Il Mito Di Narciso

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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

FACOLTÀ DI SCIENZA DELLA PACE

QUESTIONI DI FILOSOFIA CONTEMPORANEA

Elaborato per la ricerca

Prof. Patrizia MANGANARO

Studente: Rana Bannoura (724109)

2023-2024
Narciso era figlio di Cefiso e della ninfa Liriope. La madre di Narciso, secondo il mito di Narciso raccontato
da Ovidio, quando egli era piccolo interrogò un famoso indovino di nome Tiresia per conoscere il futuro
del figlio. In particolare gli chiese se il bambino avrebbe visto la vecchiaia. L’indovino rispose con parole
che allora suonarono ambigue: “Soltanto se non conoscerà se stesso”.

Narciso era di una bellezza impressionante. S’innamoravano di lui fanciulle e ragazzi che lui
puntualmente sdegnava: non si lasciava amare da nessuno. Un giorno mentre era a caccia di cervi nel
bosco, com’era solito fare, incontrò Eco, una ninfa dei boschi.

Eco aveva la particolarità di non poter parlare e rispondere come preferiva, ma di poter solo pronunciare
le ultime parole altrui. La ridusse così Giunone che accusò Eco di aver cercato di distrarla con molte
chiacchiere mentre il suo compagno, Giove, il re dell’Olimpo, s’intratteneva con alcune ninfe.

In quel fatale incontro nel bosco anche Eco rimane vittima della bellezza di Narciso. Ma nel mito di
Narciso il giovane la rifiuta ed Eco lo insegue con ancor più desiderio. E più lui scappa, più lei gli tiene
dietro. Eco però a un certo punto è sfinita, spezzata dal dolore del rifiuto e cominciano a mancarle le
forze. Eco comincia a dissolversi nel vento, inizia a perdere peso piano piano fino a che di lei non rimane
più nulla a parte la voce.

Successivamente un’altra amante rifiutata da Narciso chiede alla dea della vendetta Nemesi di vendicarsi
e di far innamorare il bel giovane di se stesso. La dea acconsente, e così Narciso, specchiandosi in una
fonte, diventa vittima del proprio fascino e cerca ovviamente invano di abbracciare la propria immagine
riflessa. Narciso si consuma lentamente fino a morire ucciso da questo amore irranggiungibile e ciò che
resta di lui è il fiore omonimo: il narciso. Il mito di Narciso è abbastanza drammatico.

“Un mito è un modo per dare un senso a un mondo senza senso, un modello narrativo che dà un
significato alla nostra esistenza” (Rollo May)

Di solito, il mito entri nella vita umana portando valori, difetti, potenze e tormenti. Nel mito di Narciso, si
sottolinea la caratteristica umana: l’amore di se stesso. Esistono diverse versioni del mito di Narciso che
sono arrivate fino a noi. La più antica sembrerebbe provenire dai papiri di Ossirinco, forse scritta da
Partenio. Un'altra versione si trova nelle Narrazioni di Conone, un greco contemporaneo di Ovidio,
conservata nella Biblioteca di Fozio e datata tra il 36 a.C. e il 17 d.C. Tuttavia, la fonte greca più affidabile
sembra essere l'opera di Pausania, "Periegesi della Grecia" (II secolo d.C.), mentre quella generalmente
considerata come la più autorevole è Ovidio con le sue "Metamorfosi". il mito esprime l’idea che la
bellezza esteriore può essere una trappola, poiché Narciso era così ossessionato dalla sua stessa bellezza
che non era in grado di amare nessun altro.

Il mito di Narciso offre diverse interpretazioni filosofiche, spesso collegato all'analisi dell'egoismo,
dell'autoconoscenza e delle conseguenze dell'amore eccessivo per sé stessi.

Dal punto di vista dell'autoconoscenza, il mito suggerisce che il rifiuto di Narciso di amare gli altri
potrebbe derivare dalla mancanza di comprensione di sé stesso. L'indicazione dell'indovino Tiresia, che
Narciso potrebbe vivere solo conoscendo se stesso, potrebbe essere interpretata come una riflessione
sulla necessità di un'autoriflessione profonda per sviluppare relazioni più significative con gli altri.

Filosoficamente, il mito potrebbe essere considerato come una metafora della vanità e dell'illusione
dell'auto-ammirazione e dell'auto-amore eccessivi. Narciso, ossessionato dalla propria bellezza, si perde
nel riflesso di sé stesso, ignorando il mondo esterno e gli altri. Ciò può essere interpretato come un
monito contro l'egocentrismo e l'isolamento emotivo che possono derivare da una focalizzazione
eccessiva su di sé.

Inoltre, il mito può essere analizzato anche sotto l'ottica della caducità della bellezza e dell'effimero della
vita. La tragedia di Narciso, consumata dall'amore per la propria immagine, può essere vista come una
rappresentazione della fragilità della vita umana di attaccarsi alle cose materiali e superficiali.

In termini filosofici più ampi, il mito di Narciso può essere interpretato come un richiamo alla necessità di
un equilibrio tra l'amore di sé e l'amore per gli altri, nonché come un monito contro l'illusione
dell'onnipotenza individuale e la ricerca smodata della perfezione esteriore a scapito della crescita
interiore.
Collegando questo discorso con l’empatia di Edith Stein troviamo che sostenendo la riflessione empatica,
comprendere e sentire interiormente l’esperienza altrui, si costruiscono connessioni e relazioni
significative con gli altri.

Nel mito di Narciso, la mancanza di empatia da parte di Narciso è evidente, poiché egli respinge gli affetti
e l'amore degli altri, concentrando la sua attenzione esclusivamente su di sé.

L'empatia, secondo Edith Stein, implica un movimento verso l'altro, un superamento del proprio egoismo
per entrare nel mondo interiore degli altri. Nel contesto di Narciso, l'assenza di empatia potrebbe essere
interpretata come una forma di isolamento emotivo e mancanza di comprensione degli altri, derivante
dalla mancanza di autoconoscenza profonda.

La critica di Stein all'individualismo esagerato e alla chiusura verso gli altri può essere collegata al destino
tragico di Narciso, che, inondato dal proprio amore narcisistico, finisce per isolarsi e autodistruggersi.

In sintesi, l'empatia di Edith Stein offre un contrappunto alla figura di Narciso, sottolineando l'importanza
della connessione con gli altri, della comprensione reciproca e dell'amore altruistico come antidoti alle
trappole dell'auto-adorazione e dell'isolamento emotivo rappresentate nel mito.

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