Petrarca
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Francesco Petrarca
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Andrea del Castagno, Francesco Petrarca, particolare del Ciclo degli uomini e donne
illustri, affresco, 1450, Galleria degli Uffizi, Firenze
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374[1]) è stato uno
scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore
dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie
alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinata quale modello di eccellenza
stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.
Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto
cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in
contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei
classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso
antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che
ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta
culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei
classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i
vizi.
Indice
1 Biografia
1.1 Giovinezza e formazione
1.1.1 La famiglia
1.1.2 L'infanzia raminga e l'incontro con Dante
1.1.3 Tra Francia e Italia (1312-1326)
1.1.3.1 Il soggiorno a Carpentras
1.1.3.2 Gli studi giuridici a Montpellier e a Bologna
1.2 Il periodo avignonese (1326-1341)
1.2.1 La morte del padre e il servizio presso la famiglia Colonna
1.2.2 L'incontro con Laura
1.2.3 L'attività filologica
1.2.3.1 La scoperta dei classici e la spiritualità patristica
1.2.3.2 L'alba della filologia umanistica
1.2.4 Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il De viris illustribus
1.3 Tra l'Italia e la Provenza (1341-1353)
1.3.1 L'incoronazione poetica
1.3.2 Gli anni 1341-1348
1.3.3 La peste nera (1348-1349)
1.3.4 L'incontro con Giovanni Boccaccio e gli amici fiorentini (1350)
1.3.5 L'ultimo soggiorno in Provenza (1351-1353)
1.4 Il periodo italiano (1353-1374)
1.4.1 A Milano: la figura dell'intellettuale umanista
1.4.2 Il soggiorno veneziano (1362-1367)
1.4.3 L'epilogo padovano e la morte (1367-1374)
2 La tomba e le spoglie
2.1 Il sepolcro
2.2 Il dilemma dei resti
3 Pensiero e poetica
3.1 Il messaggio petrarchesco
3.1.1 Il concetto di humanitas
3.1.2 Petrarca e i classici
3.1.2.1 La ricostruzione delle Decadi liviane
3.1.2.2 Il Virgilio Ambrosiano
3.1.3 L'umanesimo cristiano
3.1.3.1 La religiosità petrarchesca
3.1.3.2 Comunanza tra valori classici e cristiani
3.1.3.3 L'agostinismo del Secretum e dell'Ascesa al Monte Ventoso
3.1.4 La figura dell'intellettuale
3.1.4.1 Legame tra oratio e vita
3.1.5 L'impegno "civile" del letterato
3.1.6 L'otium letterario
3.2 La lingua in Petrarca
3.2.1 Il latino e il volgare
3.3 Dante e Petrarca
4 Opere
4.1 Opere latine in versi
4.1.1 L'Africa
4.1.2 Il Bucolicum carmen
4.1.3 Le Epistolae metricae
4.1.4 I Psalmi poenitentiales
4.2 Opere latine in prosa
4.2.1 Il De viris illustribus
4.2.2 I Rerum memorandarum libri
4.2.3 Il Secretum
4.2.4 Il De vita solitaria
4.2.5 Il De otio religioso
4.2.6 Il De remediis utriusque fortunae
4.2.7 Invectivarum contra medicum quendam libri IV
4.2.8 De sui ipsius et multorum ignorantia
4.2.9 Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia
4.2.10 Epistolae
4.3 Opere in volgare
4.3.1 Il Canzoniere
4.3.2 I Trionfi
5 Fortuna e critica letteraria
5.1 L'età dell'umanesimo
5.2 Pietro Bembo e il petrarchismo
5.3 Dal Seicento ai giorni nostri
5.4 Petrarca e la scienza diplomatica
6 Onorificenze
7 Note
7.1 Esplicative
7.2 Riferimenti bibliografici
8 Bibliografia
9 Voci correlate
10 Altri progetti
11 Collegamenti esterni
Biografia
Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decise di cambiare sede per gli
studi dei figli inviandoli, nel 1320, nella ben più prestigiosa Bologna, anche
questa volta accompagnati da Guido Sette[13] e da un precettore che seguisse la
vita quotidiana dei figli[15]. In questi anni Petrarca, sempre più insofferente
verso gli studi di diritto, si legò ai circoli letterari felsinei, divenendo
studente e amico dei latinisti Giovanni del Virgilio e Bartolino Benincasa[16],
coltivando così i primi studi letterari e iniziando quella bibliofilia che lo
accompagnò per tutta la vita[17]. Gli anni bolognesi, al contrario di quelli
trascorsi in Provenza, non furono tranquilli: nel 1321 scoppiarono violenti tumulti
in seno allo Studium in seguito alla decapitazione di uno studente, fatto che
spinse Francesco, Gherardo e Guido a ritornare momentaneamente ad Avignone[18]. I
tre rientrarono a Bologna per riprendervi gli studi dal 1322 al 1325, anno in cui
Petrarca ritornò ad Avignone per «prendere a prestito una grossa somma di
denaro»[18], vale a dire 200 lire bolognesi spese presso il libraio bolognese
Bonfigliolo Zambeccari[19].
