Carlo Scarpa Dalle Magistrali Progettazi
Carlo Scarpa Dalle Magistrali Progettazi
Carlo Scarpa Dalle Magistrali Progettazi
Carlo Scarpa.
Dalle magistrali progettazioni museali ai
raffinati allestimenti espositivi
del contemporaneo
Rita Pamela Ladogana
Università degli Studi di Cagliari
[email protected]
Riassunto
Parole chiave:
Carlo Scarpa; musei; allestimenti; arte contemporanea.
Abstract
Keywords:
Carlo Scarpa; museums; exhibition design; contemporary art
8 LOCVS AMŒNVS 12, 2013-2014 Rita Pamela Ladogana
N
el panorama della storia dell’archi- stantemente presente, procedura geometrica di
tettura italiana del Novecento, il lin- ascendenza razionalista e neoplastica.
guaggio scarpiano si distingue per la Il percorso di formazione di Carlo Scarpa
raffinatezza e la peculiare sensibilità nel pensare iniziò nel 1926 con il conseguimento del Di-
e trattare i materiali, entrambe derivate da una ploma di professore di disegno architettonico
vocazione artigiana e sperimentale mai disgiun- ottenuto a Venezia, città nella quale nacque nel
ta da un’attenzione al gusto moderno e al con- 1906. Il disegno costituisce lo specchio del ge-
testo contemporaneo. nio e dell’anima scarpiana, dagli schizzi ideativi,
Erede del messaggio organico wrightiano, alle parole «disegnate» per scambiare concetti
Scarpa attinge a una moltepilicità e varietà di e pensieri con i committenti, fino alla proget-
fonti di ispirazione che sarebbe riduttivo isolare tazione professionale. Egli affermò più volte
singolarmente; la sua ricerca, come acutamente essere il disegno «la porta regale» per accede-
afferma Tafuri, appare «svincolata da modelli re all’architettura, mezzo fisico indispensabile
definiti e univoci»s. per tradurre formule e concetti, in un cammino
Architetto sciamano, come lo ha definito complesso che mira alle conquiste moderne sen-
Kurt Forster, egli indagò a fondo soprattutto sul za mai poter prescindere dallo sguardo verso la
rapporto singolare tra architettura e paesaggio, tradizione.
professando percorsi progettuali connotati da Scarpa iniziò a svolgere attività didattica
una ossessiva attenzione per l’elemento specifico, presso l’Istituto Superiore di Architettura di
per l’individualità espressa da ogni singolo fram- Venezia, dapprima come assistente incaricato
mento, ricercando e esaltando i caratteri senso- presso la cattedra di architettura tenuta dal pro-
riali e le percezioni tattili di ogni creazione. fessor Guido Cirilli, poi in qualità di professore
Intellettuale, architetto e designer, Scarpa di decorazione e di disegno dal vero. Contem-
espresse la sua cifra più originale nel settore de- poraneamente, in qualità di consulente artisti-
gli allestimenti espositivi e nella sistemazione di co, Scarpa si interessò alla produzione vetraria
musei, attività nella quale raggiunse i risultati muranese, applicandosi sia nel disegno che nella
più alti offrendo un contributo fondamentale pittura. La prima collaborazione risale al 1927,
alla moderna storia della museografia italiana. anno in cui iniziò a lavorare per Giacomo Cap-
Bruno Zevi lo ha definito, innanzitutto, un «ec- pellin; gli anni successivi lo videro impegnato
cezionale e quasi infallibile designer di mostre, anche presso la ditta Paolo Venini, la fornace
padiglioni, negozi e ripristini di musei», deno- più all’avanguardia di quei tempi3. La lunga
minando «lirici eventi formali» gli interven- esperienza muranese si rivelò fondamentale per
ti allestitivi attraverso i quali Scarpa arrivò ad la formazione del suo linguaggio architettonico:
ottenere un prestigio internazionale2. L’assidua presso le vetrerie, l’architetto iniziò il suo lungo
frequentazione dell’arte a lui contemporanea e tormentato apprendistato di analista dei mate-
e l’amicizia con grandi artisti contribuì indub- riali, dedicandosi alla creazione di nuove com-
biamente ad affinare una sensibilità «pittorica», posizioni di paste vitree e introducendo innova-
che intreccia mirabilmente un raffinato gusto di zioni tecniche per far risaltare ulteriormente le
derivazione secessionista con una severa, e co- qualità proprie della materia.
