Storia Delle Dottrine Politiche - Mio

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Storia delle dottrine politiche

Il pensiero politico non è mai un pensiero astratto, non è mai un pensiero speculativo. È
sempre concreto perché riguarda la vita degli essere umani in collettività. Il pensiero

"
politico nasce, quindi, quando più individui iniziano a vivere insieme ed iniziano a pensare
a come si potrebbe vivere e gestire la vita.
Per la civiltà greca la politica non si realizza solamente nel costume, negli ideali, nelle
istituzioni, ma deve completarsi nel pensiero, nella comprensione razionale della polis.
In questa prospettiva, politica significa la capacità dell’uomo di razionalizzare i
rapporti che istituisce con i suoi simili, gli scopi che si propone di conseguire ed i
comportamenti ideali per conseguirsi. Il pensiero politico è, quindi, una costruzione
culturale.

Proprio perché il pensiero politico è pratico, concreto, si può mettere in discussione a


seconda delle esigenze della vita, poiché ci deve essere sempre una legittimazione da
parte dei più. Per questo, Machiavelli afferma che tutti gli stati o sono Repubbliche o sono
Principati (Monarchie).

Cosa è una legittimazione?


Legittimazione del potere politico = alla base del pensiero politico c'è una forma di
qualche consenso da parte dei più.
Legittimazione dell’obbligo politico = cosa è l’obbligo politico? Insieme dei motivi e
delle ragioni per cui io devo obbedire. Si può disobbedire e proporre qualcosa di
alternativo e diverso, ma il fatto che il pensiero politico riguardi la pratica della vita in
comunione, fa sì che ci sia un legame con la storia.

Platone formula una sua proposta politica, la quale la si può comprendere solo se si fa
riferimento al contesto e alla storia a cui Platone si riferisce (pensiero politico collegato
sempre alla storia).

Libertá = per Platone cosa vuol dire? Per Machiavelli? Per Marx?
Le parole acquistano, secondo i diversi contesti storici, significati diversi, a volte anche
antitetici.

Populismo deriva da popolo.

Giusnaturalismo: diritto di natura. Cosa è? L’espressione si usa già nell’età classica, ma


quale è il suo valore? Il diritto di natura è qualcosa che viene prima e che spesso si
oppone al diritto positivo (quest’ultimo prevede una qualche forma di punizione/sanzione).
Il diritto di natura deriva da principi etici o religiosi e non ha mai punizione. Deriva anche
da principi che hanno a che fare con l’essere umano.
Ci sono 3 tipi di giusnaturalismo:
- natura possiede una idea di ragione che abita in ogni essere umano in quanto
essere umano. In ogni essere umano abita un seme di ragione → il diritto di natura
sostiene l'uguaglianza dell’essere umano poiché tutti sono dotati di questa
ragione (stoicismo, Cicerone, Impero Romano, Cristianesimo).
Forma di universalismo o di cosmopolitismo.
- un diritto rivelato dalle divinità detta un diritto di natura (Antigone, tragedia di
Sofocle)
- il diritto di natura è connaturato negli esseri umani e determina la forza degli essere
umani. Il diritto di natura è il diritto dei più forti. (Gorgia, Calicle)

Rapporto tra Dio e ragione: si può dire che Dio abbia stabilito la legge di eguaglianza tra
gli essere umani. Ma come?
1. La ragione dell’uomo è il riflesso della ragione di Dio. Si afferma che Dio abbia
avallato l’idea che un uomo possieda una ragione e che quindi siano tutti uguali.
Non è un processo immediato, questo significa concedere all’uomo la possibilità di
rielaborare questa idea (Tommaso D'Aquino, principale filosofo della chiesa
cattolica).
2. (Agostino) siamo nel V secolo d.c. Egli sostiene che la ragione di Dio si riveli
all’uomo in modo immediato. Pertanto l’uomo può sperimentare la presenza di Dio
attraverso la grazia. Idea vicino al misticismo. L’uomo viene salvato da Dio senza
che ne sia consapevole.

Per D’Aquino per arrivare alla salvezza contano le opere, ossia quello che si fa; per
Agostino è assolutamente indifferente, perché potrebbe essere un atto di
autogratificazione con la speranza di sentirsi migliori (perciò per Agostino le opere non
garantiscono la salvezza eterna).

→ Tutto cambia quando si arriva alla modernità (cambio storico radicale).


Acquista importanza l’individuo, perciò il diritto di natura asseconda questo sviluppo.
(Ugo Grozio afferma che il diritto di natura è qualcosa che abita in ogni singolo individuo, a
prescindere da Dio).

Prima di uno Grozio però accade qualcosa di importante → la riforma religiosa.


Nascono le chiese riformate che si staccano dalla chiesa di Roma. La chiesa viene
contestata a causa del suo essere universale, ossia cattolica. La chiesa di Roma rimane
attaccata a Tommaso D'aquino, il quale afferma che la ragione di Dio si riflette della
ragione dell’uomo, perciò contano le opere e non solo la grazia.
Ma come fanno gli uomini a sapere ciò che Dio vuole? Gli uomini hanno bisogno di
qualcuno che interpreti per loro le parole di Dio. C’è quindi bisogno di un mediatore che
traduca le parole di Dio. È per questo che D’Aquino piace alla chiesa di Roma, perché
conferma e giustifica il potere della chiesa.

In Agostino, che viene poi ripreso dalla riforma con Lutero, questo ruolo di mediatore non
c'è. Lutero nasce come Monaco agostiniano, visione pessimistica. Non ci sono mediazioni,
infatti il principio base di Lutero è il sacerdozio universale dei credenti, ossia che ogni
individuo è un sacerdote. Lutero non parla alla chiesa, ma ad ogni individuo, perché Dio
si può rivelare direttamente a loro.

Il giusnaturalismo moderno è un giusnaturalismo che si fonda sull’individualismo.


Ci sono diverse espressioni importanti:
- Diritti naturali, o diritti innati: diritti che appartengono agli individui in quanto tali
(sono le polis che vengono costruite intorno agli individui e non viceversa come
succedeva nel passato)
- Stato naturale: condizione pre-politica, non ci sono ancora le leggi positive, quindi
leggi dotate di coazione. Viene prima della nascita della società civile.
- Contratto o patto: passaggio tra Stato naturale e società civile. Si esce da una
condizione e si entra in un’altra. Con il patto si legittima una certa condizione di vita
- Società civile: società regolamentata da leggi positive. Coincide con lo Stato.

Vari modi in cui si definisce il diritto di natura.


Thomas Hobbes e John Locke. Per un certo periodo sono amici, ma ad un certo punto
l’amicizia si rompe.
- Hobbes è più pessimista per quanto riguarda gli uomini nello Stato di natura. Per
lui, gli individui conducono una guerra di tutti contro tutti → perciò la legge di natura
si limita solo a raccomandare di fare agli altri quello che vorresti che ti facessero a
te. (La natura dell’uomo nello Stato di natura è lupesca, ovvero regna la paura).
- Per Locke invece il diritto di natura sancisce il rispetto di tre principi: diritto alla vita,
diritto alla libertà e diritto alla proprietà. Per Locke esistono già questi diritti nello
Stato di natura e, per questo, gli uomini non vivono in uno Stato di guerra, ma in
uno Stato di pace potenziale.

La forza è quello su cui si basa il diritto di natura (Callicle le si oppone socrate affermando
che la sua filosofia è inutile e l’unica cosa importante è la forza, la quale è frutto del diritto
naturale). Jean Bodin elabora “I sei libri dello Stato” ed è considerato un avversario del
giusnaturalismo moderno. Lui sostiene che lo Stato si debba basare su una teoria
(assolutismo), in particolare di un assolutismo monarchico. Occorrono centri di poteri
forti, ovvero il monarca (la Francia è invasa dalla guerra civile).

Tutto cambia con il giusnaturalismo moderno → si basa sull' individuo.

Grecia antica
L'Atene del XV secolo viene definita da Pericle, con parole che gli sono state messe in

D
bocca da Tucidide, come la scuola della Grecia, ossia il modello ideale di politica, di
quello che si può intendere come polis.
Ad Atene si afferma una organizzazione istituzionale dove vivono i primissimi pensatori
politici. Pertanto è una scuola, perché è un modello e un punto del quale si pensa e ci si
interroga sulla politica (Scuola dell'Ellade):

Atene diviene famosa perché è la patria dove nasce la democrazia (dal XV secolo in poi).
Ciò che porta alla formazione della democrazia non è un processo che nasce dal basso,
cioè non nasce dal popolo → Questa forma di governo deriva dai conflitti/lotte che ci sono
tra le famiglie nobiliari ateniesi. J

Qual è il riformatore che dà vita a questa forma? Clistene (565 a.C. - 492 a.C.)

Clistene
La riforma di Clistene consisteva nella divisione delle famiglie nobiliari che possedevano

-
un potere forte, dando potere alla appartenenza territoriale. Clistene abolì le 4 classi
sociali introdotte da Solone: tutti i cittadini furono considerati uguali, a prescindere dalla
nascita e dalla ricchezza, e tutti potevano partecipare attivamente alla vita politica del
paese ed essere eletti alle maggiori cariche dello Stato.
Atene stava cambiando perché stava diventando una grande potenza marittima e
commerciale, la più grande dell’epoca → si metteva in discussione la struttura del potere
fondata sul possesso delle terre delle famiglie aristocratiche. Cambiava pertanto la
struttura del potere dove gli aristocratici diventano i vecchi ricchi, mentre i commercianti
diventano i nuovi ricchi.
In più, la flotta ateniese diventa la flotta più potente dell’epoca. Questa potenza la si può
notare nelle guerre persiane, dove la flotta ateniese dimostra la propria abilità nei mari.

Il demos (popolo) inizia ad acquistare importanza perché diventano determinanti per la vita
economica e militare (vanno a combattere ed iniziano ad avere scambi commerciali).
La carica più importante della politica ateniese sono gli strateghi, che vennero eletti
dall’assemblea popolare nel 407 a.C.

Nel 458-457 a.C., Pericle concede al ceto medio (zeugiti) di accedere all’arcontato, una
magistratura fondamentale composta da arconti e giudici (una volta accessibile solo agli
aristocratici).
C'è Stato anche un altro cambiamento molto importante → è Stato introdotto un
compenso/una diaria a tutti coloro che non potevano permettersi di lasciare il lavoro per
andare ad occupare cariche. Pertanto, anche individui di estrazione popolare, grazie al
compenso dato, iniziano a prendere parte e a studiare per occupare determinate cariche
politiche. Nascono così:
- il ceto di funzionari
- i politici di professione, persone che non sono particolarmente benestanti, ma
che diventano brave nel gestire la polis.
Il potere si apre anche al ceto medio.
- -

Si pone però un problema → nell’Atene moderna sono presenti i nostalgici della Atene

i antica. Si instaura così un conflitto, interno alla vita democratica di Atene, tra qualità e
quantità degli individui:
- chi è nostalgico predilige la qualità,
- mentre tutto ciò che avviene nell'assemblea democratica moderna si svolge in base
al criterio di maggioranza (quantità).
Questo conflitto rimarrà un conflitto costante all’interno della democrazia.
A testimonianza di questo conflitto compaiono nuove figure:
- i demagoghi, coloro che vanno alle assemblee e che hanno il compito di
comunicare, di parlare di politica e di persuadere attraverso la retorica
- i sofisti, i maestri dei demagoghi, coloro che hanno il compito di istruire i
demagoghi insegnandogli l’arte della retorica.

Tutte queste figure (ceto politico, demagoghi e sofisti) creano dei problemi, perché il bene
del popolo viene accantonato, rischia di passare in secondo piano. Il punto critico è che il
bene comune viene accantonato, dando vita ad una concezione relativistica del bene
comune → quelli che vincono sono i personaggi ricchi poiché hanno tutti gli strumenti per
comandare.
Quindi, cosa succede? Nessuno è interessato al bene comune, alla giustizia e questo
disinteresse crea un malcontento interno → ad un certo punto si generano ‘due polis’:
una di ricchi e una dei poveri, i quali non si parlano e non trovano un punto di incontro.
Si è arrivati quindi ad una situazione opposta a quella che era anticamente.
Allora, questa nostalgia per il mondo aristocratico e il forte bisogno di giustizia sociale,
fanno sì che sempre più persone comincino a desiderare che la qualità prevalga sulla
quantità → entra in gioco una nuova figura di aristocratico:
- aristocratico dell’Atene vecchia: proprietario terriero
- aristocratico dell’Atene nuova: competente in politica e capace di guardare al bene
di tutti

Nasce quindi il termine eunomia (buon governo) → governo dove alla base c’è il bene
comune, dove prevalgono i migliori dal punto di vista etico.
Per creare l’eunomia ci sono dei principi da seguire:
- isonomia: uguaglianza di fronte alla legge
- isegoria: eguaglianza nel diritto di parola

Queste idee vengono portate avanti sia grazie a Socrate sia attraverso i teatri. I teatri
dell’epoca erano il luogo in cui si parlava di politica (tragedie) ed il demos che assiste
riusciva a prendere parte delle tragedie, perché i commeDiografi portavano in scena le
tragedie e i conflitti in atto ad Atene (si immedesimavano).
Tre sono gli autori importanti:
- Eschilo, con la sua “Antigone”
- Sofocle, con i suoi “Persiani”
- Euripide
Il problema è però che per molti il bene comune non è concepibile → cosa è, come si
scopre e come si crea il bene comune/giustizia?

A rispondere a questa domanda si pensa Socrate (470-399 a.C.)

Socrate (470 - 399 a.C.)


Due date fondamentali in Socrate vive:
- 469 a.C. → apogeo potenza Ateniese, cioè la vittoria definitiva dei greci sui persiani
- 404 a.C. → tramonto della potenza di Atene

Nella guerra del Peloponneso, contro i persiani combattono insieme spartani e ateniesi;
successivamente si dividono creando la guerra del Peloponneso, che termina con la
vittoria di Sparta. Perciò nel 404 a.C., ad Atene, si instaura il governo dei 30 tiranni.
Dopo un anno però si ha una restaurazione democratica → saranno proprio i
democratici ad avere la condanno di Socrate.
Perchè?

Di Socrate qualcuno ha messo in dubbio persino l’esistenza, perchè lui non scrisse nulla
→ di lui ci raccontano terzi, principalmente Platone, suo studente.
Socrate non scrive per scelta (vuole evitare che il suo messaggio si cristallizzi in forme
definite), ma su di lui invece i scrive tanto.

↪ Socrate è un maestro che insegna con la parola, ma soprattutto con l’esempio →


l’idea di umanità di socrate è dinamica ed è necessaria che sia interpretata da ognuno in
modo diverso, a seconda di quello che lui diventa nel corso del tempo. Socrate non
impone, propone una via.
Non c’è nessuna verità in senso assoluto (no dogma), la verità è una cosa che si
basa sull’esperienza.

Quando tornano i democratici dopo il governo dei 30 tiranni, i democratici vedono in


socrate un pericolo perché lui non è dogmatico. Inoltre, lo accusano di corrompere i
giovani e di non imporgli nessun ideali (ai restauratori della democrazia non piaceva).
Questa libertà di scelta lasciata da Socrate, dopo la guerra del Peloponneso, instaura un
governo filo-spartano, guidato da Crizia, allievo di Socrate, definito traditore dai
democratici (ateniese che guida governo filo-spartano).
Altro personaggio che passa dalla parte di Sparta è Alcibiade, discepolo di Socrate.

I democratici definiscono questi due personaggi traditori, perché passati da parte di


Sparta, per colpa di Socrate che non ha usato atteggiamento dogmatico.

Ma chi è Socrate quindi? Uno che indica una via, non impone; stimola la ricerca, sempre
rispettosa della libertà. È un uomo in cerca della verità, una verità che sa che esiste ma
che non ha ancora raggiunto. Ovviamente per i politici questo ultimo punto non è
rassicurante.

In certe situazioni, Socrate è Stato un disobbediente della legge e degli ordini, soprattutto
in due occasioni
- 406 a.C. → come membro del consiglio dei 500, quando i generali della battaglia di
arginuse vengono accusati di non aver soccorso i feriti ateniesi caduti in mare per
seguire le navi spartane, Socrate si rifiuta di processare questi generali
- 404 a.c. → quando i 30 tiranni impongono a Socrate di arrestare Leónzio de
Salamina, lui si oppone. Viene perciò emanata la condanna a morte, ma il governo
cade prima che Socrate venga arrestato.

Perché disobbedisce? Perché pensava che queste due azioni fossero atti persecutori e
Cosa è che lo spinge a disobbedire? Per lui esiste qualcosa nell’uomo che va oltre la
materialistica, oltre il materialismo. Allora se io voglio cercare la giustizia, ossia il bene
comune, io non posso limitarmi a vivere secondo beni materiali. → Secondo Socrate la
ricerca del benessere materiale ha portato alla rovina.
Questo qualcosa in più che va oltre la materia e che aiuta ad andare in cerca della verità si
chiama anima (daimon).

Daimon: voce che abita in lui e che gli consiglia, in certe circostanze, di non obbedire.

Anima + daimon: creazione di un nucleo chiamato coscienza. La coscienza distingue un


individuo con idee proprie da un altro individuo che invece segue e obbedisce come se
fosse una macchina.

Per Socrate l’individuo non è solo materia, ma è anche composto da coscienza e


anima.

Maieutica: estrarre da sé il meglio, cioè l’anima. Lasciare che questa verità emerga da
sola nell’individuo (no violenza o imposizione). Ognuno è libero di percorrere la proprio
strada.
Metodo in totale contrapposizione con demagoghi e sofisti (impongono la verità).
Il male che affligge la democrazia di Atene, per Socrate, ha origine nell’antropologia.
Atene è diventata un paese corrotto e corruttibile → è perciò un problema etico perché se
la disonestà è a capo della democrazia, quel governo sarà destinato alla sconfitta.
→ Questo desiderio di individualismo dei demagoghi e dei sofisti è, per Socrate, ciò che
disgrega la polis.

Perché disgrega la polis? Perché nessuno crede più nella polis, ognuno è interessato solo
a se stesso. A tenere unita la polis è il senso di giustizia, quindi la ricerca del vero e
del bene comune → elementi che garantiscono l'eguaglianza.

Chi si scontra con Socrate sono i sofsiti, i quali si definiscono reliasti (Gorgia di Platone) e
creano un confronto tra
- realismo politico (Callicle): il mondo è così, gli esseri umani sono corrotti e non c'è
niente da fare → io devo diventare più corrotto di loro per governarli meglio. Le
leggi sono fatte dai più deboli e sono volute per proteggerli, quindi possono essere
violate dai più forti (idea pessimistica della natura umana)
- idealismo: anima, diamon, nuova idea di qualità umana. Le leggi hanno funzioni
fondamentali e devono essere rispettate per determinare il senso di giustizia.

Socrate, quindi, non fugge, nonostante le accuse, perché si trova in una situazione in cui
la polis è allo sfascio → il suo non fuggire aiuta a dare validità al suo desiderio di giustizia,
di eguaglianza. Egli si difende dimostrando che il processo contro di lui è illegittimo,
perché quelli che lo vogliono condannare hanno paura di lui.

Platone (420 - 347 a.C.)


Platone vive nel periodo che conosce il tramonto della polis (404 a.C.).
Platone è allievo di Socrate, mentre Aristotele è allievo di Platone.

Platone tenta di trovare una risposta alla crisi delle polis e soprattutto combatte nelle
guerre del Peloponneso come ateniese. Oltre che filosofo è anche importante definirlo un
guerriero, nomea della quale si vanta, perché, quando critica Atene, non gli si può
rinfacciare di non amarla, perché chi più di colui che è andato in guerra per la polis stessa
l’ha amata (come Socrate e Sofocle).