Il Palazzo dei Papi ad Avignone, residenza dei pontefici romani dal 1309 al 1377
durante la cosiddetta cattività avignonese. La città provenzale, in quegli anni
centro della Cristianità, era un centro culturale e commerciale di prim'ordine,
realtà che permise a Petrarca di allacciare numerosi legami con protagonisti della
vita politica e culturale del primo Trecento.
Nel 1326 ser Petracco morì[20], permettendo a Petrarca di lasciare finalmente la
facoltà di diritto a Bologna e di dedicarsi agli studi classici che sempre più lo
appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione doveva trovare una
fonte di sostentamento che gli permettesse di ottenere un qualche guadagno
remunerativo: lo trovò quale membro del seguito prima di Giacomo Colonna,
arcivescovo di Lombez[21]; poi del fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni, dal
1330[22]. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e
potenti dell'aristocrazia romana, permise a Francesco di ottenere non soltanto
quella sicurezza di cui aveva bisogno per iniziare i propri studi, ma anche di
estendere le sue conoscenze in seno all'élite culturale e politica europea.
Poco dopo essere entrato a far parte del seguito del vescovo Giovanni, Petrarca
prese gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici
connessi all'ente ecclesiastico di cui era investito[N 4]. Nonostante la sua
condizione di membro del clero (è attestato che dal 1330 il Petrarca è nella
condizione di chierico[25]), ebbe comunque dei figli nati con donne ignote, figli
tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta, Giovanni (nato
nel 1337), e Francesca (nata nel 1343)[26].
L'attività filologica
La scoperta dei classici e la spiritualità patristica
Come accennato prima, Petrarca manifestò già durante il soggiorno bolognese una
spiccata sensibilità letteraria, professando una grandissima ammirazione per
l'antichità classica. Oltre agli incontri con Giovanni del Virgilio e Cino da
Pistoia, importante per la nascita della sensibilità letteraria del poeta fu il
padre stesso, fervente ammiratore di Cicerone e della letteratura latina. Difatti
ser Petracco, come racconta Petrarca nella Seniles, XVI, 1, donò al figlio un
manoscritto contenente le opere di Virgilio e la Rethorica di Cicerone[N 6] e, nel
1325, un codice delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e uno contenente le
lettere di san Paolo[29].
Fu in questo periodo appartato che Petrarca, forte della sua esperienza filologico-
letteraria, incominciò a stendere le due opere che sarebbero dovute diventare il
simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. La prima,
opera in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare
romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di Scipione l'Africano,
modello etico insuperabile della virtù civile della Repubblica romana. La seconda,
invece, è un medaglione di 36 vite di uomini illustri improntata sul modello
liviano e quello floriano[42]. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera
in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi
letterari e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella
spirituale degli antichi, diffusero presto il nome di Petrarca al di là dei confini
provenzali, giungendo in Italia.
