Relazione

Scarica in formato doc, pdf o txt
Scarica in formato doc, pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 112

INQUINANTI ORGANICI

A questo gruppo di composti appartengono numerose


molecole aventi nella loro struttura diversi atomi di carbonio e
in alcuni casi alogeni, azoto, zolfo e fosforo. Si tratta di
molecole grandi e complesse che interagiscono a diversi livelli
con la materia vivente potendo determinare una situazione di
tossicità acuta o cronica. Inoltre essendo dotati di una certa
capacità di legare le molecole degli organismi viventi, come
DNA, RNA, Proteine, Lipidi, tendono ad accumularsi.
Proprio la capacità di legare DNA è alla base della loro
tendenza a causare effetti cancerogeni, mutageni, teratogeni,
che rappresentano chiaramente l’ espressione di danni
irreversibili sull’ uomo e sugli animali.
Le molecole che fanno parte di questo gruppo sono contenute
negli oli dei trasformatori ma sono anche usati come solventi
per inchiostri o vernici, solventi organici di estrazione, filtri di
depurazione, fanghi, catrami, soluzioni di lavaggio di acque
madri, fitofarmaci, adesivi e sigillanti, rifiuti di schiumatura,
scorie di fusione, scorie di raffineria ecc. l’ elenco dettagliato
delle sostanze pericolose autorizzate allo smaltimento in
discarica cat. 2 tipo b è disponibile sul sito internet
“presidiopermanente.blogspot.com”
Chiaramente mentre l’avvelenamento acuto è più o meno
prevedibile ed evitabile, l’ esposizione ambientale a lungo
termine non può essere gestita, ed è proprio questa la
situazione più a rischio perché coinvolge una popolazione ben
superiore rispetto a quella coinvolta quotidianamente, per
motivi professionali.
È noto da tempo che in un soggetto che sia esposto a più di un
fattore di rischio per cancro, come il rischio aumenti in
maniera esponenziale.
L’impatto ambientale e i possibili effetti sanitari avversi sulla
popolazione in relazione alla presenza di discariche di rifiuti
costituiscono uno dei punti cruciali della relazione ambiente-
salute.
Questo è dovuto innegabilmente all’incremento della
produzione di rifiuti e al conseguente aumento dei siti di
smaltimento sul territorio, siano essi discariche o impianti di
termocombustione.
Nelle discariche in cui avviene lo smaltimento di questi rifiuti
tossici, oltre ad esserci un notevole rischio per la salute degli
operatori del settore, il rischio che perdite di qualunque natura
possano inquinare l’ ambiente circostante è notevole. Molti
studi mettono in evidenza come in prossimità di luoghi ad alta
concentrazione di discariche ci sia una maggiore incidenza di
patologie come tumori, leucemie, linfomi, che sono meno
frequenti in altre aree, o comunque erano meno frequenti nella
stessa area in passato, quando l’ esposizione a queste sostanze
era inferiore. La dimostrazione è stata fornita da studi condotti
in aree della Campania dove sono stati ritrovati 39centri di
discariche abusive; nella popolazione residente è stato messo
in evidenza un aumento significativo di neoplasie polmonari,
pleuriche, laringee, vescicali, epatiche ed encefaliche oltre ad
un aumento dell’ incidenza di malattie cardiocircolatorie e
diabete.
Fra gli studi di popolazione più significativi, va considerato lo
studio multicentrico europeo EURHAZCON, un’indagine di
tipo caso-controllo sul rischio di malformazioni congenite
associato alla residenza entro 7 chilometri da discariche per
rifiuti pericolosi sulla base della direttiva UE 689/91.6.
Lo studio ha considerato 21 siti di discarica in 15 aree,
utilizzando i dati di 10 registri regionali delle malformazioni
congenite operanti in paesi europei (Belgio, Danimarca,
Francia, Italia e Gran Bretagna), tra cui il registro della
Toscana coordinato dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR
di Pisa. I risultati hanno evidenziato un significativo aumento
del rischio di anomalie congenite cromosomiche (OR=1,33) e
non cromosomiche (OR=1,49), in particolare difetti del tubo
neurale, dei grandi vasi e dei setti cardiaci, tra i residenti nel
raggio di 3 chilometri dalla discarica rispetto alla corona
esterna. Nonostante i numerosi studi epidemiologici e il
consistente numero di segnalazioni di un aumento di rischio, le
relazioni causali tra residenza in prossimità di discariche di
rifiuti misti di diversa natura ed esiti avversi della salute non
sono ancora provate.
Vari sono gli elementi che portano a questa indeterminazione:
1. lungo periodo di latenza di molte delle patologie in
esame;
2. eziologia multifattoriale di molte patologie e presenza di
fattori di confondimento sul territorio;
3. complessità delle miscele di sostanze chimiche presenti
nelle varie tipologie di rifiuti e variabilità fra situazioni
diverse;
4. mancanza di dati sull’esposizione.
In alcune zone della Campania, in particolare nel Giuglianese
e nel cosiddetto triangolo della morte (Nola, Marigliano,
Acerra), assistiamo ad un aumento della mortalità per tumori,
che vari autori hanno messo in correlazione con la presenza di
discariche di rifiuti tossici in quelle zone.
Dal rilevamento che in una determinata area geografica c’è un
aumento dei tumori e che in quell’area vi sono delle discariche
non si può concludere che le discariche siano la causa di tale
incremento dei tumori. Se usassimo questo metodo ognuno
potrebbe affermare quello che vuole, perché in quell’area, oltre
alle discariche, vi sono molti altri fattori che potrebbero essere
imputati quali cause dell’aumento dei tumori.
Quali prove abbiamo per puntare il dito contro le
discariche e non le abitudini di vita o qualche fattore
ambientale non considerato o sconosciuto?
Da questo tipo di osservazioni (quelle che gli epidemiologi
chiamano “studi geografici”) non si possono trarre conclusioni
di causa ed effetto: queste possono essere invece desunte da
altri tipi di studi, come gli studi epidemiologici longitudinali.
Le affermazioni che facciamo devono essere suffragate da
prove, non possono essere solo frutto di osservazioni
superficiali o di opinioni personali.
Vi sono numerosi studi che dimostrano la cancerogenicità o la
tossicità di molte sostanze. È proprio in base a questi studi che
alcuni tipi di rifiuti sono considerati pericolosi, per cui devono
essere smaltiti con particolari procedure. È necessario allora
che si facciano studi più approfonditi.
In cosa consistono questi studi epidemiologici
longitudinali?
I principali studi epidemiologici longitudinali sono lo studio di
