00-Cristologia - Riassunto Del Libro

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Gesù Cristo Luce del Mondo (Manuale di Cristologia – Vincenzo Battaglia)

INTRODUZIONE
Fonti della cristologia: Sacra scrittura, Tradizione, Magistero
Il luogo da cui si parte per fare cristologia è la Chiesa, ha per oggetto la fede professata, celebrata,
testimoniata e annunciata dalla Chiesa.

PARTE PRIMA: Il «Vangelo» ricevuto dagli apostoli dai padri e dai concili
Introduzione
«La Teologia si basa sulla parola di Dio scritta, insieme con la sacra tradizione» (DV 24).
Cosa si intende per cristologia del nuovo testamento? Parte dal dono della fede, uguale per tutti
per via dei vangeli. È l’interpretazione che è fondata su Gesù terreno (cristologia implicita)
condotta alla luce delle scritture e attraverso lo Spirito Santo, si sedimenta nei principali titoli
cristologici, che sono Cristo, Signore e Figlio di Dio (cristologia esplicita): per questo si parla di
cristologia del nuovo testamento. Ha due inizi, predicazione e risurrezione. Ma ci sono molteplici
tradizioni cristologiche e molteplici approcci e interpretazioni. (p. 21-23)

1. Unità nella pluralità, continuità nello sviluppo


Punto teologico di fondazione della cristologia delle prime comunità cristiane è la resurrezione,
«nasce dalla fede in Gesù di Nazaret, il Crocifìsso Risorto e Glorificato/Esaltato, del quale si
attende la Parusia» (p. 24)
«il mistero di Gesù Cristo, essendo il fondamento della fede, si trova sempre prima e al di là di ogni
tradizione cristologica […]» ed egli, quale Capo del suo Corpo, svolge una azione unificatrice (cfr.
1Cor 12,7.12): l’unità della fede è quindi il dato primario.
Ogni tradizione cristologica coglie e mette in risalto alcuni temi grazie a diverse interpretazioni
cristologiche : «Marco utilizza il criterio denominato “segreto messianico”; Matteo presenta Gesù
soprattutto come il Signore e il Maestro della comunità ecclesiale; Luca dà risalto ai tratti del
Salvatore e Benefattore misericordioso; con Giovanni si tocca il vertice della riflessione teologica:
Gesù Cristo è il Verbo che esiste da sempre presso Dio, è il Figlio Unigenito fatto uomo, Glorificato
dal Padre e Glorificatore del Padre» (p. 26). Per i fedeli è il loro insieme che costituisce l’unico
vangelo annunciato e relativo a Cristo (cfr. p. 27).
«la cristologia esplicita e ogni cristologia del Nuovo Testamento nascono dalla fede nel Signore
Gesù Cristo, la annunciano, la insegnano e conducono a professarla». 3 fattori principali per cui
sorge e si sviluppa la Cristologia. (p. 27-28)
1. i cristiani celebrano la realtà della salvezza, Eucaristia;
2. questa salvezza celebrata viene testimoniata, predicata;
3. catechesi è l’approfondimento di quello che viene predicato.

2. Il radicamento della cristologia neotestamentaria nelle «Scritture»


La chiesa ha accolto nel canone dei libri sacri le Scritture ebraiche. Il Nuovo testamento ci presenta
il Mistero Pasquale in accordo con le sacre scritture. Doppio movimento: si legge l’evento di Cristo
alla luce dell’AT e l’AT alla luce dell’evento di Gesù Cristo. «[…] cominciando da Mosè e da tutti i
profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,25-27). Questo vuol dire, per i
primi cristiani, impegnarsi a provare che Dio aveva portato a compimento il suo disegno di
salvezza per mezzo di Gesù di Nazareth. Per i giudei significava accettare che la salvezza non viene
dalla legge e dal culto nel tempio ma dalla persona di Gesù, per i pagani abbandonare ogni altra
credenza religiosa. (p. 29-31)
Il Mistero Pasquale di Cristo è pienamente conforme alle profezie, ma in un modo che era
imprevedibile: presenta tratti di discontinuità rispetto alle istituzioni dell’AT. (p. 31-32)
Dopo la ricostruzione del tempio l’esperienza religiosa e l’identità nazionale dei giudei si erano
ancorate sempre di più all’osservanza della Torah, all’istituzione sacerdotale e al culto nel Tempio.
L’attesa messianica era frammentata in diverse correnti. Le concezioni messianiche oscillavano tra
l’attesa di un inviato terreno e di uno celeste. Il messia terreno era identificato con il discendente
di Davide, un personaggio di stirpe sacerdotale, o un grande profeta. Il messia celeste era
identificato con la figura del “figlio dell’uomo” (Dn 7, 13-14, Mt 8,20 nota Bibbia di Gerusalemme).
Ma la panoramica non sarebbe completa se non si cita anche la figura del Servo sofferente.
Sadducei: propendevano per un messia terreno, un messia regale davidico.
Farisei: speranza in un messia terreno regale davidico e Torah come salvezza.
Esseni: attesa in un messia celeste, il “figlio dell’uomo”. (p. 32-36)
I primi cristiani scelgono alcuni passi che meglio potevano esprimere il fatto che le scritture si
erano compiute in Gesù Cristo e per mezzo di lui, sia per poter trasferire questo messaggio ai
giudei sia ai pagani. Nel testo se ne ritrovano molte, in particolare a p. 38. (p. 36-39)
3. Linee di sviluppo e quadro riassuntivo della cristologia neotestamentaria
Nel discorso cristologico la priorità spetta alla soteriologia, ovvero la dottrina della salvezza. Gesù
Cristo si rivela per quanto ha fatto per noi e per la nostra salvezza e i cristiani riconoscono che «in
nessun altro c’è salvezza» (At 4,12). (p.39)

3.1 «lo sono l ’Alfa e l'Omega, il Primo e l ’Ultimo, il Principio e la Fine» (Ap 22,13)
Si tratta di capire come la storia tutta (di Israele e dell’umanità) sia legata a Cristo, sia per il futuro
ultimo (escatologia) sia per le origini (protologia). La protologia dipende dall’escatologia. (p. 40)
Entrambe vanno interpretate a partire dal mistero pasquale: il futuro ultimo del mondo è affidato
da Dio alla Signoria Cristo.

3.2 Dalla Parusia del Cristo alla sua Preesistenza


Gesù Cristo, figlio glorificato che siede alla destra del Padre, ha pari dignità del Padre, non
inferiore. Allora è preesistente con Dio Padre. I vangeli nascono dalla necessità di comprendere
bene il radicamento nella storia della fede cristologica.

3.3 Le formule della fede cristologica. Alcuni esempi


La fede cristologica viene espressa e trasmessa attraverso le confessioni di fede e il kerigma (il
nucleo della predicazione di fede della chiesa primitiva). Le confessioni si dividono in tre tipologie
(1, 2, 3).
Le formule nominali (1) definiscono la persona e l’opera di Gesù. Sono di due tipi: 1. Acclamazioni
cristologiche, es. «Gesù è il Signore» (1Cor 8,6 e altre); 2. Dichiarazioni con le quali la fede viene
professata, «tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16), «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,
28).
Le formule verbali (2) fanno riferimento all’opera salvifica, che ha come centro la morte e la
resurrezione. «Dio ha risuscitato Gesù» (Rm 10,9) «Gesù è risorto» (Mt 28,6 e altri). Ci sono
formule in cui si nomina sia la morte che la risurrezione. Si rilevano inoltre modelli in cui vengono
riconosciuti i due modi di vita di Gesù, carne e spirito (a due stadi), e in cui si inserisce anche la
preesistenza (a tre stadi).
Gli inni (3) dove si celebra il mistero di del Signore e Salvatore che discende dal cielo per redimere
il mondo e dopo l’umiliazione viene esaltato da Dio. Es. il Magnificat e il Benedictus. (p. 43-45)
Capitolo II - DAL CRISTO DELLA FEDE AL GESÙ DELLA STORIA
Introduzione
Cercare di tracciare il volto di Gesù di Nazareth vuol dire tornare al fondamento della Chiesa e
della fede. C’è una differenza tra il Gesù terreno, quale è stato realmente, e il Gesù storico, ovvero
quella immagine che ci danno gli storici, esegeti, seppur con metodi scientifici.
Nel sec. XVIII, 1774-1778 G. E. Lessing pubblica in parte Apologia, ovvero difesa degli adoratori
razionali di Dio, di H. S. Reimarus: segna l’inizio della ricerca sulla verità storica della vita di Gesù
in ambiente protestante. Si avvia così la Old Quest (o prima ricerca): ricostruzioni della vita di Gesù
condotte sui presupposti dettati dal positivismo storico, in contrapposizione al Cristo della fede.
Non negano la risurrezione ma separano «il Gesù storico dal Cristo della fede» 1.
Ai primi del ‘900 A. Schweitzer pubblica Storia della ricerca sulla vita di Gesù.
Bultmann sposta l’attenzione sul Cristo oggetto della fede, elabora una interpretazione
esistenzialista.
1953 Ernst Kasemann fa una conferenza sulla questione del Gesù storico. Rottura tra Gesù della
storia e il Cristo della fede. Prende origine New Quest. Gli studiosi di questa corrente fondano la
ricerca sul principio di continuità tra Gesù terreno e Cristo glorificato, danno rilevanza teologica al
Gesù terreno.
Third Quest, inizia con E. P. Sanders studiano l’ambiente in cui Gesù è vissuto, i fatti della vita e il
contesto sociale. (p. 49-51).
Possiamo verificare che c’è una continuità tra Gesù della storia con il Cristo della fede solo attraverso le scritture, la
rivelazione.

1. Le fonti letterarie
Tra quelle giudaiche il più importante è Giuseppe Flavio, ma sono molto ridotte. Le uniche a
disposizione sono gli scritti canonici, in particolare i 4 vangeli. Sono scelti perché «contenevano la
tradizione apostolica su Gesù; venivano letti durante la liturgia in tutta la Chiesa; il genere
letterario che li caratterizzava è quello di raccontare la vita di Gesù, dalla nascita (Matteo e Luca) o
dalla missione del Battista (Marco e Giovanni) fino alla passione, morte e risurrezione».

1
CIOLA NICOLA, Elementi di cristologia sistematica, p. 113.
Autori Pagani e Giuseppe Flavio
Plinio il giovane: scrive a Traiano una lettera per sapere come comportarsi con i cristiani;
Tacito: racconta che Nerone accusò i cristiani dell’incendio del ’64, dice che Cristo è stato
giustiziato da Ponzio Pilato;
Svetonio: racconta che l’imperatore Claudio caccia via i giudei istigati da “Cresto”;
Giuseppe Flavio: racconta della lapidazione di Giacomo e di altri cristiani, parla anche di Cristo ma
sembra ci siano delle interpolazioni non autentiche.
(p. 52-55)

I Vangeli canonici
Il vangelo è una buona notizia proclamata verbalmente: procura gioia per il contenuto
dell’annuncio, l’intervento liberatore di Dio mediante il Cristo, in favore del suo popolo e di chi è
oppresso. L’annuncio dell’avvento del regno di Dio. Dio è insieme autore e oggetto del messaggio.
Il contenuto è essenzialmente cristologico: «la Chiesa annuncia al mondo intero che Gesù di
Nazareth, il Crocifisso Risorto, è il Cristo che porta a compimento le promesse fatte da Dio al
popolo di Israele, è il Signore di tutti e l’unico Salvatore del mondo, è il Figlio unigenito di Dio che
dona lo Spirito Santo ricevuto dal Padre». (p. 55-56)
Il vangelo è un genere letterario: si differenzia dalle biografie, gli evangelisti hanno impresso un
contenuto teologico (secondo tre criteri selezione, sintesi e attualizzazione), la storia di Gesù è
tramandata dopo essere stata riletta con gli occhi della fede. I vangeli canonici si differenziano per
1. Approfondimento progressivo, 2. Impronta teologica, 3. Fonti. Dati sui 4 vangeli: 1. Marco
scritto per i pagani dell’occidente; 2. Matteo è opera di un giudeo-cristiano per i giudeo-cristiani
(anni 80-90); 3. Luca per i cristiani provenienti dal paganesimo e dalla cultura ellenistica (anni 75-
85); Giovanni nato in ambiente palestinese per tutti i credenti di ogni cultura, ebrei, latini e greci
(anni 90-100) (p. 59)
Definizione dei vangeli: sono i testi che trasmettono sotto forma di racconto la fede cristologica
che la primitiva comunità cristiana annunciava e insegnava sia ai giudei che ai pagani, sia a quanti
diventavano credenti. Questa fede ha un preciso fondamento storico.
Il vangelo ci presenta insomma il Gesù creduto, piuttosto che il Gesù descritto.
Gli apocrifi
I vangeli apocrifi si sviluppano principalmente in ambienti gnostici. Sono ascrivibili a generi
letterari diversi. Ci sono gli agrapha, detti di Gesù al di fuori dei vangeli, il vangelo di Tommaso,
frammenti di vangeli, vangelo segreto di Marco ecc. (p.61) Si presentano come un misto di mito,
leggenda e fede, spesso scritti in tenore esoterico, ma a loro modo, anche se giustamente scartati
dalla Chiesa, cercano di difendere l’immagine di Gesù. Alcuni brani tratti dal vangelo di Tommaso e
di Pietro (p. 62-63)

