01-Esegesi Vangelo Di Giovanni

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GV 1,1–18

La struttura del prologo è dibattuta. Tutti concordano che i vv. 1–5 riguardano la fase della preesistenza
del verbo e che i vv. 14–18 riguardano l’esistenza terrena del verbo. La questione più complessa è
identificare la parte centrale dei vv. 9–13, se si riferiscano all’esistenza terrena o a un’altra forma di
presenza del verbo prima dell’incarnazione. Ne risulterebbe una strutturazione in 2 o tre parti.

John 1,1 ¶ Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος. L’apertura ἐν
ἀρχῇ richiama l’inizio di Genesi, qui in senso forte, dato che il testo sembra riferirsi a un tempo
precedente la creazione. Nota che anche i temi della luce e delle tenebre richiamano Gen 1.
L’imperfetto ἦν esprime uno stato durativo e descrive non un’azione (come Gen 1,1) ma la situazione
prima dell’azione. L’espressione ἦν ὁ λόγος è ripetuta tre volte (con inversione), ma con significati di
versi. La prima volta il verbo è assoluto e significa esistenza. La seconda volta è connesso alla
preposizione πρός e indica relazione. La terza volta ha un predicato e indica la natura del verbo.
Differenza tra ὁ θεός e θέος senza articolo: il primo sarebbe Dio padre, mentre il secondo indicherebbe
la natura divina del verbo. Da osservare che la molteplicità dell’espressione della divinità del verbo o
del suo rapporto con la divinità rivela la difficoltà della precisa definizione teologica (distinzione e
uguaglianza). Gli autori discutono sul valore della preposizione πρός, perché preoccupati del suo
impatto sulle questioni della trinitaria. Non sono sicuro che (a) questa sia una preoccupazione precisa di
questo testo poetico e che (b) l’autore sia riuscito a esprimere in maniera completa e soddisfacente la
sua visione della questione. In effetti, Brown osserva la brevità di questa sezione (vv. 1–2) dedicata alla
relazione tra il verbo e Dio e sottolinea che la speculazione metafisica non era al centro degli interessi
di Gv.
La cosa più rilevante del versetto è sicuramente l’uso del termine λόγος in senso cristologico. Prima e
fondamentale osservazione: questo titolo non è più usato nel Vangelo (rapporto tra prologo e vangelo).
Secondo punto: molto è stato discusso circa l’origine di questo titolo. Ovviamente è un termine
fondamentale nel pensiero greco, specialmente filosofico. In particolare, il λόγος è nello stoicismo la
ragione seminale di tutte le cose, la realtà divina immanente, il principio razionale che ordina la realtà.
Vista la natura divina del verbo e il suo ruolo attivo nella creazione, i legami con la concezione stoica
sembrano rilevanti. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la centralità che la “parola” ‫ דבר‬ha nella
Bibbia ebraica e particolarmente in Gen 1. Filone Alessandrino (chi è?) potrebbe essere un precursore
di Gv nel combinare queste due tradizioni (scopo apologetico dell’esegesi di Filone). Nei suoi scritti il
λόγος è personificato e assume i tratti dell’intermediario per eccellenza tra Dio e il mondo, tra Dio e
l’uomo.

John 1,2 οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν θεόν. Ripete il v. 1.

John 1,3 πάντα δι᾿ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν. ὃ γέγονεν. Il verbo ἐγένετο è un
altro aggancio a Gen 1 (E la luce fu: καὶ ἐγένετο φώς), e quindi il versetto sembra far riferimento
all’azione creatrice di Dio. Secondo alcuni, il riferimento sarebbe più ampio e riguarderebbe tutto
l’agire di Dio. Comunque, fai un confronto tra ἐγένετο e ἦν. La prima e la seconda parte del v. sono in
parallelismo opposto; affermano la stessa cosa con linguaggio opposto. L’espressione δι᾿ αὐτοῦ ha
valore chiaramente strumentale e sottolinea il ruolo del verbo nella creazione o nell’agire di Dio. Se il
parallelismo è semplice, allora χωρὶς αὐτοῦ ha anch’esso valore strumentale: “senza la mediazione” del
verbo. Boismard sostiene che c’è progressione di pensiero e traduce l’espressione in riferimento alla
“presenza” del verbo. ὃ γέγονεν potrebbe andare con il v. successivo (prova traduzioni diverse).

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John 1,4 ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων· Ci sono molti problemi di
ricostruzione della prima frase. 1) ὃ γέγονεν fa parte della frase? 2) ἐν αὐτῷ si riferisce a λόγος o a ὃ
γέγονεν? 3) Se ἐν αὐτῷ è il λόγος, va collegato a ὃ γέγονεν o a ζωὴ? 4) Cosa è ζωὴ: vita terrena o vita
eterna? Vita terrena sembra accordarsi con la descrizione della creazione (Gen 2), ma ζωὴ è un’idea
chiave nel resto del vangelo nel senso di vita eterna. Anche nel racconto di Genesi, tuttavia, ci sono
riferimenti all’ “albero della vita” che sembra essere un riferimento più ampio che la semplice vita
terrena. Adesso questo dono della vita divina (da cui l’uomo si era separato con il peccato) è ridonato
in Gesù (cf. Gv 6, pane della vita, chi ne mangia vivrà in eterno). La frase preposizionale ἐν αὐτῷ, se
riferita al verbo, si aggiunge al precedente δι᾿ αὐτοῦ. È difficile decidere se c’è e quale è la sfumatura.
La preposizione ἐν può avere valore strumentale (‫ ב‬ebraico), ma qui sembrerebbe un’imprecisione e
una riduzione dello stile dopo il corretto διά.

John 1,5 καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν. Il verbo καταλαμβάνω
ha un significato più attivo (“prendere, afferrare”) e uno più passivo (“accogliere”). Il primo senso
sottolinea l’ostilità delle tenebre che tentano di sopraffare la luce e spegnerla. Il secondo senso sarebbe
un riferimento al rifiuto di Dio e della sua grazia (poi più pienamente realizzato in Gesù). Vedi
collegamento con παρέλαβον al v. 11. Questa aggressione delle tenebre può riferirsi a un singolo
evento (aor. compl.; normalmente il peccato di Adamo ed Eva) o può riferirsi a molti eventi tutti
insieme (aor. mult.).

John 1,6 ¶ Ἐγένετο ἄνθρωπος, ἀπεσταλμένος παρὰ θεοῦ, ὄνομα αὐτῷ Ἰωάννης·

John 1,7 οὗτος ἦλθεν εἰς μαρτυρίαν ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός, ἵνα πάντες πιστεύσωσιν δι᾿ αὐτοῦ.

John 1,8 οὐκ ἦν ἐκεῖνος τὸ φῶς, ἀλλ᾿ ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός.

John 1,9 ¶ Ἦν τὸ φῶς τὸ ἀληθινόν, ὃ φωτίζει πάντα ἄνθρωπον, ἐρχόμενον εἰς τὸν κόσμον. Se il
soggetto di Ἦν è il λόγος (“Il verbo era la luce vera”) allora il participio ἐρχόμενον risulta molto goffo.
La soluzione più elegante è che si tratti di una forma perifrastica (“La luce vera veniva nel mondo”).
Questa forma perifrastica è rara in greco classico, ma potrebbe essere un semitismo. Nota che il
versetto ha una sua ritmica, che però non è scandita da καί come gli altri. Secondo alcuni autori è
anch’esso un’interpolazione e sarebbe la transizione del redattore al versetto successivo sul tema del
mondo.
La luce è tema messianico in Isaia (9,2; 42,6; 60,1–2).
Abbiamo per la prima volta il concetto di verità. È un altro tema chiave di Giovanni ed è stato dibattuto
a lungo (Brown ha una sintesi in appendice). In breve, 1) il concetto ebraico è quello di realtà solida e
ferma (radice di Amen) su cui ci si può basare; 2) il concetto greco è quello di rivelazione/non-
nascondimento, in particolare nella concezione platonico/gnostica (discuti). Tuttavia, nella letteratura
sapienziale, la verità è la sapienza rivelatrice dei misteri (Sap 6,22; Dan 10,21). Gv usa due aggettivi
derivati da ἀλήθεια. Quello usato qui, ἀληθινός, indica esclusività: l’unica cosa vera in
contrapposizione alle altre che sono false (ex.: 6,32). Qui è la luce vera in contrapposizione a Giovanni,
che “non è la luce”. L’altro, ἀληθής, signica “vero, nonostante le apparenza” (6,55).
Il participio ἐρχόμενον, in linea di principio, potrebbe riferirsi a ἄνθρωπον (“illumina ogni uomo che
viene nel mondo”), ma il versetto successivo chiarisce che il tema qui è la presenza del verbo/luce nel
mondo. Dunque, è preferibile considerarlo dipendente da φῶς.

John 1,10 ἐν τῷ κόσμῳ ἦν, καὶ ὁ κόσμος δι᾿ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ ὁ κόσμος αὐτὸν οὐκ ἔγνω. Il mondo
(κόσμος) è un altro concetto cardine di Gv, che tuttavia assume sfumature diverse. Ovviamente, l’uso
2
del termine implica che la realtà creata è abitata da un certo ordine, che emerge dal caos. Questa idea
greca di fatto si adatta bene al concetto biblico di creazione in Gen 1. In Gv, però, il mondo è in
particolare l’ambiente dell’uomo e il creato in relazione all’uomo (è la realtà dell’uomo). In alcuni testi,
equivale all’umanità, la creazione che è capace di rispondere a Dio. Qui, ad esempio, il mondo che
“non conobbe” il verbo è probabilmente l’umanità. Dio ha una disposizione positiva verso il mondo:
Gesù è mandato dal Padre a salvare il mondo. Dato che la reazione di molti all’insegnamento di Gesù
fu negativa (“i suoi non lo accolsero”), il mondo tende ad assumere una connotazione negativa e
avversariale. Il mondo finisce per odiare Gesù e i suoi seguaci.
Il rifiuto del verbo è espresso non come “peccato”, ma come “non conoscenza” o “mancato
riconoscimento”. Infatti, nella concezione di Gv, il punto della salvezza non è osservare la legge, ma
“credere” in Gesù che significare in parte riconoscerlo nella sua vera identità.