Dopo la morte di Socrate (399 a.C.), Platone scrive un testo intitolato “L’apologia di
Socrate” in cui ricostruisce le vicende della condanna e la morte di Socrate. Platone
definisce Socrate come il giusto dei giusti, rimandando l’accusa a coloro che, accusando
ingiustamente il giusto dei giusti, hanno una polis ingiusta.

A → Pertanto il problema da cui parte Platone per rispondere alla crisi della polis è il
problema della giustizia.

Platone vuole far continuare a far vivere l’anima di Socrate, vuole fondare il pensiero di
Socrate più radicalmente nella giustizia. Socrate è una grande anima e Platone stesso
riprende la credenza dell’esistenza dell’anima, ossia qualcosa che racchiude l’essenza
dell’essere umano.
L’anima per Platone è anche l’essenza della polis, di quella comunità che si definisce
polis. (Idea dell’esistenza dell’anima nata da Orfeo - orfismo -, successivamente portata
avanti dai pitagorici).
Dove si incontrano le anime? Le anime vivono in eterno, perciò si incontrano al di là della
materia. Sono pertanto presenti oltre la morte.
Come si incontrano le anime? L’anima eterna, dopo la morte, sale verso i cieli e salendo
inizia a distinguere e a vedere attraverso le idee eterne (es. idee di bene eterno, idee del
vero eterno, idee del bello eterno). Le anime possono, però, vedere attraverso queste idee
solo attraverso un diaframma di nubi; non le vedranno mai in maniera nitida.
Quando saranno arrivate in cima ai cieli, le anime scenderanno di nuovo in terra attraverso

l la rinascita di nuovi corpi → reincarnazione. Dopo la rinascita non ricorderanno nulla,


tranne un barlume che nessuno sulla terra sa spiegarsi, ma che ogni individuo possiede
(è un ricordo inconscio che non nessuno sa razionalizzare o conoscere).

↪ Qual è quindi lo scopo della filosofia? Attraverso le interrogazioni, facendo parlare gli
interlocutori, confrontandosi, si consente a questo barlume, di riemergere.

Questo avviene in modo personalizzato per ciascuno di noi, ma la filosofia è lo strumento,


il metodo, che ci permette di farlo, utilizzando ciò che già c’è nel fondo di ogni essere
umano.

Allora, conoscere (l’iter della conoscenza: motto dell'oracolo di Delfi, conosci te stesso)
permette di riscoprire una memoria che ogni essere umano possiede.
! La conoscenza è come una anamnesi, conoscere vuol dire ricordare.

Allora, il male viene compiuto dall’uomo a causa dell’ignoranza (un ignorante = non
conosce se stesso).

↪ Ma questo lavoro di conoscenza di se stessi non può fingere che intorno all’individuo
non ci sia una crisi della polis.
Platone perciò collega la crisi della polis alla crisi dell’individuo → le persone
vogliono rimanere ignoranti; di conseguenza la polis sta tramontando perché ha deciso di
rimanere ignorante.

la Si ripropone perciò l’antitesi tra qualità e quantità.


- Qualità → chi sceglie il percorso di Platone di conoscenza di se stesso è una
minoranza, emarginata dal potere nelle polis, che porta quindi alla decadenza.

H
Allora la proposta politica di Platone si può definire come un'idea di capovolgimento della
polis, capovolgimento del meccanismo di potere in cui a farla da padrone sono i soldi,
ossia la materia.
Platone vuole una polis giusta, basata sulla giustizia, una polis in cui la minoranza
emarginata inizi a stare al centro della polis stessa. È una rivoluzione etica, religiosa,
spirituale.

Il punto di partenza è quello antropologico, ovvero il punto di partenza è l’uomo, dotato di


anima, capace di guardare al bene comune.
Quindi l’idea di Platone si basa sulla radicalizzazione della conoscenza.
Il discorso de “ La Repubblica”
“La repubblica” è il discorso più importante di Platone.

l
Pone al centro il bene comune e il senso di giustizia, partendo così dal principio di
eguaglianza. Tutti i cittadini della polis sono eguali → se in una polis di eguali bisogna
attuare un principio di giustizia, bisogna offrire a tutti le stesse opportunità, senza che
nessuno sia più avvantaggiato.
Per farlo, devono essere abolite due cose:
- La proprietà, considerata come lo schema di potere. La proprietà privata è la
causa del male più grave, della divisione tra ricchi e poveri e della lotta tra loro.
- La famiglia, attraverso la quale si perpetua la proprietà. La famiglia costringe
l'individuo a svolgere una attività che spesso è contrastante con le sue vere
attitudini, cioè con la sua natura, unicamente per il rispetto del prestigio, delle
tradizioni familiari e per la difesa delle posizioni di privilegio che è riuscita a
conquistare.

Platone ritiene che se consideriamo lo Stato nella sua «genesi biologica», possiamo
renderci conto del modo in cui la comunità politica si organizza, per assolvere alle
esigenze che attengono alla sua esistenza. La società si fonda sul principio della divisione
del lavoro e della necessaria interdipendenza che si istituisce fra le varie attività, che
hanno come scopo di produrre i beni necessari alla collettività
!
Grazie alla eliminazione della famiglia e della proprietà privata, sarà possibile, secondo
Platone, attuare un ordinamento di tipo collettivistico o comunistico, che consentirà di

i riconoscere finalmente la natura degli individui e di collocarli in quella classe cui sono
destinati dalle loro naturali attitudini (attitudine = avere delle qualità che consentono
all’individuo di servire la polis) → questo percorso è la pedagogia Platonica.
Perciò ci sarà:
- la prima selezione per scegliere i lavoratori in base all’età (commercianti, contadini,
artigiani operai)
- una seconda selezione per scegliere i guerrieri in base alla forza fisica
- una terza selezione per scegliere i filosofi in base alla saggezza

Ovviamente, nessuna categoria vanterà privilegi, ma ognuna dovrà servire la polis.


Anzi, nel momento in cui qualcuno cercasse privilegi per se stesso, verrà allontanato dalla
polis e cacciato. Si capisce questo tipo di proposta politica di Platone se si guarda alle
virtù associate ai vari tipi:
- i lavoratori devono praticare la virtù della temperanza, ossia controllare i propri
appetiti (se no provocherebbero la disgregazione della polis).
- I guerrieri devono praticare la virtù della fortezza, ossia essere coraggiosi e forti al
fine di battersi per la polis e preservarla.
- I filosofi devono praticare la virtù della sapienza perché sono loro l’ancoraggio e la
guida della polis.

I guerrieri vengono chiamati custodi-guerrieri e i filosofi custodi-reggitori, ossia coloro che


devono custodire l’anima della polis, permettendo così di vivere.

La polis di Platone è, quindi, pensata come un organismo umano → si inaugura così


l'organicismo politico e filosofico, che riproduce l’organismo dell’essere umano.
L’anima e la polis sono divise in tre parti:
- anima razionale, quella dei filosofi

M- anima irascibile, che è quella dei guerrieri


- anima concupiscibile che è quella dei lavoratori

Platone, che appare così razionale, vuole che il suo messaggio arrivi a più persone
possibile per attuare questa rivoluzione profonda della polis.
↪ Per fare questo utilizza e riscopre il linguaggio dei miti. Utilizza il “mito della caverna”
per spiegare il perché l’anima coincide con l’essenza dell’essere umano e perché la
maggior parte degli esseri umani sono prigionieri dei sensi.

“Il mito della Caverna” - libro VII, “La Repubblica


L’allegoria della caverna si trova nel VII libro de “La Repubblica”, uno dei più celebri
dialoghi di Platone. Il tema generale del dialogo è la natura della giustizia. Occuparsi
della giustizia, per Platone vuol dire essenzialmente occuparsi di politica e, dunque, ne “La
Repubblica” si discute di quale sia la migliore forma di organizzazione politica, di chi
debba governare (i filosofi) e in virtù di quale sapere (la dialettica, che nel dialogo viene a
coincidere con la filosofia stessa).

L’allegoria della caverna trova posto nel dialogo nel momento in cui si tratta di spiegare
come si diventa filosofi, cioè come si acquisisce il sapere necessario per ben governare la
città, liberandosi dalle opinioni e accedendo alla conoscenza della realtà.

Il problema di cosa e come possiamo conoscere è fondamentale per Platone. Egli


considera la conoscenza come suddivisa in due generi:
- una conoscenza sensibile, che si acquisisce attraverso i sensi e si rivolge al
mondo del divenire,
- una conoscenza intelligibile che riguarda invece le idee, cioè gli elementi
immutabili e certi del mondo.
Nel mito della caverna, è raccontato il modo in cui il filosofo acquista la conoscenza delle
idee.

Il percorso della conoscenza non è indolore e non è immediato. Richiede tempo e richiede

i una guida. Nessuno decide da sé di uscire dalla caverna. Il filosofo deve essere educato
alla conoscenza. Il mito della caverna, infatti, è un’allegoria dell’educazione dei filosofi.

L’obiettivo dell’educazione dei filosofi è farne dei buoni governanti. “La Repubblica” è uno
dei più importanti dialoghi politici di Platone. Nel libro V, prima della caverna, Platone
aveva presentato i motivi per i quali solo i filosofi possono governare in modo giusto la
città. Anche in questo caso, però, Platone introduce un elemento di coercizione: non è
detto, infatti, che i filosofi vogliano governare e occuparsi della polis. Per mantenersi sul
piano allegorico: non è detto che una volta uscito dalla caverna, l’ex prigioniero voglia
tornare a raccontare ciò che ha visto a chi è rimasto incatenato. Anzi, è assai probabile
che voglia rimanere fuori, alla luce del sole, a godersi la sua felicità.
In quel caso – dice Socrate – bisognerà costringerlo. Fuori dall'allegoria, bisognerà
costringere i filosofi a governare, spiegando loro che è proprio per questo che sono stati
educati.
Idea molto forte di controllo di quello che avviene nella polis = punto importante di
ilå differenza tra Platone e Socrate.
Bisogna avere un controllo assoluto sulla polis perché il pericolo di questa polis
rivoluzionaria è quello della decadenza. L’unica cosa che può ritardare la decadenza è
l'eugenetica: disciplina che si prefigge di favorire e sviluppare le qualità innate di una
razza, giovandosi delle leggi dell'ereditarietà genetica → la polis inizia a decadere
quando le tre potenze iniziano a non tenere conto delle loro virtù.
R Siccome il bene è in ognuno di noi, il male è una conseguenza dell’ignoranza.

Aristotele (384 - 322 a.C.)


A Roma, al vaticano è presente l’affresco di Raffaello “La scuola di Atene” dove vengono
raffigurati:
- Platone raffigurato con volto di Leonardo Da Vinci e con il dito che punto verso il
cielo (punta verso l’anima).
- Aristotele raffigurato con la mano aperta rivolta verso chi guarda (è più attento a
ciò che esiste, a ciò che sta sulla terra, a ciò che accade sotto il dominio dei sensi).

Aristotele supera il dualismo, quella contrapposizione tra la filosofia e la doxa, ossia il


sapere superficiale.
ponto
due
Aristotele cerca di superare questo dualismo, questa dicotomia, tra sapere (Platone lo
concepisce come qualcosa che sta al centro dell’individuo) e opinione (più superficiale).

Aristotele accende i fari della sua indagine proprio su ciò che esiste. Per questo, alcuni
interpreti del pensiero aristotelico lo pongono sotto la corrente che si chiama T “realismo
t
politico”; altri identificano in Aristotele il primo scienziato politico (colui che studia la
politica come una scienza della natura, come un fenomeno).

↪ Cosa vuol dire studiare la scienza della politica come un fenomeno? Vuol dire
estraniarsi dalla politica stessa.
- Platone è immerso nella sua concezione valoriale, cioè si capisce che si è schierato
(filosofo politico),
- Aristotele non dà giudizi, si estranea e la studia (studioso politico).

Quella di P. e di A. sono visioni che permarranno sempre nella storia, ma ad un certo


punto assumeranno il nome di:
- idealisti, il cui punto centrale è quello di riformare la politica (Platone)
- stuDiosi, il cui punto centrale è quello di studiare la politica (Aristotele)

Tratto fondamentale di Aristotele e che fa da base al realismo politico? Aristotele afferma


che l’essere umano è condannato all’egoismo. Per quanto uno cerchi di educare o
di elevare se stesso, l'umano rimarrà sempre egoista. Allora, dall’egoismo dell’essere
umano ne deriva una visione di tipo pessimistico e quindi realistico (anche Machiavelli ha
questa visione realistica).

Convinti di questo, gli studiosi ritengono che la politica debba ruotare attorno al concetto di
forza. Io come faccio se l’essere umano rimane egoista? Si usa il concetto di forza, al
quale si associa sempre il concetto (fondamentale per la politica) del realismo, ovvero
il concetto di ordine.

?La politica deve dare ordine per permettere la stabilità dello Stato.
Il pensiero e la visione che ci mostra Aristotele non si basa sul bene eterno, la giustizia
ecc.., ma si basa sul concetto di ordine e disordine. Il male per lo Stato è dovuto al
A precipitare nel disordine, in cui c’è una mancanza di regole ed una mancanza di potere
che possa esercitare il monopolio della forza.

Bisogna partire dal presupposto che Aristotele vive ormai il tramonto della polis (Platone
cerca una riforma radicale della polis, per questo è così rivoluzionario e si rivolge alle
figure degli interlocutori). Aristotele non crede più alla riforma radicale della polis, perciò
inizia a studiare, diventando realista, le forme del potere per capire come le forme
possano garantire la stabilità e l’ordine.

Aristotele è allievo di Platone e maestro di Alessandro Magno. Il padre di Alessandro


Magno lo affida ad Aristotele affinché lo istruisca. Aristotele non è di nascita ateniese, ma il
padre lavorava alla corte dei macedoni (regno guida dei macedoni con capo Alessandro
Magno) come medico!
Aristotele, attento a quello che esiste, studia le costituzioni, scrive la “Politica”, raccolta
documentata di 148 costituzioni delle polis girando e raccogliendo dati.
Ci perviene solo “La costituzione di Atene”, poiché per un certo periodo i suoi scritti
vennero nascosti; riscoperti poi all’inizio del XII secolo. L’autore che riporterà in auge gli
scritti aristotelici sarà Tommaso d’Aquino.

“La costituzione di Atene” (330-322 a.C.) → Contiene la descrizione del modo con cui,
secondo Aristotele, è nata la polis. Essa nasce da un impulso naturale tipico di ogni
essere umano →t l’impulso alla socialità, la spinta a socializzare, a stare con gli altri. Gli
essere umani da soli muoiono, quindi si associano, si relazionano con altri.
La stessa origine di ogni individuo è infatti dovuta ad una relazione. Questa relazione è
inscritta nella natura. Aristotele associa il termine relazione alla natura → usa il termine
zoon politikon (animale politico, animale sociale).

Nell’essere naturale di ogni uomo, proprio perché naturale, c’è quello che lui definisce
telhos, ovvero una destinazione → ossia produrre relazioni che sono già scritte dentro
ogni uomo.

L'uomo, in quanto essere dotato di ragione, di capacità di espressione mediante la parola,


che gli consente di comunicare con gli altri esseri simili a lui, è la forma della koinonia
(comunità) politica, il principio che spiega il «movimento», il processo, al tutto naturale,
onde si costituisce la polis. x
1. La prima forma di koinonia è rappresentata dalla famiglia, che continua la specie

M
umana;
2. Quando più famiglie si mettono insieme nasce una tribù.
3. Quando più tribù si mettono insieme nasce un villaggio.
4. Quando più villaggi si mettono insieme, per bisogno di crescere insieme, nasce la
polis.

Diverso da Platone, il quale aboliva la famiglia, per Aristotele la famiglia è il nucleo


fondamentale.
Quindi, la polis, che nasce da queste relazioni, non le deve eliminare, ma deve ne tutelare
G la molteplicità, cioè deve tutelare tutte queste società che vivono dentro la polis.
Nella famiglia sussistono i tre tipi di comando ed obbedienza, sui quali si fonda la
costituzione della polis, che per Aristotele, può essere concepita come un sistema di
comandi e di obbedienze. Questi tre tipi di comando ed obbedienza si distinguono a
seconda della gerarchia naturale delle intelligenze:
- Rapporto tra moglie-marito → obbedienza dei cittadini al magistrato. Il rapporto

"
tra uomo e donna è, per Aristotele, una relazione tra liberi ed uguali, dove però la
donna manca di autorità ed è quindi giusto che sia l'uomo a comandare.
- Rapporto tra padre-figlio → obbedienza dei sudditi al re. Il rapporto tra genitori e
figli è diverso perché i figli non solo mancano di autorità, ma anche della necessaria

M
esperienza del mondo: è quindi un rapporto tra disuguali il quale giustifica il
comando dei genitori in quanto viene fatto nell'interesse dei figli.
- Rapporto tra padrone-schiavi → obbedienza degli schiavi al despota
Il rapporto servo-padrone non significa per Aristotele giustificazione dello
sfruttamento dello schiavo, ma sancisce, invece, la sua tutela e il dovere del
padrone di fargli conseguire la felicità.

La giustificazione della schiavitù secondo Aristotele, è data dalla gerarchia naturale


delle intelligenze, sulla quale si fonda l'ordine della comunità politica: la schiavitù esiste
per natura, in quanto lo schiavo è dotato di intelligenza appena sufficiente per il lavoro che
svolge, si che egli deve essere guidato dal padrone per conseguire la felicità, da solo non
ne sarebbe capace.

Secondo Aristotele, la natura dei rapporti interpersonali nelle famiglie fa sì che ci sia una
gerarchia delle intelligenze, per cui i figli, la moglie e lo schiavo debbono tutti obbedire al
capofamiglia, cioè tutti sono dotati di un minor grado di intelligenza rispetto a quello
del capofamiglia/padre (famiglia patriarcale).
Il capofamiglia è colui che dà gli ordini e che tutela la famiglia; è la sede del principio
degli ordini.

Il governo della famiglia, che costituisce il modello al quale occorre riferire l'ordine della
comunità politica, è definito da Aristotele con il termine di economia (oikos = famiglia,
nomos = regola/norma). Attraverso l’economia, la famiglia svolge l’attività volta a
procacciare i beni materiali necessari per la famiglia stessa.
La produzione di ricchezza, ossia le attività che secondo Aristotele portano arricchimenti
più consistenti, viene definita con il termine di crematistica.

Questi arricchimenti sempre più consistenti non sono un male per Aristotele, ma lo
diventano quando essi portano alla disgregazione della polis.
Ad Aristotele non sfuggiva l'importanza che l'attività commerciale aveva assunto nella
vita politica ateniese; aveva ben presente il ruolo che aveva esercitato la flotta - in quanto
strumento della potenza economica - nelle scelte della democrazia ateniese nel corso
delle guerre del Peloponneso; si rendeva altresì conto che la concentrazione della

A ricchezza, soprattutto in termini monetari e in beni mobili, aveva suscitato tensioni e lotte,
che avevano posto in crisi l'ordinamento della polis.

La concezione aristotelica della comunità politica si caratterizza per l'affermazione relativa


allat
pluralità delle forme secondarie di socialità, tutte poste dalla natura, che lo Stato
deve mantenere in sé, rispettandone la specifica autonomia.
Tale concezione è in netto contrasto con la tesi platonica, secondo cui fra l'individuo e lo
Stato non deve sussistere alcun diaframma, vi deve essere una immedesimazione di tipo
organico, onde realizzare la comunità politica come reale unità.

Aristotele, date le sue premesse di fondo, non può che criticare la concezione platonica,
mettendo in risalto che il concetto platonico di unità omogenea, indifferenziata, non
corrisponde in alcun modo alla realtà ed ai modelli che ci sono offerti dalla natura.
La natura, invece, ci si presenta come un tutto articolato, differenziato,

M
Q
indeterminato: ogni manifestazione della natura ha il suo autonomo fine, che
costituisce anche la sua specifica ragion d'essere e che gli conferisce la sua
particolare forma.