coorte e il caso-controllo.
Nello studio di coorte si sceglie (possibilmente a caso) un
certo numero di persone (anche decine di migliaia) che
vengono seguite per molti anni, intervistandole e visitandole
periodicamente. Al termine dello studio si esaminano come si
distribuiscono le persone morte o ammalate secondo le diverse
caratteristiche delle persone seguite. Per esempio, si
esaminano quanti casi di bronchite cronica si sono avuti nei
soggetti che fumavano più di 10 sigarette al giorno e quanti nei
soggetti che non hanno mai fumato. Se nel gruppo fumatori il
numero di persone con bronchite cronica è 15 volte superiore
rispetto al gruppo dei non fumatori si potrà concludere che il
fumo aumenta di 15 volte la probabilità di ammalarsi di questa
malattia (in epidemiologia si dice che il “rischio relativo” per
la bronchite cronica è 15 nei fumatori).
Lo studio di coorte permette anche di controllare i fattori
confondenti (sesso, abitudini alimentari, ereditarietà,
occupazione ecc.), perché è possibile verificare, a parità di
questi fattori, quanti casi della malattia oggetto di indagine vi
sono stati in un gruppo e nell’altro. Esso inoltre permette di
calcolare il “rischio attribuibile”, cioè quanti casi, per esempio
di bronchite cronica, sono attribuibili al fumo di sigaretta e
quanti ad altre cause (il “rischio attribuibile” per la bronchite
cronica è circa il 70%, cioè il 70% delle bronchiti croniche
sono causate dal fumo di sigaretta).
Nello studio caso-controllo si analizza, in un gruppo di malati
e in uno di sani (simili in tutto tranne che per la presenza di
una determinata malattia), quanti sono stati esposti al fattore
considerato (per esempio fumo di tabacco). Quindi si calcola
quante persone affette da quella malattia erano fumatori e
quanti sani lo erano. Se nei malati i fumatori erano il triplo
rispetto ai sani (a parità di altre condizioni) si può stimare che
il “rischio relativo” è 3 per quella determinata patologia.
Lo studio caso-controllo è meno preciso dello studio di coorte,
ma è di più facile esecuzione e può essere utilizzato per
malattie rare.
Gli studi di coorte sono molto costosi e lunghi, ma tra i più
precisi. Essendo così complessi, non è necessario che in ogni
luogo si facciano studi di tal genere, perché se uno studio
condotto negli Stati Uniti ha dimostrato che alcuni inquinanti
determinano i tumori con un determinato rischio relativo e
attribuibile, perché mai lo stesso inquinante in Italia dovrebbe
comportarsi in maniera differente?
Quindi non ho più bisogno di dimostrare con uno studio
epidemiologico che c’è un nesso tra quel fattore e la mortalità
o determinate patologie, basta andare a vedere cosa dicono gli
studi di coorte in proposito e applicare le stime di rischio alla
nostra situazione.
Esistono studi epidemiologici sulle discariche dei rifiuti?
Sì, sono stati effettuati vari studi. Sia sugli addetti alle
discariche, che sulla popolazione che abita nei pressi. Tali
studi dimostrano un aumento del rischio di mortalità e di varie
patologie. Nella popolazione campione rispetto al controllo.
Nella tabella che segue sono messi in evidenza i dati raccolti
nelle aree della Campania studiate, è interessante notare come
il numero di casi osservati per le diverse patologie prese in
considerazione sia spesso superiore al numero di casi attesi,
che fanno riferimento ad una popolazione non esposta ai rifiuti
pericolosi in maniera cosi marcata.
Le diverse sostanze tossiche riversate in discarica sono le
stesse per cui sono stati fatti studi anche in altre aree di Italia
in cui l’ esposizione industriale è il fattore di rischio più
importante.
Ci sono studi effettuati a Gela e Portoscuso (classificata “ad
alto rischio di crisi ambientale” Legge n. 349/1986); Lo studio
di mortalità dei 918 lavoratori della fonderia piombo-zinco
osservati per il periodo 1972-2001 (11) mostra un incremento
di mortalità per malattie dell’apparato respiratorio (Rapporto
Standardizzato di Mortalità, SMR) 1,25; osservati, oss. 15;
Intervallo di Confidenza (IC) al 95%, 0,75-2,07); la mortalità
per tumore del polmone (SMR 1,21; oss. 18; IC 95% 0,76-
1,92) aumenta, in modo significativo, per categorie di livelli
stimati crescenti di esposizione al piombo; nella coorte si sono
verificati 3 decessi per tumore della pleura con un SMR pari a
535.
Tra gli addetti alla produzione di alluminio ad anodi precotti
(ALCOA) il più recente aggiornamento della mortalità (1972-
2001) mostra un incremento per tumore del pancreas anche
tenendo conto delle abitudini al fumo (SMR 264; oss. 6; IC
95% 130-550), tra coloro a più elevata esposizione a
idrocarburi policiclici aromatici (IPA) l’SMR è pari a 500 (oss.
4; IC 95% 207-1.208). I risultati per la coorte dell’Eurallumina
(1972-1997), dove si produce l’allumina dalla bauxite,
mostrano un’aumentata mortalità per tumore del pancreas
(SMR 152; oss. 2;
IC 95% 38-600) e dell’apparato urinario (SMR 212; oss. 5;
IC 95% 90-499).
I risultati degli studi di coorte condotti nell’area sono coerenti
con la letteratura epidemiologica nella quale studi di coorte
nell’industria dell’alluminio riportano, in relazione
all’esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici, un eccesso
di rischio per tumori della vescica, del pancreas e del polmone.
Altri studi condotti in Sicilia ad Augusta-Priolo, Biancavilla,
Gela e Milazzo evidenziano numerosi eccessi di mortalità e di
morbosità per molte delle malattie tumorali e non tumorali
esaminate, soprattutto
nelle aree di Augusta-Priolo e di Gela dove la presenza dei
determinanti ambientali può essere riconducibile alle attività
industriali, e un numero inferiore nell’area di Milazzo.
Nell’area di Biancavilla dove il determinante è di origine
naturale sono stati osservati alcuni eccessi di
mortalità e di morbosità per le malattie asbesto-correlate.
Nelle aree in studio sono emersi eccessi di mortalità e di
morbosità specifici dell’area in esame e del genere. Per le aree
dove insistono insediamenti industriali, sono stati osservati
degli eccessi di patologie tumorali, confermando quanto
riportato in letteratura. Per l’area di
Biancavilla dove, a differenza delle altre, la fonte di
inquinamento ambientale è di origine naturale, sono stati
osservati eccessi di tumore maligno della pleura e di patologie
respiratorie e, anche questi, confermano i risultati degli studi
precedenti.
Nel Lazio sono stati condotti studi sui composti organo-
clorurati nelle province di Roma e Frosinone (fiume Sacco)

