Camesasca 2012
Camesasca 2012
Camesasca 2012
ESPANSI POLIURETANICI
BIODEGRADABILI:
APPLICAZIONI PER INGEGNERIA DEI
TESSUTI
Tesi di:
Stefano CAMESASCA
Matricola: 734616
Ringrazio Marco, il mio “fratellino”, e tutti i miei parenti, che mi sono stati
sempre accanto durante tutti questi anni di studio.
E ringrazio te, Sarah, che sei sempre stata al mio fianco e sempre lo sarai.
Indice
Sommario 11
Abstract 14
Introduzione 16
Il ruolo dello scaffold nell‟ingegneria tissutale 17
1. Materiali per la realizzazione di scaffold 19
2. Porosità e struttura tridimensionale 20
3. Biodegradabilità 22
4. Proprietà meccaniche 23
5. Adesione cellulare e citocompatibilità 23
Poliuretani e ingegneria tissutale 25
Capitolo 1 28
1.1 Poliuretani 28
1.1.1 Reazioni per la sintesi di poliuretani 28
1.1.2 Reagenti per la sintesi di poliuretani 30
1.1.2.1 Isocianato 30
1.1.2.2 Poliolo 31
1.1.2.3 Catalizzatori 32
1.1.3 Struttura e morfologia dei poliuretani lineari 32
1.2 Poliuretani espansi 34
1.2.1 Reazioni per la sintesi di poliuretani espansi 34
1.2.2 Curva di crescita di un poliuretano espanso 37
1.2.3 Reagenti per la sintesi di poliuretani espansi 38
1.2.3.1 Agenti espandenti 39
1.2.3.2 Surfattanti 39
1.2.3.3 Catalizzatori 40
1.2.4 Schiume poliuretaniche rigide 41
1.2.5 Schiume poliuretaniche flessibili 43
1.2.6 Produzione e processing di schiume poliuretaniche 45
3
Capitolo 2 48
2.1 Poliuretani in ambito biomedicale 48
2.2 Poliuretani biodegradabili per applicazioni biomedicali 51
2.2.1 Composizione chimica 51
2.2.2 Fenomeni di degradazione dei poliuretani 54
2.2.3 Possibili strategie per rallentare la cinetica di
degradazione 58
2.3 Espansi poliuretanici biodegradabili per l‟ingegneria dei
tessuti 61
2.3.1 Scaffold per la rigenerazione della cartilagine 61
2.3.2 Scaffold per la rigenerazione dei tessuti molli 62
2.3.3 Espansi poliuretanici biodegradabili per la
ricostruzione del tessuto osseo 65
2.3.3.1 Test di invecchiamento in vitro 67
2.3.3.2 Prove di calcificazione in vitro 71
2.3.3.3 Test di citocompatibilità in vitro 72
2.3.3.4 Studi di biocompatibilità in vivo 74
Capitolo 3 77
Attività sperimentale 77
3.1 Sintesi di espansi poliuretanici (PU) 78
3.1.1 Reagenti per espansi PU biointegrabili 78
3.1.2 Reagenti per espansi PU biodegradabili 78
3.1.3 Processo di sintesi 80
3.1.3.1 Titolazione del poliolo 80
3.1.3.2 Sintesi ad uno stadio 80
3.2 Caratterizzazione di espansi poliuretanici 83
3.2.1 Preparazione dei campioni 83
3.2.2 Analisi di microscopia elettronica a scansione (SEM) 84
3.2.3 Percentuale di porosità aperta 84
3.2.4 Prove di assorbimento di acqua a 37°C 86
3.2.5 Analisi di spettroscopia infrarossa (ATR – FTIR) 86
3.2.6 Prove meccaniche di compressione 87
3.3 Risultati delle prove di caratterizzazione 89
3.3.1 Analisi di microscopia elettronica a scansione (SEM) 89
3.3.2 Percentuale di porosità aperta 91
4
3.3.3 Prove di assorbimento di acqua a 37°C 91
3.3.4 Analisi di spettroscopia infrarossa (ATR – FTIR) 93
3.3.5 Prove meccaniche di compressione 94
3.4 Conclusioni 96
Bibliografia 100
5
Indice delle figure
Introduzione
Figura 1 - Principi base per la generazione di un graft
attraverso metodi di ingegneria tissutale. 17
Figura 2 - Esempio di scaffold poliuretanico poroso per la
rigenerazione del tessuto osseo. 20
Figura 3 - (a) Esempio di schema di posizionamento di
campioni polimerici impiantati nella regione dorsale di ratti;
(b) Scaffold poliuretanico biodegradabile impiantato nella
regione dorsale di un ratto. 24
Capitolo 1
Figura 1.1 - (a) 4,4‟ MDI; (b) 2,4 MDI; (c) 2,2‟ MDI; (d)
TDI. 30
Figura 1.2 - (a) 1,6 esametilene diisocianato; (b) 4,4‟ –
dicicloesilmetano di isocianato. 31
Figura 1.3 - Schema della struttura di un poliuretano lineare
a segmenti. 33
Figura 1.4 - Struttura bifasica caratteristica dei poliuretani
lineari a segmenti. 33
Figura 1.5 - Esempi di strutture cellulari: (a) Struttura a
nido d‟ape; (b) Espanso polimerico a celle aperte. 34
Figura 1.6 - Rappresentazione schematica della reazione di
gelificazione. 36
Figura 1.7 - Rappresentazione schematica della reazione di
espansione. 36
Figura 1.8 - Curva di crescita di un poliuretano espanso. 37
Figura 1.9 - Relazione tra sforzo e densità apparente di una
schiuma poliuretanica rigida. 42
Figura 1.10 - Pannelli isolanti realizzati con schiume
poliuretaniche rigide. 43
6
Figura 1.11 - Esempio di schiuma poliuretanica flessibile. 43
Figura 1.12 - Cicli di isteresi relativi a schiume flessibili di
diversa composizione. 44
Figura 1.13 - Impianto industriale per la produzione di
schiume poliuretaniche a sezione rettangolare. 46
Figura 1.14 - Particolare della testa di miscelazione di un
impianto di schiumatura in continuo. 46
Figura 1.15 - (a) Esempi di tecniche di taglio secondo
profili predefiniti e di processi di punzonatura; (b) Schiume
sagomate per specifiche applicazioni. 47
Capitolo 2
Figura 2.1 - (a) Catetere in poliuretano; (b) Esempi di
sacche per il sangue in poliuretano. 49
Figura 2.2 - Esempio di dispositivo per assistenza
ventricolare – VAD. 49
Figura 2.3 - Immagine ottenuta al microscopio elettronico a
scansione di un espanso poliuretanico biodegradabile. 50
Figura 2.4 - Meccanismo di degradazione relativo a
poliuretani biodegradabili. 54
Figura 2.5 - Perdita di massa di poliuretani incubati in
buffer acquoso in presenza o in assenza di elastasi. 56
Figura 2.6 - (a) Fenomeno di auto-ossidazione (AO); (b)
Fenomeno di environmental stress cracking (ESC). 57
Figura 2.7 - Analisi dell‟altezza dei picchi di assorbimento
a 1110 cm-1 (ATR-FTIR) dei gruppi etere relativa a
poliuretani trattati con vitamina E e poliuretani non trattati. 59
Figura 2.8 - Degradazione dei segmenti soft polietere. 60
Figura 2.9 - Esempio di scaffold poliuretanico poroso
utilizzato per la rigenerazione del tessuto cartilagineo. 61
Figura 2.10 - Esempio di patch poliuretanico di diametro
pari a 6 mm ottenuto con tecnica di punzonatura. 63
Figura 2.11 - Immagine relativa a patch poliuretanico a 12
settimane dall‟impianto nel tratto di uscita del ventricolo
destro di ratti adulti. 63
7
Figura 2.12 - Rilascio di lisina da parte del polimero LDI-
glicerolo in PBS a 37, 22 o 4°C in un periodo di
incubazione fino a 60 giorni. 68
Figura 2.13 - Rilascio di lisina e glicerolo da parte del
polimero LDI-glicerolo in PBS a differenti temperature e
istanti temporali. 68
Figura 2.14 - (a) Effetto dei prodotti di degradazione del
polimeri LDI-glicerolo sul pH della soluzione PBS; (b)
Variazione di pH durante prove di invecchiamento in vitro
di poliuretani con diversi di idrofilicità a base
policaprolattone, polietilenossido e Pluronic F68®. 70
Figura 2.15 - (a) Immagine al SEM di calcio-fosfati
presenti sulla superficie di poliuretani con rapporto segmenti
idrofilici – idrofobici pari a 70:30; (b) Particolare
dell‟ingrandimento della porzione evidenziata dal rettangolo
dell‟immagine (a). 71
Figura 2.16 - Caratteristiche di adesione e crescita di cellule
murine precursori di osteoblasti. 72
Figura 2.17 – (a) Cellule stromali da midollo osseo di
coniglio durante i primi stati di adesione al substrato a 6 ore
dalla semina; (b) Monostrato cellulare presente sullo
scaffold a 7 giorni dalla semina. 73
Figura 2.18 - Analisi istologiche della reazione da corpo
estraneo in seguito all‟impianto della matrice polimerica
LDI-glucosio. 74
Figura 2.19 - (a) Impianto di scaffold poliuretanici in difetti
ossei della cresta iliaca di pecora; (b) Immagine radiografica
del difetto colmato con scaffold poliuretanico con il 70% di
componenti idrofilici, dopo 6 mesi dall‟impianto. 75
Capitolo 3
Figura 3.1 - (a) Agitatore a colonna da banco; (b) Stampo
in PMMA. 81
Figura 3.2 - Seghetto con filo di acciaio e taglierina in
PMMA. 83
8
Figura 3.3 - (a) Picnometro a variazione di volume; (b)
Particolare della bolla. 85
Figura 3.4 - (a) Prova di compressione a secco; (b) Prova di
compressione a umido. 87
Figura 3.5 - Curva del ciclo di compressione e rette
interpolanti i tratti lineare e di collasso. 88
Figura 3.6 - Immagini al SEM della morfologia superficiale
delle schiume PS, PL1, PL2. 89
Figura 3.7 - Immagini al SEM della morfologia superficiale
delle schiume S1, S2. 90
Figura 3.8 - Curve di assorbimento di acqua a 37°C relative
alle schiume PS, PL1, PL2, EF. 92
Figura 3.9 - Spettro di assorbimento della schiume
biodegradabili PS, PL1, PL2. 93
Figura 3.10 - Curve sforzo-deformazione ottenute da prove
meccaniche di compressione a secco della schiuma
biointegrabile EF. 94
Figura 3.11 - Curve sforzo-deformazione ottenute da prove
meccaniche di compressione a umido della schiuma
biointegrabile EF. 94
Figura 3.12 - Valori dei parametri meccanici ricavati
dall‟elaborazione delle curve cicliche relative a prove di
compressione. 95
9
Indice delle tabelle
Capitolo 2
Capitolo 3
Tabella 3.1 - Reagenti utilizzati per la sintesi di schiume
poliuretaniche biointegrabili. 78
Tabella 3.2 - Reagenti utilizzati per le prove preliminari di
sintesi di poliuretani biodegradabili. 79
Tabella 3.3 - Sigle utilizzate per i materiali sintetizzati. 82
Tabella 3.4 - Water uptake (%) relativi alle schiume
sintetizzate. 91
Tabella 3.5 - Valori dei parametri meccanici ricavati
dall‟elaborazione delle curve cicliche relative a prove di
compressione. 95
10
Sommario
Sommario
11
Sommario
12
Sommario
13
Abstract
Abstract
The success of scaffold for tissue engineering applications largely depends on the
characteristic of the polymeric material used, which should degrade in a timely manner
inducing the least immunogenicity in the host.
