Letteratura Ita Petrarca e Altri
Letteratura Ita Petrarca e Altri
Letteratura Ita Petrarca e Altri
Cosa imparerai
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Chi FRANCESCO PETRARCA
Pensiero Amante dei classici (in particolar modo di quelli latini) e sdegnoso verso la
cultura della sua epoca, può essere considerato un precursore
dell'Umanesimo
Francesco Petrarca, uno dei più importanti poeti italiani di sempre, nasce ad Arezzo il 20 luglio
del 1304. Suo padre è notaio e per lavoro si sposta in importanti centri italiani ed europei.
Francesco lo segue, ancora bambino, e si troverà nel grande mondo francese, ad Avignone, che in
quel periodo era divenuta la nuova sede della Chiesa di Roma. Qui Petrarca entra in contatto
con personaggi molto importanti dell’epoca: è bene integrato nella vita politica e culturale del
suo tempo, è molto attento a tutto quello che lo circonda, a partire dalle questioni politiche, come il
problema di riportare o meno la sede della Chiesa a Roma. Conosce i romanzi francesi, conosce
benissimo la poesia di Dante e della scuola stilnovista, inizia a leggere testi religiosi e teologici che
approfondirà quando deciderà, più tardi, di prendere i voti. Francesco Petrarca inizia già da
subito a tentare di interpretare e rinnovare la letteratura e la cultura contemporanee che gli
appaiono insoddisfacenti.
Petrarca studia legge (si iscrive all’università ma non porta a termine gli studi anche se, come
vedremo fra poco, avrà comunque una “laurea”) ed entra in contatto con autori latini come
Cicerone e Virgilio. Per lui il latino è quasi una seconda lingua che usa anche per prendere
appunti.
Sono quindi tanti e diversi i fattori che influenzano la sua preparazione: un avviamento alla
letteratura religiosa, una grande conoscenza della letteratura volgare (cioè stilnovo e letteratura
francese), un grande amore per i classici latini: premesse che pongono le basi della sua grande
poesia.
1.2Laura e la laurea
C’è un personaggio molto legato alla poesia di Francesco Petrarca: Laura. Il poeta racconta di
averla incontrata la prima volta il 6 aprile 1327 e di essersene innamorato immediatamente.
Questa donna diventerà oggetto della maggior parte delle poesie del Canzoniere.
Tutto quello che ha scritto fino a quel momento lo ha reso un personaggio noto e amato tanto che,
nel 1341, gli viene conferita la laurea come poeta: Francesco Petrarca verrà incoronato a
Roma “ad honoris”.
Ma sta però per arrivare un periodo decisamente negativo: la peste che nel 1348 devasterà
l’Europa e porterà in Petrarca un periodo di profonda inquietudine e tristezza. Laura muore e
l’epidemia, così violenta, lo turba profondamente.
1.3Gli ultimi anni
L'autore riesce a superare questo momento che però lascia una traccia dentro di lui. Nelle poesie
di Petrarca risalenti a questo periodo possiamo notare un cambiamento verso una tematica più
profonda: si interroga sulla natura dell’anima e certe poesie sembrano quasi delle preghiere.
Incontra e diventa molto amico di Giovanni Boccaccio, un altro grandissimo autore della nostra
letteratura che insieme a Petrarca e Dante è conosciuto come una delle “tre corone”, in
riferimento proprio alla corona di alloro che veniva all’ora usata per cingere i poeti (appunto
laureati). Insieme a Boccaccio, Petrarca riflette sul rapporto fra lingua italiana e latino, un
dibattito che a quei tempi era molto sentito.
Gli ultimi anni della sua vita Petrarca li vive intorno a Padova, continuando a scrivere e a studiare
come ha sempre fatto e muore ad Arquà - in suo onore questa località si chiama oggi Arquà
Petrarca - il 19 luglio 1374.
[...] i' che l'esca amorosa al petto avea, / qual meraviglia se di subito arsi? // Non era l'andar suo
cosa mortale / ma d'angelica forma, e le parole / sonavan altro che pur voce umana [...]