↪ Quando Aristotele inizia a descrivere come le istituzioni interagiscono con la natura dei
popoli, ecco che viene fuori una classifica/graduatoria tra i popoli (descrizione ripresa
pari pari da Baudin).
Esistono 3 tipi di popoli per natura, a seconda delle condizione climatiche e oleografiche.
- popoli del nord: barbari, forti, indomiti, senso di libertà; ma basso livello di
intelligenza
- popoli del sud: intelligenti, poco forti, propensi alle mediazioni, inclini alla politica
- popoli del centro (greci): intelligenti, sanno unire il valore della libertà ed il valore
q della forza. Sono indubbiamente il popolo migliore.

Aristotele è uno stuDioso di quello che esiste ed è attento a quello che succede sulla terra,
afferma che ciò che si trova dentro la fascia mediterranea, ossia il luogo dove sono nate le
polis, potrebbe essere la migliore forma di Stato o la migliore forma di governo.
Da realista politico, Aristotele afferma che questa forma di Stato è la migliore forma di
Stato/governo in relazione alle possibilità della natura, a quello che ci offre la natura.

Quando Aristotele parla delle diverse forme di Stato della polis afferma che esistono tre
forme buone
- Monarchica

!1
- Aristocrazia, pochi ma che governano a seconda dell’interesse collettivo
- Democrazia dei liberi, o politia (forma prediletta da Aristotele). L’aspettò più
importante di questa forma è la L
sovranità di legge: afferma che tutti, governanti
-

compresi, devono essere sottoposti alla legge, la quale viene definita come un bene
1
privo di passione.
e tre forme cattive, o degenerate
- Tirannide

i - Oligarchia
- Democrazia (contrapposta a quella dei liberi) → non basta essere uguali e non
basta che sia la maggioranza a decidere perché non è detto che la maggioranza
voglia il bene comune.

Costituzione materiale → ideologia della società, aspetto astratto, ciò che è scritto dalla costituzione
: Costituzione formale → i fatti sociali/economici, aspetto concreto, ciò che viene nella
realtà dei fatti
↪ quando queste due costituzioni si allontanano una dall’altra, la polis si disgrega, poiché
non vi è più corrispondenza tra ciò che è scritto e ciò che realmente accade
F Perciò, la democrazia dei liberi funziona bene solo se nella società la categoria più
forte è il ceto medio. Se invece ci sono due polis (quella dei ricchi e quella dei poveri)
che si contrappongono, la polis si disgrega.
La democrazia dei liberi funziona bene se si garantisce quello che noi oggi chiamiamo
l’ascensore sociale, cioè se è possibile offrire a tutti, o quasi a tutti, le medesime
opportunità.

La polis, per Aristotele, è una forma di ordine e i politici devono capire come garantirlo per
più tempo possibile.
Per Aristotele, quindi, le forme di ribellione, o stasis, sono patologie della politica →
per questo il politico deve essere uno studioso della società del suo tempo: deve
prevedere le ribellioni, analizzare i sintomi per evitare lo scontro.

Periodo ellenistico
Con Aristotele nasce il cosmopolitismo, un'emissione che guarda dal punto di vista
politico a quel concetto che si definisce universalità → tutti gli essere umani sono uguali,
indipendentemente dalle culture da cui provengono. Alessandro si spinge in Oriente e la
sua ambizione è quella di costruire un grande impero basato su valori cosmopoliti e
universali, i quali si radicano nella civiltà ellenica. No polis al centro. I valori sono quelli
della civiltà.

I
Età ellenistica: gli elleni diventano riferimento della civiltà e a Roma si afferma lo
Stoicismo (Polibio e Cicerone).
C’è come un passaggio tra il sogno di Alessandro e della sua cosmopolis al nuovo impero
di Roma.

Ecco che in questa nuova idea di civiltà diventano fondamentali gli individui in quanto tali,
perché fino all’epoca della polis gli individui trovavano il senso della vita nella polis stessa.
Adesso esistono gli individui che vivono senza riferimenti nella polis → nascono così
le scuole post-aristoteliche:
- Epicureismo
l - Stoicismo

[ - Cinismo, da curi a lo stoicismo

Queste scuole si pongono il problema del senso della vita dell’individuo. Cosa può fare
l’individuo da solo in un mondo che è in crisi? Non ci sono riferimenti e quindi non si riesce
a vedere il futuro.

Stoicismo sderiva da cinismo


Stoicismo deriva dal cinismo (IV secolo). All’origine del cinismo ci sono due discepoli di
Socrate: Antistene e Diogene. Cosa fanno i cinici? Riferiscono il magistero di Socrate
-

alla figura del saggio, cioè all’individuo.


-

Con Antistene si parlerà di una esagerazione degli insegnamenti socratici.

Diogene invece viene etichettato come un Socrate impazzito, perché vive in modo
davvero poco decoroso, non c è decorum, diventando così un provocatore.
La polis è corrotta, Atene è inquinata dall’ egoismo e Diogene esagera → rifiuta la
politica, cioè rifiuta la politica poiché è tutto malato.
Diogene si proclama così cittadino nel mondo, si sente fratello di tutti e quindi è
N contrario alla schivitù (mentre Aristotele giustifica la schiavitù in base alla naturale
gerarchia delle esistenze).

Zenóne, discepolo di Cratete che a sua volta è discepolo di Diogene, forma lo stoicismo.
Si attenua il radicalismo ma c'è ancora contestazione e rifiuto della politica. Se vi è
continuità tra cinismo e stoicismo, vi è assoluta distanza, incompatibilità con l’epicureismo.

Gli stoici nascono in contrapposizione agli epicurei. Il fondatore Zenone inizia la sua

"
carriera filosofica criticando l’etica materialistica di Epicuro. L’uomo per Epicuro è un
fenomeno tra altri fenomeni, mentre per Zenone l’uomo ha una sua assoluta nobiltà
(perché dotato di coscienza).
La cosmopolis è fatta da individui che sono tutti fratelli, che sono tutti uguali, perché tutti
sono dotati di ragione sostanziale.
l
J

Come chiamano questa ragione sostanziale che abita ogni individuo? Logos.

Possiamo quindi dire che per gli stoici il saggio non cerca il suo benessere
å individuale, ossia l’atarassia, ma cerca di vivere in armonia con il logos. Quindi, ha
ben presente il bene universale. È distante da tutto ciò che gli epicurei credevano
importante, ossia non ha bisogno di tutto ciò che è materia o materialismo → il saggio
stoico privilegia l’anima.

Il saggio stoico non è interessato al piacere, al lusso o al denaro e il successo, ciò che gli
interessa è il bene dell’umanità.
Gli stoici non sono interessati alla politica come via di successo, sono interessati alla
politica e sono obbligati a prendervi parte se questo porterà al bene comune.
Per definire il saggio stoico si userà il termine illustre-schiavitù.

Nello stoicismo coesistono polis e cosmopolis (come sarà anche nel Cristianesimo).
A legarle è l’idea di uguaglianza universale, che nell’impero romano diventa l’idea di
cittadinanza. Dalla civiltà ellenistica si passerà quindi alla civiltà greco-romana.

Polibio
Lo stoicismo arriva a Roma con Polibio e Cicerone.
Polibio è un greco romanizzato ed esalta una nuova forma di politica basata sulla nozione
di cittadinanza.

% Polibio adotta una politica di costituzione mista → consente di assorbire i conflitti interni
senza portare allo sfascio delle nazioni.
I
Polibio attraverso le sue storie si interroga su come fosse possibile ottenere così tanto
potere e per quale motivo si riesca ad esercitare un forte fascino pure in altri popoli.
Polibio prova a dare una motivazione dando meriti alla Costituzione mista, che unisce le
varie forme di Governo. Un altro autore che riprenderà questo discorso secoli in avanti è
Montesquieu. Polibio paragona l’operato romano al programma di unificazione e conquiste
di Alessandro Magno, questo anche grazie alla costituzione che garantisce unità e stabilità
politica, a differenza delle Polis greche, profondamente divise ed in conflitto fra loro.
Per polibio c’è un ciclo delle costituzioni: come avviene?
Polibio definisce le costituzioni come un continuo ciclo composto da 3 fasi:
- la prima è la monarchia che degenerando si trasforma in tirannia, a cui prenderà

N
punto posto l’aristocrazia ovvero governo dei pochi,
clure - l’aristocrazia degenera in oligocrazia, che verrà sostituita dalla democrazia
- la democrazia degenera in oclocrazia, ovvero il governo della moltitudine che dà
vita a scontri a cui la monarchia dovrà porre fine, ricominciando così il ciclo.
Polibio afferma che ogni costituzione ha in sé stessa le cause della sua
M degenerazione.

A Differenza tirannide e monarchia: in monarchia le persone si fidano del monarca, quindi


non c’è bisogni di violenza per avere il consenso.

Quale è quindi per Polibio l’unica forma di governo in grado di garantire stabilità? La
l Costituzione mista, che deriva dalla repubblica romana, dove:
- i consoli rappresentano il principio monarchico,
- i consoli rappresentano quello aristocratico
- la cittadinanza e i comizi quello democratico.

Questo pensiero si ritroverà in Cicerone.

l
Repubblica romana si basa su cittadinanza → cittadinanza si basa sull'uguaglianza
→ uguaglianza si basa sull’idea della res publica → res publica si basa sul popolo,
la vera potenza politica.

Cicerone
pobolo

Cosa è il um
polo secondo Cicerone? Ci sono due vincoli:
- un vincolo di tipo giuridico, tutti sono cittadini e tutti esercitano lo iuris consensu
(danno consenso giuridico perché tutti sono autonomi)
- Il popolo è unito da una comunità di interessi (Aristotele diceva che la polis è unita
se si basa su qualcosa comune) definita come unità di scommunioni.
Il popolo è la base della repubblica e non esiste un potere legittimo se non c’è il
U consenso del popolo. Perciò, il popolo è il detentore della sovranità.

Cicerone crea un nuovo termine → princeps: colui che impersona il volere del popolo
(ottaviano impersonificherà il volere del popolo di roma)

Epicureismo
Mentre lo stoicismo contesta la politica e poi, ad un certo punto, ritorna alla politica per
migliorarla, l’epicureismo cerca una via di fuga da questo mondo che non è più
accettabile.
Stoicismo ed epicureismo si affermano insieme, ma l’epicureismo è in cerca di una via di
fuga.

La cosa interessante di Epicuro è che è il primo che contesta l’antropocentrismo, ossia


l’uomo al centro dell’universo. Secondo lui, anche gli individui, come le cose, sono
composti di atomi e di particelle. Perciò tutta la natura in cui gli stoici ci vedono il riflesso
delle divinità, per gli epicurei questa natura è solo materia → si parla di materialismo
o visione meccanicistica.
L’individuo è parte integrante della natura e della materia.

i Quindi, come tutte le componenti della natura, anche l’individuo è mosso dal fuggire il
dolore e dal ricercare il piacere. Quindi anche l’uomo fugge dolore e ricerca piacere,
come qualsiasi altro essere vivente.
Il rapporto con la divinità scompare.

L’egoismo dell’individuo, che è l’unica molla che muove l’essere umano, può essere solo
-
educato tramite la ragione ed, educandolo, si può arrivare alla saggezza, ossia
l all’atarassia l (situazione di quiete).
Dal punto di vista politico approda ad una totale indifferenza dal punto di vista politico. Alla
politica si chiede SOLO di garantire alla sicurezza, per permettere al saggio di
raggiungere l’atarassia.

L’essere umano non ha valore in sé, è un calcolatore che cerca di fuggire dal dolore per
raggiungere il piacere. Possiede una ragione calcolante, chiamata ragione strumentale.
Questo tipo di ragione si oppone ad un’altra idea di ragione, ossia la ragione sostanziale,
quella dello stoicismo.

Perché c’è la discendenza da Socrate? Perchè vicina alla nozione di coscienza (daimon).
Neanche gli ordini di un homos possono violare la coscienza.

Cristianesimo
L’obbligo politico è un tema che attraverso il Cristianesimo acquista più potere, perché la
disobbedienza, per i cristiani, in nome di una divinità, o delle divinità, si fonda
sull’appartenenza ad una comunità.
Questo disobbedire , per la comunità cristiana, è un ordine/un comandamento e si
radica sull’appartenenza ad una comunità.

Ci sono diverse espressioni che il Cristianesimo riprende e reinterpreta dallo stoicismo


1. Legge di natura → si incontra nella cultura politica cristiana ripreso dalla classica.
San Paolo epistola ai romani affermando che i pagani sono legge a se stessi perché, pur
non conoscendo la legge di Dio, osservano le leggi di natura. La legge di natura è
contenuta nei loro cuori, mentre per i Cristiani è il riflesso della legge di Dio, perciò della
volontà della legge del Dio dei cristiani.

2. Stato di natura → idea di uno Stato/condizione pre-politica, ove non esistono le


leggi dotate di coazione, cioè di punizione. Si ritrova qui l’idea di Seneca e della sua
età aurea (eden). Dalla condizione pre-politica si esce, precipitando poi in una
situazione in cui si trova il peccato, ossia l’uomo perde coscienza e diventa
peccatore.
Nell'età dell'oro, non esiste alcuna legge positiva (no punizione), quindi l’uomo si sente
libero di disobbedire, con la conseguenza di essere cacciati dal paradiso terrestre → si
precipita nella situazione di peccato. Questo peccato non è voluto da Dio, ma dall’uomo
stesso. Allora, le istituzioni politiche delle società e delle condizioni umane che nascono
dopo la perdita di coscienza, ossia dopo l’uscita dal paradiso terrestre, possono avvalersi
della forza.
3. Eguaglianza/fratellanza di tutti gli esseri umani
Anche gli stoici affermano che siamo tutti fratelli, siamo tutti uguali.
Per i cristiani questa eguaglianza diventa tale nel corpo mistico di cristo (corpo nel quale
tutti gli esseri umani sono fratelli, ossia la Chiesa, l’Ecclesia). Questo tema della
fratellanza viene anche interpretato come fratellanza per quanto riguarda il possesso dei
beni materiali → comunismo cristiano:

4. Opposizione/antitesi tra una città terrena (polis) e una città eterna


(cosmopolis). Per i cristiani, il tema della cosmopolis coincide con l’abitare nei
cieli. "I cristiani sono nel mondo ma non del mondo", c'è una dimensione del
cristianesimo che spinge i cristiani a guardare oltre la Terra. I cristiani hanno quasi
una doppia cittadinanza.
Gli uomini disobbedendo al potere ingiusto hanno modo di redimersi per ottenere la
salvezza ultraterrena (cosmopolis). Nella lettera a Diogneto (200 d.C) i cristiani vengono
definiti come abitanti di due città, vivendo nel mondo terreno consapevoli che la vita si
compie nell’aldilà, ovvero nella città di Dio. I cristiani sostanzialmente pensano che il
mondo terreno sia un mondo in cui essi transitano. I cristiani sono definiti uranopoliti,
ovvero abitanti della città celeste.

Il cristiano deve obbedire alle leggi dello Stato o alla volontà di Dio?
Dio è al centro di ogni cosa, per alcuni il potere politico è un male necessario a
mantenere l’ordine.
Con il Cristianesimo si parla della realtà spirituale dell’uomo che in qualche modo si
estende alla società. Abbiamo due ambiti: uno è quello temporale il secondo è quello
spirituale. La realtà politica verrà posta all’interno di queste due sfere.

Nel Cristianesimo vi è l'episodio nel quale i farisei chiedono a Gesù a chi obbedire, se a
Cesare o a Dio. Gesù risponde “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio ciò che è
di Dio” → significa che Cesare non può pretendere di essere il solo ad avere autorità
sull'uomo perchè ciò che è nell'uomo è di Dio e non di Cesare.

L'imperatore è istituito dal nostro Dio, il Dio dei cristiani. Quindi la comunità cristiana è
più importante della società stessa. Si creerà quindi una connessione stretta tra impero e
chiesa, che sarà definita cesaropapismo (si realizza la piena unione fra potere temporale
e potere spirituale in quanto le prerogative civili e religiose sono concentrate nel medesimo
soggetto, l’imperatore, che è simultaneamente Cesare, capo dell’organizzazione politica, e
Papa, ossia massima autorità religiosa).
⤷ Idea di una chiara gerarchia, si stabilisce che Dio sta sopra l'imperatore.

L’imperatore Diocleziano pretese di essere considerato al pari di un Dio, secondo il


modello delle civiltà ellenistiche. I cristiani si ribellarono a questa volontà e vennero
perseguitati fra il 303 e il 313 d.C., in quanto si ritenne che il loro atteggiamento fosse
minaccioso nei confronti della stabilità delle istituzioni.

Le persecuzioni - tra le quali spiccano per violenza quelle di Decio (249-251) e di


Diocleziano (303- 311) - si rivelarono inefficaci: il cristianesimo infatti era ormai penetrato
nel profondo della società romana. Visto il suo successo il cristianesimo poteva essere
utilizzato come strumento di consenso politico, per dare maggiore stabilità all’imperatore e
allo Stato.
Fu questa la grande intuizione dell’imperatore Costantino che, nel 313, con l’editto di
Milano concesse la libertà di culto a tutte le religioni professate nell’Impero. Sarà poi
l’imperatore Teodosio (379-395) che, alla fine del IV secolo, con l’editto di Tessalonica
(380), dichiarerà il cristianesimo religione ufficiale dei Romani. Si avviò, quindi, un
processo che portò alla comunità dei cristiani e ai loro rappresentanti crescenti privilegi di
carattere economico e giuridico, che ne favorirono l’affermazione anche in campo politico.

Viene riproposto il concetto di Religio, ritorno a questo concetto in chiave cristiana. Solo il
crisitanesimo può divenire religione di Stato, mentre tutte le altre sono false. Non si può
affermare nessun principio di laicità dello Stato.

S. Agostino d’Ippona (354 - 430 d.C.)


Con la diffusione del Cristianesimo si assiste ad una rivoluzione e ad una rottura con il
mondo classico e romano.
La religione si autonomizza rispetto alla politica. Nel mondo classico la religione si
identificava con la politica e non vi era la divisione delle due sfere. Nel mondo classico, gli
dei si disinteressano del destino degli uomini, mentre con l’avvento del Cristianesimo
nasce la figura del “Dio padre”, che si preoccupa dei suoi figli ed è un Dio che partecipa ai
dolori dei credenti.

Sant’Agostino (354-430) rappresenta il massimo pensatore cristiano del primo millennio.


Egli visse nell’epoca del tramonto dell’impero romano d’Occidente, periodo di estrema
confusione, di crisi identitaria e di decadenza irreversibile del mondo classico.

Con l'opera “De civitate dei”, volta a difendere il Cristianesimo dall'accusa pagana di
essere Stato la causa del sacco di Roma del 410 e del declino dell’impero, l’autore ampliò
l'argomento realizzando una trattazione della storia universale, interpretata secondo una
concezione filosofica e teologica. Il tema di fondo dell'opera si precisa nella distinzione e
contrapposizione tra la città terrena e la città di Dio, l’una che persegue l’amore di
sé, l’altra l’amore divino.

Nel primo caso l’amore verso sé porta l’uomo a soddisfare tutti i propri bisogni terreni fino
al raggiungimento di uno Stato di pace: la pace è una caratteristica della natura dell’uomo
e costituisce la ragion d’essere della società. Con la pace, e più precisamente con il suo
conseguimento e conservazione, coincide, secondo Sant’Agostino, il fine della politica.

Anche la pace differisce a seconda che questa si riferisca alla Civitas Dei o alla Civitas
Terrena: nel primo caso essa è eterna perché ha il suo fondamento in Dio; nel secondo
caso è incerta, provvisoria e corruttibile.