Carlo Scarpa. Dalle magistrali progettazioni museali ai raffinati allestimenti espositivi del contemporaneo LOCVS AMŒNVS 12, 2013-2014 9
Nella prima attività di designer affiora, pre- gio architettonico estremamente complesso ed
dominante, l’influenza della grande avanguardia enigmatico, ricco di spunti e di sfide, nel quale
cubista e, in modo particolare, l’ispirazione a si traduce lo sforzo di creare un dialogo tra la
Braque e a Legèr; non mancano, tuttavia, riferi- storia e il futuro dell’architettura. Un dialogo
menti alle morbidezze del disegno matissiano e che si inserisce pienamente nelvivo delle proble-
al dinamismo energico di matrice futurista. Nel matiche internazionali contemporanee connesse
vaso Profilo e Foglie, realizzato verso la fine de- all’ardua e complessa polemica architettonica, e
gli anni Trenta, si legge chiaramente il predomi- quindi anche museografica, incentrata sul tor-
nante approccio alla scomposizione: gli oggetti mentato rapporto tra vecchio e nuovo, tra re-
sono raffigurati da differenti punti di vista che cupero della storia e razionalismo internazio-
ne impediscono una visione unitaria e sono to- nale, esplosa in Europa a partire dai primi anni
talmente fusi con lo spazio circostante; il senso della ricostruzione seguita al secondo conflitto
del volume e della prospettiva sono negati. mondiale. Nei progetti di Carlo Scarpa si indivi-
Negli anni in cui Scarpa collaborò con la dit- duano i prestiti da diverse tradizioni figurative,
ta Venini arrivarono i primi importanti incarichi con il prevalere dell’elemento identitario e della
della sua carriera di architetto: nel 1935 l’Uni- sensibilità costruttiva ancorata a un passato di
versità di Venezia gli commissionò il restauro tradizione artigianale, sempre fusi in una nuova,
di Ca’ Foscari; nel 1945 la Sovrintendenza di moderna, individualità di forme, riconoscibile
Venezia lo incaricò del riordino generale delle come pienamente scarpiana. Le sue innovative
Gallerie dell’Accademia; nel 1948 realizzò la sperimentazioni, a dispetto della flebile consi-
sua prima prova progettuale di allestimento, in derazione nel panorama nazionale coevo6, ot-
occasione della retrospettiva di Paul Klee alla tennero, fin dai primi anni Sessanta, un signi-
Biennale di Venezia, ente col quale Scarpa colla- ficativo riconoscimento da parte della critica
borò ininterrottamente per quasi trent’anni. La internazionale, culminato nella celebrazione
sua maniera di pensare il progetto architettoni- del suo lavoro con l’esposizione dei progetti al
co gli procurò non poche ostilità nell’ambiente MOMA di New York nel 1966, in occasione
universitario veneziano, dove diventava sempre della mostra Architettura del museo. I numerosi
più insistente l’accanimento contro il professore interventi architettonici, intensificatisi conside-
di disegno che esercitava la professione di archi- revolmente nell’immediato dopoguerra, rivela-
tetto4. Le accuse mosse contro di lui si concen- no il predominare di una particolare attenzione
travano soprattutto sul suo essere distante dalle concettuale e progettuale per l’opera di Frank
esigenze dell’attualità e sulla sua estraneità al Lloyd Wright, maestro al quale Scarpa si sentì
dibattito della ricostruzione, vivissimo negli profondamente legato, soprattutto per affinità
anni che seguirono la fine del secondo conflitto di natura culturale; le ricerche dell’architetto
mondiale. Scarpa, indubbiamente, lavorò molto veneziano, tuttavia, hanno sempre riproposto
poco per l’amministrazione pubblica e si dedicò in maniera originale, secondo una autonoma
quasi completamente ad una committenza com- ricerca compositiva, le dilatazioni planimetri-
posta da fondazioni, da musei e da ricchi clienti che proprie dell’espressione wrightiana7. Al di
facoltosi che gli affidavano la progettazione di là delle intrinseche differenze che separano la
lussuosissime ville. Le sue ricerche apparivano varietà dei progetti scarpiani e della distanza tra
distanti dai risultati architettonici finalizzati a le culture figurative alle quali l’architetto aveva
misurare, innanzitutto, un impatto sociale, con guardato - dall’architettura organica ai giardini
l’urgenza di rispondere a problemi concreti, e i Zen, dal dettato rigoroso dell’architettura ne-
suoi lavori si discostavano nella sostanza dalle oplastica alle ricerche dell’arte contemporanea
progettazioni dei colleghi ingegneri e architetti. - è possibile individuare gli elementi basilari e
Questo, tuttavia, non giustifica le pesanti affer- distintivi di un singolare linguaggio, sempre
mazioni che lo hanno dipinto come un artigiano presenti con grande coerenza a partire dai pri-
ossessionato dal passato o un maniaco dei mate- mi incarichi fino ai capolavori della maturità.
