ECONOMIA DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE - Daniela Coluccia

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ECONOMIA DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

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Gli studi iniziali adottavano un approccio prettamente giuridico e le materie che studiavano l’attività
finanziaria delle aziende pubbliche, contenuta nel bilancio e osservata sulle entrate e sulle uscite, erano la
contabilità di Stato (attività finanziaria dello Stato) e la contabilità pubblica (attività finanziaria non solo
dello Stato, ma anche delle altre aziende pubbliche, come gli enti locali). Si passò poi ad un approccio
economico aziendale con l’introduzione della ragioneria pubblica, che studia i bilanci delle aziende
pubbliche e i sistemi di rendicontazione. Con l’evolversi del tempo, l’ambito di analisi si è ampliato e si è
passati all’economia delle amministrazioni pubbliche, che studia i processi di programmazione, controllo,
gestione e rendicontazione delle aziende pubbliche. Negli anni ‘90 avvenne il cosiddetto fallimento della
gestione pubblica, a seguito della forte presenza dello Stato nell’economia, causato da situazioni di dissesto
finanziario, di scarsa disponibilità di risorse, di inefficienze dei processi erogativi e di limitata professionalità
dei manager: si diede avvio al cosiddetto processo di aziendalizzazione, ci si rese conto che lo Stato non
doveva essere presente in tutti i settori dell’economia e che alcuni potevano essere aperti liberamente al
mercato. Questo venne attuato attraverso la privatizzazione per le aziende da dismettere (es. banche) e
l’istituzionalizzazione per le aziende da mantenere pubbliche (es. sanità). Con la privatizzazione si cercò di
riordinare le partecipazioni statali, di ridurre la presenza dello Stato nell’economia e di incentivare
l’apertura al mercato finanziario (aziende quotate). Possiamo distinguere 3 tipologie di privatizzazione:
formale, che si attua con il cambiamento della veste giuridica dell’azienda, da ente pubblico a S.p.A., anche
se le azioni della S.p.A. rimangono nelle mani delle aziende pubbliche, sostanziale, con cui, oltre al
cambiamento della veste giuridica, si effettua la vendita delle azioni ai privati e i relativi effetti dipendono
dalle percentuali delle azioni cedute, ma non solo, in Italia, in alcuni casi, l’ente pubblico originario ha
mantenuto la golden-share, ovvero il diritto di nominare gli organi al vertice aziendale e funzionale, con cui
si effettua una sorta di esternalizzazione, in quanto si realizza mediante l’affidamento di un servizio a
soggetti privati. Dal punto di vista legislativo, la privatizzazione è stata realizzata mediante 2 leggi:
L. 218/1990, la cosiddetta Legge Amato, con cui sono stati privatizzati gli istituti finanziari e la L. 359/1992,
con cui sono stati privatizzati gli altri enti pubblici. Con l’istituzionalizzazione si introdussero, invece, i
principi e i meccanismi tipici dell’impresa privata profit nelle aziende pubbliche. Il processo, ancora in corso,
è stato avviato con 2 norme: la L. 142/1990 per gli enti locali (Stato, regioni e comuni), con cui vennero
introdotte economicità, efficienza ed efficacia e la L.241/1990, con cui questi principi vennero estesi a tutti
gli enti pubblici. Tra le altre norme: Dlgs. 29/1993, con cui venne riorganizzato il pubblico impiego, Dlgs.
286/1999 sui controlli e Dlgs. 150/2009 o Riforma Brunetta, con cui si introdusse un Organismo
Indipendente di Valutazione (OIV), con il compito di verificare la coerenza tra le misure di prevenzione della
corruzione e le misure di miglioramento della funzionalità delle amministrazioni e della performance degli
uffici e dei funzionari pubblici.
Ricordiamo la definizione di azienda come istituto economico duraturo che produce beni o servizi per
soddisfare i bisogni umani, da cui possiamo derivare il concetto di azienda pubblica come istituto volto a
soddisfare i bisogni della collettività. Il nostro ordinamento non fornisce una definizione precisa di azienda
pubblica, ma fornisce degli elenchi, ad esempio l’art.1 della L.165/2001 afferma che per “amministrazione
pubblica” si intende un elenco che comprende tutte le amministrazioni dello Stato, compresi istituti e
scuole di ogni grado, regioni, province, comuni e istituzioni universitarie; anche l’ISTAT, annualmente,
pubblica un elenco delle amministrazioni pubbliche.
Al fine di dare una definizione possiamo far riferimento ai 3 criteri di classificazione delle aziende:
in funzione del fine perseguito e dell’attività svolta : le aziende possono essere distinte in imprese
(aziende profit) e aziende di erogazione (aziende no profit)  questo criterio però non ci permette di
individuare le aziende pubbliche;
in funzione del soggetto giuridico: ricordiamo che il soggetto giuridico è la persona, il gruppo di
persone o l’ente nel cui nome l’attività è esercitata e a cui fanno capo i diritti e gli obblighi che
scaturiscono dall’attività aziendale  egli è, dunque, il responsabile giuridico e patrimoniale.
Le aziende possono essere classificate in aziende con soggetto giuridico privato e aziende con soggetto
giuridico pubblico: le prime, possono avere come soggetto giuridico una o più persone fisiche o una
persona giuridica, cioè un ente con personalità giuridica (es. associazioni, fondazioni riconosciute o
società commerciali come società di capitali), le seconde, invece, hanno come soggetto giuridico
sempre una persona giuridica e comprendono Stato, enti pubblici territoriali, enti pubblici economici,
enti pubblici istituzionali (istituiti con la L.70/1975, la quale ha istituito l’INPS, l’INAIL, il CONI, l’ACI
etc…) e altri enti pubblici (università, aziende ospedaliere, musei e tutti gli altri)  la classificazione
delle aziende con soggetto giuridico pubblico permette di individuare la categoria di “aziende
pubbliche in senso stretto”, dunque questo criterio è utile, ma incompleto;
in funzione del soggetto economico: il soggetto economico è la persona che detiene il supremo potere
volitivo e che guida l’azienda, assumendo le decisioni strategiche più importanti. In questo caso
possiamo distinguere tra aziende con soggetto economico privato, che hanno il soggetto giuridico
privato e aziende con soggetto economico pubblico, che comprendono le aziende con soggetto
giuridico pubblico e alcune aziende con soggetto giuridico privato che hanno il proprio capitale,
completamente o parzialmente, in mano ad enti pubblici oppure in mano a privati, ma con vertici
nominati da enti pubblici.
L’azienda pubblica è pertanto l’azienda con il soggetto economico pubblico: la dottrina definisce tale
categoria una “non categoria”, a seguito della sua vasta eterogeneità. Riassumendo, le aziende pubbliche
comprendono Stato ed enti locali, enti pubblici economici, enti pubblici istituzionali e altri enti pubblici, tutti
con soggetto giuridico pubblico e soggetto economico pubblico (aziende pubbliche in senso stretto),
associazioni, fondazioni e società commerciali profit con soggetto giuridico privato e soggetto economico
pubblico (es. ENI, ENEL): queste ultime però, al contrario delle prime 4, vengono disciplinate da norme di
diritto privato. Tutte quelle appena citate rappresentano il settore pubblico allargato: esse hanno regole
gestionali comuni, perché a seguito dei processi di aziendalizzazione e di istituzionalizzazione tutte le
aziende pubbliche sono ispirate ai principi di economicità, efficienza ed efficacia, ma regole giuridiche e
contabili diverse. In tema di aziende pubbliche, negli ultimi anni si è assistito alla formazione dei cosiddetti
gruppi pubblici, in cui vi è una holding pubblica, che controlla, detenendo partecipazioni, enti pubblici
strumentali (per il raggiungimento della mission), società di capitali private e associazioni e fondazioni
riconosciute a partecipazione pubblica o privata. Tali gruppi sono diffusi soprattutto nell’ambito degli enti
territoriali, dove la holding è il comune o la regione di riferimento, ad esempio, il comune di Roma controlla
il Consorzio stradale tredicesimo e il Convitto Vittorio Emanuele II come enti strumentali, detiene
partecipazioni pari al 100% in AMA S.p.A. e ATAC S.p.A. e al 51% in ACEA S.p.A. come società di capitali
private e partecipazioni in associazioni e fondazioni, quali Teatro dell’Opera e Mondo Digitale.
L’azienda è un istituto economico duraturo composto da un sistema di beni (patrimonio), un sistema di
persone (organizzazione) e un sistema di operazioni (gestione).
Il patrimonio è un sistema di beni a disposizione dell’azienda in un determinato momento (concetto stock).
In merito ai beni pubblici, la tematica è stata spesso affrontata con riferimento agli enti pubblici territoriali,
applicando 3 criteri di classificazione dei beni pubblici: criterio giuridico, economico-aziendale e contabile.
In funzione del criterio giuridico, i beni pubblici possono essere distinti in beni demaniali (art.822 c.c.) e
beni patrimoniali (art.826 c.c.). I primi sono inalienabili, sono imprescrittibili e non sono soggetti a
imposizione fiscale, vengono utilizzati dai cittadini per soddisfare direttamente i propri bisogni e ne esistono
due tipologie: demanio necessario, si tratta di beni di proprietà esclusiva dello Stato e comprendono il
demanio marittimo (spiagge e lidi), il demanio idrico (fiumi, torrenti e laghi) e il demanio militare (fortezze e
strutture per la difesa della nazione) e demanio accidentale, che comprende beni che, se in mano ad enti
pubblici, sono demaniali (es. strade e autostrade, beni di interesse storico, artistico e culturale, musei,
pinacoteche, cimiteri). I secondi sono una categoria residuale che comprende tutti i beni pubblici non
demaniali e ne esistono due tipologie: patrimonio non disponibile, che comprende i beni destinati ad un
servizio pubblico e, come tali, inalienabili, utilizzati dagli enti pubblici per poter fornire i servizi alla
collettività (es. beni in dotazione al Presidente della Repubblica, edifici ad uso di enti pubblici, foreste e
fauna selvatica) e patrimonio disponibile, che comprende i beni pubblici senza alcun vincolo con l’attività
istituzionale dell’ente (es. patrimonio mobiliare, patrimonio fondiario).
In funzione del criterio economico-aziendale, i beni pubblici vengono distinti in beni strutturali, essenziali
per il soddisfacimento dei bisogni della collettività (es. beni demaniali), beni strumentali, utilizzati per lo
svolgimento dell’attività dell’ente (es. beni patrimoniali) e beni accessori, che non hanno un vincolo
rispetto alla funzione istituzionale dell’ente (es. beni da reddito, come titoli o edifici). Infine, secondo il
criterio contabile, distinguiamo le attività finanziarie (liquidità, crediti e titoli) e le attività non finanziarie
(beni mobili e immobili, attività immateriali e rimanenze).
L’organizzazione è un sistema di persone specializzate e coordinate che operano all’interno dell’azienda.
I 2 principi cardini dell’organizzazione sono la specializzazione (ogni persona deve conoscere il proprio ruolo
e le proprie mansioni) e il coordinamento (ogni persona deve conoscere la propria posizione nella struttura
organizzativa, nonché il proprio superiore e gli eventuali subordinati).
È nell’organizzazione che si evidenzia la principale
differenza tra aziende private e aziende pubbliche, in
quanto quest’ultime presentano una peculiarità, ossia la
presenza di 2 strutture distinte: una struttura politica,
composta dai politici generalmente individuati tramite le
elezioni, e una struttura amministrativo-gestionale,
composta dai dipendenti vincitori dei concorsi.
In quest’ultima struttura è possibile individuare i
cosiddetti centri di responsabilità (CdR), guidati da un
responsabile con potere sui propri subordinati, proprie
risorse umane, tecniche e finanziarie, responsabilità
amministrativa della gestione e responsabilità di risultato;
in alcuni casi, poi, i centri di responsabilità sono suddivisi
in unità operative.
In passato, nelle aziende pubbliche vi erano
molteplici centri di responsabilità, i cui responsabili si riunivano periodicamente in un collegio per
coordinare le varie attività, poi con il D.lgs. 29/1993, i centri di responsabilità sono stati accorpati in unità
organizzative, pertanto ridotti di numero, infatti si è attutato il cosiddetto “snellimento delle strutture
amministrative”. Inoltre, il decreto ha istituito la figura del vertice aziendale, che svolge la funzione di
collegamento tra struttura amministrativo-gestionale e struttura politica. Al di sotto del vertice aziendale, vi
sono i dirigenti di primo livello, responsabili dei CdR, i dirigenti di secondo livello, responsabili delle unità
organizzative, e il personale non dirigenziale. Nell’ente pubblico, sia gli organi politici che gli organi
amministrativi sono centri decisionali, che non operano in modo distinto e separato, ma devono
collaborare e coordinarsi nelle decisioni, superando la tradizionale conflittualità esistente tra politica e
amministrazione. Gli organi politici, nell’operare, richiamano infatti il principio della sovranità popolare,
secondo cui l’organo è stato eletto dal popolo, che è quindi sovrano, al contrario, gli organi amministrativi
richiamano il principio dell’imparzialità dell’amministrazione, in base al quale il servizio pubblico deve
soddisfare l’intera collettività e non una classe politica: la conflittualità nasce proprio da questi 2 principi,
entrambi esistenti e corretti. Il D.lgs. 29/1993 ha tentato poi di superare tale conflittualità, sancendo una
separazione tra politica e amministrazione, secondo cui deve esserci collaborazione, ma non commissione,
inoltre, ha sancito che la figura del vertice aziendale deve essere nominata dall’organo politico, può essere
una figura interna o esterna e deve avere un incarico di durata pari al mandato politico. Il vertice aziendale
rappresenta a tutti gli effetti il politico all’interno della struttura amministrativo-gestionale: tra il politico e il
vertice aziendale non c’è un rapporto gerarchico, ma un rapporto fiduciario, ne deriva che nell’ente
pubblico, il soggetto economico è un’entità bicefala, che ha all’interno sia la componente politica che quella
amministrativa e comprende l’organo politico, il vertice aziendale e gli eventuali dirigenti di primo livello.
Sulla base del D.lgs. 29/1993, le funzioni degli organi politici e degli organi amministrativi sono le seguenti:
la politica ha una funzione di indirizzo, con cui stabilisce gli obiettivi strategici sulla base delle proposte
dell’amministrazione e una funzione di vigilanza, con cui verifica l’operato dell’amministrazione e che gli
obiettivi stabiliti siano stati effettivamente raggiunti, l’amministrazione, invece, ha una funzione propositiva,
con cui aiuta la classe politica nella definizione degli obiettivi strategici e una funzione operativa, con cui
mette in pratica le decisioni stabilite dalla classe politica.
I politici stabiliscono gli obiettivi strategici ed individuano le risorse umane, tecniche e finanziarie
necessarie per raggiungerli, mentre i dirigenti amministrativi definiscono gli obiettivi tattico-operativi,
allocano le risorse nei vari centri e individuano i responsabili e gli indicatori di risultato.
Tra gli organi politici e quelli amministrativi si individua l’autorità istituzionale, tipica degli enti pubblici,
caratterizzata dai seguenti principi:
1. potere di indirizzo e vigilanza della classe politica : questo potere non si può configurare come un
diritto di comando poiché i dirigenti sono autonomi e, se lo ritengono e lo motivano
adeguatamente, possono rifiutarsi di eseguire l’indirizzo impartitogli dall’organo politico; il
dirigente, però, verrà vigilato dall’organo politico che, se perde il rapporto fiduciario, potrà
rimuoverlo dalla funzione ricoperta;
2. potere di gestione dei dirigenti amministrativi: a tali dirigenti spetta prendere le decisioni operative
e disporre in via esclusiva sull’attività di gestione, sugli strumenti e sulle risorse da utilizzare
nell’ambito dei limiti posti dai politici con gli atti di programmazione ed indirizzo; in tale attività, essi
rispondono, anche giuridicamente, del loro operato e, inoltre, spetta ad essi la funzione propositiva
da intendersi come un rapporto funzionale consultivo nei confronti degli organi politici;
3. orizzontalità: il rapporto tra organo politico e vertici dirigenziali della struttura amministrativa è
fiduciario e non è di subalternità, ma è giuridicamente paritetico, in quanto i due organi sono
distinti, con poteri e responsabilità distinte;
4. generalità e genericità: l’organo politico può dare indirizzi su tutti i compiti del dirigente
(generalità), ma non può entrare negli atti specifici e di dettaglio che il dirigente deciderà di porre in
essere (genericità);
5. ricompense o sanzioni in base ai risultati raggiunti : sono gli strumenti, precisati nelle leggi, nei
regolamenti e nei contratti di lavoro, con i quali l’organo politico, nell’esercizio della propria
funzione di vigilanza, stimola i dirigenti a seguire gli indirizzi impartiti;
6. unità di indirizzo: gli obiettivi operativi devono essere conformi agli obiettivi strategici, infatti i
dirigenti rispondono al direttore generale e questo risponde agli organi politici ed istituzionali che lo
hanno nominato e che, ovviamente, possono rimuoverlo dall’incarico.