John 1,11 εἰς τὰ ἴδια ἦλθεν, καὶ οἱ ἴδιοι αὐτὸν οὐ παρέλαβον. In questo versetto ci sono due
problemi. Il primo è quale sia il riferimento di ἴδιος. Potrebbe riferirsi al popolo d’Israele o essere più
generale. Comunque sia, è chiaro che l’accento del versetto sta sul carattere inatteso del rifiuto. Il verbo
venne tra i suoi e, dunque, ci si aspetterebbe accoglienza, eppure incontrò il rifiuto. Se il riferimento è a
Israele, allora questo versetto può essere letto come una sintesi dell’AT. Il popolo d’Israele era
“proprietà speciale” di Dio (Es 19,5; più in generale la formula dell’alleanza), ma spesso il messaggio
divino comunicato dai profeti non fu accettato. Sarebbe una sintesi dell’infedeltà d’Israele in linea con
la tradizione profetica.
Il versetto, tuttavia, potrebbe essere interpretato anche in senso strettamente cristologico. Gesù è venuto
dai suoi e ha anch’egli incontrato il rifiuto. Del resto, questa contiguità tra Gesù e i profeti è già parte
della tradizione sinottica.
Il secondo problema è la differenza tra il neutro e il maschile. Il maschile si riferisce chiaramente a
persone, ma il primo neutro potrebbe essere un riferimento più generico all’ambiente di Gesù.

John 1,12 ὅσοι δὲ ἔλαβον αὐτόν, ἔδωκεν αὐτοῖς ἐξουσίαν τέκνα θεοῦ γενέσθαι, τοῖς πιστεύουσιν
εἰς τὸ ὄνομα αὐτοῦ, (spiega casus pendens; tendenza semitica; il participio finale è al caso giusto e
ripete lo stesso concetto; stile veramente giovanneo!) Secondo Brown, questo versetto inquadra questa
sezione in riferimento a Cristo, perché solo in lui e per mezzo dello Spirito Santo è possibile diventare
figli di Dio. I figli di Dio non potrebbero essere gli Israeliti dell’AT. Anche il tema della fede, sembra
riferirsi a Gesù. πιστεύω εἰς è tipicamente giovanneo (far vedere?).
Quelli che vedono in 1,1 un riferimento all’AT sostentono che 1,12 non era originalmente nell’inno, ma
un’interpolazione successiva (vedi stile, assenza di καί).

John 1,13 οἳ οὐκ ἐξ αἱμάτων οὐδὲ ἐκ θελήματος σαρκὸς οὐδὲ ἐκ θελήματος ἀνδρὸς ἀλλ᾿ ἐκ θεοῦ
ἐγεννήθησαν. Boh (nota sangui al plurale).

John 1,14 ¶ Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν, καὶ ἐθεασάμεθα τὴν δόξαν αὐτοῦ,
δόξαν ὡς μονογενοῦς παρὰ πατρός, πλήρης χάριτος καὶ ἀληθείας. Il termine σάρξ ha valore
antropologico e indica tutto l’uomo (dal punto di vista della fragilità umana; potrebbe avere il valore di
kenosi; potrebbe avere intento polemico contro tendenze pre-gnostiche o più generalmente contro la
visione greca del mondo materiale). Il termine carne è associato all’incarnazione già in Rom 1,3; 8,3.
Al v. 1, il verbo “era” (ἦν) Dio, ora “diviene” (ἐγένετο) carne. L’essere eterno entra nel tempo. Per chi
vede i vv. precedenti come riferito a Gesù, allora il v. 14 è un sommario. Altrimenti è l’ultima fase
nella storia del verbo.
Il verbo ἐσκήνωσεν richiama la presenza di Dio in mezzo al suo popolo nel deserto in una tenda (vedi
Ap 21,3). Così anche il tema del vedere la gloria di Dio.
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Nota la differenza tra la prima plurale ἐν ἡμῖν, tutta l’umanità, e il soggetto di ἐθεασάμεθα, i testimoni
apostolici. Il verbo θεάομαι sembra riferirsi a un’osservazione intenzionale.
L’aggettivo μονογενοῦς viene da μόνος (unico) e γένος (specie). Sta a indicare l’unicità di Gesù.
Successivamente alle controversie ariane venne tradotto “unigenito” (rapporto tra γένος e γένναω).

John 1,15 Ἰωάννης μαρτυρεῖ περὶ αὐτοῦ καὶ κέκραγεν λέγων· οὗτος ἦν ὃν εἶπον· ὁ ὀπίσω μου
ἐρχόμενος ἔμπροσθέν μου γέγονεν, ὅτι πρῶτός μου ἦν

John 1,16 ὅτι ἐκ τοῦ πληρώματος αὐτοῦ ἡμεῖς πάντες ἐλάβομεν καὶ χάριν ἀντὶ χάριτος·

John 1,17 ὅτι ὁ νόμος διὰ Μωϋσέως ἐδόθη, ἡ χάρις καὶ ἡ ἀλήθεια διὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ ἐγένετο.

John 1,18 Θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν πώποτε· μονογενὴς θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν κόλπον τοῦ πατρὸς ἐκεῖνος
ἐξηγήσατο.

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Gv 19,17–37

John 19,17 καὶ βαστάζων ἑαυτῷ τὸν σταυρὸν ἐξῆλθεν εἰς τὸν λεγόμενον Κρανίου Τόπον, ὃ λέγεται
Ἑβραϊστὶ Γολγοθα, Qui il riflessivo ἑαυτῷ può avere senso di vantaggio (per se stesso) o strumentale
(da se stesso). Ad ogni modo questa notizia è in contrasto con i sinottici che vedono coinvolto Simone
di Cirene. Tentativi di armonizzazione: 1) Gesù porta la parte alta, mentre Simone quella bassa; 2)
Gesù porta la croce finché ne è capace, poi obbligano Simone a caricarsene. Visto che la notizia su
Simone in Mc è dettagliata e sembra essere storicamente attendibile, nasce la questione se Gv non
sapesse di questo dettaglio o se lo abbia tralasciato intenzionalmente. Che Gv ignorasse il dettaglio
sembra contraddire l’affermazione che il racconto si basa su un testimone oculare (19,35). Tuttavia, è
possibile che la tradizione di Gv non abbia selezionato questo dato come importante. Gli autori che
ritengono che Gv abbia tralasciato Simone intenzionalmente suggeriscono varie motivazioni
teologiche. Ex.: 1) contro letture docetiche che sostenevano che fosse stato Simone a essere crocifisso,
non Gesù; 2) per sottolineare la libertà con cui Gesù andò incontro alla morte; 3) per enfatizzare la
tipologia di Isacco. Nessuna spiegazione è convincente, sono argomenti e silentio.
ἐξῆλθεν implica che il luogo della crocifissione era fuori della città (come era consuetudine per le
esecuzioni ebraiche). Questo sembra confermato al v. 20.
Γολγοθα è la parola aramaica per cranio. Mc riporta l’aramaico e la traduzione in ordine inverso.
Mentre Mc sembra voler spiegare un termine non greco, Gv sembra voler conservare un dato
tradizionale.

John 19,18 ὅπου αὐτὸν ἐσταύρωσαν, καὶ μετ᾿ αὐτοῦ ἄλλους δύο ἐντεῦθεν καὶ ἐντεῦθεν, μέσον δὲ τὸν
Ἰησοῦν. Tutti i vangeli concordano con il fatto che Gesù fu crocifisso con altri due (i sinottici li
identificano con banditi o criminali) e nel mezzo, anche se la fraseologia di Gv è molto diversa da Mc.

John 19,19 ἔγραψεν δὲ καὶ τίτλον ὁ Πιλᾶτος καὶ ἔθηκεν ἐπὶ τοῦ σταυροῦ· ἦν δὲ γεγραμμένον·
Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων. Solo Gv attribuisce il cartello all’ordine di
Pilato. La scrittura di un titulus con il nome del condannato e il suo crimine è attestata per l’epoca
romana anche se non l’affissione alla croce (veniva portata al collo dal condannato). Il testo esatto del
titolo è diverso in tutti i vangeli.
Il titolo della croce fa riemergere uno dei temi più importanti della passione giovannea: la regalità di
Cristo. Il tema appare parzialmente in tutti i vangeli, ma è centrale in Gv. Il tema inizia alla
moltiplicazione dei pani, quando le folle vogliono farlo re (6,15). Continua nell’ingresso messianico di
Gesù a Gerusalemme (12,13–15). Ma soprattutto si tratta dell’accusa mossa contro Gesù che viene
discussa in maniera estesa nel processo di fronte a Pilato (18,33–19,16). La portata dell’accusa dal
punto di vista romano viene chiarita quando la regalità di Gesù viene posta in alternativa a quella di
Cesare (19,12). In altre parole, Gesù viene ucciso come ribelle politico e minaccia all’autorità romana.
Cf. 11,47–53. L’accusa di bestemmia (che è la causa della morte di Gesù nei sinottici [Mc 14,64])
compare in Gv 10,31–39, ma non sembra aver alcun ruolo nel processo.
Paradossalmente, il titolo della croce fa sembrare la crocifissione un’intronizzazione regale, in cui Gesù
viene presentato pubblicamente quale re d’Israele.
Collegamento con il tema del pastore, metafora regale, che dà la vita per le pecore.

John 19,20 τοῦτον οὖν τὸν τίτλον πολλοὶ ἀνέγνωσαν τῶν Ἰουδαίων, ὅτι ἐγγὺς ἦν ὁ τόπος τῆς πόλεως
ὅπου ἐσταυρώθη ὁ Ἰησοῦς· καὶ ἦν γεγραμμένον Ἑβραϊστί, Ῥωμαϊστί, Ἑλληνιστί. Solo Gv ricorda
l’iscrizione in tre lingue. Iscrizioni poliglotte non erano rare. A Roma ci sono pietre tombali ebraiche in
queste tre lingue.