Il titolo originale dell’opera è in latino: Rerum Vulgarium Fragmenta, che tradotto significa
“frammenti di cose volgari”. Petrarca vuole sottolineare con questa espressione il fatto che ha
scelto di scrivere in volgare. Una scelta che poi si è dimostrata essere giusta: nell'epoca in cui
Petrarca scrive, la lingua volgare ha raggiunto un certo prestigio ed egli, grazie alla conoscenza
profonda del latino, ha saputo renderla (in particolare il volgare fiorentino trecentesco) una lingua
aulica, dignitosa e in grado di essere usata per fare poesia. Nel 1525, quando i letterati italiani si
interrogheranno su quale tipo di volgare sia giusto usare per fare poesia e scrivere di narrativa,
Pietro Bembo deciderà di scegliere Petrarca e il Canzoniere come modello su cui basare ogni
poesia.
È composto fra il 1336 e il 1374, cioè l’anno della sua morte: l'autore ha passato
praticamente tutta la vita a scrivere poesie che vengono raccolte in quest’opera.
Il Canzoniere di Petrarca contiene 366 poesie, una per ogni giorno dell’anno secondo
il progetto di Petrarca, più una poesia iniziale che funge da proemio e presentazione
dell’opera. Questi componimenti si dividono poi in due sezioni: rime in vita di Laura e
rime in morte di Laura.
I temi del Canzoniere di Petrarca sono principalmente l’amore per Laura che viene
descritta da Petrarca come la donna-angelo stilnovista ma, a queste descrizioni, ne alterna
altri in cui la donna è una creatura terrena capace di suscitare un desiderio anche carnale e
non solo spirituale. A questa tematica amorosa se ne collega un’altra: come il poeta spiega
nel proemio dell’opera, il suo intento è di scrivere per sollevare con la sua poesia tutti gli
innamorati che soffrono per amore. Alcuni componimenti, una minoranza, trattano
di tematiche politiche e religiose.
Sceglie parole che suonano molto dolci all’orecchio di chi le legge. Petrarca sa giocare
molto con le parole e con i loro significati e anche questo rende l’intera opera molto
omogenea.
Per citare un esempio molto noto, si tenga presente il rapporto semantico fra Laura, laurea,
lauro, alloro. Quando in una poesia le parole suonano molto simili fra loro non dobbiamo
considerarlo un caso: il poeta vuole collegare i significati di ogni termine. Laura diventa il
simbolo della sua gloria come poeta (appunto la laurea), il lauro poi è l’altro nome dato alla
pianta di alloro e con questo accostamento il poeta ci ricorda il mito di Apollo e Dafne che,
per sfuggire al dio che la voleva, si trasforma in questa pianta. Petrarca ci dice cioè che
non riesce a raggiungere la sua amata ma in compenso (magra consolazione forse) questa
donna lo ha reso poeta ed è divenuta lei stessa Poesia.
2.2Il Secretum
L’opera è composta da un proemio più tre libri in cui il poeta non solo parla con S.
Agostino: c’è anche un’altra presenza, quella della Verità, che ascolta la conversazione
Primo libro: il poeta analizza i vizi dell’uomo, prende in considerazione i rapporti fra vita
e morte e si rende conto di quanto siano futili le sue preoccupazioni terrene in vista della
vita eterna nell’Aldilà. Il Santo consiglia a Petrarca di occuparsi allora solo della fede e
della vita religiosa.
Il secondo libro si concentra sulla descrizione dei sette peccati capitali e, dopo un esame
di coscienza, il poeta capisce di aver peccato soprattutto di accidia, cioè nella mancanza di
volontà e nella pigrizia.
Nel terzo libro si arriva ai problemi più intimi e profondi del poeta e cioè all’amore per
Laura che lo tormenta e lo distrae dalla fede, e al bisogno di ottenere una gloria terrena
come poeta. In questo caso Agostino riesce a persuaderlo sull’inutilità di una passione
amorosa e lo convince che è importante contemplare l’amata solo spiritualmente. Non
rinuncia però alla gloria poetica che diviene però, anche questa, un motivo di ricerca
interiore e di elevazione spirituale.
Concetti chiave
Petrarca incontra Laura, una giovane fanciulla, il 6 aprile 1327 e subito se ne innamora. Questo
forte e repentino sentimento influenzerà tutta la produzione poetica dell'autore.
Il primo umanista
Pur essendo di qualche decennio precedente allo sbocciare dell'Umanesimo, Petrarca può
essere considerato il primo degli umanisti, cioè gli intellettuali che ritornano allo studio dei classici
e ad essi si ispirano per comporre le loro opere.