Il pubblico impiego riguarda un insieme di persone che lavorano per enti pubblici in senso stretto, con
soggetto economico e soggetto giuridico entrambi pubblici, caratterizzate da professionalità e qualifiche
diverse (es. insegnanti, medici, camerieri, elettricisti). Dopo la Seconda guerra mondiale c’è stato un
notevole incremento del numero dei dipendenti pubblici, essendo che questo veniva usato come
ammortizzatore sociale dell’occupazione. Dopo gli anni ’90, con il fallimento della gestione pubblica, il
processo di istituzionalizzazione è stato finalizzato a ridurre il numero dei dipendenti pubblici (c’è stato un
blocco dei concorsi) e a ridurre le differenze tra impiego pubblico e privato. Il D.lgs. 29/1993 ha attuato la
cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, infatti se prima del decreto, il rapporto di lavoro aveva una
rilevanza pubblica ed era disciplinato dal diritto pubblico (TAR) e l’assunzione, che avveniva attraverso una
legge o un atto unilaterale pubblico, era l’espressione di un potere pubblico, dopo il decreto, il rapporto di
lavoro ordinario tra datore di lavoro e dipendente non ebbe più rilevanza pubblica e venne disciplinato dal
diritto del lavoro e l’assunzione, mediante contratto, divenne espressione dell’autonomia privata dell’ente.
Per alcune tipologie di dipendenti pubblici esistono però delle eccezioni, come i magistrati, i docenti
universitari, le forze dell’ordine, i quali si attengono ancora alle condizioni pre-decreto.
La gestione riguarda un insieme di operazioni simultanee e successive svolte dall’azienda durante la sua
vita, che viene frazionata in periodi amministrativi (anni solari). La gestione viene suddivisa in esercizi e può
essere analizzata secondo due aspetti: l’aspetto qualitativo e l’aspetto quantitativo.
Sotto l’aspetto qualitativo, si esaminano le diverse funzioni, classificate in funzioni manageriali o
direzionali, di pertinenza dell’organo politico, in cui rientrano la programmazione, l’organizzazione (ruoli e
competenze), il controllo (vigilanza) e la leadership (guida delle persone nei processi di decisione,
esecuzione e controllo) e le funzioni operative, proprie dell’amministrazione, in cui rientrano la funzione
tecnica (produzione dell’output), la funzione commerciale (rapporti con fornitori e clienti), la funzione
finanziaria (acquisizione delle fonti e successivo investimento delle stesse), la funzione contabile
(informazioni sulla gestione) e la funzione di sicurezza (delle persone e dei beni contro rischi o danni).
Le peculiarità delle aziende pubbliche sono la funzione tecnica e quella contabile.
La funzione tecnica comprende tutte le operazioni necessarie per trasformare gli input in output ed è
caratterizzata dalla realizzazione di un servizio pubblico, che soddisfa i bisogni della collettività.
Questa funzione consiste in un insieme di atti che, direttamente o indirettamente, concorrono alla
trasformazione fisico-tecnica degli elementi necessari alla produzione di quei beni e servizi che, in un dato
momento storico, si ritiene possano soddisfare, quantitativamente e qualitativamente, la mission aziendale.
Il recente sviluppo tecnologico ha conferito sempre più importanza alle conoscenze specialistiche, al know
how ed ha notevolmente complicato i processi produttivi che, solitamente, erano svolti direttamente
all’interno dell’azienda. Si assiste, dunque, ad un progressivo aumento delle produzioni indirette, ossia
esternalizzate, che vede coinvolte tanto le aziende private quanto le aziende pubbliche.
Ciò che rende pubblico un servizio è l’esistenza di un bisogno diffuso e la considerazione che il bisogno sia
meritevole di tutela.

Esistono diversi criteri di classificazione del servizio pubblico:


1. in funzione delle modalità di erogazione : distinguiamo i servizi a domanda collettiva, erogati alla
collettività che ne beneficia simultaneamente senza rivalità nel consumo (es. illuminazione stradale) e i
servizi a domanda individuale, erogati ad utenti specifici che ne fanno richiesta (es. sanità, istruzione).
In merito a questi ultimi, distinguiamo due modelli, il modello europeo, secondo cui una volta che si
individua un bisogno meritevole di tutela, la soddisfazione del bisogno è garantita a tutti i cittadini e il
modello americano, secondo cui quando si individua un bisogno meritevole di tutela, le istituzioni
intervengono solo a favore delle persone più disagiate, che ne hanno bisogno (es. istruzione: se in Italia
la scuola pubblica è garantita per tutti, in America, la scuola pubblica è solo per i meno abbienti, il resto
dei cittadini, infatti, deve pagare la retta per il college);
2. in funzione della rilevanza economica: distinguiamo i servizi con rilevanza economica, che hanno un
mercato e che possono essere erogati, pagando un corrispettivo, da enti pubblici, società private a
partecipazione pubblica o da società private (es. elettricità, gas) e i servizi senza rilevanza economica,
che hanno natura sociale e carattere solidaristico, sono servizi che non possono essere affidati ai privati
e che quindi sono erogati da enti pubblici, società private a partecipazione pubblica o aziende speciali;
3. in funzione del soggetto che eroga il servizio : distinguiamo i servizi erogati direttamente dall’ente
pubblico (es. scuole, ospedali) e i servizi erogati da aziende private (es. scuole private, cliniche private);
4. in funzione del corrispettivo: distinguiamo i servizi pubblici con prezzo, ossia con rilevanza economica, i
servizi pubblici con tariffa (es. ticket che si paga nei servizi sanitari) e i servizi pubblici gratuiti (es. scuola
dell’obbligo).

