Tesi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA

E REGGIO EMILIA

Dipartimento di Scienze della Vita

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FARMACIA

Tesi di laurea

COXIB: FRIENDS OR FOE?

Relatrice: Laureanda:
Prof. Nicoletta Brunello Carlotta Fedrizzi
matr. N. 101512

Anno accademico 2015-2016


Alla mia famiglia
INDICE

1. INTRODUZIONE pag. 4

Î Infiammazione pag. 5

Î Importanza dell’acido arachidonico pag. 13

2. FARMACI ANTIINFIAMMATORI pag. 16

Î Nascita dei FANS tradizionali pag. 16

Î Scoperta COXIB pag. 18

Î Vantaggi e svantaggi pag. 22

3. DANNO CARDIOVASCOLARE pag. 29

Î Meccanismi alla base degli effetti collaterali cardiovascolari pag. 33

4. FANS E PREVENZIONE TUMORALE pag. 41

Î Nascita e sviluppo di un tumore pag. 41

Î Cancro e infiammazione pag. 47

5. CONCLUSIONI pag. 56

6. BIBLIOGRAFIA pag. 59


 
1. INTRODUZIONE

I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) rappresentano la categoria di

medicinali maggiormente prescritti per la loro efficacia nel trattamento del

dolore, della febbre e di stati infiammatori di diversa origine (Santilli,

Boccatonda, Davì, & Cipollone, 2016). Il loro effetto antinfiammatorio,

antipiretico e analgesico li ha resi i farmaci più prescritti per il trattamento delle

patologie dell'apparato muscolo scheletrico, come le artropatie infiammatorie e

cronico-degenerative. Inoltre, è nota l’efficacia dei FANS anche in numerose

altre condizioni dolorose, quali reumatismi, stati post traumatici, dolore post

operatorio, dismenorrea, dolore oncologico, dolore odontoiatrico ed emicrania.

I FANS sono una casse di farmaci che vengono spesso assunti, in modo

autonomo senza l’approvazione o il consiglio di uno specialista, per via

dell’assenza di prescrizione medica (farmaci SOP e OTC), anche per dolori di

lieve entità.

I FANS rappresentano sicuramente i farmaci di riferimento nel trattamento delle

affezioni a carattere flogistico, ma sono anche ben evidenti gli effetti collaterali

legati alla loro assunzione cronica. Tra i più significativi sono inclusi reazioni

avverse epatiche, renali e cardiocircolatorie, sebbene la caratteristica più nota dei

FANS sia la propensione a provocare effetti avversi a carico dell'apparato gastro-

intestinale. Questi comprendono dispepsia, lesioni gastriche più o meno gravi

(specialmente per trattamenti prolungati) e complicanze gastro-intestinali gravi



 
come erosioni, ulcere e sanguinamenti. In molti casi, le lesioni da FANS sono

asintomatiche e se di lieve entità scompaiono dopo la sospensione del trattamento

(Garcìa Rodrìguez & Hernàndez-Dìaz, 2001).

Dal momento in cui si capì che gli effetti collaterali a livello gastro-intestinale,

principale limitazione al loro utilizzo, erano legati all'inibizione della isoforma 1

dell'enzima ciclossigenasi (COX-1), si è ritenuto opportuno perseguire l'obiettivo

di realizzare dei farmaci antinfiammatori che inibissero solamente l'isoforma 2

del detto enzima (COX-2). Questo gruppo di sostanze, chiamate COXIB, sono

più selettive nel bloccare il processo infiammatorio, lasciando quasi inalterata

l’azione della COX-1, enzima costitutivo nel nostro organismo e particolarmente

utile nel preservare l’integrità della mucosa gastrica. Fin da subito i COXIB sono

stati ritenuti migliori rispetto ai tradizionali FANS, dal momento in cui

mancavano dell'importante effetto collaterale di classe. Ma, alla luce delle

evidenze scientifiche, possiamo considerare realmente un vantaggio l’utilizzo dei

COXIB a discapito dei FANS?

INFIAMMAZIONE

L’infiammazione è un meccanismo di difesa fisiologico, che costituisce una

risposta protettiva nei confronti dell’azione dannosa di agenti fisici, chimici e

biologici, il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa scatenante il danno e

l’avvio del processo riparativo. L’infiammazione viene classificata secondo un

processo temporale in infiammazione acuta e infiammazione cronica (Rubin,


 
Gorstein, Rubin, Schwarting, & Straver, 2006). L’infiammazione cronica a sua

volta può essere distinta in diffusa oppure circoscritta. La patologia

infiammatoria più diffusa in Italia è quella cronica a livello articolare, definita

osteoartrosi.

Il processo infiammatorio cronico determina il rilascio di un gran numero di

mediatori che svolgono un ruolo relativamente minore nella fase acuta della

risposta. Una delle condizioni cliniche più importanti in cui sono coinvolti tali

mediatori è l’artrite reumatoide, una patologia nella quale il processo

infiammatorio cronico provoca dolore e distruzione della matrice ossea e

cartilaginea, che conduce ad un grado elevato di invalidità funzionale e provoca

alterazioni sistemiche che possono ridurre la durata della vita.

La risposta infiammatoria è difensiva nei confronti di chi la mette in atto e i segni

cardinali dell’infiammazione sono (Figura 1):

- rossore (rubor), perché aumenta l’afflusso di sangue nella zona lesa dovuto

all’iperemia attiva;

- calore (calor), per l’arrivo di una maggior quantità di sangue dal centro verso la

periferia;

- dolore (dolor), dovuto al rilascio di alcune sostanze, come le bradichinine e le

prostaglandine;

- tumefazione (tumor), perché fuoriesce del liquido dai vasi (essudato) che si

raccoglie nel tessuto causando gonfiore;

- lesione funzionale (functio laesa), a seconda della sede dell’infiammazione c’è

impedimento funzionale.

 
Figura 1: i cinque segni cardinali dell’infiammazione.

La febbre può essere un’ulteriore conseguenza dell’infiammazione, che non

sempre va contrastata, in quanto pochi gradi in più di temperatura hanno come

conseguenza il miglior funzionamento delle reazioni del sistema immunitario e

creano un ambiente sfavorevole per molti microorganismi patogeni.

INFIAMMAZIONE ACUTA

L’infiammazione acuta rappresenta la risposta precoce, o immediata, ad un

agente lesivo; ha di solito breve durata, dell’arco di ore o alcuni giorni. Si svolge

nel microcircolo, composto da arteriole, capillari e venule (Figura 2). Nella

risposta infiammatoria sono coinvolti i globuli bianchi, la cui formula

leucocitaria comprende granulociti neutrofili, linfociti, monociti, granulociti

eosinofili e granulociti basofili (Figura 3). Possono essere coinvolti anche i


 
neutrofili quando la risposta infiammatoria è dovuta ad un’infezione. I neutrofili

sono essenziali in questi casi perché si tratta di cellule circolanti, indotte ad

uscire dal vaso per raggiungere la zona di infezione, dove possono fagocitare

l’agente eziologico.

Figura 2: rappresentazione del microcircolo. Adattato da Rubin’s Patologia

Figura 3: cellule coinvolte nel processo infiammatorio. Adattato da Rubin’s Patologia



 
L’infiammazione acuta è detta anche angioflogosi (da “angio” = vaso, “flogosi”

= infiammazione) (Rubin, Gorstein, Rubin, Schwarting, & Straver, 2006).

Inizialmente una lesione dà origine ad una risposta infiammatoria acuta. Nel caso

più semplice avviene una risoluzione del problema, senza che nel tessuto

rimanga alcuna traccia del danno. In alternativa si può andare incontro a

guarigione, attraverso due meccanismi: rigenerazione, se si tratta di un tessuto

composto da cellule in grado di replicare, o cicatrizzazione, se invece le cellule

sono andate incontro a necrosi o non sono in grado di rigenerarsi.

Può succedere anche che l’organismo non riesca a risolvere il problema

infiammatorio acuto e in questo caso si osserva una cronicizzazione. La risposta

infiammatoria cronica è anche detta istoflogosi (da “isto” = tessuto, “flogosi” =

infiammazione) (Rubin, Gorstein, Rubin, Schwarting, & Straver, 2006). Questo

tipo di infiammazione potrebbe nascere anche direttamente in questa forma,

senza che ci sia una tappa preliminare di infiammazione acuta, come nel caso

della tubercolosi o di malattie autoimmunitarie.

Quando avviene una lesione localizzata (traumatica, meccanica, infiammatoria…

qualunque sia la noxa), le cellule locali iniziano a produrre prostaglandine e si

instaura una variazione nella concentrazione degli ioni potassio, che avvia la

depolarizzazione dei neuroni afferenti primari, per comunicare il danno al

cervello. I neuroni afferenti primari liberano la sostanza P (SP), un neuropeptide

che agisce da mediatore, e aumenta la depolarizzazione del neurone afferente

primario. La SP va anche ad agire sui vasi sanguigni: causa vasodilatazione per

favorire l’arrivo di neutrofili e macrofagi. In questo modo si attiva il sistema



 
immunitario, che richiama le cellule immunitarie in modo più rapido grazie alla

dilatazione del vaso sanguigno.