During the last twenty years, polyurethanes (PU) have been proposed among the large
variety of polymers used for the production of porous tridimensional supports for tissue
engineering. Polyurethanes are commonly used in medical practice to realize implantable
devices in contact with blood and soft tissues. The main advantage offered by these
polymers, in tissue engineering applications, is their great versatility. This allows the
production of scaffold with suitable mechanical properties and in the meantime with
tunable degradation rate, to promote the growth of a new tissue.
Thanks to their versatility, typical peculiarity of polyurethanes, these polymers have
become candidates in the regenerative medicine applications.
The object of this work are biodegradable polyurethane foams, for tissue engineering
applications. These materials are still being investigated and researchers‟ aim is the
synthesis of polymers for the production of biocompatible tridimensional porous scaffold,
with suitable mechanical properties and controlled degradation rate.
The degradation of the implanted matrix and the tissue regeneration rates should be
similar, moreover the material should undergo controlled degradation to noncytotoxic
decomposition products.
This work considers in particular polyurethane foams. Porosity affects mechanical
properties and define foam‟s stiffness or flexibility. The reagents, the synthetic processes,
the production and processing methods of polyurethane foams are described as well.
The second chapter considers the use of biodegradable polyurethane foams for the
production of scaffold for cartilage, soft tissue (i. e. blood vessels and nerves) and, most of
all, bone tissue engineering. Reagents and methods to tailor the degradation rate of these
14
Abstract
materials are considered. Afterward the attention will be focused on the results of scientific
works concerning with the study of in vitro and in vivo biodegradation of polyurethanes
foams proposed as scaffold for bone tissue engineering.
During this work preliminary studies on biodegradable polyurethane foams were done at
„Laboratorio di Biomateriali‟ of Politecnico di Milano.
The critical analysis of scientific works concerning with biodegradable polyurethanes has
lead to the selection of required reagents for preliminary synthesis experiments.
The one-shot process was chosen for the production of biodegradable polyurethane foams.
Polyethylene glycol (PEG, molecular weight 1000) was used as polyol, while polymeric
4,4‟–diphenylmethane diisocyanate (MDI) was used as isocyanate. Triethanolamine
(TEA), terziary amine with functionality of 3, was selected as catalyst and crosslinker.
Infrared spectroscopy analysis (ATR-FTIR) shows the presence of urethane bonds along
polymeric chains‟ backbone, however the foams suffer of structural instability which
causes foam‟s shrinking in the first 24 hours after their synthesis.
Water uptake values at 37°C show polymer hydrophilicity, nevertheless analysis of
scanning electron microscopy (SEM) suggest that foams‟ structure is few homogenous,
with poorly interconnected pores.
In the third chapter of this work the synthesis trials done at „Laboratorio di Biomateriali‟
are described, together with the first results of characterization techniques.
It is worth to underline that these are only preliminary results. For this reason further
studies and synthesis, together with materials‟ analysis, are necessary to develop
polyurethane foams with an open cell structure and tunable biodegradation properties.
15
Introduzione
16
Introduzione
Figura 1. – Principi base per la generazione di un graft attraverso metodi di ingegneria tissutale[3].
17
Introduzione
18
Introduzione
Per realizzare scaffold per l‟ingegneria tissutale, la scelta può ricadere sulla classe dei
materiali polimerici sintetici, oppure quella dei materiali di origine naturale.
I primi, tra cui i polimeri organici, presentano un ampio spettro di proprietà meccaniche
modulabili in fase di sintesi, sono facilmente processabili, riproducibili e reperibili in
larghi volumi[1].
I materiali di origine naturale presentano proprietà meccaniche non controllabili e sono
difficilmente processabili, in quanto derivati da tessuti viventi. Nelle applicazioni
terapeutiche il materiale impiantato deve espletare una funzione di supporto meccanico,
interagendo con l‟ambiente biologico circostante, per permettere la generazione di un
nuovo tessuto sano e maturo. La criticità dell‟applicazione di un qualsiasi biomateriale
risiede nella risposta a lungo termine da parte dell‟organismo; nel campo dell‟ingegneria
dei tessuti, è infatti richiesta una sostituzione progressiva dello scaffold con matrice
extracellulare prodotta dalle cellule seminate sul costrutto. È quindi necessario che la
velocità di riassorbimento della matrice polimerica sia simile a quella di crescita del nuovo
tessuto, inoltre i sottoprodotti di degradazione devono essere facilmente metabolizzabili
dall‟organismo, senza indurre un‟intensa reazione infiammatoria.
I materiali sintetici più impiegati come scaffold sono in generale i materiali polimerici.
Rispetto alle altre classi di materiali, i polimeri impiegati per la realizzazione di supporti
cellulari offrono numerosi vantaggi tra cui la biocompatibilità, la possibilità di modificarne
composizione e proprietà fisiche, la facile processabilità anche in forme e strutture
complesse e la possibilità di modificarne chimicamente e fisicamente la superficie.
Tecniche particolarmente avanzate consentono inoltre di immobilizzare cellule o
biomolecole al loro interno.
Tra i principali svantaggi dell‟utilizzo dei materiali polimerici si hanno la presenza di
sostanze che possono essere rilasciate nell‟organismo in seguito al processo di
degradazione (monomeri, catalizzatori, additivi) e la difficoltà nel controllo della cinetica
di riassorbimento dello scaffold, che spesso può rivelarsi incompatibile con quella di
rigenerazione del tessuto.
19
Introduzione
Nel campo dell‟ingegneria del tessuto osseo e cartilagineo è necessario che la struttura di
sostegno sia porosa (Figura 2), con pori interconnessi e di adeguate dimensioni, per
permettere lo sviluppo e la formazione di un tessuto biologico funzionale[5]. In questo una
struttura porosa tridimensionale è un requisito fondamentale per lo scaffold.
Figura 2. – Esempio di scaffold poliuretanico poroso per la rigenerazione del tessuto osseo. L‟immagine è stata ottenuta
mediante microscopio elettronico a scansione (SEM)[6].
20
Introduzione
Il rapporto tra il volume dei vuoti e il volume totale del materiale definisce la porosità,
proprietà morfologica dipendente dai parametri fissati durante il processo di fabbricazione
dello scaffold, come, ad esempio, la quantità di acqua utilizzata nei processi di gas foaming
(cioè di espansione provocata da un gas, si veda il Capitolo1) dei poliuretani, o la quantità
di agente porogeno (ad esempio cloruro di sodio, NaCl) utilizzato durante i processi di
solvent casting-particulate leaching[7].
La porosità di un materiale può essere aperta oppure chiusa. La porosità aperta definisce il
grado di interconnessione dei pori e si esprime come percentuale del volume totale dello
scaffold penetrabile da un gas dall‟esterno; viceversa la porosità chiusa è espressa dalla
percentuale del volume totale dello scaffold impenetrabile ad un gas dall‟esterno.
La presenza di pori è necessaria in un costrutto tridimensionale in quanto favorisce la
migrazione e la proliferazione cellulare all‟interno della struttura, il passaggio di sostanze
nutritive e la rimozione di cataboliti, oltre ad offrire un‟elevata superficie di adesione
cellulare in un ridotto volume.
Il grado ottimale di porosità aperta, per dare luogo alla formazione di un tessuto funzionale
in vitro, è dell‟ordine dell‟80 – 90%[1]. Tuttavia, occorre ricordare che tale parametro
influenza le prestazioni meccaniche e le caratteristiche di biodegradabilità del costrutto, per
questa ragione il grado di porosità può variare a seconda dell‟applicazione. Le proprietà
meccaniche incrementano se la porosità è di tipo chiuso, tuttavia pori chiusi impedirebbero
la colonizzazione della struttura da parte delle cellule e per questo motivo è necessario
trovare un buon compromesso tra i due tipi di porosità. Per quanto concerne le dimensioni
dei pori, è possibile controllare tale parametro ad esempio scegliendo opportunamente la
granulometria dell‟agente porogeno[7] oppure controllando il quantitativo di agente
espandente (ad esempio acqua, per i processi di gas foaming) introdotto in fase di sintesi.
Il vantaggio offerto da una struttura porosa aperta è quello di permettere la libera
diffusione di molecole prodotte dalle cellule o presenti nel mezzo di coltura. Inoltre, se le
dimensioni dei pori sono sufficientemente elevate, è possibile osservare il fenomeno di
migrazione cellulare all‟interno del costrutto.
E‟ da sottolineare, infine, come il grado di porosità non sia costante nel tempo, bensì come
esso diminuisca in vivo a causa dello sviluppo del tessuto biologico che occupa i pori dello
scaffold.
21
Introduzione
3. Biodegradabilità
22
Introduzione
4. Proprietà meccaniche
23
Introduzione
Per la valutazione del grado di tossicità di eventuali prodotti rilasciati dal biomateriale si
utilizzano, ad esempio, tecniche di colorazione in grado di distinguere le cellule vive dalle
cellule morte.
a) b)
Figura 3. – (a) Esempio di schema di posizionamento di campioni polimerici impiantati nella regione dorsale di ratti. I
tre colori identificano materiali diversi[14]. (b) Scaffold poliuretanico biodegradabile impiantato nella regione dorsale di
un ratto[15].
Poliuretani e ingegneria tissutale
24
Introduzione
25
Introduzione
26
Scopo della tesi
27
Capitolo 1
Capitolo 1
1.1 Poliuretani
1.1.1 Reazioni per la sintesi di poliuretani
28
Capitolo 1
Sintesi a singolo stadio: in questo processo si esegue una reazione diretta tra
diisocianato, macroglicole e diolo;
29
Capitolo 1
a) b)
c) d)
Figura 1.1 – a) 4,4‟ MDI; b) 2,4 MDI; c) 2,2‟ MDI; d) TDI [1.4].