Nel contempo, il 1º settembre del 1340, per mezzo del proprio cancelliere Roberto
de' Bardi, la Sorbona fece arrivare al Nostro l'offerta di un'incoronazione poetica
a Parigi; proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunse analoga dal
Senato di Roma[48]. Su consiglio di Giovanni Colonna, Petrarca, che desiderava
essere incoronato nell'antica capitale dell'Impero romano, accettò la seconda
offerta[49], accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui
stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.
Federico Faruffini, Cola di Rienzo contempla le rovine di Roma, olio su tela, 1855,
collezione privata, Pavia. Petrarca condivise con Cola il programma politico di
restaurazione, per poi rimproverarlo quando accettò le imposizioni politiche della
Curia avignonese, intimorita dalla sua politica demagogica[53].
Gli anni successivi all'incoronazione poetica, quelli compresi tra il 1341 e il
1348, furono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a
eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la
corruzione avignonese[54]. Subito dopo l'incoronazione poetica, mentre Petrarca
sostava a Parma, seppe della prematura scomparsa dell'amico Giacomo Colonna
(avvenuta nel settembre del 1341[55]), notizia che lo turbò profondamente[N 10].
Gli anni successivi non recarono conforto al poeta laureato: da un lato le morti
prima di Dionigi (31 marzo 1342[56]) e, poi, di re Roberto (19 gennaio 1343[57]) ne
accentuarono lo stato di sconforto; dall'altro, la scelta da parte del fratello
Gherardo di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di
Montreaux, spinsero Petrarca a riflettere sulla caducità del mondo[58].
Dopo essersi slegato dai Colonna, Petrarca cominciò a cercare nuovi patroni presso
cui ottenere protezione. Pertanto, lasciata Avignone insieme al figlio Giovanni,
giunse il 25 gennaio del 1348 a Verona, località dove si era rifugiato l'amico Azzo
da Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini[66], per poi giungere a
Parma nel mese di marzo, dove strinse legami con il nuovo signore della città, il
signore di Milano Luchino Visconti[67]. Fu, però, in questo periodo che iniziò a
diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causò la morte di molti
amici del Petrarca: i fiorentini Sennuccio del Bene, Bruno Casini[68] e
Franceschino degli Albizzi; il cardinale Giovanni Colonna e il padre di lui,
Stefano il Vecchio[69]; e quella dell'amata Laura, di cui ebbe la notizia (avvenuta
l'8 di aprile) soltanto il 19 maggio[70].
Targa commemorativa del soggiorno meneghino di Petrarca situata agli inizi di Via
Lanzone a Milano, davanti alla basilica di Sant'Ambrogio.
Petrarca iniziò il viaggio verso la patria italiana nell'aprile del 1353[63],
accogliendo l'ospitale offerta di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della
città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le
quali si ricorda quella risentita del Boccaccio[N 12]), che gli rimproveravano la
scelta di essersi messo al servizio dell'acerrimo nemico di Firenze[N 13], Petrarca
collaborò con missioni e ambascerie (a Parigi e a Venezia; l'incontro con
l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga) all'intraprendente politica
viscontea[78].
Epigrafe dettata dal Petrarca per la tomba del nipote, Pavia, Musei Civici.
Nel giugno del 1361, per sfuggire alla peste, Petrarca abbandonò Milano[N 14] per
Padova, città da cui nel 1362 fuggì per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da
Milano, i rapporti con Galeazzo II Visconti rimasero sempre molto buoni, tanto che
trascorse l'estate del 1369 nel castello visconteo di Pavia in occasione di
trattative diplomatiche[88]. A Pavia seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio
della figlia Francesca, nella chiesa di San Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor
oggi conservata nei Musei Civici[89]. Nel 1362, quindi, Petrarca si recò a Venezia,
città dove si trovava il caro amico Donato degli Albanzani[90] e dove la Repubblica
gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni)[91]
in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era
allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa: si tratta della prima
testimonianza di un progetto di "bibliotheca publica"[92].
