Filosofia della giustizia
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Non vengono offerte soluzioni occasionali, ma discusse questioni fondamentali nella teoria politica e giuridica. In primo luogo, cosa sono i diritti, perché esistono, a chi si dirigono, quali sono i limiti e i confini logici della loro ragion d’essere. In secondo luogo, cosa è l’eguaglianza, quando è possibile parlarne a buon titolo, e in quali modi ha senso parlarne di fronte alle complesse e laceranti diversità dei fenomeni sociali. In terzo luogo, quali sono le vie maestre per orientare il pensiero verso la percezione di una società giusta.
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Anteprima del libro
Filosofia della giustizia - Fabrizio Sciacca
Premessa
Questo libro raccoglie i frutti di mie ricerche che da anni vado compiendo sui grandi temi della filosofia della giustizia. Si è arricchito degli spunti che, in maniera sempre nuova e sorprendente, ricevo dagli studenti. Da tanti amici e colleghi ho beneficiato di momenti di confronto e discussione. Devo almeno qui ricordare gli studiosi che lavorano insieme a me nel dipartimento: Vincenzo Maimone, Paola Russo e Alessandra Spano che mi hanno, con le loro stimolanti osservazioni al manoscritto, fornito ulteriori occasioni di riflessione; Maria Rosaria Vitale, per il suo importante lavoro di predisposizione di parte del materiale di studio e di revisione del testo, e per le preziose conversazioni sugli argomenti affrontati.
Gravina di Catania, 15 aprile 2020
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Teorie dei Diritti
1.1 Valori ultimi
I diritti sono valori ultimi. Come tali non si giustificano, ma si assumono; non devono essere giustificati, ma vanno protetti; questo non è un problema filosofico, ma politico¹.
Questo lavoro assume come punto di partenza l’importanza e l’urgenza ancora attuali del mònito di Bobbio, ma coltiva la convinzione che proprio per proteggere un valore ultimo occorra riempirlo di significato e di senso. Il significato dei diritti è, per così dire, la questione teorica dei loro fondamenti. Il senso dei diritti, quella pratica della loro giustificazione².
I diritti dichiarati assoluti nell’universo giuridico settecentesco, come la proprietà sacre et inviolable, vengono sottoposti a radicali limitazioni nelle dichiarazioni contemporanee. Sempre nel Secolo di Lumi, i diritti che sono menzionati nelle dichiarazioni non accennano assolutamente ai diritti sociali, ormai annoverati in tutte le più recenti dichiarazioni. Non vi sarebbe da stupirsi se, andando più avanti, nuove pretese già oggi rivendicate, quali la rivendicazione del diritto a non portare le armi contro la propria volontà o il rispetto della vita degli animali non umani al pari di quella degli esseri umani, domani diventassero diritti.
Viene peraltro spontaneo pensare che i diritti, nella loro accezione generale, non siano facilmente considerabili universali, perché cambiando le società e i tempi cambiano anche le esigenze.
Nel processo di trasformazione dei diritti, è utile riflettere innanzitutto su un mutamento radicale che li ha riguardati: il passaggio dai diritti naturali (natural rights), insiti nella natura dell’uomo, ai diritti umani (human rights), diventati oggetto di dibattiti interminabili³.
Nella sua tanto celebrata quanto paradigmatica opera L’età dei diritti, Bobbio enumera quattro differenti tipologie: diritti di prima generazione (diritti naturali di derivazione lockiana), seconda generazione (diritti sociali), terza generazione (una categoria ancora troppo eterogenea) e quarta generazione (riguardanti la ricerca biologica che permetterà manipolazioni del patrimonio genetico degli individui).
I teorici dei human rights ripetono l’errore dei teorici dei natural rights. Se questi ritenevano che fosse lo stato a garantire i diritti, i primi ancora si illudono che oltre allo stato anche le organizzazioni internazionali possano garantirli e promuoverli.
Non a caso, Michael Ignatieff denuncia l’idolatria dei diritti umani, scrivendo: i diritti umani sono diventati il principale articolo di fede di una cultura laica
⁴. Nel criticare l’idolatria dei diritti umani, Ignatieff mette efficacemente in questione molte delle caratteristiche che si attribuiscono a questi nel dibattito teorico contemporaneo. In particolare, contro le tesi di Ronald Dworkin, nega che ai diritti umani si possa attribuire il carattere di trumps, di briscole
che prevalgono su qualsiasi scopo sociale e su qualsiasi programma politico, perché esprimono valori e principi che collidono fra loro⁵.