30
Capitolo 1
Per quanto riguarda gli isocianati alifatici, quelli maggiormente utilizzati sono l‟ 1,6-
esametilene diisocianato e il 4,4‟-dicicloesilmetano diisocianato (Figura 1.2).
a)
b)
1.1.2.2 Poliolo
I poliesteri sono impiegati per la produzione di poliuretani sia rigidi che flessibili, in
forma compatta o espansa, dotati di ottima resistenza chimica, resistenza fisica a
flessione e abrasione e buone proprietà elastomeriche; tuttavia, risultano suscettibili a
idrolisi.
I polieteri sono utilizzati per l‟ottenimento di poliuretani flessibili, sono più resistenti
all‟idrolisi rispetto ai poliesteri, ma subiscono ossidazione.
I polioli utilizzati per la produzione di poliuretani possono essere a basso peso molecolare
(PM nell‟ordine dei 100 g/mole, ad esempio il butandiolo) oppure ad alto peso molecolare
(PM mediamente nell‟ordine degli 8000 g/mole).
31
Capitolo 1
Il peso molecolare dei polioli maggiormente utilizzati è compreso tra 500 e 6000
g/mole[1.2], i dioli a basso peso molecolare hanno funzione di estensori di catena (cioè
servono ad incrementare il peso molecolare delle catene polimeriche), mentre quelli a peso
molecolare elevato sono definiti macrodioli. La lunghezza della catena del poliolo
determina le proprietà meccaniche del prodotto finale; più estesa è la catena, più flessibile
è il poliuretano. Dioli corti e strutture reticolate danno luogo a poliuretani rigidi.
1.1.2.3 Catalizzatori[1.2]
Per controllare la velocità di reazione sono di norma impiegati agenti con proprietà
catalizzanti. Il gruppo isocianato è sensibile a molti tipi di catalizzatore: acidi e basi di
Lewis, catalizzatori metallici, sali alcalini di acidi organici e particolari fenoli.
La catalisi relativa alle reazioni dei poliuretani è estremamente complessa a causa dei
numerosi fattori che la influenzano, come ad esempio l‟effetto catalitico esercitato dal
gruppo uretanico stesso. In generale, i catalizzatori metallici attivano il gruppo isocianato
incrementandone il carattere elettrofilo, mentre le basi rendono maggiormente nucleofili i
gruppi ossidrili.
Tra i catalizzatori più diffusi troviamo ammine alifatiche terziarie e sali organici di stagno.
I poliuretani possono presentare una vasta gamma di proprietà, che sono influenzate dalla
composizione chimica, dalla lunghezza delle catene polimeriche e dalle interazioni fisiche
tra le stesse.
I poliuretani lineari a segmenti sono prodotti dalla reazione di tre diverse molecole:
diisocianato, macroglicole ed estensore di catena (diolo o diammina a basso peso
molecolare). Il risultato dell‟interazione di questi tre elementi è un copolimero a blocchi,
caratterizzato da una struttura (Figura 1.3) in cui si alternano segmenti soft (costituiti dal
macrodiolo) e segmenti hard (costituiti da isocianato ed estensore di catena).
32
Capitolo 1
L‟incompatibilità fisica tra i due tipi segmenti porta alla formazione di una struttura
bifasica, in cui i domini hard sono dispersi in una matrice costituita dai segmenti soft
(Figura 1.4).
I segmenti hard interagiscono tra loro mediante interazioni non covalenti (legami
intermolecolari, quali legami a idrogeno e forze di Van der Waals), formando domini
semicristallini o vetrosi, a seconda della temperatura, all‟interno della matrice polimerica
amorfa e flessibile composta dai segmenti soft. L‟elevato numero di ponti idrogeno tra i
gruppi (NH) e (C=O) di catene adiacenti determina un‟elevata forza d‟interazione, in
grado, tuttavia, in presenza di un carico, di permettere spostamenti e riarrangiamenti nella
33
Capitolo 1
disposizione delle molecole polimeriche. Dal momento che segmenti hard e soft sono uniti
da legami covalenti, lo scorrimento delle catene è limitato e ciò, unito alle numerose
interazioni fisiche tra le catene, determina le proprietà elastomeriche tipiche dei poliuretani
a segmenti. La risposta meccanica di questi materiali dipende quindi dalla composizione
chimica e dal contenuto dei diversi segmenti. Un numero elevato di domini hard ne
incrementa la durezza, il modulo elastico e la resistenza meccanica, mentre al crescere del
numero dei segmenti soft aumenta l‟allungamento in campo elastico e diminuisce la
temperatura di transizione vetrosa.
Progettandone accuratamente la sintesi, è quindi possibile realizzare materiali con
proprietà adatte alle specifiche applicazioni.
Figura 1.5 – Esempi di strutture cellulari: (a) struttura a nido d‟ape[1.6]; (b) espanso polimerico a celle aperte[1.7].
34
Capitolo 1
35
Capitolo 1
a)
b)
Come si osserva dalla reazione precedente, il gruppo terminale dell‟isocianato reagisce con
l‟acqua e si decompone spontaneamente in anidride carbonica (CO2) e ammina (NH2)
(Figura 1.7 a). Il gruppo amminico reagisce istantaneamente con l‟isocianato, portando alla
formazione di un gruppo urea (-NH-CO-NH-) (Figura 1.7 b). Il macromonomero risultante
può reagire nuovamente con l‟acqua. L‟anidride carbonica generata agisce come agente
porogeno nella fase di polimerizzazione del poliuretano.
Per ottenere un espanso stabile è necessario che le velocità delle reazioni descritte in
precedenza, che avvengono in concomitanza, siano simili. In seguito all‟innesco delle
reazioni di gelling e di blowing la schiuma inizia la propria espansione finché la massa
polimerica raggiunge il punto di gelificazione, in prossimità del quale si registra un
aumento della viscosità del sistema[1.9]. E‟ necessario che la formazione di pori all‟interno
della miscela avvenga prima che la schiuma raggiunga il punto di gelificazione, per dare
luogo ad un materiale stabile che non vada incontro a collasso[1.9].
Per completezza, occorre ricordare che il monomero isocianato può reagire con qualsiasi
composto idrogenato, inclusi i gruppi uretani o urea formatisi in precedenza[1.8]. Questi
fenomeni di crosslink avvengono generalmente in ogni reazione di espansione e sono
caratterizzati da cinetiche più lente rispetto alle reazioni di gelificazione ed espansione[1.8].
In fase di sintesi, occorre quindi scegliere accuratamente il quantitativo di isocianato da
utilizzare, considerando che una quantità eccessiva di isocianato dà luogo a queste reazioni
secondarie che incrementano la rigidezza della schiuma.
36
Capitolo 1
Nella chimica dei poliuretani si introduce l‟indice isocianato (isocyanate index), definito
come il rapporto percentuale tra la quantità di gruppi isocianato e i gruppi ossidrili presenti
nella miscela[1.8]. Questo indice viene utilizzato per influenzare la struttura dell‟espanso,
determinando il grado di reticolazione tra le molecole polimeriche, che aumenta al crescere
dell‟indice isocianato. Un valore pari a 100 indica che nella formulazione è presente un
quantitativo di isocianato esattamente sufficiente per reagire con l‟acqua e con tutti i
gruppi ossidrili, un valore pari a 110 indica che la schiuma è stata prodotta con il 10% di
isocianato in eccesso.
Anche nel caso in cui l‟indice di isocianato sia superiore a 100, nel prodotto finito non
esistono gruppi isocianato non reagiti e ciò significa che l‟isocianato in eccesso deve
necessariamente reagire con gruppi urea e uretano. Incrementando l‟indice si ottengono
schiume più rigide, a cause delle reticolazioni indotte dalle interazioni tra isocianato e
gruppi urea e uretano.
La maggior parte delle schiume poliuretaniche flessibili ha un indice compreso tra 90 e
110, tuttavia è possibile realizzare prodotti con indici differenti per specifiche
applicazioni[1.8].
Figura 1.8 – Curva di crescita di un poliuretano espanso: (a) tempo di fine miscelazione; (b)
tempo di crema; (c) tempo di filo; (d) tempo di fine crescita; (e) tempo di impronta[1.10].
37
Capitolo 1
Il punto „a‟ identifica il tempo di fine miscelazione, mentre il tempo „b‟ è definito tempo di
crema e rappresenta l‟istante in cui la massa di reazione passa da un colore bruno ad un
colore crema. Questa variazione di tonalità è da attribuire alla formazione di microbolle di
CO2 all‟interno della miscela viscosa ed è legata alla velocità di reazione isocianato-acqua.
A questa reazione è riconducibile anche il tempo „d‟, chiamato tempo di fine crescita, in
cui l‟espansione ha termine e l‟espanso raggiunge il volume specifico finale.
Nell‟arco della reazione, la viscosità incrementa esponenzialmente e, al tempo di filo,
individuato dal punto „c‟, il polimero comincia ad assumere caratteristiche sempre più
simili a quelle di un solido.
Il tempo di impronta, in corrispondenza dell‟istante „e‟, identifica il raggiungimento di una
condizione simile a quella del prodotto finito, in cui la superficie risulta meno
“appiccicosa”.
I punti „c‟ ed „e‟ dipendono dal grado di reattività dei reagenti scelti e per questa ragione la
loro posizione è determinata dalla composizione della miscela; al contrario i punti „b‟ e „d‟
sono fissi sul grafico e sono identificati dal passaggio della derivata della curva dal valore
zero ad un valore positivo e viceversa. Il corretto posizionamento del punto „c‟ risulta un
fattore critico nel processo di produzione dei poliuretani espansi.
Tra i reagenti utilizzati per la sintesi di poliuretani espansi, oltre ad isocianati e polioli,
utilizzati con la stessa funzione vista nella trattazione dei poliuretani lineari, vengono
impiegati agenti espandenti, surfattanti e specifici catalizzatori. Nei prossimi paragrafi,
quindi, verranno descritti gli agenti espandenti, i surfattanti e i catalizzatori impiegati per la
produzione di schiume poliuretaniche.
Per quanto concerne i polioli, quelli maggiormente impiegati per la sintesi di poliuretani
espansi rigidi (si veda il paragrafo 1.2.4) sono poliesteri e polieteri a basso peso molecolare
(inferiore a 1000 g/mole); mentre per la produzione di poliuretani espansi flessibili (si veda
il paragrafo 1.2.5) sono impiegati poliesteri e polieteri ad elevato peso molecolare (2000 ÷
8000 g/mole). Tra gli isocianati più utilizzati per la produzione di espansi, sia rigidi che
flessibili, troviamo toluene diisocianto (TDI) e metilene-bis-fenilisocianato (MDI).