5
John 19,21 ἔλεγον οὖν τῷ Πιλάτῳ οἱ ἀρχιερεῖς τῶν Ἰουδαίων· μὴ γράφε· ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων,
ἀλλ᾿ ὅτι ἐκεῖνος εἶπεν· βασιλεύς εἰμι τῶν Ἰουδαίων. In questi versetti viene ripetuta varie volte
l’espressione τῶν Ἰουδαίων, creando un senso di ironia nel confronto tra i sommi sacerdoti “dei giudei”
e il presunto “re dei giudei” che il lettore sa essere realmente il “re dei giudei”. Il pronome ἐκεῖνος
potrebbe avere senso dispregiativo.

John 19,22 ἀπεκρίθη ὁ Πιλᾶτος· ὃ γέγραφα, γέγραφα. Secondo Brown, questi versetti (20-22) sono una
creazione di Gv che espande sulla tradizione del titolo per ripresentare la sua teologia della regalità di
Gesù. Infatti, l’accusa è ironicamente trasformata in una proclamazione universale dell’identità
messianica di Gesù. Infatti, è Pilato stesso, il servo di Cesare, a proclamare in maniera definitiva la
regalità di Gesù. La discussione tra i sommi sacerdoti e Pilato non fa che porre l’accento sul titolo della
croce e sulle sue implicazioni religiose e politiche per i giudei e per i romani. Da notare che
l’atteggiamento dei sommi sacerdoti rispetto al titolo è completamente diverso in Mc 15,32, dove viene
usato da essi come scherno. Dodd osserva l’estensione del tema della regalità e non esclude la
possibilità che fosse un aspetto caratteristico della tradizione di Gv.

John 19,23 ¶ Οἱ οὖν στρατιῶται, ὅτε ἐσταύρωσαν τὸν Ἰησοῦν, ἔλαβον τὰ ἱμάτια αὐτοῦ καὶ ἐποίησαν
τέσσαρα μέρη, ἑκάστῳ στρατιώτῃ μέρος, καὶ τὸν χιτῶνα. ἦν δὲ ὁ χιτὼν ἄραφος, ἐκ τῶν ἄνωθεν
ὑφαντὸς δι᾿ ὅλου. Mc ha la scena delle vesti prima della crocifissione, che sembra l’ordine più logico.
Se Gv conosceva Mc non è chiaro perché abbia invertito le scene. La divisione in quattro parti e che il
plotone fosse formato da quattro soldati sono informazioni uniche di Gv. Gruppi di quattro soldati
compaiono anche in At 12,4.

John 19,24 εἶπαν οὖν πρὸς ἀλλήλους· μὴ σχίσωμεν αὐτόν, ἀλλὰ λάχωμεν περὶ αὐτοῦ τίνος ἔσται· ἵνα ἡ
γραφὴ πληρωθῇ [ἡ λέγουσα]· διεμερίσαντο τὰ ἱμάτιά μου ἑαυτοῖς καὶ ἐπὶ τὸν ἱματισμόν μου ἔβαλον
κλῆρον. ¶ Οἱ μὲν οὖν στρατιῶται ταῦτα ἐποίησαν. Il verbo λάχωμεν significa ricevere in sorte
(invece che tirare le sorti) e non è presente nei sinottici che invece usano l’espressione βάλλειν κλῆρον
che si trova nella citazione. La citazione di Sal 22,19 è esplicita, mentre i sinottici hanno una semplice
allusione (spiegare categorie intertestuali). Secondo Dodd, non è probabile che Gv abbia rielaborato
Mc esplicitando l’allusione e riscrivendo le azioni dei soldati con un vocabolario alternativo. Qui il
parallelismo sinonimico del salmo è scisso in due azioni distinte. Secondo alcuni, il dettaglio della
tunica (assente in Mc) è aggiunto per potervi applicare il salmo. Oppure, il parallelismo del salmo è
scisso per spiegare un dettaglio storico della tradizione. Gli interpreti tentano di cogliere un simbolismo
della tunica “senza cuciture”: tunica sacerdotale o unità dei discepoli di Gesù. Entrambi questi
simbolismi non sono chiari.

John 19,25 ¶ Εἱστήκεισαν δὲ παρὰ τῷ σταυρῷ τοῦ Ἰησοῦ ἡ μήτηρ αὐτοῦ καὶ ἡ ἀδελφὴ τῆς μητρὸς
αὐτοῦ, Μαρία ἡ τοῦ Κλωπᾶ καὶ Μαρία ἡ Μαγδαληνή. Gv, come gli altri vangeli, riporta la presenza
delle donne. Tuttavia, qui la loro menzione è anticipata. Inoltre, nei sinottici le donne osservano la
scena “da lontano” (μακρόθεν), mentre in Gv stanno “presso la croce” (παρὰ τῷ σταυρῷ). Gv potrebbe
aver spostato le donne se intendeva creare il dialogo tra Gesù e la madre, ma in questo caso la presenza
delle altre non era necessaria. Inoltre, “la sua madre” non è presente negli altri elenchi e qui il discepolo
è assente.

John 19,26 Ἰησοῦς οὖν ἰδὼν τὴν μητέρα καὶ τὸν μαθητὴν παρεστῶτα ὃν ἠγάπα, λέγει τῇ μητρί· γύναι,
ἴδε ὁ υἱός σου. Il discepolo amato è un chiaro segno della tradizione o creazione giovannea. Questa
aggiunta giovannea (o della tradizione) potrebbe avere lo scopo di accentuare l’importanza del
discepolo amato rendendolo testimone della morte di Gesù.
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John 19,27 εἶτα λέγει τῷ μαθητῇ· ἴδε ἡ μήτηρ σου. καὶ ἀπ᾿ ἐκείνης τῆς ὥρας ἔλαβεν ὁ μαθητὴς αὐτὴν
εἰς τὰ ἴδια. Questa tradizione è stata usata per sostenere la verginità post partum di Maria (non aveva
altri figli e dunque necessitava di essere sostenuta dal discepolo amato). Più in generale, la scena è stata
usata per giustificare la “maternità spirituale” universale di Maria per tutti i cristiani. Questa linea
interpretativa è molto tarda nella tradizione (IX sec. in oriente; XI sec. in occidente). Brown propone di
notare il collegamento con Cana (“donna” e “ora” e i discepoli) e di mettere in enfasi che la passione di
Gesù è il momento per la madre di Gesù di assumere un nuovo ruolo. Brown vede riassunti vari ruoli
femminili dell’AT (Sion madre che partorisce un popolo nuovo nell’era messianica, ed Eva). Il
riferimento alla maternità universale di Eva trova conferma nei vari riferimenti al giardino dell’origini
nei racconti della risurrezione. La chiesa (nuovo popolo messianico) sarebbe la madre della nuova
stirpe umana.

John 19,28 ¶ Μετὰ τοῦτο εἰδὼς ὁ Ἰησοῦς ὅτι ἤδη πάντα τετέλεσται, ἵνα τελειωθῇ ἡ γραφή, λέγει·
διψῶ. Qui la sete è la motivazione per offrire a Gesù del vino. In Mc, vino mescolato a mirra è una
bevanda anestetica offerta a Gesù prima della crocifissione; poi, durante la crocifissione, vino viene
offerto a Gesù apparentemente per prolungare la sua agonia e vedere “se viene Elia”. Su questo punto,
la tradizione di Giovanni sembra indipendente.
In Gv, la sete è messa in relazione al compimento della scrittura. Per alcuni è il compimento generale
della scrittura, forse con riferimento alle profezie del messia sofferente. Per altro, il collegamento di
sete e vino corrisponde a Sal 69,22. Notare che Mc riferisce al salmo usando il verbo ποτίζω, mentre
Gv non riporta questo riferimento (ma riporta διψῶ).

John 19,29 σκεῦος ἔκειτο ὄξους μεστόν· σπόγγον οὖν μεστὸν τοῦ ὄξους ὑσσώπῳ περιθέντες
προσήνεγκαν αὐτοῦ τῷ στόματι. Il termine ὄξος indica qui il vino acidulo tipico dei romani. Mentre in
Mc l’offerta dell’aceto sembra essere un’azione di scherno, qui appare un gesto amichevole in risposta
alla sete di Gesù.

John 19,30 ὅτε οὖν ἔλαβεν τὸ ὄξος [ὁ] Ἰησοῦς εἶπεν· τετέλεσται, καὶ κλίνας τὴν κεφαλὴν παρέδωκεν
τὸ πνεῦμα. Il verbo τετέλεσται conclude il tema del compimento. La morte di Gesù finisce la sua
missione e più in generale dà compimento alle profezie. Infine, le ultime parole del versetto alludono
alla tematica dello Spirito che inizia la sua opera dopo l’innalzamento di Gesù. In tal senso, la consegna
dello Spirito prepara la scena della risurrezione.

John 19,31 ¶ Οἱ οὖν Ἰουδαῖοι, ἐπεὶ παρασκευὴ ἦν, ἵνα μὴ μείνῃ ἐπὶ τοῦ σταυροῦ τὰ σώματα ἐν τῷ
σαββάτῳ, ἦν γὰρ μεγάλη ἡ ἡμέρα ἐκείνου τοῦ σαββάτου, ἠρώτησαν τὸν Πιλᾶτον ἵνα κατεαγῶσιν
αὐτῶν τὰ σκέλη καὶ ἀρθῶσιν.

John 19,32 ἦλθον οὖν οἱ στρατιῶται καὶ τοῦ μὲν πρώτου κατέαξαν τὰ σκέλη καὶ τοῦ ἄλλου τοῦ
συσταυρωθέντος αὐτῷ·

John 19,33 ἐπὶ δὲ τὸν Ἰησοῦν ἐλθόντες, ὡς εἶδον ἤδη αὐτὸν τεθνηκότα, οὐ κατέαξαν αὐτοῦ τὰ σκέλη,

John 19,34 ἀλλ᾿ εἷς τῶν στρατιωτῶν λόγχῃ αὐτοῦ τὴν πλευρὰν ἔνυξεν, καὶ ἐξῆλθεν εὐθὺς αἷμα καὶ
ὕδωρ.