riali lussuosi oppure, come ha affermato Tafuri, I valori connotativi dell’attività di progettista
un fenomeno fuori dall’architettura moderna, si individuano in un lavoro condotto sempre
rinchiuso nel suo cerchio magico5. Egli scelse con grande calma e pacatezza, e soprattutto con
di lavorare in ambienti solitari, talvolta isolati estrema prudenza, ereditate dall’abitudine arti-
e molto spesso si allontanò da Venezia per in- gianale. Una delle componenti essenziali della
traprendere viaggi di studio negli Stati Uniti, in poetica scarpiana è lo studio rigoroso applicato
Giappone e in Inghilterra. Si preoccupò molto ai materiali costruttivi: la sensibilità fortemente
poco dell’inattualità della sua opera e concentrò accentuata nell’approccio alla materia, si svi-
l’attenzione sul legame con la tradizione, colti- luppò a partire dai primi anni di collaborazione
vando il gusto artigianale e dando sfogo alla sua presso le vetrerie muranesi, contesto nel quale
raffinata creatività. Il risultato fu un linguag- l’architetto ebbe modo di studiare e quindi di
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internazionale degli anni Cinquanta e Sessanta. degli anni Quaranta e la metà degli anni Sessan-
Se, da un lato, la sua ricerca appare totalmente ta dai migliori architetti del contesto nazionale,
inserita nel vivo delle problematiche relative al quali Franco Albini, Ignazio Gardella, lo studio
nuovo stile dei musei e alle esigenze di rinnova- BBPR e naturalmente Carlo Scarpa, che hanno
mento e riconfigurazione definitesi nel secondo dibattuto sul rapporto fra modernità e tradizio-
dopoguerra16, dall’altra se ne distingue per l’ap- ne e tra progetto e preesistenza, sperimentato le
porto unico dei «dettagli» che a lungo ha costi- più moderne soluzioni allestitive in stretta rela-
tuito un imprescindibile esempio nell’excursus zione con lo spazio architettonico. Le proposte
della storia museografica, arrivando fino alle di Scarpa tutte contraddistinte da sublime raf-
ricerche più attuali. Le proposte dell’architetto finatezza e senso spiccato della comunicatività,
veneziano rispondono consapevolmente all’af- si incentrano sulla risoluzione dei problemi re-
fermarsi di un’arte espositiva sempre più orien- lativi alla «raggruppamento» e al dialogo delle
tata a saldare l’oggetto esposto all’ambiente in opere tra di loro e con lo spazio, partendo da
un inscindibile fatto espressivo; l’opera d’arte una conoscenza approfondita del linguaggio ar-
aveva cessato di essere considerata come entità tistico che ne definisce la loro peculiare identità.
«solitaria» estranea ad ogni occasione comu- «Bisogna auto convincersi ai valori dell’arte per
nicativa, diventando attrice di una avvincente ottenere un risultato di saldezza, stabilità e senso
narrazione sempre più dotata di peculiari mezzi compositivo»20, soleva affermare Scarpa, riba-
espressivi, quale si configurava l’evento mostra. dendo la necessità imprescindibile di una lettura
Si inaugurava un modo moderno di concepire delle opere come fonte primaria di suggestioni
l’esposizione, talvolta senza rinunciare a valer- creative. «Io ho una grande passione per l’ope-
si della collaborazione «della fotografia, della ra d’arte. Mi sono sempre curato di conoscere,
grafica, della scenotecnica d’avanguardia, della di sapere, capire […]. Non saprei scrivere, non
illuminotecnica»17, in una prospettiva interme- potrei fare un articolo critico, ma sento viva-
diale destinata a travolgere, a partire dai pri- mente questi valori. E allora mi emozionano».
