo delle sistemazioni di versante, in
funzione delle modalità costruttive le palificate
di sostegno si dividono in:
• Palificate a parete semplice, con
correnti disposti su una sola fila
orizzontale esterna, mentre i traversi
appoggiano con la parte terminale (in
genere infissa) nella parete dello scavo;
• Palificate a parete doppia, con i correnti
disposti su due file orizzontali, una
esterna e una interna alla struttura
Figura 17: palificate a parete semplice
e a parete doppia (sezione) (Figura 17).
L’unione tra correnti e tiranti, rafforzata dall’infissione di chiodi o bulloni, determina la
formazione di una sorta di gabbia di legno che successivamente viene stabilizzata dal peso
del materiale di riempimento (normalmente il materiale lapideo o la terra di riempimento
vengono scavati o comunque reperiti in loco). Il riempimento della struttura con materiale
lapideo e/o terroso conferisce all’opera alcune caratteristiche, tra cui ricordiamo peso,
rigidità, stabilità e permeabilità, che fanno della palificata un pregevole intervento
sistematorio nel campo dell'ingegneria naturalistica. L’opera, inoltre, possiede anche una
certa elasticità che le permette di sopportare gli assestamenti del terreno senza subire
significative alterazioni strutturali.
È possibile inserire tra i correnti delle talee (palificata viva) che, una volta radicate,
permettono di combinare la funzione di sostegno con quella di rinforzo che si prolunga nel
tempo, oltre la durata dell'opera stessa. Le piante sviluppate, infatti, sostituiscono
gradualmente la funzione di sostegno della palificata che via, via si disgrega, e riducono il
contenuto idrico della scarpata retrostante assorbendo acqua.
Le dimensioni delle opere sono molto variabili a seconda del tipo di dissesto, di norma
però per le palificate a doppia parete si mantiene una profondità di 2 m e un’altezza non
superiore ai 2-2.5 m, in modo da garantirne la stabilità. Nell’ambito delle dimensioni
indicate, infatti, il rispetto della regola secondo cui l’altezza dell’opera (H) è pressoché
33
tubo drenante

Figura 19: Congiunzione dei tronchi (da: Figura 18: Drenaggio delle
Regione Lombardia, 2000). fondazioni.

uguale alla sua base (B) offre soddisfacenti


garanzie di stabilità globale anche nei terreni caratterizzanti da ridotta capacità portante.

4.3.3.2 Tecnica costruttiva

Per la costruzione delle palificate, la prima operazione da realizzare è lo scavo della


banchina. Le fasi costruttive di tali opere seguono una procedura ormai consolidata nel
tempo (Regione Lombardia, 2000; D’Agostino, 2000). Una volta preparato il legname
necessario, si procede allo scavo del piano di posa a forma di “L”, realizzandolo a
reggipoggio con una leggera pendenza verso monte (indicativamente 5°-10°). Lo scavo
deve raggiungere un piano di fondazione stabile ed una profondità in cui compaiono
eventuali infiltrazioni d’acqua. In questo caso per evitare che le acque si accumulino lungo
il piano di posa, garantendo così stabilità e una maggior durata all’opera, è necessario
captare l’acqua che fuoriesce mediante la posa in opera (partendo dal paramento di monte)
di elementi drenanti longitudinali (tubazioni da 100-130 mm di diametro; Figura 18),
collegati con elementi ortogonali inclinati verso valle; affinché il sistema drenante risulti
efficiente, andrà garantita una pendenza di scarico verso valle di almeno 3-4%
(D’Agostino, 2000). Per limitare l’innesco di fenomeni erosivi è poi necessario prevedere
la realizzazione di una protezione all’uscita verso valle del tubo drenante. Successivamente
si procede alla posa in opera della prima fila di correnti (legname disposto parallelamente
al versante) posizionandoli in modo che appoggino sul terreno per tutta la loro lunghezza
(favorendo in tal modo la distribuzione uniforme dei carichi), realizzando gli appoggi e i
fissaggi con tondini in ferro tra legni successivi. Sopra i correnti viene poi posta in opera la
prima serie dei traversi, fissati saldamente ai correnti mediante chiodi (diametro minimo 10
mm), bulloni e graffe.

34
Successivamente viene controllata la sporgenza e l’altezza dei tronchetti dei traversi con un
cordino teso dal primo all'ultimo tronco. Nel caso di palificate lunghe è importante
controllare anche che la curvatura non sia eccessiva (<1 m). Per aumentare la stabilità della
struttura bisogna realizzare inoltre degli intagli che migliorano il collegamento tra gli
elementi strutturali e che consentono alla chiodatura una maggior profondità di
penetrazione (Figura 19). Gli elementi trasversali dei diversi corsi possono essere
posizionati lungo la stessa linea verticale, disposizione continua, oppure in maniera sfalsata
tra di loro, disposizione alternata (Figura 20). Nel primo caso, la palificata risulterà più
rigida e “robusta”, mentre nel secondo sarà caratterizzata da una maggior elasticità, pur
conservando una sua stabilità. Per quanto riguarda l’interasse tra gli elementi trasversali,
esso è compreso generalmente, tra 0.8 e 2 metri (D’Agostino, 2000).
Nel caso delle palificate vive, è bene ricordare che gli strati successivi di tronchi di legno
vengono messi in posto secondo lo schema descritto, avendo cura di posizionare i diversi
ordini di correnti in posizione più arretrata rispetto al sottostante, in modo da conferire al
fronte dell’opera una inclinazione di circa 20°-30° per garantire la migliore crescita delle
piante.
Durante la costruzione del telaio (Figura 21), in genere dopo 2-4 ordini di legname, si
procede al riempimento della struttura, avendo cura di posizionare gli elementi lapidei di
maggiori dimensioni in corrispondenza degli spazi vuoti del paramento di valle, per evitare
che, in caso di pioggia, il terreno venga asportato. Il materiale di riempimento utilizzato è
costituito principalmente da pietrame trovato sul posto, da inerti provenienti dallo scavo o
da scarti di cava. La granulometria del riempimento influenza direttamente la capacità
drenante dell’opera e conseguentemente la stabilità dell’intera struttura. Per tale motivo la