La casa veneziana fu molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella
Seniles, IV, 4 quando descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini
quotidiane (la lettera è datata intorno al 1364/65)[93]. Vi risiedette stabilmente
fino al 1368 (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospitò Giovanni
Boccaccio e Leonzio Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia
degli amici più intimi[94], della figlia naturale Francesca (sposatasi nel 1361 con
il milanese Francescuolo da Brossano[95]), Petrarca decise di affidare al copista
Giovanni Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del
Canzoniere[N 15]. La tranquillità di quegli anni fu turbata, nel 1367, dall'attacco
maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro
filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza[63]. L'episodio fu l'occasione
per la stesura del trattato De sui ipsius et multorum ignorantia, in cui Petrarca
difende la propria "ignoranza" in campo aristotelico a favore della filosofia
neoplatonica-cristiana, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto
alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di
Stagira[96]. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti alle accuse
rivoltegli, Petrarca decise di abbandonare la città lagunare e annullare così la
donazione della sua biblioteca alla Serenissima.
La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi
di Padova, dove l'ormai anziano poeta trascorse gli ultimi anni di vita. Della
dimora Petrarca parla nella Seniles, XV, 5.
Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore
Francesco I da Carrara di stabilirsi a Padova nella primavera del 1368[63]. È
ancora visibile, in Via Dietro Duomo 26/28 a Padova, la casa canonicale di
Francesco Petrarca, che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del
canonicato. Il signore di Padova donò poi, nel 1369, una casa situata nella
località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere[97]. Lo
stato della casa, però, era abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima
che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora, avvenuta nel
marzo del 1370[98]. La vita dell'anziano Petrarca, che fu raggiunto dalla famiglia
della figlia Francesca nel 1371[99], si alternò prevalentemente tra il soggiorno
nella sua amata casa di Arquà[N 16] e quella vicina al Duomo di Padova[100],
allietato spesso dalle visite dei suoi vecchi amici ed estimatori, oltre a quelli
nuovi conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Lombardo della Seta, che
dal 1367 aveva sostituito Giovanni Malpaghini quale copista e segretario del poeta
laureato[101]. In quegli anni Petrarca si mosse dal padovano soltanto una volta
quando, nell'ottobre del 1373, fu a Venezia quale paciere per il trattato di pace
tra i veneziani e Francesco da Carrara[102]: per il resto del tempo si dedicò alla
revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere, attività che portò
avanti fino agli ultimi giorni di vita[78].
Colpito da una sincope, morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del
1374[102], esattamente alla vigilia del suo 70º compleanno e, secondo la leggenda,
mentre esaminava un testo di Virgilio, come auspicato in una lettera al
Boccaccio[103]. Il frate dell'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino Bonaventura
Badoer Peraga fu scelto per tenere l'orazione funebre in occasione dei funerali,
che si svolsero il 24 luglio nella chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di
Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche[104].
La tomba e le spoglie
Il sepolcro
Tomba del poeta ad Arquà, nei pressi della chiesa di Santa Maria Assunta.
Per volontà testamentaria le spoglie di Petrarca furono sepolte nella chiesa
parrocchiale del paese[104], per poi essere collocate dal genero, nel 1380, in
un'arca marmorea accanto alla chiesa[105]. Le vicende dei resti del Petrarca, come
quelli di Dante, non furono tranquille. Come racconta Giovanni Canestrini in un suo
volume scritto in occasione del 500º anniversario della morte del Petrarca
(Canestrini, p. 2)
I resti trafugati non furono mai recuperati. Nel 1843 la tomba, che versava in
stato pessimo, venne sottoposta a restauro del quale venne incaricato lo storico
patavino Pier Carlo Leoni, impietosito dallo stato pessimo in cui il sepolcro
versava.[106] Il Leoni, però, a seguito di complicazioni burocratiche e di
conflitti di competenza e questioni anche politiche, fu addirittura processato con
l'accusa di "violata sepoltura".[107]
Pensiero e poetica
Anonimo, Francesco Petrarca nello studium, affresco murale, ultimo quarto del
secolo XIV, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova.