38
Capitolo 1
Gli agenti espandenti sono responsabili della formazione della schiuma e tra i più utilizzati
troviamo liquidi bassobollenti (come idrocarburi alifatici o alcoli) e gas (ad esempio aria o
CO2)[1.10].
Nel caso in cui l‟agente espandente sia prodotto durante la reazione di sintesi, l‟espansione
è detta chimica; al contrario, se esso agisce attraverso fenomeni di tipo fisico (ad esempio
passaggi di stato), senza l‟intervento di reazioni chimiche, l‟espansione è definita
fisica[1.10].
Nella produzione di poliuretani in forma espansa l‟acqua, impiegata come agente
espandente, svolge un ruolo fondamentale. Essa reagisce con il monomero isocianato a
produrre anidride carbonica (CO2), provocando l‟espansione della miscela di reazione nella
fase di polimerizzazione e permette di ottenere un espanso. Per la produzione di schiume
flessibili vengono generalmente fissati rapporti massici acqua/poliolo compresi tra 1 e
6%[1.8], mentre per le schiume rigide spesso si combina l‟utilizzo di acqua e liquidi
bassobollenti. La reazione tra le molecole d‟acqua e i monomeri isocianato è fortemente
esotermica e in fase di sintesi la temperatura della miscela può raggiungere i 175°C
gradi[1.9].
1.2.3.2 Surfattanti[1.8]
39
Capitolo 1
1.2.3.3 Catalizzatori[1.8]
40
Capitolo 1
Gli espansi poliuretanici rigidi sono stati introdotti per applicazioni industriali come
isolanti a partire dagli anni ‟50[1.3]. Questi materiali possono essere realizzati in processi a
uno stadio o a due stadi, utilizzando toluene diisocianato (TDI) oppure metilene-bis-
fenilisocianato (MDI)[1.3].
Per la produzione di questa tipologia di schiume, caratterizzate da una porosità di tipo
chiuso, gli agenti espandenti non sono utilizzati con il solo scopo di conferire al materiale
una forma espansa, ma, dal momento che rimangono confinati all‟interno dei pori chiusi,
essi influenzano le proprietà isolanti del materiale (ad esempio in termini di isolamento
termico)[1.2]. La scelta dell‟agente espandente dipende dalla specifica applicazione e nella
maggior parte dei casi si utilizza la combinazione di un agente fisico (un liquido basso
bollente oppure un gas) con un agente chimico (solitamente CO2 formata dalla reazione tra
acqua e isocianato)[1.2].
Le schiume poliuretaniche rigide possono essere distinte in schiume poliuretaniche (PU
foams) e poliisocianurati (PIR foams)[1.3]. Alla prima categoria appartengono schiume
prodotte dalla reazione di isocianati (solitamente MDI) con polioli a basso peso molecolare
(inferiore a 1000 g/mole); i poliisocianurati sono sintetizzati invece a partire da
quantitativi di isocianato più elevati rispetto a quelli stechiometrici (maggiori del 50%), in
presenza di particolari catalizzatori a base di sali metallici.
L‟eccesso di isocianato (in questo caso l‟isocyanate index risulta maggiore di 100) gioca
un ruolo chiave nella produzione di poliisocianurati in quanto l‟isocianato in eccesso
reagisce con se stesso a formare gruppi isocianurati trimerici ciclici.
La struttura finale del materiale contiene sia gruppi uretano sia gruppi isocianurato e tali
composti risultano termicamente più stabili rispetto alle PU foams, mostrando una
maggiore resistenza alle elevate temperature[1.3].
Il rapido incremento dell‟utilizzo di schiume poliuretaniche rigide, dopo la loro
introduzione sul mercato agli inizi degli anni ‟50, è da attribuire principalmente alla
stabilità e resistenza all‟acqua, oltre che alla bassa conducibilità termica.
I primi espansi rigidi prodotti a livello industriale per applicazioni di isolamento
mostravano valori di conducibilità termica intorno ai 32 mW/m*K a 10°C e possedevano
generalmente una struttura a celle aperte, che determina l‟abbassamento delle proprietà
isolanti. I nuovi espansi, con struttura a celle chiuse, sono essenzialmente impermeabili
41
Capitolo 1
Figura 1.9 – Relazione tra sforzo e densità apparente di una schiuma poliuretanica rigida:
a) sforzo di trazione; b) sforzo di compressione[1.2].
42
Capitolo 1
43
Capitolo 1
44
Capitolo 1
45
Capitolo 1
Nella massa colata si raggiungono temperature attorno ai 180°C a causa della reazione
esotermica che si svolge: il processo di schiumatura può considerarsi completato dopo
circa 3 minuti, tuttavia la fase di polimerizzazione necessita dalle 12 alle 72 ore, a seconda
della tipologia di schiuma.
Figura 1.13 – Impianto industriale per la produzione di schiume poliuretaniche a sezione rettangolare: a) testa di
miscelazione; b) zona di espansione; c) nastro trasportatore; d) dispositivo per conferire alla schiuma una sezione rettangolare;
e) distributore di carta per evitare l‟adesione della schiuma al nastro trasportatore [1.2].
46
Capitolo 1
a) b)
Figura 1.15[1.2] – a) Esempi di tecniche di taglio secondo profili predefiniti (1), (2), (3) e di processi di punzonatura (4);
b) schiume sagomate per specifiche applicazioni.
47
Capitolo 2
Capitolo 2
48
Capitolo 2
a) b)
Figura 2.1 - a) Catetere in poliuretano[2.4]; b) Esempi di sacche per il sangue in poliuretano [2.5].
Il primo poliuretano lineare per applicazioni biomedicali è stato ritirato dal mercato nel
1991 a causa di fenomeni di microcracking superficiale, dovuto all‟ossidazione a carico
del segmento soft polietere[2.6].
Figura 2.2 - Esempio di dispositivo per assistenza ventricolare – VAD (ventricular assistance device)[2.7].
Contrariamente ai materiali lineari utilizzati per impianti in vivo a lungo termine, per i
quali sono necessarie stabilità e proprietà costanti nel tempo, i biomateriali impiegati nella
produzione di scaffold per l‟ingegneria dei tessuti sono progettati per andare incontro a
biodegradazione, con l‟obiettivo di portare alla rigenerazione un tessuto sano e funzionale.
Negli ultimi anni è stato registrato un incremento dell‟interesse verso i poliuretani espansi
biodegradabili (Figura 2.3) per la realizzazione di scaffold e sistemi per drug - delivery.
49
Capitolo 2
Figura 2.3 – Immagine ottenuta al microscopio elettronico a scansione di un espanso poliuretanico biodegradabile[2.8].
Un grande vantaggio di questi materiali risiede nel fatto che essi possono essere sintetizzati
a partire da miscele liquide, il che li rende potenzialmente utili come biomateriali
iniettabili, per terapie non invasive[2.6], ad esempio per il riempimento di difetti ossei o per
il rilascio controllato di farmaci.
Sebbene l‟instabilità all‟idrolisi e all‟ossidazione siano da evitare nella progettazione di
materiali per dispositivi per impianti a lungo termine, questi fenomeni possono essere
sfruttati per la realizzazione di espansi biodegradabili per applicazioni di ingegneria dei
tessuti. Il futuro della chimica dei poliuretani espansi prevede la realizzazione di scaffold
biodegradabili per tissue engineering, che diano luogo a prodotti di degradazione non
citotossici.
50
Capitolo 2
51
Capitolo 2
Uno studio presente in letteratura riporta come i poliuretani sintetizzati con poliisocianati
alifatici diano luogo in vitro e in vivo a prodotti di degradazione non citotossici[2.6].
Al contrario, la citotossicità dei prodotti di degradazione dei composti realizzati con
isocianati aromatici è stata per lungo tempo oggetto di dibattito, in quanto l‟idrolisi dei
gruppi uretano e urea può dare luogo ad ammine aromatiche potenzialmente tossiche. Ad
esempio uno studio relativo a schiume poliuretaniche biodegradabili preparate con 2,4-
toluene diisocianato ha riscontrato la presenza di prodotti tossici, cancerogeni e
mutageni[2.14]; per quanto concerne i composti sintetizzati utilizzando MDI, invece, è stata
riscontrata l‟assenza di prodotti dannosi per l‟ambiente fisiologico, anche se va sottolineato
come questi materiali abbiano cinetiche di degradazione molto lente.
Per quanto concerne i polioli, la maggior parte dei poliuretani biodegradabili per la
produzione di scaffold è realizzata con l‟impiego di poliesteri o polieteri. Il peso
molecolare dei macrodioli utilizzati per la sintesi di composti biodegradabili è
generalmente compreso tra 400 e 5000 g/mole, con funzionalità (cioè numero di gruppi
ossidrili per molecola) maggiore o pari a 2[2.6].
In tabella 2.2 sono riportati alcuni tra i polioli maggiormente utilizzati per realizzare
scaffold per l‟ingegneria tissutale.
52
Capitolo 2
53
Capitolo 2
L‟analisi dei fenomeni di degradazione dei poliuretani in ambiente fisiologico risulta molto
complessa, poiché esistono numerose cause che influenzano questi meccanismi, come ad
esempio attacco chimico, enzimatico, batterico e azioni meccaniche che possono condurre
a degradazione di tipo ossidativo o idrolitico[2.16].
L‟ossidazione dell‟atomo di ossigeno appartenente ai gruppi uretano, e ad eventuali gruppi
etere lungo le catene polimeriche, è responsabile della degradazione di questi materiali, che
può verificarsi anche per idrolisi dei legami estere, laddove essi siano presenti.
I meccanismi di degradazione idrolitica, che sono stati proposti in letteratura[2.6], sono
rappresentati schematicamente in figura 2.4.
54
Capitolo 2
Diversi autori[2.34;2.35] hanno ipotizzato l‟idrolisi dei legami estere, sia in vivo che in vitro, e
la conseguente formazione di prodotti di degradazione quali α-idrossiacidi e frammenti
uretanici con gruppi acidi terminali.
È stato dimostrato come tramite la composizione dei poliesteri di partenza si possa
controllare la cinetica di degradazione in vitro, ed è stato osservato come i poliuretani con
segmenti soft amorfi si degradino più rapidamente rispetto a quelli semicristallini[2.6]. Allo
stesso modo, poliuretani realizzati con macrodioli idrofilici[2.38;2.39] mostrano elevati valori
di water uptake (ovvero di assorbimento di acqua), responsabili dell‟incremento della
velocità di riassorbimento.
A seconda dell‟isocianato utilizzato in fase di sintesi, sono stati riscontrati fenomeni di
degradazione idrolitica dei gruppi uretano[2.11-2.13], tuttavia in letteratura si riscontra
l‟assenza di consenso relativamente all‟idrolisi di questi legami.