Secondo questa lettura, che considera pertanto solo la città divina una vera città
ispirata a valori giusti e portatrice del bene, l'impero romano, così come i governi
della terra e più in generale la politica, sono espressione della civitas terrena e
pertanto di mali necessari, provvisori e destinati a soccombere come punizioni
divine al peccato originale.
Per Sant’Agostino la corruzione delle società politiche ha quindi carattere ontologico in
quanto l’uomo possiede una natura contraddittoria che non fa coincidere le proprie
aspirazioni a i suoi fini: egli infatti non riesce a riconoscere il vero oggetto del suo
desiderio, cioè Dio, e persegue erroneamente una serie di verità e beni terreni finiti
che non soddisfanno la sua necessità infinita e lo fanno così ricadere in un perpetuo
senso di insoddisfazione e inquietudine.

Da tale classificazione è anche individuabile una distinzione che concerne:


- il potere temporale, legato a Dio e in quanto tale è giusto e perfetto
- il potere spirituale, legato all’uomo e in quanto tale è provvisorio, mutabile,
orientato ad un bene apparente.
Questa visione molto pessimistica della natura umana fa sì che per Sant’Agostino si
parli di corrente del realismo politico.

Realismo politico → S. Agostino afferma che lo Stato non è destinato al male, anzi nel
suo fondamento troviamo valori positivi come la razionalità, il diritto, la giustizia ecc.
Quindi lo Stato è pace. Sant’Agostino però ha pure una visione realistico-pessimistica
riguardo le reali possibilità dello Stato di conseguire realmente questi valori, bensì
critica pure la possibilità di estirpare totalmente il male dalla città terrena e la
sacralizzazione dell’imperatore.

Dal punto di vista più prettamente teologico poi, Agostino predilige una concezione
predestinatoria in quanto la salvezza e grazia divina non sono guadagnabili attraverso le
opere buone e le azioni, ma solo attraverso la fede; non a caso i confini delle due città non
sono individuabili dall’uomo a priori e pertanto questi verrà a conoscenza del suo
posto solo al momento del giudizio universale.

APPUNTI lezione
Il punto su cui si concentra la mente di Agostino è quello che sta dentro alle istituzioni, alle
polis, alle civiltà. Ciò che gli interessa quindi sono le intenzioni degli individui.

Perciò, interessandosi alle intenzioni degli individui, Agostino afferma che la storia è
dinamica → non è più sottoposta ad un ciclo, ma la storia dipende dagli intenti degli
individui.

Come si uniscono l’attenzione agli intenti e la grazia di Dio? Si uniscono sulla base della
considerazione che per Agostino la Storia dell’uomo è segnata dal male e dal peccato.
San Tommaso d’Aquino (1226 - 1274 d.C.)
Era un domenicano, allievo di Alberto magno, che indirizza Tommaso verso la riscoperta
del mondo classico. Nel XII secolo (secolo delle cattedrali di idee) avviene la riscoperta
dei testi di aristotele, grazie ad alcuni studiosi arabi.

San Tommaso d’Aquino, teologo di riferimento del cattolicesimo, occupa una posizione di
rilievo nella storia del pensiero politico in quanto fu uno dei primi medievali a leggere e
commentare la “Politica” di Aristotele, riuscendo coniugarne le tesi con quelle della
tradizione cristiana.
San Tommaso riconosce la politica come una scienza autonoma, razionale e
architettonica, la quale ha come oggetto la società e le attività che in essa hanno luogo; la
politica viene inoltre considerata un bene voluto da Dio, per aiutare l’uomo a raggiungere il
suo fine, ossia a perfezionare la sua natura (telhos) e, in ultima istanza, a raggiungere la
salvezza eterna.

L’affermazione di ciò implica un netto distacco dalla concezione umana negativa di


Agostino, in virtù di una profonda rivalutazione dell’uomo, che è sì imperfetto, ma non
unicamente peccato, e l’affermazione, attraverso la politica, di una sintesi tra razionale e
irrazionale in virtù di un’elevazione morale e spirituale.
A differenza di Sant’Agostino per il quale lo Stato è un vincolo reso necessario dopo il
peccato originale come forma di controllo, San Tommaso riprende la concezione
aristotelica secondo cui l’uomo è per natura un animale sociale e politico che possiede
una tendenza naturale alla vita associata, la quale permette il raggiungimento del bene
comune, sebbene esso non si traduca in una lettura della società di tipo organicistico.

Il perseguimento del fine sociale è poi reso possibile dalla legge, che si configura come
uno strumento razionale che orienta il comportamento degli individui e che è legato alla
capacità di chi comanda di dare disposizioni razionali e conformi all’ordine che è realizzato
da Dio.

Nella principale opera dell’autore, “La somma teologica”, viene proposta una
classificazione di quattro tipologie di legge:
- la legge eterna, con cui Dio ha ordinato il mondo;
- la legge naturale, grazie alla quale l’uomo è in grado di distinguere il bene dal male
e che sancisce i diritti della personalità dell’uomo, quali il diritto alla conservazione
della vita, alla formazione della famiglia, educazione dei figli e al vivere nella
società;
- la legge divina, rivelata nelle Sacre Scritture, che prescrive ciò che un cristiano
deve fare in vista della salvezza;
- la legge umana, ossia la legge con cui il potere civile regola l’esistenza degli
uomini sulla Terra nel rispetto della legge naturale.

Tommaso infine si pone il problema di indicare la forma di governo che consenta di far
valere nei confronti dei governanti precisi limiti giuridici, affinché il potere non violi la
legge, non diventi oppressivo trasformandosi in tirannide ( forma di governo definita come
trionfo dell’irrazionale sul razionale).
La forma di governo che assolve questa esigenza è la costituzione mista, fondata
sull’armonico contemperamento della monarchia, dell’aristocrazia e della democrazia, la
quale assicura l’unità di comando, da leggi che tutelino il potere esercitato dal governo, la
partecipazione dei migliori al governo e l’elezione dei governanti da parte del popolo
(come per Aristotele).

APPUNTI lezione
Tommaso inizia a leggere, in particolare “la Politica” → Tommaso le legge perché viene
tradotto in latino dal greco antico da Guglielmo di Moerbeke. Il pensiero politico di
Tommaso si può studiare grazie ai commenti che fa sui testi di aristotele.
Il pensiero di Tommaso non è un pensiero sistematico in cui c'è una costituzione chiara e
scritta, ma è un pensiero frammentato che viene ricostruito grazie al lavoro degli
studiosi.

Il problema fondamentale di Tommaso (vive nel periodo durante la divisione del potere
temporale = impero e del potere spirituale = papa) è quello di capire chi abbia il potere
politico tra queste due potenze.

Conflitto sempre più aspro tra impero e papato → la chiesa si pone il problema della
legittimazione politica. La chiesa non è più inscritta all’interno dello schema del potere
imperiale, ma ha una sua struttura di potere autonoma, che però rivendica il primato
assoluto rispetto all’impero.
→ Questo fa sì che il rapporto tra Cristianesimo e potere politico cambi profondamente!!!!

Il Cristianesimo per Agostino è segnato da un sentimento di pessimismo antropologico.


Con Tommaso la speranza ritorna ad essere collocata nella dimensione umana, perché
sia la chiesa ha una struttura politica, sia l’impero può essere rivisto/presentato come un
elemento che sta al di sotto rispetto alla chiesa cattolica stessa.
→ al pessimismo cupo di Agostino si sostituisce la necessità di una gerarchia, in cui vi è
una invalidazione dell’elemento umano. Per Agostino l’uomo era segnato dal male,
mentre per Tommaso l’uomo può superare il male attraverso le opere.

Elemento escatologico della speranza ritorna in Tommaso. Noi possiamo, in quanto


essere umani, attraverso le nostre opere, prepararci a qualcosa → le opere hanno
valore.
In base alla riscoperta del pensiero aristotelico, Tommaso rivaluta l’elemento
istituzionale dello Stato. Tale elemento viene posto in una gerarchia e serve per
rinforzare la chiesa cattolica.

L’uomo e la forza delle sue opere permettono che ci sia, nella chiesa cattolica, una
persona che giudichi e amministri i sacramenti (il sacramento principale è quello della
possibilità di aprire o di chiudere le porte del paradiso). Questo fa sì che la chiesa,
rivalutando le opere, sancisca il suo potere e la sua supremazia.

La chiesa esercita il suo potere anche attraverso la scomunica degli imperatori → la


forza della comunica

Tommaso è colui che cristianizza Aristotele e viene definito l’Aristotele cristiano.


É possibile quindi per Tommaso pensare/proporre una conciliazione/armonizzazione tra
fede e ragione. C'è una fede che è razionale e c’è una ragione che può aprirsi alla fede.
Ma quale è il problema? → decidere cosa sia la fede lo fa la chiesa; pertanto si prende il
diritto di dire fino a che punto si può spingere la ragione (è la chiesa che con la sua storia
decide i limiti della ragione).
Lo scienziato, che vuole essere cattolico, deve accettarne i limiti che la fede pone alla
ragione.

In Tommaso, la grazia di Dio non elimina la natura, ossia l’umano stesso non chiude le
porte al paradiso. A differenza di Agostino, per Tommaso il male della storia non annulla
la bontà della natura dell’uomo. L’elemento umano è una via per l’ascensione al cielo.

L’umanità, cercando di migliorarsi, permette il perfezionamento della umanità. La natura


dell’uomo quindi racchiude in sé un principio/essenza che è un telos (fine) → da dove
deriva questo telhos? Deriva dall’essere creature di Dio. È Dio che, creando l’uomo,
mette nella mente dell’uomo questo fine. Dio fa sì che l’uomo di metta in un cammino
ascensionale verso Dio stesso.

Nella storia dell’uomo vi è un ordine finalistico: si introduce l’espressione della


provvidenza: cioè che ciò che ci accade di male ci può aiutare a diventare migliori.
La provvidenza sottintende un'idea di purificazione dell’umanità.

Tommaso ci descrive una gerarchia dei poteri


1. Legge eterna → stabilità da Dio (la fede è unica via per raggiungere la ragione
divina)
2. Chiesa
3. Umanità
Questo si traduce nel cammino ascensionale verso Dio.

Bene comune → lo Stato è comunità di comunità. La famiglia è la culla dello Stato. Quindi
quando si parla di unità dello Stato, si parla di unità d’ordine, o di unità di molteplicità (che
è il bene comune). (Stato meno unitario, ma più differenziato)
Dante Alighieri (1265 - 1321)
(per 10 anni contemporaneo a San Tommaso)

Non conosce il greco quindi non ha la possibilità di leggere i testi greci in lingua originale.
Canto di Ulisse: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti,ma per
seguir virtute e canoscenza” (esiste un seme/germe che spinge l’uomo a conoscere)

→ Importanza della conoscenza che differenzia gli esseri umani dagli animali. Ulisse
sfida le divinità per il suo desiderio di conoscenza ma per Dante è il prototipo dell’uomo, il
modello di essere umano che esiste per conoscere.

Se per gli antichi, Aristotele incluso, negli uomini abita un telos che li spinge ad andare
oltre e ad unirsi ad altri uomini, nel caso di Dante questo telos è la sete di conoscenza.
Gli uomini si uniscono ad altri uomini, stanno insieme, costituiscono polis perché sono
abitati da un desiderio di conoscenza che li spinge a stare insieme e proprio grazie a
questo nasce la politica.
Effetto molto significativo → se la politica nasce per assecondare il desiderio di
conoscenza allora la stessa politica non può essere fine a sé stessa, si piega e deve
servire ad incrementare la conoscenza degli uomini

???? [ Ulisse ha sete di conoscenza, ma questa sete deve stare dentro certi limiti.
Come vengono stabiliti questi limiti alla conoscenza (anche se la conoscenza è alla base
del progredire della umanità)? → i limiti vengono stabiliti attraverso la riscoperta del
rapporto con Dio. Questa riscoperta avviene, anche in Dante, tramite l’accertamento di
sentirsi creature di Dio. L’accettare di essere creature di Dio fa sì che, già dall’inizio, sia
installato nel cuore dell’uomo il germe della presenza di Dio. Quindi l’uomo, per Dante, è
l’impotenza di un essere che può diventare simile a dio, senza però mai sciogliere il
legame di creatura di dio. (Tommaso d’Aquino) ]

Un altro personaggio importante per Dante, oltre a Tommaso, che lo affascina per la sua
testimonianza cristiana è Francesco d’Assisi (11812 - 1226).
Francesco è per Dante il più autentico testimone del vangelo. Dante entrerà a far parte
dell’ordine terziario francescano.

Chi è Francesco per Dante? → l’alter christus, ossia colui che indica l’uomo verso Dio e
che tenta di somigliargli.

San Francesco è molto presente nel pensiero politico di Dante, poiché definisce il papa
ideale come “Veltro” (vedi canto I, Inferno).

In questo periodo viene codificato quello che diventerà il diritto canonico → “Decretali”: è
una lettera firmata da un papa contenente disposizioni giuridiche, riguardanti un caso
singolo, alle quali andava riconosciuto un valore generale).
La chiesa al tempo di Dante sta diventando ciò che Dante stesso proprio non voleva: una
chiesa istituzione, lontanissima dalla chiesa del vangelo
Altra figura che viene messa tra i beati da Dante è Gioacchino da Fiore. Figlio di un ricco
notaio, vive una conversione diversa da quella di Francesco → diventa un teologo e le sue
opere vengono condannate dalla chiesa cattolica. Diventa un monaco cistercense, studia
e viene considerato da molti un eretico.

Dante lo mette tra i beati per il suo stile di vita.


I seguaci di San Tommaso polemizzano ciò che dice ma i francescani spirituali lo
apprezzano.

→ Gioacchino da Fiore parla di uno sviluppo della storia di tipo triadico (tre fasi)
richiamando l’idea della santa trinità. Potrebbe essere l’anticipazione della dialettica
hegeliana. Dante ne è affascinato
- Età del Padre (nel passato prevaleva il padre) e quindi coincide con il Vecchio
Testamento.
- Età del figlio (età di Dante) e dell’incarnazione e quindi coincide con il periodo
della venuta di Cristo e dei Vangeli
- Età dello spirito santo, si supera l’antitesi tra padre e figlio e si vive in armonia tra
Dio e se stessi. Si fa riferimento al Nuovo Testamento

Alla luce di queste tre figure (Francesco, Tommaso, Gioacchino), si può capire
l’atteggiamento di profonda distanza/disgusto che Dante prova nei confronti dei
cosiddetti papi politici (Bonifacio VIII).
Dante era un guelfo bianco → sono dalla parte del papato ma in modo moderato. Vuole
una riforma del papato stesso, una chiesa diversa da quella che è: non condivide la
politica che la chiesa, come istituzione, conduce. Infatti, verranno collocati all’inferno i papi
difensori del potere temporale della chiesa (hanno dimenticato quello spirituale).

La storia dell'umanità, per Dante, è una storia che tende verso l’unificazione del genere
umano. C’è una spinta del genere umano verso l’umanità → è una spinta provvidenziale
perché la provvidenza, ovvero Dio stesso, vuole che l’umanità vada sempre più
unificandosi. Quindi, se questo è il percorso che Dante vuole per il genere umano, ad
intralciare le sue volontà arriva la Chiesa di Roma (afferma che Dante si è allontanato
dalla autentica testimonianza evangelica).

Il cuore del problema → gli umani non hanno più una testimonianza certa nella chiesa
cattolica. Se questa, ossia la chiesa, diventa quindi una controtestimonianza, allora tutta
la società andrà disgregandosi, facendo arrestare il cammino verso la salvezza.

Per Dante, il primo punto è quello di riformare la chiesa cattolica, ma come fare? →
attraverso l’avvento al sommo pontificio di un papa angelico, chiamato ‘il veltro’,
L’umanità è votata, per Dante, all’unificazione. Questa unificazione dell’essere umano è
andata unificandosi nel tempo.
Ma attraverso quale strumento si affermerà l'unificazione? Attraverso la conoscenza e la
virtù, ossia attraverso la filosofia.
Perché questo percorso avvenga, è necessario che vi sia sempre più pace e qualcuno
che la garantisca.
→ Chi è questo qualcuno che è capace di garantirla? L’imperatore, figura idealizzata, la
quale deve essere giusto, libero dai condizionamenti, e libero dagli appetiti.
Si riaccende così in lui la speranza della restaurazione imperiale. Impero → bene ultimo
superiore in grado di mantenere la pace universale (idea sempre presente in Dante) che
coincide con la pacificazione del mondo di Gioacchino da Fiore.
L’imperatore è il monarca universale il cui compito è quello di garantire la pace.
Questo per esempio è da leggersi in un’ottica provvidenziale

Tutto il mondo, che è in cammino verso l’unificazione, raggiungerà la pace universale solo
nel momento in cui si accetterà di essere tutti ugualmente sottomessi al giudizio ultimo
dell’imperatore.
Perché è importante che l’imperatore sia giusto e libero? Perché deve deprimere i conflitti,
le controversie e deve intervenire ogni volta che vi è un conflitto. Si può quindi definire
l’arbitro della società.
Questa società universale non implica la cancellazione di tutte le società particolari, anzi:
la società di questo mondo futuro, arbitrato dall'imperatore, nasce proprio grazie all’unione
di queste comunità/società → in questo senso Dante è aristotelico (Il mondo istituzionale
è per Dante, come per Aristotele e Tommaso, una comunità di comunità in cui vige il
pluralismo).

Questo pluralismo non deve sfociare in conflitti o divisioni. Questa prospettiva è


esattamente il contrario di ciò che avveniva nel suo tempo: Firenze era attraversata da
grandissimi conflitti, fomentati dalla chiesa.

L’imperatore in cui Dante spera è Giustiniano → raccoglie le leggi nel “Corpus iuris civilis”.
Lui è un’istanza di ordine. (importanza dell’ordine, vedi appunti sant’Agostino).
L’imperatore ha un ruolo importantissimo nel permettere a tutti, garantendo l’ordine, di
coltivare il proprio desiderio di conoscenza e pace.
L’ordine è la premessa della possibilità.

Si garantisce la pace attraverso il primato della legge e del diritto. L’imperatore non è
mai al di sopra della legge, ma è un interprete della legge. Le società iniziano a
degenerare quando il diritto e la legge vengono meno. Allora, la storia a cui guarda Dante
è la storia dell’Impero Romano, ossia la massima espressione della monarchia, il quale
si è affermato attraverso un percorso idealizzato che va verso la pax romana. Nel
momento in cui l’impero romano stabilisce la pax romana, momento di massima
espressione dell’ordine e della pace, si possono sviluppare le opere.

La pace si instaura nel momento in cui il potere temporale e la Chiesa accettano di essere
confinati nei loro rispettivi ambiti.
→ Teoria dei due soli (libro della Genesi): viene ripresa l’immagine del sole e della luna.
Sono una interpretazione favorevole al papato, dove la chiesa era il sole mentre l’impero
era luna: si definisce quindi che l’impero riceveva luce dalla chiesa.
Secondo Dante, però, questi poteri devono rimanere separati perché devono soggiacere a
dei poteri che li superano. Il sole e la luna sono, nel loro orbitale, all’interno di un ordine
universale. Quindi la chiesa deve ritornare alle origini in quanto le origini stesse hanno
evidenziato che il potere di Dio non è del mondo temporale. Tale potere invece deve
essere affidato all’imperatore che però può garantire solo l’ordine e non deve interferire
con la spiritualità.
L’imperatore nella visione di Dante è più libero e giusto degli altri e può essere più
libero nella misura in cui è più giusto in quanto deve essere super partes e quindi è giusto
e in quanto giusto viene riconosciuto libero perché si è emancipato/affrancato/liberato
dagli impulsi.
Questa visione viene ad essere capovolta dalla fazione che parteggia per l’imperatore
(ghibellini): forgiano l’immagine quindi dei “due soli”, sostenendo così la parità di dignità
della chiesa e l'imperatore.