Il messaggio petrarchesco
Il concetto di humanitas
Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei
confronti della cultura a lui coeva. Come già ricordato nella sezione biografica,
la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici latini "liberati"
dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca come
l'iniziatore dell'umanesimo che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in
Italia, e poi nel resto d'Europa[110]. Nel De remediis utriusque fortune, ciò che
interessa maggiormente a Petrarca è l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che
danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di
ricerca tra erudita ed esistenziale intesa a indagare l'anima in tutte le sue
sfaccettature[111]. Di conseguenza, Petrarca pone al centro della sua riflessione
intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teocentrismo
(tipico della cultura medievale) all'antropocentrismo moderno.
Petrarca e i classici
Fondamentale, nel pensiero petrarchesco, è la riscoperta dei classici. Già
conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in chiave
cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in cui le
opere erano state scritte[112]. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista come
quella di un mago/profeta, capace di profetizzare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche,
la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del politico romano
Asinio Pollione: un'ottica che Dante accolse pienamente nel Virgilio della
Commedia[113]. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento
dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e
di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante,
come fece nel libro XXIV delle Familiares[114]:
(Guglielmino-Grosser, p. 182)
Il Virgilio Ambrosiano
L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più
complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di
collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti che
conteneva l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal
grammatico Servio del VI secolo), al quale furono aggiunte quattro Odi di Orazio e
l'Achilleide di Stazio[122]. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate.
Sottrattogli nel 1326 dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio
ambrosiano verrà recuperato solo nel 1338, data in cui Petrarca commissionò al
celebre pittore Simone Martini una serie di miniature che lo abbellirono
esteticamente[123]. Alla morte del Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca
dei Carraresi a Padova, tuttavia, nel 1388, Gian Galeazzo Visconti conquistò Padova
e il codice fu inviato, insieme ad altri manoscritti del Petrarca, a Pavia, nella
Biblioteca Visconteo Sforzesca situata nel castello di Pavia[124]. Nel 1471
Galeazzo Maria Sforza ordinò al castellano di Pavia di prestare, per 20 giorni, il
manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano tornò
a Pavia. Nel 1499, Luigi XII conquistò il Ducato di Milano e la biblioteca
Visconteo-Sforzesca venne trasferita in Francia, dove ancora si conservano, nella
Biblioteca nazionale di Francia, circa 400 manoscritti provenienti da Pavia.
Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al saccheggio francese da un certo
Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine Cinquecento si trovava a Roma, ed era di
proprietà del cardinal Agostino Cusani, fu poi acquistato da Federico Borromeo per
l'Ambrosiana[125].
L'umanesimo cristiano
Edizione dell'Africa stampata nel 1501 a Venezia, nella stamperia di Aldo Manuzio.
Nel particolare, l'Incipit del poema.
(LA)
«Heu qualis fortunae terminus alte est! / Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce
potentum / praecipiti gaudere loco; status iste procellis / subjacet innumeris, et
finis ad alta levatis / est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum, Spesque
hominum fallax, et inanis gloria fictis / illita blanditiis! Heu vita incerta
labori / dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam / Stat morti praevisa
dies! Heu sortis iniquae / natus homo in terris!»
(IT)
«O qual è il traguardo dell'alta sorte! / Quanto l'anima (è) cieca davanti alle
fauste imprese! Ecco la follia dei potenti, godere delle altezze vertiginose;
questo stato è esposto ad infinite tempeste, ed è destinato a cadere chi si è
innalzato a quelle vette. O tremante sommità dei grandi onori, fallace speranza
degli uomini, vana gloria adornata da finti piaceri! O vita incerta, dedita ad una
fatica incessante, come certo è il giorno di morte, né mai previsto abbastanza! O
che sorte iniqua per l'uomo nato sulla terra!»