2. I criteri da applicare allo studio dei vangeli


Criterio della discontinuità: sono veri i fatti che sono distanti dalla cultura giudaica o alla Chiesa
primitiva;
Criterio della coerenza: corregge il precedente e da credito a quanto è in accordo con giudaismo
palestinese o con altro già accreditato come detto da Gesù;
Criterio della molteplice attestazione: un detto o fatto riportato da più fonti.
John P. Meier aggiunge:
Criterio della dell’imbarazzo: se un fatto era scomodo per la chiesa primitiva;
Criterio della del rifiuto subito e della sua fine violenta: si ricercano le cause che hanno condotto
alla condanna.
SI aggiunge il criterio della analisi narrativa o strutturale, non analizzato a fondo nel testo.
Sempre in accordo con DV2. (p. 63-65)

3. Dati anagrafici e cronologici


Il nome di Gesù vuol dire “YHW salva”, nasce nel 6 o 7 a.C. sotto l’impero di Ottaviano Augusto,
infanzia descritta sul vangelo di Luca, Gesù è cresciuto nella santa famiglia e istruito alla religione
giudaica. Lavorava con un lavoro che andava dalle attività del carpentiere a quelle del falegname,
un lavoro duro, un ceto sociale povero ma non misero. Giuseppe è “figlio di Davide”, è importante
indizio per giustificare la messianicità di Gesù. Maria è “serva del Signore” anche nella formazione
umana e religiosa del figlio, nell’accudirlo, alla dedizione allo sposo Giuseppe.
La vita pubblica inizia con l’incontro con Giovanni, aveva 33 o 34 anni. Svolge la sua missione
principalmente nella bassa Galilea. Parlava e insegnava in aramaico, conosceva l’ebraico, forse
qualche parola in greco. Partecipa 3 volte alla festa di Pasqua. Il suo ministero pubblico è durato
circa 2 anni e mezzo. La cacciata dei venditori dal tempio ha peso importante per la sua condanna,
lo arrestano il 6 o 7 aprile del 30. Muore la mattina del 7 aprile, aveva 36 anni. (p. 65-68)

4. Lo stile di vita
Sradicamento sociale: vita da maestro e profeta, itinerante, completamente libero. Lascia ogni
legame, vive in celibato e forma una famiglia spirituale. La sussistenza avveniva ad opera degli
amici, delle donne che lo servivano, dell’ospitalità. È entrato in comunione con i poveri. Poveri:
descrizione delle diverse categorie, vedi p. 72. (p. 68-72)

I gruppi religiosi al tempo di Gesù


Farisei: il nome prende origine dalla parola Parush, che vuol dire “separato”. Si credono scelti da Dio e puri. Hanno un
atteggiamento di distacco da empi e pubblicani, accettavano la tradizione, l’attaccamento alla legge li faceva sentire
separati dal popolino. Credono nel Dio provvidente, arbitro della storia, nella sopravvivenza delle anime, nella
resurrezione, negli angeli e nei demoni.
Esseni: Sono un movimento di carattere prettamente religioso. Nascono con i Maccabei. Si isolano dalla vita pubblica.
Avevano uno dei centri principali a Qumran. Portano avanti una vita ascetica. 1) contrari al culto di Dio nel tempio
perché non celebrato con purezza dai sacerdoti; 2) osservano la legge senza compromessi; 3) visione apocalittica → è
già in atto la fine dei tempi (vittoria del bene e giudizio finale) lotta tra figli delle tenebre e figli della luce; 4) continue
abluzioni e stato di celibato; 5) organizzati come comunità monastica, si riuniscono per i pasti.
Zeloti: Si erano creati dai Farisei, fanatici e partigiani. Sono movimenti giudaici armati, lottano per la liberazione.
Sadducei: da Sadok, sommo sacerdote al tempo di re Davide. Sono definiti come il “partito sacerdotale”,
probabilmente i sommi sacerdoti vengono scelti da questa classe. Per loro il Pentateuco è fondamentale. Interpretano
alla lettera, non accettano la tradizione né usanze, perché sono pericolose invenzioni. Non credono negli angeli e negli
spiriti, non credono nella immortalità dell’anima e quindi nella resurrezione dei morti.

(p. 72-75)

Capitolo III – La missione terrena di Gesù


Introduzione
Gesù inizia il suo ministero pubblico a 30 anni (età minima per il ministero sacerdotale), dopo la
missione e l’arresto di Giovanni il Battista. I vangeli sinottici fanno precedere anche le tentazioni
nel deserto, mentre Giovanni no. (p. 79-80)

1. Alle soglie della vita pubblica


Gli eventi che preparano la predicazione di Gesù sono:
a. La missione di Giovanni il Battista: Dopo la risurrezione si comprende che Gesù è il Cristo, quindi
Giovanni viene presentato come colui che prepara il popolo ad accogliere il Messia. Giovanni è un
profeta escatologico e carismatico con temi apocalittici, predicava la conversione e il perdono dei
peccati attraverso il battesimo, l’avvento del Messia. Giovanni compie la missione di Elia, il
riformatore escatologico, atteso per la restaurazione finale. (p. 80-82)
b. L’unzione battesimale di Gesù e la sua investitura messianica: dai vangeli sinottici si deduce che
Gesù conosceva il messaggio escatologico di Giovanni e lo ha approvato, lo riconosce come
profeta inviato da Dio per la conversione di Israele, il suo battesimo veniva da Dio. Il battesimo
rappresenta la conferma pubblica di chi è Gesù. Dal vangelo di Giovanni si deduce che lo Spirito
scende e rimane su Gesù, Egli è il figlio prediletto, è il Messia unto di Spirito Santo, Salvatore che si
fa Servo (di Jhawh) «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». Nel vangelo
di Giovanni Gesù “sta in mezzo” al popolo.
Simbolo della colomba: allude alla costituzione della comunità perfetta dell’era della grazia. Inoltre
anche la funzione di profeta escatologico che, ripieno di Spirito Santo, ripristina la comunicazione
con Dio (cieli aperti). Marco e Matteo indicano che Gesù ne è pienamente cosciente, in quanto
«vide» lo Spirito scendere. Gesù possiede la pienezza dello Spirito. La profezia del Battista si
compie con la Pentecoste quando Gesù diventerà mediatore dell’effusione dello Spirito sulla
Chiesa. Il battesimo quindi ci informa sulla chiamata e sulla investitura messianica di Gesù da
parte del Padre. Il Battista è l’anello di collegamento che lega la vicenda di Gesù a quella di Israele.
Il battesimo segna il passaggio dall’attesa alla realizzazione definitiva delle promesse divine. (p.
83-86)
c. Le tentazioni messianiche: è presente nei tre vangeli sinottici, si può dedurre che ha buona
probabilità di essere un fatto storico. Riguardano la tentazione sul potere, sull’idolatria e sulle
cose materiali. Le tentazioni attestano la cooperazione dello Spirito Santo nella vittoria sulle prove
di Gesù. Gesù ha fatto le sue scelte pregando: c’è un rapporto forte tra Spirito e Preghiera
attestato nei vangeli, soprattutto in Luca. Il deserto è un altro segno della dimensione della
preghiera: nel deserto, secondo la tradizione biblica, in silenzio e preghiera si può incontrare Dio.
Gesù non si lascia sedurre da una visione del messianesimo caratterizzata da forza, potenza,
successo, ma solo dall’amore, dall’obbedienza fiduciosa al progetto del Padre, dando tutto sé
stesso fino alla morte in croce. È caratterizzato da un profondo Teocentrismo (Mt 4,10; Lc 4,8).
Rifiuta di “trasformare le pietre in pane” perché il cibo che serve è fare la volontà del Padre e
quando fa miracoli li farà solo per rivelare l’onnipotenza del Padre e portare il suo Regno.
Storicamente è accettabile porre dopo il battesimo, come fanno i vangeli, questo periodo nel
deserto per prepararsi alla missione. (p. 86-90)

2. Il vangelo del Regno di Dio


Si incentra la riflessione su quello che Gesù fece e predicò. La sua esperienza religiosa è definita
dalla relazione singolare con Dio, che chiama Abbà, nello Spirito Santo comune ad entrambi.
Regno di Dio: “Nell’AT si parla piuttosto di Dio che regna. Bisognerebbe parlare di regalità, per
indicare la realtà dinamica che non indica un territorio o uno spazio. Anche nel NT il Regno dei
Cieli di cui parla Mt è la traduzione di malkut shamaîm termine utilizzato dai rabbini per non
pronunciare il nome sacro di Jhvh. Non c’è nessun dualismo tra regno dei cieli contrapposto al
regno della terra” (cfr. Nuovo Dizionario di Teologia, p. 1235). Dio è re perché libera il suo popolo
e lo fa aderire a sé mediante il dono della legge, in un rapporto di alleanza, domina le forze del
caos e mantiene il mondo nell’ordine, alla fine eliminerà il male. Giovanni predicava l’imminente
intervento da parte di Dio, un giudizio che portava la condanna per i peccatori e la salvezza per
quanti si fossero convertiti e battezzati: era quindi una buona notizia. Cosa annuncia Gesù in
aggiunta a questo messaggio? Vedi paragrafi successivi. (p. 91-92)

La Signoria escatologica di Dio


Gesù dichiara che il tempo dell’attesa è finito, il Regno di Dio è prossimo nel tempo e nello spazio,
perché coincide con la presenza e l’attività di Gesù di Nazareth. Inaugura l’era escatologica della
salvezza «Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17, 21). Dio mostra di essere Signore e
Salvatore mediante un intervento liberatore destinato a tutti, caratterizzato da un amore senza
limiti, fatto di benevolenza, generosità, perdono, tenerezza, manifestando tutto questo in Gesù
Cristo. Il Regno si presenta come un dono, un evento di grazia che porta gioia. Infine, nella
predicazione e nell’attività di Gesù, si presenta come una realtà presente e futura. Come il seme
che porta frutto, è una realtà presente, che ha un inizio modesto e sarà pienamente visibile nella
fase escatologica, con la Parusia. (p. 92-95)

I destinatari privilegiati del Regno di Dio


I destinatari erano i poveri, coloro che dipendevano dagli altri e che si abbandonano in Dio perché
Egli è il loro unico protettore. Tutta la loro fiducia è in Dio. Oltre ai poveri ci sono gli ammalati, i
pubblicani e peccatori, sofferenti, indemoniati. Gesù annuncia l’avvento del Regno, ovvero Dio
che si fa prossimo, vicino, e viene a liberarli. Dio che esercita la sua regalità su di loro. (95-96)
Per accogliere il dono del Regno è necessario “convertirsi e credere al vangelo” (cfr. Mc 1,15),
affidarsi a lui facendosi “poveri in spirito”. Le ostilità nei confronti di Gesù vanno ricercate proprio
in questo suo atteggiamento che minava alle basi tutto il sistema religioso, mettendo gli ultimi al
posto dei primi, prendendosi cura dei peccatori.

3. La polivalenza salvifica del Regno


L’attività taumaturgica di Gesù può essere considerata come un dato storico e inoltre è un tratto
caratteristico della persona di Gesù.

Attività taumaturgica
Il significato dei miracoli è il segno tangibile dell’irruzione del Regno di Dio nel presente, con tutti i
benefici che ne comporta. Dio esercita la sua regalità mediante la misericordia, la compassione e
il perdono. Le guarigioni non sono circoscritte solo alla cura del male fisico, ma comportano una
guarigione integrale, nel profondo del cuore, che si esprime spesso con il cambiamento di vita e la
sequela. (99-101)
Gli esorcismi meritano un’attenzione particolare. Sono segno che Dio domina e sconfigge, per
mezzo di Gesù, tutte le potenze ostili. Per i sinottici i demoni sono “guastatori della salute fisica e
psichica umana”. Gesù è in assoluto “il più forte” che prevale sugli spiriti immondi.
Nel vangelo di Giovanni i miracoli vengono designati con il termine di “segni” o “opere”,
attraverso i quali Gesù manifesta la propria identità di Figlio di Dio e di Cristo. (p. 101-103)

Il carattere sovrabbondante del Regno


L’autorità carismatica di Gesù è confermata anche da altri miracoli, quelli sulla natura:
maledizione del fico, pesca miracolosa, moltiplicazione dei pani e dei pesci, la tempesta sedata,
camminare sulle acque, miracolo a Cana.
Moltiplicazione dei pani e dei pesci: prova compassione per le folle, annuncia il regno, guarisce i
malati, li sfama con pane e pesci. È come Mosè che procura il cibo al popolo nel deserto. È un pane
che sfama tutti gli uomini: in Mc il luogo è il territorio pagano della Decapoli.
Pesca miracolosa: solo Gesù può rendere feconda l’azione degli uomini. La sua parola. (p. 103 –
105)
Capitolo IV – L’identità “messianica” di Gesù
Introduzione
Parliamo degli interrogativi sull’identità di Gesù. Molti si fanno questa domanda sul vangelo.
Dopo che aveva compiuto un esorcismo, “Che è mai questo?” (Mt 4,13), Giovanni il Battista manda
i suoi discepoli a chiedere se è lui “colui che deve venire” (Mt 11,2-3; Lc 7, 18-19), i farisei
accusano Gesù di Bestemmia e il processo si conclude con una domanda “Sei tu il Cristo, il Figlio
del Benedetto?” (Mc 14, 61)
Ci sarà poi la posizione che prenderanno i discepoli di Gesù, rimproverati da Gesù per la loro
incredulità quando seda la tempesta: “chi è dunque costui?”, o quando chiede “voi chi dite che io
sia?” (Mt 16,15). Importanti anche gli eventi del vangelo di Giovanni dell’incontro con la
Samaritana (Gv 4, 5-42) e l’episodio del cieco nato (Gv 9, 1-41). La risposta è: l’autorivelazione
fatta da Gesù alla luce della sua relazione con il Padre nello Spirito Santo. (p. 109-111)