In quella che viene ricordata come la Questione della lingua, Pietro Bembo sceglierà proprio il
Canzoniere di Petrarca come modello per la poesia in volgare. Ne nascerà un lungo periodo di
imitazione dell'autore che, nei suoi picchi più acuti, prenderà il nome di Petrarchismo.
La donna angelo: la figura della donna nel dolce stilnovo
Rinnovamento della poetica precedente L’esperienza stilnovista è una cerniera letteraria tra due
mondi:
il mondo cortese;
il mondo comunale;
Gli stilnovisti conoscono bene la cultura letteraria della Scuola siciliana e
quella trobadorica, ma le rinnovano fortemente sia dal punto di vista stilistico
che contenutistico.
Trasformazione del concetto di donna-angelo in chiave filosofica e intellettuale Mentre il tono della
scrittura si muove alla ricerca di toni sempre più aulici e tersi i temi dell’amore, della natura e
la cause dell’innamoramento, della gentilezza dell’animo e la figura della donna-
angelo vengono ripresi e sottoposti ad una profonda rilettura di stampo
intellettuale che poggia sugli avanzamenti concettuali prodotti nelle università, come la
riscoperta della filosofia classica, in particolare quella aristotelica, e sulle nuove teorizzazioni
portate avanti dalla scolastica cristiana, che cercava di coniugare la dottrina cattolica con il rigore
della filosofia antica. In poche parole lo stilnovismo è il frutto letterario che rispecchia
perfettamente la maturazione intellettuale della civiltà comunale a quest’altezza del Duecento.
Funzione degli angeli La figura della donna-angelo, che ha un ruolo fondamentale nella poetica
stilnovista, non è un’invenzione di questa corrente ed era, anzi, ben presente nella precedente
poesia nella quale, però, l’analogia tra la donna e l’entità celeste era limitata a un paragone basato
su fattori estetici. Gli stilnovisti ripensano questa figura in una chiave che può essere
compresa solo alla luce dei concetti teologici allora diffusi attorno alla funzione degli angeli:
nell’universo tolemaico la Terra è al centro ed è circondata da nove cieli, ognuno dei quali è
presieduto da un’intelligenza angelica il cui compito è quello di mediare il volere divino
imprimendo a ciascun cielo quel movimento che lo fa roteare.
La bellezza della donna-angelo proviene da Dio Parallelamente la bellezza della donna-angelo
viene identificata dagli stilnovisti come una bellezza proveniente da Dio e quindi ricca
di ogni virtù, che suscita nell’uomo che ha un cuore nobile un sentimento d’Amore che non va
identificato con il desiderio carnale, ma va inteso come un mezzo di perfezionamento che,
attraverso un’esperienza quasi mistica, può perfezionare ed elevare il suo animo.
Al cor gentil…: manifesto dello stilnovismo La prima descrizione della donna-angelo in questa chiave si
ritrova nel sonetto Al cor gentil rempaira sempre amor di Guido Guinizzelli, considerato
come un vero e proprio manifesto della poesia stilnovista.
Strumento dell’azione divina Quest’archetipo femminile diventa uno strumento dell’azione
divina, agisce su un piano che è quasi soprannaturale, e la sua descrizione diventa perciò
impossibile sul piano letterario: la donna, intesa come figura reale e autonoma, scompare, è quasi
evanescente, mentre restano tangibili e descrivibili gli effetti della sua azione benefica sull’amato.
Esperienza di maturazione spirituale del poeta D’altro canto la centralità dell’esperienza
personale del poeta e del suo processo di maturazione spirituale, che è una delle grandi
novità dello stilnovismo, fa sì che ogni esperienza d’Amore venga raccontata
diversamente da ciascun autore che, pur muovendosi all’interno di un canone letterario ben
definito, ne dà una lettura ogni volta personale e, perciò, differente dagli altri.
1.1Guido Guinizzelli: il caposcuola dello stil novo
Guido Guinizzelli Di Guido Guinizzelli si hanno scarse notizie biografiche: giureconsulto di parte
ghibellina fu attivo a Bologna, sede di uno dei poli universitari più importanti d’Europa. Dopo un
esordio improntato sull’imitazione di Guittone d’Arezzo compie un profonda operazione di
rinnovamento poetico che dà l’avvio allo stilnovo.