TAPPE DEL MICROCIRCOLO NEL CORSO DELL’INFIAMMAZIONE

A livello del microcircolo (Figura 4) come primo evento avviene un fenomeno

rapidissimo di vasocostrizione dovuto ad un riflesso assonico. Subito dopo si ha

vasodilatazione, che ha come conseguenza un aumento dell’afflusso di sangue in

quel distretto. Questo aumento è definito iperemia attiva. In alcuni casi la

risposta infiammatoria può terminare qui (es. eritema solare). In altri casi la

risposta infiammatoria è più importante e in seguito a vasodilatazione e iperemia

attiva c’è un aumento della permeabilità vascolare. A questo punto può iniziare

ad uscire del liquido vascolare che si raccoglierà nel tessuto circostante. Questo

liquido prende il nome di essudato, ed è ricco di proteine plasmatiche. Se la

quantità di essudato è ampia all’interno del vaso, aumenta la viscosità: fenomeno

chiamato iperemia passiva, che causa un rallentamento del flusso. A seconda

dell’entità di questo processo si possono avere anche delle conseguenze

sistemiche, come una carenza di ritorno venoso al cuore, che causa patologie

cardiache.

10 
 
Figura 4: Processi vascolari nel corso di infiammazione

Tutte queste tappe sono mediate da mediatori dell’infiammazione, sostanze che

vengono divise in due gruppi:

- mediatori cellulari (che derivano da cellule)

- mediatori plasmatici (che derivano dal plasma).

I mediatori cellulari possono essere già presenti all’interno di granuli contenuti

in alcuni tipi di cellule, oppure sintetizzati ex novo nel momento in cui si svolge

la risposta infiammatoria. Tra quelli già presenti nei granuli secretori di alcune

cellule ritroviamo l’istamina, un’ammina vasoattiva che svolge un ruolo

importante nella vasodilatazione, nell’aumento della permeabilità vascolare,

nelle reazioni allergiche e nella broncocostrizione, e la serotonina, che ha un

ruolo di vasodilatatore e aumento della permeabilità vascolare. Fra i mediatori

11 
 
di nuova sintesi molti derivano dall’acido arachidonico e sono le

prostaglandine, le prostacicline, i trombossani e i leucotrieni. I mediatori

plasmatici sono parte della cascata coagulativa, oppure derivano

dall’attivazione del complemento. I mediatori plasmatici più importanti della

cascata coagulativa sono callicreina e bradichinina. Il complemento è un

complesso di 20 frazioni proteiche che in condizioni normali si trovano separate

nel plasma e vengono assemblate solo nel momento del bisogno.

Nel corso del processo infiammatorio sono implicate anche proteine ad alto

peso molecolare presenti nel sangue. Una di queste è il bradichininogeno. Così

come tale è una proteina inattiva e per poter agire deve essere attivato. La

sostanza P lo degrada a bradichinina che è un vasodilatatore. La bradichinina

agisce anche depolarizzando a sua volta il neurone afferente primario. Se il

danno continua si percepisce anche una condizione di dolore perché il neurone

afferente primario, deputato al trasferimento dell’informazione dalla periferia al

sistema nervoso centrale, attiva la via del dolore tramite prostaglandine e

bradichinina. Il neurone afferente primario in questo momento è in una

condizione di iperalgesia, che consiste nell’abbassamento della soglia del

dolore.

Altre cellule sentinella a livello cutaneo sono i mastociti. Quando i mastociti

vengono attivati secernono rapidamente il contenuto dei granuli, tramite

degranulazione, e altre sostanze, quali il nitrossido (NO, un vasodilatatore) e i

leucotrieni, che inducono la contrazione della muscolatura liscia. Inoltre i

mastociti liberano interleuchine e altre sostanze chemiotattiche. Per fermare lo

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stimolo infiammatorio i mastociti liberano anche l’istamina contenuta

all’interno dei loro granuli, la quale agisce da potente vasodilatatore.

La vasodilatazione che caratterizza il decorso dell’infiammazione, per favorire

l’arrivo di cellule immunitarie riguarda le arteriole. L’aumentato afflusso di

sangue però comporta un maggior distanziamento delle cellule endoteliali che

causa stravaso a livello delle venule, con uscita di liquido e formazione di

edema. Le sostanze responsabili della vasodilatazione sono: istamina,

bradichinina, prostaglandine E2 e I2, SP, CGRP (peptide prodotto dal neurone

afferente primario). Quelle responsabili dello stravaso sono: bradichinina,

istamina, SP e leucotrieni.

INFIAMMAZIONE CRONICA

L’infiammazione cronica è un processo flogistico di lunga durata in cui

coesistono l’infiammazione attiva, la distruzione tissutale e i tentativi di

riparazione. Può svilupparsi come progressione di un processo infiammatorio

acuto, come conseguenza di episodi ripetuti di infiammazione acuta, de novo in

risposta ad infezioni persistenti di agenti microbici o sostanze esogene che

causano una risposta infiammatoria acuta lieve oppure come conseguenza di

una malattia autoimmune.

IMPORTANZA DELL’ACIDO ARACHIDONICO

L’acido arachidonico è un acido grasso, esterificato con i fosfolipidi di

membrana. Nel corso del processo infiammatorio esso viene rilasciato dai
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fosfolipidi della membrana cellulare, per azione della fosfolipasi A2 e vengono

prodotti numerosi composti, gli eicosanoidi.

L’acido arachidonico viene metabolizzato attraverso almeno quattro vie

metaboliche principali:

1. la via della prostaglandina PGH-sintasi, che porta alla formazione di

prostanoidi;

2. la via delle lipossigenasi, che porta alla formazione degli acidi

idrossieicosatetraenoici e dei leucotrieni;

3. la via della P-450 epossigenasi, che porta alla formazione di acidi epossi- e

idrossieicosatetraenoici, sostenuta da enzimi che contengono il citocromo P-

450;

4. la via ossidativa non enzimatica, che porta alla formazione di isoprostani che

comprendono una serie di composti simili alla PGF2α e PGE2, catalizzata dai

radicali dell’ossigeno.

Dal metabolismo dell’acido arachidonico, attraverso l’enzima PGH-sintasi,

derivano le prostaglandine (Figura 5),  famiglia eterogenea di acidi grassi

polinsaturi che ha numerosi effetti su vasi e terminazioni nervose, tra cui:

- aumento della permeabilità vascolare

- vasodilatazione

- attivazione chemiotattica dei granulociti neutrofili

- iperalgesia

- regolazione della temperatura corporea

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- protezione della mucosa gastrica

- omeostasi renale

- inibizione della liberazione di istamina.

Figura 5: Metabolismo dell’acido arachidonico tramite la via della PGH-sintasi

La via che sfrutta l’enzima PGH sintasi ha due siti catalitici, uno della

ciclossigenazi e uno della perossidasi. La ciclossigenasi è l’enzima chiave nella

cascata dell’acido arachidonico, per la formazione delle prostaglandine. Per

questo i processi di arresto delle affezioni di tipo infiammatorio mirano

all’inibizione di questo enzima.

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2. FARMACI ANTINFIAMMATORI

Il target dei farmaci antinfiammatori è l’enzima ciclossigenasi. Per molto tempo

si è pensato che esistesse solo un tipo di ciclossigenasi, ma negli anni 90 è stato

scoperto che esistono due isoforme dell’enzima ciclossigenasi implicate nel

processo infiammatorio: la COX-1 e la COX-2. La COX-1 è l’enzima costitutivo,

quindi sempre presente con funzione omeostatica per l’intero organismo e la

COX-2 è inducibile negli stati infiammatori.

NASCITA DEI FANS TRADIZIONALI

I farmaci antinfiammatori sono stati scoperti riscontrando nella corteccia del

salice un’azione antinfiammatoria e antipiretica. Questo grazie al contenuto in

essa di acido salicilico. I chimici tedeschi quindi, alla metà dell’800, tentavano di

preparare l’acido salicilico per via sintetica (Figura 6). Fu Felix Hoffmann, un

ricercatore scientifico della Bayer, a sintetizzare l’acido acetilsalicilico con l’idea

che fosse un preparato più stabile dell’acido salicilico e poterlo così utilizzare nei

processi infiammatori (http://www.aspirina.it/storia/).

Figura 6: Acido salicilico e acido acetilsalicilico. Adattato da (Marnett, 2009)


16 
 
Ma in quegli anni, dell’acido acetilsalicilico, brevettato dalla Bayer come

Aspirina, non si conosceva ancora il meccanismo d’azione. Negli anni ‘70 venne

scoperto essere un inibitore irreversibile della sintesi delle prostaglandine,

inibendo l’azione dell’enzima ciclossigenasi. Nello specifico, l’acido

acetilsalicilico non inibisce la sintesi dei leucotrieni, in quando non inibisce

l’enzima 5-lipossigenasi, ma si lega solo alla ciclossigenasi.

Poi si partì dagli acidi arilcarbossilici e si arrivò alla sintesi dell’antinfiammatorio

fenilbutazone. Fu usato inizialmente, poi abbandonato in quanto tossico, ma da

questa struttura molecolare sono derivati molti farmaci antiinfiammatori ancora

oggi usati (metamizolo, propilfenazone). La differenza con l’acido

acetilsalicilico, è che questi composti sono inibitori reversibili dell’enzima

ciclossigenasi.

Negli anni 40 l’interesse si rivolse verso l’acetanilide, un farmaco antipiretico e

analgesico, ma privo di proprietà antinfiammatorie. Si vide che agiva tramite la

liberazione di un suo metabolita attivo, l’acetaminofene. Si decise allora di

sintetizzare direttamente il metabolita attivo e somministrarlo come farmaco

antipiretico, che in Europa prese il nome di Paracetamolo (Smith JN, 1949).