1. Sullo sfondo del messianismo profetico


Gesù è descritto come un profeta, un grande profeta, soprattutto per la sua forte componente
carismatica che si manifesta attraverso l’insegnamento, che lo colloca al di sopra di qualsiasi altro
maestro, e i miracoli, esorcismi ecc… Ma lui non si lascia coinvolgere dalla visione che volevano
attribuirgli come profeta secondo un altro punto di vista, ma rimane fedele alla sua missione di
annunciare il regno. (p. 111-112)

Il profeta escatologico ricolmo dello Spirito di Dio


Cosa dicono di Gesù. È un profeta, è Elia, è sorto un grande profeta.
Gesù non rifiuta l’appellativo ma non è il tipo di profeta che si aspettano.
Gesù è un profeta straordinario, il paragone con Elia non rende l’idea. Infatti il paragone con Elia è
più proprio di Giovanni: lo confermerà anche Gesù.
Gesù è consapevole che la sua parola è molto più di quella dei profeti, molto più di Salomone e di
Giona. (p. 112-115)

Rifiutato e perseguitato
Gesù si colloca sulla linea dei profeti rifiutati, osteggiati e perseguitati. Il vangelo di Marco lo mette
in risalto nei primi tre capitoli, alla guarigione del paralitico (Mc 2,1-12), al pasto a casa di Levi (Mc
2, 15-23), e quando i Farisei non accettano che non rispetti il sabato, per cui trameranno di
ucciderlo (Mc 3, 1-6). Inoltre gli scribi dicono che è posseduto da un demonio (3,22-30).
Anche gli abitanti di Nazareth, che non avevano visto in lui mai nulla di speciale, lo rifiutano.
Gesù è cosciente che la sua obbedienza alla volontà del Padre lo porterà ad una fine dolorosa:
“non è possibile che un profeta muoia fuori da Gerusalemme”. Le intenzioni ostili verso di lui
saranno manifeste dopo la parabola dei vignaiuoli omicidi (Mc 12, 12).
Sullo sfondo di queste dichiarazioni ci sono gli annunci della passione, in cui Gesù manifesta la sua
consapevolezza riguardo il valore espiatorio della sua morte, dove si identifica con il Figlio
dell’uomo e il Servo di Jhwh. (115-116).

Azione simbolica compiuta contro il tempio


Gesù, con la cacciata dei venditori del tempio, si mette contro l’istituzione religiosa. Il suo gesto
significa il giudizio con cui Dio decreterà la distruzione del Tempio. Questo è confermato dalla
parabola del fico sterile, appena precedente, e dalle parole sulla fine del Tempio. La reazione di
scribi e anziani è giustificata.
Inoltre Dio promette una nuova casa in futuro, un nuovo tempio (Is 56,7) per cui Gesù comunica
che svolgerà un ruolo di mediatore determinante, “egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,
13-22).
Il culto in Spirito e Verità si farà nella relazione con Gesù

2. Il maestro di sapienza che insegna «la via di Dio»


La missione di Gesù comporta anche una intensa attività di insegnamento rivolta alle folle, agli
esperti della Torah e in modo particolare, con grande cura, ai discepoli e agli apostoli. Predica nelle
sinagoghe, nelle case, all’aperto, nel tempio.
Si prende cura di tutti gli “stanchi ed oppressi” che seguono i capi religiosi e con il suo
insegnamento “dolce e leggero” infonde libertà e pace.
Parla in parabole e proverbi, modalità sapienziale, ma ai suoi spiega ogni cosa.
Conosce profondamente le scritture.

L’etica di Gesù: tra compimento e superamento della Toràh


Il suo insegnamento comprende anche linee etiche, gli viene infatti riconosciuto lo stato di
“Maestro” sia dai suoi che dagli avversari. La richiesta del grande comandamento, del tributo a
Cesare. È un insegnamento basato sulla Toràh. Nell’interpretarla alcune volte la radicalizza, come
il divorzio o l’universalismo del comandamento dell’amore verso il prossimo, in altri relativizza
forme rituali dando il primato alla misericordia.
Rimanda l’autorità sempre e solo a Dio, in antitesi invece con i dottori della legge “Avente inteso vi
fu detto … ma io vi dico”. Sa leggere il cuore degli uomini e trasformarlo.
Tramite il suo insegnamento crea una relazione che diventa la via per il regno. (p. 120-122)

Un’etica sapienziale ed escatologica: l’uso evangelico dei beni terreni


Gesù invita ad una scelta radicale e definitiva, preferire il Regno, abbandonarsi a Dio, la
provvidente paternità onnipotente come unico bene, il solo tesoro è il Regno di Dio. La generosità
provvidente di Dio libera dalla preoccupazione per i beni materiali, che genera affanni.
Tre verità fondamentali:
1. Le ricchezze attraggono il cuore e possono dominarlo, impedendo di accogliere Gesù;
2. La rinuncia ha motivi teologali, motivata dalla Signoria escatologica di Dio;
3. Gesù invita a valutare la propria vita solo alla luce della signoria di Dio secondo i valori ad
essa connessi. (p. 122-124)
La rinuncia alle ricchezze avviene anche perché vi è un risvolto a favore dei poveri. Chi pratica la
carità testimonia di aver fatto esperienza di Dio, inoltre mette in pratica il comandamento
dell’amore fraterno e contribuisce a combattere e ad eliminare la povertà.

3. “Tu sei il Cristo”: sullo sfondo del messianismo regale


La speranza di un messia regale, sullo sfondo della figura di Davide, era presente e diffusa ed era
condivisa anche da farisei e esseni. Lo si evince anche dal fatto che spesso Gesù era chiamato Figlio
di Davide. (p. 124-126)
I discepoli dicono che lui è il messia inviato da Dio, ed è lecito pensare che anche loro aspettassero
un messia con caratteristiche regali Davidiche. Ma Gesù rifiuta questa visione e si inquadrerà sulla
scia del profeta perseguitato, rifiutato. Dice che il Messia è superiore a Davide! Gesù traccia una
linea interpretativa facendo ricorso alla figura celeste del Figlio dell’uomo (p. 126-128)

4. Il Figlio dell’uomo e il Servo di JHWH: sullo sfondo del messianismo apocalittico


La figura del Figlio dell’Uomo si trova nei vangeli e sulla bocca di Gesù. Per il significato originale
bisogna guardare alla letteratura apocalittica, Dn 7, 13-14. Un giorno Jhwh sostituirà tutti i poteri
regali terreni con una regalità trascendente conferita al popolo dei santi dell’Altissimo.
Il figlio dell’uomo è designato anche come Servo, Giusto, l’eletto, re vittorioso e giudice: questi dati
vengono da testi apocrifi.
Gesù risponde a Caifa: questo è un passo importante in merito. Gesù dice che la sua missione non
finirà, Dio lo glorificherà, la sua funzione di Figlio incaricato per instaurare il Regno hanno un
futuro. Ma Gesù esercita la sua autorità già dal momento che è sulla terra, per liberare l’uomo da
ogni male. (p. 129-130)
La comunità primitiva, alla luce della Pasqua e sotto l’azione dello Spirito Santo, riconosce che
Gesù è il Figlio dell’uomo a cui appartengono potere, gloria e regno, ed è anche il Giudice
Escatologico e esercita il suo potere liberatore già durante la sua vita terrena. (p. 132)

5. Il rapporto con Dio/Abbà vissuto nello Spirito Santo


Un rapporto vissuto nell’unità e nella reciprocità
Che un singolo si rivolga a Dio chiamandolo Abbà è molto raro. Gesù vive da figlio obbediente,
accoglie la volontà del Padre incondizionatamente. Dio come Padre da a Gesù la missione di
instaurare il suo Regno, conferma la sua missione risuscitandolo, costituendolo Signore e Cristo.
Tra Gesù e Dio Padre c’è un rapporto di intimità.

Il Figlio
Gesù riceve più volte, secondo i sinottici, l’appellativo di Figlio. Dagli esseri celesti, dai demoni,
dagli uomini, da Dio stesso nel battesimo e nella trasfigurazione.
Gesù si autodefinisce figlio: nella parabola dei vignaioli omicidi (non esplicitamente ndr), l’inno di
giubilo (solo il Figlio conosce il Padre, l’unica più esplicita), discorso escatologico. (p. 134-135)
In Giovanni abbondano le dichiarazioni. Dio Padre agisce con bontà che va oltre la grazia
distributiva.
La ragione della preferenza mostrata da Gesù verso i poveri si trova in Dio, nella sua identità di
Padre che conferisce alla regalità le caratteristiche della misericordia e della compassione. (p. 136)

Nel contesto della preghiera


La piena impronta filiale è data dalla preghiera. Gesù prega al mattino, alla sera, si ritira in disparte
in luoghi solitari.
Gesù prega nello Spirito Santo (Lc 10,21), lo Spirito lo accompagna in tutta la vicenda terrena.
Prega sapendo che il Padre lo ascolta sempre, loda e ringrazia spesso Dio Padre. Insegna a pregare
ai discepoli facendosi modello e donando il Padre Nostro. (p. 137 – 139). Descrizione della
giornata, molto bella, a p. 138-139 (Mc 1,21-39).

6. Il primo che si fa ultimo, il Signore che si fa Servo


Per delineare il profilo del ruolo messianico si devono far convergere i due filoni tematici: sia
quello delle figure bibliche sofferenti, i profeti, i giusti, il Servo di Jhwh sia il filone che parla di una
figura contraddistinta dal trionfo e dalla sovranità escatologica, qual è quella del Figlio dell’Uomo.
Evidenziato a p. 140 è importante.

Capitolo V – La passione e la morte di croce


Introduzione

Le tradizioni narrative che riguardano la passione sono quella del vangelo di Marco (si basa su un
racconto preesistente del ‘30/’36) e quella del vangelo di Giovanni. Per i sinottici Gesù partecipa a
una sola festa di Pasqua e muore il giorno della festa di Pasqua. Danno risalto ai momenti più
dolorosi. Per Giovanni Gesù partecipa a 3 feste di Pasqua e muore alla vigilia, il giorno della
parasceve. Da risalto all’esaltazione e alla glorificazione di Gesù. Luca riporta come Gesù, ad un
certo punto, inizia il suo viaggio verso Gerusalemme.
Tre i momenti fondamentali: premessa alla passione, consegna, passione e morte. (p. 145-146)

1. La prospettiva della consegna


I soggetti che entrano in scena sono tre. Giuda il traditore che da occasione di catturare Gesù di
nascosto dal popolo. Le autorità giudaiche costituite dai capi dei sacerdoti, gli anziani, gli scribi,
che lo catturano e lo consegnano ai pagani. Ponzio Pilato che decreta la morte di Gesù e ordina di
crocifiggerlo.Dio Padre “non ha risparmiato il figlio”, “ha tanto amato il mondo da dare il figlio
unigenito”. Gesù decide di offrirsi per noi “in sacrificio di soave odore”: questa scelta va vista in
coerenza con la volontà del Padre.
È sempre presente lo Spirito Santo, la sua consegna da parte di Gesù avviene sulla croce.
Al centro della passione si trova il gesto decisivo dell’istituzione della eucarestia durante l’ultima
cena. Nel IV° vangelo il termine “l’ora” è molto importante: si trova sia all’inizio dell’attività
pubblica di Gesù (nozze di Cana) che alla fine (la preghiera che chiude il discorso di addio), per
dare la giusta tensione verso la morte di Gesù in croce. (p. 146-148)
2. La morte di croce: dall’avvenimento all’interpretazione
Il linguaggio relativo alla croce viene utilizzato dagli evangelisti iniziando da Matteo 26,2: «Voi
sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso». In
Marco e Luca non c’è un preciso riferimento alla croce ma solo alla morte. Matteo, Marco e
Giovanni dicono che Pilato consegna Gesù perché “sia crocifisso” mentre Luca solo che fu
consegnato. (p. 149)

La condanna alla morte di croce


Gesù è condannato a morte dal tribunale giudaico, poi da Pilato, crocifisso tra due malfattori nel
Golgota (calvarius in latino), alle 9:00 del mattino, morto alle 15:00. Due fonti per la data: i
sinottici nella festa di Pasqua il 15 di Nisan, per Giovanni il giorno della vigilia per cui Gesù muore
mentre nel tempio si immolavano gli agnelli. (p. 150 per altri dettagli)
Sulla scritta affissa alla croce c’era scritto “il re dei giudei”: Gesù è crocifisso come pericolo
pubblico, colpevole del reato di lesa maestà nei confronti del popolo romano. La condanna è
decisa da Caifa, e da alcuni rappresentanti dei capi dei sacerdoti, degli anziani e degli scribi, in una
riunione notturna. L’ostilità da parte di questi è dovuta a: 1. Gesù diceva di parlare per incarico di
Dio, di averlo dalla sua parte, di essere figlio di Dio in modo particolare; 2. Le discussioni
sull’interpretazione della Torah; 3. Il gesto compiuto nel Tempio. 4. Gesù si dichiara il Cristo, il
Messia a cui Dio ha affidato il potere che la tradizione attribuiva al Figlio dell’uomo (Mc 14, 61-62),
e questo decreta la condanna per aver bestemmiato secondo il sommo sacerdote e reo di morte
da parte dei presenti alla riunione notturna (Mc 14, 61-62). (p. 150-152)

La parola della croce


I primi cristiani dovettero giustificare la morte in croce, che era considerata ignobile e umiliante
(per i giudei una maledizione), cercando di comprendere e far comprendere come questa si
inserisse nel piano di Dio, il quale con la resurrezione aveva confermato la persona e la missione di
Gesù e come l’aveva attuata. La croce come maledizione (Dt 21,23; Gal 3,13-14; Gal 5, 11)
Così essi hanno dovuto cercare nelle Scritture i passi che confermassero questo. Gesù aveva
offerto molti indizi perché manifesta la consapevolezza che la sua missione si sarebbe conclusa
tragicamente e che la propria morte aveva un significato salvifico: il calice che avrebbe dovuto
bere (Mc 10,38), dare la vita in riscatto (Mc 10,45), racconti dell’ultima cena. Paolo correla la
«parola della croce» e la «stoltezza della predicazione»: il vangelo predica Cristo crocifisso e la
fede ha come fondamento la potenza di Dio, una sapienza sconosciuta ai sapienti di questo
mondo.
Per riconoscere la potenza e sapienza divina è necessario relazionarsi con l’amore di Dio,
giustificazione e fondazione del mistero della croce: questa è una verità che supera il linguaggio
puramente logico. (p. 152-156)

3. Gesù di fronte alla sua morte


Al tradimento di Giuda Gesù risponde con la sua consegna per la salvezza: l’ultima cena, con
l’istituzione dell’eucaristia, sintetizza l’intero significato della sua vita e morte. Marco e Matteo
prediligono un taglio narrativo, Luca e Paolo un taglio più liturgico nel raccontare l’ultima cena.