John 19,35 καὶ ὁ ἑωρακὼς μεμαρτύρηκεν, καὶ ἀληθινὴ αὐτοῦ ἐστιν ἡ μαρτυρία, καὶ ἐκεῖνος οἶδεν ὅτι
ἀληθῆ λέγει, ἵνα καὶ ὑμεῖς πιστεύ[σ]ητε.
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John 19,36 ἐγένετο γὰρ ταῦτα ἵνα ἡ γραφὴ πληρωθῇ· ὀστοῦν οὐ συντριβήσεται αὐτοῦ.

John 19,37 καὶ πάλιν ἑτέρα γραφὴ λέγει· ὄψονται εἰς ὃν ἐξεκέντησαν.

Alla fine dell’analisi, sembra importante rilevare tutte gli elementi che non sono riportati da Giovanni.
Simone di Cirene; donne piangenti lungo la via del Calvario; offerta di una pozione drogata; preghiera
per il perdono dei carnefici; indicazioni dell’ora; scherni; pentimento del buon ladrone; tenebra su tutta
la terra; il grido “Eloi, eloi”; l’idea che chiamava Elia; l’ultimo forte grido; le parole “Padre nelle tue
mani consegno il mio spirito”; il velo squarciato; il terremoto; la reazione del centurione.
Tutte queste omissioni sono difficili da conciliare con l’idea che Gv conoscesse i sinottici (o anche solo
Mc), perché alcune idee sarebbero state di supporto alla teologia giovannea (ex.: le tenebre o gli
scherni). Inoltre, quando Gv è vicino al raccolto dei sinottici ci sono importanti differenze di
vocabolario.

8
Gv 6,1–15

John 6,1 ¶ Μετὰ ταῦτα ἀπῆλθεν ὁ Ἰησοῦς πέραν τῆς θαλάσσης τῆς Γαλιλαίας τῆς Τιβεριάδος. Solo
Gv ha Tiberiade nel nome del mare di Galilea. Tiberiade fu completata da Erode negli anni 20 (nome in
onore di Tiberio). Può essere un indizio di datazione più tarda se il nome divenne corrente più tardi.
Oppure potrebbe essere un nome familiare alla tradizione di Gv.

John 6,2 ἠκολούθει δὲ αὐτῷ ὄχλος πολύς, ὅτι ἐθεώρουν τὰ σημεῖα ἃ ἐποίει ἐπὶ τῶν ἀσθενούντων. Gv
usa vari verbi per vedere e non è sempre chiaro se ci siano e quali siano le distinzioni. Nella prima
parte del vangelo, tuttavia, theorein è connesso con il tema dei segni e del credere. Vedere i segni è un
passo necessario per giungere alla fede (relazione appropriata con Gesù) ma non sembra sempre
sufficiente. La dinamica del vedere è espressa in Gv 2,23 (“Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua,
durante la festa, molti, vedendo i segni che compiva [stessa espressione che nel nostro versetto],
credettero nel suo nome”). In maniera simile la samaritana, colta in fallo da Gesù, esclama, “Signore,
vedo che tu sei un profeta!” (4,19). La fede della samaritana, tuttavia, non è ancora piena. Anche i
discepoli “videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura” (6,19).
Qui si tratta ancora di vedere un segno, ma non è pienamente compreso, dato che Gesù deve chiarire,
“Sono io, non abbiate paura!”.
La menzione del segno non è semplicemente un richiamo a un tema caro a Gv 1–12. Infatti,
un’espressione quasi uguale è posta a conclusione della pericope a formare un’inclusione. Questa
tecnica suggerisce chiaramente che Gv considera questo avvenimento come un momento di
rivelazione.

John 6,3 ἀνῆλθεν δὲ εἰς τὸ ὄρος Ἰησοῦς καὶ ἐκεῖ ἐκάθητο μετὰ τῶν μαθητῶν αὐτοῦ. Il riferimento a “la
montagna” (con art.) in Galilea è comune nei sinottici. Nel discorso della montagna di Mt si trova una
comparazione tra Gesù e Mosè come nel discorso sul pane di vita in Gv 6. Il linguaggio del sedere tra i
discepoli presenta Gesù come maestro. Questa presentazione non sembra combaciare con il racconto
immediatamente successivo. Tuttavia, il tema è ripreso in maniera esplicita in 6,59: “Gesù disse queste
cose, insegnando nella sinagoga a Cafarnao”.

John 6,4 ἦν δὲ ἐγγὺς τὸ πάσχα, ἡ ἑορτὴ τῶν Ἰουδαίων. Il riferimento temporale è importante per 1) il
contesto pasquale dell’eucaristia; 2) il contesto pasquale dei riferimenti all’Esodo. Con questa breve
menzione, Gv fornisce tutto un insieme di categorie interpretative per quanto segue.

John 6,5 ¶ Ἐπάρας οὖν τοὺς ὀφθαλμοὺς ὁ Ἰησοῦς καὶ θεασάμενος ὅτι πολὺς ὄχλος ἔρχεται πρὸς
αὐτὸν λέγει πρὸς Φίλιππον· πόθεν ἀγοράσωμεν ἄρτους ἵνα φάγωσιν οὗτοι; La domanda di Filippo è
simile a quella nel racconto matteano (πόθεν ἡμῖν ἐν ἐρημίᾳ ἄρτοι τοσοῦτοι ὥστε χορτάσαι ὄχλον
τοσοῦτον;), tuttavia entrambi i testi potrebbero ispirarsi a Nm 11,13 (πόθεν μοι κρέα δοῦναι παντὶ τῷ
λαῷ τούτῳ; ὅτι κλαίουσιν ἐπ᾿ ἐμοὶ λέγοντες Δὸς ἡμῖν κρέα, ἵνα φάγωμεν). In particolare, Nm 11
sembra aver ispirato tutta la sezione di Gv sul pane di vita: Nm 11,1 (il popolo si lamenta; Gv 6,41.43);
Nm 11,7–9 (la manna; Gv 6,31); Nm 11,13 (“Dacci carne da mangiare”; Gv 6,51); Nm 11,22 (pesce;
Gv 6,9).

John 6,6 τοῦτο δὲ ἔλεγεν πειράζων αὐτόν· αὐτὸς γὰρ ᾔδει τί ἔμελλεν ποιεῖν. Il verbo πειράζω ha
normalmente senso negativo (di ingannare per far cadere). Qui si tratta chiaramente dell’intervento
dell’autore che vuole evitare dubbi sulla onniscienza di Gesù.

9
John 6,7 ἀπεκρίθη αὐτῷ [ὁ] Φίλιππος· διακοσίων δηναρίων ἄρτοι οὐκ ἀρκοῦσιν αὐτοῖς ἵνα ἕκαστος
βραχύ [τι] λάβῃ.

John 6,8 λέγει αὐτῷ εἷς ἐκ τῶν μαθητῶν αὐτοῦ, Ἀνδρέας ὁ ἀδελφὸς Σίμωνος Πέτρου· La presenza di
Andrea e Filippo non è segnalata nei racconti sinottici della moltiplicazione dei pani. Dal punto di vista
narrativo, aggiungere nomi propri può essere una tecnica per accrescere il realismo di una scena.
Tuttavia, 1) Andrea e Filippo non sono particolarmente significativi tra gli apostoli; 2) sono presentati
assieme in Gv 1,35–51; 3) Gv 1,44 dice che erano entrambi di Betsaida, la città dove, Lc 9,10 pone la
moltiplicazione dei pani. È possibile che esistesse una tradizione collegata a Betsaida e a questi due
discepoli e che conteneva riferimenti alla moltiplicazione dei pani.

John 6,9 ἔστιν παιδάριον ὧδε ὃς ἔχει πέντε ἄρτους κριθίνους καὶ δύο ὀψάρια· ἀλλὰ ταῦτα τί ἐστιν εἰς
τοσούτους;

John 6,10 εἶπεν ὁ Ἰησοῦς· ποιήσατε τοὺς ἀνθρώπους ἀναπεσεῖν. ἦν δὲ χόρτος πολὺς ἐν τῷ τόπῳ.
ἀνέπεσαν οὖν οἱ ἄνδρες τὸν ἀριθμὸν ὡς πεντακισχίλιοι.

John 6,11 ἔλαβεν οὖν τοὺς ἄρτους ὁ Ἰησοῦς καὶ εὐχαριστήσας διέδωκεν τοῖς ἀνακειμένοις ὁμοίως καὶ
ἐκ τῶν ὀψαρίων ὅσον ἤθελον. Gv non ha il racconto dell’eucaristia durante l’ultima cena, tuttavia qui
riporta la sequenza tradizionale dei verbi “prese-benedisse/rese grazie-distribuì” che si trova nei
racconti sinottici delle moltiplicazioni e dell’ultima cena. Manca la frazione del pane. Il contesto
eucaristico della moltiplicazione dei pani è chiaro nei racconti sinottici a motivo dell’uso di questi verbi
(inclusa la frazione), ma in Gv il contesto è reso ancora più esplicito dal discorso sul pane di vita che
segue. Perciò, dobbiamo immaginare che questa serie tradizionale di verbi era connessa all’eucaristia
anche nella comunità giovannea (benché non ci sia il racconto dell’istituzione).

John 6,12 ὡς δὲ ἐνεπλήσθησαν, λέγει τοῖς μαθηταῖς αὐτοῦ· συναγάγετε τὰ περισσεύσαντα κλάσματα,
ἵνα μή τι ἀπόληται. I sinottici non hanno il verbo “raccogliere” ma “portare via” (αἴρειν). Tuttavia, il
verbo “raccogliere” si trova nel racconto della manna (Es 16,16). Il termine κλάσματα potrebbe essere
un riferimento più indiretto alla frazione del pane.