La tecnologia e il progresso permisero quindi di sviluppare le prime tre classi di

antinfiammatori non steroidei (FANS) ed individuare il loro target, la

ciclossigenasi. Queste classi di FANS furono testate direttamente sull’uomo,

senza prove su modelli animali e comprendevano l’acido salicilico, l’acido


17 
 
acetilsalicilico, la fenacetina, il propifenazone e il fenilbutazone. Dopo la

Seconda Guerra Mondiale sono stati eseguiti studi preclinici su cavie e ratti, che

hanno permesso lo sviluppo di nuovi farmaci, più selettivi. Questo ha portato alla

scoperta di: ossifenilbutazone, piroxicam, diclofenac, indometacina e sulindac

(Marnett, 2009).

SCOPERTA DEI COXIB

Tra il 1990 e il 1993 si scoprì che esistono 2 isoforme della ciclossigenasi, COX-1

e COX-2 (Marnett, 2009). A differenza della distribuzione piuttosto vasta

dell’espressione dell’isoforma 1, che è considerato un enzima costitutivo per

l’organismo quindi sempre presente, l’isoforma 2 è espresso costitutivamente solo

in uno stretto range di tessuti e si è visto essere fortemente inducibile quando le

cellule dell’organismo vengono trattate con un’ampia gamma di agonisti

dell’infiammazione, come le citochine pro-infiammatorie, i fattori di crescita, i

promotori tumorali, i virus e i batteri. Questo ha suggerito che la COX-2 dovrebbe

essere l’unico vero target molecolare dei farmaci antinfiammatori. È nata così

l’ipotesi della COX-2, che presume che l’inibizione della COX-2 sia responsabile

dell’effetto antinfiammatorio dei FANS, mentre l’inibizione della COX-1 sia

attribuibile ad alcuni dei loro effetti collaterali indesiderati, in particolare della

tossicità gastro-intestinale.

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Figura 7: Strutture dei COXIB. Adattato da (Marnett, 2009)

Questo ha portato allo sviluppo di inibitori selettivi verso la COX-2, che presero

il nome di COXIB (Figura 7). I primi ad essere autorizzati all’immissione in

commercio in Europa, specialmente per il trattamento di malattie infiammatorie

cronico-degenerative quali artrite reumatoide e osteoartrite, furono rofecoxib e

celecoxib. Successivamente furono autorizzati anche etoricoxib (in alcuni paesi

dell’Unione Europea, ma non in Italia) e valdecoxib sottoforma del suo

profarmaco parecoxib, per il trattamento del dolore a breve termine post-

chirurgico (Cox 2-inibitori: le conclusioni dell’EMEA).

La prima struttura che mostrò una maggiore selettività verso l’isoforma 2 della

ciclossigenasi era diarileterociclica, che deriva dalla discendenza del

fenilbutazone (Figura 8).

19 
 
Figura 8: Struttura chimica del fenilbutazone

Si cercò poi di modificare la molecola per migliorarne la selettività a livello del

sito recettoriale. Furono necessari vari studi di struttura-attività per rivelare che

due anelli aromatici legati ad un eterociclo e un gruppo sulfonamidico o un

solfone sostituito in para all’anello aromatico dimostravano la maggiore

selettività nei confronti della COX-2.

La ciclossigenasi (Figura9) è un’eme-proteina ed è un dimero, le cui due subunità

uguali comprendono un sito attivo di ciclossigenasi e un sito di perossidasi

necessario per attivare il gruppo eme, che complessivamente prendono il nome di

prostaglandina sintasi.

Figura 9: Struttura 3D della ciclossigenasi


20 
 
Tutti i substrati e gli inibitori delle COX, sia selettivi che non selettivi, si legano

al sito attivo che si trova al di sopra del gate, dove è presente un residuo di

arginina (Arg-120), che grazie alla sua carica positiva lega le cariche negative

degli acidi carbossilici presenti nelle strutture degli inibitori (es. salicilati,

profeni, acidi indolacetici).

Figura 10: Struttura delle due isoforme della COX

Nonostante l’alta omologia tra i due enzimi (Figura 10), il sito attivo della COX-

2 è un po’ più ampio. Questo è dovuto alla presenza di una tasca alla base del

canale che porta al sito attivo, che lo rende più accessibile nella COX-2 rispetto

alla COX-1. La tasca è delimitata da un residuo di valina (Val-523) nella COX-2

e da un residuo di isoleucina (Ile 523) nella COX-1; questa sottile differenza

consente un forte legame tra il gruppo sulfonamidico o il gruppo solfonico del

diarileterociclo dei COXIB con la tasca della COX-2.

21 
 
A prova di ciò è stato osservato che la mutazione che sostituisce Val-523 con Ile-

523 nella COX-2 rendono l’enzima mutato resistente a celecoxib e rofecoxib

(Marnett, 2009).

Un’altra differenza nella tasca degli enzimi COX è l’Arg-513 presente nella

COX-2, mentre nella COX-1 si trova una His-513. Questa diversità nella

posizione 513 contribuisce per una certa parte alla selettività dei diarileterocicli

per la COX-2, ma è un fattore più significativo nell’abilità della COX-2 di

utilizzare amidi ed esteri dell’acido arachidonico come substrati.

Recentemente è stata identificata nel cane un’altra variante della COX-1,

chiamata “COX-3”, ma la rilevanza di questa COX o di altre varianti di splicing

della COX-1 nella biologia umana rimane da determinare (Katzung, Masters, &

Trevor, 2011).

VANTAGGI E SVANTAGGI

La COX-1 è presente in quasi tutte le nostre cellule, in particolare è l’isoenzima

normalmente espresso a livello gastrointestinale, renale e piastrinico per

mantenere una corretta fisiologia (Figura 11).

22 
 
Figura 11: COX-1, COX-2 e loro espressione

A differenza della piuttosto vasta espressione costitutiva della COX-1, l’enzima

COX-2 è il prodotto di un gene che viene stimolato da insulti meccanici sulla

parete vasale, da fattori di crescita, da agenti cancerogeni e da citochine

proinfiammatorie.

La COX-1 favorisce la formazione di prostanoidi che svolgono funzioni

fisiologiche, tra le quali la protezione dell’epitelio gastrico grazie alla

prostaglandina PGE2 il cui ruolo principale consiste nel mantenere l’integrità

della mucosa gastrica tramite il legame ai recettori EP3/EP4 localizzati sulla

membrana basale delle cellule epiteliali dello stomaco; questa interazione

promuove la secrezione di muco e di bicarbonato, che contrastano l’iperacidità

gastrica.

La COX-2 è la fonte principale di prostanoidi in corso di infiammazione e nelle

patologie tumorali.

Entrambe le ciclossigenasi portano alla formazione di un prodotto (PGG2) che

viene rapidamente modificato dall’azione perossidasica della ciclossigenasi per

23 
 
ottenere la PGH2 (Figura 12) che è il precursore di prostaglandine, prostaciclina e

trombossani, attraverso l’azione di isomerasi e sintasi. Questi enzimi terminali

sono espressi in maniera cellulo-specifica, in modo tale che la maggior parte

delle cellule produca principalmente uno o due prostanoidi, utili per la propria

funzione. La PGE1, ad esempio, è importante per i suoi effetti rilassanti sulla

muscolatura liscia e per mantenere pervio il dotto arterioso nei neonati in attesa

di trapianto cardiaco. La PGE2 e la PGF2α sono usate nel parto per indurre il

travaglio. La PGE2 prodotta a livello renale, è importante per l’azione sui piccoli

vasi regolando il flusso sanguigno. La PGI2 è sintetizzata principalmente

dall’endotelio vascolare ed è un potente vasodilatatore ed inibitore

dell’aggregazione piastrinica. Il trombossano invece ha proprietà di aggregante

piastrinico e vasocostrittore.

Figura 12: Metabolismo dell’acido arachidonico

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I farmaci antinfiammatori vengono utilizzati in moltissime patologie e il

trattamento di pazienti che presentano stati infiammatori si propone l’obbiettivo

di abolire il dolore, mantenendo la corretta funzionalità articolare, e di rallentare

o boccare l’evoluzione del danno al tessuto. La riduzione del processo flogistico

ad opera dei FANS spesso porta alla scomparsa del dolore per periodi

relativamente lunghi, inoltre rappresentano una categoria di farmaci appropriata

anche per il trattamento delle sindromi infiammatorie sia acute che croniche. Ma

a questa categoria di farmaci, oltre ai grossi benefici, appartengono anche delle

controindicazioni importanti e dei rischi da non sottovalutare.

I salicilati ed altre sostanze analoghe usate nel trattamento delle malattie

reumatiche hanno in comune la capacità di sopprimere i segni e i sintomi

dell’infiammazione, ed è grazie alle loro proprietà antinfiammatorie che sono

utili nel trattamento dei disturbi nei quali il dolore è correlato all’intensità del

processo infiammatorio.

I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) bloccano in maniera più o meno

reversibile il sito di legame dell’enzima ciclossigenasi, e spesso oltre ad inibire la

COX-2 spegnendo l’infiammazione, agiscono anche sulla COX-1 impedendo la

formazione delle molecole indispensabili all’omeostasi gastrointestinale.