La funzione contabile permette di rilevare, in via preventiva o consuntiva e con particolari metodi contabili,
matematici e statistici, i fatti di gestione allo scopo di conoscerli, misurarli, interpretarli, valutarli e
controllarli. La contabilità rappresenta il principale strumento informativo per l’azienda e ci permette di
studiare ed analizzare la gestione sotto l’aspetto quantitativo, consentendo l’ottimale svolgimento delle
funzioni direzionali di programmazione e controllo. Anche grazie all’evoluzione delle tecniche informatiche
e delle scienze aziendali, ai giorni nostri, si parla di sistemi informativi contabili ed extra-contabili.
Il sistema informativo delle aziende pubbliche in senso stretto ha subito una notevole evoluzione a seguito
del processo di aziendalizzazione: se prima degli anni ’90, il sistema contabile era caratterizzato
esclusivamente dalla contabilità finanziaria, basata sulla rilevazione delle entrate e delle uscite e su un
documento contabile chiamato bilancio preventivo finanziario, con funzione politica (nel bilancio la classe
politica dichiarava gli obiettivi che intendeva raggiungere), funzione di garanzia (le spese iscritte in bilancio
dovevano avere un’adeguata copertura finanziaria) e funzione autorizzativa (l’ente è autorizzato a
sostenere soltanto le uscite iscritte in bilancio, se la spesa non è stata stanziata, l’ente non può sostenerla),
dopo gli anni ’90, con il processo di istituzionalizzazione, appare evidente la limitatezza della sola contabilità
finanziaria e del solo bilancio preventivo finanziario, si inseriscono infatti i criteri di efficienza ed efficacia e
la contabilità diventa un puro supporto, si passa infatti ad una contabilità integrata, la quale, pur
mantenendo al suo interno la funzione autorizzativa, non ha più una funzione esclusiva e comprende la
contabilità finanziaria, economico-patrimoniale e analitica.
Dopo il 2000, l’UE, con la direttiva n. 85/2011, ha introdotto un’armonizzazione dei bilanci pubblici per
garantire maggior trasparenza e confrontabilità degli stessi.
La direttiva è stata poi recepita in Italia con 2 decreti: D.lgs. 118/2011 per gli enti pubblici territoriali e il
D.lgs. 91/2011 per gli altri enti pubblici; sono esclusi dal recepimento lo Stato, gli enti del servizio sanitario
nazionale e le università, i quali hanno delle leggi ad hoc. Oggi, quando parliamo di bilancio ci riferiamo sia
al bilancio preventivo (preventivo finanziario, preventivo economico e documenti allegati) che al rendiconto
di gestione (rendiconto finanziario, conto economico, stato patrimoniale e documenti allegati).
La funzione commerciale concerne tutte le operazioni che pongono l’azienda in relazione con l’ambiente
esterno, da cui si approvvigiona i servizi e i fattori produttivi di cui ha necessità. Tipicamente, nelle imprese
questa funzione riguarda sia le operazioni di approvvigionamento che quelle di vendita di beni e servizi,
integrandosi sia con le operazioni operative che direzionali: essa va intesa anche come distribuzione di beni
e servizi prodotti a tutti i soggetti che costituiscono i beneficiari dell’attività svolta, siano essi clienti, nei
confronti dei quali si innescano operazioni di scambio a prezzo di mercato, oppure semplici utenti, con i
quali lo scambio avviene a prezzi politici o gratuitamente, configurando una pura attività erogativa.
La funzione finanziaria impone il ricorso a due particolari forme di finanziamento:
- finanziamento diretto: concerne operazioni tendenti ad ottenere disponibilità monetarie da investire
nell’azienda (crediti e debiti di finanziamento);
- finanziamento indiretto: deriva dal differimento della regolamentazione monetaria delle operazioni di
scambio con i clienti e i fornitori (crediti e debiti di funzionamento).
Questa funzione riguarda una serie di operazioni, monetarie e finanziarie, con le quali si fa fronte al
fabbisogno derivante dal fisiologico sfasamento tra la dinamica delle entrate e delle uscite che
caratterizzano il ciclo finanziario e monetario di qualsiasi azienda.
La funzione di sicurezza riguarda un sistema di rischi entro il quale l’azienda opera, che assume un carattere
diverso a seconda della tipicità della gestione e dei criteri che la informano. Questi rischi possono essere di
natura diversa: rischi fisici, per le persone che lavorano in azienda, rischi di danneggiamenti materiali, per i
beni e le dotazioni dell’azienda, rischi economici e finanziari, che derivano dal mancato rispetto degli
equilibri della gestione ordinaria, rischi legali e tanti altri. A tal fine, vengono affidati a specifici uffici tutte le
attività necessarie a fronteggiare i rischi, ad esempio l’ufficio legale, l’addetto alla sicurezza dei luoghi di
lavoro etc…
Sotto l’aspetto quantitativo, la gestione può essere analizzata sotto 3 aspetti: patrimoniale, economico e
finanziario. L’aspetto patrimoniale riguarda le attività, le passività e il patrimonio netto: le variazioni
patrimoniali si distinguono in variazioni elementari, che impattano su attività e passività (es. cambi di
valore della cassa, degli impianti, dei crediti e dei debiti) e in variazioni nette, che impattano sul patrimonio
netto  entrambe possono essere positive o negative. Il risultato patrimoniale è pari a PN =  VN+ -  VN-
e come possiamo notare non considera le variazioni elementari, essendo che queste modificano le attività e
le passività e non il patrimonio.

A seconda delle variazioni patrimoniali rilevate, le operazioni di gestione si distinguono in:

OPERAZIONI PERMUTATIVE: generano una variazione solo qualitativa del patrimonio netto e sono
caratterizzate da variazioni elementari di segno opposto e di identico importo: VE+ VE-.

Esempio 1: rimborso debiti per 100.000€ mediante bonifico


VE- = - banca 100.000€
VE+ = - debiti 100.000€
È un’operazione permutativa in quanto va a modificare soltanto la qualità, ma non la quantità del
patrimonio netto che rimane sempre 200.000€: tutte le operazioni di pagamento dei debiti a valore
nominale e di riscossione dei crediti a valore nominale sono operazioni permutative.
Esempio 2: acquisto a dilazione di un impianto di 20.000€
VE+ = + impianti 20.000€
VE- = + debiti 20.000€

OPERAZIONI MODIFICATIVE: incidono sul patrimonio netto sia dal punto di vista quantitativo che
qualitativo e sono caratterizzate da variazioni elementari e nette dello stesso segno e importo:
VE+  VN+ e VE-  VN-.

Esempio 3: riscossione di contributi a favore dell’ente di 100.000€


VE+ = + banca 100.000€
VN+ = + patrimonio netto per contributi 100.000€

Esempio 4: pagamento, mediante bonifico, di una prestazione per 40.000€


VE- = - banca 40.000€
VN- = - patrimonio netto per acquisto prestazioni 40.000€

Esempio 5: donazione all’ente di un terreno in c/capitale ad incremento del fondo di dotazione per 20.000€
 fondo di dotazione dell’azienda pubblica = capitale sociale dell’impresa privata = patrimonio netto
VE+ = + terreni 20.000€
VN+ = + patrimonio netto da conferimento terreno 20.000€

OPERAZIONI MISTE: sono una combinazione di un’operazione permutativa e un’operazione


modificativa e sono caratterizzate da variazioni elementari e variazioni nette così articolate:
L’operazione genera una VE+ che è a sua volta compensata da una VE - (parte dell’operazione permutativa,
variazioni elementari di segno opposto, ma non dello stesso importo) e da una VN +, necessaria affinché ci
sia coincidenza tra totale dare e totale avere (deve avere lo stesso segno della variazione elementare).

Esercizio 6: cessione del terreno ad un prezzo di 30.000€ con riscossione tramite bonifico

Ogni volta che la vendita di un bene avviene ad un valore diverso rispetto al valore contabile si ha
un’operazione mista.

Esempio 7: riscossione di crediti iscritti in contabilità per 30.000€ mediante bonifico ad un impianto di
28.000€. La differenza viene stralciata perché considerata non più esigibile.

𝑅𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑝𝑎𝑡𝑟𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑎𝑙𝑒 = Σ𝑉𝑁+ − Σ𝑉𝑁-  occorre


considerare soltanto le operazioni modificative e miste,
dunque 𝑅𝑃 = 100 − 40 + 20 + 10 − 2 = 88, oppure 𝑅𝑃 = Δ𝑃𝑁
= 𝑃𝑁 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 − 𝑃𝑁 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 = 288 − 200 = 88.

L’aspetto economico riguarda la rilevazione di oneri e proventi, che sono sempre generati da variazioni
nette, anche se non sempre le variazioni nette generano oneri o proventi; queste si distinguono in
variazioni che generano sotto l’aspetto economico oneri o proventi e variazioni che non rilevano sotto
l’aspetto economico oneri o proventi perché incidono direttamente sul patrimonio netto.
Gli esempi 3 e 4 sono operazioni che hanno rilevanza dal punto di vista economico perché sono operazioni
che generano proventi (operazione 3 = contributi) e oneri (operazione 4 = prestazioni che sono costi),
mentre l’esempio 5 (conferimento di un terreno) è un’operazione che non rileva dal punto di vista
economico perché l’operazione impatta direttamente sul capitale.

Esempio 8:
a. Costituzione di un dipartimento universitario mediante apporto di denaro in banca per 100.000€;

In SP0 non c’è nulla in quanto il


dipartimento è appena stato costituito e
il CE non ha rilevanza economica perché
l’apporto è diretto al capitale, dunque
non genera né costi né ricavi.
b. Riscossione, tramite banca, di un contributo in conto esercizio per 50.000€;

In questo caso la variazione netta


positiva, dal punto di vista economico,
genera un provento da contributi che si
trova nell’avere del CE.

c. Pagamento tramite bonifico di servizi per 30.000€.

La variazione netta negativa misura un onere, che corrisponde ad un costo relativo alle spese per servizi.

𝑅𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑝𝑎𝑡𝑟𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑎𝑙𝑒 = Σ𝑉𝑁+ − Σ𝑉𝑁- = 100 + 50 – 30 = 120, oppure 𝑅𝑃 = Δ𝑃𝑁 = 𝑃𝑁 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 − 𝑃𝑁


𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 = 120 − 0 = 120. 𝑅𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑐𝑜 = proventi – oneri = 50 – 30 = 20.
I risultati divergono perché nel primo consideriamo anche le variazioni nette che non hanno
impatto economico (es. la prima impatta sul capitale), infatti in assenza dell’operazione sul capitale
i due risultati convergerebbero.