È condizione necessaria che i diritti siano efficaci e solo se sono tali possono essere rispettati e messi in atto, altrimenti si arriva ad una sorta di sfaldatura
dei diritti.
La tradizione giuridica occidentale s’è retta sulla dicotomia tra giusnaturalismo e positivismo giuridico. Per il primo, si parla di diritto di natura; per il secondo, invece, il diritto non scaturisce dalla natura ma è posto dagli uomini. Probabilmente, la conclusione secondo cui l’unico diritto valido sia quello positivo, come sottolinea il massimo esponente del positivismo giuridico, Hans Kelsen, è da assumere come l’unica dotata di sensatezza. Kelsen significativamente sostiene che la dottrina pura del diritto è da intendersi come una teoria del diritto positivo e che il giusnaturalismo non è un sistema giuridico, ma un’ipotesi metafisica che non può essere accettata dalla scienza in generale e dalla scienza giuridica in particolare, poiché la conoscenza scientifica non può avere per oggetto un qualche evento situato di là da ogni possibile esperienza
⁶.
I filosofi moderni contrattualisti, illuministi, empiristi non hanno del resto mai negato l’idea che scrivere una mappa dei diritti fondamentali significhi percorrere la via garantistica della libertà individuale. Forse «l’aria che si respira non è mai stato un bene giuridico»⁷, perché non è mai stato un bene sottoposto a minaccia. Tuttavia lo diventa oggi: prendendo atto della nuova morfologia dei beni giuridici, la filosofia politica contemporanea concepisce l’impresa di una riscrittura dei diritti fondamentali.
Robert Alexy al proposito afferma che «i grandi temi della filosofia pratica e i centrali punti controversi, delle lotte politiche di ieri e di oggi formulano le domande quali diritti ha l’individuo come uomo e come cittadino di una comunità
, a quali princìpi la legislazione statale è legata
e cosa è necessario per realizzare la dignità umana, la libertà e l’uguaglianza
»⁸.
I diritti fondamentali dell’individuo sono garantiti in quanto diritti positivi tutelati dalla fonte più alta del diritto interno: diritti costituzionali.
E i diritti umani? Ci si domanda come sia possibile porre il problema del fondamento, di diritti di cui non è possibile dare una nozione precisa. La prima difficoltà deriva dalla considerazione che «diritti dell’uomo» è indubbiamente un’espressione semplice e seducente, ma anche molto vaga. Abbiamo mai provato a definirli? E se abbiamo provato, quale è stato il risultato? La maggior parte delle definizioni sono tautologiche: ‘diritti dell’uomo sono quelli che spettano all’uomo in quanto uomo’. Altre congetture provano fornire qualche elemento in negativo sulla proprietà di questi diritti, ma non sul loro contenuto: ‘diritti dell’uomo sono quei diritti di cui ogni uomo non può essere privato’.
Un ulteriore impulso all’Europa dei diritti si è avuto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che in tema di diritti individuali contiene due fondamentali novità degne di nota: il riconoscimento dell’efficacia giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali e l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Siffatti diritti nascono come diritti assoluti senza limitazioni. Ciò dipende da due fattori: uno di carattere istituzionale e l’altro contenutistico. Il primo: poiché tali diritti sono di origine giurisdizionale, si potrebbe dire che facilmente (se non forzosamente) nascono privi di limitazioni. Il secondo: è il principio di non discriminazione che interagisce con la privacy rimuovendo ogni limitazione alle situazioni soggettive, libertà che produce nuove regolazioni, nuovi principi, e soprattutto nuovi diritti soggettivi. Bisogna privilegiare una qualitas e non uno status, se vogliamo realmente non discriminare.
Resta il fatto che questi diritti non hanno ancora trovato piena realizzazione. La vicenda complessa dei diritti umani è la narrazione della loro incompletezza.