Studi clinici e dati epidemiologici hanno fornito importanti informazioni sul

livello di rischio dei singoli farmaci. Tuttavia questi dati sono complessi e non

esistono confronti rilevanti per i singoli FANS. La Commission on Human

Medicine ha compiuto una revisione sul rischio gastrointestinale dei FANS. È

stato osservato un alto rischio gastro-intestinale con piroxicam, ketoprofene e


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ketorolac. Tra i FANS tradizionali l’ibuprofene a basso dosaggio offre il rischio

più basso. I COXIB sono associati a ridotto rischio gastrointestinale rispetto alle

maggior parte dei FANS a dosaggi equivalenti. Anche se l’evidenza per una

riduzione dei rischi gastro-intestinali clinicamente importante per etoricoxib è

debole (Grosser, Yu, & FitzGerald, 2010).

Per quanto tutti i nuovi farmaci tendano a provocare minore irritazione gastro-

intestinale, tutti i FANS possono provocare irritazione gastrica, ulcere gastro-

intestinali e sanguinamenti.

Anche la nefrotossicità è stata segnalata per tutti i FANS. A livello renale

l’inibizione delle ciclossigenasi causa una riduzione della produzione della PGE2

da parte del rene e questo provoca una minor vascolarizzazione nell’organo

stesso. Le strutture più profonde del rene sono quelle più soggette ai danni della

ridotta irrorazione in quanto il sangue raggiunge in piccola parte la corticale e

con difficoltà maggiore la midollare, fino ad arrivare a stento a livello delle

papille renali. Per questo motivo i FANS danneggiano selettivamente le papille,

aumentando il rischio di necrosi papillare. Poiché la COX-2 è normalmente attiva

a livello renale, anche le dosi consigliate di inibitori della COX-2 provocano

tossicità renale simile a quella dei FANS tradizionali.

L’epatotossicità si può manifestare a seguito di somministrazione di un

qualunque FANS. In particolare diclofenac e sulindac sono maggiormente

associati ad alterazioni delle prove di funzionalità epatica rispetto ad altri FANS:

entrambi tendono ad aumentare le transaminasi sieriche, anche se talvolta si

associa a danno epatico su base colestatica che regredisce dopo la sospensione


26 
 
della somministrazione del farmaco (Santilli, Boccatonda, Davì, & Cipollone,

2016).

L’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei può causare anche gravi

reazioni cutanee. L'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha ricevuto nuove

segnalazioni spontanee di reazioni cutanee importanti, alcune con esito fatale, tra

cui eritema multiforme, dermatiti esfoliative, sindrome di Stevens-Johnson ed

epidermolisi necrotica in pazienti in trattamento con valdecoxib. La frequenza di

tali reazioni sembra essere maggiore per valdecoxib rispetto ad altri inibitori

selettivi della COX-2. E poiché valdecoxib è il metabolita attivo di parecoxib,

tali reazioni si sono verificate anche con la somministrazione di parecoxib.

L'insorgenza di questi eventi si verifica nella maggior parte dei casi nelle prime 2

settimane di trattamento.

Le segnalazioni di reazioni da ipersensibilità correlata all’assunzione di inibitori

COX-2 selettivi non sono comunque risultate molto frequenti, mentre per quanto

riguarda le gravi reazioni cutanee i valori assoluti e la frequenza stimata non

differiscono dai valori riscontrati per i FANS tradizionali. Anche i pazienti che

non hanno un'anamnesi di allergie alle sulfonamidi possono essere a rischio di

gravi reazioni cutanee.

Un altro importante effetto collaterale su cui puntare l’attenzione è certamente

l’effetto cardiotossico, esplicato principalmente dai COXIB. Legandosi

selettivamente alla COX-2 bloccano questa isoforma in maniera più efficace

rispetto alla loro azione sulla COX-1 e l’effetto antiinfiammatorio, analgesico ed

antipiretico è simile a quello dei FANS non selettivi, con una riduzione di circa il
27 
 
50% degli effetti avversi gastrointestinali. Alle dosi raccomandate non hanno

effetti sull’aggregazione piastrinica mediata dal trombossano, prodotto

dall’enzima COX-1 ed inibiscono la sintesi di prostaciclina, mediata dall’attività

della COX-2 espressa nell’endotelio vascolare. Questo fa sì che i COXIB non

abbiano l’effetto di protezione dei tradizionali FANS sul cuore, e siano invece

causa di eventi cardiovascolari trombotici. Tutto ciò meritando una sezione a sé,

verrà trattato nel capitolo successivo.

28 
 
3. DANNO CARDIOVASCOLARE

Grazie alla scoperta delle due isoforme della ciclossigenasi, COX-1 e COX-2, è

stato possibile sviluppare farmaci selettivi maggiormente verso la COX-2, i

COXIB, con l’intento di ridurre la tossicità gastrointestinale dei FANS

tradizionali. Nell’endotelio vascolare, la COX-2 media la sintesi di prostaciclina

(PGI2) che ha un’azione vasodilatatrice e antiaggregante piastrinica, mentre nelle

piastrine la COX-1 media la sintesi del tormbossano A2 che possiede proprietà

vasocostrittrici e stimola l’aggregazione piastrinica. Fisiologicamente nel sistema

cardiovascolare gli effetti pro-trombotici del trombossano A2 e quelli anti-

trombotici della prostaciclina sono in equilibrio.

Figura 13: metabolizzazione dell’acido arachidonico a PGI2 nell’endotelio vascolare e


a TxA2 nelle piastrine

29 
 
L’acido acetilsalicilico (ASA), inibisce in modo irreversibile la COX-1 e la

COX-2. Ma se si assume a basse dosi giornaliere (<100 mg), l’ASA blocca

principalmente la COX-1, e data l’assenza di nucleo nelle piastrine, esse sono

incapaci di risintetizzare l’enzima; in questo modo il blocco dell’aggregazione

permane per tutta la vita della piastrina, che è di circa 7 giorni. La prostaciclina

invece può essere sintetizzata de novo dalle cellule endoteliali, perciò l’ASA fa

propendere la bilancia a favore dell’effetto anti-trombotico e riduce il rischio di

occlusione del vaso. Tale meccanismo è alla base dell’impiego dell’ASA nella

prevenzione cardiovascolare. Per contro i COXIB bloccano selettivamente la

COX-2, e anche se potenzialmente meno gastrolesivi, possono spostare

l’equilibrio verso l’effetto protrombotico, effetto collaterale grave per il quale

alcuni dei COXIB sono stati ritirati dal commercio (Miselli, 2013).

Nello specifico il Rofecoxib (Vioxx) è stato ritirato dal commercio nel 2004

(Rui, Kang-Ping, & Gui-Shan, 2015). Il sospetto sugli effetti pro-trombotici dei

COXIB è nato dopo la pubblicazione dei risultati inattesi dello studio VIGOR

(Vioxx Gastrointestinal Outcomes Research) che confrontava una singola dose

giornaliera di 50mg di rofecoxib con due dosi al giorno di 500mg di naprossene

in 8076 pazienti con artrite reumatoide. Dallo studio era emersa un’incidenza

significativamente più elevata di infarti nel gruppo trattato con rofecoxib rispetto

al gruppo trattato con naprossene, nonostante dopo 11 mesi di follow-up

rofecoxib e naprossene erano risultati ugualmente efficaci contro l’artrite

reumatoide e rofecoxib era inoltre associato a circa la metà dei seri effetti

30 
 
gastrointestinali causati dal naprossene (Figura 14) (Bombardier, Laine, Reicin,

Shapiro, & R, 2000).

Figura 14: incidenza di lesioni gastro-intestinali indotte da naprossene e rofecoxib.


Adattato da (Marnett, 2009)

Sebbene il tasso di mortalità per eventi cardiovascolari era simile in entrambi i

gruppi, il naprossene era associato ad un numero particolarmente basso di eventi

cardiovascolari, rispetto a quelli causati dal rofecoxib, nello specifico infarti al

miocardio.

L’aumento del rischio cardiovascolare è stato poi confermato da uno studio

successivo (Bresalier & al, 2005), che portò al ritiro dal commercio di rofecoxib

e aprì la strada all’accurata verifica dell’esistenza di analoghi effetti indesiderati

in altri COXIB e nei FANS tradizionali.

È stato eseguito uno studio che, contrariamente dagli studi appena citati, non ha

osservato differenze nella probabilità di sviluppare effetti cardiovascolari da

31 
 
parte di farmaci antinfiammatori tradizionali e i selettivi nell’inibire la COX-2.

Sono stati presi in considerazione celecoxib, ibuprofene e diclofenac nello studio

che ha preso il nome di CLASS (Celecoxib Long-Term Arthritis Safety Study).

La sperimentazione confrontava la somministrazione di due dosi giornaliere di

400mg di celecoxib, con due dosi giornaliere di 75mg di diclofenac e tre dosi

giornaliere di 800mg di ibuprofene in 8075 pazienti affetti da osteoartrite o artrite

reumatoide. È da notare che la dose di celecoxib era due o quattro volte più alta

della dosa raccomandata per avere l’effetto antinfiammatorio. I dati pubblicati

dopo 6 mesi di follow-up indicavano che il trattamento con celecoxib era

associato ad una riduzione dell’incidenza di eventi collaterali gastrointestinali

rispetto al gruppo trattato con i FANS tradizionali (Figura 15). Successivamente

fu osservato che dopo 12 mesi di trattamento non si riscontravano differenze

significative nella manifestazione di eventi collaterali di tipo gastrointestinale tra

celecoxib, ibuprofene e diclofenac (Juni, Rutjes, & Dieppe, 2002).