L’aspetto finanziario riguarda la rilevazione di entrate ed uscite. In merito al collegamento con l’aspetto
patrimoniale, distinguiamo le variazioni patrimoniali (variazioni elementari o variazioni nette) rilevanti sotto
l’aspetto finanziario, che generano entrate o uscite, e non rilevanti sotto l’aspetto finanziario, che non
generano entrate o uscite, ad esempio le operazioni in natura. Le entrate e le uscite sono classificate in 3
tipologie: entrate/uscite effettive, che generano una variazione quantitativa del patrimonio netto, nascono
da VE e VN e sono generate da operazioni di tipo modificativo o misto, entrate/uscite per movimento di
capitale, che generano una variazione qualitativa del patrimonio netto, nascono da VE e sono generate da
operazioni di tipo permutativo e, infine, entrate/uscite per partite di giro (sottocategoria delle
movimentazioni di capitale), che generano una variazione qualitativa del patrimonio netto, nascono da VE
e riguardano operazioni per conto terzi (es. ritenute).

Esempio 9:
a. Costituzione di un dipartimento universitario mediante apporto di denaro in banca per 100.000€;

È un’entrata effettiva in quanto nasce


da una variazione netta.

Se, invece, la costituzione del


dipartimento fosse avvenuta con
l’apporto di un fabbricato, questo non
avrebbe inciso sul conto finanziario, in
quanto non sarebbe stata una
variazione patrimoniale diretta sul
capitale, ma in natura, dunque il conto
finanziario sarebbe stato il seguente.

b. Riscossione, tramite banca, di un contributo in conto esercizio per 50.000€;

È un’entrata effettiva in quanto nasce


da una variazione netta.

c. Pagamento tramite bonifico di servizi per 30.000€.

In generale, le entrate e le uscite effettive nascono da variazioni nette,


dunque da operazioni
modificative o Essendo un’operazione modificativa,
miste; se l’operazione l’uscita è effettiva. è
permutativa si
generano variazioni per movimento di capitale.
𝑅𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜 = 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑒 − 𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑒 = 100 + 50 − 30 = 120,
oppureΔ𝑙𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑖𝑡à (cassa e banca) = 𝑙𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑖𝑡à 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 − 𝑙𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑖𝑡à 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒
= 120 − 0 = 120.
Risultato patrimoniale = 200 (somma delle VN = 100 + 50 + 40 – 10 + 20).
Risultato economico = 50 (contributi - ammortamento + plusvalenza = 40 – 10 + 20).
Risultato finanziario = 285 (somma delle entrate = 100 + 40 + 25 + 120).
Le varie fasi delle entrate sono:
1) Previsione: fase in cui l’entrata viene prevista e rilevata nel bilancio preventivo (assume valenza
giuridica);
2) Accertamento: fase di diritto in cui nasce giuridicamente il diritto di riscossione di un credito e, affinché
l’entrata sia perfezionata, è necessario definire il nome del debitore, la causale, l’ammontare e la
scadenza del credito;
3) Ordinazione: fase interna, di tipo amministrativo-burocratico, in cui gli uffici amministrativi emettono la
reversale di incasso che autorizza a riscuotere l’entrata (è presente solo in alcuni enti pubblici, come
ministeri, presidenza della Repubblica);
4) Riscossione: fase di fatto in cui il debitore paga il proprio debito al soggetto incaricato della riscossione;
5) Versamento: fase finale in cui le somme riscosse sono versate nella tesoreria (c/c) dell’ente pubblico.
Quando l’ente pubblico riscuote direttamente il credito senza intermediazione, la fase della riscossione
e del versamento coincidono.

Le varie fasi delle uscite sono:


1) Previsione: fase in cui l’uscita viene prevista e rilevata nel bilancio preventivo (assume valenza
giuridica);
2) Impegno: fase di diritto in cui nasce giuridicamente l’obbligo di sostenere una spesa e,
conseguentemente, vengono stanziati dei fondi per la copertura della stessa e, affinché l’uscita sia
perfezionata, è necessario definire il nome del creditore, la causale, l’ammontare e la scadenza del
debito. In questa fase, non sempre vengono definiti tutti gli elementi della spesa da sostenere (es.
bando di gara, la spesa nasce, infatti causale e scadenza vengono stabilite, ma non viene definita a
monte, bensì a termine della raccolta delle offerte e della proclamazione del vincitore);
3) Liquidazione: fase in cui si perfeziona l’uscita e ne vengono definiti tutti gli elementi. In alcuni casi, la
fase dell’impegno e della liquidazione coincidono, dipende dall’ammontare della spesa;
4) Ordinazione: fase interna, di tipo amministrativo-burocratico, in cui gli uffici amministrativi emettono il
mandato di pagamento, che contiene gli elementi dell’uscita, e autorizzano lo stesso;
5) Pagamento: fase di fatto in cui l’ente pubblico paga il proprio debito e si rileva l’uscita monetaria.

Ne discende che, sotto l’aspetto finanziario, è possibile distinguere tra gestione di competenza, che fa
riferimento alla fase di diritto in cui le entrate vengono accertate e le uscite vengono impegnate, e gestione
di cassa, che fa riferimento alla fase di fatto in cui le entrate vengono riscosse e le uscite vengono pagate.
Considerando i risultati finanziari, si avranno le grandezze flusso e le grandezze stock. Tra le grandezze
flusso, che si riferiscono ad un arco temporale, generalmente l’anno, distinguiamo il risultato finanziario di
competenza (RFCom) = E. Accertate – U. Impegnate (EA – UI) e il risultato finanziario di cassa (RFC) = E.
Riscosse – U. Pagate (ER – UP). Se tutte le somme accertate fossero anche riscosse e tutte le somme
impegnate fossero anche pagate si avrebbe un’uguaglianza, ma nella pratica non è mai così, ecco perché si
parla di residui attivi dell’esercizio (RAex) = E. Accertate – E. Riscosse (EA – ER) e di residui passivi
dell’esercizio (RPex) = U. Impegnate – U. Pagate (UI – UP): i primi sono dei crediti, perché vi sono entrate
accertate nell’anno che non sono state riscosse nell’anno stesso, i secondi, invece, sono dei debiti, perché vi
sono uscite nell’anno che, nell’anno stesso, non sono state pagate. Tra le grandezze stock, che si riferiscono
ad una data, generalmente al 31/12, distinguiamo il fondo amministrazione finale (FAF) = fondo
amministrazione iniziale (1/1) + risultato finanziario di competenza (FAI + RFCom) e il fondo cassa finale
(FCF) = fondo cassa iniziale (1/1) + risultato finanziario di cassa (FCI + RFC): il primo è pari alla somma di tutti
i risultati finanziari di competenza dei vari anni, il secondo è pari alla somma di tutti i risultati finanziari di
cassa dei vari anni. Distinguiamo ancora i residui attivi finali = residui attivi iniziali esistenti al 31/12 + residui
attivi dell’esercizio (i RAI ancora esistenti al 31/12 sono pari a RA iniziali – RA riscossi – RA annullati) e i
residui passivi finali = residui passivi iniziali esistenti al 31/12 + residui passivi dell’esercizio (i RPI ancora
esistenti al 31/12 sono pari a RP iniziali – RP pagati – RP annullati). Le grandezze finanziarie stock sono
illustrate e riassunte in un prospetto denominato “Situazione Finanziaria o Amministrativa”:
SF 31/12
Fondo Cassa Finale (FCF) Residui Passivi Finali (RPF) Pareggio contabile:
Residui Attivi Finali (RAF) Fondo Amministrazione Finale (FAF) FAF = FCF + RAF – RPF
Esercizio: l’azienda pubblica Alfa nel suo primo anno di vita rileva EA= 100, ER = 95, UI = 80 e UP = 70, si
calcolino le 4 grandezze flusso e le 4 grandezze stock.
Anno n.1
Grandezze flusso:
- RFCom = EA – UI = 100 – 80 = 20  FAF = 20
- RFC = ER – UP = 95 – 70 = 25  FCF = 25
- RAex = EA – ER = 100 – 95 = 5  RAF = 5
- RPex = UI – UP = 80 – 70 = 10  RPF = 10
Grandezze stock:
Le grandezze stock, nel primo anno di vita, coincidono con quelle flusso.
SF31/12/n1
FCF 25 RPF 10
RAF 5 FAF 20 FAF = FCF + RAF – RPF = 25 + 5 – 10 = 20
30 30

Anno n.2
- EA = 200, ER = 150, UI = 180 e UP = 125 (di cui 5 relative ai residui passivi iniziali).
Grandezze flusso:
- RFCom = EA – UI = 200 – 180 = 20
- RFC = ER – UP = 150 – 125 = 25 (nel risultato di cassa si considera tutto, anche i 5)
- RAex = EA – ER = 200 – 150 = 50 (si considerano solo le riscossioni dell’anno)
- RPex = UI – UP = 180 – 120 = 60 (si considerano solo i pagamenti dell’anno, dunque non i 5)
Grandezze stock:
- FAF = FAI + RFCom = 20 (dell’ex precedente) + 20 (dell’ex in corso) = 40
- FCF = FCI + RFC = 25 + 25 = 50
- RAF = RAI esistenti al 31/12 + RAex = 5 (dell’ex precedente) + 50 = 55
- RPF = RPI esistenti al 31/12 + RPex = (10 – 5) + 60 = 65 (ai RPI dell’ex precedente vanno sottratti i residui
passivi pregressi).
SF 31/12/n2
FCF 50 RPF 65
RAF 55 FAF 40 FAF = 50 + 55 – 65 = 40
105 105

Anno n.3
- EA = 250, ER = 230, UI = 240 e UP = 240; inoltre, vengono annullati residui attivi per 30 perché non più
riscuotibili e residui passivi per 5 per prescrizione. L’annullamento dei residui ha effetti su 2 grandezze
stock: i residui finali e il FAF perché l’annullamento dei residui impatta sul FAI.