Dono di sé e perdono
L’ultima cena è preceduta dal tradimento di Giuda e seguita dal rinnegamento di Pietro: i gesti di
Gesù implicano la donazione di sé il perdono dei loro peccati.
Anche in Giovanni è mantenuto questo schema, ma la donazione è espressa con la lavanda dei
piedi: Gesù si fa servo e purifica, lava dai peccati i discepoli. La fede nel mistero eucaristico è stata
presentata da Giovanni nel capitolo VI. Pietro dice che darà la vita per lui, ma Gesù lo sconfessa:
solo uno da la vita per tutti, ed è il Signore Gesù. Il martirio è dono e vocazione da parte del
Signore Gesù, come accade con Pietro che morirà martire solo dopo l’invio di Gesù. (p. 156-158)

Nel cuore dell’ultima cena


L’atmosfera è quella pasquale ebraica ma manca l’agnello, che è Gesù. Per Giovanni, come già
detto, Gesù muore mentre nel tempio immolavano gli agnelli.
Gesù ringrazia il Padre perché lo consegna e lo dona per amore. Gesù non ha trattenuto nulla per
sé: vuole donarsi per amore. Finalmente è giunta l’ora che potrà portare a compimento la
missione affidatagli dal Padre. (p. 159-161)

L’agonia sofferta nel Getsémani


Ha emozioni forti, paura, tristezza e angoscia. Si abbandona alla preghiera, si prostra a terra, si
mette in ginocchio, da voce alla sua sofferenza e manifesta la sua incrollabile fiducia nel Padre che
gli ha affidato la missione di instaurare il suo Regno.
Insegna ai discepoli di pregare, vegliare a lungo: lui era solito farlo. La volontà del Padre fa sfondo
a tutta la scena, a tutta la vita, unico obiettivo che Gesù vuole perseguire con tutte le sue forze. La
lotta è forte e suda sangue.
Gesù si rivolge al Padre con estrema fiducia, lo chiama Abbà, e si sottomette con rispetto e fiducia,
familiarità filiale. Chiaramente è insondabile l’intimità con il Padre, cosa avviene, però possiamo
dire queste indicazioni.
Lo Spirito Santo è sempre presente: lo aveva condotto nel deserto, lo conduce ad affrontare
l’agonia nel Getsémani, gli da la forza per lottare contro paura ed angoscia con la preghiera. È nello
Spirito che Gesù grida «Abbà! Padre!» (Mc14,36). (p. 161-164)

4. Gesù in croce
La preghiera accompagna e sostiene tutta la vita di Gesù.

Il grido di abbandono
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” è l’ultima preghiera di Gesù. Gesù viene
abbandonato dal Padre alla morte. Gesù lo accetta. Ma perché allora questa domanda
sconcertante?
Ci sono state diverse interpretazioni esegetiche. Comunque è certo che ha proferito le parole del
Salmo 22,2: è chiaro dall’indizio di Matteo e Marco che riportano la dicitura in aramaico e poi la
traducono, inoltre i presenti pensano che invochi Elia. Le pronuncia a gran voce.
Con questo grido non vuole sapere le ragioni dell’abbandono: in Giovanni le parole di Gesù «Tutto
è compiuto» attestano che Gesù porta a termine la missione. Gesù esterna la sua sofferenza. Il
Salmo 22 contiene strofe cariche di speranza nel soccorso divino. Nella prova estrema la Parola di
Dio è il suo unico conforto.
Il Padre rimane in silenzio, lo lascia alla morte e agli occhi dei suoi avversari ne smentisce le
pretese messianiche.
«Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosé, nei Profeti e nei
Salmi».
Ma Dio ascolta le sue preghiere, «divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli
obbediscono, è stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech»
(p. 164-168)
Obbediente fino alla morte di croce
Il Messia, Figlio di Dio muore completamente espropriato di sé, povero e nudo. Gesù è sempre
stato libero dalla preoccupazione di proteggere la sua vita ed ora è interiormente disposto a
perderla per Dio. Questo atteggiamento fa pensare all’umiltà, alla povertà di spirito. Gesù accetta
il piano di salvezza voluto dal Padre. È morto come ha vissuto, nella dedizione completa di sé al
Padre. Mentre muore in croce consegna al mondo il dono di Dio, lo Spirito Santo. Siamo noi, i
salvati, l’unica ricchezza che egli ha voluto acquistare per sé. (p. 168-171)

Capitolo VI – La risurrezione e l’esaltazione di Gesù


Introduzione
Sotto la guida dello Spirito Santo i discepoli sono tornati alla vicenda terrena di Gesù, l’hanno
riletta alla luce del mistero Pasquale e concludono che la fede nel Cristo risorto affonda le radici
nel Gesù terreno. Con la resurrezione Dio Padre conferma la persona e la missione di Gesù di
Nazareth. La resurrezione ha un carattere escatologico, Dio ha compiuto quanto promesso ad
Israele. La resurrezione comporta la svolta definitiva del tempo e della storia. Il Signore risorto è
l’inizio della creazione rinnovata, liberata dalla corruzione, dalla morte e dal peccato. (p. 175-176)

1. Dall’incontro con il Risorto al suo riconoscimento


È stato lo stesso Gesù di Nazareth ad apparire risorto ai discepoli. Nelle varie narrazioni è possibile
distinguere una struttura caratterizzata da tre momenti: iniziativa, riconoscimento, missione. (p.
177) (dagli appunti presi in classe - i momenti/movimenti delle apparizioni sono 4: 1. Apparizione
di Gesù; 2. I discepoli vedono; 3. I discepoli riconoscono; 4. I discepoli credono)

Le narrazioni evangeliche
Per mezzo delle apparizioni Gesù suscita e garantisce la fede, conduce a dare la giusta
interpretazione di quanto avvenuto al sepolcro. Le apparizioni sono una iniziativa di Gesù Cristo,
iniziano dalla visita al sepolcro di Gesù, l’angelo che annuncia che è risorto (Mt 28,1-8 e paralleli),
Luca menziona la visita di Pietro, Giovanni quella di Pietro e Giovanni il discepolo amato. Poi ci
sono numerose apparizioni, Emmaus, Pietro gli apostoli sul lago ecc.. I discepoli sono condotti da
Gesù a riconoscerlo attraverso la comunicazione visiva, verbale e gestuale. Con le apparizioni
compie una autorivelazione, si fa conoscere nel suo nuovo stato glorificato e mette in condizione
apostoli e discepoli a riconoscerlo. Alla fine, conferisce la missione di annunciare il vangelo al
mondo intero.
Raduna di nuovo intorno a sé i discepoli dispersi e con il dono dello Spirito Santo porta a
compimento l’istituzione della Chiesa.
Il riconoscimento avviene gradualmente e dipende da Gesù che si mostra e si fa riconoscere. Gesù
ha assunto una nuova identità. Non è più legato allo spazio e al tempo, infatti entra a “porte
chiuse”. (p. 177-179)

Riconoscimento e vedere credente


I discepoli riconoscono Gesù attingendo alla loro memoria e facendo ricorso al “codice
relazionale” che aveva caratterizzato il loro incontro con Gesù. Per questo motivo gli evangelisti ci
parlano dei “segni della passione”, dei pasti consumati che rimandavano all’intimità vissuta come
ad esempio nell’ultima cena. Grazie al Mistero Pasquale comprendono la verità pre-pasquale della
vita di Gesù. Ad esempio, lo spezzare il pane è il gesto che permette ai discepoli di Emmaus di
riconoscerlo. Grazie all’esperienza delle apparizioni i discepoli sono in grado di capire, credere che
nella sua vita terrena, anche se in forma nascosta, egli era il Signore, il Cristo, il Figlio di Dio.
La resurrezione è un fatto così straordinario che va classificato come metastorico ed escatologico.
Gesù e il Risorto sono la stessa persona ma in due condizioni diverse. (p. 180-182)

2. Il vocabolario interpretativo
Quando si parla della resurrezione viene utilizzato un linguaggio tipico che comprende significati
profondi: anisthanai (alzarsi, al passivo indica lazione di Dio Padre, all’attivo di Gesù), eghéiresthai
(svegliarsi, al passivo teologico perché è il Padre che agisce), zoopoieistai (dare vita), ispousthai
(salita in cielo di Gesù, passivo teologico), doxazestai (glorificare, al passivo teologico, designa che
Gesù torna lì dove era prima con il Padre). (p. 183)
Quando si parla di resurrezione non si può prescindere dal comprendere anche il senso della
esaltazione e glorificazione: la risurrezione di Gesù è diversa da ogni altra risurrezione (es. Lazzaro)
perché è stato innalzato al Padre.

3. Gesù risuscitato ed esaltato da Dio


Gesù risorto occupa il posto alla destra di Dio, è stato confermato da Dio Padre nella sua identità
di Figlio. Sta accanto a Dio perché è uguale a lui. Asceso vuol dire che è stato elevato in cielo e le
apparizioni non ci sono più. Ma è presente e si manifesta attraverso i segni: il segno per eccellenza
è la Chiesa che è la sua sposa e il suo corpo, di cui egli è il Capo. Gli altri segni sono: la Parola, i
Sacramenti tra cui soprattutto l’Eucaristia.
Dai termini anisthanai e ipsousthai si comprende che è Dio l’autore della risurrezione di Gesù. La
resurrezione è l’evento che svela la pienezza della verità del rapporto tra Gesù e il Padre e lo
Spirito Santo. Inoltre bisogna tener conto della caratteristica corporea della risurrezione. (p. 185 -
187)

4. La corporeità del Signore Gesù luogo e fonte della vita «nuova» ed «eterna»
Secondo Giovanni (Gv 2, 19.21-22) il corpo glorioso del Signore risorto è il luogo dove si svolge il
nuovo culto in «spirito e verità»: questo corpo glorioso rimanda al corpo dato/offerto per la
salvezza. (p. 188)

La corporeità pneumatica e gloriosa del Crocifisso Risorto


Nel considerare la risurrezione corporea si deve far riferimento alla trasformazione operata dallo
Spirito Santo e al ruolo di mediatore. La trasformazione rende il suo corpo perfettamente
adeguato alla divinità. È un “corpo spirituale glorioso” (1Cor 15, 35.53).
La risurrezione rende eterno l’atto salvifico del sacrificio della croce. L’esaltazione e la
glorificazione sono l’opposto dell’umiliazione che hanno caratterizzato l’esistenza terrena del
Figlio e sono l’approdo conclusivo di questa esistenza terrena. La resurrezione è come se fosse una
nuova generazione: l’atto eterno della generazione si manifesta nel tempo. Lo Spirito è sempre
partecipe, nell’incarnazione, nella glorificazione pasquale e lo sarà nel giorno della Parusia. (p. 189
– 191)

Il rapporto del Signore con l’umanità e il cosmo


Esaltato e glorificato Il Signore Gesù ha un nuovo rapporto con l’umanità e la creazione. Non è più
soggetto allo spazio e al tempo, ma ne è il Signore. Conduce la creazione alla pienezza. È
importante ricordare che Gesù è risuscitato con il suo vero corpo ed è rimasto vero uomo. La
resurrezione del Signore Gesù viene estesa a tutti gli uomini. Visto che la corporeità è anche luogo
di comunione con la creazione, essa stessa patisce una gestazione in attesa di essere liberata dalla
corruzione. (p. 191 – 193)
5. Risurrezione e Parusia
La risurrezione è la svolta finale della storia, verso la creazione nuova e l’umanità nuova. Ha
avviato il giudizio su ogni forma di male. Resurrezione e parusia vanno insieme: non si crede alla
resurrezione di Gesù senza aspettare la parusia, e si attende Gesù Risorto.
Meglio parlare di momenti distinti di un unico evento globale che di prima e seconda venuta. La
Parusia ha un tratto epifanico (piena manifestazione dell’identità divina di Gesù Cristo) e un tratto
di novità (sarà il compimento di ciò che è iniziato e sta crescendo). Questi tratti sono evidenziati
nelle tante parabole sul Regno, che indicano il processo di crescita e maturazione: es. granello di
senapa. Compito della profezia cristiana è decifrare il presente storico e saper leggere i segni di
questo tempo. Il cristiano sa vivere e giustificare l’attesa, la speranza, la fiducia. (p. 193 - 197)

Capitolo VII – La verità dell’umanità e della divinità di Gesù Cristo. Il simbolo Niceno-
Costantinopolitano
Introduzione
A partire dal II° secolo il contenuto essenziale della verità su Dio e la salvezza operata e rivelata
tramite Gesù Cristo viene raccolto nei simboli di fede: svolgono una funzione rispetto alla
confessione di fede (fides qua creditur) e alla dottrina a cui si deve aderire (fides quae creitur). La
Chiesa si rifà al canone delle Scritture, al vangelo. I cristiani devono seguire la fede retta senza farsi
sviare da dottrine false.