Figura 15: incidenza di lesioni gastrointestinali indotte da ibuprofene, diclofenac e


celecoxib nello studio CLASS. Adattato da (Juni, Rutjes, & Dieppe, 2002)

32 
 
Per quanto riguarda gli effetti indesiderati cardiovascolari, nello studio in

questione non è stata riscontrata nessuna differenza tra i tre farmaci.

MECCANISMI ALLA BASE DEGLI EFFETTI COLLATERALI

CARDIOVASCOLARI

Ci sono forti dati clinici che indicano che gli effetti cardiovascolari si basano su

meccanismi specifici, in particolare sull’inibizione della COX-2. Ci sono dati

altrettanto forti che suggeriscono che questo sia dovuto alla riduzione della

biosintesi della prostaglandina PGI2 a livello della parete vasale. La riduzione

della biosintesi della PGI2 è stata notata da FitzGerald e colleghi, in individui

trattati con celecoxib e rofecoxib (Marnett, 2009). Questa, al tempo, fu una

scoperta senza precedenti, perché i dati preclinici antecedenti mostravano che la

COX-1 era la ciclossigenasi maggiormente presente nel circolo sanguigno.

Nonostante l’iniziale scetticismo che la riduzione dei livelli di PGI2 in individui

che prendevano COXIB si riflettesse nella biosintesi a livello della parete vasale,

l’osservazione clinica è stata poi in accordo con i risultati che hanno dimostrato

che la COX-2 è indotta nell’endotelio vascolare di culture cellulari, quando le

cellule sono esposte a uno stress nel flusso sanguigno.

In ogni caso, la riduzione della biosintesi di PGI2 in seguito alla

somministrazione dei COXIB rappresenta un fattore di rischio per patologie

cardiovascolari. Ma un’intrigante domanda è il perché la manifestazione degli

eventi cardiovascolari richieda più di 12-18 mesi per raggiungere differenze

33 
 
significative dal placebo. Una possibile risposta può essere data se si analizza

l’entità degli eventi cardiovascolari provocati.

Se si prendono in considerazione gli studi clinici fatti nel caso dei gruppi trattati

per la prevenzione di polipi intestinali, i pazienti erano tutti in salute ed erano

stati esclusi gli individui con patologie cardiovascolari. Inoltre in un altro trial

clinico era stato osservato che pazienti con bypass coronarico nei quali veniva

somministrato valdecoxib per attenuare il dolore postoperatorio, mostravano un

significativo aumento di infarto del miocardio ed ictus in 10-14 giorni. In ogni

caso, potrebbe anche essere possibile che il lungo ritardo nella manifestazione di

eventi cardiovascolari in pazienti trattati per la prevenzione di polipi, sia una

conseguenza della riduzione cronica della biosintesi della PGI2, la quale può

predisporre ad aterosclerosi o a rottura di placche aterosclerotiche con

conseguenze trombo-emboliche.

Certo è che nella manifestazione degli effetti cardiovascolari sono implicate le

prostaglandine e altri mediatori biologici vascolari (Grosser, Fries, & FitzGerald,

2006). È bene ricordare il meccanismo d’azione della PGI2. COX-1 e COX-2

metabolizzano l’acido arachidonico a PGG2. I derivati glicerolici ed

etanolamidici vengono poi convertiti nelle varie prostaglandine. Ghosh et al.

(Ghosh, Wang, Ai, Romeo, & Luyendyk, 2007) hanno recentemente riportato

che l’estere glicerico della PGI2 (PGI2-G) è un agonista del PPARδ. Nelle cellule

dell’endotelio vascolare, l’attivazione del PPARδ reprime la sintesi di fattori

protrombotici tissutali e protegge da disturbi tromboembolici. La riduzione della

sintesi di PGI2-G, data dall’inibizione della COX-2 fa aumentare la sintesi e il

34 
 
rilascio dei fattori tissutali, con conseguente aumento della probabilità di

insorgenza di eventi cardiovascolari, data la mancanza dell’attività del PPARδ.

Figura 16: metabolismo del derivato glicerolico dell’acido arachidonico e formazione


del PPARδ. Adattato da (Marnett, 2009)

Una questione critica e non completamente risolta, è se la selettività verso la

COX-2 sia importante dal punto di vista degli effetti avversi cardiovascolari o

meno. Tutti i FANS e i COXIB, indipendentemente dal fatto che siano selettivi o

non selettivi, inibiscono la COX-2. Quindi ci poniamo la domanda se qualsiasi

composto che inibisce la biosintesi della prostaglandina PGI2 o la PGI2-G nella

parete vasale aumenti il rischio di patologie cardiovascolari indipendentemente

dall’inibizione o meno della COX-1. Gli inibitori non selettivi diminuiscono la

sintesi del trombossano (TxA2) nelle piastrine, che potrebbe spegnere gli effetti

protrombotici dati dall’inibizione della PGI2 nell’endotelio vascolare e ridurre il

rischio cardiovascolare (Grosser, Fries, & FitzGerald, 2006). In ogni caso la


35 
 
maggior parte dei FANS, eccetto l’aspirina e il naprossene, non inibiscono la

COX-1 nelle piastrine in modo abbastanza potente, tale da deprimere la sintesi

del TxA2 per un periodo di tempo prolungato.

Sono disponibili pochi dati clinici che informano se i FANS non selettivi causino

o no effetti avversi cardiovascolari; sono stati fatti studi a lungo termine come

APPROVE, APC e PreSAP (Marnett, 2009) che però non sono stati condotti con

i FANS non selettivi. I migliori dati clinici sono stati generati in studi dove i

FANS tradizionali venivano confrontati con i COX-2 inibitori selettivi, per

valutarne gli effetti gastro-intestinali. Questi studi però erano di breve durata,

solitamente inferiore all’anno, tempo insufficiente per osservare un aumento

statisticamente significante di effetti collaterali a carico dell’apparato

cardiovascolare. Tuttavia le metanalisi di questi studi suggeriscono che FANS

tradizionali, come ibuprofene, indometacina e diclofenac sono associati ad un

aumentato rischio di manifestare effetti cardiovascolari. (Kearney, Baigent,

Godwin, Halls, Emberson, & Patrono, 2006). Questo aumento è stato confermato

da uno studio a lungo termine (MEDAL) nel quale venivano confrontati

diclofenac ed etoricoxib, per quanto riguardava l’incidenza di infarto al

miocardio, ictus o morte per cause vascolari (Fig. 17).

36 
 
Figura 17: incidenza di infarto al miocardio, ictus e morte per cause vascolari nello
studio MEDAL, che confronta diclofenac ed etoricoxib. Adattato da (Marnett, 2009)

Per quanto riguarda il diclofenac, la questione è interessante, perché è

considerato un antinfiammatorio non steroideo tradizionale, ma mostra già in

vivo una certa selettività verso la COX-2, quasi equivalente a quella del

celecoxib. Il diclofenac può quindi essere considerato un FANS selettivo, anche

dal punto di vista della tossicità cardiovascolare. Inoltre è interessante notare che

esibisce una tossicità gastrointestinale simile a quella del celecoxib. Invece è

curioso notare che il naprossene, dai dati relativi alle metanalisi, risulta associato

ad una riduzione del rischio di effetti indesiderati rispetto ai COXIB e agli altri

FANS. Anche se in fin dei conti questa differenza è ancora un po’ incerta, perché

è stato visto che la somministrazione cronica di naprossene sopprime la sintesi di

TxA2 nelle piastrine, più di quanto la sopprimano gli altri FANS.

Anche un gruppo di ricercatori del Dipartimento di epidemiologia della Harvard

Medical School di Boston ha valutato gli effetti avversi su cuore e rene degli

inibitori della COX-2, con una metanalisi che ha preso in considerazione più di

37 
 
100 trial clinici a cui hanno partecipato in totale circa 116000 soggetti. Lo scopo

dello studio era verificare l’entità degli effetti e valutare se questi fossero

attribuibili all’intera classe di farmaci o se invece fossero associati alle singole

molecole. Dall’analisi fatta è emerso che gli inibitori selettivi della COX-2 non

hanno un effetto di classe significativo nell’aumentare il rischio di effetti avversi

renali e di aritmie. Ma un farmaco appartenente a questa classe, il rofecoxib è

associato ad un rischio aumentato di effetti collaterali renali e di aritmie. Peraltro

bisogna ricordare che è stato ritirato dal commercio ormai da tempo, proprio per i

suoi effetti negativi sull’apparato cardiovascolare. Il risultato relativo al

rofecoxib potrebbe dipendere sia dall’effetto esercitato sulla sintesi delle

prostaglandine da parte di questa classe di farmaci, sia dalla maggiore selettività

del rofecoxib rispetto alle altre molecole della classe degli antinfiammatori di

nuova generazione. In definitiva gli studi della metanalisi indicano che gli

inibitori della COX-2 non hanno un effetto di classe per quanto riguarda il rischi

di insorgenza di effetti avversi renali e cardiovascolari, o che lo abbiano solo

quando sono molto selettivi. Ciò farebbe ipotizzare che i meno selettivi siano i

più sicuri per cuore e rene, a discapito però del supposto effetto protettivo dei più

selettivi sullo stomaco (Zhang, Ding, & Song, 2006).