In alcuni studi, nei quali sono stati impiegati poliisocianati derivati dalla lisina, gli autori
riportano l‟idrolisi del gruppo uretano e la conseguente formazione di lisina[2.11-2.13]; altri
studiosi, tuttavia, sostengono che i gruppi urea e uretano siano suscettibili alla sola
degradazione enzimatica[2.17].
In letteratura, tra i metodi adottati per la sintesi di poliuretani biodegradabili per la
produzione di scaffold, troviamo l‟utilizzo di particolari estensori di catena, progettati ad
hoc per essere riconosciuti e scissi da particolari enzimi, con l‟obiettivo di favorire il
riassorbimento del costrutto da parte dell‟organismo.
Un esempio si trova nel lavoro di Guan et al.[2.18], nel quale sono stati sintetizzati
poliuretani lineari biodegradabili partendo da butandiisocianato, da un poliolo copolimero
a blocchi PCL-PEG-PCL e da un peptide Alanina-Alanina-Lisina (AAK), utilizzato come
estensore di catena. I segmenti hard di questo polimero sono stati appositamente progettati
per essere suscettibili a degradazione enzimatica, sfruttando la specificità dell‟enzima
elastasi per il taglio tra due monomeri consecutivi di alanina.
È stato riscontrato come la cinetica di degradazione in vitro dei materiali ottenuti con
estensore di catena peptidico sia molto più rapida in presenza dell‟enzima elastasi, rispetto
a quella registrata nel solo buffer acquoso (Figura 2.5), ed è stata verificata l‟assenza di
citotossicità dei prodotti di degradazione.
Un ulteriore vantaggio offerto da questi materiali risiede nelle proprietà meccaniche
comparabili con quelle dei materiali di controllo.
55
Capitolo 2
Figura 2.5 – Perdita di massa di poliuretani incubati in buffer acquoso in presenza (linee continue) o in assenza
(linee tratteggiate) di elastasi (0.3 mg/mL). Le barre di errore vengono mostrate per chiarezza solo per l‟ultimo
istante temporale[2.18].
56
Capitolo 2
Oltre alla degradazione per idrolisi, i poliuretani a base di polietere-uretani sono soggetti a
fenomeni di ossidazione. Sono stati identificati fenomeni di auto-ossidazione (AO, Auto
Oxidation) ed ossidazione indotta da ioni metallici eventualmente presenti nel luogo
d‟impianto (MIO, Metal Ion Oxidation)[2.19].
L‟adesione e l‟attivazione superficiale di cellule fagocitiche, in particolare macrofagi,
richiamati nel sito d‟impianto durante la reazione infiammatoria da corpo estraneo,
determinano il fenomeno di auto-ossidazione (AO) (Figura 2.6 a). Entrambi i meccanismi,
Metal Ion Oxidation e Auto Ossidation, inducono la formazione di microfessurazioni;
cricche profonde a carico dell‟intera massa polimerica sono tipiche del fenomeno di
ossidazione da ioni metallici, mentre nel caso di auto-ossidazione si registrano lesioni
superficiali.
In seguito alla presenza di stress meccanici, causati dai processi di lavorazione e di
trasformazione dei materiali, è possibile che il fenomeno di auto-ossidazione si trasformi in
environmental stress cracking (ESC) (Figura 2.6 b), con estensione delle fessurazioni
superficiali fino al bulk del materiale)[2.19].
a) b)
Figura 2.6 – (a) Fenomeno di auto-ossidazione (AO); (b) fenomeno di environmental stress cracking (ESC)[2.42].
57
Capitolo 2
In letteratura sono presenti diversi studi relativi alla ricerca di strategie per il controllo
della cinetica di degradazione dei poli-etere-uretani (PEU), con l‟obiettivo di rallentare il
processo di ossidazione dei gruppi etere dall‟ossidazione in ambiente biologico[2.20-2.22]. Tra
le tecniche adottate, alcune prevedono l‟utilizzo di agenti chimici.
Gli agenti chimici antiossidanti maggiormente utilizzati in ambito biomedicale sono
composti sintetici come Santowhite® (a base di idrossitoluene butilato) e Irganox® (un
fenolo), tuttavia alcuni di essi possono compromettere la biocompatibilità del costrutto, se
utilizzati in concentrazioni troppo elevate o nel caso in cui essi diano luogo a prodotti di
degradazione tossici per le cellule. Per evitare tali rischi, sono stati introdotti nuovi
composti naturali con proprietà antiossidanti, tra cui la vitamina E e la sua forma
maggiormente attiva, l‟α-tocoferolo.
Questa molecola risulta particolarmente apprezzata in quanto è solubile nei poli-etere-
uretani e i suoi prodotti di degradazione sono innocui. Grazie a queste proprietà l‟α-
tocoferolo è già riconosciuto come sostanza sicura da parte dell‟FDA (Food and Drug
Administration) e potrebbe facilmente guadagnare la futura approvazione per
l‟introduzione in commercio[2.20].
In uno studio condotto da Schubert et al.[2.22], è stata valutata l‟efficacia antiossidante della
vitamina E, impiegata come additivo durante la sintesi di PEU lineari, successivamente
impiantati in posizione sottocutanea in ratti.
L‟influenza della vitamina E sulla biostabilità dei poliuretani è stata analizzata mediante
indagini di spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier in riflettenza totale attenuata
(ATR-FTIR) e microscopia elettronica a scansione (SEM). I risultati indicano come la
vitamina E sia in grado di prevenire la degradazione chimica superficiale dei materiali
trattati fino a cinque settimane dall‟impianto del dispositivo, e di rallentarne il processo di
ossidazione durante le settimane successive.
La figura 2.7 mostra i valori di altezza dei picchi di assorbimento del legame etere (1110
cm-1) espressi come frazione percentuale rispetto all‟altezza dei picchi di assorbimento
iniziale (risultati ottenuti mediante spettroscopia infrarossa). Dopo cinque settimane il
contenuto di gruppi etere sulla superficie del poliuretano non trattato con vitamina E risulta
dimezzato, mentre l‟aggiunta dell‟antiossidante mantiene il contenuto di gruppi etere in
prossimità del 100%. Alla decima settimana, la presenza di legami etere nel polimero di
58
Capitolo 2
controllo risulta essere del 18%, mentre il poliuretano trattato mostra valori attorno
all‟82%.
La velocità di degradazione dei gruppi etere del costrutto sintetizzato con l‟agente
antiossidante, stimata tra la quinta e la decima settimana d‟impianto, è circa il doppio
rispetto a quella del materiale di controllo. Da questi risultati, è possibile affermare che le
proprietà antiossidanti della vitamina E sono in grado di rallentare il processo di
ossidazione dei poli-etere-uretani in vivo.
% altezza picco etere a 1110 cm-1
Figura 2.7 – Analisi dell‟altezza dei picchi di assorbimento a 1110 cm-1 (ATR-FTIR) dei gruppi etere
relativa a poliretani trattati con vitamina E (PEUU-E) e poliuretani non trattati (PEUU-A)[2.22].
In uno studio condotto da Chou et al.[2.21], è stato valutato l‟effetto di nanoparticelle di oro
e di argento sulla biodegradabilità di poli-etere-uretani (PEU) lineari.
Gli autori hanno sintetizzato PEU incorporando in fase di sintesi nanoparticelle di oro o di
argento, per verificarne l‟eventuale influenza sulla resistenza del materiale alla
degradazione. Sono stati condotti su suini test di degradazione in vivo, mediante l‟impianto
di provini di PEU (1 cm x 2,5 cm x 0,05 cm) nella regione dorsale degli animali.
59
Capitolo 2
Dopo un periodo di tempo pari a 19 giorni, i campioni sono stati estratti e valutati tramite
indagini di microscopia elettronica a scansione (SEM), spettroscopia infrarossa (FTIR) e
analisi istologica.
I risultati hanno indicato il quantitativo ottimale di oro (43.5 ppm) e di argento (30.2 ppm)
in grado di incrementare la stabilità superficiale dei costrutti rispetto agli attacchi
degradativi ossidativi (Figura 2.8).
La quantità di oro o di argento aggiunta ha una forte influenza sulla formazione di legami
idrogeno, sulle proprietà meccaniche del materiale e sulla capacità del nanocomposito di
ridurre l‟attività dei radicali liberi. Il contenuto ottimale stimato in questo studio è
dell‟ordine delle 43.5 ppm per l‟oro e di 30.2 ppm per l‟argento; gli autori ipotizzano che
quantitativi maggiori potrebbero dare luogo alla formazione di aggregati di nanoparticelle,
con un conseguente peggioramento delle proprietà precedentemente descritte.
Figura 2.8 – Degradazione dei segmenti soft polietere (p < 0.05). * maggiore rispetto al PU puro;
** maggiore rispetto al PU-Au 17.4 ppm e PU-Ag 113 ppm; + maggiore rispetto a tutti gli altri campioni[2.21].
60
Capitolo 2
Gli espansi poliuretanici biodegradabili sono stati negli ultimi anni oggetto di ricerca per la
produzione di supporti tridimensionali per l‟ingegneria dei tessuti.
Nello specifico, l‟utilizzo di scaffold poliuretanici è stato studiato nell‟ambito
dell‟ingegneria del tessuto cartilagineo[2.23-2.26], dei tessuti molli (ad esempio, vasi
ematici[2.27-2.29] e fibre nervose[2.30-2.33]) e in maniera preponderante per la rigenerazione del
tessuto osseo[2.11-2.13;2.15;2.34-2.40].
Figura 2.9 - Esempio di scaffold poliuretanico poroso utilizzato per la rigenerazione del tessuto
cartilagineo. L‟immagine è stata ottenuta al microscopio elettronico a scansione[2.25].
61
Capitolo 2
In uno studio condotto da Chia et al.[2.24], sono state sintetizzate membrane poliuretaniche
microporose, a base di esametildiisocianato, policaprolattone e isosorbide diolo, per
potenziali applicazioni nell‟ingegneria del tessuto cartilagineo. Tre diverse tipologie di
costrutti, con differente dimensione dei pori (10†20 μm, 40†60 μm e inferiori a 5 μm),
sono state impiegate come substrati per la coltura in vitro di condrociti bovini, mentre un
espanso microporoso in acido polilattico (PLA) è stato utilizzato come controllo.
Durante un periodo di coltura pari a 30 giorni, non sono state registrate differenze rilevanti
nei profili di proliferazione cellulare relativi alle quattro membrane considerate, inoltre i
condrociti seminati sui diversi costrutti hanno mostrato risultati simili in termini di
produzione di proteoglicani e collagene di tipo II. Ciò dimostra che l‟impiego di
poliuretani biodegradabili conduce a risultati comparabili con quelli ottenuti utilizzando
materiali polimerici biodegradabili tradizionali.