1. Simboli di fede e concili ecumenici


Qualche esempio:
Ireneo da Lione combatte contro sette gnostiche, espone la fede nel Dio trino e uno (p. 206-207)
Ippolito di Roma III secolo tramanda un simbolo in forma interrogativa che veniva usato nei
battesimi. (p. 207)
Cirillo nelle Catechesi tramanda un testo in uso nella Chiesa di Gerusalemme in cui si cita Dio
Padre e Gesù Cristo Dio vero e Signore. Lo Spirito Santo non è ancora citato come Dio. (p. 208)
Concili ecumenici da ricordare: Nicea (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431), Calcedonia (451),
Costantinopoli II (553).
Nel 1054 d.C. c’è la separazione tra Costantinopoli e Roma tramite reciproca scomunica.
Dopo ci saranno: Trento (1545-1563), Vaticano I (1869-1870), Vaticano II (1962-1965).
2. La verità dell’Incarnazione del Figlio di Dio
La contestazione della verità dell’incarnazione c’era già agli inizi, come si capisce da 1Gv 4,1-3:
«ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne è da Dio». Questo veniva portato avanti
dalle sette gnostiche e ha dato origine all’eresia del docetismo.

Lo gnosticismo e il docetismo
Gnosticismo: la salvezza è caratterizzata dal liberarsi dell’anima dalla materia e ad ascendere al
Dio trascendente, processo che avveniva esclusivamente grazie alla conoscenza (gnosi). Era
dunque caratterizzato da un dualismo cosmico. Il Dio Trascendente è irraggiungibile: per
degradazione si formano gli Eoni, esseri divini inferiori, che formavano una catena discendente
verso il mondo materiale. Lo gnosticismo ha origini ellenistiche, giudaico cristiane e persiane:
viene fuori da un sincretismo di pensieri variegati e complessi.
Il dare valore negativo alla carne e l’idea dell’assoluta trascendenza di Dio non gli permette di
accettare l’Incarnazione: il Verbo è venuto solo in apparenza umana, non è avvenuta neanche la
morte ne la resurrezione.
Anche il docetismo (da dokéin apparire, sembrare) è una eresia che poggia sulla convinzione che il Verbo ha assunto la
condizione umana solo apparentemente, come un ϕάντασμα. Dio non può soffrire, quindi in croce ha sofferto solo
apparentemente. Ha quindi delle convergenze con lo gnosticismo.

La risposta dei Padri apostolici


Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione e Tertulliano combattono lo gnosticismo
Ignazio, vescovo di Antiochia: è considerato autore di 7 lettere, 6 a varie comunità e una a
Policarpo. Nella lettera a Efeso li invita a restare saldi nella fede in Gesù. In quella indirizzata a
Smirne insegna la verità dell’incarnazione, spesso usa il termine “veramente”: veramente nasce
da una vergine, veramente inchiodato alla croce, ha patito veramente. (p. 212-213)
Lettera a Diogneto: è del II secolo, parla delle obiezioni fatte ai cristiani. Risulta una religione
nuova.
Ireneo di Lione: discepolo di Policarpo, muore durante la persecuzione di Settimio Severo (202-
203). Scrive Adversus Haereses e Demonstratio. Confuta con grande saggezza il sistema di pensiero
degli gnostici. Si rifà al principio dell’unità: Dio è uno solo (non due, creatore e redentore come gli
gnostici), un solo Cristo, Figlio, Verbo fatto carne. Importanza della tradizione e tutto è ricapitolato
in Lui.
Tertulliano: contrasta le tesi gnostiche di Marcione, Apelle e Valentino. Tertulliano difende la
reale umanità del Verbo incarnato e valorizza l’argomento soteriologico (relativo alla salvezza)
dando risalto alla valenza redentrice della morte in croce.
Marcione: gnostico e non accetta il Dio del AT perché è cattivo, gli contrappone il Dio buono del
NT.
(p. 216).

3. La vera divinità di Cristo nel contesto del mistero trinitario


Punto nevralgico del kerigma è che il Crocifisso Risorto è il Figlio unigenito e preesistente di Dio,
nell’unità dello Spirito Santo. Bisogna spiegare il rapporto tra Gesù e Dio: questa spiegazione
rinvia ad un retroterra in cui si confrontano la concezione ebraica, ellenistica e cristiana. (p. 216-
217)

Eresie a sfondo trinitario


Nell’ambito del giudeo-cristianesimo si erano formati gli ebioniti, che erano rimasti legati alle leggi
ebraiche e rifiutavano la preesistenza e la divinità di Cristo perché inconciliabile con il
monoteismo.
Gesù è un semplice uomo, figlio di Maria e Giuseppe, diventa messia nel battesimo.
Tra gli ellenisti vi erano diverse eresie:
a. Adozionismo: detta anche monarchianesimo adozionista, Gesù è il più pio tra gli uomini e
Dio lo adotta nel battesimo. (nata con Teodato da Bisanzio);
b. Subordinazionismo: confessano la divinità di Cristo ma egli è un dio minore, subordinato a
Dio;
c. Monarchianesimo modalista (modalismo): Dio è unico, Gesù è un aspetto del Padre, una
modalità. Dio assume di volta in volta il ruolo del Padre, del Figlio e dello Spirito. In pratica
si ha a che fare con una sola persona (professata da Noeto di Smirne);
d. Monarchianesimo dinamico: è un adozionismo in cui lo Spirito Santo è solo il nome della
grazia donata agli apostoli.
Arianesimo
Nel IV secolo le questioni sono: 1. La relazione tra Gesù Cristo e Dio; 2. Il rapporto tra il
Verbo/Figlio di Dio e la carne da lui assunta.
Non sarà più sufficiente affermare che il Verbo si è fatto carne ma, per salvarci, ha dovuto
assumere una natura umana completa, quindi anche con un’anima razionale (Quod non est
assumptum, non est sanatum).
Ario (260-336): divulga teorie influenzate dal medioplatonismo e dal neoplatonismo. Dio è la
monade assoluta, eterno, immateriale, ingenerato, immutabile. Non è possibile che Dio unico ed
eterno comunichi il suo essere Dio (la sostanza divina) ad un altro, al Figlio. Il Figlio non esiste da
sempre ma è creato dal Padre dopo di lui, non esiste insieme al Padre, la prima e più perfetta
delle creature, intermediario. Non ha una conoscenza perfetta del Padre perché non ha una
comunione completa, si rifà alla scrittura, “lo sa solo il Padre”. (p. 220)
Ario adatta il cristianesimo alla cultura ellenistica.
Lo Spirito Santo è una persona ma ancora più subordinata del Figlio.
L’incarnazione è una unione del Verbo con il corpo, siccome esclude l’anima razionale il Verbo è
soggetto alle passioni umane, soggetto al cambiamento e quindi non è Dio. (p. 221)

Il concilio di Nicea (325)


Le controversie dottrinali di questo periodo riguardano la Chiesa nel suo interno. Gli eretici sono interni alla chiesa,
sacerdoti, come lo era Ario.
“Crediamo […] in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre,
Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, secondo i Greci
consostanziale […]”
Il Signore Gesù Cristo è vero Dio, della stessa sostanza (homoousios) del Padre, generato non creato.

Convocato dall’imperatore Costantino nel 325. È il primo concilio ecumenico. I padri conciliari
redigono una professione di fede (p. 222).
Il Signore Gesù Cristo è Dio come il Padre. Gesù è generato dal Padre fuori dal tempo, prima di
tutti i tempi. Usano il termine generato per esprimere che questa è necessaria, e non volontaria
come l’atto di creazione del mondo. Nel concilio di Nicea si parla di una pluralità di Dio
salvaguardando l’unità e unicità di Dio. Il Padre e il figlio sono della stessa sostanza. Vengono
condannate le tesi Ariane.
Le controversie Ariane continuano fino al concilio di Costantinopoli del 381. (per le varie fasi
vedere appunti di Storia della Chiesa n. VI).
4. Verso la definizione dogmatica della persona di Cristo «vero Dio» e «vero uomo»
Le questioni riguardanti il rapporto tra Verbo e carne (Gesù Cristo vero Dio e vero uomo), verranno dibattute nel
concilio di Efeso.

Il dibattito cristologico a partire dal IV secolo riguarda il rapporto tra il Verbo e la carne da lui
assunta. Il dibattito verte sullo spiegare che il Figlio di Dio, vero Dio, è diventato vero uomo.

Le scuole teologiche di Alessandria e Antiochia


La scuola alessandrina: caratterizzata da un’esegesi basata sull’allegoria, alla ricerca di un
significato più profondo nel testo. Hanno una cristologia del tipo Logos-sarx (Verbo-carne),
accento sull’unità di persona (una sola persona). C’è il pericolo di trascurare l’umanità del Verbo.
(Clemente Alessandrino, Origene, Atanasio, Cirillo di Alessandria. Tra gli eterodossi Ario,
Apollinare, Eutiche)
La scuola antiochena: caratterizzata da un’esegesi basata sul testo, sulla lettera, trascurando
l’allegoria. Hanno una cristologia del tipo Logos-anthropos (Verbo-uomo) si preoccupano di
salvaguardare l’umanità di Gesù Cristo e danno un accento sulla distinzione Dio e uomo, integrità
della natura umana, il Verbo ha assunto un’anima. C’è il pericolo di una eccessiva distinzione che
va a danno dell’unità di persona, il rischio è che si consideri Cristo come due soggetti. (Diodoro di
Tarso, Teodoro di Mopsuestia, Giovanni Crisostomo, Teodoreto di Cirro. Tra gli eterodossi
Nestorio)

Il rapporto tra il Verbo e la natura umana da lui assunta: tra posizioni ortodosse ed eterodosse
Si riflette sulla questione del modo in cui il Verbo influenzerebbe la carne assunta.
Atanasio di Alessandria: il Logos vivifica la carne ed è l’agente degli atti umani di Gesù. Le passioni
e sofferenze vanno attribuite solo alla carne, così si salvaguarda l’immutabilità e impassibilità del
Verbo.
Teodoro di Mopsuestia (scuola antiochea): Cristo ha vissuto tutte le azioni e sofferenze
appartenenti alla natura umana perché vengono compiute dall’anima umana. Problema: Anima
creata (p. 228), sembra che il Verbo assuma un uomo già esistente di per sé.

Altra differenza tra le scuole: gli alessandrini utilizzano il criterio della communicatio idiomatum,
ovvero lo scambio delle proprietà appartenenti alle nature fatto dal Verbo. La conseguenza è che
Gesù Cristo vive, pensa e agisce sempre come Dio e come uomo. (p. 228 – 229)
Eresia di Apollinare di Laodicea (310-390) (scuola alessandrina): il Verbo prende il posto
dell’anima razionale, è l’unico centro di volontà e di operazione, ha un controllo assoluto sulla
carne. L’umanità sarebbe quindi incompleta. Le parti sono mescolate, Cristo non è né uomo
completo né Dio, è una realtà intermedia. Una sola natura, perché due nature complete non
possono unirsi tra loro. La natura umana è solo strumento passivo, mossa dal Verbo: c’è una sola
volontà e una sola operazione, e sono quelle divine. (p. 229 – 231)

Reazioni contro: cercano di spiegare che il Verbo ha unito a sé una natura umana completa.
L’eresia viene condannata al concilio di Costantinopoli nel 381.
Gregorio Nazianzeno: scrisse 3 lettere. In risposta all’eresia di Apollinare: “Quod non est
assumptum, non est sanatum” (Prima lettera a Cledonio – Quello che non è stato assunto non è
stato curato/salvato) (p. 232)

5. Il Concilio Costantinopolitano I (381)


Convocato dall’imperatore Teodosio, partecipano solo vescovi orientali. Gli atti si avranno solo con
il concilio di Calcedonia (451) che riconoscono una validità ecumenica al simbolo prodotto dai
padri conciliari. Il simbolo niceno-costantinopolitano è la professione di fede ufficiale.