La donna descritta nelle sue fattezze fisiche La sua idea sull’azione e gli effetti della donna-angelo la si
legge nei sonetti Io voglio del ver la mia donna laudaree Vedut’ho la lucente stella di
Diana. Nelle prime quartine di queste liriche la donna viene descritta nelle sue fattezze
fisiche ma con toni estremamente diversi: nel primo sonetto la descrizione è indiretta, e avviene
con una serie di parallelismi di tipo naturalistico in cui essa viene paragonata a “la rosa e lo giglio”
(v.2) e alla stella di Diana, cioè al pianeta Venere; nel secondo sonetto, a parte un riferimento alla
“stella diana” al v.1, sono assenti i rimandi naturalistici e la donna viene descritta nelle sue fattezze
fisiche, anche se la pelle bianca e gli occhi lucenti rimandano a una bellezza ideale più che a una
reale fisicità.
Gli effetti che la donna procura all’uomo Le terzine conclusive di questi sonetti descrivono gli effetti
che la donna procura sull’uomo: dal senso di straniamento ai sospiri, all’impossibilità di
comunicare il sentimento d’amore che nobilita il poeta con la sua virtù.
Il saluto della donna-angelo Il sonetto Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo introduce il
tema, originale e tipicamente stilnovista, del saluto della donna-angelo che ha un valore
salvifico e la capacità di produrre un sentimento di estasi quasi mistica nell’uomo che lo riceve.
Concetti chiave
Lo stilnovismo e la donna-angelo
Lo stilnovismo eredita il concetto della donna-angelo dalla poetica precedente ma lo
trasforma attraverso un’operazione filosofica e intellettuale.
Nell’opera di Guinizzelli, il primo degli stilnovisti, l’azione della donna è paragonata a
quella delle cerchie angeliche.
La donna-angelo muove il cuore dell’uomo di nobile cuore guidandolo verso la personale
maturità.
Guido Cavalcanti
L’opera di Cavalcanti si connota per un più marcato processo di intellettualizzazione
della figura della donna-angelo.
L’azione della donna avviene in un ambito quasi soprannaturale e la descrizione della
sua figura non procede per negazione. Cavalcanti può descrivere la donna solo per quello
che non è.
Dante Alighieri
La Vita nuova ruota attorno a Beatrice, figura su cui Dante interseca sia un piano reale
che uno soprannaturale.
Il dolore di non poter descrivere la donna amata si risolve nell’amore e nel canto gratuito
verso una figura semi-divinizzata.
La morte di Beatrice, e il suo passaggio nel campo soprannaturale, segnano una svolta
conclusiva nel processo di maturazione spirituale del poeta.
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Testo
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co·llui.
Parafrasi
I campi più deserti solitario e pensieroso
con passo lento e apatico percorro,
e mantengo i miei occhi sono rapidi per scappare
dai luoghi in cui l'orma umana lascia il segno.
Non trovo altro riparo che mi protegga
dal far accorgere alla gente [il mio stato d'animo]
perché nei miei gesti privi di gioia
mostrano al di fuori come io dentro divampi:
e così io ormai credo che monti e spiagge
e fiumi e boschi sappiano di che sentimenti
sia la mia vita, ch'è nascosta agli uomini.
Eppure sentieri troppo duri o troppo selvaggi
non riesco a trovare per far si che Amore non venga sempre
a ragionar con me, e io con lui.
3Solo et pensoso: analisi
La rima Il sonetto si compone di quattro strofe, due quartine iniziali e due terzine che seguono lo
schema di rime ABBA ABBA CDE CDE. Non mancano, com’è frequente nelle liriche
petrarchiane, citazioni virgiliane e allusioni omeriche.
La solitudine e la desolazione del poeta E proprio su una citazione dell'Iliade che è improntato l'incipit
della prima quartina, dove il poeta descrive il suo desiderio, la sua necessità di
nascondersi dalla vista umana, trovando rifugio in luoghi sperduti. Il distico iniziale si
caratterizza per il chiasmo delle due dittologie, il «Solo et pensoso» con cui si apre il v.1 cui
risponde il «tardi e lenti» che chiude il v.2: in questo modo il sonetto s'impronta già dalla sua
apertura sul tema del doppio, che viene sviluppato attraverso l'analogia tra solitudine e la
desolazione del poeta e quella degli ambienti naturali in cui si rifugia.
Il senso del passo lento Al v. 2 il verbo «mesurando» dà la cifra della cupezza che connota la lirica,
dando il senso del passo lento con cui il poeta attraversa i campi, quasi come se volesse
misurarli.