mi anni Cinquanta, sia in ambito europeo che Alla base di ogni scelta era dominante l’intento
americano, i moderni linguaggi delle arti visi- di realizzare una presentazione differenziata per
ve e quelli architettonici, seppur con differen- ciascun pezzo, che fosse in grado di esaltarne le
ti declinazioni. Con il Museo Moderno, inau- individuali caratteristiche espressive e quindi di
gurato da Frank Lloyd Wright, Mies van der valorizzarne al meglio le qualità estetiche. L’al-
Rohe, Luis Khan e Marcel Breuer, per citare gli tro grande tema nodale del suo lavoro era incen-
esempi più autorevoli, si andava affermando la trato nella ricerca di soluzioni che garantissero
centralità del progetto espositivo, definito «in un rapporto tra opera e spettatore: ad ogni pez-
funzione portante del messaggio comunicativo zo esposto era assegnata una quantità di spazio
nelle esposizioni dirette al pubblico e della siste- adeguata, implicando un’attenzione peculiare
matica ordinativa delle esposizioni […] il tutto alle traiettorie possibili dello sguardo del fruito-
in riferimento all’architettura e i suoi modi d’u- re, ai punti di vista e alle rispettive altezze e di-
so»18. I risultati raggiunti in Europa nel secondo stanze21. Talvolta, la distanza tra le opere era tale
dopoguerra, culminati nel grande sforzo orga- da estraniarle e decontestualizzarle da qualsiasi
nizzativo dell’Esposizione Universale di Bru- legame cronologico con il resto dell’esposizio-
xelles del 1958, erano tuttavia inconcepibili sen- ne, per immergerle in una nuova «aura» senza
za l’esempio della grandi mostre moderne degli tempo22. Il percorso espositivo era liberato dai
anni Trenta e Quaranta che avevano costituito il tradizionali nessi narrativi, al fine di favorire
tessuto moderno e all’avanguardia sul quale co- letture innovative e interpretative, invitando lo
struire le nuove concezioni, dal grande esempio spettatore a un processo inedito di fruizione e
italiano delle Triennali milanesi alle due Espo- comprensione: le ricerche si configuravano in
sizioni internazionali di Parigi e di New York, termini di rottura importante rispetto alla prassi
rispettivamente del 1937 e del 1939. Il modo del passato23. Un’influente cifra connotativa del
peculiarmente dinamico di modificarsi dei Mu- metodo di lavoro scarpiano, al di là del proble-
sei italiani, non meno di quello europeo, mirato ma dello spazio e delle distanze, è la modalità di
a focalizzare l’attenzione sull’opera d’arte e a presentazione dell’opera e il suo rapporto con la
creare il «contesto» necessario a migliorarne la parete destinata ad accoglierla. La tendenza era
sua percezione, si distinse nell’esperienza degli quella di liberare l’oggetto dal supporto fisso e
architetti emergenti chiamati al restauro degli predefinito, di staccarlo dalla parete e di desti-
edifici al riallestimento di collezioni museali e narlo a supporti mobili attentamente studiati e
alla creazione di nuovi spazi espositivi, in linea realizzati con peculiare sapienza artigiana in una
con una prassi che nel contesto europeo risaliva ricchezza e varietà di materiali, combinati in so-
a diversi decenni addietro19. Si distinguono il si- luzioni di volta in volta differenti e sempre in
gnificativo gruppo di opere realizzate tra la fine perfetta sintonia con l’opera stessa. A testimo-
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niare l’impegno riposto da Scarpa nello studio te di ricostruire le tappe della creazione di uno
dei supporti, sono i numerosi disegni preparato- spazio di dimensioni ridotte, capace di dialogare
ri affidati direttamente alle mani dei suoi esperti con lo spettatore avvolgendolo in una atmosfera
collaboratori artigiani. Ma l’attenzione priori- interamente kleiana. I pannelli sui quali erano
taria, tuttavia, nella progettazione museale era disposte le opere dell’artista svizzero risultava-
riservata alla luce: l’architetto sosteneva che la no inclinati e ripiegati secondo angoli sempre
migliore luce museografica dovesse essere quella diversi, fino a ruotare di quasi di 90 gradi; la loro
naturale e che, laddove fosse possibile, si dove- funzione non era strutturale, essendo escluso il
va cercare di sfruttarla al meglio: «non c’è niente dialogo con le murature preesistenti, diventate
che rende meravigliose le opere d’arte come la un mero sfondo. L’opera d’arte diventava essa
luce del sole»24. Concezione, quest’ultima, soste- stessa parete. Il modello da cui Scarpa trasse
nuta con peculiare enfasi nelle teorizzazioni di ispirazione è stato identificato da Marisa Dalai
Luis Kahn, quando affermava che quella natura- Emiliani nel ritmo degli elementi geometrici
le è «la sola luce accettabile per un’opera d’arte», della composizione Geöffnet (Aperto), realizza-
arrivando a sostenere che «a dispetto di tutte le ta da Klee nel 1933. Allo stesso modo, nel detta-
precauzioni sulla luce naturale […] si riesca ad glio prezioso dell’intarsio ligneo dei montanti di
avere soltanto un surrogato di luce facendo uso sostegno alla controsoffittatura, si è letto l’ordi-
di quella artificiale»25. Scarpa, molto frequente- to irregolare di Oberägypten (Egitto superiore),
mente, al fine di dosare le fonti luminose dirette, l’acquarello del 1929 ispirato al viaggio di Klee
troppo aggressive soprattutto per i dipinti, rea- in Egitto, intrapreso nei primi giorni dello stesso
lizzò pannelli e velari; anche in questo caso i suoi anno28. Questa è la testimonianza di come Scar-
interventi avvenivano nel totale rispetto delle pa conoscesse molto bene la produzione dell’ar-
opere e le caratteristiche dei materiali utilizzati tista e di come, con acuta intelligenza, riuscisse
erano sempre in armonia con esse. a trasporre nelle componenti essenziali dell’al-
Tutti gli accorgimenti nei confronti dell’ope- lestimento le «figure» della sua opera pittorica.