La controversia sulla divinità dello Spirito Santo


Anomei: il figlio è totalmente dissimile (anomoios) ed è creatura del Padre, di conseguenza lo
Spirito Santo è creatura del Figlio. Solo il Padre ha natura propriamente divina (Eunomio, Aezio.
Sono ariani radicali). Eunomio: esistono diverse sostanze in vari gradi e l’unica divina è quella del
Padre.
Pneumatomachi o macedoniani: lo Spirito Santo è una divinità di rango inferiore, una creatura,
una forza.
Gli ortodossi (Atanasio, Epifanio di Salamina, Basilio il Grande, Gregorio di Nissa e Gregorio
Nazianzeno) dicono che lo Spirito è persona divina. Grandi sostenitori: Basilio di Cesarea (p. 235),
Gregorio di Nissa che scrive Contro Eunomio: “Lo Spirito non viene più tardi, dopo il Figlio […] è
increato”. (p. 234-236)

Credo Costantinopolitano
Aggiungono al credo di Nicea la sezione sullo Spirito Santo.
Aggiunte nuove: lo Spirito interviene nell’incarnazione, il suo regno non avrà fine (confutazione
Marcello di Ancira, p. 237). Aggiunta riguardo lo Spirito Santo vedi p. 238-239.

• Nicea: “per noi uomini e per la nostra salvezza egli è disceso dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, …”
• Costantinopolitano: “per noi uomini e per la nostra salvezza egli è disceso dal cielo, si è incarnato per opera
dello Spirito Santo da Maria vergine, si è fatto uomo… il suo regno non avrà fine
• Nicea: “Crediamo nello Spirito Santo”
• Constantinopolitano: “… che è Signore (Kyrion, ne professano la divinità) e dà la vita, che procede dal Padre
(ha una origine divina eterna, è quindi della stessa sostanza), che insieme al Padre e al Figlio deve essere adorato e
glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti (l’azione dello Spirito nell’economia della salvezza)”

Capitolo VIII – Unità di persona e le due nature in Gesù Cristo. Da Efeso (431) al concilio Niceno II
(787)
Introduzione
Le controversie cristologiche del V secolo riguardano principalmente due personaggi: Cirillo,
patriarca di Alessandria (370-444) e Nestorio, patriarca di Constantinopoli (381-451).
Queste controversie portano alla consapevolezza che l’unità va cercata a livello di persona e la
distinzione a livello delle nature. In questo modo si definiscono meglio i termini utilizzati.

1. Il Concilio di Efeso (431)


È indetto dall’imperatore Teodosio II. Viene affermata l’unità di persona, è quindi la piena umanità
del Verbo, con l’espressione “unione secondo l’ipostasi”. L’atto dogmatico è il dichiarare una
lettera di Cirillo come documento conforme al credo Niceno e di conseguenza si condanna la
risposta di Nestorio.
Seconda Lettera di Cirillo a Nestorio (p. 249-252): “il Verbo, unendo a se stesso ipostaticamente
una carne animata da un’anima razionale” (importante p. 250) […] Madre di Dio la santa Vergine
(p. 252)”
Nestorio non firma la lettera per accettare le posizioni di Cirillo, come richiesto dal Papa, e rimane nella difesa della
sua posizione.

Cirillo di Alessandria: Cristo si incarna in una umanità completa, sono diverse le nature che si
uniscono ma uno solo è Cristo, quello che si dice dell’umanità si può dire della divinità, pur
essendo generato prima dei secoli, egli è stato generato secondo la carne da una donna, Maria è
Teotokos.

Nestorio (antiocheno): accentua la distinzione delle nature, cerca di mantenere l’unione di Cristo
salvaguardando la natura umana ma non ci riesce. Per lui Maria è solo Cristotokos.
Voleva salvaguardare l’umanità di Cristo, contro alcuni alessandrini che la predicavano come mero strumento del
Verbo. Per questo preferisce definire Maria solo Christotokos (Madre di Gesù nella sua unione con il logos). Mantiene
un certo dualismo di soggetti. L’unità è espressa con il termine sunafeia che può essere tradotto come congiunzione.

Non riesce ad esprimere che si sta parlando di un solo soggetto, il Verbo che si fa uomo. 2

L’insegnamento di Efeso: l’unità di Cristo


Non dobbiamo mai dividere Gesù Cristo: è sempre un unico soggetto, il Figlio di Dio del Dio unico.
La natura umana assunta è completa, non manca niente, è perfetta: niente di ciò che appartiene
alla natura umana, di ciò che rientra nella composizione ontologica dell’uomo, gli è estraneo.
Unione secondo l’ipostasi ripresa dalla lettera di Cirillo a Nestorio. È duplice la generazione del
Figlio: eterna da Dio e nel tempo da Maria. Dopo la resurrezione il Verbo non ha smesso di essere
uomo: resta uomo per sempre (p. 253 - 255)

In realtà il concilio di Efeso del 431 non si chiude con un accordo. La lettera di Cirillo è approvata all’inizio, quando
mancano molti che appoggiavano Nestorio. L’imperatore Teodosio annulla quanto approvato, accetta i canoni contro
Nestorio e depone sia Nestorio che Cirillo. Bisognerà aspettare Calcedonia per fare chiarezza. Nel 433 si giunge ad un
accordo con la “Formula di unione” (Maria madre di Dio), accettata da Cirillo e la condanna di Nestorio. (appunti Storia
della Chiesa e libro di CIOLA N.).
L’argomento soteriologico, a Nicea e Costantinopoli come ad Efeso, fu fondamentale. Nei primi due concili si dice “se
Gesù non è uomo e se non è Dio non ci ha realmente salvato”, a Efeso si dice “se Gesù non è uomo-Dio, cioè
mediatore a tutti gli effetti, non siamo salvi. Il Mediatore non può essere diviso in due soggetti.

2. Il Concilio di Calcedonia (451)


La disputa continua. Esponenti di Antiochia: Teodoreto di Ciro e Andrea di Samosata. Nestorio
continua a difendere la posizione anche dopo la deposizione (431) e fino all’esilio (436-451).
Nel 433 si giunge a una pace: Giovanni patriarca di Antiochia accetta la condanna di Nestorio e
Cirillo accetta una professione di fede proposta da Giovanni, dove riguardo la persona si scrivono
tutte e due le versioni. (p. 256)

2
CIOLA NICOLA, Elementi di cristologia sistematica, p. 520-521.
Eresia monofisita
(Confusione delle nature)

Eutiche: monaco di Constantinopoli, introduce l’eresia monofisismo. In Cristo, dopo l’unione, era
presente una sola natura. Le nature si confondono. Il Verbo perde la sua consostanzialità con la
nostra. Non pone una precisa distinzione tra persona e natura.
Durante un sinodo svolto a Costantinopoli nel 448 Flaviano di Costantinopoli reagisce a questa
eresia e Eutiche viene condannato.
Eutiche, grazie alle sue amicizie e all’imperatore Teodosio, viene riabilitato. Papa Leone Magno
invia la Epistula ad Flavianum ma non viene letta. Flaviano viene condannato. (p. 256-257)

La dottrina cristologica di Leone Magno: la Lettera a Flaviano di Costantinopoli


Espone la cristologia che sarà poi proclamata a nel Concilio di Calcedonia: due nature in una
persona. Le nature sono distinte, non si confondono. La natura umana assunta è completa e
perfetta. La natura divina non subisce alterazione per l’incarnazione né la natura umana viene
annullata da quella divina. Ognuna opera insieme con l’altra ciò che le è proprio. “La stessa
identica persona è vero figlio di Dio e vero figlio dell’uomo” (p. 257-260)

Il credo calcedonense
La lettera Epistola ad Flavianum di Leone Magno fu il testo base del concilio. Nella prima parte si
afferma che il Verbo di Dio è vero Dio e vero Uomo. Ha anima razionale e corpo (contro ariani e
apollinaristi), in tutto simile a noi ad eccezione del peccato.
Nella seconda parte si insiste sull’unità della persona e sulle due nature distinte. Il Verbo di Dio è
una persona da riconoscersi in due nature (non più da due nature come prima del concilio per
evidenziare la distinzione), senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza
separazione. (p. 263)
Senza confusione e senza mutamento: il Verbo non perde la propria identità divina incarnandosi e
la carne non viene alterata dal Verbo. (p. 263-264)
Senza divisione e senza separazione: con l’incarnazione avviene una comunicazione tra il Verbo e
la natura umana da lui assunta. Il Verbo trasmette alla natura umana la propria specificità
personale e ne assume le proprietà. Una sola persona è il soggetto delle parole e delle azioni di
Gesù Cristo. (p. 264)
Unione secondo l’ipostasi: è il punto fondamentale di Calcedonia ripreso nel successivo concilio di
Constantinopoli.
3. Contestazione, difesa e interpretazione del dogma calcedonense
Il nodo teologico è decidere tra “una persona in due nature” o “una sola natura del Verbo
incarnato”.
Severo: anticalcedonese, non è d’accordo con le due nature in Cristo, usa physis al posto di
hypostasis. L’umanità di Cristo non si può definire come natura.
Leonzio di Bisanzio: divinità e umanità si uniscono analogamente come anima e corpo. Il Verbo
non ha una natura umana ma è ed esiste anche come uomo.

Imperatore Zenone III promulga l’Henotikon (Documento di unione) per unire monofisiti e difisiti,
ma viene rigettato dai monofisiti e da Papa Felice III. Provoca una rottura tra il papa e il patrarca di
Costantinopoli.

Lo scisma acaciano si conclude con l’imperatore Giustino I e Giustiniano nel 519. Condanna dei tre
esponenti antiocheni, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto, Ibas di Edessa. (p. 265 – 268)

Il Concilio Costantinopolitano II (553)


Fondamentale a livello dogmatico è la condanna contro chi vuole interpretare Calcedonia
secondo Nestorio. Il Concilio di Calcedonia viene invece interpretato secondo la dottrina di Cirillo
di Alessandria riguardo l’unità di Cristo. Padre Figlio e Spirito Santo hanno una sola natura, sono
una Trinità consostanziale; due nascite del Verbo, una prima dei tempi una nell’incarnazione; Gesù
Cristo è unico, a lui appartengono sia i miracoli che le sofferenze; il Verbo si unisce con la carne
animata da anima razionale secondo la sussistenza; la Trinità non ha ricevuta una persona
aggiunta con la nascita di Gesù; due nature senza confusione in un unico soggetto, un’unica
persona; la formula migliore per definire l’incarnazione è quella proposta a Calcedonia: unione
secondo l’ipostasi. (p. 269 – 273).

4. Le due operazioni e le due volontà naturali di Cristo


Non si stabilisce ancora la pace con i monofisiti. I persiani si alleano con i monofisiti. Eraclio I
riconquista i territori occupati dai persiani ma è necessario un accordo con i monofisiti per tenere
saldo l’impero. Il Patriarca Sergio di Costantinopoli idea una soluzione di compromesso: è l’eresia
del monotelismo (una sola volontà) legata al monoenergismo (una sola operazione). Si escludeva
volontà e attività della natura umana.
Prima c’era stata anche la crisi agnoeta, che predicava l’ignoranza di Cristo che era un male
morale che conduceva a prendere decisioni errate.
Antimo: seguiva le tesi di Severo, un’unica operazione in Cristo e un'unica conoscenza.
Teodosio patriarca di Alessandria: se diceva di non sapere qualcosa era solo come uomo, come
Dio era onniscente.
Dall’unica conoscenza si arriva a dire per logica che ha un’unica volontà eliminando così la
libertà umana!!

Il monoenergismo e il monotelismo
Patriarca Sergio: accetta il principio monofisita e non distingue, dopo l’unione, le proprietà
inerenti le due nature.
Papa Onorio, non comprendendo le implicazioni dottrinali, accetta questa visione.
Questa teoria è propagandata anche dal patriarca di Alessandria, Ciro, con il Patto di Unione del
633.
L’imperatore Eraclio la promulga nel 638 con il documento Ekthesis: l’operazione è solo del Logos
divino, c’è una sola volontà (p. 276-277)

La dottrina di Massimo il Confessore


Massimo il Confessore: combatte l’errore monotelita, predica che ci sono due operazioni e due
volontà naturali in Cristo (una divina e una umana), in reciproco accordo, ad agire e a volere è
sempre un’unica persona (lo dimostra prendendo ad esempio la vicenda del Getsemani). (p. 278-
279)

Il Concilio Lateranense del 649


Viene sancito da papa Martino I. Si condanna il monotelismo e il monoenergismo. La professione
di fede riprende Calcedonia e aggiunge le dichiarazioni sulle due volontà e attività, derivanti dalle
due nature, che dipendono da un solo soggetto. (p. 279-280)

Il Concilio Costantinopolitano III (681)


Per iniziativa dell’imperatore Costantino IV, con l’approvazione del papa Agatone, si avvia il
concilio nel 680.
Si conferma la dottrina Calcedonenese. Riassunto dei dogmi cristologici. “due sono le nature che
risplendono nella sua unica ipostasi […] ciascuna natura, senza divisione o confusione, voleva e
operava conformemente al proprio essere in comunione con l’altra” (p. 280-282)
Vanno segnalati quattro punti dottrinali fondamentali: a) la volontà umana del verbo incarnato è
perfettamente sottomessa la sua volontà divina; b) la volontà umana conserva la sua piena
autonomia ma le due volontà non stanno sullo stesso piano; c) il continuo ritorno alla storia
evangelica di Gesù di Nazareth ci permette di comprendere la verità dell'incarnazione, cioè solo
rispettando l'esperienza umana del verbo di Dio si può comprendere il significato soteriologico
della divinizzazione della creatura umana quale meta della sua umanizzazione; d) in forza
dell’unità di persona vi è un solo libero arbitrio. (p. 282-284)

5. Il Concilio di Nicea II (787)


La Chiesa di Oriente vive una controversia riguardo le immagini sacre. Già dal III secolo, ad
esempio in Spagna, si discuteva di questo. Anche Eusebio e Origene parlano di questa pratica per
loro non consona alla fede.