Le conclusioni di questo studio sono state che la


contaminazione ambientale di numerose aeree agricole della
valle del fiume Sacco ha prodotto danni economici rilevanti
per l’economia locale. La pratica di smaltimento dei rifiuti
tossici in modo incontrollato ha prodotto danni ambientali
ingenti. L’interrogativo rilevante è se, e in quale misura,
questo inquinamento ambientale si sia tradotto in una
esposizione a sostanze tossiche per la popolazione e se a
questa esposizione siano seguiti danni per la salute.
I dati emersi mettono in evidenza come sia importante una
prevenzione primaria, cioè una non esposizione a queste
sostanze pericolose, allo scopo di garantire un diritto
costituzionale inviolabile che è il” diritto alla salute”.
Sarà importante definire il destino ambientale degli agenti
inquinanti per individuare le possibili vie di esposizione: dalle
acque di falda, al suolo, ai prodotti agricoli.
Inoltre, si dovranno caratterizzare gli altri fattori di pressione
presenti sul territorio: industrie, reti stradali a traffico intenso,
agricoltura intensiva, discariche.
Essendo molto numerose le molecole che possono essere
responsabili di inquinamento di suolo, aria ed acqua, qui di
seguito verranno riportate le schede tossicologiche di quelle
sostanze più frequentemente impiegate nell’ industria o
comunque dove possibili i capostipiti di classi chimiche che
meglio rappresentano i composti affini, con particolare
attenzione a quei composti che sono presenti nei rifiuti
pericolosi autorizzati allo smaltimento in discarica
Cat.2 tipo B.
SCHEDE DEGLI INQUINANTI
ORGANICI