Figura 20: Disposizione continua ed alternata degli elementi trasversali (vista


frontale). 35
granulometria del materiale non deve
essere troppo ridotta e il diametro
ottimale può indicativamente essere
compreso tra i 15 e i 20 cm.
Nel caso di palificate vive parte del
riempimento deve essere effettuato con
terreno vegetale, opportunamente
compattato. Le talee vengono poi messe
a dimora negli interstizi tra i tronchi
Figura 21: Vista assonometrica di una
palificata e del relativo riempimento disposti orizzontalmente; esse devono
(ridisegnato da D’Agostino, 2000). sporgere di circa 25 cm dal fronte della
palificata e raggiungere il terreno naturale nella parte posteriore del manufatto. Da notare
come l’impiego delle terre a grana fine (terreni limoso-sabbiosi e argillosi) porta a due tipi
di inconveniente. Da un lato l’elevata probabilità che si verifichi la fuoriuscita del
materiale di riempimento per opera dell’azione dell’acqua, che può essere ovviato con
l’utilizzo di geotessuto posto a ridosso del paramento di valle a partire dal piano di
fondazione a formare una sorta di sacco; dall’altro una diminuzione della capacità filtrante
dell’opera con conseguente incremento della spinta agente a monte, nonché della
vulnerabilità della struttura. A ciò si cerca di porre rimedio prevedendo drenaggi alla base,
avvolti in geotessile e posti in prossimità del piano di fondazione; con la medesima
funzione drenante possono essere impiegati anche letti di ramaglia (ottimale risulta essere
l’abete bianco; D’Agostino, 2000).
A fine lavori, la palificata viene ultimata mediante copertura con terreno e livellamento del
pendio retrostante a mano o con mezzo meccanico, in modo da raccordare il terreno di
riporto con il versante a tergo. Durante la copertura, la costipazione deve essere eseguita
con cura soprattutto dove non sono tollerabili cedimenti.
La palificata può anche essere ancorata in profondità attraverso piloti in legno o in
profilato metallico di lunghezza di 2 m, infissi nel terreno per almeno ¾ della lunghezza.
Questa metodologia costruttiva viene normalmente utilizzata nel caso di sistemazione e
consolidamento di scarpate di frana ed è da utilizzarsi con cautela, poiché questo tipo di
strutture in legname, con un piano di fondazione ridotto, non si prestano in genere a
situazioni caratterizzate da superfici di scivolamento profonde.

36
4.3.3.3 Materiali impiegati e tempi di realizzazione

I materiali costruttivi utilizzati per la realizzazione delle palificata possono essere distinti
in base alla loro funzione in (Cavalli e D’Agostino, 2000):
• materiali di struttura: legname tondo, legname squadrato, traversine ferroviarie in
legno, alberi scortecciati;
• materiali di assemblamento: chiodi, tondini di ferro o acciaio, graffe, bulloni da legno.
A seconda delle modalità e dei problemi costruttivi possono essere necessari:
• materiali di completamento: tubi drenanti, fascine drenanti, ramaglia, geotessuti di
contenimento, reti metalliche di acciaio zincato, funi;
• materiali di riempimento: pietrame per vespai drenanti, ciottoli, pietrisco, terra;
• materiali vivi: talee, piantine radicate.
La conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche del legname utilizzato per la
realizzazione dell’opera condiziona sia la scelta operata dal progettista, che la previsione
della durata della palificata nel tempo. Al fine di garantire un tempo di esercizio
sufficiente, indipendente dal tipo di legno utilizzato, sarebbe conveniente scortecciare tutte
le parti della costruzione non ricoperte da terra per almeno 20 cm. Nella pratica di cantiere
è però ormai consueto utilizzare tondame interamente scortecciato, in quanto il maggior
onere costruttivo costituisce una garanzia di maggior durata soprattutto delle parti destinate
alla fondazione del manufatto (Cavalli e D’Agostino, 2000).
Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche del legno, va ricordato innanzitutto che
tale materiale è meccanicamente anisotropo, presentando valori di resistenza differenti in
funzione del tipo di sollecitazione a cui è sottoposto. Senza entrare nel dettaglio circa le
sollecitazioni cui può essere sottoposto il legno utilizzato nelle sistemazioni forestali, di
seguito (Tabella VIII) vengono proposti una serie di valori di resistenza per diverse specie
legnose di facile reperimento in Regione Lombardia:
La scelta del legname da costruzione, oltre che dalle caratteristiche di resistenza
meccanica, deve essere guidata anche dalla resistenza dello stesso, in particolare per
quanto riguarda la resistenza all’attacco di batteri, muffe e funghi lignivori (Tabella IX). In
questo senso il campo della scelta del legname da impiegare nella realizzazione delle
palificate si restringe a quello del larice, per le conifere, e quello di castagno, per le
latifoglie, poiché entrambi soddisfano sia la condizione di resistenza meccanica che di
durabilità all’attacco dei funghi. Caratteristiche simili di resistenza vengono offerte anche

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