Gli oppositori delle immagini


La lotta alle immagini sacre viene portata avanti dall’imperatore Leone III, poi da Costantino V che
convoca un sinodo a Hieria che condanna il culto delle immagini. Papa Stefano II non accoglie
queste decisioni. (p. 285-286)

I sostenitori delle immagini


Il più eminente è Giovanni Damasceno che scrive Orationes de imaginibus tres: siccome il Verbo di
Dio che è incorporeo, invisibile, immenso si è fatto uomo diventando visibile, allora possiamo
raffigurarne l’immagine e gli avvenimenti dei vangeli. La venerazione delle immagini comporta la
santificazione dei sensi (opera De fide ortodossa). (p. 286-288)

La definizione circa la validità del culto delle immagini


Il concilio di Nicea II viene convocato nel 787 da Irene, imperatrice madre di Costantino VI,
presieduto da Tarasio patriarca di Costantinopoli.
Si annullano le decisioni prese a Hieria. Due punti fondamentali: 1) esistenza della tradizione della
chiesa scritta e non scritta; 2) il culto delle immagini è vantaggioso per la fede nel mistero
dell’incarnazione. “ciò che il Vangelo annuncia in parole, l’icona lo dice nell’immagine […] Vangelo
e icone hanno per oggetto Cristo […] nell’icona si venera la persona rappresentata”. Questo
concilio ribadisce la verità dell’incarnazione e dell’unione ipostatica. Vedi testo di Giovanni paolo II
a p. 290-291. (p. 288-291)

Capitolo IX – La fede in Gesù Cristo e il Mistero di Dio


Introduzione
Nel cristianesimo si unisce Dio e Gesù Cristo, teologia e cristologia. Il discorso su Dio è un discorso
cristocentrico e trinitario. Lo Spirito Santo insegna a comprendere sempre meglio il mistero. La
Pasqua è evento trinitario e centrale della storia della salvezza. (p. 301-303)

1. Dire Dio a partire da Gesù Cristo


Gesù Cristo è rivelatore e rivelazione di Dio. Compie una mediazione rivelativo-salvifica. “In questi
giorni ha parlato a noi nel Figlio […] porta a perfetto compimento la rivelazione […] Dio è con noi
per liberarci e risuscitarci” (DV 4).
Approfondimento unione ipostatica (p. 304)
Il Verbo assume la natura umanala eleva al più alto grado di perfezionel’umanità è
pienamente santa, ma anche per opera dello Spirito Santo.
La verità rivelata è indissociabile dall’evento Gesù Cristo che la rivela per la salvezza. (p. 304-
306)

2. Cristologia e teologia trinitaria


Nel formulare il discorso su Gesù Cristo è anche necessario partire secondo la norma trinitaria.
Gesù è la Via che conduce a Dio Trino e Uno perché è il Figlio di Dio. Gesù Cristo rivela la Trinità
che era già preesistente.
Trinità Economica e Trinità immanente
T. Immanente: è Dio in sé, nella sua realtà intima relazionale;
T. Economica: è Dio che si manifesta, si rivela a noi.
Processione eterna significa rapporto originario eterno, sono immanenti in Dio. Vuol dire che c’è
una sola persona che è principio e causa della altre due, il Padre. Egli comunica il suo essere Dio, al
Figlio per generazione, allo Spirito per spirazione o, secondo la tradizione orientale, per
processione. Il Padre è origine e fondamento della trinità.
La Trinità economica è la Trinità immanente, anche se bisogna affermare la priorità
dell’immanente in quanto fondamento eterno, ragion d’essere della salvezza.
La Santa Trinità agisce nella storia scegliendo la via dell’umiltà, abbassamento, dell’incarnazione.
La distinzione tra i due piani lascia la libertà dell’agire di Dio, il quale non è condizionato da un
evento contingente, quale ad esempio il peccato dell’uomo.
La Trinità esiste prima della creazione e dell’incarnazione, quindi il suo mistero non si esaurisce
con la sua manifestazione nella storia. Vedi testo a p. 310. (p. 306-311)

Il monoteismo trinitario
Riassunto rapporto tra cristologia e teologia: la fede in Gesù Cristo è il punto da cui si deve partire
per arrivare a conoscere Dio nella sua realtà più profonda, quella Trinitaria, ed è il terreno nel
quale la fede in Dio si radica. Il mistero di Gesù Cristo è l’evento mediatore in assoluto: rivela la
Verità in pienezza.
Con l’espressione monoteismo trinitario si indicano le caratteristiche di unità (un solo Dio) e
pluralità (3 persone) di Dio. La fede in Gesù Cristo genera continuamente la fede nel mistero di Dio
Uno e Trino. (p. 311-313)

3. L’identità divino-filiale di Gesù


Due metodologie: a) dal basso si parte dalla storia di Gesù di Nazareth narrate nei vangeli e si
comprende il significato rivelativo-salvifico facendo ricorso ai tre titoli Cristo, Signore e Figlio di
Dio. La riflessione porta a dire come Dio ha agito e confermato questi titoli; b) dall’alto il punto di
partenza è la persona del Figlio, il Verbo di Dio, preesistente in Dio per opera dello Spirito Santo,
che si fa uomo e si fa caso a come ha vissuto la sua vicenda umana come Figlio e Verbo di Dio.
C’è un rischio nel partire dal basso, secondo il professore è importante accentuare la teologia dall’alto (il quale cita a
conferma Rahner, La Daria e Ratzinger), il punto di partenza è la trinità.

La cristologia indaga sulla connessione tra Gesù di Nazareth (il Gesù della storia) e la confessione
di fede a suo riguardo (il Cristo della fede). Ha per oggetto una persona concreta, Gesù Cristo, vero
Dio e vero uomo. La connessione è di identificazione di reciprocità: ci insegna che il Figlio e Verbo
di Dio è Gesù di Nazareth. In Gesù Cristo è avvenuta la rivelazione piena e definitiva del mistero di
Dio. (p. 313-316)
4. La portata rivelatrice dell’Incarnazione
Gesù Cristo è la Parola eterna che manifesta il Padre, a cui è unito nello Spirito Santo. Rivela la
paternità di Dio attraverso un’esistenza terrena segnata dalla povertà e dall’umiltà.

Gesù Cristo è la Verità e la Via al Padre


Gesù Cristo attraverso la sua vicenda storica mostra la verità (la persona del Padre) di cui è
simbolo reale. Egli rinvia continuamente al Padre. Cristologia della rivelazione.
Gesù di Nazareth media in maniera assoluta il nostro incontro esperienziale con il mistero di Dio,
lo fa rivelando il Padre e donando lo Spirito Santo: tutto questo non sarebbe vero se egli non fosse
l’espressione storico-umana del Figlio di Dio. L’incarnazione è essa stessa rivelazione, anzi la
suprema rivelazione di Dio.
p. 318 il testo citato: l’incarnazione è in sé stessa rivelazione. Gesù è parola, Dio parla attraverso di lui in ogni cosa,
parole, gesti, silenzio, tutto.

Hans Urs von Balthasar: mediante l’incarnazione il Verbo rende la propria umanità capace di
esprimere il mistero insondabile di Dio. La condizione di Gesù storico è espressione della sua
identità divino-filiale. (p. 317-320)
p. 319 testo citato: Porta a compimento l’ontologia dell’uomo (Dio salva la persona, non solo l’anima, tutto intero
l’uomo) e l’estetica (l’uomo è plasmato da Dio), allora Gesù è la Parola, l’Immagine, l’Espressione e l’Esegesi di Dio.

La proposta di Karl Rahner


Rahner bisogna partire dall'esperienza trascendentale dell'uomo, per passare dall’oggettivismo della scolastica al
soggetto. La base per la teologia di Rahner è che tutti gli esseri umani hanno una consapevolezza latente (“atematica")
di Dio in tutte le esperienze. Tema: una capacità di potere, Dio in modo assoluto, L’uomo subordinato. “cristiani
anonimi”: Dio vuole la salvezza di tutti, ogni uomo può essere un cristiano anche se non ne è consapevole.

L’uomo è finalizzato e orientato ad accogliere l’autocomunicazione di Dio.


In Gesù Cristo si compiono perfettamente l’autocomunicazione di Dio all’uomo e la risposta,
l’accettazione altrettanto perfetta dell’uomo a Dio: le due sono opera di Dio. L’unico che può
attuare l’attuazione
La natura umana si spoglia per diventare Dio. L’incarnazione è l’attuazione della realtà umana, cioè
l’uomo è colui che si abbandona al mistero assoluto che chiamiamo Dio.
Il Logos diventa uomo, il suo tempo diventa il nostro, Dio può divenire. L’incarnazione diventa il
compimento dell’antropologia, gli uomini esistono perché il Figlio di Dio doveva diventare uomo,
la cristologia è l’inizio dell’antropologia. (p. 320-324)
Il Verbo incarnato esprime sé stesso e il Padre
Il Verbo Incarnato esprime sia sé stesso che il Padre, in uno stesso atto i due aspetti combaciano
perfettamente.
Concetti di Rivelatore di Dio, Rivelazione, Rivelato (p. 324-325)
Rapporto tra incarnazione e rivelazione: l’esperienza religiosa di Gesù ha radici nel suo rapporto
filiale, l’essere Figlio di Dio mette in evidenza l’unione ipostatica.
Esperienza umana della filiazione divina e la traduzione in linguaggio umano sono le due fasi
complementari nelle quali si articola la funzione rivelatrice di Gesù. Che il Verbo abbia assunto la
natura umana lo si deduce dall’esperienza religiosa di Gesù. (p. 324-327)

Cristologia della Parola: alcune traiettorie tematiche


Vuol dire che Gesù Cristo dice il Padre, comunica. Per questo Gesù è detto parola di Dio.

Parola di Dio indica la persona di Gesù Cristo, eterno figlio del Padre, fatto uomo ( Verbum Domini
n. 7). La fede cristiana non è un “la religione del libro” ma della Parola di Dio, del Verbo incarnato.
La prospettiva è cristocentrica, il creato viene dal Logos, la realtà nasce dalla Parola e “ogni
creatura è parola di Dio, poiché proclama Dio” (San Bonaventura): si riconosce che il Verbo è il
fondamento di tutto.
La storia di Gesù è la Parola definitiva che Dio da all’umanità e l’essere cristiano ha come inizio
l’incontro con la persona di Gesù (VD n. 11), la parola ha un volto, questo riporta alla centralità
della storia di Gesù di Nazareth, egli ha detto tutto e dato tutto, fino alla morte in croce dove
rimane in silenzio perché ha detto tutto (VD n. 12), il silenzio quindi appare come espressione
importante della Parola di Dio (DV n. 21), la Parola di Dio è la vera luce del mondo, nella
risurrezione il Figlio di Dio è sorto come luce del mondo (DV n. 12). (p. 327-330)

5. Il rapporto di Gesù il Cristo con lo Spirito di Dio


Il rapporto va impostato con il criterio della reciprocità: da Gesù Cristo allo Spirito e viceversa. Solo
grazie all’illuminazione dello Spirito possiamo vedere Gesù Cristo come immagine/icona del Dio
Invisibile.

Cristologia e pneumatologia
La presenza e l’azione dello Spirito si sono concentrate in Gesù di Nazareth, è segno che lui è il
Messia promesso da Dio.
Gesù è generato dallo Spirito Santo nel grembo di Maria (Mt 1,18-20; Lc 1,35).
Inizia e conduce la missione messianica come Figlio Unto e ripieno dello Spirito (episodi delle
tentazioni).
Lo Spirito lo accompagna e lo guida (Lc 4,14; At 10,38). Interviene nella sua risurrezione (Rm 8,11).
Lo Spirito è donato dal Padre al Figlio (Gv. 15,26).
Ma non è un semplice carismatico, dispone dello Spirito, ricevendolo costantemente dal Padre, e
lo effonde.
La cristologia allora determina e orienta la pneumatologia: lo Spirito, in forza dell’evento Pasquale,
porta una impronta cristologica: è lo Spirito di Cristo (Rm 8,9; Fil 1,19) e del Figlio (Gal 4,6).
Lo Spirito agisce nel mondo a partire da Cristo e in vista di lui: egli quindi conduce l’umanità al
Cristo, crea e garantisce la comunione con lui. Testo a p. 333. (p. 330-333)

L’azione dello Spirito nella Chiesa e nel mondo


Il Nuovo testamento dice alcune volte che è il Padre che invia lo Spirito, altre che lo invia Gesù:
Gesù lo invia chiaramente perché è il Figlio del Padre. Non lo inviano uno indipendentemente
dall’altro: il Padre lo invia “nel suo nome” (Gv 14, 26) in quanto è “lo Spirito del Figlio” (Gal 4,6), il
Figlio lo riceve dal Padre (At 2,33) e lo manda come il dono promesso dal Padre (Lc 24,49).
Il dono dello Spirito è fondamentale per l’appartenenza a Dio (cfr. Rm 8,9).
Lo Spirito rivela sé stesso attraverso quello che fa nella Chiesa, trasforma i credenti a immagine
di Cristo per renderli partecipi della sua condizione filiale, per guidare i desideri di ogni cuore
umano verso lui che è l’Unico Salvatore voluto e mandato da Dio.
Lo Spirito è la Persona Divina grazie alla quale è possibile sperimentare che il Dio Uno e Trino si è
aperto all’umanità per donarci e unirci a Lui per sempre con un vincolo di amore.