John 6,13 συνήγαγον οὖν καὶ ἐγέμισαν δώδεκα κοφίνους κλασμάτων ἐκ τῶν πέντε ἄρτων τῶν κριθίνων
ἃ ἐπερίσσευσαν τοῖς βεβρωκόσιν.

John 6,14 Οἱ οὖν ἄνθρωποι ἰδόντες ὃ ἐποίησεν σημεῖον ἔλεγον ὅτι οὗτός ἐστιν ἀληθῶς ὁ προφήτης ὁ
ἐρχόμενος εἰς τὸν κόσμον. Il termine σημεῖον ricorre all’inizio e alla fine del brano. “Il profeta che
deve venire nel mondo” è un riferimento alla promessa di Mosè (Dt 18,15-18). Il profeta come figura
escatologica appare anche in Gv 1,21 (“Allora gli chiesero [i.e., al Battista]: ‘Chi sei, dunque? Sei tu
Elia?’. ‘Non lo sono’, disse. ‘Sei tu il profeta?’. ‘No’, rispose”.); 1,25 (“Perché dunque tu battezzi, se
non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”); 7,40 (“All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano:
‘Costui è davvero il profeta!”). Sembra che sia solo Gv ha preservare questa identificazione (ma lo fa
molte volte).

John 6,15 Ἰησοῦς οὖν γνοὺς ὅτι μέλλουσιν ἔρχεσθαι καὶ ἁρπάζειν αὐτὸν ἵνα ποιήσωσιν βασιλέα,
ἀνεχώρησεν πάλιν εἰς τὸ ὄρος αὐτὸς μόνος.

1) CRITERIO DI DIPENDENZA LETTERARIA:


10
a. Brown propone questo come criterio principale per decidere sulla dipendenza dai
sinottici: “Se il quarto evangelista avesse copiato da uno o da più dei racconti sinottici,
per la maggior parte ciò che egli riporta si dovrebbe trovare nelle parole dei racconti
sinottici. Se in Giovanni vi sono delle differenze, allora, nella teoria della copiatura, ci
dovrebbe essere qualche motivo, teologico o letterario, che possa spiegare perché è stato
introdotto un cambiamento”.
b. Si tratta dunque di analizzare le divergenze e vedere se è possibile spiegarle con
l’intenzione teologica di Giovanni.
2) SUCCESSIONE IN GV E MC
a. Anni fa è stato osservato che i temi e le scene trattate in Gv 6 si ritrovano nello stesso
ordine in Mc 6 e 8.
i. Moltiplicazione per i 5000 Gv 6,1–15 Mc 6,30–44
ii. Cammino sull’acqua 16–24 45–54
iii. Richiesta di un segno 25–34 8,11–13
iv. Osservazioni sul pane 35–59 14–21
v. Fede di Pietro 60–69 27–30
vi. Tema della passione; tradimento 70–71 31–33
b. Ovviamente ci sono differenze sostanziali tra questi due racconti (ex.: spazio dedicato
alle osservazioni sul pane).
c. Mc 8 inizia con un secondo racconto di moltiplicazione dei pani (questa volta per i
4000), a cui però non segue il cammino sulle acque.
d. Gli autori ritengono che Gv avesse a disposizione (in forma di tradizione) una versione
più primitiva di quella marciana (o un Marco pre-canonico).
3) CONFRONTO CON I DUE RACCONTI SINOTTICI
a. In comune con la Moltiplicazione per i 5000 (Mc 6)
i. C’è la descrizione di un luogo. Il deserto in Mc e il mare di Galilea in Gv.
Tuttavia, Gv riprende il tema del deserto in 6,31.
ii. 200 denari.
iii. 5 pani e 2 pesci (contro i 7 pani e pochi pesciolini in Mc 8).
iv. 5000 uomini (contro i 4000 in Mc 8).
v. Sedersi “sull’erba” (contro “per terra” in Mc 8).
vi. 12 ceste (contro le 7 in Mc 8).
vii. Seguito dal cammino sulle acque.
b. In comune con la Moltiplicazione per i 4000 (Mc 8)
i. Segue la guarigione di un sordo muto. Gv 6,2 parla di segni sugli infermi.
(nessuna guarigione nel contesto di Mc 6).
ii. Nella versione matteana, prima della moltiplicazione Gesù sale sulla montagna e
si siede (Mt 15,29; cf. Gv 6,3).
iii. Gesù prende l’iniziativa e si preoccupa della folla (contro i discepoli in Mc 6).
iv. Nella versione matteana, i discepoli chiedono dove possono trovare sufficiente
(Mt 15,33) In Gv, Gesù formula una domanda simile (6,5).
v. Per sedersi si usa il verbo ἀναπίπτω (contro ἀνακλίνω in Mc 6).
vi. Gesù “rende grazie” (εὐχαριστέω) (contro il “benedire”, εὐλογέω in Mc 6).
c. Questa configurazione è difficile da spiegare come una derivazione (o copiatura) mista.
Forse alcune di queste scelte potrebbero essere spiegate da motivazioni teologiche, ma il
quadro complessivo non sembra seguire una logica coerente.
d. Inoltre, se Gv avesse scelto dettagli dell’uno o dell’altro racconto per motivazioni
teologiche, alcune omissioni sembrano difficili da spiegare. Per esempio, il “luogo
11
deserto”, tema che ritorna nel discorso sul pane di vita, sarebbe stato un’anticipazione di
un tema teologicamente significativo. Altro esempio, dato che il racconto giovanneo è
inserito in un contesto esplicitamente eucaristico, non è chiaro perché avrebbe omesso il
particolare della “frazione” del pane presente in entrambe le moltiplicazioni marciane
(forse non era verbo eucaristico per Gv?).
e. La cosa più probabile sembra che i due racconti in Mc-Mt siano il risultato dello
sdoppiamento di una tradizione che è giunta a Gv in maniera indipendente.
4) INQUADRAMENTO TEOLOGICO: Anche se appare molto probabile che il raccolto della
moltiplicazione dei pani (e in effetti tutta la sequenza fino all’annuncio del tradimento di Giuda)
abbia origine nella tradizione, è chiaro che così come lo troviamo in Gv viene riletto attraverso
alcuni temi teologici tra loro connessi. Non è facile stabilire in che misura questi temi fossero
già sviluppati nella tradizione ricevuta da Gv o siano stati elaborati dall’evangelista. Per
apprezzare in maniera piena questi temi si deve necessariamente prendere in considerazione il
discorso sul “pane di vita”.
a. AMBIENTAZIONE PASQUALE
i. Gv dà una precisa connotazione temporale all’episodio: “Era vicina la Pasqua”.
ii. Questa collocazione poteva essere implicita nei sinottici (erba verde; Mc 6,39),
ma diviene chiara in Gv.
iii. La Pasqua va intesa come la festa ebraica, con tutti i riferimenti all’Esodo nel
capitolo. Vediamo dopo.
iv. Possibili riferimenti alla Pasqua cristiana potrebbero essere il tema della
risurrezione nel discorso sul pane di vita, il tema del “dare la mia carne”, e il
tema del sangue (gli ultimi due, riferimenti alla croce).
b. RICHIAMI ALL’ESODO E A MOSÈ
i. Sono numerose le allusioni all’Esodo:
1. Salire sul monte (6,3)
2. La Pasqua (6,4)
3. La mancanza di pane come prova (6,6). Leggi Dt 8,2–3.
4. Raccogliere i pezzi (6,12–13). Cf. Es 16.
5. “Il profeta che viene nel mondo” (6,14). Cf. Dt 18,15.
6. La traversata del lago (6,16–21).
7. Il tema della manna (6,31).
8. Non perdere nessuno (6,39; 6,49–50; 6,58). La generazione persa nel
deserto.
9. La mormorazione (6,43; 6,61). Leggi Es 16,2.
10. La carne e il sangue, i due segni legati all’agnello pasquale.
c. ELEMENTI EUCARISTICI
i. Il discorso sul pane di vita inizia trattando primariamente dell’incarnazione di
Gesù e della fede in lui. A partire dal v. 51, il discorso si sposta esplicitamente
sull’eucaristia, la carne e il sangue di Gesù.
ii. Gv riceve dalla tradizione la triade di verbi prendere il pane/rendere
grazie/distribuire. Ci sono, inoltre, riferimenti indiretta alla frazione del pane,
anche se manca il verbo nella sequenza di azioni di Gesù.
iii. Possiamo assumere che Gv conoscesse l’associazione di quei verbi all’eucaristia
e dunque i tratti essenziali dell’istituzione dell’eucaristia, compresa la sua
associazione alla cena pasquale e alla morte e risurrezione di Gesù.

12
GV 8,13–30

John 8,12 ¶ Πάλιν οὖν αὐτοῖς ἐλάλησεν ὁ Ἰησοῦς λέγων· ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ κόσμου· ὁ ἀκολουθῶν
ἐμοὶ οὐ μὴ περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ, ἀλλ᾿ ἕξει τὸ φῶς τῆς ζωῆς. Gesù introduce il tema della luce, ma
non viene sviluppato fino a 9,5.

John 8,13 εἶπον οὖν αὐτῷ οἱ Φαρισαῖοι· σὺ περὶ σεαυτοῦ μαρτυρεῖς· ἡ μαρτυρία σου οὐκ ἔστιν ἀληθής.
Gesù è accusare di testimoniare per sé stesso e implicitamente non avere altri testimoni che confermano
le sue parole. In Dt 19,15, la legge richiede la presenza di almeno due testimoni per confermare una
condanna. Qui gli accusatori di Gesù e Gesù nelle sue risposte sembrano fare riferimento a questa idea,
anche se qui si tratta di confermare non una condanna, ma la testimonianza stessa di Gesù.
Osserva che qui Gv presenta in maniera diretta il problema fondamentale della rivelazione di Gesù,
cioè che si deve credere alla sua parola.