ra d’arte, al momento della sua sistemazione, tra- Un ruolo importante ricopriva l’illuminazione
discono un approccio finalizzato evidentemente dello spazio: Scarpa scelse di modulare la luce
a far emergere la volontà da parte dell’architetto realizzando una controsoffittatura in tela legge-
di fornire un commento e un’interpretazione ra, materiale quest’ultimo molto ricorrente nei
personale, nonostante egli avesse sempre tenu- suoi allestimenti, fortemente ribassata rispetto
to ad affermare di non voler forzare in modo alla volta e al lucernario. Aldilà del contesto
univoco la lettura e condizionare in maniera specifico della mostra le teorizzazioni kleiane,
invadente la visione dell’oggetto. Approccio in dalla concezione dello spazio all’importanza
totale sintonia con l’ipotesi di una museografia del frammento e della sua articolazione nell’in-
interpretativa, come l’aveva designata Costan- sieme, al ruolo indispensabile del disegno nel
tino Baroni, una museografia «parlante anche processo creativo, hanno rappresentato, come
all’uomo comune, guidato per mano da capola- acutamente e capillarmente messo in evidenza
voro a capolavoro […] in un ambiente moderno da Robert McCcarter nell’ultima monografia
consono alla sua sensibilità […]»26. su Carlo Scarpa, le «linee guida» dei principi
Proponiamo di seguito un percorso attra- basilari sui quali si fonda la concezione creativa
verso la selezione degli interventi più originali e dell’architetto29.
significativi, relativi soprattutto agli importanti A poco meno di un anno di distanza dall’al-
laboratori rappresentati dagli allestimenti delle lestimento alla Biennale del 1948, Scarpa venne
mostre temporanee, che consentono di indivi- incaricato a progettare l’esposizione dedicata a
duare il segno unico e inconfondibile dell’idea Giovani Bellini, ospitata dalle stanze del Palazzo
scarpiana di museografia «lirica» e pongono Ducale di Venezia, trovandosi a dover affronta-
in risalto l’importanza del dialogo proficuo e re il dialogo complesso con le preesistenze. In
insostituibile dell’architetto soprattutto con i quella occasione l’architetto propose soluzioni
linguaggi del modernismo nelle arti visive, prin- capaci di salvaguardare le opere dall’influenza
cipali ispiratori delle più suggestive soluzioni fagocitante di un ambiente dominante, nel quale
compositive adottate. ogni presenza aggiunta rischia di essere subor-
Alla prima Biennale veneziana del secon- dinato al complesso del monumento. L’espe-
do dopoguerra, Scarpa venne chiamato dalla diente maggiormente utilizzato per occultare gli
Commissione delle arti figurative ad allestire la elementi di disturbo fu l’uso delle stoffe: nella
sua prima mostra di pittura contemporanea: si sala dello Scudo le pareti vennero ricoperte di
trattava dell’importante rassegna destinata a far ampi panni di velluto grigio-violaceo, a nascon-
conoscere l’arte di Paul Klee in Italia27. I nove dere le carte geografiche settecentesche; nelle
disegni superstiti del progetto di allestimento sale Grimani ed Erizzo le tinte scurissime delle
costituiscono un corpus organico che permet- pareti furono rispettivamente ricoperte da vel-
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Figura 2.
Mostra Piet Mondrian, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1957. Foto: ACS.
Figura 4. Figura 5.
Particolare del rivestimento marmoreo del sacello nel Museo di Tomba Brion, porta d’ingresso alla cappella. Cimitero di San Vito
Castelvecchio, Verona. Foto: Pino Guidolotti. d’Altivole, Treviso. Foto: Fabrizio Pivari.
quadratini più piccoli (figura 4)36. Lo stesso mo- sorrette da strutture in forma aperta capaci di
dulo si ritrova ancora nella decorazione della eliminare il senso di chiusura; i tessuti filtravano
fioriera che galleggia nel silenzio della grande armoniosamente la luce proveniente da grandi
vasca, all’interno del complesso monumentale riflettori che dovevano illuminare le riprodu-
della Tomba Brion, presso il Cimitero di San zioni fotografiche dei progetti dell’architetto
Vito d’Altivole, vera e propria «summa» della americano.