La necessità del poeta di rifugiarsi in luoghi sperduti Il tema della doppiezza irrompe nella seconda
quartina, che gioca tutta su un costante rapporto tra l’interno e l’esterno, e spiega il perché egli
avverta la necessità di rifugiarsi in luoghi sperduti, cioè per sentirsi al riparo dallo sguardo
della gente che, senza fatica, si accorgerebbe del suo stato miserevole.
Il tormento emotivo di Petrarca Nei due versi conclusivi si gioca quel piano descrittivo fatto di
contrapposizioni che illumina il tormento emotivo di Petrarca: alla coppia «spenti/fuor» dei
vv. 7-8 si contrappone la coppia «dentro/avampi» che chiude il v. 8; è proprio il suo agire privo di
gioia che denuncia come il suo spirito sia tormentato come se fosse tra le fiamme.
L’ambientazione naturalistica La terzina 9-11 prosegue il tema del rapporto tra interno ed esterno e
riprende l’ambientazione naturalistica della prima quartina. I suoi dolori, così gelosamente
nascosti agli uomini, sono talmente evidenti che persino gli elementi naturali,
inanimati, saprebbero riconoscerli. La lunga elencazione di questi elementi ai vv. 9-10 ha lo
scopo di produrre, attraverso il polisindeto e l’enjambement, un rallentamento del ritmo della
lirica e di rimarcare la distanza dell’autore dal consesso umano.
La figura di Amore La terzina conclusiva introduce, finalmente, la figura di Amore, che spiega
il motivo dello stato d’animo del poeta e chiude il discorso doppio, dicotomico, che
impronta tutta la lirica. La terzina si apre con una nuova coppia, «aspre / selvagge» al v. 12, usata
per descrivere quelle lande in cui l’autore cerca di appartarsi, ma inutilmente. Giacché ovunque lo
raggiunge Amore con cui si ritrova a parlare e ragionare insieme.
La bipolarità della lirica La bipolarità è la cifra stilistica di questa lirica, espressa attraverso
coppie di sostantivi, aggettivi, avverbi, e che si chiude con il gerundio «ragionando» al v. 14 che
risponde idealmente al «mesurando» del v. 2.
DANTE E PETRARCA A CONFRONTO
I poeti Dante Alighieri e Francesco Petrarca hanno vissuto in contesti storico-politici
differenti che hanno influenzato la loro produzione scritta. Dante visse fino in fondo la situazione
critica di Firenze, la sua città natale, negli anni in cui il comune era dilaniato da lotte civili interne
dovute alla lotta tra guelfi e ghibellini come testimonia anche la sua produzione letteraria.
Partecipando in prima persona a questo difficile periodo storico, venne alla fine condannato
all’esilio. Petrarca ha vissuto invece nell’epoca delle Signorie, in un periodo di transizione tra
il medioevo e l’umanesimo.
LA DIFFERENZA STILISTICA
Tra i due autori si nota una sostanziale differenza stilistica dovuta al plurilinguismo di Dante e
all’unilinguismo di Petrarca. Prendiamo ad esempio il De vulgari eloquentia di Dante: questo
è un trattato in latino sulle lingue in cui il poeta cerca di ridare alla lingua volgare una sua
dignità. Dante vede nel volgare la lingua di comunicazione con cui si può trattare anche di
argomenti più elevati. Ma, come conferma nel Convivio, non disprezza il latino: infatti, la definisce
una lingua secondaria e la utilizza principalmente per rivolgersi ad un pubblico dotto nel De
vulgari eloquentia.
A differenza di Dante, Petrarca elegge il latino come lingua di comunicazione. Utilizza il volgare
solo nel Canzoniere e nel poemetto i Trionfi e privilegia per le opere dai contenuti più elevati, il
latino. Petrarca non disprezza il volgare e cerca di elevarlo alla bellezza formale del latino ma allo
stesso tempo privilegia quest'ultimo, come riferimento alla cultura del mondo classico. Anche
Dante rievoca la cultura classica, allegorizzandone immagini e simboli. Invece Petrarca è
consapevole della rottura avvenuta tra mondo antico e mondo contemporaneo e perciò vuole
recuperare il senso autentico dei testi antichi ricercando in essi i valori perduti nella sua epoca.