John 8,14 ἀπεκρίθη Ἰησοῦς καὶ εἶπεν αὐτοῖς· κἂν ἐγὼ μαρτυρῶ περὶ ἐμαυτοῦ, ἀληθής ἐστιν ἡ μαρτυρία
μου, ὅτι οἶδα πόθεν ἦλθον καὶ ποῦ ὑπάγω· ὑμεῖς δὲ οὐκ οἴδατε πόθεν ἔρχομαι ἢ ποῦ ὑπάγω. Gesù
ribatte che la sua testimonianza è valida anche se non menziona esplicitamente altri testimoni.
Implicitamente, tuttavia, il riferimento di Gesù a “da dove vengo e dove vado” chiama in gioco il
Padre, colui che lo ha mandato e testimonia per lui (8,16.18). Queste espressioni, ovviamente, non sono
comprensibili per i farisei, ma lo sono per il lettore. Il punto verrà esplicitato in 13,3: “Gesù, sapendo
che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava..” e segue la
lavanda dei piedi. Dunque, la testimonianza di Gesù non è solo confermata dal Padre, come vedremo,
ma ha anche la sua origine in Dio. Gesù annuncia ciò che era presso il Padre.
La testimonianza di Gesù (il suo vangelo, il suo annuncio) è περὶ ἐμαυτοῦ, “su me stesso”. Gesù stesso
è l’oggetto del suo annuncio. Osserva che il tema è trattato in maniera quasi uguale in Gv 5,31–39.
Osserva il contrasto fondamentale tra ciò che Gesù sa e che i suoi avversari non sanno. Questa
mancanza di conoscenza spiega la loro opposizione.

John 8,15 ὑμεῖς κατὰ τὴν σάρκα κρίνετε, ἐγὼ οὐ κρίνω οὐδένα. Giudicare secondo la carne significa
semplicemente giudicare in maniera e con criteri umani. Implicitamente, però, la carne (σάρξ), in
quanto portatrice di debolezza, non costituisce un criterio di verità pienamente attendibile.

John 8,16 καὶ ἐὰν κρίνω δὲ ἐγώ, ἡ κρίσις ἡ ἐμὴ ἀληθινή ἐστιν, ὅτι μόνος οὐκ εἰμί, ἀλλ᾿ ἐγὼ καὶ ὁ
πέμψας με πατήρ. Qui il giudizio di Gesù è ἀληθινή al contrario di quello dei farisei che è κατὰ τὴν
σάρκα.
Il Padre è “colui che ha mandato” Gesù. Questa espressione è fondamentale non sono per l’identità e
l’origine di Gesù, ma ancor di più per l’origine del suo messaggio. In quanto emissario del Padre, Gesù
può parlare a suo nome in maniera autorevole ed essere creduto. Il suo giudizio e il suo messaggio sono
veritieri (ἀληθινή) perché lui è il rappresentante autorizzato del Padre.

John 8,17 καὶ ἐν τῷ νόμῳ δὲ τῷ ὑμετέρῳ γέγραπται ὅτι δύο ἀνθρώπων ἡ μαρτυρία ἀληθής ἐστιν. Qui la
menzione della “vostra” legge sembra mettere una distanza tra Gesù e la legge giudaica. Tuttavia, qui è
soltanto Gesù che mette l’accento sul fatto che è la legge che i farisei accettano a dimostrare che sono
nell’errore.

John 8,18 ἐγώ εἰμι ὁ μαρτυρῶν περὶ ἐμαυτοῦ καὶ μαρτυρεῖ περὶ ἐμοῦ ὁ πέμψας με πατήρ. Qui c’è
perfetto accordo tra il messaggio di Gesù e quello del Padre (riguardo a Gesù). Mentre in 5,36–39, il
Padre offre una testimonianza veramente indipendente da quella di Gesù (le opere e le Scritture), qui l
13
testimonianza del Padre è la stessa di quella di Gesù. Al tempo stesso c’è distinzione (due testimoni) e
unità (un’unica testimonianza).

John 8,19 ἔλεγον οὖν αὐτῷ· ποῦ ἐστιν ὁ πατήρ σου; ἀπεκρίθη Ἰησοῦς· οὔτε ἐμὲ οἴδατε οὔτε τὸν πατέρα
μου· εἰ ἐμὲ ᾔδειτε, καὶ τὸν πατέρα μου ἂν ᾔδειτε. Dato che Gesù menziona un secondo testimone (suo
padre) i farisei chiedono di vederlo. Per il gioco dell’incomprensione (che Gesù nella sua risposta rende
chiaro) i farisei non capiscono quello che è ovvio per i lettori, cioè chi sia il Padre di cui Gesù sta
parlando. Attraverso questa incomprensione, Gv si allea non solo con Gesù ma anche con i lettori che
capiscono i sottintesi e implicitamente valutano l’ignoranza dei farisei.
Si accumulano i contenuti che i farisei ignorano, e in qualche modo questi contenuti sono sovrapposti:
“da dove vengo e dove vado” (8,14), “me” e “mio padre” (8,19). La conoscenza di questi tre contenuti
è simultanea (“se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio”).

John 8,20 Ταῦτα τὰ ῥήματα ἐλάλησεν ἐν τῷ γαζοφυλακίῳ διδάσκων ἐν τῷ ἱερῷ· καὶ οὐδεὶς ἐπίασεν
αὐτόν, ὅτι οὔπω ἐληλύθει ἡ ὥρα αὐτοῦ. Questo versetto introduce una prima conclusione. Ci sono
collegamenti con i versetti successivi, ma il tema della testimonianza è concluso.

John 8,21 ¶ Εἶπεν οὖν πάλιν αὐτοῖς· ἐγὼ ὑπάγω καὶ ζητήσετέ με, καὶ ἐν τῇ ἁμαρτίᾳ ὑμῶν
ἀποθανεῖσθε· ὅπου ἐγὼ ὑπάγω ὑμεῖς οὐ δύνασθε ἐλθεῖν. Osserva l’avverbio πάλιν, “di nuovo”, che
inizia questa sezione e la precedente.
Anche se successivamente Gv parla di “peccati” al plurale, qui usa la sua espressione preferita e si
riferisce al “peccato” al singolare, perché c’è per lui un peccato fondamentale che è il rifiuto di credere
in Gesù. Ci sono varie espressioni, ma la più chiara è in Gv 16,9: “Riguardo al peccato, perché non
credono in me”.
Le idee di questo versetto sono già apparse in 7,33–34, dove Gesù esprime anche l’imminenza di questi
avvenimenti. Il riferimento alla morte, dunque, è un appello urgente a credere nel breve tempo a
disposizione.

John 8,22 ἔλεγον οὖν οἱ Ἰουδαῖοι· μήτι ἀποκτενεῖ ἑαυτόν, ὅτι λέγει· ὅπου ἐγὼ ὑπάγω ὑμεῖς οὐ δύνασθε
ἐλθεῖν; Incomprensione. L’incomprensione qui però è più complessa, perché l’idea della morte di Gesù
non è immediatamente deducibile dalle sue parole (benché lo sia la morte dei farisei). In questo caso, i
farisei introducono un tema che viene ripreso da Gesù in 8,28. Se il riferimento al suicidio è
un’allusione (alquanto distorta) alla morte di Gesù, l’incomprensione potrebbe essere un’ironia (i
farisei dicono una verità ma senza veramente capire il significato delle loro stesse parole). Questo tipo
di ironia è più chiaro nel passo parallelo 7,35, dove i farisei identificano il luogo dove Gesù va con i
greci e l’insegnamento ai greci, un’allusione dell’espansione del vangelo ai pagani.

John 8,23 καὶ ἔλεγεν αὐτοῖς· ὑμεῖς ἐκ τῶν κάτω ἐστέ, ἐγὼ ἐκ τῶν ἄνω εἰμί· ὑμεῖς ἐκ τούτου τοῦ κόσμου
ἐστέ, ἐγὼ οὐκ εἰμὶ ἐκ τοῦ κόσμου τούτου. Nella sezione precedente c’era la coppia, “da dove vengo” e
“dove vado”. Ora il “da dove vengo” è sostituito da “io sono da” (l’alto; non da questo mondo).
Il dualismo di questo versetto è simile a 3,31 (“Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene
dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti”; anche
in questo contesto l’origine di Gesù è connessa al suo messaggio anche se in negativo [“e parla secondo
la terra”]).
L’appartenenza “non a questo mondo” è attribuita anche ai discepoli in 17,16.

John 8,24 εἶπον οὖν ὑμῖν ὅτι ἀποθανεῖσθε ἐν ταῖς ἁμαρτίαις ὑμῶν· ἐὰν γὰρ μὴ πιστεύσητε ὅτι ἐγώ εἰμι,
ἀποθανεῖσθε ἐν ταῖς ἁμαρτίαις ὑμῶν. L’espressione ὅτι ἐγώ εἰμι è un uso assoluto di “Io sono” (vedi
14
anche 8,28). L’espressione attira l’attenzione perché suona strana, come se il discorso si fosse
interrotto. Infatti, al versetto successivo i farisei chiedono a Gesù di completarla: “Tu sei… chi?”. Visto
che questa espressione ritorna varie volte (cf. 8,28; 8,58; 13,19), è chiaro per il lettore che questo non è
un parlare ordinario (magari sgrammaticato) e che deve chiedersene il significato. Altre volte è più
naturale e non attrae altrettanto l’attenzione (ex.: 6,20; 18,5). Anche in questi casi, tuttavia,
l’espressione sembra carico di significato, perché viene posta in enfasi la potenza di Gesù. Benché sia
difficile trovare un esatto equivalente nell’AT, gli autori concordano che il contesto interpretativo per
questa formula giovannea è l’uso di espressioni simili in rapporto a Dio. In particolare, Es 3,14; Is 43,1;
Is 45,18; e Is 43,25.
Qui si spiega che il peccato è la mancanza di fede. Inoltre, la mancanza di fede, cioè il peccato, porta
con sé in maniera automatica la conseguenza del peccato che è la morte.