Dante, guelfo bianco, riprende questa idea, interpretandola, affermando che, nonostante la
presenza di sole e luna, entrambi sono costretti a piegarsi a quello che sono l’ordinamento
degli astri.
→ entrambe devono sottostare a qualcosa che va al di là, il quale permette che impero
e papato vivano in modo concorde.

Se entrambi, sia sole che luna, si piegano insieme per assecondare l’idea di verità, allora
non ci saranno più conflitti.

Marsilio da Padova (1275 - 1342)


Ancora più spinto, in senso materialistico, Marsilio da Padova è un autore che invece
difende l’imperatore in una visione totalmente materialistica. In una prospettiva
diversa da quella di Dante, individua nell’imperatore l’unico mezzo a cui si può ancorare il
desiderio di pace → “Defensor Pacis” (opera) (1324)

La pace di cui parla Marsilio è una pace di cui hanno bisogno i nuovi ceti mercantili per
svilupparsi e crescere. Per questo si parla di una visione concreta della pace.
Questa pace si rifà a quella nuova configurazione istituzionale, in cui i comuni
rivendicano il primato politico. Perciò, viene meno/svanisce ogni riferimento etico e
ultraterreno.
La sua filosofia politica potrebbe essere definita “Laicista” → vuole un primato assoluto
dello Stato rispetto alla sfera dello spirituale. È uno dei pochi teorici della politica che
chiede una netta divisione tra Chiesa e Stato.

L’imperatore viene definito un legislatore umano, ossia un legislatore che ingloba


elementi che hanno a che fare con la vita concreta degli uomini, garantendo così la pace
(priva di ogni riferimento trascendente/spirituale).

Marsilio da Padova, in una prospettiva diversa da quella di dante, individua


nell’imperatore l’unico mezzo a cui si può ancorare il desiderio di pace. Questo percorso
viene descritto nella “Defensor pacis”, opera pubblicata nel 1324. Anticipa quindi una
visione del tutto laica della società e della politica.
Niccolò Machiavelli (1469 - 1527)
Quali sono le fratture che segnano la modernità?
- lo sgretolarsi della res publica cristiana → sgretolamento sia del potere
dell‘imperatore che del papa.
Questo venir meno del potere causa la formazione dello Stato moderno (da 400
all’800). Lo Stato moderno è uno Stato autonomo che non possiede un superiore.
Viene meno la figura dell’imperatore.

- Quando si parla di Stato moderno si parla anche di un processo che si evolve nel
medesimo tempo in cui vengono meno i privilegi feudali.

- Passaggio da teocentrismo all’antropocentrismo → si parla, quindi, di umanesimo,


per definire la corrente che matura nel 400.

→ E’ in questo periodo che maturano le idee di Machiavelli.


Machiavelli scrive a Firenze (protagonista dell’umanesimo fiorentino) durante la profonda
crisi politica italiana di fine '400: gli Stati italiani, fino allora alleati con Lorenzo il
Magnifico, non erano più in grado di evitare il dominio dei nuovi Stati (Francia e Spagna):
- 1434, i Francesi conquistano il Ducato di Milano. A Firenze si instaura la
Repubblica dei Savonarola.
- 1503-1504, gli Spagnoli occupano il Regno di Napoli
- 1527 l’Italia viene saccheggiata nella Città Santa.

Forte precarietà dell’Italia che si trova frammentata e contesa dagli stranieri.

I libri più importanti di Machiavelli sono “il Principe” e i “Discorsi sopra la prima decade
di Tito Livio”. In essi, Machiavelli cercava di capire il perché della decadenza e cercava i
mezzi per dare stabilità politica all'Italia.
La decadenza, per Machiavelli, si riconduce direttamente all'animo umano, molto abile
ed inventivo, ma quando si tratta di politica oscilla sempre nel binomio ordine-disordine.
Questo perché l'uomo è insaziabile, incontentabile, aspira sempre a più di quello che può
e quindi modifica costituzioni e leggi, creando così instabilità.
→ Quando l’uomo è nell’ordine, cerca altro; quando l’uomo finisce nel disordine
cerca il modo per uscirne.

Questo discorso sulla innata malvagità umana si esprime ne “Il Principe” → Machiavelli
stravolge la politica classica: per lui non ci devono essere teorie scientifiche o metafisiche
su cui basare la politica. La politica si deve basare sui fatti → è la verità effettuale
delle cose e, attraverso la politica, si interpreta la storia.

La politica è lo studio dei mezzi con cui l’uomo si sottrae al disordine e raggiunge
l’ordine, ossia lo Stato.

Machiavelli è il primo ad intendere lo Stato in senso moderno, ovvero come dominio


sopra gli uomini e come forza → solo con la forza si può mantenere l’ordine.
Nella sua visione realistica, Machiavelli non si interessa di problemi teorici, ma cerca di
capire il modo di fondare/conquistare/mantenere uno Stato.
Per Machiavelli esistono due tipi di Stato:
- il principato → dove il potere è unico, ma non per questo assoluto, perché il potere
del principe può essere temprato in altri modi
Per Machiavelli i principati sono di 2 tipi:
- ereditari
- nuovi, i quali si dividono a sua volta in:
- misti, ovvero in parte nuovi e in parte fatti da domini ereditari
- nuovi del tutto, che si dividono ulteriormente in:
- quelli abituati a vivere in libertà con le proprie leggi
- quelli abituati a vivere sotto un principe
- la Repubblica → dove il popolo ha piena autorità e libertà.

I principati possono poi essere conquistati con le armi proprie, o con quelle altrui; con la
virtù o con la fortuna. E, a seconda del principato, esso deve essere governato in un
determinato modo: non esistono regole di governo assolute.
Infatti con i principati ereditari non esistono problemi di governo, se il nuovo principe non
sconvolge del tutto la vita degli abitanti.

I veri problemi sono i nuovi principati, perché dipendono dalla reazione dei sudditi al nuovo
principe. E il principe è costretto quindi per necessità a fare delle scelte, che Machiavelli,
come suo solito, esamina una ad una andando per esclusione e che possono poi portare
alla riuscita ma anche al totale fallimento della politica del principe. E lo Stato, tende a
mantenere stabile il potere e ad estenderlo su altri uomini. Ma appena avviene un
problema all'interno dello Stato, ecco che può subito cadere o modificarsi.

Nonostante questo, Machiavelli è un grande sostenitore della costituzione mista (cara a


Polibio).

Machiavelli ruota intorno alla convinzione che la Politica e la Storia siano caratterizzate
dal conflitto.
La politica, secondo M., si esprime in una lotta continua per il potere. Questo giudizio
negativo ha portato ad una fortuna/sfortuna di Machiavelli → visione negativa dell’uomo,
l’uomo è un attore la cui azione viene spinta dal desiderio di potenza/dominazione.

Machiavelli in pratica studia il rapporto principe-sudditi, e studia le passioni e i


sentimenti che il principe deve incutere ai sudditi per evitare l'odio e la ritorsione. Il
principe deve governare usando le leggi ma anche la forza, deve saper usare bene “la
bestia e l'uomo”. Deve essere in grado di trovare sempre la giusta spiegazione e la giusta
scusa per governare.
→ Machiavelli rovescia totalmente la morale e la religiosità dicendo anche che non è
importante che un principe sia pietoso, ma solo che lo sembri, e che sembri osservare la
religione.

Machiavelli fa quindi affermazioni crude e realistiche che sembrano ridurre la morale alla
politica. In realtà per Machiavelli la politica è l'unica cosa con cui gli uomini sono riusciti ad
uscire dal disordine e a creare l'ordine.

Si parlerà quindi di Realismo politico (definita talvolta come Scienza Politica).


Machiavelli guarda alla realtà dei fatti, piuttosto che alla idea di che cosa la potenza
dovrebbe essere.
Viene meno la visione teocentrica (a differenza del medioevo, il cui riferimento era Dio).
A Machiavelli interessa l’esperienza di vita, il pensiero e la realtà.

Il realismo politico passa attraverso tre autori principali:


- Tucidide
- Machiavelli
- Hobbes

Machiavelli scrive moltissime opere, ma ricordiamo principalmente:


- “L’arte della guerra” (1521)
- “Il principe” (1513, pubblicata postuma)*
- “Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio” **

*La maggior fortuna la ebbe il “Principe”. É una riflessione intorno al principato →


Machiavelli è un teorico del principato, ovvero del regime assoluto (in realtà si parlerà
anche del regime repubblicano).
Machiavelli predilige una forma di governo nel quale si predilige la libertà dei cittadini.

Machiavelli critica l’operato della Chiesa romana → questo fa capire che è un difensore
della tirannide. Dal “Principe’ emerge che Machiavelli difende la forza/la tirannide con il
quale la politica esercita il suo potere. Il principe appare come il detentore del potere
sovrano che, per mantenere il potere, usa metodi illeciti.
→ Sarebbe meglio che il principe fosse buono, ma a volte le virtù non permettono al
principe di ottenere/mantenere il potere → ecco come giustifica la forza e la tirannide.

Per ovviare alla frammentazione del paese, a volte bisogna scendere a compromessi
con il male → il principe deve sapere usare armi che non sono tradizionalmente
considerate lecite/virtuose per mantenere il potere (il principe è sia volpe che leone).

** Nei “Discorsi” appare, invece, il repubblicanesimo di Machiavelli, che guarda alla


storia antica/romana. Mentre nel “Principe” si fa riferimento alla storia di Machiavelli
stesso, nei discorsi Machiavelli fa riferimento a:
- L’esperienza del mondo (empirismo)
- Studio della storia (la natura umana non cambia nel tempo): nella roma classica
machiavelli trova il suo modello del repubblicanesimo → Polibio, colui che celebrò
per primo il modello di costituzione mista (la costituzione mista garantisce stabilità
e la possibilità che Roma si espanda fino a diventare un impero)

Nella costituzione mista:


- Il Senato è l’organo che rappresenta il principio aristocratico
- I Consoli sono gli organi che rappresentano il principio monarchico
- I tribuni della plebe sono gli organi che rappresentano il principio democratico
APPUNTI lezione
Abbiamo detto che Machiavelli ruota intorno alla convinzione che la Politica e la Storia
siano caratterizzate dal conflitto. Conflitto tra popolo e grandi segna sia la Storia romana
(patrizi - plebei) che quella moderna (aristocrazia - popolo).
Mentre il conflitto romano viene valorizzato perché è proprio grazie a quello se si arriva
alla perfezione, ossia alla costituzione mista; quello moderno non garantisce la libertà
dei cittadini, ma dissesta la Repubblica fiorentina e porta alla sua caduta, riportando il
principato dei Medici.
Con i Medici, Machiavelli perde il suo potere di cancelliere.

Machiavelli viene visto come il paladino della unificazione nazionale italiana, poiché nel
“Principe” invita il destinatario ad unire le forze in funzione anti-francese e anti-spagnola.

Machiavelli, proprio nello stravolgere la concezione di politica, fa notare come l'etica e la


religione siano il vincolo originario della politica stessa. Per quanto riguarda l'usare la
forza, la bestia e l'uomo, non vuol dire che lo può fare quando ma solo che può usare la
forza quando necessario, ovvero quando lo Stato è in pericolo.

Questo avviene sempre, visto che Machiavelli ritiene che gli Stati abbiano una vita come
quella degli esseri umani, ovvero che nascono, crescono e muoiono → il cosiddetto
“Naturalismo della storia”. Aveva una visione naturalistica della storia, ma non
deterministica: infatti Machiavelli credeva che gli avvenimenti storici sovrastassero gli
uomini, ma anche che il politico potesse autonomamente inserirsi negli avvenimenti e
modificarli.

Per farlo, il politico deve essere virtuoso, dove la virtù non è quella tradizionale, ma la
capacità di essere prudente e di studiare gli avvenimenti prima di agire secondo un
determinato fine, sapendo cosa si deve e cosa non si deve fare → visone concreta delle
virtù.

No interesse per l'esperienza ultraterrena, ma interesse solo per l'esperienza umana e


terrena.

Oltre alla virtù, però, vi è anche un'altra forza che fa parte della natura umana, ovvero la
fortuna, che è paragonata ad un fiume in piena che straripa quando meno ce lo si aspetta
e può essere arginata solo dagli argini della virtù.

Visto che la virtù è legata all’esperienza dell’uomo, Machiavelli cerca di dare una
definizione di virtù attraverso degli esempi:
- Usare forza per superare le minacce che il popolo potrebbe recare
- Per mantenere il potere non bisogna toccare la roba degli altri

Machiavelli elogia, quindi, la virtù pratica del principe di capire e soccombere in


tempo le minacce.

Qual è insomma il rapporto virtù-fortuna, ovvero politica-storia? Questo avviene non


perché la storia governa gli uomini: Machiavelli crede che la storia non sia predeterminata,
ma perché semplicemente a volte gli avvenimenti storici sono talmente casuali che
nessuno avrebbe potuto prevederli con la virtù.
Machiavelli è infatti convinto che la storia sia fatta dagli uomini e che nel maggiore dei
casi possa essere determinata da essi.
Tutto questo porta Machiavelli ad un sentimento di diffidenza nei confronti della
Chiesa → Machiavelli vede nella Chiesa la causa principale della mancata Unità d’Italia.
La Chiesa non è così potente da permettere L’Unità dell'Italia, ma allo stesso tempo non è
così piccola da poter essere superata per poter permettere a qualcun altro di unificarla.

Si riprende l’idea di principato e Machiavelli evidenzia come ci siano due forme:


- principato francese (vi è un sovrano, ma il suo potere è limitato dai signori nobili
che arrecano minaccia al sovrano stesso)
- principato turco (gli ottomani)

Ci sono pregiudizi nei confronti dell’Impero Ottomano, ma Machiavelli valorizza la forza e


la coesione che caratterizzano tale Impero → il Principe governa e tutti gli altri sono i suoi
servi/sudditi.
Nasce così il dispotismo → uno detiene il potere assoluto e tutti gli altri gli sono
sudditi/servi.

Per Machiavelli, il dispotismo permette stabilità politica e permette al sovrano di evitare


l’insorgenza di malcontenti o fazioni differenti, quindi si evita il conflitto.

I principati sono guidati in due modi


- guidati dal Principe, a cui dipendono i servi
- guidati dal Principe + baroni, a cui dipendono i servi. Meno stabilità dello Stato
poiché i baroni possono interferire nella potenza del Principe e creare fazioni.
I baroni rivendicano la potenza del sovrano.

Jean Bodin (1529 - 1596)


È il teorico dello Stato moderno, è proprio in questo periodo, infatti, che si viene definendo
in Francia una forma di Stato moderno nella sua forma continentale (esiste anche quella
inglese che distinguono tra continentale e non).

Le forme di Stato francese e inglese si oppongono ed entrano in competizione; James I


vorrebbe importare in Inghilterra la forma di Stato francese, ma i sudditi si oppongono
fortemente perché la avvertono come qualcosa di pericoloso per la loro libertà.

La sua opera più importante è “I sei libri dello Stato” (la versione italiana è in realtà
tradotta come “I sei libri della Repubblica”), quando parla di Repubblica intende lo Stato.
Bodin è un giurista cioè uno studioso del diritto e vive in un contesto segnato da
profondissimi conflitti religiosi. Da Lutero parte la riforma protestante ma è Calvino che
prende le distanze dalla Chiesa francese → i riformatori calvinisti sono detti ugonotti.

Una tappa fondamentale di questo conflitto è quella della strage di San Bartolomeo
compiuto dalla fazione cattolica della Francia a spese dei calvinisti che iniziano a pensare
di opporsi al re. Per fare ciò ipotizzano delle forme di resistenza al potere, si parla di
diritto di resistenza.
Quest’idea di disobbedienza viene legittimata da una resistenza organizzata per opporsi
ad un potere politico che non ha rispettato alcuni criteri.

In due due casi si può rivendicare il diritto a resistere:


1. Tiranno ab-exercitio → quando colui che ha il potere politico tradisce un patto; si
ipotizza che quando il re (o il potere massimo del caso) sale al potere sottoscriva un
patto con i cittadini che ha precisi contenuti → un contenuto su tutti è la tassazione,
ovvero il modo in cui i cittadini vengono tassati. Se il re non rispettasse il patto
relativo alla tassazione diventerebbe un tiranno ab exercitio e il popolo potrebbe
rivendicare il diritto di resistenza.

2. Tiranno ab-titulo → colui che non ha sottoscritto nessun patto coi cittadini. è,
quindi, un usurpatore che si è arrogato il diritto di occupare quella posizione. Anche
in questo caso è legittimato resistere.

Dopo la strage di San Bartolomeo, i calvinisti iniziano a pensare a come cacciare il loro re,
che è per loro un tiranno, perché non ha saputo garantire la convivenza civile. Fiorisce
tutta una letteratura detta monarcomaca che si occupa di come destituire il monarca (un
tiranno ab exercitio) che non si è comportato come “il re di tutti” ma come un capo partito
→ egli viene conteStato chiamando in causa un’istituzione già esistente, cioè gli stati
generali. Il re, infatti, ha concluso un patto con gli stati generali ovvero un organo di
rappresentanza dei tre ceti sociali (nobiltà, clero, terzo Stato) ma parte di loro inizia ad
opporsi allo stesso re, di conseguenza nasce il conflitto.

Bodin appartiene al partito dei politici che cerca di mettere d’accordo le due fazioni,
appartiene a questo gruppo perché vorrebbero che il re di Francia fosse “il re di tutti i
francesi” ovvero che sia super partes, che non si schieri, soprattutto nei conflitti religiosi. Si
afferma la necessità di un sovrano super partes → è qui che viene a fondarsi la
legittimazione di un nuovo obbligo politico, un nuovo modo di giustificare l’obbedienza e la
disobbedienza.

Ne “I sei libri dello Stato” prevale l’idea di questo sovrano perché fa leva sul diritto ovvero
sull’importanza delle leggi, un’idea di legge che è super partes; in questo modo, se
attraverso il diritto vengono regolamentati i conflitti, lo Stato sarà capace di essere più
stabile. Lo Stato offrirà il modo di gestire i conflitti e regolamentarli, stabilire chi abbia
ragione e chi torto senza spargimenti di sangue, stragi e uccisioni → lo Stato viene
inteso come giudice.

Bodin, però, non coltiva l’idea di una bontà originaria dell’essere umano, non crede che lo
Stato sia qualcosa a cui si arriva naturalmente, ma è convinto che questo possa
legittimarsi il primato del diritto solo se ha il monopolio della forza → la forza, infatti, è
una caratteristica fondamentale dello Stato (questa non coincide con la forza del singolo
perché se fosse così lo Stato giudicherebbe in base all’impulso vendicativo). Si parla
invece di forza comune che agisce in nome del bene di tutti, in bene della collettività.
→ La forza comune fa suo il criterio della ragione, quindi la legge nasce da una forza
che agisce in nome di tutti, la ragione stempera le passioni.
In questo senso lo Stato è portatore di libertà perché, se legittimo e se si basa sul diritto,
permette ai sudditi di crescere nelle proprie attività e questi non devono più preoccuparsi
di difendersi individualmente perché è lo Stato ad occuparsi di tutto.
Lo Stato si basa anche sulla giustizia che insieme al diritto e la ragione fa sì che lo
Stato sia legittimato → questo è lo Stato moderno.

Per Stato si intende lo Stato giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie
e su tutto ciò che esse hanno in comune fra di loro.

L’elemento fondamentale su cui si basa lo Stato non sono gli individui ma la famiglia → la
famiglia è il fondamento dello Stato, il nucleo originario.
Bodin ci vuole dire che lo Stato porta in sé varie forme di società (è società di società), è
l’ossatura di tutto ciò che racchiude, ovvero un tessuto fatto di relazioni umane che si
strutturano in varie forme, il primo nucleo è quello della famiglia.