produzione del grande architetto veneziano. E E ancora una luce, dolcemente filtrata, era
ancora alla definizione delle coordinate essen- quella che attraversava le lunghe bande di tessu-
ziali di ascendenza mondriana rimanda il dise- to disposte sopra le sculture di Arturo Martini,
gno della porta che immette nell’incantata cap- a coprire il soffitto nella Chiesa di Santa Cate-
pella dello stesso complesso, realizzata in gesso rina a Treviso. La funzione delle stoffe, insieme
bianco lucidato, riquadrato da un’intelaiatura a quella dei velari che definivano il percorso tra
metallica e disposta secondo una geometria dal- le navate, oltreché modulare la luce sia artificiale
le partiture bidimensionali; una porta in «stile che naturale, era finalizzata a «diminuire» l’in-
Mondrian» come l’aveva battezzata lo stesso gerenza delle pareti affrescate sull’essenzialità
Scarpa (figura 5)37. arcaica delle sculture martiniane. Il risultato fu
Un altro significativo esempio di assimi- la creazione di un ambiente dominato da un av-
lazione e interpretazione del significato e del volgente silenzio, fortemente evocato dal bian-
linguaggio delle opere d’arte messe in mostra co; un silenzio mirabilmente armonizzato alla
sono due memorabili interventi risalenti agli grandezza e al ritmo lento e pausato dei capola-
anni Sessanta: il primo ambientato nelle sale del vori scultorei (figura 6).
Palazzo della Triennale a Milano per la mostra Le considerazioni finora avanzate valgono
dedicata a Frank Lloyd Wright; il secondo rea- per ogni singolo intervento di Carlo Scarpa, e i
lizzato a Treviso, nel 1967, presso il trecentesco caratteri fondamentali della sua concezione mu-
convento di Santa Caterina, in occasione dell’e- seografica riverberano, pur nelle differenti iden-
sposizione organizzata per il ventennale della tità progettuali, dal primo grande piano di rior-
morte di Arturo Martini. Nella prima occasio- dino per le Gallerie dell’Accademia (1945-59) al
ne, peculiarmente coinvolgente dal punto di vi- progetto per la sistemazione del Museo Picasso
sta emotivo per Carlo Scarpa, l’architetto riuscì (1976). Un immenso labirinto di idee, di spazi,
a creare in memoria del suo maestro uno spazio di materiali; e soprattutto una ricchezza di espe-
dominato da un senso di apertura e di libertà, in rienze, di volta in volta differenti, che nascono
sintonia con lo spirito wrightiano. Progettò un dalla partecipazione dei luoghi scarpiani, come
sistema di copertura degli alti spazi del Palazzo se la copiosità dei dettagli e le magie dell’illu-
che prevedeva una serie di grandi tende sospese, minazione mostrassero sempre un nuovo volto,
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Figura 6.
Mostra Arturo Martini, Treviso, 1967 (foto Guido Pietropoli).
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dazione Querini Stampalia, fino alla più recente Guido Beltramini. Venezia: Marsilio, 2008.
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le soluzioni adottate, concependo come opera Dal Co, Francesco (1984). «Genie ist Fleiss:
d’arte i suoi «contenitori» di opere d’arte. L’architettura di Carlo Scarpa», in Carlo
Nonostante egli non si fosse mai considerato Scarpa: Opera completa, a cura di F. Dal Co
un maestro, ritenendo che per essere definiti tali e G. Milano: Electa.
occorresse «esprime delle cose nuove che altri Dal Co, F. e Mazzariol, G. (1984/2009). Carlo
sono in grado di capire», come era avvenuto per Scarpa 1906-1978. Milano: Mondadori Electa.
Carlo Scarpa. Dalle magistrali progettazioni museali ai raffinati allestimenti espositivi del contemporaneo LOCVS AMŒNVS 12, 2013-2014 17
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paesaggi 1972/1978. Milano: Electa. saggi 1972/1978. Milano: Electa.
18 LOCVS AMŒNVS 12, 2013-2014 Rita Pamela Ladogana
1. M. Tafuri (2009), «Il frammen- segni linguaggio wrightiano: il Pa- 12. Francesco Dal Co (1984), «Ge-
to, la figura e il gioco: Carlo Scarpa diglione del Venezuela, realizzato nie ist Fleiss: L’architettura di Car-
e cultura architettonica italiana», in: in occasione della XXVII Biennale, lo Scarpa», in: Carlo Scarpa 1906
F. Dal Co e G. Mazzariol, Carlo è composto da due parallelepipedi -1978, Milano, Mazzariol, p. 37.
Scarpa 1905-1978, terza ed., Mila- di altezza diversa, sfalsati in pianta
no, p. 89. e connessi da un percorso interno 13. R. Moneo (1984), «La rappre-
protetto da una pensilina; nel pro- sentazione e lo sguardo», in: Carlo
2. B. Zevi (2001), Storia dell’archi- getto per la biglietteria realizzato Scarpa 1906-1978, Milano, Mazza-
tettura moderna, vol. i, Torino, p. nel 1952, Scarpa sperimenta in pian- riol, p. 236-241.