I risultati di questi test preliminari dimostrano il potenziale utilizzo di questa classe di
materiali biodegradabili come sostituti delle porzioni di periostio impiegate nel trapianto
autologo di condrociti, tuttavia ulteriori studi sono necessari per definirne con maggior
dettaglio il ruolo in applicazioni cliniche per il riparo della cartilagine.
62
Capitolo 2
Figura 2.10 – Esempio di patch poliuretanico di diametro pari a 6 mm, ottenuto con tecnica di punzonatura [2.43].
Gli scaffold poliuretanici sono stati utilizzati per colmare difetti transmurali, realizzati
chirurgicamente, a livello del tratto d‟uscita del ventricolo destro di ratti adulti (Figura
2.11), e protesi in politetrafluoroetilene (PTFE) sono state impiantate come controllo in un
secondo gruppo di animali.
Figura 2.11 – Immagine relativa a patch poliuretanico a 12 settimane dall‟impianto nel tratto di
uscita del ventricolo destro di ratti adulti. La barra indica una dimensione pari a 5 mm [2.43].
63
Capitolo 2
Per quanto concerne le fibre nervose, è noto come il sistema nervoso periferico possieda
capacità autorigenerativa e, in seguito a lesioni ridotte, gli assoni siano in grado di
rigenerarsi, colmando il gap tra le parti lese. In presenza di traumi di natura più ampia,
tuttavia, risulta necessaria l‟applicazione di guide tubulari per la rigenerazione guidata del
tessuto, al fine di assicurare una corretta riconnessione tra i prolungamenti citoplasmatici
assonici. In quest‟ottica, gli scaffold poliuretanici biodegradabili sono attualmente in fase
di studio come substrati per applicazioni di ingegneria dei tessuti, nell‟ambito della
ricostruzione guidata del tessuto nervoso[2.30-2.33].
Nei paragrafi successivi verranno analizzati con maggior dettaglio gli scaffold per il tessuto
osseo e le prove di invecchiamento in vitro e test di citocompatibilità in vitro e in vivo
relativi a poliuretani espansi biodegradabili per la ricostruzione di questo tessuto, in quanto
numerosi studi sono presenti a riguardo nella letteratura scientifica.
64
Capitolo 2
65
Capitolo 2
Riferimento
Composizione chimica (*) Prodotti di degradazione bibliografico
Policaprolattone-co-glicolide
α-idrossi-acidi; Guelcher et al.,
triolo;
lisina [2.34]
Lisina diisocianato
Policaprolattone-co-glicolide-
α-idrossi-acidi;
co-lattide triolo; Guelcher et al.,
lisina
Lisina diisocianato [2.35]
Policaprolattone;
Policaprolattone-co-glicolide-
co-lattide triolo; α-idrossi-acidi; Guelcher et al.,
Lisina diisocianato; lisina [2.40]
Lisina triisocianato
Glicerolo; lisina;
Zhang et al.,
Lisina diisocianato etanolo;
[2.11]
glicerolo
Glicerolo; lisina;
Acido ascorbico; glicerolo; Zhang et al.,
Lisina diisocianato acido ascorbico; [2.12]
etanolo
Zhang et al.,
D-glucosio; lisina;
[2.13]
Lisina diisocianato glucosio
Polietilenossido; acido idrossicaproico;
Policaprolattone; polietilenossido Gogolweski et al.,
Esametildiisocianato oligomerico; [2.36]
1,6 esametildiammina
Polietilenossido o poliolo
idrofilico Pluronic ®; acido idrossicaproico;
Policaprolattone, polietilenossido Gorna et al.,
1,4 butandiolo; oligomerico; [2.38]
Esametildiisocianato 1,6 esametildiammina
Polietilenossido;
Policaprolattone; acido idrossicaproico;
Poliolo a base di saccarosio polietilenossido Gorna et al.,
o di ammina; oligomerico; [2.39]
Esametildiisocianato 1,6 esametildiammina
66
Capitolo 2
67
Capitolo 2
studio, a dare lisina, glicerolo, etanolo e anidride carbonica e risultano in linea con quelli
ubblicati dagli stessi autori, inerenti a poliuretani a base di glucosio e lisina
diisocianato[2.13].
Figura 2.12 - Rilascio di lisina da parte del polimero LDI-glicerolo in PBS a 37, 22 o 4°C in un periodo
d‟incubazione fino a 60 giorni[2.11].
Figura 2.13 - Rilascio di lisina e glicerolo da parte del polimero LDI-glicerolo in PBS a differenti temperature e
istanti temporali[2.11].
68
Capitolo 2
Al fine di valutare la stabilità termica del materiale, sono state eseguite prove di
invecchiamento ad una temperatura pari a 100°C, che hanno mostrato una degradazione
del materiale pari al 77.2 % dopo 10 giorni di incubazione in PBS, mentre un valore pari al
solo 2% è stato osservato nelle prime 6 ore di trattamento in soluzione acquosa bollente.
Secondo gli autori, ciò dimostra come il polimero con LDI e glicerolo sia termicamente
stabile e vada incontro a cambiamenti strutturali ridotti, se sottoposto alle alte temperature
per periodi brevi, rivelandosi indicato per la sterilizzazione in autoclave per tempi brevi.
In questi esperimenti[2.11-2.13] le cinetiche di rilascio sono state misurate in condizioni di
agitazione lenta della soluzione (2 giri/minuto); uno studio presente in letteratura[2.45]
mostra come poliuretani biodegradabili, sintetizzati con acido lattico oppure acido
poliglicolico e poli-ε-caprolattone uniti a LDI, si degradino con una velocità doppia in vivo
rispetto a quella registrata in vitro. Alla luce di queste osservazioni, gli autori ritengono che
la cinetica di degradazione sia più rapida in vivo, a causa della presenza dei fluidi
fisiologici e del metabolismo cellulare; ciò va quindi considerato in fase di progettazione
del materiale, al fine di evitarne un riassorbimento troppo rapido, che non permetta la
corretta rigenerazione del tessuto.
69
Capitolo 2
degradazione sia acidi che basici, la cui interazione conduce a reazioni di neutralizzazione,
con effetti minimi sui valori di pH della soluzione.
a) b)
Figura 2.14 - (a) Effetto dei prodotti di degradazione del polimero LDI-glicerolo sul pH della soluzione PBS. Il polimero è
stato incubato a 37, 22 o 4°C per 60 giorni e il pH della soluzione è stato misurato ogni 24 ore [2.13]. (b) Variazioni di pH
durante prove di invecchiamento in vitro di poliuretani con diversi gradi di idrofilicità, a base di policaprolattone (PCL),
polietilenossido (PEO) e Pluronic® F68. PCL con peso molecolare pari a 2000; PCL con peso molecolare pari a 530;
PCL530 e PEO2000 in rapporto 50:50; PCL2000 e Pluronic® F68 in rapporto 70:30[2.38].
Negli stessi lavori[2.38;2.39], sono stati riscontrati due fattori principali in grado di influenzare
i meccanismi di degradazione dei poliuretani: il grado di idrofilicità del materiale e il peso
molecolare delle catene. I composti a basso peso molecolare mostrano una cinetica più
rapida rispetto a quelli ad elevato peso molecolare; tuttavia, i fenomeni di degradazione più
marcati si registrano a carico dei polimeri con il più alto contenuto di segmenti idrofilici,
indipendentemente dal peso molecolare iniziale. Ciò conferma l‟ipotesi che la dissoluzione
dei poliuretani in ambienti acquosi proceda sostanzialmente per effetto idrolitico.
70
Capitolo 2
È noto come i poliuretani siano soggetti a calcificazione in vivo, e, benché questi fenomeni
siano da evitarsi in presenza di dispositivi a contatto con il sangue, essi potrebbero rivelarsi
un vantaggio nell‟ambito della ricostruzione del tessuto osseo.
Gorna et al.[2.39] hanno condotto esperimenti di calcificazione in vitro, ponendo provini
poliuretanici espansi in incubatore a 37°C per un periodo pari a 80 giorni. La soluzione a
base di PBS veniva sostituita ogni 48 ore per assicurare un‟adeguata concentrazione ionica.
La presenza di calcio e fosforo è stata valutata mediante analisi di spettroscopia a raggi X
(EDAX) e di microscopia elettronica a scansione (SEM), a 16, 32, 48 e 80 giorni
d‟incubazione. Le indagini hanno rivelato la formazione di cristalli di sali di calcio sulla
superficie dei provini (Figura 2.15), ed è stato riscontrato come la suscettibilità alla
calcificazione aumenti con l‟idrofilicità del materiale. Una possibile spiegazione di tali
fenomeni risiede nell‟attrazione selettiva verso gli ioni calcio, da parte dell‟atomo di
ossigeno appartenente ai gruppi etere dei composti maggiormente idrofilici. È stato inoltre
osservato come i calcio-fosfati presenti sulla superficie dei polimeri siano inizialmente
amorfi e si trasformino progressivamente, passando attraverso alcuni stadi intermedi, in
idrossiapatite cristallina.
a) b)
Figura 2.15 - (a) Immagine al SEM di calcio fosfati presenti sulla superficie di poliuretani con rapporto segmenti
idrofilici – idrofobici pari a 70:30. (b) Particolare dell‟ingrandimento della porzione evidenziata dal rettangolo nell‟immagine (a)[2.39].
71
Capitolo 2
Nei lavori presenti in letteratura sono spesso condotte prove di citocompatibilità in vitro,
utilizzando diverse linee cellulari, per valutare la risposta cellulare nei confronti degli
scaffold biodegradabili sintetizzati. I risultati dimostrano, in generale, la buona
citocompatibilità dei materiali polimerici realizzati.
In uno studio di Zhang et al.[2.12], ad esempio, sono state utilizzate cellule di linea murine,
precursori di osteoblasti (OPC, osteoblastic precursor cells), per testare la
citocompatibilità di schiume poliuretaniche biodegradabili, sintetizzate con lisina
diisocianato, glicerolo e acido ascorbico. La crescita delle cellule seminate sugli scaffold
ha mostrato le stesse caratteristiche di quella relativa a colture cellulari su piastre in
polistirene di controllo. Durante i primi due giorni di coltura è stata registrata
proliferazione cellulare, con presenza di cellule ipertrofiche di forma sferica, come si
osserva in figura 2.16.