SF 31/12/n2
FCI 50 RPI 65
RAI 55 FAI 40
Grandezze flusso:
- RFCom = EA – UI = 250 – 240 = 10
- RFC = ER – UP = 230 – 240 = -10
- RAex = EA – ER = 250 – 230 = 20
- RPex = UI – UP = 240 – 240 = 0
Grandezze stock:
- FAF = FAI corretto+ RFCom = (40 – 30 + 5) + 10 = 25  essendo la formula FAF = FCF + RAF – RPF,
l’annullamento dei residui attivi porta ad una riduzione del fondo, mentre l’annullamento dei residui passivi
porta ad un aumento dello stesso.
- FCF = FCI + RFC = 50 – 10 = 40
- RAF = RAI esistenti al 31/12 + RAex = (55 – 30) + 20 = 45
- RPF = RPI esistenti al 31/12 + RPex = (65 – 5) + 0 = 60

SF 31/12/n3
FCF 40 RPF 60
RAF 45 FAF 25 FAF = 40 + 45 – 60 = 25
85 85

Anno n.4
- EA = 200, ER = 210 (di cui 180 relative ad accertamenti dell’anno e 30 relative a residui attivi), UI = 210 e
UP = 230 (di cui 200 relative ad impegni dell’anno e 30 relative a residui passivi); inoltre, durante l’anno,
sono annullati residui passivi per 10.
Grandezze flusso:
- RFCom = EA – UI = 200 – 210 = -10
- RFC = ER – UP = 210 – 230 = -20
- RAex = EA – ER = 200 – 180 = 20
- RPex = UI – UP = 210 – 200 = 10
Grandezze stock:
- FAF = FAI corretto + RFCom = (25 + 10) - 10 = 25
- FCF = FCI + RFC = 40 – 20 = 20
- RAF = RAI esistenti al 31/12 + RAex = (45 – 30) + 20 = 35
- RPF = RPI esistenti al 31/12 + RPex = (60 – 30 - 10) + 10 = 30
SF 31/12/n4
FCF 20 RPF 30
RAF 35 FAF 25 FAF = 20 + 35 – 30 = 25
55 55

Ora affrontiamo il tema del bilancio degli enti pubblici: con riferimento alle aziende pubbliche in senso
stretto, occorre distinguere tra bilancio preventivo e bilancio consuntivo.
Il bilancio ha varie funzioni:
- funzione giuridica: la redazione e l’approvazione del bilancio costituisce un obbligo di legge e non una
scelta. La funzione giuridica per il bilancio preventivo incorpora poi la funzione autorizzativa, con
l’approvazione del preventivo, infatti, l’ente pubblico è autorizzato a sostenere le spese e ad accertare
le entrate previste nel bilancio;
- funzione politica: con il bilancio preventivo, la classe politica dichiara gli obiettivi che vuole perseguire;
- funzione economico-aziendale: il bilancio è uno strumento di programmazione e controllo che aiuta a
definire gli obiettivi, coordinare le attività, stimare i risultati e confrontare gli stessi con quelli previsti;
- funzione conoscitiva o informativa: il bilancio è il principale strumento di informazione per tutti gli
stakeholders.
I principi generali del sistema contabile pubblico di una qualsiasi amministrazione devono
essere determinati coerentemente con le funzioni alle quali i documenti contabili devono
adempiere. Nel caso delle amministrazioni pubbliche, i fini a cui ispirarsi sono desumibili da una lettura
sistematica delle norme che regolano la contabilità pubblica. Si ritiene che i principi contabili generali che
meglio rispondano alle esigenze politiche, economiche, amministrative e tecniche, di un moderno sistema
contabile pubblico, siano:
a) la veridicità: principio riconducibile all'intento del legislatore, anche civilistico, di richiedere che qualsiasi
sistema contabile sia quanto più possibile vicino alla realtà analizzata, ossia rappresenti in
modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria, nonché il risultato
economico d'esercizio, pertanto, la veridicità dei documenti contabili degli enti pubblici deve corrispondere
a dei documenti previsionali in grado di riflettere le prevedibili conseguenze delle operazioni che
si svolgeranno nel futuro periodo di riferimento (evitare tanto le sottovalutazioni quanto le
sopravvalutazioni delle singole poste che devono, invece, essere stimate secondo una
rigorosa analisi) e a dei documenti di rendicontazione in grado di fornire una veritiera rappresentazione
della situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente al termine del periodo conclusosi.
Sono state fatte delle critiche a questo principio, in quanto le previsioni hanno sempre un certo margine di
incertezza, dunque non sono vere in assoluto, inoltre, tutte le possibili valutazioni di un medesimo oggetto,
seppur differenti, possono essere ugualmente attendibili, quindi sarebbe meglio considerarlo quale clausola
generale a cui devono tendere tutti i principi;
b) la correttezza: è propria di qualsiasi stato di diritto, consiste nel rispetto formale e sostanziale delle
norme che sovraintendono la redazione dei documenti contabili ed è esteso anche alle regole tecniche, non
sancite da norme giuridiche, che presiedono il sistema contabile adottato dallo specifico ente pubblico e
che trovano rappresentazione nei documenti contabili e descrittivi, che compongono sia il bilancio di
previsione che il rendiconto;
c) l'imparzialità o la neutralità: i documenti contabili devono essere preparati per una moltitudine di
destinatari, interni ed esterni, e devono fondarsi, pertanto, su principi contabili indipendenti ed imparziali
verso tutti i destinatari, senza servire o favorire gli interessi o le esigenze informative di particolari
gruppi. L’imparzialità deve essere presente in tutto il procedimento formativo del bilancio,
sia di previsione che consuntivo, soprattutto per quanto concerne gli elementi soggettivi: essa va intesa
come l'applicazione competente ed onesta del processo di formazione dei documenti contabili, che
richiede discernimento, oculatezza e giudizio per quanto concerne gli elementi soggettivi e che assicura la
determinazione dei risultati di gestione indipendentemente da eventuali influenze artificiose volte ad
alterare il processo decisionale dei diversi stakeholders;
d) l'attendibilità: principio che asserisce che le previsioni devono essere sostenute da accurate analisi degli
andamenti storici o, in mancanza, da altri idonei ed obiettivi parametri di riferimento. L'oggettività di questi
parametri deve consentire, quanto meno, di effettuare razionali e significative comparazioni nel tempo e
nello spazio e, a parità di altre condizioni, di avvicinarsi alla "verità" con un miglior grado di
approssimazione. Questo è applicabile sia ai documenti di previsione che ai documenti di rendicontazione
per la redazione dei quali è necessario un processo valutativo. I bilanci di previsione di natura finanziaria
devono rispettare anche la congruità, ossia l'adeguatezza delle uscite e dei costi rispetto alla realizzazione
degli obiettivi programmati, inoltre, le uscite e i costi devono essere valutati nel rispetto dei vincoli di
bilancio, ossia in riferimento alle risorse attendibilmente acquisibili, evidenziando quelle aventi
natura occasionale, non ripetitiva o soggette a condizioni;
e) la coerenza: principio che si pone come condizione di legittimità di tutti gli atti amministrativi, documenti
contabili inclusi. Esso implica un nesso logico, senza contraddizione alcuna, fra tutti gli atti contabili
preventivi e consuntivi. È evidente che se due documenti contabili di una medesima azienda sono fra loro in
contraddizione, con ogni probabilità, almeno uno dei due non è rispondente al vero. La coerenza interna
dei documenti contabili indica coerenza dei criteri particolari di valutazione delle singole poste che devono
essere strumentali al perseguimento della medesima finalità assegnata al bilancio o al rendiconto, mentre
quella esterna indica la connessione tra il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'ente, le
direttive e gli atti di indirizzo delle amministrazioni vigilanti;

f) la significatività e la rilevanza: il bilancio di previsione e il rendiconto implicano delle stime o


previsioni, pertanto, la correttezza dei dati di bilancio non si riferisce soltanto all'esattezza aritmetica, bensì
alla correttezza economica, alla ragionevolezza, cioè al risultato attendibile che viene ottenuto
dall'applicazione oculata ed onesta dei procedimenti di valutazione, di previsione e programmazione
adottati nella stesura dei bilanci preventivi e consuntivi. Semplificazioni e arrotondamenti sono
tecnicamente inevitabili e trovano il loro limite nel concetto di rilevanza: essi non devono essere di portata
tale da avere un effetto rilevante sui dati del sistema contabile e sul loro significato per i destinatari;
g) la continuità: la valutazione delle voci deve essere fatta nella prospettiva della continuazione dell'attività
istituzionale, infatti, ove si dovesse negare la permanenza dell'ente, non si potrebbe più fare riferimento
alla documentazione ordinaria di bilancio, ma dovrebbero invocarsi documenti straordinari
idonei alle particolari circostanze di commissariamento o di liquidazione. Questo principio introduce
espressamente la dimensione dell'evoluzione cronologica, che è inscindibilmente connessa a quell'unità
della gestione nel tempo e nello spazio che qualifica qualunque azienda, pubblica o privata, come istituto
economico destinato a perdurare;
h) la costanza: questa, intesa come continuità nel tempo dell'applicazione dei medesimi principi
contabili generali, degli stessi criteri particolari di iscrizione delle poste e degli stessi
metodi di valutazione, è uno dei cardini della determinazione dei valori previsionali e dei
risultati d'esercizio. Questo principio è una condizione essenziale della comparabilità fra documenti di
previsione e di rendicontazione del medesimo anno, nonché fra le previsioni e i consuntivi di
anni differenti. L'indicazione dei cambiamenti dei criteri particolari di valutazione adottati e dei loro effetti è
condizione necessaria per la corretta preparazione ed esposizione delle risultanze contabili. In ogni caso, la
deroga a questo principio contabile deve effettuarsi in casi eccezionali, sia per frequenza che per natura
dell'evento, e la causa, nonché l'effetto del cambiamento, devono essere propriamente evidenziati nei
documenti descrittivi;
i) la prudenza: questo principio si estrinseca sia nei bilanci previsionali sia in quelli di rendicontazione, nei
primi devono essere imputate solo le componenti positive, che ragionevolmente saranno disponibili nel
periodo successivo, mentre le componenti negative saranno limitate dalle risorse previste, nei secondi i
proventi non realizzati non devono essere contabilizzati, mentre tutti gli oneri, anche se non
definitivamente sostenuti, devono essere opportunamente rendicontati. Questo principio non deve
rappresentare l'arbitraria riduzione di entrate, proventi e patrimonio, bensì la ponderazione delle
incertezze e dei rischi connessi con l'andamento operativo aziendale al fine di assicurare che ragionevoli
stanziamenti vengano effettuati in previsione di perdite e passività reali e potenziali;
j) la chiarezza o la comprensibilità: questo principio non è espressamente sancito da alcuna norma giuridica,
ma è desumibile dall'intento retrostante le norme in vigore, esso è rafforzativo del principio della veridicità,
in quanto un documento contabile chiaro è, probabilmente, più veritiero. La chiarezza è, dunque, di
fondamentale importanza poiché i cittadini sono i destinatari di questa documentazione contabile e
pertanto devono comprenderne il contenuto: è necessaria, dunque, una semplice e chiara classificazione
delle poste finanziarie, economiche e patrimoniali e un’adeguata struttura che ne faciliti la consultazione e
renda evidenti le informazioni contenute nei diversi prospetti contabili e nei documenti descrittivi ed
accompagnatori. Questo principio non viene sempre rispettato, in quanto la classificazione delle poste è
spesso contorta e la struttura dei documenti contabili risulta comprensibile solo a chi ha specifiche nozioni
di contabilità pubblica, inoltre, entrambe variano da ente a ente in funzione della specifica disciplina
dell'ordinamento contabile. Un’opportuna classificazione non è di facile attuazione poiché deve garantire
contemporaneamente analiticità e sinteticità nell'esame dei fenomeni gestionali, la prima fondamentale
per il controllo dell'organo politico su quello di governo, la seconda indispensabile per il rispetto del
requisito della chiarezza;
k) l'annualità: il bilancio e gli altri documenti contabili devono essere predisposti tenendo conto che l'unità
temporale di riferimento è l'anno finanziario, che corrisponde all'anno solare e decorre dal
1° gennaio. Tale principio, contenuto nell'art.81 della Costituzione, è recepito dalla legislazione ordinaria
inerente tutte le amministrazioni pubbliche: per motivi tecnici ed amministrativi, l’attività amministrativa
deve essere analizzata per periodi e la scelta del periodo di riferimento è caduta sull'anno solare, essendo
ormai questo l'arco di tempo universalmente accettato da tutti i sistemi contabili in Italia e all'estero;