John 8,25 ἔλεγον οὖν αὐτῷ· σὺ τίς εἶ; εἶπεν αὐτοῖς ὁ Ἰησοῦς· τὴν ἀρχὴν ὅ τι καὶ λαλῶ ὑμῖν;
Incomprensione. Qui l’incomprensione è importante per ciò che non riescono a comprendere è l’uso
assoluto di “Io sono” e infatti cercano di associarvi un attributo: “Tu chi sei?”. A un primo livello, non
capiscono le parole di Gesù. A un livello più profondo, non capiscono la divinità di Gesù.

John 8,26 πολλὰ ἔχω περὶ ὑμῶν λαλεῖν καὶ κρίνειν, ἀλλ᾿ ὁ πέμψας με ἀληθής ἐστιν, κἀγὼ ἃ ἤκουσα
παρ᾿ αὐτοῦ ταῦτα λαλῶ εἰς τὸν κόσμον. Qui abbiamo la formula che chiarisce l’origine divina del
messaggio di Gesù.

John 8,27 οὐκ ἔγνωσαν ὅτι τὸν πατέρα αὐτοῖς ἔλεγεν. Qui è l’intervento redazionale dell’autore che
spiega quello che sta succedendo e spiega l’incomprensione dei farisei.

John 8,28 εἶπεν οὖν [αὐτοῖς] ὁ Ἰησοῦς· ὅταν ὑψώσητε τὸν υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου, τότε γνώσεσθε ὅτι ἐγώ
εἰμι, καὶ ἀπ᾿ ἐμαυτοῦ ποιῶ οὐδέν, ἀλλὰ καθὼς ἐδίδαξέν με ὁ πατὴρ ταῦτα λαλῶ. L’innalzamento di
Gesù compare tre volte (3,14; 12,32). Il significato ambiguo di questo verbo è chiarito in 12,33:
“Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”. Ovviamente, il significato anche a quel
punto è chiaro soltanto a chi conosce i fatti della morte di Gesù. Anche il momento della crocifissione è
per Giovanni un momento di rivelazione (“allora saprete che Io sono”). Negli altri due testi il verbo
hypsoo è al passivo, di solito inteso come passivo divino: è Dio che innalza Gesù, come è Dio che lo
glorifica (cf. 17,1). Qui sono gli avversari di Gesù ha innalzarlo (con riferimento più chiaro alla
crocifissione). Entrambi, Dio e gli avversari, hanno un ruolo nell’innalzamento di Gesù.
La presenza del Figlio dell’uomo (anche in 3,14) in connessione con l’innalzamento potrebbe essere un
segno di una tradizione ricevuta da Gv. Infatti, nei sinottici gli annunzi della passione (spesso messi in
relazione con il tema dell’innalzamento) fanno riferimento al Figlio dell’uomo (e.g.: Mc 8,31).
Il momento dell’innalzamento di Gesù sembra essere il momento decisivo in cui o si crede o si muore
nei propri peccati.
“Parlo come il Padre mi ha insegnato” è un’altra espressione dell’origine divina del messaggio di Gesù.

John 8,29 καὶ ὁ πέμψας με μετ᾿ ἐμοῦ ἐστιν· οὐκ ἀφῆκέν με μόνον, ὅτι ἐγὼ τὰ ἀρεστὰ αὐτῷ ποιῶ
πάντοτε.

John 8,30 ¶ Ταῦτα αὐτοῦ λαλοῦντος πολλοὶ ἐπίστευσαν εἰς αὐτόν. Lo scopo del messaggio di Gesù è
portare molti alla fede (20,31).

15
GV 15,18–16,4

John 15,18 ¶ Εἰ ὁ κόσμος ὑμᾶς μισεῖ, γινώσκετε ὅτι ἐμὲ πρῶτον ὑμῶν μεμίσηκεν. Il mondo odia i
discepoli di Gesù. Il verbo γινώσκετε può essere indicativo o imperativo (normalmente tradotto con
l’imperativo, ma la funzione di questo verbo è minima nel versetto). Il verbo μεμίσηκεν è un perfetto e
significa che l’odio del mondo nei confronti di Gesù è esistito nel passato e perdura nel presente. Per
Gv l’odio è una caratteristica permanente ed essenziale del mondo, come l’amore lo è per il credente (il
tema del brano che precede; 15,1–17).
Al tempo in cui Gv raggiunse la sua forma finale, molto probabilmente la persecuzione da parte dei
romani e l’espulsione dalle comunità ebraiche erano fatti compiuti, per cui Gv e i suoi lettori accettano
come un dato di fatto che il rifiuto sperimentato in vita da Gesù è una realtà anche nella vita dei
credenti della loro generazione.

John 15,19 εἰ ἐκ τοῦ κόσμου ἦτε, ὁ κόσμος ἂν τὸ ἴδιον ἐφίλει· ὅτι δὲ ἐκ τοῦ κόσμου οὐκ ἐστέ, ἀλλ᾿ ἐγὼ
ἐξελεξάμην ὑμᾶς ἐκ τοῦ κόσμου, διὰ τοῦτο μισεῖ ὑμᾶς ὁ κόσμος. εἰ + tempo storico (qui, imperfetto) è
un periodo ipotetico dell’irrealtà; è un ragionamento per assurdo. L’ipotesi del versetto precedente (“se
il mondo vi odia”) ora diviene un’affermazione.
La ragione fondamentale per cui il mondo odia i discepoli è che i discepoli non gli appartengono o che
“non sono del mondo”. L’affermazione è ripetuta in 17,14 (“Io ho dato loro la tua parola e il mondo li
ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”). Gesù aveva già affermato di
non essere “del mondo” in 8,23 (“Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io
non sono di questo mondo”).
La chiamata di Gesù (“Vi ho scelti io dal mondo”) è appena apparsa in 15,6 (“Noi voi avete scelto me,
ma io ho scelto voi”), ma ora è presentata tramite l’idea che la chiamata toglie dal mondo. L’idea non è
primariamente che i discepoli non devono lasciarsi contaminare dal mondo, ma piuttosto che sono
chiamati a testimoniare Gesù, una condizione che li pone in contrapposizione al mondo.

John 15,20 μνημονεύετε τοῦ λόγου οὗ ἐγὼ εἶπον ὑμῖν· οὐκ ἔστιν δοῦλος μείζων τοῦ κυρίου αὐτοῦ. εἰ
ἐμὲ ἐδίωξαν, καὶ ὑμᾶς διώξουσιν· εἰ τὸν λόγον μου ἐτήρησαν, καὶ τὸν ὑμέτερον τηρήσουσιν. “Un servo
non è più grande del suo padrone” è una citazione di 13,16. Si tratta di un uso secondario
dell’affermazione. In 13,16 era un’esortazione a imitare Gesù nel servizio, mentre qui è diventata un
avvertimento ai discepoli che subiranno la sua stessa sorte.
L’ultima affermazione è di tono positivo e crea un problema perché a) non si accorda con il tono
generalmente negativo del brano e b) il “tutto questo” (ταῦτα πάντα) del versetto successivo è negativo
ma in teoria comprende anche quest’ultima affermazione. Gli autori provano a spiegare la dissonanza
in vari modi: 1) si inseriscono negazioni (“se non hanno osservato la mia parola, non osserveranno
neanche la vostra”); 2) si enfatizza l’implicazione negativa dell’affermazione (“se hanno osservato…”,
ma se non l’hanno osservata); 3) si ritiene il versetto successivo un’inserzione redazionale per collegare
i vv. 18–20 a 22–25.

John 15,21 ἀλλὰ ταῦτα πάντα ποιήσουσιν εἰς ὑμᾶς διὰ τὸ ὄνομά μου, ὅτι οὐκ οἴδασιν τὸν πέμψαντά με.
L’espressione “a causa del mio nome” è tradizionale per spiegare la persecuzione (Mt 10,22; At 5,41;
1Pt 4,14). In Gv, questa formula tradizionale sembrerebbe avere il valore aggiunto che il mondo rifiuta
Gesù come colui che porta il nome divino (17,11–12); infatti, Gv spiega “perché non conoscono colui
che mi ha mandato”. L’accusa di non conoscere il Padre era stata rivolta ai giudei (5,37; 7,28; 8,19),
ora è rivolta al mondo. L’idea che l’odio del mondo nasce dal rifiuto della rivelazione di Gesù è
espansa nei vv. 22–24.

16
John 15,22 εἰ μὴ ἦλθον καὶ ἐλάλησα αὐτοῖς, ἁμαρτίαν οὐκ εἴχοσαν· νῦν δὲ πρόφασιν οὐκ ἔχουσιν περὶ
τῆς ἁμαρτίας αὐτῶν. Periodo ipotetico dell’irrealtà. Il peccato è ancora una volta non aver creduto alla
parola di Gesù. L’accusa appena mossa al mondo di non conoscere Dio è apparentemente in
contraddizione con l’affermazione che Gesù è venuto e ha parlato loro (al mondo). Dunque, dovrebbero
sapere, e se non sanno, la loro ignoranza è rifiuto intenzionale della parola di Gesù. Per questo è
un’ignoranza inescusabile, è il peccato. Il rifiuto, secondo Gv, non nasce da un atto intellettivo (ho
pensato a quello che hai detto e non mi convince) ma volitivo (ti odio e perciò non credo in te). La
logica sottostante a questo versetto è la stessa del rifiuto di credere alle guarigione del cieco nato (9,41:
“Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Non vediamo’, il vostro peccato
rimane”).

John 15,23 ὁ ἐμὲ μισῶν καὶ τὸν πατέρα μου μισεῖ. L’odio è collegato al peccato perché è la condizione
necessaria per il rifiuto ostinato della parola di Gesù.
L’odio che collega Gesù ai discepoli collega anche Gesù al Padre. I tre costituiscono un blocco unico a
cui il mondo reagisce in maniera uguale.