Al quarto giorno di coltura, si sono osservati fenomeni di migrazione cellulare,
accompagnati da sintesi di matrice extracellulare, e durante la prima settimana di coltura
sono stati monitorati l‟attacco, lo spreading e la proliferazione di cellule con morfologia
allungata o poligonale. Entro la seconda settimana di coltura, le cellule hanno dato luogo
alla colonizzazione di intere porzioni di substrato e si inizia ad osservare una produzione di
matrice extracellulare. Al termine dell‟esperimento, dopo un periodo di coltura pari a 14
giorni, le cellule hanno dato luogo a multistrati giunti a confluenza, caratteristica tipica
delle cellule del tessuto osseo. Tali risultati dimostrano la citocompatibilità dei substrati
realizzati.
a) b) c)
Figura 2.16 - Caratteristiche di adesione e crescita di cellule murine precursori di osteoblasti. (A) Fase di attacco cellulare
alla superficie del polimero dopo un periodo di coltura pari a 4 ore. (B) Monostrato cellulare dopo 5 dalla semina.
(C) Multistrato cellulare a 12 giorni dalla semina[2.12].
72
Capitolo 2
In altri lavori condotti dagli stessi autori[2.11;2.13] sono state impiegate cellule stromali
prelevate dal midollo osseo di coniglio (Figura 2.17). Le cellule aderiscono al substrato
entro 6 ore dalla semina e a 7 giorni le cellule seminate sulla superficie dello scaffold
hanno colonizzato i pori della matrice polimerica, suggerendo che la porosità dell‟espanso
risulta interconnessa e di dimensioni adeguate per permettere la proliferazione cellulare
all‟interno del costrutto. Inoltre, dopo 30 giorni dalla semina, si osserva la crescita di strati
cellulari multipli all‟interno dei pori dello scaffold.
a) b)
Figura 2.17 - (a) Cellule stromali da midollo osseo di coniglio durante i primi stati di adesione al substrato a 6 ore dalla
semina; (b) monostrato cellulare presente sullo scaffold poliuretanico a 7 giorni dalla semina. Le immagini sono state
ottenute mediante microscopio elettronico a scansione[2.11].
73
Capitolo 2
a) b) c)
Figura 2.18 - Analisi istologiche della reazione da corpo estraneo in seguito all‟impianto della matrice polimerica LDI-
glucosio. Sezioni dell‟espianto a 15 giorni (a), 30 giorni (b), 60 giorni (c). La sezione in figura (c) mostra una degradazione
del materiale maggiore del 90%. CT: tessuto connettivo, P: poliuretano espanso[2.13].
Gli autori riportano assenza d‟incremento nel tempo dello spessore della capsula fibrotica e
di accumulo di cellule giganti coinvolte nella reazione da corpo estraneo. Analisi ELISA di
campioni di siero prelevato dalle cavie hanno escluso la presenza di anticorpi rivolti verso
il materiale polimerico, ciò dimostra come il costrutto non sia immunogenico in vivo.
74
Capitolo 2
Per quanto concerne la cinetica di degradazione è stato osservato come l‟espanso si degradi
tre volte più velocemente in vivo che in vitro.
In un altro studio, condotto da Gogolewski et al.[2.36], sono stati impiantati scaffold porosi
poliuretanici in difetti ossei appositamente creati della cresta iliaca di 8 pecore (Figura
2.19a), per una durata complessiva dell‟esperimento pari a 6 mesi. Gli animali sono sono
stati separati in due gruppi distinti: nel primo gruppo sono stati utilizzati poliuretani
espansi con 70% di componente idrofilica e 30% di componente idrofobica, mentre nel
secondo sono stati impiegati espansi con rapporto tra segmenti idrofilici e idrofobici pari a
30:70.
Dati presenti in letteratura, relativi a difetti ossei iliaci non trattati con alcun riempitivo,
sono stati utilizzati come controllo.
a) b)
Figura 2.19 – (a) impianto di scaffold poliuretanici in difetti ossei della cresta iliaca di pecora; (b) immagine radiografica del
difetto colmato con scaffold poliuretanico con il 70% di componenti idrofilici, dopo 6 mesi dall‟impianto [2.36].
Tutti gli animali sono sopravvissuti all‟esperimento e in nessuno di essi sono stati
riscontrati sintomi di infezione. A sei mesi dall‟impianto, tutti i difetti mostrano
neoformazione di tessuto osseo spongioso all‟interno dei pori degli scaffold, in quantità
simile per tutti i materiali testati. È inoltre da sottolineare come il contenuto di minerali
all‟interno dei polimeri più idrofilici, dovuto alla deposizione di calcio-fosfati, sia
superiore rispetto a quello registrato per gli espansi più idrofobici, a conferma dei risultati
ottenuti da prove di calcificazione in vitro[2.38;2.39].
75
Capitolo 2
Analisi radiografiche (Figura 2.19 b) confermano la formazione di tessuto osseo più denso
in confronto a quello nativo, con un rapporto calcio-fosforo pari a 1.76, rispetto al valore
fisiologico di 1.83 dell‟osso della cresta iliaca.
Sebbene gli autori non forniscano alcun dato inerente alla velocità di degradazione del
materiale, gli espansi poliuretanici considerati in questo esperimento hanno condotto alla
parziale rigenerazione di difetti ossei della cresta iliaca, che difficilmente giungono
spontaneamente a guarigione, come testimoniato dai risultati di test di controllo, nei quali è
stata osservata la sola formazione di tessuto fibroso.
76
Capitolo 3
Capitolo 3
Attività sperimentale
Durante la fase sperimentale di questo lavoro di tesi sono state condotte prove preliminari
di sintesi ad uno stadio di poliuretani espansi, i cui reagenti sono stati selezionati con
l‟obiettivo di conferire al prodotto proprietà di biodegradabilità.
Inizialmente, per sviluppare la conoscenza delle procedure di laboratorio e per apprendere
le tecniche di caratterizzazione comunemente utilizzate, è stata eseguita la sintesi un
poliuretano espanso biointegrabile, ad elevata idrofilicità. L‟espanso ottenuto è stato poi
caratterizzato valutandone il water uptake a 37°C, la porosità aperta e il comportamento
meccanico a compressione.
In seguito, dopo un‟accurata selezione dei reagenti, basata sulle informazioni presenti nella
letteratura scientifica, al fine di ottenere polimeri altamente idrofilici e biodegradabili, sono
state condotte prove di sintesi di poliuretani espansi biodegradabili. Occorre sottolineare
come le prove eseguite siano prettamente preliminari; esse sono state svolte in numero
ridotto e inoltre la caratterizzazione effettuata ha riguardato un numero limitato di
parametri (o proprietà). Prove di rigonfiamento in acqua a 37°C hanno permesso di
valutare l‟idrofilicità dei materiali; analisi di spettroscopia infrarossa e di microscopia
elettronica a scansione hanno consentito, rispettivamente, di indagarne la composizione
chimica e la morfologia superficiale.
Nei prossimi paragrafi verranno descritti il processo di sintesi delle schiume poliuretaniche
e le relative tecniche di caratterizzazione, con i risultati delle prime analisi effettuate sui
materiali sintetizzati.
77
Capitolo 3
Elastoflex:
2 poli-etere polioli;
Poliolo 1,5% poliol ammina;
butandiolo;
etilen glicole
In questo lavoro di tesi sono state eseguite prove preliminari di sintesi di schiume
poliuretaniche biodegradabili. Inizialmente sono stati sintetizzati materiali sfruttando il
grado di umidità del poliolo (cioè senza introdurre acqua in fase di sintesi), per verificare
l‟effettiva formazione di un poliuretano in seguito all‟interazione tra i reagenti selezionati.
Successivamente, è stata introdotta acqua in fase di sintesi, per ottenere un rapporto
massico acqua/poliolo pari a 0,02 o 0,01. In tabella 3.2 sono riportati i reagenti utilizzati
per queste prove preliminari.
78
Capitolo 3
Tabella 3.2 – Reagenti utilizzati per prove preliminari di sintesi di poliuretani biodegradabili.
Il primo passo, dopo la scelta dei reagenti, consiste nella determinazione delle quantità
degli stessi da impiegare in fase di sintesi. A tale scopo, è stato realizzato un apposito
foglio di calcolo, in grado di restituire le masse da utilizzare per ciascun reagente,
considerando rapporti stechiometrici (isocianato:poliolo) e (isocianato:catalizzatore) pari a
5:2 e partendo da un quantitativo di TEA prestabilito.
79
Capitolo 3
Terminata la titolazione del poliolo, è possibile proseguire con la sintesi degli espansi
poliuretanici, che viene condotta mediante reazione ad uno stadio. La procedura di sintesi è
la stessa sia per le schiume biointegrabili, sia per quelle biodegradabili.
Un becher di polipropilene (PP) viene posizionato sulla bilancia di precisione e si procede
all‟introduzione dei reagenti, utilizzandone quantità stabilite dal foglio di calcolo, secondo
questo ordine:
1. Catalizzatore;
2. Acqua deionizzata;
3. Poliolo (che deve essere introdotto rapidamente per non fare evaporare l‟acqua).
80
Capitolo 3
La miscela viene agitata per 90 secondi a 2000 giri / minuto e al termine dell‟agitazione la
massa polimerica può essere trasferita in uno stampo chiuso, oppure può essere lasciata
all‟interno del becher in cui si è svolta la reazione, per l‟espansione libera.
Nel caso di sintesi delle schiume biointegrabili una quantità nota di miscela (definita dal
foglio di calcolo) viene versata all‟interno di uno stampo, in polimetilmetacrilato (PMMA
PERSPEX®), che viene chiuso velocemente per evitare la fuoriuscita di parte della massa
poliuretanica (Figura 3.1 b). Al termine della reazione, l‟espanso viene lasciato riposare
nello stampo per tre giorni, in condizioni di temperatura e umidità controllate.
Nel caso di sintesi delle schiume biodegradabili, invece, il becher viene coperto con un
foglio di alluminio per consentire la polimerizzazione in condizioni di temperatura e
umidità controllate.
a) b)
81
Capitolo 3
(*) Il PEG è stato posto in stufa termostata a 100°C prima della sintesi al fine di ottenerne
il passaggio da una fase cerosa ad una fase liquida, per agevolare il processo di
miscelazione con gli altri reagenti.
82
Capitolo 3
Trascorsi tre giorni dalla sintesi, la schiuma viene estratta dallo stampo e si procede
all‟eliminazione dei primi strati superficiali a contatto con le pareti dello stampo. Questi
strati superficiali sono comunemente detti “pelli” e sono caratterizzati da una struttura più
compatta, con assenza di porosità.
L‟operazione di rimozione delle pelli viene eseguita mediante un filo di acciaio montato su
un seghetto, con l‟ausilio di una taglierina in PMMA[3.2] (Figura 3.2).
Al termine di questa operazione è necessario attendere che la schiuma raggiunga un peso
costante, in seguito alla perdita di peso che l‟espanso subisce a causa della sostituzione
dell‟anidride carbonica, contenuta nei pori, con aria.