(Reale, p. 16)
L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo Petrarca è evidente in due celebri testi
letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona
interloquisce con Petrarca spingendolo a un'acuta quanto forte analisi interiore
dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso,
narrato nella Familiares, IV, 1, inviata (seppur in modo fittizio[N 17]) a Dionigi
da Borgo San Sepolcro[134].
«Ma qual furore a danno di Antonio ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla
Repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti
sprone (come di sì grand'uomo stimare si converrebbe), ond'è che tanto fosti amico
di Augusto? [... ] Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento
vergogna. [...] Oh! quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei
campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della
eterna, passar tranquilla vecchiezza [...]»
Altichiero, Ritratto di Francesco Petrarca, dal ms. lat. 6069 f della Biblioteca
nazionale di Francia (Parigi), contenente il De viris illustribus[137].
«I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi
a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere
favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto
loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto
peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse
nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano.»
L'otium letterario
Altra caratteristica propria dell'intellettuale petrarchesco è l'otium, vale a dire
il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle
attività proprie del negotium[N 19], Petrarca la riprende rivestendola però di un
significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella
tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare,
poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è
esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è
vicino, per sensibilità del Petrarca, ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della
Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente
intrisa di carica religiosa[140].
Andrea Leoni, statua di Francesco Petrarca, Loggiato degli Uffizi, Firenze.
La lingua in Petrarca
Il latino e il volgare
Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere,
scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva
riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il
successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere in
volgare. Al contrario di Dante, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri
con la Commedia, Petrarca decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi
dell'antichità:
«Il Petrarca (a parte una letterina in volgare) scrive sempre in latino quando deve
comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni ai margini dei libri.
Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale
comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira il
Petrarca, si carica di valori ideali.»
(Guglielmino-Grosser, p. 182)
Dante e Petrarca
Opere
Opere latine in versi
L'Africa
Il Bucolicum carmen
Le Epistolae metricae
I Psalmi poenitentiales
Scritti nel 1347, Petrarca ne accenna nella Seniles, X, 1 a Sagremor de Pommiers.
Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei
salmi davidici della Bibbia, in cui Petrarca chiede perdono per i suoi peccati e
aspira al perdono della Misericordia divina[149].
Il Secretum
Il De vita solitaria
Il De otio religioso
(LA)
«Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque
medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis
operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec,
culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores.»
(IT)
«Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti
guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il
timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi
opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante
delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.»
Epistolae
Opere in volgare
Francesco Petrarca, Rime, codice membranaceo ms. I 12, c. 1r. conservato al Museo
Petrarchesco Piccolomineo, Trieste, risalente ai secoli fine XV, inizio XVI. Il
particolare riporta il primo sonetto del Canzoniere.
Il Canzoniere
(Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica
d'apertura del Canzoniere)
I Trionfi
Andrea del Sarto, Dama col petrarchino, olio su tela, 1528, Galleria degli Uffizi,
Firenze. La datazione del dipinto mostra come già pochissimi anni dopo la
promozione bembiana il nome di Petrarca fosse divenuto già assai rinomato presso i
lirici e gli appassionati di letteratura.
Pietro Bembo e il petrarchismo
(Marazzini, p. 265)
La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua,
quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle
Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e
lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di
Alessandro Vellutello del 1525[166]), chiamata poi petrarchismo, favorita anche
dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere[167].
Note
Esplicative
^ L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Giovanni Boccaccio
gli chiedeva se fosse vera l'invidia che Petrarca nutriva per Dante, contiene
l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta:
«E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo,
che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.»
^ Petrarca mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come
è esposto nella Familiares, XX, 4, in cui il futuro autore del Canzoniere scrive a
Marco Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi
«ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura
mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più
splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.»
^ Come però ricorda Wilkins, p. 16, la scelta di Petrarca di entrare a far parte
della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi
necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura
delle anime, Petrarca ebbe sempre una profonda fede religiosa.