283. ta l’uso del cerchio, forma geome-
trica di base ricorrente in molti pro- 14. P. Marini (2000), «Saper vede-
3. Carlo Scarpa: Venini 1932-1947, getti wrightiani; nel Padiglione del re, saper mostrare», in: Carlo Scar-
a cura di M. Barovier, Milano, 2012. Libro d’Arte realizzato per la XXV pa: Mostre e musei, Milano, p. 89.
Il volume è il catalogo della mostra Biennale, viene invece sviluppato il
allestita a Venezia presso le Stanze tema del triangolo, altra forma geo- 15. L. Miotto (2004), Carlo Scar-
del vetro; l’esposizione con oltre metrica di base, sia in pianta che in pa: I Musei, Torino, p. 39-41.
trecento opere ha documentato l’in- alzato. In merito, vedi M. A. Crip-
tensa attività di Scarpa quando rico- pa (1984), Carlo Scarpa: Il pensie- 16. Si vedano gli approfondimenti
priva il ruolo di direttore artistico, ro, il disegno, i progetti, Milano, p. in M. Dalai Emiliani (2008), Per
dal 1932 al 1947, presso la vetreria 86-89; Francesco Dal Co (2009), una critica della museografia del
Venini. «Genie ist Fleiss: L’architettura Novecento in Italia. Il «saper mo-
di Carlo Scarpa», in: Carlo Scarpa strare» di Carlo Scarpa, Venezia.
4. Nel 1954 ha inizio la battaglia 1906-1978, Milano, p. 21-71; G. D.
contro Scarpa mossa dall’Ordine Romanelli (1977), Ottant’anni di 17. R. Aloi (1960), Esposizioni. Ar-
degli architetti, provvisti di attestati allestimenti alla Biennale, Venezia, chitetture – Allestimenti, Milano, p.
regolari, che non potevano tollerare e R. Massa, «Gli allestimenti di 38.
le intromissioni di un professore di Carlo Scarpa alla Biennale di Ve-
disegno senza laurea nel campo di nezia», Architetti Verona, n. 4-5, p. 18. L. Basso Peressut (2005), Il
loro competenza. Nell’Istituto di 11-19. Museo Moderno: Architettura e
architettura, tuttavia, non manca- museografia da Perret a Kahn, Mi-
rono alcune voci in sua difesa, che 8. Sulla formazione di Scarpa vedi lano, p. 25.
avrebbero voluto conferirgli da G. Mazzariol (1955), «Opere di
subito la laurea honoris causa, che Carlo Scarpa», Architettura: Crona- 19. M. Dalai Emiliani (2008), Per
gli fu poi effettivamente attribuita che e Storia, n. 3; S. Bettini (1960), una critica della Museografia del
nell’anno della sua morte, il 1978. «L’architettura di Carlo Scarpa», Novecento in Italia, Venezia, p. 83.
In merito all’argomento si veda R. Zodiac, n. 6, e S. Los (1967), Carlo
Zorzi (2000), «Per una storia dei Scarpa architetto poeta, Venezia. 20. C. Scarpa, «Volevo ritagliare
rapporti tra Carlo Scarpa e Oli- l’azzurro del cielo», Rassegna, III,
vetti», in: Carlo Scarpa: Mostre e 9. Tra le tecniche più utilizzate da n. 7, p. 82-85.
musei 1944/1976. Case e paesaggi Scarpa sono lo stucco lucido e la
1972/1978, Milano. calce scialbata. Il primo si ottiene 21. M. Dalai Emiliani (2000), «Il
con la stesura di numerosi strati progetto di allestimento tra effime-
5. M. Tafuri (1986), Storia dell’ar- di un miscuglio pastoso colorato ro e durata: un traccia per le fonti
chitettura italiana 1914-1985, To- (gesso di Bologna, colla dei pittori visive di Carlo Scarpa», in: Carlo
rino, p. 139. Nel delineare il pano- e coloranti), premuti con un pic- Scarpa: Mostre e musei Mostre e
rama dell’architettura italiana del colo coltello di pochi centimetri di musei 1944/1976. Case e paesaggi
dopoguerra, Tafuri lega Scarpa a Sa- larghezza fino a farli diventare bril- 1972/1978. Milano, p. 43.
monà e lo definisce un maestro tra lanti; la seconda è ottenuta con l’ap-
virgolette. Sulla sua sfortuna e for- plicazione su un fondo di intonaco 22. C. Fiorillo (1994), Musei e
tuna critica di Carlo Scarpa si veda senza rugosità di più strati di latte museografia, Napoli.