Studi sperimentali di patologie cardiovascolari in modelli murini hanno stabilito

che l’inibizione della COX-2, dalla quale dipende la sintesi della PGI2, rimuova

l’effetto protettivo sulla trombogenesi, sull’ipertensione e sull’aterogenesi in vivo

(Grosser, Fries, & FitzGerald, 2006). Questa è la conseguenza tipica

38 
 
dell’inibizione della COX-2 anche nell’uomo, che è stata oggetto di discussioni e

di molti risultati ancora oggi dubbi.

Per valutare gli effetti degli inibitori COX-2 è stata analizzata la dilatazione

mediata dal flusso sanguigno (FMD) dell’endotelio dell’arteria brachiale

(Patrono, 2016). Due studi indipendenti hanno riportato un aumento nella FMD,

in seguito a 1-2 settimane di trattamento con 200mg di celecoxib somministrato

due volte al giorno in pazienti ipertesi (Widlansky, Price, Gokce, Eberhardt,

Duffy, & Holbrook, 2003) e con disfunzione dell’arteria coronaria (Chenevard,

Hürlimann, Béchir, Enseleit, Spieker, & Hermann, 2003). Un follow up di 2

settimane sia con la somministrazione di 75mg di indometacina due volte al

giorno, che con la somministrazione di 12,5mg di rofecoxib non ha dato un

marcato aumento della FMD in pazienti affetti da artrite reumatoide. Gli studi

condotti hanno dimostrato che sia i FANS tradizionali, che i COXIB aumentano

la pressione sanguigna sia in pazienti ipertesi che normotesi, e interferiscono con

l’effetto di abbassamento della pressione sanguigna dei farmaci antipertensivi

(Aw, Haas, Liew, & Krum, 2005). Questo è stato dimostrato anche per alte dosi

di paracetamolo, considerato avere una discreta selettività verso la COX-2 e

debole azione inibitoria (Turtle, Dear, & Webb, 2013).

A differenza di questi risultati, è stato dimostrato che l’aspirina a basse dosi

(75mg al giorno) non influenza il controllo della pressione sanguigna e non

richiede l’utilizzo di ulteriori farmaci antipertensivi in pazienti già in intensa cura

antipertensiva (Patrono, 2016). Inoltre basse dosi di aspirina non influenzano

neanche le funzioni renali in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2, per via

39 
 
dello scarso effetto sulla COX-2 renale che permette la produzione dei

prostanoidi sia in pazienti in salute che in quelli affetti da patologie renali

(Okada, Morimoto, Ogawa, Sakuma, Soejima, & Nakayama, 2016)

Complessivamente i risultati degli studi indicano che tutti gli inibitori della

COX-2, comprese alte dosi di aspirina prese quotidianamente, alterano il

controllo della pressione sanguigna attraverso sia effetti sistemici che effetti sulla

COX-2 a livello renale (Patrono, 2016).

Sebbene studi iniziali abbiano suggerito che il celecoxib aumentasse la pressione

sanguigna con meno probabilità rispetto al rofecoxib, la progettazione di questi

studi spesso è risultata insufficiente nel fornire precise informazioni riguardo i

regimi terapeutici dei due farmaci in termini di grado e durata di inibizione della

COX-2.

40 
 
4. FANS E PREVENZIONE TUMORALE

Il cancro è la malattia più ostica con la quale la medicina abbia mai dovuto

confrontarsi. Le cellule malate sono molto simili a quelle sane, quindi per un

corretto intervento curativo è necessario riuscire a cogliere la sottile differenza

esistente tra cellule per colpire solo quelle malate, senza danneggiare quelle sane.

La ricerca al giorno d’oggi è ottimista grazie alle scoperte fatte negli ultimi

vent’anni, nei quali la mortalità è diminuita dell’1% l’anno (www.registri-

tumori.it/cms/).

Alcuni farmaci antinfiammatori prevengono la formazione di certi tipi di tumore

o ne rallentano la crescita. Si è visto che gli inibitori della ciclossigenasi-2 sono

efficaci nella poliposi familiare del colon, condizione genetica che predispone al

tumore dell'intestino. Sono inoltre numerosi gli studi che dimostrano l'effetto

protettivo dei comuni antinfiammatori, come l'aspirina, nei confronti di molti tipi

di tumore. L'obiettivo in questo caso è di prevenire la malattia, ma la stessa

strada, ossia quella di spegnere l'infiammazione, è allo studio anche come

possibile cura.

NASCITA E SVILUPPO DI UN TUMORE

La tumorigenesi inizia quando una cellula dell’organismo subisce un danno al

DNA. La cellula inizia a dividersi e moltiplicarsi in modo incontrollato. Le

41 
 
cellule sane hanno una specie di orologio biologico che permette alle cellule di

dividersi un numero definito di volte, al termine delle quali (divisioni cellulari)

risultano invecchiate e muoiono. Le cellule tumorali invece rompono questo

meccanismo e riescono a moltiplicarsi per un numero infinito di volte,

diventando così “immortali”.

La cellula tumorale inoltre è in grado di riprogrammare il proprio metabolismo e

l’energia prodotta viene dedicata interamente alla divisione e alla crescita

cellulare; così facendo la cellula perde la sua funzione originaria e l’unico

obbiettivo è riprodursi.

All’inizio le cellule tumorali sono poche e di piccole dimensioni e non riescono a

proliferare bene per l’insufficiente apporto di ossigeno e nutrimento. Una cellula

iniziata, nella quale è avvenuta una mutazione a livello del DNA, può restare

silente per molto tempo, detto “periodo di latenza”. Successivamente anche solo

una di queste cellule può subire un’alterazione a livello del proprio DNA e

iniziare a produrre fattori di crescita per i vasi circostanti, che entrano in questo

piccolo aggregato di cellule e portano ossigeno e nutrimento. Di conseguenza è

permesso a tutte le cellule circostanti di crescere e proliferare in maniera

incontrollata.

A questo punto il tumore può accelerare perché si è creato l’ambiente favorevole

intorno a sé e i sistemi riparativi dell’organismo non sono più in grado di riparare

il DNA, quindi vengono accumulate mutazione che ne favoriscono la sua

crescita.

42 
 
C’è un momento in cui il tumore diventa ancora più pericoloso, ed è quando le

sue cellule possono evolvere con caratteristiche di invasività, crescita metastatica

e anaplasia: imparano a lasciare il tessuto di origine e formano colonie in altri

tessuti od organi, che prendono il nome di metastasi, oppure si raggiunge uno

stato della neoplasia caratterizzato dalla perdita delle normali differenziazioni

cellulari, organizzazioni tissutali e funzionali (Hrelia & Cantelli Forti, 2013).

Un tumore che cresce in un organismo non è da considerarsi un corpo parassita

estraneo, ma è un tessuto complessamente organizzato formato dalla

trasformazione di cellule tumorali e di cellule stromali normali che sono in

rapporto simbiotico tra loro e che sostengono la crescita del tumore, e in alcuni

casi ne favoriscono la sua disseminazione in altri tessuti distanti dal punto

d’origine. L’organizzazione tissutale nel tumore in crescita, spesso caratterizzata

dalla presenza di infiltrati di cellule infiammatorie, si riflette nella sopravvivenza

e nell’evoluzione delle cellule tumorali, non tanto nella distruzione di queste

cellule trasformate (Trinchieri, 2012).

Sono state identificate da Hanahan & Weinberg [Hanahan D, Weinberg RA.

2000. The hallmarks of cancer. Cell 100:57-70] le caratteristiche del cancro. Le

prime quattro caratteristiche rappresentano modificazioni intrinseche dell’abilità

replicativa delle cellule, dipendenti solo in parte dalle successive mutazioni a

livello del soma della cellula o da modificazioni epigenetiche nel corso

dell’evoluzione del tumore, e sono:

- una sostenuta segnalazione proliferativa,

43 
 
- l’annullamento dei soppressori della crescita,

- la resistenza alla morte cellulare

- la capacità immortale di replicarsi.

Le ultime due caratteristiche:

- la stimolazione dell’angiogenesi,

- l’attivazione dell’invasione dei tessuti circostanti e della formazione di

metastasi,

dimostrano l’acquisizione dell’abilità da parte di un tumore ben formato di

consentire la crescita e la disseminazione di cellule maligne attraverso

modificazioni del microambiente tumorale, fornendo le condizioni migliori per

l’arrivo dei nutrienti e inducendo un adattamento tissutale.

Per la formazione di nuovi vasi ha un ruolo chiave il VEGF (vascular endothelial

growth factor), il fattore di crescita delle cellule endoteliali che si lega a diversi

recettori presenti a livello dell’endotelio vascolare, favorendo l’angiogenesi. La

capacità dell’organismo di formare nuovi vasi in condizioni fisiologiche è

regolata dal VEGF. E anche nei tumori l’angiogenesi è regolata da questo fattore.

44 
 
Figura 18: azione del VEGF

Il termine “cancro” era stato in origine utilizzato da Galeno per alcuni tipi di

tumore al seno, nei quali erano molto evidenti le vene rigonfie in superficie e la

forma radiale ricordava le chele di un granchio (dal greco kariknos) (Trinchieri,

2012).