Paraquat

Nome chimico:1.1’ -dimetil-4.4' bipiridinio: N.N'-dimetil-


gamma.gamma'-dipiridilio; N,N'-dirmetil-
4.4'-bipiridinium di catione
Formula bruta: C12H14N22+
# CAS: 4685-14-7 (Paraquat)
Classe chimica: Dipiridilico
Nome commerciale: Metil viologen (2+): Prelude:
Gramoxone: Startire 1.5: Crisquat: Dextrone: Dexuron:
llcrba-xone: Ortho Weed: Spot Killer: Sweep: Gramixel:
Disseccante Caffaro.
Caratteristiche
Impiego: Diserbante
Aspetto fisico: I sali di Paraquat sono solidi cristallini
incolori o bianchi o giallo pallido e sono igroscopici ed
inodori. Il formulato tecnico è una soluzione rosso scuro
con un odore di ammonio.
Peso molecolare: 257.18 (8)
Punto di ebollizione: 175 - 180`C (si decompone) (2).
Densità: Circa 1.25 (16).
Solubilità: In acqua: molto solubile (circa 700 gli a 20°C)
(2. 15. 16).
Proprietà chimiche: II sale dicltxum è stabile tranne che in
condizioni alcaline. E' corrosivo per i metalli.
reagisce con forti ossidanti e tende ad essere
sensibile alla luce. E' stabile al calore in soluzioni
acide o neutre, ma è idrolizzato in condizioni
alcaline.
Metodi di analisi: Determinazione spettrofotometrica

Tossicologia

Classe tossicologica: Molto tossico


Tossicinetica - Metabolismo: Il Paraquat non e' prontamente
assorbito dallo stomaco ed e anche lentamente
assorbito dalla pelle. Esso scompare rapidamente dal
sangue. Nello stomaco i metaboliti che si formano
dalla sua degradazione sono assorbiti più ignota.
Poiche esso si concentra nei tessuti polmonari è
trasformato in forme altamente reattive e
potenzialmente tossiche. Nei ratti le dosi orali di
Paraquat sono escrete principalmente con le feci.
mentre le quantità iniettate nell'addome vengono
escrete attraverso le urine (9). In uno studio, animali
allevati hanno escreto più del 90% del Paraquat
somministrato entro pochi giorni. Esso era stato
leggermente assorbito e metabolizzato nel tratto
gastrointestinale. Latte e uova contenevano piccole
quantità di 2 suoi metaboliti (9).
Genotossicità: Il Paraquat ha dimostrato di essere mutageno
in saggi su cellule umane. di microrganismi e topi
(8). Il dicloruro di Paraquat non ha causato
mutazioni nello sperma di maschi fertili di topo, ma
il numero di gravidanze si e presentato ridotto (6). Il
test di Ames e il test di dominanza letale hanno dato
risultati negativi riguardo alla mutagenicità (16).
Cancerogenicità: topi nutriti con dicloruro di Paraquat per 99
settimane ad alti livelli di dose non hanno mostrato
accrescimenti cancerosi. Ratti nutriti con alte dosi
del composto per 113 settimane (maschi) o per 124
settimane (femmine) hanno sviluppato tumori ai
polmoni, alla tiroide. pelle e alla ghiandola
adrenalinica (8). II potenziale cancerogeno del
Paraquat non è stato ancora pienamente valutato:
l'EPA tuttavia ha classificato questo pesticida come
possibile cancerogeno umano (14).

Contatto oculare:Ustioni, irritazioni, danni alla cornea,


lesioni, congiuntiviti
Approccio terapeutico: Ingestione: terapia di rianimazione:
indurre il vomito e praticare la lavanda gastrica.
eseguire il test di ricerca del Paraquat nelle urine,
nell'aspirato gastrico e nel sangue: somministrare
una sospensione al 15%% di terra di Fuller e 200 ml
di soluzione acquosa al 20% di mannitolo. Contatto
cutaneo e oculare: lavaggi abbondanti.