anche vedi L. Miotto (2006), Carlo di calce, schiacciato col frattazzo
Scarpa: I Musei, Padova, p. 16 e 22. fino a quando è penetrato nell’into- 23. M. Tafuri (1984), «Il frammen-
naco al fine di ottenere una superfi- to, la “figura” e il gioco: Carlo Scar-
6. Fanno eccezione Bruno Zevi e cie levigata e brillante. pa e la cultura architettonica italia-
Giuseppe Mazzariol, il primo so- na», in: Carlo Scarpa 1906-1978.
stenitore convinto e il secondo au- 10. G. Pietropoli (2000), «Il dise- Opera completa, Milano, p. 79.
tore del fondamentale articolo pub- gno nell’opera di Carlo Scarpa», in:
blicato su L’architettura: Cronache Carlo Scarpa: Mostre e musei, Mila- 24. C. Scarpa, «Volevo ritagliare
e storia nel 1955. G. Mazzariol no, p. 57-71. l’azzurro del cielo», Rassegna, III,
(1955), «Opere di Carlo Scarpa», n. 7, p. 82-85.
L’architettura: Cronache e storia, 3, 11. M. A. Crippa (1984), Carlo
settembre-ottobre, p. 354-359. Scarpa: Il pensiero, il disegno, i pro- 25. L. Khan (1962-1972), «Afori-
getti, Milano, p. 60. La componente smi sui Musei 1962-72», in: L. Bas-
7. «L’opera di Wright fu per me decorativa scarpiana è stata accosta- so Peressut, Il Museo Moderno, p.
un colpo di fulmine. Mi portò via ta al concetto di «decorazione inte- 237-241.
come un’onda, lo si può vedere in grale» dell’architettura organica che
alcuni dei miei progetti di case». non è da intendersi come semplice 26. C. Baroni (1956), «Interesse
Queste affermazioni di Scarpa, ri- incrostazione superficiale, bensì del museo», in: Museo d’Arte An-
lasciate durante un’intervista, sono come capacità di creare effetti deco- tica al Castello Sforzesco, fascicolo
una testimonianza chiara del grande rativi attraverso l’accostamento di monografico di «Città di Milano»,
interesse dell’architetto per l’opera polarità opposte. Vedi anche l’esau- 73 (3), marzo, p. 165.
di Wright. E’ nei primi progetti per stivo capitolo sugli allestimenti di
la Biennale di Venezia che si intra- Scarpa in L. Miotto (2004), Carlo 27. Per le notizie sulle prime Bien-
vedono, in maniera più esplicita, i Scarpa: I Musei, Torino, p. 23-39. nali del dopoguerra, vedi: M. C.
Carlo Scarpa. Dalle magistrali progettazioni museali ai raffinati allestimenti espositivi del contemporaneo LOCVS AMŒNVS 12, 2013-2014 19
Bandera (1999), Il carteggio Lon- randente, uno dei curatori della mo- Novecento in Italia: Il «saper mo-
ghi-Palucchini: Le prime Biennali stra, lascia una coinvolgente testimo- strare» di Carlo Scarpa, Venezia, p.
del dopoguerra, Milano. nianza della sua esperienza visiva. 140-141.
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28. M. Dalai Emiliani (2000), di lavoro», in: Carlo Scarpa. 1906- 37. R. McCarter (2013), Carlo
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pa: Mostre e musei 1944/1976. Case
e paesaggi 1972/1978, Milano, p. 32. L. Miotto (2004), Carlo Scar- 38. R. McCarter (2013), Carlo
105. pa: I Musei, Torino, p. 42- 47. Scarpa, Londra, Phaidon, p. 5.
29. R. McCarter (2013), Carlo 33. P. Marini (2000), «Amplia- 39. C. Scarpa (1976), «Può l’ archi-
Scarpa, Londra, p. 76-77. mento della Gipsoteca Canovia- tettura essere poesia?», conferenza te-
na», in: Carlo Scarpa. Mostre e nuta da Carlo Scarpa all’Accademia di
30. P. Marini (2000), «Mostra Gio- musei 1944/1976. Case e paesaggi Belle Arti di Vienna, in: Carlo Scarpa
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Mostre e musei 1944/1976. Case e
paesaggi 1972/1978, Milano, p. 112. 34. G. Carandente (1984), 40. R. McCarter (2013), Carlo
Per altri informazioni sulla mostra, Vent’anni di lavoro, Milano, p. 125. Scarpa, Londra, Phaidon, p. 274.
vedi: R. Pallucchini (1949), Mo- 35. L. Miotto (2004), Carlo Scar-
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vici Veneziani, n. 1-4, p. 8-10. tieri/copy_of_accademia/gallerie-
36. M. Dalai Emiliani (2008), Per dellaccademia-dopo-il-restauro/
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