Successivamente si procede al taglio della schiuma in lastre di spessore pari a quello dei
provini necessari per le prove di caratterizzazione. Da ogni lastra vengono ricavati provini
cilindrici (altezza 10 mm, diametro 15 mm) mediante un punzone circolare montato
sull‟agitatore meccanico. È necessario che tutti i provini siano identici, per permettere una
ripetitività durante le misure di caratterizzazione.
Per le schiume biodegradabili non è stato possibile ricavare provini cilindrici a causa dello
spessore ridotto e dell‟eccessiva flessibilità del materiale, che non consentono l‟utilizzo del
punzone circolare. In questo caso sono stati ricavati manualmente provini di forma cubica,
servendosi di un bisturi e avendo cura di realizzare provini di dimensioni simili.
83
Capitolo 3
Le schiume poliuretaniche biodegradabili sintetizzate (PS, PL1, PL2, S1, S2) sono state
osservate al microscopio elettronica a scansione (StereoScan 360 Cambridge), per
indagarne la morfologia superficiale. I campioni polimerici sono stati ricoperti con un
rivestimento d‟oro mediante tecnica di sputtering (Sputter Coater SC7640, Polaron) e
successivamente osservati ad ingrandimenti di 30 e 100X, applicando una tensione di 10
kV.
La porosità aperta di un espanso è rappresentata dal rapporto tra il volume di pori aperti
(Vp.a.) e il volume totale (Vtot) e si indica come percentuale di pori aperti (% p. a.). Questo
parametro viene calcolato mediante la seguente formula:
con Vp.a. = Vp – Vi, in cui Vp è il volume del provino e Vi è il volume impenetrabile al gas.
84
Capitolo 3
a) b)
Prove di misura della porosità aperta sono state condotte sulla schiuma biointegrabile EF,
con l‟obiettivo di apprendere la procedura di taratura e di utilizzo dello strumento.
85
Capitolo 3
In cui t rappresenta l‟istante temporale in cui si misura il peso del provino e t0 il tempo di
inizio della prova.
Prove di water uptake sono state condotte sulla schiuma biointegrabile EF e sulle schiume
biodegradabili sintetizzate sfruttando l‟umidità del poliolo (PS, PL1, PL2).
86
Capitolo 3
Le prove a compressione vengono eseguite secondo le indicazioni della norma UNI 6350-
68, utilizzando una macchina INSTRON® 4200 (Figura 3.4).
È possibile eseguire prove di compressione a secco e ad umido (in questo caso il provino
ha raggiunto il plateau di assorbimento, in acqua distillata a 37°C) per osservare come
l‟acqua assorbita dal materiale ne influenzi il comportamento meccanico.
Per ogni schiuma si eseguono test su 3 provini cilindri (h = 10 mm, Ф = 15 mm).
Il provino viene posizionato al centro delle due incudini della macchina e si opera in
controllo di spostamento della traversa mobile ad una velocità pari a 1 mm/minuto, con
l‟applicazione di un precarico pari a 1N. Ogni provino viene sottoposto ad un ciclo di
prova (Figura 3.5) durante il quale il carico viene applicato e successivamente rimosso, in
seguito al raggiungimento di una deformazione prefissata, pari al 50% dell‟altezza del
provino. I valori relativi allo spostamento della traversa e alla forza sono acquisiti da un
software; successivamente l‟elaborazione di questi valori permette di ottenere l‟andamento
della curva sforzo/deformazione relativa ad ogni campione.
a) b)
87
Capitolo 3
Figura 3.5 – Curva del ciclo di compressione e rette interpolanti i tratti lineare (a) e di collasso (b) [3.5].
Il valore dei parametri meccanici sopra riportati è espresso come valore medio e
deviazione standard dei valori relativi a 3 provini.
Per il calcolo dell‟area di isteresi è stato utilizzato il programma Origin 6.0, che ne
consente il calcolo mediante la sottrazione dell‟area sottesa dalla curva di scarico all‟area
sottesa dalla curva di carico.
88
Capitolo 3
Figura 3.6 – Immagini al SEM della morfologia superficiale delle schiume PS (a), PL1 (b) e PL2 (c).
Ingrandimento 30X.
89
Capitolo 3
Figura 3.7 – Immagini al SEM della morfologia superficiale delle schiume S1 (a) e S2 (b), ingrandimento 30X.
(c) Ingrandimento a 100X della morfologia superficiale dell‟espanso S2.
90
Capitolo 3
Il valore di porosità aperta misurato, espresso come valor medio e deviazione standard
delle misure relative a 3 provini, è pari a 91% ± 3,2. Dalle dimensioni dei provini cilindrici
e dalla loro massa è stata inoltre calcolata la densità media della schiuma, pari a (0,074 ±
0,002) g/cm3. L‟elevata porosità aperta, oltre all‟elevato grado di idrofilicità, giustifica gli
alti valori di water uptake registrati per l‟espanso biointegrabile EF (vedi paragrafo 3.3.3).
In tabella 3.4 (a, b) sono riportati i valori di water uptake (espressi come valor medio e
deviazione standard dei valori relativi a 3 provini per ogni espanso) e i rispettivi tempi, ai
quali sono stati registrati i valori di assorbimento.
0 0 0 0 0
91
Capitolo 3
450
400
350
300
Water Uptake [%]
250
PS
200 PL1
150 PL2
EF
100
50
0
0 50 100 150 200 250 300
Tempo [ore]
Figura 3.8 – Curve di assorbimento di acqua a 37°C relative alle schiume PS, PL1, PL2, EF.
92
Capitolo 3
In figura 3.9 sono riportati i risultati delle analisi di spettroscopia infrarossa relativi ai
poliuretani PS, PL1 e PL2.
Figura 3.9 – Spettro di assorbimento delle schiume biodegradabili PS (blu), PL1 (rosso), PL2 (verde).
93
Capitolo 3
I grafici relativi alle prove eseguite a secco (Figura 3.10) e a umido (Figura 3.11) mostrano
l‟influenza dell‟acqua assorbita, presente nella struttura porosa, sul comportamento
meccanico del materiale, le cui proprietà diminuiscono in condizioni di umidità.
0,2
0,16
0,12
σ [MPa]
EFs1
0,08
EFs2
EFs3
0,04
0
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6
ε [mm/mm]
0,2
0,16
0,12
σ [MPa]
EFu1
0,08
EFu2
EFu3
0,04
0
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6
ε [mm/mm]
94
Capitolo 3
In tabella 3.5 e in figura 3.12 sono riportati i valori medi dei parametri calcolati
dall‟elaborazione dei dati. Tali dati confermano una diminuzione delle proprietà
meccaniche del materiale in seguito all‟assorbimento di acqua.
Tabella 3.5 – Valori dei parametri meccanici ricavati dall‟elaborazione delle curve cicliche relative a prove di compressione.
Isteresi
Espanso E*[MPa] m*[MPa] σ*[MPa] ε*[mm/mm] σ10% [MPa]
[J/cm3]
EFs 0,98 ± 0,07 0,14 ± 0,002 0,08 ± 0,004 0,09 ± 0,003 0,08 ± 0,004 0,04 ± 0,001
EFu 0,49 ± 0,05 0,13 ± 0,006 0,04 ± 0,003 0,07 ± 0,003 0,04 ± 0,004 0,02 ± 0,001
0,8
0,6
EFs
0,4
EFu
0,2
0
[MPa] [MPa] [MPa] [mm/mm] [MPa] [J/cm3]
E* m* σ* ε* σ10% Isteresi
Figura 3.12 – Valori dei parametri meccanici ricavati dall‟elaborazione delle curve cicliche relative
a prove di compressione.
95
Capitolo 3
3.4 Conclusioni
In questo capitolo è stata considerata l‟attività sperimentale condotta in questo lavoro di
tesi, con l‟obiettivo di selezionare i reagenti necessari ed eseguire prove preliminari di
sintesi di poliuretani espansi, con proprietà di biodegradabilità.
Dai primi risultati ottenuti è stato riscontrato come i reagenti diano luogo alla formazione
di poliuretani, con proprietà idrofiliche. L‟osservazione al SEM dei campioni realizzati
senza l‟utilizzo di acqua come agente espandente evidenzia una morfologia superficiale
non omogenea, con la presenza di pori scarsamente interconnessi.
L‟introduzione dell‟agente espandente (acqua) in fase di sintesi ha portato alla formazione
di schiume con un grado di porosità aperta in apparenza superiore, tuttavia gli espansi sono
stati soggetti a collasso durante le prime 24 ore successive alla sintesi, prova della loro
instabilità strutturale.
Una possibile causa del collasso dei materiali potrebbe risiedere nell‟utilizzo in un
quantitativo di acqua eccessivo, che ha determinato la formazione di una quantità di
anidride carbonica superiore a quella necessaria per dare luogo ad un processo di
espansione la cui cinetica fosse simile a quella del processo di gelificazione dell‟espanso
(gelling reaction, Capitolo 1). Un‟ulteriore possibile spiegazione del collasso potrebbe
essere dovuta all‟introduzione in fase di sintesi di un quantitativo eccessivo di
catalizzatore: è noto come le ammine terziarie fungano da catalizzatore per la reazione tra
molecole d‟acqua e gruppi isocianato (Capitolo 1, paragrafo 1.2.3.3). In questo caso un
eccesso di trietanolammina potrebbe aver innescato una reazione di espansione con
cinetica molto più rapida rispetto a quella della reazione di gelificazione, conducendo al
collasso del materiale.
Si ritiene che in futuro siano necessarie ulteriori prove di sintesi per individuare una
composizione chimica che porti alla formazione di schiume stabili, non soggette a collasso,
caratterizzate da una struttura omogenea e porosa, con elevato grado di interconnessione
tra i pori.
Ad esempio, sarebbero necessarie prove di sintesi variando il quantitativo d‟acqua e di
catalizzatore introdotto, al fine di individuarne quello ottimale per la produzione di espansi
stabili. Potrebbero essere sperimentati altri catalizzatori (ad esempio ammine terziarie
diverse dalla trietanolammina) osservandone gli effetti sulla morfologia del materiale.
96
Capitolo 3
Inoltre, per aumentare la stabilità degli espansi e per favorire la formazione di una
morfologia porosa interconnessa, potrebbero trovare applicazione in fase di sintesi agenti
surfattanti e stabilizzanti, come fosfolipidi o sali metallici di acidi grassi.
Test di invecchiamento in vitro saranno infine necessari per verificare le proprietà di
biodegradabilità dei materiali sintetizzati.
97
Conclusioni e sviluppi futuri
98
Conclusioni e sviluppi futuri
99
Bibliografia
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Introduzione
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