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: II Paraquat può essere degradato


dalla luce UV. dalla luce solare e dai microrganismi
presenti nel terreno e i prodotti di degradazione sono
meno tossici del composto madre. Sono state
segnalate alte concentrazioni di Paraquat in campi
di marijuana Le goccioline di Paraquat dicloruro si
decompongono se esposte alla luce dopo
l'applicazione su piante di mais, pomodoro e fagioli.
Piccole quantità di residui sono state rinvenute su
patate trattate con Paraquat come disserbante e la
bollitura di queste patate non ha ridotto i residui (6).
II Paraquat è fortemente e rapidamente adsorbito
dalle particelle di suolo specialmente in suoli
argillosi (3). Tali residui legati non sono disponibili
per le piante, per i lombrichi e per i microrganismi.
Non manifesta azione residua poichè viene
rapidamente assorbito dai colloidi del terreno e
conseguentemente inattivato (15). Per la sua
indisponibilità e resistenza alla degradazione
microbica e alla fotodegradazione, il Paraquat ha
una lunga emivita. I residui legati persistono per un
tempo indefinito e sono trasportati con i sedimenti,
nello scorrimento superficiale. L'emivita segnalata
nel terreno va da 16 mesi (in condizioni aerobiche di
laboratorio) a 13 anni (in studi di campo) (7). II
Paraquat non è mobile in limi siltosi e in limi
siltoso-argillosi ed è leggermente mobile in limi
sabbiosi (8). II Paraquat non associato a particelle
di suolo può essere decomposto in prodotti finali
non tossici dai batteri del terreno (10). I residui di
Paraquat scompaiono rapidamente dall'acqua per
effetto di legami con le erbe acquatiche e per forte
aderenza ai fanghi di fondo. In acqua corrente di
laboratorio ha un'emivita di 13.1 ore (5). In un altro
studio il Paraquat dicloruro è rimasto stabile fino a 30
giorni. In un terzo studio in cui sono stati utilizzati
bassi livelli del composto nell'acqua di Paraquat ha
rivelato un'emivita di 23 settimane (8). Poichè il
Paraquat è rapidamente adsorbito dalle particelle del
suolo. resiste alla fotodecomposizione. II Paraquat
spruzzato sulla superficie di un suolo sabbioso non si
è degradato dopo che questo era stato irradiato per 2
anni con luce naturale (8).
Bibliografia:
(I) Farmer, W.J. 1976. "Leaching. Diffusion. and
Sorption." From A Literature Survey of Benchmark
Pesticides. Science Communication Division of George
Washington University Medical Center. (2) Hahn. Jr.. R.W.
and P.A. Jensen. 1974. Water Quality Characteristics of
Hazardous Materials. Vol. I. Texas A&M University. (3)
Juo, A.S.R. and O.O. Oginni. 1978. Adsorption and
desorption of paraquat in acid tropical soils. J. Environ.
Qual. 7 (I): 9-12. (4) Kenaga. E. 1980. Ecotoxicol.
Environ. Safety. 4: 26. (5) Kosinski. J.R.. and M.G.
Merkle. 1984. J. Environ. Qual. 13(1):75-82. (6) National
Library of Medicine. Hazardous Substances Databank.
Paraquat. 1992. (7) Rao. P.S.C. and J.M. Davidson. 1980.
"Estimation of Pesticide Retention and Transformation
Parameters Required in Nonpoint Source Pollution
Models." In Environmental Impact of Nonpoint Source
Pollution. M.R. Overcash and J.M. Davidson. eds. Ann
Arbor Science. (8) U.S. Environmental Protection Agency.
Office of Drinking Water. Paraquat Health Advisory.
August 1987. Draft.
(9)Vettorazzi. G. 1979. International Regulatory Aspects
for Pesticide Chemicals. Volume I. CRC Press.
(10)Wagner. S.L. 1983. Clinical Toxicology of Agricultural
Chemicals. Noyes Data Corporation. (I I Ecobichon.
Donald J. 1991. Toxic Effects of Pesticides in Casarett and
Doull's Toxicology. The Basic Science of Poisons. Fourth
Edition. Mary O. Madur. John Doull. and Curtis D.
Klaassen editors Pergamon Press. NY. (12) Stevens. James
T. and Darrell D. Summer. 1991. Herbicides in Handbook
of Pesticide Toxicology.Volume 3. Classes of Pesticides.
Wayland J. Hayes and Edward R. Laws editors. Academic
Press. NY. (13) Briggs. Shirley A. 1992. Basic Guide to
Pesticides: Their Characteristics and Hazards hemisphere
Publishing Corporation. Philadelphia. PA. (14) Walker.
Mary M. and Lawrence H. Keith. 1992. EPA's Pesticide
Fact Sheet Database. Lewis Publishers. Chelsea. MI. (15)
Muccinelli M.. 1997. Prontuario dei fitofarmaci (VIII
edizione). Edagricole. Bologna. (16) INRS Fiche
toxicologique. n° 182. CND n° III. 2_-trim. 1983.
Antracene