LA FIGURA DELLA DONNA IN DANTE E IN PETRARCA
Come sappiamo inoltre, l’esperienza poetica e l’intera vita di Dante e Petrarca, ruotano
intorno alle figure di due donne, Beatrice e Laura. Entrambe, a modo loro, rispecchiano la
personalità degli autori che le hanno rappresentate nelle loro opere e le loro figure evocano due
epoche della storia ben precise.
Beatrice è la rappresentazione della donna angelica, portatrice di elevazione spirituale,
aspirazione alla bellezza divina; non fa parte del mondo terreno e vive il suo splendore dopo la sua
morta. Questo è particolarmente vero nella Vita Nuova, nel quale notiamo il cambiamento di
Dante e del suo modo di poetare e lodare Beatrice, dopo la sua morte. Beatrice non è mai descritta
fisicamente dall'autore, ma Dante descrive solo gli effetti che provoca al suo passaggio.
Laura di Petrarca è conosciuta nel mondo terreno soprattutto per la sua bellezza, subisce l’azione
del tempo ed è inserita in una prospettiva del tutto naturale. La donna di Petrarca provoca nel
poeta una costante agitazione e, come si nota nella sua opera Rerum vulgarium fragmenta,
rappresenta un motivo di perdizione per il poeta. La sua morte è una tragica fine di ogni desiderio
terreno. L’amore di Petrarca è un amore sensuale, quindi terreno e per questo continuamente
vissuto come peccato. Inoltre, è anche materia per l’investigazione dell’io. L’amore di Dante,
invece, è percepito come strumento per giungere a Dio, è portatore di salvezza
eterna.
O CAMERETTA CHE GIA’ FOSTI UN PORTO
Nel seguente sonetto il Petrarca compie una attenta riflessione sui luoghi e sugli oggetti che erano a
lui cari, per esempio possiamo trovare al verso 1 la parola “cameretta” che rievoca in questo
componimento un luogo che fu molto caro al poeta (un tempo amava restare in solitudine nella sua
cameretta), aggiungendo al luogo il sostantivo di “porto” che possiamo definire come luogo di
rifugio. Altri oggetti che rievocano le memorie passate è il “letticciuol” ovvero come luogo di riposo
confortevole, inoltre vi è anche l’espressione “il mio secreto e ‘l mio riposo”, che si riferisce sia alla
cameretta che al letticciuol da cui il poeta vuole fuggire per rimanere solo con se stesso per
raggiungere alti ideali che anche in passato con lo stesso metodo raggiunse. Infine, egli dice che
cerca come suo rifugio la compagnia della gente che ha sempre suscitato in lui ostilità e disprezzo.
O CAMERETTA CHE GIA’ FOSTI UN PORTO: TESTO DELLA POESIA
Il testo della poesia O cameretta che già fosti un porto di Francesco Petrarca:
O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diurne,
fonte se’ or di lagrime nocturne,
che ’l dí celate per vergogna porto.
O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo ver ’me crudeli a sí gran torto!
Né pur il mio secreto e ’l mio riposo
fuggo, ma più me stesso e ’l mio pensero,
che, seguendol, talor levommi a volo;
e ’l vulgo a me nemico et odïoso
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero:
tal paura ò di ritrovarmi solo.
PARAFRASI
Anche l’utilizzo di apostrofi e forme elise e tronche dà l’idea di questa lacerazione interiore:
presentano un ritmo spezzato, sincopato.
Petrarca descrive questo suo tormento interiore anche attraverso l’affollarsi di verbi di movimento,
che dimostrano, appunto, affanno: fugge, vien, tornami e le forti apposizioni binarie (antitesi).
In questo sonetto, inoltre, sono presenti due metafore capaci di descrivere lo sconvolto paesaggio
dell’animo del poeta. All’inizio del sonetto vi sono le metafore che riguardano la guerra (a gran
giornate, mi danno guerra), che descrivono l’angoscia dei piani temporali del presente e del
passato, che ormai non sono più capaci di dare una qualche consolazione al poeta.
Alla fine, vi sono le metafore del navigare e del porto. Con la prima il poeta afferma che la sua vita
futura gli appare come una navigazione in un mare in tempesta. Con la metafora del porto,
invece,contrariamente a quanto ci si possa aspettare, presenta il tramonto della vita, che è, per
definizione, la morte, nella quale si dovrebbe trovare sollievo.
In realtà, Petrarca raffigura anche il porto in tempesta, la fortuna, da cui si deduce la sua visione
tormentata della morte.