l) la pubblicità: affinché il bilancio di previsione e il rendiconto assumano a pieno la loro valenza politica di
autorizzazione alla gestione e di controllo, devono essere di dominio pubblico secondo le norme vigenti,
differenti da ente a ente. È, pertanto, necessario che il bilancio sia presentato al Parlamento per
l'approvazione e sia anche pubblicato in forme più sintetiche, atte ad essere intese anche da coloro che
non hanno specifiche conoscenze nel campo della ragioneria. La L.241/1990 ha poi sancito il principio della
trasparenza, che sancisce il diritto di accesso agli atti amministrativi, inclusi quelli contabili, di chiunque ne
abbia interesse, che non deve essere confuso con il principio della pubblicità, infatti se il primo vede un
atteggiamento passivo dell’ente, il quale è tenuto a concedere l'accesso agli atti solo previa richiesta
dell'avente diritto, il secondo vede un atteggiamento attivo da parte della singola amministrazione, volto
alla diffusione delle risultanze della gestione;
m) l'universalità: con questo principio si intende la necessità di considerare nei documenti contabili tutte le
grandezze finanziarie, patrimoniali e, se esaminate, economiche, afferenti alla gestione del singolo ente
pubblico al fine di fornire un quadro fedele ed esauriente del complesso dell'attività amministrativa. Tale
principio è sancito, assieme a quelli dell'integrità e dell'unità, in tutte le norme di contabilità applicabili ai
singoli enti, è limitato da numerose deroghe ed eccezioni previste da varie norme di contabilità pubblica, la
prima limitazione risiede nell'applicazione di questo principio alla sola gestione finanziaria, ossia alle sole
entrate ed uscite generate dalle varie operazioni, la seconda, invece, vieta le gestioni speciali e i debiti fuori
bilancio, ma prevede numerose norme speciali che autorizzano deroghe a questo principio.
Per salvaguardare detto principio sarebbe sufficiente riportare nel bilancio e nel rendiconto i
risultati finali di ciascuna di tali gestioni;
n) l'integrità: questo principio vieta che nel bilancio di previsione e nel rendiconto finanziario vengano
iscritte delle entrate al netto delle relative uscite sostenute per la riscossione e, viceversa, che siano iscritte
delle uscite ridotte delle correlative entrate, infatti si mira a dare una valutazione lorda dell'attività
finanziaria dell'ente pubblico, evitando così che sfuggano alcune fonti di entrata o oggetti di spesa. In
questo modo, inoltre, si può disporre di dati esatti che consentano una valutazione di convenienza sui
servizi pubblici erogati dalla specifica amministrazione;
o) l'unità: il singolo ente pubblico è un’entità giuridica unica ed unitaria, pertanto, deve essere unico
il suo bilancio di previsione e unico il suo rendiconto, non possono essere frazionati in maniera tale da
destinare determinate fonti alla copertura di specifiche spese. Questo non è altro che l’applicazione del
principio generale dell'unità aziendale, secondo il quale le fonti di finanziamento fanno fronte
indistintamente agli impieghi messi in atto dall'organizzazione considerata. Nelle amministrazioni pubbliche
esistono numerose eccezioni a questo principio, tanto da farlo ritenere ormai un principio residuale;
p) la flessibilità: il rigore normativo dei documenti previsionali, necessario per rispondere alla funzione
giuridica e politica, non può e non deve condurre ad una concezione di rigidità nella gestione dell'attività
prevista. Gli accadimenti futuri possono essere incerti sia nel verificarsi che nell'ammontare, perciò è
necessario disciplinare anche la flessibilità dei piani previsionali. Sicuramente la definizione delle modalità
di attuazione di detto principio è particolarmente complessa poiché devono essere volte alla ricerca di un
compromesso tra vincolo autorizzativo e libertà degli organi di gestione. Questo principio è volto a trovare
all'interno dei documenti previsionali la possibilità di affrontare gli effetti derivanti da circostanze
straordinarie o imprevedibili che possono modificare i valori a suo tempo approvati dagli organi deliberanti.
Le norme di contabilità pubblica prevedono varie modalità di intervento riconducibili, in definitiva, a due
categorie: la prima prevede la predisposizione, all'interno del bilancio previsionale, di appositi fondi,
mediante i quali, con una semplice operazione di storno, si possono accrescere gli stanziamenti di capitoli
che, in corso di gestione, dovessero rilevarsi insufficienti rispetto alle effettive esigenze, la seconda prevede
particolari modalità di intervento dopo l'approvazione dei documenti previsionali, solo qualora si
verificassero fatti eccezionali per i quali non è stato previsto alcun fondo;
q) la competenza finanziaria e la competenza economica: la gestione di un ente pubblico si configura come
un sistema di decisioni, azioni ed operazioni caratterizzate da elevata interdipendenza, pertanto, anche se
la gestione aziendale è unitaria, per finalità conoscitive, l'osservazione della dinamica economica e
finanziaria deve considerare singoli archi temporali convenzionalmente individuati nei periodi
amministrativi, ne deriva la necessità di individuare le operazioni e conseguentemente i valori, economici e
finanziari, di competenza di un periodo piuttosto che di un altro.
La competenza finanziaria imputa i valori finanziari in ragione della data dell'atto giuridico, con il quale sono
state accertate le entrate o impegnate le uscite, la competenza economica imputa, invece, gli effetti delle
operazioni nel quale è rinvenibile un’utilità economica, ceduta o acquisita. La determinazione dei risultati
d'esercizio implica un procedimento di identificazione, di misurazione e di correlazione tra entrate e uscite
nei documenti finanziari e tra proventi e costi nei documenti economici;
r) gli equilibri di bilancio: una qualsiasi amministrazione pubblica ha come compito fondamentale
l'adempimento dei fini per i quali è stata istituita. Questo obiettivo deve essere conseguito rispettando le
condizioni di equilibrio finanziario e monetario ed economico e patrimoniale della gestione: è nel rispetto di
queste condizioni che si può garantire un’utilizzazione ottimale delle limitate risorse a disposizione e la
duratura salvaguardia dell'attitudine dell'ente a perseguire le finalità assegnategli. La salvaguardia degli
equilibri di bilancio dovrebbe essere posta come principio generale, rispetto al quale valutare la capacità
dell'ente di perseguire le finalità istituzionali in modo duraturo.
Sull'argomento, l'economia pubblica ha definito tre posizioni di riferimento:
1) una politica del disavanzo: i sostenitori di questa politica ritengono che i benefici arrecati alla società da
un incremento del reddito nazionale siano maggiori degli svantaggi che l'incremento del debito pubblico
può comportare (teoria non valida in situazioni patologiche);
2) una politica liberalista o del pareggio nel breve periodo: i sostenitori di questa politica ritengono che si
debba perseguire il pareggio nel breve termine, che richiede un approccio dello Stato alla vita economica di
tipo liberale, ossia, di finanza neutrale (politica che non può essere accettata perché impedirebbe allo Stato
qualsiasi intervento anticongiunturale);
3) una politica del pareggio a lungo termine: i sostenitori di questa politica ritengono che si debba
perseguire il pareggio nel lungo termine, lasciando allo Stato la possibilità di effettuare operazioni volte a
mantenere la stabilità del sistema economico.

Il bilancio preventivo, generalmente redatto per un orizzonte di 3 anni, è composto dal preventivo
finanziario e dal preventivo economico, mentre il bilancio consuntivo è composto dal conto del bilancio
(conto finanziario), dal conto economico e dallo stato patrimoniale. Gli schemi del conto finanziario e del
conto economico sono analoghi a quelli del preventivo finanziario e del preventivo economico.
Il preventivo finanziario può essere di due tipologie:
- preventivo finanziario in termini di competenza, che considera le entrate da accertare e le uscite da
impegnare nella fase di diritto e può essere puro o misto:
Entrate da accertare: Uscite da impegnare:
- effettive - effettive Saldo = risultato finanziario di
- movimenti di capitale m/c - movimenti di capitale m/c competenza previsto
- partite di giro - partite di giro
Saldo = fondo amministrazione finale
Fondo amministrativo Uscite da impegnare: che si trova sempre nell’avere del
iniziale (FAI) - effettive preventivo
- m/c
Entrate da accertare: - partite di giro
- effettive
- m/c Fondo amministrazione finale
- partite di giro (FAF)

- preventivo finanziario in termini di cassa, che considera le entrate da riscuotere e le uscite da pagare
nella fase di fatto e può essere puro o misto:
Entrate da riscuotere: Uscite da pagare:
Fondo cassa inziale (FCI)
- in c/competenza -Uscite da pagare:
in c/competenza
- in c/residui - in c/competenza
- in c/residui
Entrate da riscuotere: - in c/residui Saldo = fondo cassa finale che si trova
- in c/competenza sempre nell’avere del preventivo
- in c/residui Fondo cassa finale (FCF)
Saldo = risultato finanziario di cassa previsto

- preventivo economico, per cui non esiste uno schema standard e unico: esso contiene gli oneri che si
prevede di sostenere e i proventi che si prevede di realizzare. In merito agli oneri, si distinguono oneri
operativi e oneri non operativi: i primi possono essere distinti in oneri istituzionali, sostenuti per il
raggiungimento della finalità dell’ente pubblico (specifici per ogni ente, es. costi dei docenti) e oneri
strutturali, sostenuti per il mantenimento e il funzionamento della struttura (generali e comuni tra enti
diversi, es. costo per l’affitto), i secondi comprendono oneri finanziari (interessi passivi sui debiti), oneri
patrimoniali (costi per la gestione dei beni da reddito) e oneri straordinari (rilevati solo nel consuntivo,
in quanto imprevedibili). In merito ai proventi, occorre distinguere tra enti pubblici con capacità
impositiva, che beneficiano di propri tributi, finanziati anche con le tasse pagate dai cittadini (es. enti
territoriali) ed enti pubblici senza capacità impositiva, finanziati mediante trasferimenti pubblici.

Per le aziende pubbliche in senso stretto, la contabilità finanziaria rappresenta il sistema contabile
fondamentale per soddisfare la funzione autorizzativa del bilancio preventivo, ma anche per rendicontare,
nel bilancio consuntivo, la gestione del denaro pubblico.
Essa presenta delle peculiarità rispetto alla contabilità generale, ma possiamo osservare delle differenze:

Contabilità generale Contabilità finanziaria


Valori rilevati Valori numerari e valori economici Valori numerari
Metodo contabile Partita doppia Partita semplice
Momento della rilevazione Manifestazione numeraria Previsione
Risultati della gestione Reddito d’ex e PN RFCom e FAF

Tecniche di stima dei risultati Ricorso a ipotesi e stime mediante Nessun ricorso a ipotesi o stime
l’assestamento
Finalità principale Osservazione della gestione e dei Funzione autorizzativa
risultati conseguiti
Documento contabile principale Bilancio consuntivo d’esercizio Bilancio preventivo

Il sistema finanziario, basato sulla competenza, articola le scritture in 3 fasi:


1) previsione: si aprono i conti relativi alle entrate e alle uscite previste, distinte in effettive e per
movimenti di capitale, e il conto variazioni di bilancio (solo co.fi.);
2) gestione: si aprono i conti relativi alle entrate accertate e alle uscite impegnate, distinte in effettive
e per movimenti di capitale, in contropartita alle previsioni (co.fi. e co.ge.);
3) chiusura dei conti: i conti relativi alle previsioni, se rimasti aperti, si chiudono, per il tramite del
mastrino variazioni di bilancio, nel conto risultato finanziario, mentre gli accertamenti e gli impegni
si chiudono nel conto consuntivo finanziario di competenza, nel quale confluisce, come saldo, il
risultato finanziario di competenza (co.fi. e co.ge.).