John 15,24 εἰ τὰ ἔργα μὴ ἐποίησα ἐν αὐτοῖς ἃ οὐδεὶς ἄλλος ἐποίησεν, ἁμαρτίαν οὐκ εἴχοσαν· νῦν δὲ καὶ
ἑωράκασιν καὶ μεμισήκασιν καὶ ἐμὲ καὶ τὸν πατέρα μου. La prima parte del versetto è parallela al v.
22. Non è chiaro quale sia l’oggetto di ἑωράκασιν. Potrebbe essere “me e il Padre mio” (che è l’oggetto
anche di μεμισήκασιν). Tuttavia, sembra più logico che l’oggetto siano le opere compiute da Gesù: pur
avendo visto le opere, hanno odiato Gesù e il Padre.

John 15,25 ἀλλ᾿ ἵνα πληρωθῇ ὁ λόγος ὁ ἐν τῷ νόμῳ αὐτῶν γεγραμμένος ὅτι ἐμίσησάν με δωρεάν.
Anche qui, come in 8,17, Gesù sembra dissociarsi dalla legge (è la loro legge). Tuttavia, l’accento cade
piuttosto sul fatto che è la legge stessa che loro dicono di accettare a condannare il loro odio
ingiustificato.
La citazione ἐμίσησάν με δωρεάν è del Sal 35,19 o 69,5.

John 15,26 ¶ Ὅταν ἔλθῃ ὁ παράκλητος ὃν ἐγὼ πέμψω ὑμῖν παρὰ τοῦ πατρός, τὸ πνεῦμα τῆς ἀληθείας
ὃ παρὰ τοῦ πατρὸς ἐκπορεύεται, ἐκεῖνος μαρτυρήσει περὶ ἐμοῦ· L’espressione ὃ παρὰ τοῦ πατρὸς
ἐκπορεύεται è quella che darà origine alla teologia della “processione” dal Padre. Nell’interpretazione
dogmatica, questa espressione è riferita alla processione eterna dello Spirito, ma qui sembra piuttosto
riferirsi al momento in cui Gesù “manderà” lo Spirito ai discepoli da presso il Padre (πέμψω). In altre
parole, si riferisce alla missione dello Spirito, non alla sua processione.
La testimonianza del Paraclito è parte della reazione divina all’odio del mondo. Il mondo odia Gesù, e
poi odia anche i suoi discepoli, rifiutando la testimonianza di entrambi, ma il Paraclito continua questa
testimonianza anche dopo la partenza di Gesù, implicitamente continuando a causare l’odio del mondo.
Tuttavia, questo versetto introduce la funzione dello Spirito nei confronti del mondo che viene
sviluppata in 16,8–11, quella di dimostrare il peccato del mondo.

John 15,27 καὶ ὑμεῖς δὲ μαρτυρεῖτε, ὅτι ἀπ᾿ ἀρχῆς μετ᾿ ἐμοῦ ἐστε. La testimonianza del Paraclito
avviene in maniera concreta attraverso la testimonianza dei cristiani. Questa idea è tradizionale e si
trova in Mt 10,20 (“È lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”) e At 5,32 (“Di questi fatti siamo
testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono”; cf. At 6,10; 15,28).

John 16,1 ¶ Ταῦτα λελάληκα ὑμῖν ἵνα μὴ σκανδαλισθῆτε. In Gv, lo scandalo è ciò che porta i
discepoli a lasciare il gruppo di Gesù (6,61). Nei sinottici, lo scandalo è menzionato in riferimento alla
morte di Gesù (Mc 14,27), ma in Gv è connesso anche più estesamente alla persecuzione sperimentata
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dai cristiani dopo gli eventi di Pasqua. Il conflitto con il mondo non si concentra nella morte di Gesù
ma è un elemento inevitabile della vita dei cristiani e il Gesù giovanneo cerca di prepararvi i discepoli.

John 16,2 ἀποσυναγώγους ποιήσουσιν ὑμᾶς· ἀλλ᾿ ἔρχεται ὥρα ἵνα πᾶς ὁ ἀποκτείνας ὑμᾶς δόξῃ
λατρείαν προσφέρειν τῷ θεῷ. Gv riprende il tema della persecuzione con cui aveva iniziato in 15,18–
21, ma ora è chiaro che la persecuzione viene dalla sinagoga. L’aggettivo ἀποσυνάγωγος si riferisce
alle persone espulse (scomunicate) dalla sinagoga. Questa espressione potrebbe riferirsi a casi specifici
di esclusione dalla sinagoga locale o, più in generale, alla politica di esclusione dei cristiani ebrei dal
culto sinagogale a partire dagli anni 70. Il riferimento alla scomunica si trova anche in altri due passi:
9,22 (“Questo dissero i suoi genitori [del cieco nato], perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei
avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla
sinagoga”); 12,42 (“Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo
dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga”). Due volte, Gv accenna ai credenti che non hanno
il coraggio di confessare la propria fede. Oltre a 12,42, c’è anche Giuseppe di Arimatea (19,38: “Dopo
questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei,
chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù”; Giuseppe è qui l’esempio di chi supera questo timore).
Tutto il capitolo 9 è la storia di un uomo che crede in Gesù nonostante che questo gli costi la cacciata
dalla sinagoga.
Spesso, questo versetto viene letto sullo sfondo della Birkat HaMinim, la benedizione “contro gli
eretici” che veniva pronunciata, probabilmente a partire dagli anni 80, nella preghiera sinagogale
quotidiana. La versione ufficiale del Talmud Babilonese fa riferimento generico agli eretici (minim),
ma un’antica versione della preghiera ritrovata nella geniza del Cairo recita: “Che per gli apostati non
ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell'orgoglio [Roma]; e periscano in un
istante i nozrim e i minim; siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti.
Benedetto sei tu che pieghi i superbi”. In questa versione vengono menzionati i nozrim, cioè i Nazareni,
i seguaci di Gesù di Nazareth. Probabilmente, il termine nozrim fu un’aggiunta tardiva, ma sembra che
inizialmente i minim (ebrei eretici) fossero identificati con i giudeo-cristiani che non venivano più
accettati nella sinagoga.
I sinottici riportano forme di disciplina dei cristiani interna alla vita della sinagoga: “Vi consegneranno
ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe” (Mc 13,9); “vi flagelleranno nelle loro sinagoghe” (Mt
10,17). Per Gv, invece, i cristiani non sono più soggetti alla disciplina sinagogale ma ne sono già stati
espulsi. Per Brown, questo riflette una situazione successiva (anni 80 e 90). C’è sempre la possibilità
che questa fosse una realtà localizzata per le comunità note a Gv.
La seconda parte del versetto presenta l’uccisione e la persecuzione violenta dei cristiani come una
forma di culto. Potrebbe essere un riferimento alle persecuzioni romane. In particolare, sembra che
Traiano perseguitò i cristiani per il loro rifiuto di riconoscere gli dei a cui lui attribuiva la vittoria nelle
campagne contro i daci e gli sciti. Tuttavia, il riferimento contestuale alle sinagoghe e il fatto che i
giudei sono gli avversari di Gesù per tutto il vangelo suggerisce che Gv allude qui a persecuzioni da
parte degli ebrei nei confronti dei cristiani ebrei (più difficilmente nei confronti dei cristiani
proveniente dal paganesimo). Testimonianza di questo tipo di persecuzione di ha in Atti con la morte di
Stefano (7,58–60) e di Giacomo, il fratello di Giovanni (12,2–3). Giuseppe Flavio, nelle Antichità
giudaiche (20.9.1) attribuisce al sommo sacerdote Ananos II la responsabilità della morte di Giacomo,
il fratello di Gesù. Paolo dice di aver perseguitato la chiesa a motivo del suo zelo giudaico (Gal 1,13–
14). Testimonianze simili si trovano anche nel II secolo.
Barrett considera la possibilità che il riferimento al culto sia un caso di ironia giovannea: i giudei,
uccidendo i credenti, credono di rendere culto a Dio non sapendo che il vero culto viene dalle vittime
cristiane per mezzo del loro martirio.

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John 16,3 καὶ ταῦτα ποιήσουσιν ὅτι οὐκ ἔγνωσαν τὸν πατέρα οὐδὲ ἐμέ.

John 16,4 ἀλλὰ ταῦτα λελάληκα ὑμῖν ἵνα ὅταν ἔλθῃ ἡ ὥρα αὐτῶν μνημονεύητε αὐτῶν ὅτι ἐγὼ εἶπον
ὑμῖν. La formula ταῦτα λελάληκα ὑμῖν ἵνα è la stessa che in 16,1. Entrambe le formule danno la
motivazione per gli avvertimenti di Gesù.

I commentatori hanno osservato che questa sezione dell’ultimo discorso di Gesù in Gv ha molti
paralleli con due passi matteani (10,17–25 e 24,9–10).

Gv 15,18–16,4 Mt 10,17–25; 24,9–10


15,18: Il mondo vi odia … prima di voi ha odiato 10,22: Sarete odiati da tutti a causa del mio
me nome; anche 24,9
20: Un servo non è più grande del suo padrone 10,24: Un servo non è più grande del suo signore
20: Perseguiteranno anche voi 10,23: Quando sarete perseguitati
21: Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio 10,22: Sarete odiati da tutti a causa del mio
nome nome; anche 24,9
26: Il Paraclito … darà testimonianza di me 10,20: Lo Spirito del Padre vostro che parla in
voi
27: Anche voi date testimonianza 10,18: Sarete condotti davanti a governatori e re
… per dare testimonianza
16,1: Perché non abbiate a scandalizzarvi 24,10: Molti ne resteranno scandalizzati
2: Vi scacceranno dalle sinagoghe 10,17: Vi flagelleranno nelle loro sinagoghe
2: Chiunque vi ucciderà 24,9: Vi uccideranno

Brown suggerisce che Matteo ha separato materiale che era originariamente unito nella sua tradizione e
che Gv ha ricevuto indipendentemente la stessa tradizione su cui ha basato Gv 15,18–16,4. Brown
osserva anche che nessun’altra sezione di discorso in Gv assomiglia così tanto a un discorso sinottico.

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