I tumori vengono divisi in benigni (neoplasia benigna), quando le cellule che li

compongono non hanno la capacità di separarsi, invadendo i tessuti vicini e

colonizzando a distanza; e maligni (neoplasia maligna), quando invece le loro

cellule possiedono tali proprietà. Con il termine “neoplasia” si intende la nuova

crescita di cellule in un tessuto, mentre con “neoplasma” viene definita la lesione

risultante dalla neoplasia (Tabella 1).

45 
 
Tabella 1: nomi comunemente utilizzati per discutere la cancerogenesi chimica.
Adattato da (Hrelia & Cantelli Forti, 2013).

Al giorno d’oggi, nel linguaggio comune, il termine "cancro" è divenuto

sinonimo di tumore maligno. In realtà con tale termine non si deve identificare

una singola malattia, ma moltissime patologie diverse, tutte caratterizzate da una

mutazione a livello del DNA della cellula e da un conseguente incontrollato

accrescimento di cellule anomale. Le tipologie di cancro si differenziano in base

all’organo colpito e al tipo di cellule e tessuti dei quali è composto che

richiedono quindi esami diagnostici e soluzioni terapeutiche particolari. Tuttavia,

esistono proprietà e caratteristiche che accomunano tutti i tumori e che quindi

tentano, in parte, di trovare una risposta valida per tutte le forme della malattia.

46 
 
Le terapie ufficiali per la cura dei tumori negli ultimi anni si stanno ampliando.

Alla chirurgia, che rappresenta l'arma più efficace contro la maggior parte dei

tumori non avanzati che colpiscono gli organi, si affiancano da diversi anni la

chemioterapia, la radioterapia e la terapia ormonale. La chirurgia ha raggiunto

livelli qualitativi altissimi e la sua applicazione in neoplasie agli stadi iniziali

permette l'asportazione del tumore dando così maggiori probabilità di guarigione.

Tuttavia questo è un metodo limitato in quanto in seguito ad un intervento

chirurgico ben riuscito, anche solo una minima rimanenza residua di cellule

tumorali, potrebbe nuovamente replicare portando ad una nuova progressione

della massa tumorale. Per questo motivo, l'intervento chirurgico è accompagnato

spesso da un trattamento chemioterapico adiuvante, con l’obbiettivo di eliminare

le eventuali cellule maligne residue.

Inoltre studi clinici e preclinici stanno chiaramente dimostrando un beneficio

nell’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) nella riduzione del

rischio di sviluppare tumori.

CANCRO E INFIAMMAZIONE

La stretta relazione tra carcinogenesi ed infiammazione, che potrebbe anche

essere secondaria ad un’infezione, è stata recentemente oggetto di numerosi studi

a livello molecolare, cellulare, animale e clinico.

In presenza di un’infiammazione cronica (come quella che si verifica ad esempio

nella malattia infiammatoria intestinale) il sistema immunitario è continuamente


47 
 
in stato di allerta, ma anziché difendere l'organismo dal tumore, favorisce la

crescita e la progressione della malattia. La cellula tumorale è in grado di creare

attorno a sé un microambiente infiammatorio in cui trovare le migliori condizioni

di crescita.

Già 2000 anni fa il fisico greco Galeno aveva descritto una stretta similitudine tra

cancro e infiammazione e la possibilità che la formazione di un tumore potesse

evolvere da lesioni di tipo infiammatorio dalle quali però poteva tuttavia essere

distinto perché i tumori erano più scuri del colore di un’infiammazione e la zona

interessata non risultava essere così calda. Inoltre le vene erano molto più

rigonfie rispetto ad uno stato infiammatorio (Trinchieri, 2012).

Nel 1863 Virchow descrisse un infiltrato linforeticolare nei tumori e lo interpretò

come un riflesso dell’origine di un tumore al posto di un’infiammazione cronica;

in questo modo propose una sua connessione tra infiammazione e cancro.

Un centinaio d’anni dopo, Dvorak osservò che l’infiammazione e il cancro

condividevano alcuni meccanismi di sviluppo (come l’angiogenesi) e alcuni tipi

cellulari comuni (come i linfociti, i macrofagi e i mastociti) e che i tumori

agivano come “ferite che non cicatrizzavano”.

Negli ultimi 20 anni, sono stati fatti notevoli progressi nella comprensione delle

vie molecolari coinvolte nell’infiammazione come relazione per l’insorgenza del

cancro e nel ruolo che hanno le cellule innate e le cellule immunitarie nel

facilitare o prevenire le quattro fasi della cancerogenesi: l’iniziazione, la latenza,

la progressione e la disseminazione.

48 
 
Nel 2007 il numero di infezioni attribuibile ai tumori è stato stimato essere di 1,9

casi all’anno, oppure il 17,8% del numero totale di tumori. I principali agenti

patogeni sono stati: Helicobacter pylori, il papilloma virus, i virus dell’epatite B

e C, il virus di Epstein-Barr, il virus dell’HIV, l’herpes virus e i trematodi del

fegato. Sebbene alcuni di questi patogeni inducano direttamente trasformazioni

nel genoma cellulare, altri favoriscono la carcinogenesi tramite l’induzione di

infiammazione cronica nei tessuti infettati (Dolberg, Hollingsworth, Hertle, &

MJ, 1985).

Molti studi epidemiologici e molte sperimentazioni in animali e in umani hanno

fornito forti evidenze nel ruolo della risposta infiammatoria nella carcinogenesi.

Alcune delle più interessanti evidenze cliniche riscontrate negli umani,

riguardanti l’infiammazione cronica e il cancro, derivano dalla scoperta che

l’utilizzo regolare di aspirina o di altri antinfiammatori non steroidei, diminuiva

l’incidenza del cancro.

La COX-1 e la COX-2 catalizzano la produzione delle prostaglandine. Una delle

prostaglandine più implicate è la prostaglandina E2 (PGE2), che è stata trovata ad

alti livelli nel microambiente tumorale, e si è pensato giochi un ruolo chiave nella

progressione del tumore. Quindi una migliore comprensione della segnalazione

della PGE2 può aiutare ad identificare strategie terapeutiche nuove e sicure che

abbiano come target gli enzimi ciclossigenasi.

La PGE2 (Figura 19) influenza direttamente le cellule innate e le cellule immuni;

inoltre promuove l’infiammazione dilatando i vasi sanguigni e permettendo alle

cellule immunitarie di migrare dal sangue all’interno dei tessuti. La PGE2 regola
49 
 
anche l’angiogenesi e rafforza l’arrivo delle cellule ematopoietiche al tessuto

danneggiato affinché si differenzino nei vari tipi di cellule immunitarie

necessarie per riparare il tessuto.

Figura 19: via biosintetica che porta alla formazione della PGE2 e sue azioni. Adattato
da (Rui, Kang-Ping, & Gui-Shan, 2015).

La COX-2 era stata inizialmente vista come sovra regolata nei primi stadi di

formazione del cancro del colon-retto. Ma poi si vide essere altamente espressa

anche nei primi stadi di carcinogenesi in quasi tutti gli altri tipi di tumori
50 
 
(Trinchieri, 2012). La sovraespressione della COX-2 è stata osservata nell’80%

dei tumori colon-rettali e nel 40% di adenomi, ma non nella mucosa sana, mentre

la COX-1 non è sovraespressa nei tessuti tumorali. La sovraespressione della

COX-2 potrebbe avere un valore prognostico nell’identificare il cancro del

colon-retto. Un legame causale tra l’espressione della COX-2 e il cancro al colon

è stato sperimentalmente dimostrato dalla riduzione, ma non totale eliminazione,

dell’incidenza di polipi in topolini transgenici deficitari della COX-2.

I meccanismi attraverso i quali la COX-2 e le prostaglandine influenzano la

carcinogenesi sono complicati e condizionano la trasformazione delle cellule

epiteliali e il microambiente dell’infiammazione (Wang & Dubois, 2010).

La PGE2 influenza la proliferazione delle cellule epiteliali agendo attraverso

almeno due via di segnalazione: Ras-Erk e la glicogeno sintasi chinasi-3β. La

segnalazione della prostaglandina nelle cellule stromali induce anche

l’angiogenesi attraverso l’intensificazione della mobilità delle cellule endoteliali

e la sovraregolazione del fattore di crescita delle cellule endoteliali (VEGF) e del

fattore di crescita dei fibroblasti (FGF2). Le prostaglandine inoltre regolano la

migrazione delle cellule tumorali e di quelle infiammatorie attraverso vari

meccanismi, riguardanti la produzione di chemochine e il riarrangiamento

tissutale, in parte mediati dall’attivazione della segnalazione del recettore del

fattore di crescita.

In trial clinici è stato osservato che gli inibitori della COX-2 aumentavano

l’assenza di recidive e la sopravvivenza in seguito ad intervento chirurgico in

pazienti affetti da cancro colon rettale, che mostravano la COX-2 sovra espressa
51 
 
(Amber, Eagle, Spicak, Racz, & Dite, 2006). Ed è stato interessante notare che

gli inibitori della COX-2 non solo prevenivano la formazione del cancro, ma

addirittura erano in grado di diminuire il numero di polipi già formati in pazienti

con poliposi adenomatosa familiare, un disturbo caratterizzato dalla precoce

insorgenza di cancro al colon.