Con il processo di istituzionalizzazione è stato introdotto il concetto di economicità anche per le pubbliche
amministrazioni. Questo è un criterio che permette di valutare la convenienza ad iniziare/proseguire
un’attività imprenditoriale e consente alle aziende di capire se è conveniente mantenere in vita
l’impresa o meno. Esistono diversi giudizi di economicità: aziendale e super aziendale, che a sua volta si
divide in economicità di gruppo o collettiva (macro-economicità). L’economicità aziendale è il giudizio
formulato generalmente dal manager di un’azienda che opera in un gruppo considerando l’azienda “stand
alone”, cioè senza tener conto dei legami con le altre aziende e/o con il territorio (un’azienda stabilmente
in perdita ha un giudizio di economicità aziendale negativo). L’economicità di gruppo è il giudizio formulato
dal manager della holding considerando l’azienda nel proprio gruppo e tenendo conto dei rapporti con le
altre aziende del gruppo (può accadere che un’azienda stabilmente in perdita abbia un giudizio di
economicità di gruppo positivo, perché l’azienda dà benefici alle altre aziende del gruppo). L’economicità
collettiva o macro-economicità è il giudizio formulato dai manager pubblici considerando l’azienda nel
territorio in cui opera, tenendo conto dell’indotto generato e delle utilità sociali prodotte (può accadere che
un’azienda stabilmente in perdita abbia un giudizio di macro-economicità positivo).
Un’azienda soddisfa l’economicità se raggiunge l’equilibrio economico (utile congruo d’esercizio) e
un’adeguata potenza finanziaria (equilibrio finanziario), cioè un adeguato rapporto tra costi e ricavi e
entrate e uscite. Per le imprese profit, queste due condizioni sono necessarie e sufficienti per esprimere un
giudizio di economicità positivo, per approfondire poi l’analisi e migliorare il livello di economicità è
opportuno effettuare un’analisi dell’efficienza e dell’efficacia. Nelle aziende pubbliche, invece, le due
condizioni sono necessarie, ma non sufficienti per verificare l’economicità, infatti l’equilibrio economico e
l’adeguata potenza finanziaria rappresentano garanzia di sopravvivenza, ma non dicono nulla sul grado di
raggiungimento delle finalità istituzionali (mission dell’azienda pubblica), non consentono quindi di
verificare se l’ente è stato utile alla collettività, pertanto è necessario effettuare l’analisi di efficienza ed
efficacia per verificare che ci sia economicità.

Sappiamo, dunque, che


l’economicità si realizza quando
l’azienda riesce ad ottenere
simultaneamente l’equilibrio
economico e un’adeguata potenza
finanziaria.

Un’impresa profit, con riferimento alla gestione operativa, presenta il seguente CE:

Con riferimento al CE di un’azienda pubblica, si nota la seguente composizione:


Anche in assenza di correlazione, è necessario garantire un equilibrio tra oneri e proventi:
- oneri > proventi  l’ente pubblico matura un disavanzo economico che nell’impresa pubblica
chiamiamo perdita d’esercizio;
- oneri < proventi  l’ente pubblico realizza un avanzo economico che nell’impresa pubblica chiamiamo
utile d’esercizio;
- oneri = proventi  l’ente pubblico realizza un pareggio economico.

In presenza di un disavanzo economico strutturale (ripetuto nel tempo), l’azienda è costretta ad intaccare il
proprio patrimonio o a richiedere finanziamenti aggiuntivi perché i proventi non sono sufficienti a coprire
gli oneri. La situazione di disavanzo non deriva sempre da inefficienze o incapacità manageriali, ma
a volte dipende dalla natura dell’attività dell’ente. A prescindere dalla natura, la situazione di disavanzo
deve essere tenuta sotto controllo per evitare sperequazioni tra generazioni (es. consideriamo le aziende
pubbliche nel settore dei trasporti su rotaie: Trenitalia ha i suoi costi e i suoi proventi da biglietti, se ben
riuscita, la vendita dei biglietti potrebbe coprire tutti i costi, Rete Ferroviaria Italiana gestisce, invece, le
rotaie e le concede a Trenitalia, ma chiude sempre in perdita perché non competitiva, dunque la sua
situazione di disavanzo è naturale, essendo che dipende da un’attività che non ha mercato, ma che lo Stato
deve garantire necessariamente). In presenza di un avanzo economico strutturale, l’ente pubblico non è
pienamente efficace perché ha risorse economiche che non sfrutta, in tale ipotesi, sarebbe opportuno
ridurre il carico impositivo (tributi e tasse) e aumentare il numero di erogazioni (nella pratica, le situazioni
di avanzo strutturale sono impiegate per compensare le situazioni di disavanzo strutturale).
Il pareggio economico è la condizione di equilibrio economico di un’azienda pubblica, in cui gli oneri sono
uguali ai proventi (primo indicatore di efficacia). Tale condizione va intesa con riferimento all’intera
amministrazione pubblica, è necessaria ma non sufficiente e deve essere riferita al medio/lungo termine.

Avere un’adeguata potenza finanziaria significa avere la capacità di coprire pienamente, continuamente e
convenientemente il fabbisogno finanziario generato dalla gestione a causa dello sfasamento temporale tra
entrate e uscite: FF31/12/n = ∑ Uliquidate - ∑ Eriscosse.
L’efficienza spiega il livello di economicità, permette di individuare le cause dell’economicità o della non
economicità e consente di analizzare i fenomeni che incidono sulla stessa, al fine di migliorarli.
Nelle imprese profit è opportuno e doveroso integrare l’analisi dell’economicità con quella dell’efficienza, al
fine di migliorarla, mentre nelle aziende pubbliche questa integrazione diventa un obbligo imprescindibile
per verificare l’esistenza dell’economicità stessa. Gli indicatori dell’efficienza sono i rendimenti fisico-tecnici,
che possono essere riferiti a singoli fattori produttivi (es. fattore lavoro) o a processi produttivi (Rd =
QOUTPUT/QINPUT) e i costi (remunerazione dei fattori in posizione contrattuale)
 un’azienda efficiente ha alti rendimenti e costi contenuti . A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, con il
processo di aziendalizzazione, è nata l’esigenza di introdurre nelle aziende pubbliche modalità di gestione
orientate all’efficienza, troppo spesso, infatti, la natura pubblica dell’azienda, il carattere sociale dell’attività
svolta e della finalità perseguita venivano utilizzati come scudo per giustificare gravi situazioni di spreco di
risorse, di cattiva gestione e di inefficienze, infatti tali situazioni hanno portato al cosiddetto “fallimento
della gestione pubblica”. A partire dagli anni ’90, quindi, le norme in tema di pubblica amministrazione
hanno introdotto i concetti di economicità, efficienza ed efficacia, pertanto, anche nelle aziende pubbliche,
è necessario controllare costantemente e tempestivamente rendimenti e costi.
Gli indicatori di efficienza sono specifici per le diverse tipologie di aziende pubbliche e dipendono dalla loro
attività, tuttavia, un indicatore di carattere generale, comune alle varie aziende, è il seguente:
oneri istituzionali/oneri totali, in base al quale quanto più elevato è l’indicatore, e quindi il peso degli oneri
istituzionali, tanto migliore è l’efficienza.

L’efficacia è la capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati, vale a dire, per un’azienda pubblica, soddisfare
le esigenze e i bisogni della collettività. Questa viene misurata dal grado di apprezzamento della collettività
e può essere valutata in funzione del seguente rapporto: risultato raggiunto/obiettivo prefissato.
Il giudizio sull’efficacia tende ad essere innanzitutto soggettivo, essendo che dipende dal giudizio personale
ed individuale dell’utente, influenzato dalle proprie condizioni sociali, culturali, economiche e politiche,
dopodiché subordinato all’impostazione politica accolta, che può essere orientata alla quantità, andando a
garantire un servizio pubblico al più ampio numero di cittadini, scegliendo un livello qualitativo inferiore,
oppure alla qualità, andando a garantire un servizio pubblico ad alcuni cittadini, scegliendo un livello
qualitativo superiore (non c’è una scelta corretta, le risorse sono limitate ed è necessario fare una scelta in
base alle convinzioni politiche seguite). È a partire dagli anni ’90 che si è iniziata a studiare ed analizzare
l’efficacia delle aziende pubbliche, prima, infatti, l’efficacia era solo meramente formale ed era interpretata
come rispetto delle procedure applicate. Dopo gli anni ’90, questa interpretazione è stata rimossa e sono
stati introdotti meccanismi volti a valutare l’efficacia sostanziale dell’ente pubblico, vale a dire il grado di
apprezzamento dei cittadini. Oggi, un’azienda pubblica è efficace se i cittadini sono soddisfatti del suo
operato, in quest’ottica, molti enti pubblici si sono dotati della cosiddetta “carta dei servizi” per illustrare ai
propri utenti i loro diritti (es. carta dello studente), inoltre, sono sempre stati più diffusi i sondaggi e le
interviste per valutare il grado di apprezzamento degli utenti.
Il controllo nelle aziende pubbliche è disciplinato da norme specifiche ed è effettuato da
soggetti diversi, pertanto, non c’è un soggetto unico incaricato del controllo di tutte le amministrazioni
pubbliche e non c’è una disciplina unitaria. Attualmente, esiste un sistema frammentato con norme e
procedure specifiche per le diverse aziende pubbliche: Stato, Regioni e comuni, enti pubblici istituzionali,
università, aziende ospedaliere. Ne deriva che non è possibile studiare le procedure del controllo nelle
aziende pubbliche, ma solo i principi fondamentali che sono comuni a tutte. In base al tempo, distinguiamo
i controlli antecedenti o preventivi, i controlli concomitanti e i controlli successivi, in base alla posizione
organizzativa del soggetto che effettua il controllo, distinguiamo i controlli interni, da parte dei soggetti
interni alla struttura organizzativa dell’ente e i controlli esterni, da parte di un comitato di monitoraggio o
da revisori esterni, in base all’oggetto distinguiamo i controlli operativi, che riguardano una specifica attività
e i controlli organizzativi, che riguardano una persona o un gruppo di persone, infine, in base alla finalità,
distinguiamo i controlli di legittimità, che valutano la correttezza amministrativa, contabile e procedurale e i
controlli di merito, che valutano l’adeguatezza delle decisioni assunte per il raggiungimento
degli obiettivi prefissati.

In relazione a quest’ultima classificazione, è possibile distinguere 2 concezioni di controllo:


- concezione classica: prevede un controllo burocratico amministrativo-contabile (controllo formale),
che viene effettuato ex post su un’attività compiuta ed è finalizzato a verificare la legittimità, vale a dire
la correttezza procedurale dell’attività compiuta;
- concezione moderna: prevede un controllo manageriale a supporto del governo aziendale.