La prima forma di forza che l’individuo incontra è quella del pater familia; Bodin
attribuisce un valore politico alla famiglia così da paragonarla anche a livello simbolico
nelle espressioni utilizzate dal re quando si definirà padre della famiglia e chiamerà i propri
sudditi, figli, soprattutto quando chiederà loro un sacrificio come la guerra.

Dopodiché ci sono tutte le altre aggregazioni che lo Stato deve garantire.


Lo Stato di Bodin è uno Stato pluralista e ciò è comprovato dall’altro limite che pone nei
confronti dello Stato, ovvero quella parte della proprietà privata che le famiglie mettono in
comune per fare sussistere lo Stato.

Si coglie la distinzione tra ciò che è pubblico (l’area in cui può agire lo Stato) e ciò che è
privato.
- Per Bodin è un bene che ci sia la proprietà privata perché delimita il raggio
d’azione dello Stato;
- inoltre, attraverso la tassazione si può decidere di costruire spazi pubblici, di
conseguenza, è la leva per definire l’ambito d’azione dello Stato.

Per Bodin chi governa, per imporre la tassazione, dovrà consultare coloro che siedono in
quell’organismo che si chiama Stati generali (fondamentali nella storia di Francia) perché
sono il luogo in cui confluiscono tutte quelle aggregazioni sociali che partono dalla
famiglia:
- Le famiglie
- I collegi (= due o tre persone)
- Le corporazioni
- Le universitas (= comunità che troviamo nelle prime tre)
- Gli ordini
Sono tutte forme di aggregazione sociale che confluiscono negli Stati generali.

Bodin introduce un altro termine, il potere sovrano, ovvero un potere che unifica tutti nello
Stato, il potere che fa sì che lo Stato venga riconosciuto come super partes (attraverso il
diritto tutti devono obbedire) → la sovranità è il vero fondamento dello Stato perché
produce il diritto.
Il sovrano è chi fa la legge e deve rispettare tutta una serie di limiti per non diventare
tiranno, deve rispettare la legge divina, la legge di natura, le leggi fondamentali del regno
di Francia, ovvero la legge salica (legge che regola la successione al trono), la legge
dell'inalienabilità del territorio francese (non può cederlo) → sono tutti limiti del potere di
chi fa le leggi.

Si parla di monarca assoluto (assoluto = sciolto dalla legge), non può pretendere di
sostituirsi a Dio e fare la legge divina, non può neanche modificare la legge di natura ma
può solo emanare la legge positiva (distinta dalla vis coactiva, ovvero dotata di forza
perché per chi la trasgredisce c’è una punizione).
Quando parla di monarca assoluto introduce la distinzione tra forme di Stato e forme di
governo:
- La forma di Stato si stabilisce in base a chi ha il potere di fare le leggi.
- La forma di governo è l’organo che amministra la sovranità quindi il governo,
nell’ottica di Bodin, è meno importante rispetto allo Stato perché non può legiferare.

Secondo Bodin, questo potere sovrano è indivisibile perché non si può dividere tra più
organi il potere di fare la legge —> deve risiedere in un solo organo se no si
alimenterebbe la conflittualità tra vari organi che potrebbero fare leggi diverse tra loro.

Non è ammissibile la forma di Stato mista (di cui parlavano gli stoici, Polibio, Cicerone);
quando si parla di distribuzione del potere all’interno dello Stato, che sia in grado di dar
voce a quella che è la composizione sociale ed economica di uno Stato, bisogna
richiamarsi al modo di governare, che può essere (ed è bene che lo sia) distinto dalla
forma di Stato (es. Stato democratico con un governo monarchico).
Se il potere sovrano non può essere diviso non si può dire lo stesso nella forma di
governo, dove si può fare ricorso a varie forme di giustizia che sono in grado di
rispecchiare la composizione sociale dello Stato.

Il governo può governare secondo tre forme di giustizia:


- La giustizia aritmetica → tipica della democrazia dove prevale l’elemento
quantitativo rispetto a quella qualitativo; il rischio è che non vengano riconosciuti i
meriti.
- La giustizia geometrica o proporzionale → si basa sui meriti, tipica del governo
aristocratico.
- La giustizia armonica → la migliore forma di giustizia a cui possa aspirare l’azione
di governo.

(((Bodin è un giurista; ad un certo punto dopo la strage di San Bartolomeo, gli ugonotti
iniziano a pensare a come delegittimare il re e lo fanno richiamandosi all’idea del patto
perché si tratta di un tiranno ab exercitio; tutto ciò si basa su un’idea di legge di tipo
consuetudinario. L’idea del patto basato sulla legge consuetudinaria deriva dal diritto di
tipo medioevale: non vi era una legge scritta. Bodin ritiene che il sovrano debba ascoltare
gli Stati generali ma nella gerarchia delle fonti del diritto il sovrano che emana la legge
scritta dispone di una fonte del diritto sovraordinata rispetto alla legge consuetudinaria.
Bodin è un difensore dell’idea monarchica assoluta perché è convinto che, attraverso la
figura del monarca, l’unità dello Stato sia meglio salvaguardata perché quest’ultimo non è
mai un tiranno. Si può parlare dell’inizio dell’idea di monarchia costituzionale perché ha dei
limiti dai quali non può prescindere.)))
Thomas Hobbes (1588 - 1679)
L’epoca di Hobbes è caratterizzata da numerosi eventi sconvolgenti.
1588, l’Inghilterra sta per essere invasa dagli spagnoli, i quali possiedono una flotta
potentissima, chiamata l’invencible armada. Gli spagnoli, però, non sbarcano sulle coste
inglesi perché, proprio in quel momento, imperversa una furiosa tempesta, e quindi molte
navi affondano. Il loro intento era di riportare l’Inghilterra verso il cattolicesimo, che in
quel momento si stava avviando verso il protestantesimo.
L’opera spagnola fallisce a causa della tempesta → si pensa quindi che sia Stato Dio
stesso, con la tempesta, a fermarla.

Il XVI secolo è il periodo della riforma protestante: 1534 → Act of Supremacy, ovvero
l'atto grazie al quale Enrico VIII si separa dalla Chiesa di Roma e afferma che il re
d'Inghilterra viene prima del Papa; inoltre, vengono confiscati tutti i beni ecclesiastici.
Prima di questo atto ci fu la riforma luterana, dove Lutero, un monaco agostiniano che
nel 1516 affigge il manifesto nel quale condanna il traffico delle indulgenze.
Nello stesso periodo è presente anche Calvino con la sua riforma protestante, chiamata
Calvinismo).
La differenza tra loro è che Lutero crea una vera e propria Chiesa di Stato mentre Calvino
ritiene che sia la Chiesa che lo Stato debbano essere sottomessi alla parola di Dio ed,
inoltre, per lui il vero tempio è la coscienza dell’individuo.

Prima di arrivare al 1588, prima della morte di Enrico VII, Maria I Tudor, definita anche
Bloody Mary, tenta di instaurare il cattolicesimo attraverso delle stragi.

Successivamente, gli succede Elisabetta I che ripristina quell'atto di supremazia che era
stato abolito da Maria Tudor e finalmente l'Inghilterra si incammina verso il
protestantesimo. Elisabetta rimane sì ancorata all’atto di Enrico VII, ma cerca anche di
conservare il protestantesimo con un atteggiamento di protestante moderata. Così,
all’interno della Chiesa anglicana si forma un partito, l’High Church Party → partito
filo-cattolico: Elisabetta non termina questo partito nostalgico del cattolicesimo, perché pur
sempre anglicani sono.
Però, a differenza loro, ci sono altri partiti che vorrebbero che la Chiesa si emancipasse
totalmente dal cattolicesimo, ossia i puritani, ossia vogliono purificare la chiesa anglicana
dal papismo → essi sono i puritani, una setta religiosa protestante nata nel 1565.

L’high church party simpatizza per il re, dando vita ad un vero e proprio partito della
corona; i cosiddetti tories.
I puritani invece danno voce alla voglia di rivalsa dei ceti popolari che si sentono esclusi
dalla corona.

Sullo sfondo c’è il contrasto tra due forme di Stato moderne:


- L’assolutismo alla maniera dei francesi (di cui abbiamo parlato con Bodin) che si
basa sul primato della legge scritta (Civil Law)

- Il modello inglese che si basa sulla legge consuetudinaria (Common law) che ha
origini nel 1215 con la Magna Carta; al suo interno tutto si basa su dei patti, i signori
feudatari che vanno a contrattare con il re lo fanno per difendere le istanze dei
propri territori di origine.
- Lo strumento politico che hanno per far valere le proprie istanze territoriali e su cui
possono far leva, sono le tasse. Capiscono quindi che così possono reinventare la
contrattazione medievale conservarla e ricollocarla su base unitaria, nel moderno
Stato unitario. Da qui in poi si afferma il motto “No taxation without representation”.

Quindi come si limita il potere del re? Si limita sulla base di patti; il re, con i cavalieri,
accetta di sottostare a dei patti (il re non fa quello che vuole, perché anche lui è legato al
patto). Questa contrattazione si rinnova continuamente e per questo esiste la common
law. Questi patti sono le tasse: il popolo è tenuto a pagare la tassazione e lo Stato è
tenuto a garantirgli la difesa delle proprie istanze territoriali.

Qual è la leggenda su cui si basa questa idea? La leggenda di re Artù e dei cavalieri
della tavola rotonda → ossia l’idea che il re e i cavalieri sono posti sullo stesso piano, ma
Artù è il più saggio tra tutti, perché è colui che sa mediare.
La politica è un cerchio dove è più importante ciò che si discute rispetto alla singola
persona e luogo dove si dovrebbe arrivare ad un compromesso, per mantenere la tavola
unita. Perché ciò accada c’è bisogno di un mediatore, rappresentato dal re, che è il più
saggio perché sa mediare.

Cosa succede quando sale al trono James I? Egli pensa di poter governare senza vincoli,
ossia senza rispettare i patti. Quindi vuole governare da sovrano assoluto, ma alla
maniera continentale, ossia alla maniera Francese → l’antitesi dell'Inghilterra diventa
perciò la Francia.
James, durante il suo regno, aveva cercato di convocare il Parlamento, sede della House
of common (i rappresentati delle località) il meno possibile.

Quindi nasce un conflitto di potere sovrano che si basa sulla contrapposizione tra civil
law e common law.

Nel 1625 James I muore e gli succede Carlo I. Egli continua la politica filo-francese ed
assolutistica di James. Carlo continua a governare come il suo predecessore , affermando
persino di sciogliere il Parlamento. Dopo tale affermazione, un esponente della House of
Commons, Edward Coke, inizia a farsi strada con l'obiettivo di difendere la House of
Common e di obbligare il re a seguire i patti che erano stati stabiliti. Coke abbozza un
documento, che verrà poi approvato nel 1628 → la “Petition of Right”, un importante
documento costituzionale che regola le libertà specifiche del soggetto che non possono
essere violate dal re.
Nonostante questo, Carlo continuerà per 11 anni a non convocare la House of Common.
La convocherà solo un mese, per far finta di dargli un contentino, ma questo servì a ben
poco perché ormai gli animi si erano inaspriti.

Schierandosi apertamente contro l’assolutismo di Carlo I, ecco che arriva Oliver


Cromwell, fervente puritano, che dichiara a gran voce di voler abbattere la diffusa
corruzione di corte, creare un sistema fiscale sottoposto al controllo del Parlamento e di
mirare a una più energica difesa degli interessi nazionali in politica estera.

Nel frattempo, nel 1649 Carlo I viene condannato a morte ed è la prima volta che accadde
nella storia dell’Europa in nome della sovranità popolare.
Dopo la morte del re, nel 1648, scoppia una rivoluzione puritana, dove Cromwell decide
di scendere in guerra con i papisti.
Successivamente viene creato un Consiglio di Stato, soppressa la Camera dei Lord e
proclamata la Repubblica con il nome di Commonwealth, al fine di governare per il
“benessere comune” attraverso l’unione della corona di Inghilterra, Scozia e Irlanda.

Ecco che arriva Hobbes.


Nel 1642 si trova a Parigi dove scrive il “De cive”. In Francia lui si avvicina al pensiero
filosofico francese, in particolare a Cartesio. Studiando Cartesio inizia a pensare di poter
applicare le regole matematiche e fisiche allo studio della psicologia umana.
Così, inizia a pensare alla mente umana, alla psiche dell’uomo, come un qualcosa che si
può spiegare in una chiave del tutto materiale e meccanicistica.

Cosa è quindi che spinge l’uomo ad agire oppure a ritrarsi dall’azione? L'impulso del
piacere o la fuga dal dolore.
Quindi la psiche dell’uomo è un qualcosa sempre in movimento attratto dal piacere
(si avvicina ad epicuro).

Se l’uomo quindi è attratto dal piacere, da cosa l’uomo si differenzia dagli altri animali? La
ragione, ma non la ragione degli stoici o di d'Aquino, ma una ragione calcolante e non
sostanziale. Per Hobbes è una ragione strumentale, l’uomo è un calcolatore, cioè l’uomo
fa ciò che gli conviene di più.

Hobbes è definito il Machiavelli inglese perché quando si parla di politica si deve parlare di
individui concreti, ossia individui che hanno desideri economici.

In questo contesto ciò che viene definito un bene prioritario da Hobbes è la pace, intesa
come sicurezza di svolgere i propri compiti e gli affari in tranquillità. Il protocapitalismo di
Hobbes è basato sull’idea di un individuo possessivo che tenta di arricchirsi
continuamente e solo con il possedere potrà realizzare la sua felicità.

Quindi se l’umanità è questa, Hobbes si immagina i vari passaggi che la compongono.


Il primo step è quello dello Stato di natura, che è il primo Stato che gli uomini incontrano.
In questo Stato gli uomini vivono ognuno cercando di prevalere sull'altro, si sbranano uno
con l’altro perché non esiste qualcuno che garantisca la sicurezza, sono liberi di
perseguire i propri appetiti. Si vive in una competizione costante.
Il sentimento che domina qui è la paura, ossia la paura di non avere la sicurezza di poter
fare qualcosa. Nello Stato di natura non esiste la sicurezza → o c’è guerra o la si teme.
Nessuno si fida di nessuno → condizione di homo homini lupus.

Non si può vivere in questa condizione di costante paura e, perciò, ciò che porta l’uomo ad
uscire da questa condizione è la voglia di vivere in tranquillità → ciò che porta a questa
voglia di vivere è la ragione. Quando si inizia a ragionare se abbia senso continuare a
vivere in questo Stato di paura, ecco che arriva la ragione che, successivamente, ci
predispone alla sottoscrizione di un patto.
Siccome la condizione di natura è terribile e nessuno vuole ritornare in uno Stato di natura,
si sottoscrive un patto, che in realtà ne contiene due:
- Patto di soggezione
- Patto di società

Entrambi i patti costituiscono un patto unico → patto di Unione: vuol dire che la società
non esiste senza lo Stato. Se non c'è nessuno che gli fa rispettare le regole, gli individui si
scannano gli uni con gli altri.

Quale è la caratteristica principale dello Stato? Quella di garantire la sicurezza.


Ma come garantirla? Facendo rispettare la legge.
Come farla rispettare questa legge? Con la punizione

Lo Stato per Hobbes deve garantire il rispetto della legge con la punizione. Quindi gli
individui che vivono senza lo Stato, capiscono che gli conviene che ci sia uno Stato,
perché vi è una sorta di scambio/una sorta di patto reciproco → lo Stato protegge ed in
cambio chiede l’obbedienza. Lo Stato è, perciò, una fonte di obbedienza.
Inoltre gli individui, proprio perché esseri calcolatori, capiscono di non poter rimanere nello
Stato di natura perché, non crescono economicamente, a causa della perpetua
guerra/conflitto

Ciò che però, secondo Hobbes, non esiste è il diritto di resistenza → allo Stato non si
può resistere, tranne in condizioni estreme (ad esempio ordine di suicidio o di
amputazione dello statao). Sono insomma obbligati ad obbedire allo Stato.

Come viene chiamato questo Stato da Hobbes? → si inventa il termine di Leviatano.


Ma, chi è il Leviatano? Un mostro marino che lui trova nel libro biblico di Giobbe, figura
terrificante che deve far sì che si obbedisca.

Con il patto gli individui cedono al Leviatano là propria persona → la persona è l’insieme
dei tutti diritti individuali.

Il Leviatano è il nuovo sovrano, è colui che rappresenta lo Stato, quindi è colui a cui
bisogna obbedire.

Si può quindi dire che Hobbes è contrario alla common law perché ritiene che sia lo
Stato a dover scrivere alla legge. La common law è poco chiara, troppo confusa.
→ Hobbes rifiuta e condanna la forma di Stato mista, proprio perché crea incertezza e
confusione.

Ma quando lui pubblica il Leviatano nel 1651, il re Carlo è stato già ucciso. Cioè in
Inghilterra esiste già la repubblica.
E allora Hobbes passa ad affermare che il potere di fare la legge potrebbe spettare sia al
re che al parlamento. L'unica cosa importante è che il potere di fare la legge non sia
separato (come cost. Mista).

Hobbes, però, rimane filo-monarchico perché, secondo lui, con la monarchia si


garantisce meglio l’unità del potere e del comando.
Infatti, come si può leggere nella sua opera, Hobbes afferma che il Leviatano detiene
tutti i poteri, unificando in lui sia il potere imperiale che papale → il Leviatano detiene
nella mano destra la spada (potere imperiale) e nella mano sinistra il pastorale (potere di
capo della chiesa).
Si può dire quindi che il Leviatano rispecchi ciò che succede con l’emanazione dell’Act of
Supremacy: potere unificato in un singolo, il quale detiene tutte le cariche.

Cosa deve garantire il Leviatano? La sicurezza.


Per garantire questa sicurezza, lui deve garantire il potere commerciale.

Quindi da un lato c’è l’assoluta centralità di comando e l’assoluta obbedienza da parte del
popolo, ma dall’altro non deve interferire nell’economia perché gli deve lasciare campo
libero (perché questo provocherebbe il declino dello Stato)

Allora ci sono una serie di libertà, e non una libertà singola assoluta, che il Leviatano
deve garantire:
- Libertà di commercio con chi si vuole
- Libertà di scegliersi il lavoro
- Libertà di scegliere il luogo dove vivere
- Libertà di scegliere come educare i propri figli

Queste libertà derivano dalla sicurezza, che permettono di sviluppare l’economia.

Baruch Spinoza (1632 - 1677)


Spinoza è un autore che, come Hobbes, Locke, Rousseau e Kant, rientra nel filone del
giusnaturalismo moderno che si chiuderà con Kant.
Siamo nel 1600 in Olanda e la posizione di Spinoza all’interno di questo filone è
particolare perché molto diversa da quella di Hobbes e Locke, mentre sembra quasi
anticipare quella di Rousseau; per qualcuno Spinoza è un autore che può essere ripreso
in riferimento ai problemi attuali.

Spinoza sostiene che le istituzioni politiche abbiano carattere relativo o provvisorio, ma ad


avere carattere di assolutezza non è la chiesa cattolica, ma neanche la sinagoga (egli è
ebreo), ma il principio che lui chiama "la libertà di filosofare", che noi potremmo
definire libertà di pensiero.
→ Spinoza dedica tutte le sue energie alla difesa della libertà di pensiero, contro ogni tipo
di violenza ideologica. La ragione di cui parla Spinoza non è la ragione strumentale di
Hobbes, ma ragione sostanziale: l'uomo non è un'automa, una costruzione artificiale.
Secondo Spinoza, il potere politico cerca il dominio del tempo, l'amor dei
intellectualis cerca l'eternità.

Per questo la ragione di Spinoza è sostanziale, perché ha in sé il germe della divinità,


sviluppandosi la ragione dell'uomo cresce la divinità.