1.2 Le origini dei diritti nella filosofia moderna e il problema dell’equità
L’idea, di derivazione tomistica, di una legge intesa più come regola razionale universalmente valida che come comando positivo di una volontà, trova una sua prima sistemazione nel costituzionalismo inglese a cavallo tra Cinque e Seicento. Il potere di fare le leggi spetta al sovrano per diritto naturale. Edward Coke parte dalla categoria del common law per emancipare il King’s Bench (il potere giudiziario inglese) dal potere del re, e quindi per comporre il conflitto tra re e tribunali. Il King’s Bench giudica secondo il common law, ovvero il diritto naturale: una sorta di diritto naturale vigente. Prima dell’istituzione di questo importante organo giurisdizionale, era il re a giudicare secondo equità, in mano sua essendo la giustizia, la fonte suprema del diritto. Coke invece antepone al potere assoluto del sovrano il diritto di fare le leggi, non solo di interpretarle. E questo contro la concezione di Sir Francis Bacon, che si pone in netta difesa del sovrano come unica fonte del diritto. Contro Bacon e contro le pretese del re Carlo I insorge proprio Coke, presidente del King’s Bench, difensore del common law, che prende posizione contro l’assolutismo regio.
Il common law era in Inghilterra ciò che nel continente europeo era il diritto naturale, argine anch’esso contro il potere assoluto del sovrano. La ragione dei teorici del diritto naturale è una ragione frutto di saggezza e sapienza. I fondamenti dei diritti naturali dell’uomo riposano dunque sulla ragione, sono un prodotto artificiale della filosofia giusnaturalistica. Infatti, per riconoscere i diritti naturali dell’uomo in quanto diritti innati (iura connata), il giusnaturalismo deve compiere un passo ulteriore: quello della ragione. Il riconoscimento dei diritti naturali è quindi frutto della saggezza e della ragione. La legge naturale è in tal senso summa ratio.
In tale conflitto tra potere assoluto del sovrano e potere legislativo come garante dei diritti naturali, la filosofia di Thomas Hobbes rappresenta la posizione assolutistica, quella di John Locke quella liberal-costituzionalistica.
La categoria dell’equità diventa la categoria chiave delle teorie del diritto naturale nelle opere dei giusnaturalisti del Sei e del Settecento. Ancora in Inghilterra, Richard Cumberland annovera tra le virtù morali la fedeltà e il rispetto delle promesse⁹. Obbedire alla naturalis ratio significa honeste vivere, vivere onestamente. Honestum da honos, che significa ‘onore’. Come in un sillogismo: chi agisce con rettitudine è honestum (agisce con onore); agire con rettitudine significa rispettare i princìpi giuridici e morali; chi rispetta i principi giuridici e morali è honestum. Massime simili si trovano in scrittori giusnaturalisti più tardi come Christian Wolff e Johann Gottlieb Heinecke (più noto con la forma latinizzata di Heineccius).
Il giusnaturalismo dei filosofi prende corpo dalla filosofia secentesca.
In primo luogo, da Baruch Spinoza, secondo il quale la natura è Dio, in quanto realtà assoluta, libera natura, e non ha limiti alla sua potenza (così ad esempio nel Tractatus politicus). Secondo Spinoza, il diritto oggettivo è la legge della natura fisica. Il diritto soggettivo è la forza. Tutto ciò a cui giunge la potenza di ogni individuo, che nello stato di natura è sui iuris, è soggetto ad altrui diritto se non è in grado di essere sui iuris, di non provvedere a se stesso. Spinoza ricalca certo la forza hobbesiana, ma il modello di stato spinoziano non vuole garantire la tregua del bellum omnium contra omnes, di tutti contro tutti: mira piuttosto a un ordine etico realizzante la vera natura umana, che è essenzialmente razionalità e libertà. Non quindi una concezione dello stato fondato sulla paura (come in Hobbes), ma sulla ragione dei cittadini.
In secondo luogo, dal filosofo del diritto Samuel von Pufendorf. Il metodo di Pufendorf è razionalistico. Il concetto di legge è però più volontaristico che razionalistico: la decisione (l’atto di volontà) è un comando (iussum) che genera l’obbligo di obbedire. È quindi necessario agire conformemente a quanto la legge comanda. L’importanza del pensiero di