A partire dagli anni ’90 si sono diffusi i controlli manageriali, che affiancano il tradizionale controllo
burocratico e comprendono il controllo di gestione, volto a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità
dell’ente pubblico, al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati, il controllo/valutazione della
dirigenza, volto a verificare le prestazioni dei dirigenti e l’adeguatezza delle loro decisioni e il controllo
strategico, finalizzato a verificare la congruenza tra i risultati raggiunti e gli obiettivi prefissati.
I controlli organizzativi del personale assumono particolare rilevanza perché la spesa del personale è quella
più rilevante per le aziende pubbliche (costo più importante, circa il 70% dei costi totali).
Il dipartimento della funzione pubblica, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in linea con il
D.lgs. 150/2009, cioè il Decreto Brunetta sulla produttività del pubblico impiego, ha emanato nel 2017 le
linee guida per il Sistema di Misurazione e Valutazione delle Performance (SMVP), un insieme di tecniche
e procedure che assicurano il corretto svolgimento del “ciclo delle performance”. Questo ciclo è strutturato
in 2 fasi: misurazione, fase in cui il risultato raggiunto viene quantificato e valutazione, fase in cui il grado di
raggiungimento dell’obiettivo viene verificato. Il SMVP può avere ad oggetto la performance individuale o la
performance organizzativa: il ciclo delle performance si conclude con la redazione della “Relazione sulla
performance”, che contiene gli esiti del processo di misurazione e valutazione.

Negli ultimi 40 anni, circa ogni 10 anni, il legislatore ha sentito l’esigenza di modificare l’impostazione del
bilancio. Il bilancio è un piano di gestione che spiega come vengono gestite le risorse pubbliche e necessita
di un equilibrio costituzionale tra Parlamento e Governo, infatti il bilancio viene approvato con legge dal
Parlamento (organo deliberativo) che concede al Governo (organo esecutivo) l’autorizzazione a gestire le
risorse stanziate, dunque il vincolo alla gestione è dato da ciò che il Parlamento ha deliberato. Il bilancio
può essere basato su una compensazione naturale oppure indotta, nel bilancio statale, ad esempio, è di
quest’ultimo tipo a causa del deficit tra entrate e uscite, che viene coperto emettendo titoli del debito
pubblico. Il regolamento di contabilità generale dello Stato afferma che le scritture contabili devono essere
tenute in modo tale da rilevare gli effetti degli atti amministrativi, in relazione alle entrate, alle spese e alla
sostanza patrimoniale. Il bilancio dello Stato in Italia è sempre stato finanziario e rileva, pertanto, i fatti di
gestione che si concretizzano in entrate e uscite di denaro, anche se negli ultimi anni si è dato largo spazio a
sperimentazioni di stampo economico, affiancando alle scritture contabili il budget.
I criteri contabili che possono essere utilizzati sono:
- la cassa (fase di fatto): rilevazione dell’effettiva movimentazione di denaro (pagamenti o incassi);
- la competenza giuridica (fase di diritto): momento in cui si prevedono gli impegni di spesa e gli
accertamenti di entrata e sorge l’obbligo giuridico dello Stato nei confronti del terzo creditore (quando
viene stipulato il contratto il soggetto agisce iure privatorum, dunque l’obbligo giuridico sorge
successivamente, cioè quando viene stipulato il decreto approvativo del contratto);
- la competenza economica: rileva l’effettivo utilizzo della risorsa in un dato periodo, l’importo registrato è
pari al valore economico creato e registra gli effetti degli eventi economici quando avvengono,
indipendentemente dall’avvenuto o mancato pagamento.
Negli ultimi anni è stato adottato il criterio della competenza potenziata, nato per la finanza degli enti
territoriali, oggi esteso anche alle amministrazioni centrali dello Stato, ideato per approssimare il più
possibile il bilancio dello Stato al criterio della cassa, senza passare direttamente ad un bilancio di cassa
vero e proprio. Alla base della contabilità di Stato c’è il concetto di spesa, che esprime l’aspetto finanziario
legato alla gestione e rappresenta l’esborso monetario correlato all’acquisizione di risorse, mentre alla base
della contabilità economica c’è il concetto di costo, che esprime l’aspetto economico della gestione e
rappresenta il sacrificio economico correlato all’effettivo utilizzo delle risorse. Il bilancio si distingue in
bilancio preventivo, che esprime le previsioni sull’andamento futuro della gestione e bilancio consuntivo,
che verifica se si sono realizzati i programmi fissati. Il bilancio di previsione è il principale documento
contabile per l’allocazione, la gestione e il monitoraggio delle risorse finanziarie dello Stato, viene redatto
tenendo conto della normativa vigente, nonché dell’evoluzione del quadro economico delineato nel
Documento di Economia e Finanza (DEF), deve essere approvato entro il 31/12 affinché il Governo abbia
l’autorizzazione ad utilizzare le risorse stanziate, è predisposto su base annuale e pluriennale, considera gli
importi per competenza e cassa, esponendo anche i residui, cioè le entrate accertate e non riscosse e le
uscite impegnate e non pagate e può essere modificato con legge di assestamento. Oggi è un bilancio
sostanziale, tant’è che la 1° sezione del bilancio, ex Legge di stabilità, dispone annualmente gli adeguamenti
alla legislazione vigente necessari ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi programmati.
Si articola in uno stato di previsione delle entrate e in tanti stati di previsione della spesa quanti sono i
ministeri con portafoglio. Lo stato di previsione delle entrate viene ripartito in titoli, categorie e capitoli,
mentre gli stati di previsione della spesa sono organizzati per missioni, che sono obiettivi strategici con
finalità di lungo periodo, attuati a prescindere dal Governo in carica (es. giustizia, difesa, istruzione) e
programmi, che sono obiettivi operativi che danno attuazione alla missione, sono specifici per ogni
amministrazione e ognuno di essi è affidato ad un solo responsabile. I programmi vengono suddivisi in
azioni e macro aggregati, questi poi in capitoli di spesa, che riportano l’oggetto della spesa, i quali, a loro
volta, si articolano in piani gestionali e vengono poi classificati per categoria in base alla classificazione
economica e funzionale. Ogni stato di previsione riporta la nota integrativa, che indica contenuti ed
obiettivi delle voci di bilancio e fornisce i criteri con cui sono state formulate le previsioni. Per ogni stato di
previsione delle uscite sono previsti una scheda illustrativa per ciascun programma e un budget, basato sul
principio della competenza economica, che misura i costi sostenuti dalle amministrazioni, intesi come
valore monetario delle risorse umane e strumentali effettivamente utilizzate in un certo periodo.
La spesa pubblica si divide in spesa corrente, destinata alla produzione e al funzionamento della macchina
amministrativa e spesa in conto capitale, che ha il connotato dell’investimento, infatti comprende partite
attinenti agli investimenti diretti e indiretti, azioni, conferimenti e concessioni di crediti.
Quando parliamo di Pubblica Amministrazione non parliamo soltanto dello Stato, ma anche di enti di
previdenza, di società pubbliche, di università e di tanto altro. Il bilancio dello Stato tiene conto di 15
amministrazioni centrali di spesa (es. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia,
Ministero della Difesa etc…), adotta come criterio contabile la competenza giuridica, ha come indicatore il
saldo netto da finanziare, fissato dal primo articolo della legge di bilancio di ogni anno, dato dalla differenza
tra i primi titoli delle entrate e i primi titoli della spesa. Il settore statale adotta, invece, il criterio della cassa
e ha come indicatore il fabbisogno, dato dalla mera differenza tra entrate e uscite, mentre il conto
economico consolidato della PA comprende l’intero aggregato, ragiona in termini di competenza
economica e ha come indicatore l’indebitamento netto, che per rispettare i parametri di Maastricht deve
essere inferiore al 3% (altro vincolo di Maastricht da rispettare è quello del rapporto debito/PIL inferiore al
60%). Nel 1999 con il Patto di stabilità e crescita, le regole di Maastricht vennero integrate nel bilancio
preventivo, definendo un processo di sorveglianza multilaterale e nel bilancio consuntivo, introducendo
sanzioni per disavanzi eccessivi. Ogni anno l’ISTAT pubblica un elenco di tutte le amministrazioni pubbliche,
che devono soggiacere a regole interne stringenti in termini di gestione. Con il Fiscal Compact del 2012, l’UE
decise di intervenire fissando dei limiti stringenti per gli Stati membri, chiedendo che venga assicurato il
pareggio dei conti pubblici in base ad un obiettivo di medio termine, che ci siano delle correzioni
automatiche in caso di deviazioni dall’obiettivo, che siano previste delle deroghe in casi eccezionali e che sia
prevista una fase di avvicinamento nel caso in cui il rapporto debito/PIL risulti maggiore del 60%,
scendendo di 1/20 l’anno. Stante la crisi finanziaria in quegli anni, l’Italia decise di mettere questo vincolo in
Costituzione, varando la legge costituzionale L.1/2012, introducendo il vincolo dell'equilibrio strutturale
delle entrate e delle spese in bilancio. Di fatto, il vincolo a livello di amministrazioni centrali venne reso più
stringente, mentre a livello di comuni si parlò di equilibrio a livello di regione, secondo cui tutti gli enti
pubblici territoriali e non devono partecipare al raggiungimento dell’equilibrio. Essendo che gli enti
territoriali in Italia con dimensioni più piccole hanno comunque gli stessi compiti e gli stessi servizi da offrire
degli enti territoriali con dimensioni più grandi, oggi sono sempre più frequenti i consorzi tra comuni, che
permettono agli stessi di avere maggiori vantaggi nei servizi (es. unico scuolabus per più comuni limitrofi).
La L.196/2009 riformò il bilancio e la contabilità, si passò al principio della competenza finanziaria
potenziata e si chiarì che il bilancio di previsione dovesse classificare le spese anche per missioni e
programmi, che l’unità di voto parlamentare dovesse essere il programma e che la realizzazione di
quest’ultimo dovesse essere assegnata ad un unico centro di responsabilità (CdR), inoltre, venne introdotta
una novità sull’analisi di revisione della spesa. Questa legge introdusse vari principi contabili generali e
stabilì che tutti gli enti elencati dall’ISTAT, rientranti nell’aggregato della PA, dovessero costituire un
bilancio consolidato, puntando ad avere tutti uno stesso principio contabile, dunque cercando di
armonizzare il più possibile gli schemi contabili, rendendo così più confrontabili i dati di bilancio delle varie
amministrazioni. Per concludere, il rendiconto generale dello Stato permette di capire come sono state
gestite le risorse pubbliche, ponendo in evidenza le variazioni e le trasformazioni che il patrimonio ha
subito nel corso dell’esercizio: questo deve essere contemporaneamente finanziario e patrimoniale e deve
comprendere un conto del bilancio, in cui si dimostrano i risultati della gestione finanziaria in relazione alle
previsioni e un conto generale del patrimonio, in cui si dimostrano le variazioni avvenute nel patrimonio
statale e la situazione patrimoniale finale.

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