Baruch Spinoza si colloca nella parte dei repubblicani, inoltre vede un nesso tra questo
suo schierarsi da questa parte della repubblica e la libertà di pensiero. Questa libertà di
pensiero lo collega al diritto di proprietà, ciò è una cosa molto innovativa.
Collega la libertà di pensiero all'esistenza stessa dello Stato. → Lo Stato quindi per lui è
libertà di pensiero.

Questa prospettiva così aperta, da parte di Spinoza, è destinata quasi inevitabilmente ad


entrare in conflitto con la realtà dell'epoca; viene infatti scomunicato dalla sinagoga di
Amsterdam e additato come nemico pubblico e dovrà quindi ritirarsi dalla vita pubblica.

Spinoza era per la libertà di pensiero assoluta. Per teorizzare ciò, parte dalla Bibbia ed,
esaminandola, arriva a sostenere che nelle sacre scritture non vi è nulla di incompatibile
con la libertà di pensiero.
→ La parola di Dio stesso non ha altro modo per manifestarsi che quello della ragione
umana, che si esplicita attraverso la filosofia, la cui libertà è l'unico valore assoluto e
sacro.

Vi è un primo importante presupposto: Spinoza sostiene che ogni interpretazione


letterale della scrittura sia falsa, perché influenzata dal tentativo di ridurre le scritture ad
impegni di potere. La parola viva di Dio stesso si riduce quindi al chiedere soltanto una
disposizione d'animo ad operare secondo carità e giustizia (e non per il potere).
→ Fede e ragione viaggiano dunque su binari diversi e indipendenti e non sono destinati
ad entrare mai in contrasto se la fede non è interpretata in modo letterale e se la ragione
non è dogmatica.
Possono congiungersi, svilupparsi, ma in modo del tutto libero.

A ciò, Spinoza aggiunge una rivalutazione delle opere, dell'operare in virtù della carità.
Non vi è alcun motivo per privare il singolo della libertà di giudicare i dettami della fede.
Ciò giustifica l'autonomia della politica nei confronti della religione. La verità razionale
e la sua ricerca risultano essere il perno dell'obbligazione politica per Spinoza.
→ Compito dello Stato (parallelo con Dante) non è quello di abbruttire l'uomo, ma di
creare i presupposti per una fraternità senza terrore, fondata su l'inalienabilità della
ragione umana. → Se dovessimo dire che c'è un sovrano nell'obbligazione politica
spinoziana è la ragione umana.

Nel 1670 pubblica da anonimo “Il trattato teologico-politico”; per illustrare la propria
posizione, Spinoza si serve della stessa Bibbia, è il primo studioso ad analizzare la Bibbia
come un documento storico criticamente. Arriva alla conclusione che Dio lascia l’uomo
completamente libero di pensare ed esprimersi e che l’unica cosa che Dio chiede agli
uomini è quella di comportarsi con rettitudine ovvero con giustizia e carità.

→ Non vi è alcuna necessità di conciliare e tenere assieme la ragione e la fede, cioè


la scienza/filosofia e la religione perché la scienza è già parola di Dio; devono
essere autonomi l’una dall’altra.

In virtù dell’inalienabilità, dice che lo Stato deve essere una fraternità senza terrore, essa
deve essere l'obiettivo della politica. Il trattato teologico parte da uno studio critico della
Bibbia, il trattato politico si dedica allo Stato pensato come fraternità senza terrore che
viene descritta attraverso quattro fasi:
1. Il mondo delle passioni → Spinoza riconosce che le passioni erano state prese in
attenta considerazione da Machiavelli, mentre erano state biasimate da altri autori
della classicità o a quelli che aspiravano ad un ritorno della classicità.
Per lui occorre considerarle non come vizi della natura umana, ma come sue
proprietà caratteristiche.
→ Quando si parla di politica è importante osservare quello che accade per
comprendere perché le passioni sono parte della politica. Deve esserci il criterio
dell’avalutatività, cioè si deve essere valutativi perché la politica è intrisa di
passioni che bisogna capire perché sono alla base delle costruzioni statali.

2. Il sorgere del politico → Se il mondo è fatto di passioni, Spinoza si interroga su


come si possa passare all'insorgere del politico e per quali ragioni:
- Nello Stato di natura non esiste il reato, l’unico peccato che si può
commettere è quello di non osare finché si poteva osare (ovvero
autolimitarsi).
- Nello Stato di natura non esiste la pietas, cioè nessuno è tenuto a
moderare l’amore per sé stessi in virtù di quello per gli altri.
- Nello Stato di natura non esiste la proprietà privata e non esiste il concetto
di giusto e ingiusto.

Questi limiti indicano che non ci si può arrestare allo Stato di natura. Date queste
premesse ne deriva la decisione di dar vita ad un contratto sociale → Spinoza
vuole che si preservi dallo Stato di natura quanto vi era di buono (ovvero
l’autonomia, la quale permette di respingere l'altrui violenza e sopraffazione),
eliminando ciò che era negativo.

Lo Stato nasce proprio per garantire questo, cioè il pieno realizzarsi


dell’autonomia di ogni individuo che già esisteva nello Stato di natura ma che
non poteva realizzarsi perché non esisteva la legge positiva. L’apparente
limitazione del diritto di natura è in realtà il modo per garantire all’uomo una
maggiore libertà. In questo senso per Spinoza la forma di Stato più consona è
quella democratica in cui tutti possono esercitare liberamente il proprio pensiero.

- La via delle passioni o la via della ragione → le passioni per Spinoza solo alla
base di qualsiasi politica. Una volta che lo Stato si è costituito non è che
improvvisamente tutti gli individui diventino buoni, ci sarà sempre una larga
maggioranza di individui che vorranno continuare a comportarsi come nello Stato di
natura. Ecco perché ci parla di due vie per lo sviluppo della conoscenza tipica
dell’essere umano:
- da un lato c’è la via delle passioni delle masse/ della moltitudine che sa
limitare le proprie passioni solo in presenza di qualcuno che glielo impone
- dall’altro vi è la via del saggio, che non ha bisogno che qualcuno gli
imponga di limitare le sue passioni, riesce ad essere autonomo
indipendentemente da ogni costrizione esterna (e quindi non ha bisogno
delle leggi positive).

Tra queste due vie non vi è una gerarchia, lo Stato è una cornice che deve
garantire a tutti la possibilità di diventare saggi, punendo coloro che non sanno
garantire l’autonomia degli altri. Ha anche una funzione educativa perché, se lo
Stato funzionasse bene, non ci sarebbe più bisogno di sanzioni per rispettare gli
altri.
- I limiti della sovranità: il potere politico può applicare tutti i mezzi a disposizione
per governare, senza però ledere il principio per cui è Stato costituito, ossia
l'autonomia del singolo. Il compito dello Stato è quello di garantire
l’eguaglianza e la libertà di tutti, deve impegnarsi a promuovere le virtù
principali, ovvero la carità e la giustizia.

Per Spinoza lo Stato è primo rispetto alla religione → Dio regna sugli uomini
attraverso l’autorità politica, se quest’ultima lo ritiene opportuno. Il limite che lo
Stato non può oltrepassare , anche se l’autorità religiosa glielo chiede, è quello di
comprimere la libertà di pensiero. Lo Stato concede l’esistenza di più religioni ma
nessuna di queste deve limitare la libertà di pensiero.
→ L’individuo è allo stesso tempo sia suddito (quando obbedisce a quelle stesse
leggi che lui ha votato) che cittadino (quando partecipa attivamente).

Alla base di tutto vi è il principio della forza e dell'unione di tutti coloro che hanno
acconsentito alla formazione di un tipo di Stato/di governo. Quella favorita da Spinoza è la
democrazia, che è tale solo se completamente libera ed eguale. Se questo Stato è quello
che deve essere, non è ammissibile alcun diritto di resistenza nei confronti dello Stato
stesso; altrimenti, se lo Stato non è quello che deve essere, succederebbe che si
dissolverebbe o disgregherebbe da solo e non esisterebbe più una comunità politica.

John Locke (1632 - 1704)


John Locke è un autore inserito nel medesimo contesto di Hobbes (Locke nasce alcuni
decenni dopo), i due si conoscono e per una certa parte della vita sono anche amici, ma
quest’amicizia si romperà perché seguono strade diverse dal punto di vista della teoria
politica. Entrambi sono giusnaturalisti, in loro incontriamo gli stessi elementi come lo
Stato di natura, il patto, i diritti naturali, …

Il dissidio tra loro, però, è dovuto al fatto che i due danno risposte diverse al
protocapitalismo:
- Hobbes → protocapitalismo con tendenze autoritarie.
- Locke → protocapitalismo basato su principi liberali. Locke incentra tutto sull'idea
di individuo: non rinuncia alla centralità del concetto dell'individuo e alle libertà alle
quali l'individuo non deve abdicare.

Per Locke esistono dei diritti di natura in nome dei quali la vita nello Stato di natura non è
una condizione di guerra (così come ci viene descritta da Hobbes che, invece, parla di
guerra potenziale). Per Locke l’esistenza dei tre diritti naturali nello Stato di natura fa
sì che quest’ultimo sia una condizione di pace potenziale perché i diritti sono
connaturati negli individui, quindi ognuno di loro può rivendicarli → si parla di diritti
universali. Si trova anche una qualche forma di rispetto per i diritti naturali degli altri.

I tre diritti sono:


- Il diritto alla vita (come in Hobbes)
- Il diritto alla libertà
- Il diritto alla proprietà (che in Hobbes è concessa dal Leviatano)
Quando Locke parla di questi diritti ci spiega che i tre potrebbero essere anche sintetizzati
nel diritto alla proprietà: senza quest’ultimo, infatti, tendenzialmente scompaiono anche il
diritto alla vita e alla libertà.

Locke specifica ciò perché situa questa sua elaborazione teorica all’interno del contesto
inglese dell’epoca dove vivono la Common law e quella struttura di contrattazione continua
tra il re e i sudditi (vedi Hobbes) che trae origine dalla Magna Carta del 1215. Si può
contrattare perché i sudditi pagano le tasse e perché il re garantisce rappresentazione e la
vita agli stessi sudditi.
Locke ammette il diritto di resistenza → viene pertanto qualificato come il fondatore del
liberalismo politico, ovvero dei diritti e riguarda anche la costruzione dello Stato.

In Inghilterra → vicinanza della casa degli Stuart (i sovrani dell’epoca) rispetto alla
Francia (+ matrimonio tra Enrichetta e Carlo I); i due figli di Carlo I, Carlo II e Giacomo II,
scapperanno in Francia dove esiste una monarchia assoluta basata sul primato della
legge scritta (Bodin).
→ Nel 1660, dopo la morte di Cromwell, sirestaura la monarchia in Inghilterra.
Alcuni membri della House of Commons temono che, oltre ad esserci la restaurazione
monarchica, vi sarà anche la restaurazione cattolica, perché? Giacomo II si è convertito
al cattolicesimo.

Gli Whigs propongono la legge di esclusione attraverso cui vogliono impedire proprio
che a Carlo II succeda il fratello Giacomo II per evitare di arrivare ad una restaurazione
cattolica.
Locke fa parte degli Whigs, ovvero i difensori dei diritti della House of Commons → si
definiscono Country Party. Dall’altra parte inizia a formarsi il Court Party o partito della
corte.

Tra i membri della House of Commons c’è Edward Coke che viene chiamato “L’oracolo
della Common law”, come il nome di quella che è considerata la legge del popolo contro
gli abusi della corona. Tale legge, però, viene respinta. Nel 1683 alcuni Whigs arrivano a
pensare ad un complotto noto con il nome di “Rye house plot” e vogliono uccidere Carlo
II e suo fratello Giacomo II. Nel 1685 quando Giacomo II succede a Carlo II, si verifica un
tentativo di insurrezione noto come “Mouth of rebellion”.
Gli stuardi condannano a morte Algernon Sidney che è un esponente degli Whigs e un
amico di Locke. Locke espatria in Olanda dove ci sono molti calvinisti.

→ A questo punto nel 1688-89 si verifica la Glorious revolution o seconda rivoluzione


inglese. La House of Commons decide di cacciare Giacomo II, lo destituiscono e scelgono
un altro re ovvero Guglielmo d’Orange, un principe olandese che ha sposato Maria, la
figlia di Giacomo II (ciò servirà a giustificare quest’azione dal punto di vista dinastico).

In nome dei tre diritti sopracitati, Locke giustifica quello che Hobbes nega, ovvero il
diritto di resistere → gli Whigs, infatti, resistono al re che per loro è diventato un tiranno
quindi è illegittimo.
→ Locke offre una legittimazione all’azione politica degli Whigs che si sono opposti al
re fino a destituirlo.
“Il saggio sull’intelletto umano” è un testo di Locke → l’intelletto umano o ragione è
uno strumento di cui gli uomini si servono per ottenere una conoscenza del mondo
che, però, è per forza parziale e limitata, perché l’uomo non può conoscere tutto (ad
esempio la volontà di Dio). L’uomo deve accettare ciò e, infatti, secondo Locke, il male (dal
punto di vista della politica e se si vuole anche religioso) deriva dal fatto che alcuni non lo
accettino e pensino, invece, di possedere la verità e di imporla agli altri.
Il male è il dogmatismo.

Per Locke la ragione dell'uomo non è una ragione calcolante, così come la pensa Hobbes;
bensì è una ragione sostanziale, quindi una ragione sostanza. La ragione dell'intelletto
umano è quindi un qualcosa di sacro che non può essere violato.
La ragione dell'uomo non è una ragione che fa tabula rasa del passato, non è una ragione
che pretende di ricostruire il passato da zero, non è una ragione astratta → è una ragione
che si coniuga con ciò che esiste.

La ragione immerge l'uomo nell'esperienza, in quello che fa. La mente è vista da Locke
come un foglio di carta bianca, in cui la ragione scrive ciò che la ragione percepisce
dall'esperienza. Quindi non esistono idee innate, tutte le idee si acquisiscono con
l'esperienza.
Locke ci dice che il nostro modo di interpretare il mondo è relativo, perché la mia
esperienza è limitata, non posso assolutizzare la mia esperienza...

Per Locke è un bene che vi sia un confronto di idee perché la conoscenza progredisce
solo attraverso il confronto e, al contrario, si blocca quando incontra qualcuno che
pretende di imporre una verità dogmatica → non esistono idee innate
(innatismo-dogmatismo).

Se per Locke si può parlare di cristianesimo, ma si parla di cristianesimo ragionevole, non


dogmatico. Così arriva a dire che la libertà è un diritto naturale. Nello Stato di natura, la
libertà e la vita (Locke è considerato il padre del liberalismo) sono agganciate all’idea di
proprietà, una proprietà che mi consente di contrattare con il re ed eventualmente
resistere.

Locke ci descrive cosa accade nello Stato di natura in riferimento a quella che è
un’evoluzione dell’idea di proprietà: il diritto di proprietà nello Stato di natura
inizialmente viene ad essere legittimato perché si fonda sul lavoro, ovvero ciò che mi sono
guadagnato con il lavoro; ad un certo punto, succede che quelli che si erano guadagnati il
diritto di proprietà iniziano ad avere più soldi di quelli che gli servono perché viene
introdotta la moneta (la svolta), quindi possono arricchirsi semplicemente investendo il
proprio denaro e non facendo niente dal punto di vista pratico.

La proprietà non coincide più col lavoro.

→ Locke ci dice che nello Stato di natura si verifica un passaggio dall’economia reale
(economia basata sul lavoro dove i protagonisti sono i lavoratori) all’economia finanziaria
(dove i protagonisti sono i possessori di denaro che possono prestare = le banche);
questo è il passaggio che fa sì che la pace diventi sempre più precaria perché nello Stato
di natura viene sempre meno un’idea di giustizia.
Cosa manca in questo Stato di natura? Per Locke mancano tre cose:
- Una legge fissa che derivi da un accordo di tutti.
- Un giudice cioè qualcuno che sia davvero imparziale e quindi in grado di redimere i
conflitti.
- Una forza coercitiva in grado di far rispettare le sentenze del giudice.

Questi sono i tre poteri grazie a cui si viene a fondare lo Stato: il potere legislativo, il
potere giudiziario e il potere esecutivo.
Come si definisce la costruzione dei poteri nell’ambito della monarchia costituzionale?
I tre poteri di cui parla Locke sono:
- Il potere legislativo, diviso tra
- House of Commons, potere più importante
- House of Lords
- Re
- Il potere esecutivo, al re spetta anche il potere esecutivo (nomina i ministri che
compongono il governo, il Cabinet)
- Il potere federativo, che riguarda le relazioni internazionali cioè i rapporti con gli
altri stati.

Il potere giudiziario è un potere che ha a che fare con la traduzione in legge di quello che
è il percorso della legge consuetudinaria; la common law.

La monarchia costituzionale, come la vede Locke, ha molti più vincoli della monarchia
assoluta di Bodin perché nella monarchia inglese prevale la visione contrattualistica che si
basa sulla Common law e dove il re non ha potere di fare la legge positiva, al contrario del
re della monarchia francese (ciò porterà allo scontro tra il Court Party e gli Stati generali
nella Rivoluzione francese).

Montesquieu (1689 - 1755)


La Francia di Luigi XIV voleva una monarchia di diritto divino.
Montesquieu trova ispirazione nella polemica nei confronti della monarchia assoluta di
Luigi XIV come forma di governo che contrasta le tradizioni politiche della Francia e degli
stati europei.
→ La libertà è il bene che ci fa godere di tutti gli altri beni.

Montesquieu scrive “Lo spirito delle leggi”. Le leggi sono analizzate con riferimento alle
manifestazioni della vita sociale. Sono 32 libri distinti in 6 parti:
- Le prime due trattano temi politici come le forme di governo e la monarchia
costituzionale fondata sulla divisione dei poteri e sulla libertà politica del cittadino.
- La parte terza illustra i rapporti tra la legge e il clima, l’ambiente e lo spirito
generale della nazione.
- La quarta si riferisce alle leggi che attengono al commercio, alla moneta alla
popolazione.
- La quinta esamina i rapporti tra legge e religione.
- La sesta studia le origini e la formazione delle leggi.
Il concetto di legge deve essere fondato sul principio che ci consente di intendere il
diverso, il particolare ed il generale. Le leggi sono la manifestazione di un ordine
articolato che si fonda sulla natura delle cose. Sono i rapporti necessari derivanti dalla
natura delle cose.
Le leggi positive, poste dalla ragione dell’uomo che a differenza del mondo fisico e degli
animali è capace di formulare le regole per il suo comportamento. L’uomo è sottoposto alle
leggi divine e a quelle della natura.

La società è un fatto naturale e l’uomo deve costituirla. Nello Stato di natura l’uomo
non ha una ragione attiva, ma solo la facoltà di ragionare: è dominato dall’istinto di
conservazione, consapevole della propria debolezza, dell’avvertenza dei bisogni, del
desiderio di comunicare con i suoi simili. Dalla famiglia si generano i gruppi sociali primari:
le genti, tribù, villaggi. Il gruppo implica la coordinazione delle attività di più individui per il
perseguimento di scopi che non possono essere raggiunti dai singoli.

La formazione di gruppi sociali distinti, la necessità di provvedere ai conflitti pongono le


premesse da cui scaturiscono i 3 tipi di diritto:
1. diritto delle genti: regola i rapporti tra le diverse società
2. diritto politico: disciplina i rapporti tra governanti e governati.
3. diritto civile: regola i rapporti tra gli individui

Il diritto è formato dalle situazioni in cui vengono a trovarsi gli uomini.

L’area della politica che si riferisce allo Stato è determinata


- dal confluire delle forze particolari nella forza generale,
- dai rapporti tra le forze particolari, cioè gruppi sociali minori nei quali è inserito
l’individuo.