Più recentemente un altro dato a favore è stato ottenuto da Rothwell et al

(Rothwell, Fowkes, Belch JF, & Warlow, 2011), analizzando i singoli dati

ottenuti da pazienti provenienti da otto trial randomizzati, pianificati per la

prevenzione di patologie cardiovascolari in pazienti che assumevano aspirina

giornalmente. È stato scoperto che chi assumeva aspirina quotidianamente aveva

una più bassa incidenza di sviluppare tumori rispetto al gruppo di controllo. In

effetti anche molti altri studi avevano mostrato che l’assunzione giornaliera di

aspirina, o di altri antinfiammatori non steroidei, per periodi di tempo prolungati,

riducevano il rischio di ricorrenze nella formazione di tumori colon rettali o di

polipi. Anche se l’evidenza negli esseri umani che l’aspirina potesse anche

ridurre il rischio di altri tipi di cancro era ancora frammentaria. Rothwell et al.

mostrarono che il beneficio risultava apparire dopo almeno 5 anni di assunzione

dell’aspirina e che il beneficio aumentava con l’aumento della durata del

trattamento. Nei trial nei quali i pazienti avevano assunto aspirina per più di 7

anni, il rischio di morte causa il cancro si era ridotta di circa il 30% nei tumori

solidi e del 60% nei tumori gastrointestinali. Loro sono riusciti a stabilire

attraverso le meta analisi che l’effetto preventivo nei confronti del cancro in

52 
 
pazienti che assumono giornalmente FANS per un periodo di tempo prolungato

non è attribuibile solamente ad individui con elevato rischio di sviluppare

ricorrenze di polipi o a chi è geneticamente predisposto. Il rischio di cancro al

colon sporadico, e di molti altri tumori solidi gastrointestinali e non, inclusi il

tumore esofageo, pancreatico, gastrico, polmonare, prostatico, erano anch’essi

diminuiti (Trinchieri, 2012).

Sebbene l’attività antinfiammatoria degli inibitori della COX sia chiara, il loro

effetto preventivo nel cancro potrebbe anche essere dovuto alla loro abilità di

inibire effetti non-infiammatori delle prostaglandine sulla vasodilatazione,

sull’angiogenesi, su mutazioni al DNA, all’adesione delle cellule epiteliali,

proliferazione e apoptosi. Inoltre da studi fatti in vitro è stata sollevata la

possibilità che parte dell’effetto antitumorale dei FANS sia probabilmente COX-

indipendente.

Bisogna comunque ricordare che questi risultati sono influenzati dalla scoperta

della cardiotossicità da parte degli inibitori COX-2 selettivi. Inoltre l’uso

prolungato di aspirina e altri FANS non è privo di effetti collaterali, in quanto

può causare emorragia gastrica e cerebrale.

Sembrava che i COXIB fossero agenti ideali nella prevenzione tumorale,

specialmente in individui ad alto rischio. Sono stati ampiamente usati nella

popolazione generale e apparvero sicuri ed efficaci. Così si decise di testarli nella

prevenzione dei polipi intestinali, in uno studio che prese il nome di APPROVE

(Adenomatous Polyp Prevention on Vioxx). In questo studio sono stati presi in

esame 2586 uomini e donne, sopra i 40 anni, i quali avevano subito un intervento
53 
 
chirurgico di rimozione di polipi da non più di dodici settimane. I pazienti sono

stati divisi in un gruppo nei quali veniva somministrato il placebo e un gruppo

nei quali veniva somministrata una dose giornaliera di 25 mg di rofecoxib. Il

trattamento è stato condotto per la durata di tre anni, al termine dei quali è stata

dimostrata una riduzione della ricorrenza della formazione di polipi del 24% in

pazienti trattati con rofecoxib, a differenza di quelli trattati con placebo che non

mostravano alcuna riduzione. Ma il dato più importante è stato riscontrato

dall’insorgenza di marcati eventi cardiovascolari, quali infarto miocardico e

ischemia cerebrovascolare, proprio nei pazienti trattati con il rofecoxib.

L’incidenza di eventi cardio- e cerebro-vascolari era risultata essere simile tra il

gruppo trattato e il gruppo placebo nei primi diciotto mesi, ma poi la divergenza

è stata netta fino ai trentasei mesi nei quali la differenza è risultata chiara e

statisticamente significativa (Figura 20) (Marnett, 2009).

Figura 20: incidenza di lesioni cardiovascolari indotte da rofecoxib nello


studio APPROVE. Adattato da (Marnett, 2009).

54 
 
Ancora oggi si stanno eseguendo studi che puntano a capire al meglio le vie

molecolari che collegano infiammazioni e tumori, a diminuire gli effetti negativi

che causano l’aspirina e gli altri FANS per non doverci privare del loro effetto

benefico nei tumori e a capire se il meccanismo attraverso il quale la PGE2

influenza la tumorigenesi a livello intestinale sia lo stesso anche in altri tipi di

cancro e possa essere preso effettivamente come bersaglio.

55 
 
5. CONCLUSIONI

“Life is divided into three terms – that

which was, which is, and which will be. Let us

learn from the past to profit by the present,

and from the present to live better in the

future.”

William Wordsworth

Lo stimolo per la ricerca di nuove molecole antinfiammatorie, è derivato in modo

determinante dalla necessità di scoprire farmaci privi del pesante effetto

collaterale gastrointestinale, riscontrabile in modo più o meno marcato in tutti i

tradizionali FANS fino ad allora utilizzati.

La scoperta delle due isoforme di ciclossigenasi coinvolte in meccanismi

fisiologici e patologici diversi, ha permesso di evidenziate il ruolo predominante

della COX-2 nel processo infiammatorio. La sintesi di molecole selettive verso

questo isoenzima ha dato molte speranze per la cura delle patologie

infiammatorio-degenerative, vedendo in questi nuovi farmaci, i COXIB,

solamente l’effetto positivo terapeutico e non il tipico effetto collaterale di classe.

Superati i test preclinici, tuttavia, dopo l’immissione in commercio e l’uso in

vivo su vasta scala, si sono scoperti marcati effetti collaterali cardiovascolari, tali

56 
 
da portare al ritiro dal mercato farmaceutico di alcune molecole particolarmente

gravate da essi.

Ma grazie ai dati raccolti nei diversi studi non è possibile avvalorare l’ipotesi di

una reale efficacia o di un concreto danno attribuibile ad un’intera classe di

farmaci. Per una più corretta valutazione bisogna porre particolare attenzione alla

storia del paziente e considerare i rischi e i benefici per ciascuna singola

situazione clinica personale e per ogni singolo farmaco antinfiammatorio.

Ad esempio se prendiamo in considerazione i pazienti che assumono farmaci

antinfiammatori per la prevenzione dei polipi intestinali, bisogna tenere presente

che potrebbe esistere il rischio di insorgenza di eventi cardiovascolari. Quindi

nella popolazione con basso rischio di formazione di polipi non conviene

utilizzare i COXIB come prevenzione, perché aumentano la possibilità di

manifestazione di infarto miocardico o ictus. Mentre in persone che per

familiarità presentano alte possibilità di formazione di polipi, potrebbe valere la

pena di somministrare i COXIB, consapevoli però del rischio cardiovascolare

(Marnett, 2009).

È stato interessante notare che molti dei FANS inibiscono la COX-2 in modo

maggiore rispetto alla COX-1 in vitro, e alcuni di questi dimostrano quindi la

stessa selettività dei COXIB. In questo modo dimostrano che la selettività verso

la COX-2 è una continua variabile (Santilli, Boccatonda, Davì, & Cipollone,

2016).

57 
 
Il fatto che non sia ancora stato trovato un farmaco efficace e privo di effetti

collaterali è uno stimolo per la ricerca scientifica, che avrà in futuro ancora molti

ambiti di indagine ed approfondimento per scoprire nuove molecole capaci di

una migliore selettività nei confronti dell’enzima COX-2, con al contempo una

importante diminuzione di effetti indesiderati.

58 
 
6. BIBLIOGRAFIA

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61 
 
RINGRAZIAMENTI

Al termine di questo lavoro di tesi, e più in generale di questo percorso di studio,

desidero ringraziare:

in modo particolare la mia relatrice, la professoressa Nicoletta Brunello, per la

sua costante disponibilità, per i consigli e per l’aiuto che mi ha sempre dato nel

corso della stesura di questa tesi;

i cugini di Andalo che, come una seconda famiglia, mi sono sempre stati vicini,

mi hanno insegnato tanto nel corso degli anni e mi hanno fatto trascorrere il

periodo di lavoro alla tesi nel modo più sereno e gioioso possibile;

le amiche storiche, Anna, Arianna, Eleonora, Giulia, Serena e Veronica, che

fisicamente lontane o vicine mi hanno sempre dimostrato la loro vicinanza e il

loro sostegno in ogni momento;

le amiche più care conosciute tra i banchi dell’università, in particolare Alice, per

le belle ristate, le lunghe chiacchierate e per la grinta che riesce a trasmettere e

Sara, per il continuo appoggio reciproco e la sua solarità;

Gabriella e Paolo che mi hanno accolta nella loro farmacia per un periodo di

tirocinio indimenticabile e tutto il team della Farmacia Zanini per il tempo e la

pazienza che mi hanno dedicato e per le conoscenze che mi hanno trasmesso;

e infine papà, mamma e Anna, che mi hanno permesso di intraprendere questo

percorso di studio, che mi hanno sempre supportata e spronata, e che negli anni

non hanno mai smesso di credere in me.

62 
 

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