Nome chimico: p-naltalene:

Formula di struttura:

C H
Formula bruta: 14 10

Sinonimi: Anthracin: Green oil; Tetra Olive N2G: Anthracene


oil: Anthracen: HSDB 702: NSC 7958.
# CAS: 120-12-7

Caratteristiche
Impiego: L'antracene è un composto naturale presente nei
catrami di carbon fossile che si forma per
combustione incompleta di composti organici. Il suo
utilizzo nella produzione di insetticidi, di conservanti
per il legno e di coloranti (1 ).
Aspetto fisico: Solido granulare cristallino da incolore a giallo
chiaro con fluorescenza bluastra (I).
Peso molecolare: 178.23
Punto di fusione: 216.4°C
Punto di ebollizione: 340°C
Solubilità: In acqua: 3.7 x I0"' mmol/l:
Proprietà chimiche: L'antracene è un combustibile solido (1).
Metodi di analisi: HPLC
Tossicologia

Sorveglianza biologica: Esame cutaneo periodico; test di


funzionalità polmonare (I ).
Genotossicità: L'antracene può determinare mutazioni nelle
cellule viventi (I ).
Cancerogenicità: Ad alte dosi, l'antracene è considerato
cancerogeno per gli animali (I).
Effetti sulla riproduzione: L'antracene non è stato testato per
gli effetti sulla riproduzione (I ).

Tossicità acuta: L'antracene ha una tossicità acuta molto


elevata per gli organismi acquatici e gli uccelli (I ).
Tossicità cronica: L'esposizione ad antracene può causare
fenomeni allergici agli occhi e alla pelle notevolmente
aggravati dall'esposizione alla luce solare. Una ripetuta
esposizione cutanea può causare irregolari cambiamenti di
colore da giallo a bruno, perdita del pigmento della pelle,
assottigliamento o ispessimento cutaneo. verruche. tumori
cutanei e brufoli. Una ripetuta inalazione di fumi derivanti dal
riscaldamento dell'antracene può causare bronchite cronica
con tosse e catarro. Una ripetuta esposizione dello scroto
maschile ad antracene può causare riduzione dello spessore
cutaneo e un aumento del pigmento. Gli effetti cronici
dell'antracene sugli organismi acquatici sono pure notevoli
(I ).

Sintomatologia
Inalazione: Irritazione delle alte vie respiratorie.
Contatto cutaneo: Irritazioni. arrossamento, gonfiori.
Contatto oculare: Arrossamento.
Approccio terapeutico: Rimuovere i vestiti contaminati e
lavare la pelle con acqua e sapone. Lavaggio
abbondante con acqua per almeno 15 minuti.
Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: L'antracene è moderatamente


persistente in acqua. con emivita variabile tra 20 e
200 giorni. Circa il 77.5% del composto finisce
nell'aria, circa il 9.5% nel suolo, circa il 9% nei
sedimenti acquatici e la parte restante nell'acqua. Si
ritiene che l'antracene sia capace di bioaccumularsi
nei pesci (l).
Bibliografia: (I) New Jersey Department of Health. I
August 1987.
Benz [a] antracene

Nome chimico: 1.2-Benzantracene; 2,3-benzfenantracene;


2,3-benzofenantrene; 1.2-benz[a]antracene; 1,2-
benzantrene; BA: BAA.
Formula bruta: C18H12
Sinonimi:Benz[alfa]antracene;Tetrafene;Benzantrene;
Naftantracene; Benzantracene:Benzo[b]fenantrene;
Benzoantracene; Benzo(a)antracene; HSDB 4003;
NSC 30970.
# CAS: 56-55-3

Caratteristiche
Aspetto fisico: Sottili lamine o scaglie incolori che danno
fluorescenza verde-giallastra (1).
Peso molecolare: 228.29
Punto di fusione: 157 - 159°C (I).
Punto di ebollizione: 435°C (sublimazione) (1).
Solubilità: In acqua:
Proprietà chimiche: Il benz(a)antracene è stabile in
normali condizioni di laboratorio. È un probabile
combustibile; se riscaldato fino a decomposizione emette
fumi acri e irritanti (I).
Metodi di analisi: HPLC