^ A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la
stessa testimonianza di Petrarca nella Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il
quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda Delle
cose familiari, II, 9, traduzione di G. Fracassetti, 1, pp. 369-385). Più
precisamente, nella Nota a p. 379, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta
amata del Petrarca:
«Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque del 1307,
o in su quel torno, una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura [...]. Ai 16
gennaio del 1325 fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De
Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi, a' 6 di aprile del 1327 nella
chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima,
il Petrarca giovane allora di poco più che ventidue anni la vide [...].»
^ Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di Virgilio
e Cicerone, cosa che suscitò il pianto nel giovane Petrarca. Al che il padre,
vedendolo così affranto
«d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni,
sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e
quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi".»
(Rico-Marcozzi)
^ Di Benedetto, p. 170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente
nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il Petrarca
volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi
uscite nel 1472 dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino "de
Septem Arboribus" (cfr. Ente Nazionale Francesco Petrarca, Culto petrarchesco a
Padova.).
Riferimenti bibliografici
^ la notte tra il 18 e il 19 luglio
^ Casa Petrarca Arezzo, su regione.toscana.it, Regione Toscana, 13 dicembre 2012.
URL consultato il 12 febbraio 2016.
^ Wilkins, pp. 5-6.
^ Ariani, p. 21. Più specificamente Bettarini: «Il 20 ottobre [1304], dopo essere
stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile, fu così condannato al
pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra».
^ Dotti, 1987, p. 9.
^ Bettarini e Pacca, p. 4.
^ Per informazioni biografiche, si veda la voce a cura di Pasquini.
^ Il ricordo di Petrarca al riguardo è riportato in Lettere Senili, XVI, 1,
traduzione di G. Fracassetti, 2, pp. 465-467.
^ Pasquini: «Quanto al Petrarca, il magistero di C[onvenevole] si colloca
indubbiamente fra il 1312 e il '16».
^ La Casa del Petrarca, su arquapetrarca.com. URL consultato il 19 febbraio 2016
(archiviato dall'url originale il 20 febbraio 2016).
^ Pacca, p. 7.
^ Si legga il brano della Lettere Senili, X, 2 nella traduzione di G. Fracassetti,
2, p. 86. Il brano è ricordato anche da Wilkins, p. 11.
Ariani, p. 25.
^ Wilkins, p. 11.
^ Rico-Marcozzi: «Nell'autunno 1320 si recò a studiare a Bologna, seguito da un
maestro privato...»; e Wilkins, p. 13, in cui si ritiene che questo maestro avesse
«l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis».
^ Ariani, p. 26.
^ Ariani, pp. 27-28.
Wilkins, p. 12.
^ Dotti, 1987, p. 21.
^ Bettarini.
^ Cappelli, p. 32.
^ Pacca, p. 16.
^ Rico-Marcozzi; Ferroni, p. 4; Wilkins, p. 17.
^ Wilkins, pp. 16-17; Rico-Marcozzi:
«Nel marzo 1330, Giacomo Colonna reclutò Petrarca per la sua corte vescovile di
Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo
di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che
Petrarca battezzò in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio.»
^ Ferroni, p. 4.
^ Pacca, p. 18.
^ ..: Alinari :.., su alinariarchives.it. URL consultato il 18 febbraio 2016.
^ La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in Ferroni, pp. 20-21.
Ariani, p. 31 ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu
il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini Francisci
Petrarche.
^ Ariani, p. 28. Dotti, 1987, p. 21 specifica che questo san Paolo fu acquistato
per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli.
^ Ariani, p. 35.
^ Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella.
^ Moschella: «Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di
D[ionigi], di una copia delle Confessiones di s. Agostino...»
^ Billanovich, p. 166.
^ Billanovich, pp. 207-208, nota 2.
^ Wilkins, pp. 18-19 e Pacca, p. 142.
^ Wilkins, p. 20.
^ Wilkins, p. 21.
^ Rico-Marcozzi:
«Nel frattempo aveva raggiunto Roma (nel gennaio o febbraio 1337), accolto da fra
Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima
lettera (II 14, 15 marzo), contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe,
manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella
riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che
divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo.»