Capitolo X – L’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo


Introduzione
La componente soteriologica (relativa alla salvezza) è essenziale nella cristologia, Gesù Cristo
discese dal cielo “per la nostra salvezza”. Salvezza però non è solo redenzione dal peccato o
liberazione dalle oppressioni socio-politiche, ma in senso più ampio è il dono che Dio ci fa di se
stesso in Gesù Cristo e nello Spirito, consiste nella conformazione secondo Cristo, nel realizzare
quell’ideale umano che trova il suo paradigma in Cristo risorto.
Tutta la creazione ha senso a partire da Gesù nel quale tutto sussiste e che ha vissuto, è morto e
risorto per noi: la creazione e la salvezza in Gesù Cristo trovano la loro unità. (p. 339-340)
1. La salvezza: contenuti essenziali
Tre elementi relativi alla salvezza:
1. Il punto di partenza è una situazione negativa; (il peccato non compare come il soggetto primario,
non è la cosa più importante)

2. Il punto di arrivo coincide con una situazione positiva, opposta alla precedente e risolutiva;
3. Il passaggio avviene per opera di un agente esterno.
Dio viene in aiuto perché è fedele all’alleanza e perché essendo il Creatore e Signore del cielo e
della terra cioè esercita la sua regalità anche contro le forze che si oppongono al suo dominio.
Compie le opere grandiose per mettere il popolo in condizione di vivere l’alleanza.
Opera sempre per mezzo di un inviato, Abramo, Mosè, i re, il Servo di Jhwh, i profeti, i sacerdoti e
infine Gesù di Nazareth, il cui nome vuol dire “Dio salva”. Nel NT la salvezza realizzata da Gesù
Cristo riguarda tutta l’umanità, tutta la creazione, tutta la storia. (p. 341-342)

2. La «singolarità» di Gesù Cristo


Per singolarità si intende l’assolutezza (nel senso di insuperabilità, definitività, ultimità) della
storia di Gesù Cristo.
È necessario dare ragione dell’unicità di Gesù di Nazareth, cioè che è proprio lui il Salvatore,
rivelatore del mistero di Dio, e dare ragione della sua universalità cioè che la sua azione salvifica è
a favore e vantaggio di tutti gli uomini.
Per fare questo è necessario avviare un processo ermeneutico teologico, perché a livello storico la
vicenda terrena di Gesù risulta essere un frammento della storia universale umana.
Egli è la Verità definitiva, insuperabile, su Dio e sull’uomo: il fondamento ultimo risulta essere
l’evento dell’Incarnazione culminato nella Pasqua-Parusia. Gesù Cristo unisce divino e umano (p.
343-345)

3. La volontà salvifica universale di Dio e la necessità di Gesù Cristo


La salvezza non è solo l’opera di Gesù Cristo ma coincide con la comunione con Lui, con il Padre
grazie allo Spirito Santo. Allora Gesù Cristo è causa efficiente e finale del mondo e dell’uomo, e
anche esemplare in riferimento alla vocazione dell’uomo.

Alleanza e salvezza
La storia della salvezza attesta la volontà di Dio di chiamare l’uomo a essere partner di una
alleanza, delineata dalla simbologia del rapporto sponsale. Ci sono diverse alleanze:
1. Atto della creazione e Noè, destinazione universale;
2. Abramo, destinazione personale e universale
3. Mosè e il popolo eletto;
4. Davide promessa della discendenza messianica;
5. Nuova ed eterna alleanza con Gesù Cristo;

La salvezza promessa consiste nell’instaurazione del Regno di Dio.


Non è giustificato concepire la storia della salvezza come parallela a quella profana. C’è una storia
universale e una particolare, speciale, della salvezza. La prima inizia con la creazione e abbraccia
tutti i popoli, la seconda inizia con Abramo e si compie con Gesù Cristo.
La storia universale della salvezza è orientata a quella particolare, e quindi a Gesù Cristo.
Legame tra rivelazione e storia: Dio entra in dialogo con l’uomo, si fa sempre più vicino a lui fino al
culmine con l’incarnazione, Dio diventa il Signore della storia, la guida e la governa e il Signore gli si
adatta perché intende promuovere la risposta libera di coloro che Egli chiama. (p. 347-349)

Salvati «per la grazia del Signore Gesù» (At 15,11)


La salvezza non è procurata dal seguire una legge ma dall’intervento del Signore Gesù. Il fatto che
la salvezza sia gratuita conferma l’estensione universale di essa, è per tutti gli uomini. La
condizione per accedere è posta da Dio e coincide con l’adesione a Gesù Cristo, la fede in lui.
La fede è oggetto dell’obbedienza prestata a Dio, quindi i cristiani sono definiti anche come coloro
che obbediscono a Cristo Gesù.
Gesù ha ricevuto il nome e il ruolo di Signore, proclamare il suo nome è una professione di fede.
(p. 349-351)

Elezione e salvezza
Gesù Cristo è l’unico Salvatore, nessuno si salva senza di lui.
L’elezione di alcuni avviene sempre in vista della salvezza di tutti. Questo modo di fare ha una
storia ben precisa, comincia da Abramo, Mosé, il Resto Santo e culmina in Gesù Cristo.
Dall’elezione nasce la missione, sono strettamente collegate, nessuno è eletto se non per gli altri,
per una missione. In questo si manifesta la gratuità: la vicenda storica dell’eletto viene trasformata
da Dio in avvenimento di grazia per gli altri. Per questo l’elezione è la manifestazione della bontà
di Dio verso alcuni che poi vanno ad annunciare il vangelo a beneficio degli altri. (p. 351-353)

In Cristo Gesù la benedizione di Abramo è passata ai pagani (Gal 3,14)


“di due ha fatto una cosa sola” sono i giudei e i gentili. La condizione per accedere alla salvezza è la
fede, vale per tutti, i cristiani sono “tutti i credenti”, sono i “chiamati da Gesù Cristo”. Abramo è
padre di molti popoli per la sua fede. Dio ha fatto le sue promesse ad Abramo e alla sua
discendenza (al singolare) che è Cristo. Tutti sono sotto il peccato e la salvezza è concessa da Dio
per mezzo di Gesù Cristo. La conclusione è “la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato,
perché la promessa
venisse fatta ai credenti mediante la fede in Gesù Cristo” (Gal 3,22). Dio ha fatto la sua promessa
ad Abramo avendo di mira tutte le genti. (p. 353 – 355)

4. La salvezza in Gesù Cristo alla luce della mediazione


“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Si conosce Dio solo perché lui lo concede
donandosi a noi.
Gesù Cristo è l’unico mediatore, definitivo, universale. Lo è perché è vero Dio e vero uomo, in sé
Dio incontra l’uomo. L’azione di Gesù Cristo si può dividere (a livello didattico) in due “movimenti”:
Movimento discendente, l’opera che Dio ha realizzato mediante Gesù Cristo come figlio incarnato
per l’uomo, ovvero riguardo la salvezza (p. 357 elenco categorie soteriologiche); Movimento
ascendente, quello che come uomo ha fatto per prevalere sulle potenze ostili (male, peccato,
morte) cioè atteggiamenti e gesti (elenco p. 357).
Sostituzione penale e soddisfazione vicaria: due teorie che non corrispondono al Dio di Gesù
Cristo, non può corrispondere infatti l’idea di un Dio adirato con l’uomo per una colpa che deve
essere espiata mediante una soddisfazione adeguata. Gesù non si sostituisce a noi per subire un
castigo. (p. 355-358)

5. Il mistero dell’uomo alla luce di Gesù Cristo


Nel paragrafo si parla dell’antropologia da un punto di vista cristologico e cristocentrico. “Solo nel
mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et Spes).

Il rapporto tra cristologia e antropologia


Si procede attuando un rapporto di complementarità. Il primato è della cristologia in quanto Cristo
precede l’uomo. «l’evento cristologico comporta […] l’allargamento dell’orizzonte stesso delle
aspettative e speranze umane, per cui l’uomo si rende conto che la possibilità che Dio gli offre in
Gesù Cristo è quella di essere uomo al di là di ciò che egli ritiene solo umanamente raggiungibile».
Per Duns Scoto Gesù Cristo è scopo e fondamento di tutti gli esseri creati, modello, esemplare,
archetipo per l’uomo e la sua esistenza. (p. 358-361)

Gesù Cristo Modello dell’uomo


Siamo creati in Cristo Gesù (Ef 2,10) per mezzo di lui (Gv 1,3-10 e altri) in vista di lui (Col 1,16).
Questo è il fondamento della tesi relativa della creazione a immagine del Figlio di Dio.
Due proposte in era patristica: 1. Creati a immagine del Verbo Incarnato; 2. Creati a immagine del
Verbo preesistente e invisibile. (p. 362 importante, descrive le due scuole di pensiero)
Il peccato danneggia l’imago Dei: l’opera di Cristo e dello Spirito va verso la restaurazione,
rinnovamento di questa immagine.
Il rinnovamento dell’umanità procede nel divenire conformi a Lui, trasformati dallo Spirito Santo.
(p. 361-365)

Dio fa grazia all’uomo in Cristo


Gesù Cristo è interprete della verità che riguarda la persona umana: riconosciamo la nostra
identità di creatura che porta impresse la provenienza da Dio e l’insaziabile anelito verso di lui.
Il ruolo che il Signore Gesù Cristo svolge come Mediatore escatologico fa emergere il ruolo di
Mediatore protologico (relativo all’inizio) di salvezza. In Cristo siamo scelti e predestinati, ma
questa consapevolezza deriva dal Mistero Pasquale.
L’agire di Dio non solo suscita la risposta dell’uomo ma anche la porta a compimento. La
predestinazione precede la creazione: la creazione allora è il primo atto della salvezza. «in Cristo
ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella
carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d
’amore della sua volontà» (p. 366-367)

La vocazione divina dell’uomo alla luce di Cristo


La persona è chiamata a rispondere con libertà e solo per amore alla vocazione che la porta ad un
eccedere di ogni aspettativa esistenziale. La persona è una creatura capax Dei (nozione
fondamentale della antropologia teologica): capace di accogliere Dio, di stare in relazione con lui,
di esserne l’immagine visibile. Lo è per via partecipativa, nella creazione Dio gli ha comunicato
qualcosa di Sé, a immagine e somiglianza.
Inoltre, sostenere che l’uomo è stato creato in Cristo e a immagine di Cristo vuol dire ammettere
che egli ha una struttura ontologica abilitata a fargli raggiungere la piena conformità al Cristo: la
meta dell’uomo è questa conformità.
L’uomo non è ne era perfetto all’origine. Quindi la rilettura cristologica dell’escatologia non può
essere ristretta ad un’opera di restaurazione, orientata al passato, ma bisogna inquadrarla nel
criterio del compimento escatologico, nella pienezza per il giorno della Parusia. (p. 367-369)

6. «Aspetto la resurrezione dei morti»


La resurrezione è l’avvenimento su cui si basa la speranza del nostro futuro, il pieno ed eterno
godimento della salvezza.

In Cristo tutti riceveranno la vita


p. 370!! Un riassunto della fede scritto molto bene.
La resurrezione dei morti è l’evento con il quale il Signore Gesù Cristo porterà a compimento la
salvezza della persona umana. La resurrezione di Gesù è la causa, la promessa, il modello della
resurrezione dei morti. «io sono la resurrezione e la vita» (Gv. 11,25)
La resurrezione è universale, per tutti i morti: chi avrà operato il bene per una resurrezione di vita,
gli altri per una resurrezione di condanna. Solo per i primi si può parlare di resurrezione in senso
vero, perché riceveranno la vita di Cristo. (p. 370-372)

La risurrezione dei morti e la corporeità dei risorti


La resurrezione interessa tutto l’uomo ma in particolare il suo corpo: «credo nella risurrezione
della carne». Sarà la stessa corporeità che appartiene alla persona nella fase terrena ma
trasformato, con le stesse caratteristiche del corpo glorioso di Cristo. Paolo usa 4 aggettivi:
incorruttibile, glorioso, pieno di forza, spirituale. (1Cor 15, 42-44)
L’aggettivo spirituale rimanda all’inabitazione dello Spirito datore di vita «… lo Spirito che ha
risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali…» (Rm 8,11).
Quando si dice che la persona risuscita con il suo corpo, non si intende l’identità biologica ma
quella essenziale, ontologica, per cui quella persona è unica e irripetibile. L’anima alla morte
sussiste separata dal corpo, l’io della persona sussiste in attesa della Parusia, e riceve la
retribuzione essenziale, in base alle opere.
admirabile commercium: il Figlio di Dio ha assunto la nostra natura umana per farci partecipi della
sua natura divina. Qui sta la grandezza del suo amore per noi: non considerò un tesoro geloso la
sua uguaglianza con Dio, ma ha voluto condividerla con noi! (p. 372-376)

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