Tossicologia

Tossicinetica - Metabolismo: Le attuali teorie sull'attivazione


metabolica degli idrocarburi policiclici aromatici
sono in accordo con il potenziale cancerogeno del
benz(a)antracene. Infatti, esso viene metabolizzato
dalla ossidasi a funzione mista per dare epossidi che,
per la loro particolare struttura, risultano mutageni
per i batteri e cancerogeni per i topi (dati EPA).
Genotossicità: Il benz(a)antracene si è dimostrato
genotossico in una varietà di prove su cellule
procariotiche ed eucariotiche. Nei procarioti il
composto è risultato positivo nelle prove di
danneggiamento del DNA nonchè di reversione e
mutazione. In cellule di mammifero è risultato
positivo nelle prove di danneggiamento, di
mutazione, di effetti sui cromosomi e di
trasformazioni cellulari. I risultati delle prove per
il danneggiamento del DNA in Escherichia coli
non è stato positivo fino alla dose di 250 mg/ml.
Risultati positivi sono stati ottenuti nelle prove di
inversione mutagena in 5 diversi ceppi di
Salmonella typhimurium. Inoltre ha prodotto
risultati positivi in una prova mutagena in
Drosophila melanogaster. (dati EPA).
Cancerogenicità: Sulla base di poche prove su animali e
nessun dato umano, il benz(a)antracene ha
prodotto tumori in topi esposti per intubazione
gastrica, iniezioni intraperitoneali, sottocutanee e
intramuscolari, applicazioni topiche. Anche se
non vi sono dati specifici riguardanti la sua azione
sull'uomo, è stato incluso fra i composti
cancerogeni per l'uomo (dati EPA).
Sintomatologia
Ingestione: Irritazione delle mucose.
Inalazione: Respiro breve e sibilante, tosse, irritazione
delle alte vie respiratorie, bronchite, dispnea,
edema polmonare.
Contatto cutaneo: Arrossamento, irritazioni, dermatiti,
eritema, pigmentazione, desquamazione, verruche.
Contatto oculare: Arrossamento, irritazioni,
congiuntiviti. fotosensibilizzazione.
Approccio terapeutico: Non indurre il vomito.
Somministrare 1 o 2 bicchieri di acqua solo se
l'infortunato è cosciente. Allontanare l'infortunato
dall'area contaminata. Lavaggio abbondante con
acqua e sapone. Lavaggio abbondante con acqua o
normale soluzione salina per 20-30 minuti.

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo:


Disinquinamento: In caso di sversamento, allontanare
ogni sorgente di fiamma e poi diluire il materiale
solido in acetone e trasferirlo in contenitori adatti.
Usare carta assorbente imbevuta con acetone per
assorbire il materiale rimanente. Eliminare in
maniera appropriata questa carta insieme agli
indumenti contaminati, chiudendoli in un sacchetto
di plastica a tenuta di vapore. Lavare le superfici
contaminate con soluzioni a base di acetone e poi
con acqua e sapone. Evitare l'ingresso nell'area
fino a completo disinquinamento. Si consiglia di
smaltire il materiale contaminato per
incenerimento ad alte temperature (1).
Bibliografia: (1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation.
August 29, 1991.

Benzo [a] pirene


Nome chimico: 6,7-Benzopirene; B[a]P; BP:
3,4benzopirene; benzo[d,e,f]crisene; 3,4-benzpirene;
benzpirene; 3,4-benzilpirene: 3,4-benz[a]pirene; 3,4-BP;
3,4-benzo(alfa)pirene.

Formula di struttura:

C H
Formula bruta: 20 12
# CAS: 50-32-8

Caratteristiche
Impiego: Il benzo(a)pirene è costituito da 5 anelli aromatici.
Si trova nel catrame di carbone, nel fumo di sigaretta.
nell'atmosfera come prodotto di combustione
incompleta, nella fuliggine e nel catrame della
combustione di benzina e gasolio (I). In forma pura è
usato come reagente di laboratorio (2).
Aspetto fisico: Polvere cristallina giallastra con debole
odore aromatico (1, 2).
Peso molecolare: 252.32
Punto di fusione: 176.5-177.5 °C(1)

Punto di ebollizione: 475 °C a 760mmHg (1)


Densità: 1351 g/ml (1)

Solubilità: In acqua: < 1; acetone 10-50. Solubile in toluene,


xilene, benzene, etere (1).
Proprietà chimiche: Il benzo(a)pirene è incompatibile
con i forti ossidanti; esso viene interessato rapidamente
da nitrazione e alogenazione. L'ozono, l'acido cromico e
gli agenti cloruranti ossidano questo composto. Il
benzo(a)pirene può reagire con gli ossidanti organici ed
inorganici inclusi vari elettrofili, perossidi, ossidi di zolfo,
ossidi di azoto. L’ idrogenazione ha luogo con l’ossido di
platino. Non è infiammabile. Esso subisce foto-ossidazione
per irradiazione con luce solare o con fluorescenza in
solventi organici. Le soluzioni di benzo(a)pirene in
benzene si ossidano per influenza della luce e dell'aria.
Le soluzioni in acqua. dimetilsolfossido, etanolo al 95%
o acetone possono rimanere stabili per 24 ore in
condizioni normali di laboratorio. Se riscaldato fino a
decomposizione emette fumi tossici e densi di
monossido e biossido di carbonio (1).