^ Pacca, p. 33.
^ Dotti, 1987, p. 50.
^ Dotti, 1987, p. 51.
^ Mauro Sarnelli, Petrarca e gli uomini illustri, su treccani.it, Treccani. URL
consultato il 22 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 12 marzo 2016).
^ (EN) Poet Laureate, su royal.gov.uk, The Royal Household. URL consultato il 22
febbraio 2016.
^ Ariani, pp. 39-40:
«Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora
non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e
la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente
bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa...e del
De viris, le rime volgari già note...»
^ Wilkins, p. 34:
«La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da
singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese
inevitabilmente in Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli
confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo
Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con
l'Università di Parigi.»
^ Si legga il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei
confronti del re napoletano:
«E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più
grande di re Roberto?»
^ Wilkins, p. 35.
^ Rico-Marcozzi:
«Sulla base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello
stesso giorno (il 1º settembre 1340) questi avesse ricevuto l’invito a cingere la
corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal
Colonna (IV 4), decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea
"sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".»
Difatti Petrarca riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella del
poeta Stazio (I secolo d.C) e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe
stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati
(Pacca, p. 73).
^ Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins, pp. 37-38; Ariani, p. 40
^ Pacca, p. 74.
^ Rico-Marcozzi:
«L'8 e il 13 aprile sono le date fornite da Petrarca ([Familiares], IV 6, 8), e la
più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e
il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo
stesso Petrarca, reca la data del 9.»
Ariani, p. 52.
^ Cappelli, p. 36:
«La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad vitam,
all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione
interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo
scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di
confrontarsi su tutti i terreni.»
Ariani, p. 60.
^ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria, Dal testo alla
storia, dalla storia al testo, Paravia, settembre 2001, p. 3, ISBN 88-395-3058-4.
Wilkins, p. 297.
^ La tomba del Petrarca.
^ Canestrini, p. 5 e Dotti, 1987, p. 439.
^ Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in Dizionario biografico degli italiani,
vol. 64, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2005.
^ Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca (EN) .
^ Si veda inoltre Petrarca - il poeta che perse la testa (EN) in The Guardian del 6
aprile 2004, sulla riesumazione dei resti di Petrarca.
^ Ricchissima la bibliografia al proposito: si ricordino i libri citati in
bibliografia, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla; i saggi
curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich,
1947, Petrarca letterato), uno dei maggiori studiosi del Petrarca; i libri di
Pacca, Ariani e Wilkins.
^ Pacca, p. 189 e Cappelli, p. 38
^ Garin, p. 21.
^ Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la
chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.
^ Dotti, 1987, p. 430.
^ Magdi A. M. Nassar, Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il
collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un
patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani
Professionisti, 2013, pp. 47-49.
^ Billanovich 1953, p. 313.
^ Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich 1953, p. 325: «Il Petrarca formò
tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; e Ivi, p. 330: «Le scoperte e
i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di
Avignone press'a poco tra il 1325 e il 1330...»
Cappelli, p. 42.
^ Billanovich 1953, pp. 313-314.
^ Billanovich 1953, p. 325.
^ Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani, p. 63.
^ Cappelli, p. 42 e Ariani, p. 62.
^ Cappelli, pp. 42-43.
^ Albertini Ottolenghi, pp. 35-37.
^ Albertini Ottolenghi, p. 37.
^ Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani, pp. 113-131, Lo scavo
introspettivo.
Ferroni, p. 10.
^ Ferroni, pp. 10-11.
^ Ferroni, p. 10 e Guglielmino-Grosser, p. 178.
^ Petrarca, Africa, pp. 246-247.
^ Cappelli, p. 45 e Guglielmino-Grosser, p. 177.
^ Dotti, 1987, p. 123:
«I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla
persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio
cristiano che di uno pagano.»
^ Santagata, p. 27:
«...il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni
scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio
logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale
orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e
l'interiorità della coscienza...»
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