L’unione delle forze particolari richiede anche l’unione della volontà dei singoli che
determina la formazione dello Stato civile, della società civile, distinta dallo Stato, che è il
presupposto del diritto civile, distinto da quello politico. Questo si fonda sulle forze
particolari, cioè su gruppi sociali minori, il diritto civile sulla volontà degli individui.

La legge è la ragione umana in quanto governa tutti i popoli della terra. E le leggi
politiche e civili sono casi particolari in cui questa ragione umana si applica: cogliere il
nesso che unifica tutte le leggi rispettandone le particolarità, stabilire le relazioni fra esse e
quelle con l’ambiente, con i popoli, la storia, significa intendere lo spirito delle leggi.
Le leggi ↴
- devono essere adatte al popolo per il quale sono fatte;
- devono essere in rapporto con la natura e con il principio di governo costituito;
- devono essere in relazione col carattere fisico del paese;
- devono essere in rapporto col grado di libertà che la costituzione è capace di
sopportare, con la religione degli abitanti, le loro disposizioni, la loro ricchezza, il
loro numero.

Finalmente esse hanno relazioni reciproche tra loro.

Esse nel loro insieme formano lo spirito delle leggi.


Nella prima parte l’analisi viene finalizzata al problema della libertà politica che è
definita con riferimento alla sfera di autonomia e indipendenza di cui può godere
l’individuo.
→ La libertà coincide con le leggi positive nel senso che il diritto delimita la sfera di
azione dell’individuo nella società.
La libertà è il diritto di fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare
ciò che le leggi proibiscono non sarebbe più libero perché tutti gli altri avrebbero anch’essi
lo stesso potere. Noi siamo liberi perché viviamo sotto leggi civili.
La libertà deve essere riferita alla sfera patrimoniale che diventa la pietra angolare sulla
quale si basano tutti i rapporti della società civile. Acquistano importanza le leggi che
disciplinano la sfera patrimoniale. Devono consentire a ogni individuo di accedere alla
proprietà. La proprietà appartiene alla sfera del diritto civile e quindi non può essere
regolata dal diritto politico. Nessuno può essere privato dei suoi beni sulla base della legge
politica.

La libertà implica anche la sicurezza dei cittadini, assicurati dalle leggi con cui vengono
tutelati i beni personali fondamentali: la vita, l’onore, il patrimonio.

Esistono, per Montesquieu, 3 tipi di governo e quindi 3 costituzioni:


1. repubblica: si ha quando il potere sovrano appartiene al popolo e può essere
aristocratico (sovranità ai nobili) o democratico (sovranità a tutto il popolo).
2. monarchia: il potere è di uno solo, che però governa secondo leggi fondamentali
che disciplinano e delimitano il suo potere
3. dispotismo: il potere appartiene ad uno solo che governa a suo arbitrio.

La natura del potere sovrano deve essere distinta dal principio di ciascuna delle tre
costituzioni. I principi sono:
- Per la repubblica democratica, il principio è la virtù.
- Per la repubblica aristocratica, il principio è la moderazione degli appetiti.
- Per la monarchia, il principio è l’onore ovvero il pregiudizio relativo alla difesa di
ogni persona e condizione; ogni nobile si difende quindi si tratta di un bilanciamento
delle forze in campo.
- Per il dispotismo, il principio è la paura cioè il despota vive finché tutti ne hanno
paura; se tutti sono eguali sono eguali nell’avere paura del despota.

La monarchia è la forma di governo basata sulle leggi fondamentali che riflettono


una società gerarchizzata e articolata e strutturata in una molteplicità di ordini. I
poteri intermedi costituiscono la natura del governo monarchico. Lo Stato è più saldo, la
costituzione più incrollabile, la persona dei governanti più sicura.
La monarchia è caratterizzata dall’esistenza dei corpi intermedi che si pongono tra i
cittadini e chi detiene il potere impedendo a quest’ultimo di raggiungere il cittadino.

Tra i poteri intermedi il più importante è la nobiltà formata dall’aristocrazia di sangue e


dall’aristocrazia minore cui apparteneva la nobiltà minore.
La politica si propone fini che possono essere conseguiti con la coordinazione di una
molteplicità di provvedimenti e azioni i cui risultati impegnano più generazioni. La vita
degli stati e dei popoli deve svolgersi in una unità.
La politica non è fatta dagli individui ma dalle istituzioni, cioè dagli individui connessi
agli interessi generali e permanenti di una determinata collettività che sono in grado di
esprimere le caratteristiche peculiari di un popolo.
Gli interessi dello Stato possono essere garantiti solo salvaguardando i principi formatori
delle leggi fondamentali.
Ma perché ciò sia possibile → occorre che ci sia nello Stato un deposito delle leggi che
le conservi e le faccia valere. Questa funzione non può essere assolta da un monarca
perché è un individuo e quindi una volontà mutevole che può diventare arbitraria.
→ Deve essere assolta da un potere intermedio, la magistratura.

Affinché il potere non esca dalla sfera che gli è propria deve essere mantenuto nei limiti da
un alto potere che gli si contrapponga.
La forma di governo che offre maggior libertà è la monarchia moderata, temperata dalle
leggi fondamentali. La sovranità deve essere distinta in 3 poteri:
- esecutivo,
- legislativo,
- giudiziario.
Questi poteri sono tali in quanto sono attribuiti a tre distinti ordini sociali.
Possono controllarsi a vicenda contrapponendosi a chi tenti di sopraffare l’altro.

Il dispotismo si attua quando nello stesso organo si concentra il potere di fare le leggi,
eseguirle e giudicare.

Nello Stato costituzionale


- alla monarchia viene attribuito il potere esecutivo,
- all’aristocrazia e al popolo quello legislativo,
- all’aristocrazia di toga il giudiziario.

Per Montesquieu vi è un unico modello ovvero il sistema britannico dove


- la prima controforza che limita il potere del re è la nobiltà stessa che non deve
essere asservita al re;
- altre forze che limitano il re sono il clero, i parlamenti, i territori e le città, dove il
commercio è florido e quindi possono permettersi di opporsi al re.
Da questi bilanciamenti, può uscire rafforzata la libertà politica della monarchia.

Inoltre, in Inghilterra si realizza la forma di stato più avanzata per Montesquieu, cioè
la forma di stato mista perché ci dice che il potere sovrano nella monarchia
britannica viene esercitato da più organi istituzionali che sono in competizione l’uno
con l’altro: il potere legislativo viene esercitato dalle due camere (House of
Commons e House of Lords) e quindi è suddiviso tra popolo e nobiltà, inoltre, viene
esercitato in piccola parte anche dal re.
→ er questo per Montesquieu si può parlare
di forma di stato mista.
Jean-Jacques Rousseau (1712 - 1778)
Rousseau morirà dieci anni prima dello scoppio della Rivoluzione francese (1789).
I pensieri politici di Rousseau e Montesquieu si pongono su versanti opposti, soprattutto in
riferimento ad una questione, ovvero quella della democrazia rappresentativa:
- Montesquieu è favorevole ad una monarchia costituzionale sul modello inglese ,
ossia l’emblema dei regimi rappresentativi.
- Rousseau sta dalla parte della democrazia diretta ed è un critico del regime
rappresentativo.

Rousseau sarà definito il paladino della democrazia senza rappresentanza.

Egli pubblica nel 1750 il “Discorso sulle arti e sulle scienze” in risposta al bando del
concorso indetto dall'Accademia di Digione sul seguente tema: «Se il risanamento delle
scienze e delle arti abbia contribuito a purificare o a corrompere i costumi.»
Nel frattempo, si inizia ad avere fede nel progresso → gli illuministi iniziano a dibattere su
questo stesso tema e credono che con la diffusione delle credenze scientifiche si possa
favorire il progresso.

Rousseau sostiene esattamente il contrario → le arti e le scienze, via via che si


avvicinano alla perfezione, provocano il corrompimento e la decadenza dei costumi.
(Sembra un discorso analogo a quello di Locke quando dice che l’affermarsi del
capitalismo corrompe la società di natura.)
Il lusso per Rousseau si lega ad un sentimento negativo, ovvero quello della vanità
personale, che porta alla degradazione dell’amore di patria per il bene comune.

Il progredire delle scienze e delle arti porta ad aggravare l’ineguaglianza: ci sono alcuni
che godono di queste arti, mentre gli altri sono sempre più marginalizzati. (Come l’odierno
gap tecnologico) Questo problema dell’ineguaglianza va risolto alla radice, se no ci si
troverebbe di fronte ad un progressivo allontanarsi dall’eguaglianza → una regressione
nella progressione.
Si pone quindi il quesito sull'origine dell’ineguaglianza e se essa è giustificata dalle
leggi di natura.

Per questo, bisogna partire dal chiedersi come vivono gli uomini nello Stato pre-politico,
ovvero quello di natura. → Per Rousseau, il mito del progresso può portare ad
accrescere il livello di diseguaglianza. Egli ci descrive una serie di fasi attraverso le quali
questo processo di degradazione dell’uomo si sviluppa e afferma:
- naturale o fisica (= differenza di età, di forze, differenti doti dello spirito di
ciascuno, che hanno meno peso di quanto ci si aspetta)
- dovuta allo strutturarsi in un modo o nell’altro della società (= differenza politica,
economica, sociale, che ha più peso)
→ l’uomo dovunque metta mano rischia di rovinare, di compromettere quello che era
Stato in origine e recupera l’idea dello Stato di natura (condizione in cui l’uomo viveva
prima che si avviasse questo processo degenerato). Questo uomo è l’uomo
pre-illuminismo che esiste a prescindere da quella degenerazione che è innestata dal falso
mito del progresso; → il paradosso sta nel fatto che l’uomo si degenera pensando di
perfezionarsi.
In una di queste fasi compare la proprietà privata e compare nel momento in cui esiste
qualcuno che, recintato il terreno, dice che quel territorio è suo mentre dall’altra parte
devono esserci persone abbastanza ingenue da credere che quella stessa persona abbia
un diritto di proprietà su quel territorio. → In quel momento si fonda la società civile così
come la si conosce; questo avviene in seguito alla rivoluzione dell’agricoltura e
successivamente la rivoluzione dei metalli (l’età del ferro) attraverso cui, iniziano ad
esserci delle persone ricche che possono comandare e non lavorare.

La società è frutto di un processo crescente di diseguaglianza, e questo ne è il


momento culminante, che ingloba tutte le altre. Qualsiasi forma istituzionale si costituisca,
ci si troverà di fronte ad una nascosta o esplicita tirannide, ossia un dispotismo.
→ Rousseau è radicale perché è radicale la sua contestazione della società dell’epoca.

Per recuperare i caratteri dell’umanità originaria, eguale e solidale, occorre una


profonda riforma non solo economica o politica, perché la disuguaglianza deriva dal modo
in cui s’intende l’uomo. Per questo scrive un trattato di pedagogia chiamato “L’enigma”.
L’assenza di pietà porta i più ricchi ad un patto con i più poveri.

Le premesse morali di questo contratto sono false perché questo contratto sancisce
l’assoluta diseguaglianza. Rousseau s’interroga su come sarebbe un vero contratto da
contrapporre a quello falso.
Si oppone ai luministici (Voltaire), considera inscindibili progresso tecnico-scientifico e
degradazione della società. Per questo scrive il testo “Il contratto sociale” in cui esprime
come dovrebbe essere il vero contratto.
A poche settimane esce anche “L’Emilio” sempre di Rousseau che pensa che le riforme
politiche debbano prima essere riforme antropologiche perché non ci può essere
rivoluzione senza una rivoluzione a livello dei valori dell’uomo; ogni rivoluzione che si
allontani da questo aspetto è destinata a fallire.

Il contratto sociale è il contratto come dovrebbe essere → esso si basa sull’idea della
riscoperta dell’unità del genere umano. Il corpo politico funziona al meglio se è unito:
così come la volontà dà una direzione al corpo umano, lo stesso deve accadere nel corpo
politico che agisce come un solo uomo se ha una volontà unitaria.
Questa volontà unitaria viene chiamata volontà generale e per Rousseau è l’elemento
che sostanzia il corpo politico, ovvero questo agisce bene finché è in sintonia con la
volontà generale.

La volontà generale è la volontà che il corpo politico dovrebbe avere se sa individuare


analiticamente quello che è il vero interesse comune.
→ La volontà generale è un atto della pura ragione o intelligenza intenta a ragionare
mentre le passioni tacciono. Rousseau si oppone al termine particolarismo, cioè
l’egoismo individuale che induce alla sopraffazione degli altri, a servirsi degli altri.

La volontà generale è la volontà universale ovvero quella che elimina ogni traccia di
particolarismo appunto.

Questa volontà è un mito, non è qualcosa di concreto o calcolabile in modo esatto; l’unico
criterio che Rousseau accetta è che tutti si possano esprimere liberamente.
→ Tutti i membri dello Stato devono sottoscrivere il patto o contratto attraverso cui si
uniscono accettando di farsi guidare dalla volontà generale, appunto, il principio guida.

Rousseau non basa la sua teoria sul popolo o sulla nazione, bensì sulla ricerca della
volontà generale, cioè dell’interesse comune, che si traduce in norme generali ovvero
leggi.
→ L’unico luogo in cui le leggi si possono manifestare legittimamente è il popolo
ovvero il mito del popolo in assemblea.

Il fine di Rousseau è l’interesse comune, mentre il mezzo sono le leggi che sono fatte
dall’assemblea del popolo; il criterio per giudicare se le leggi sono congrue, cioè adatte ad
esprimere l’interesse comune, è la volontà generale.
→ Rousseau non delinea il popolo come la nazione, ma lo definisce come l’insieme di tutti
coloro che hanno sottoscritto il contratto sociale.

Rousseau (teorico dell’assolutismo democratico) riprende la concezione di Bodin (teorico


dell’assolutismo monarchico); Rousseau pensa che il potere di fare le leggi debba
essere esercitato direttamente dal popolo. Quest’idea presuppone la distinzione con
l’altro potere ovvero quello esecutivo, il potere del governo. Il governo deve solo essere
mediatore tra quello che è il bene comune (che si esprime attraverso l’assemblea di tutti i
cittadini che legiferano), i sudditi e il sovrano; vi è anche qui la doppia interpretazione
politica in quanto il singolo è sia suddito che cittadino.

Come si istituisce il governo?


Il governo non richiede l’unanimità per essere costituito (al contrario del contratto), ma
basta una legge che scelga la forma che può avere il governo, una legge che viene votata
a maggioranza.
→ Il problema è di trovare una forma di Stato che ponga la legge al di sopra dell’uomo ma
voluta da tutti. La finalità di Rousseau è di rendere gli individui più liberi di quando non
sarebbero stati in una condizione di falso contratto; il contratto dovrebbe essere all’inizio
basato sull’unanimità del consensi, ma una volta che si è dato vita al corpo politico, da li
varrà sempre la regola della maggioranza. Proprio per questo, Rousseau verrà molto
criticato perché è un’incongruenza, egli dice che le leggi sono per tutti ma sono anche
votate a maggioranza (chi è in minoranza deve quindi “convertirsi” perché tutti devono
obbedire alla legge).

→ Qualcuno ha imputato a Rousseau il totalitarismo. Rousseau ritiene che la sovranità


non possa essere rappresentata, alienata (ceduta a qualcun altro) e soprattutto non può
essere divisa, è indivisibile e quindi si dichiara contrario ad ogni forma di Stato mista
(perché il potere di fare le leggi non può essere diviso).

Rousseau si scaglia contro il modello Inglese, è degenerato perché è corrotto in


quanto fondato sulla rappresentanza politica; i deputati non possono essere rappresentati
dal popolo, ma solo dai commissari. Il popolo inglese è libero solo quando vota, dopo è più
schiavo di prima.

La legge è sacra, è infallibile e assoluta (legge scritta).


Vico
È iun autore che ha molto in comune con burke. Verrà ripreso da Isaia berlin. Perché vico
si ricollega a burke? Perché entrambi contestano la nozione di ragione antistorica, quel
concetto di ragione tipica della cultura illuministica francese. Esiste una ragione che possa
fare tabula rasa del passato, della dimensione storica.

Cosa ci dice vico? È napoletano, di umili origini e che viene irvalozziato dopo circa due
secoli. Perché rimane nascosto per due secoli prima di essere scoperto da berlin nel XIX
secolo? Perché contesta l’idea di ragione che pretendeva di ridisegnare il mondo, quindi
anche a politica. Vico si trova immerso in un contesta particolare, Perché Napoli è
estremamente problematica ma anche molto vivace dal punto di vista culturale. Qui
arrivano le prime influenze illuministiche. In particolare, arriva Bernardo tannucci che cerca
di ridurre il potere della chiesa cattolica, poiche a napoli vi era un conflitto tra un certo
ramo dei Borboni e un ramo spagnolo (vinceranno) su chi debba mantenere il potere.
Bernardo talucci era spagnolo ed inizierà a cercare di contenere una certa concezione del
rapporto tra religione e politica in cui la religione rivendica il suo primato.

Per questo vico viene nascosti, poiche definito difensore dei privilegi dei reazionari.
Vico sostiene un principio innovativo, cioè quello in base al quale la ragione non può
separarsi dalla fantasia dei popoli, o dalla religione.
Cosa fa quindi vico? Scrive la scienza nuova che si suddivide in tre parti (1723-1744), ma
la questione fondamentale è quella di non dividere mai la fantasia dalla religione.

Il popolo è vivo, ha in se la forza per svilupparsi e crescere. Ma il popolo è fantasia.

Fantasia e religione inducono il popolo a svilupparsi e la ragione si innesta sulla fantasia e


sulla religione, cioè non vi è, secondo vico, un motivo di opporre la regione alla fantasia.
Allora, lui afferma che la storia dei popolo, essi crescono e progrediscono ma partendo
proprio da ciò che è piu disprezzabile ed indegno. Si sviluppano a pastore dalle passioni e
dalla sensualità. Arriva addirittura a polemizzare cartesio, perche usa la ragione
matematica come un metodo di giudizio universale e quindi taglia fuori l’uomo.

Contraddicendo questa idea di ragione matematica, che si poneva quindi come scienza
—> la vera scienza non è questa, non sono le materie scientifiche, bensì la storia.

Perché a storia? Nella storia ed attraverso il suo studio si scopre ciò che gli uomini hanno
fatto, quindi gli uomini indagano e studiano ciò di cui sono autori. Le altre scienze sono
quelle meno scientifiche perche non sono gli uomini ad aver fatto la natura.
—> la storia è fatta dagli uomini.

Vico afferma inoltre che quando gli studi umanistici vengono meno, viene meno anche il
rispetto degli studi politici. Si tratta di ripartire da quello che si nasconde dietro le parole.

Riparte da socrate, per scoprire cosa si cela dietro le parole. Una scienza che vico studia
è la giurisprudenza basato sulla common law, dove il diritto è fatto di un sapere
accumulato nei secoli.
Come avviene la separazione tra fantasia e ragione ed il venir meno della politica?
Avviene nel momento in cui la ragione pretende di essere autosufficiente.

Vico, per spiegarci lo processo in cui si ha questo impasto tra fantasia ragione e religione,
prende le mosse da Sant’Agostino e l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di dio, il
cìqueìale è sapienza, volontà e potenza (ragione, volonta e forza x l’uomo).il problema
nasce dall’auto suffissa dell’uomo, perche per l’uomo la volontà pretende di asserire la
ragione. L’uomo per vico, pensando si diventare più potente, si immerge nei sensi
diventando meno razionale. Chi cede alla volta di dominio, cede alla libertà di impulsi,
cede ai suoi appetiti che non riesce a controllare.

Parti perse

Gli uomini iniziano un percorso, iniziano a pensare ne ci siano delle divinità nella natura.
Essendo che vi sono delle divinità che camminano attraverso il fulmine, iniziano a tenere a
freno la a loro bestialità. Il terrore religioso provoca il rispetto del pudore.

Maschi e donne iniziano ad unirsi—> nascono i matrimoni.

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