Metodi di analisi: HPLC

Tossicologia

Genotossicità: Il benzo(a)pirene si è dimostrato genotossico in


un varietà di prove su cellule procariotiche ed
eucariotiche. Nei procarioti il composto è risultato
positivo nelle prove di danneggiamento del DNA
nonchè di reversione e mutazione. In cellule di
mammifero è risultato positivo nelle prove di
danneggiamento, di mutazione, di effetti sui
cromosomi e di trasformazioni cellulari (dati EPA).
Cancerogenicità: Il benzo(a)pirene è un probabile agente
cancerogeno per l'uomo. Vi sono alcune prove che
esso possa causare tumori alla pelle, ai polmoni e alla
vescica sia nell'uomo che negli animali (2).

Effetti sulla riproduzione: II benzo(a)pirene ha causato in


animali da laboratorio l'insorgenza di tumori nei nuovi
nati di madri esposte durante la gravidanza nonchè
disturbi di sviluppo fetale. Il composto può passare
dalla madre al figlio attraverso il latte materno (2).
Tossicità acuta: La DL50 subcutanea per i ratti è di 50 mg/kg
(1).
Tossicità cronica: I dati disponibili si basano su studi di
alimentazione, intubazione gastrica, inalazione,
instillazione intratracheale, trattamenti dermici e
subcutanei effettuati su roditori ed alcuni primati.
Somministrazioni ripetute di benzo(a)pirene sono
state associate con l'incremento dell'incidenza sia di
tumori generali che relativi alla zona trattata. II
composto viene utilizzato frequentemente come
controllo positivo nei saggi sulla cancerogenicità (dati
EPA).
Sintomatologia
Ingestione: Imitazione delle mucose.
Inalazione: Respiro breve e sibilante, tosse, irritazione delle
alte vie respiratorie, bronchite, dispnea, edema
polmonare.
Contatto cutaneo: Arrossamento, irritazioni, dermatiti,
eritema, pigmentazione, desquamazione, verruche.
Contatto oculare: Arrossamento, irritazioni, congiuntiviti,
fotosensibilizzazione.
Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: II benzo(a)pirene è un composto


facilmente rinvenibile associato al particolato, al suolo
e ai sedimenti poichè si tratta di un prodotto che si
forma a seguito di una combustione incompleta.
Nell'aria subisce fotolisi diretta, anche se
I'adsorbimento sul particolato può ritardare questo
processo. Esso inoltre può essere allontanato per
reazione con 03 (emivita di 37 min) e NO2 (emivita di
7 giorni) e 1'emivita stimata della reazione che
produce fotochimicamente radicali liberi nell'aria è di
21.49 ore. Se rilasciato in acqua esso viene adsorbito
molto velocemente dai sedimenti e al particolato, si
bioconcentra negli organismi acquatici che non lo
metabolizzano, e non si idrolizza. Nel suolo sembra
che venga adsorbito molto fortemente dai sedimenti e
non liscivi in maniera significativa nelle acque
sotterranee. Non si idrolizza o evapora in maniera
apprezzabile dal suolo e può essere soggetto a
biodegradazione. Nelle acque superficiali esso è
soggetto a fotolisi con un'emivita media di 4,4 ore.

Bibliografia:
(1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29,
1991. (2) New Jersey Department of Health, February 1989.
Benzofuran

Nome chimico: benzo(b)furan; 2,3-benzofurano

# CAS: 271-89-6
Classe chimica: idrocarburi policiclici aromatici

Caratteristiche
Impiego: Il Benzofuran si forma durante il processo di
trasformazione del carbone in petrolio. Esso non ha alcun utilizzo
commerciale: infatti il petrolio che lo contiene viene utilizzato per
produrre materie plastiche del tipo resine coumarone-indene,
estremamente resistenti alla corrosione e utilizzate per la produzione
di vernici e pitture, per l'impermeabilizzazione di prodotti in carta e in
tessuto, come adesivo in contenitori per alimenti e per alcune
pavimentazioni in asfalto (2).
Aspetto fisico:liquido oleoso da incolore a giallo chiaro con debole
odore aromatico.

Peso molecolare: 118.14


Punto di ebollizione: 174°C (1).
Tensione di vapore: 14.3 mm Hg a 25°C (1).
Solubilità: In acqua: 0.1 - 1 mg/ml a 18°C (1). In altri solventi
(mg/ml a 20°C): dimetilsolfossido 5 100: etanolo (95%) 10-50;
acetone 100. Miscibile in etere di petrolio e benzene, solubile in etere
(1).
Proprietà chimiche: Sensibile alle prolungate esposizioni alla luce
solare; se riscaldato fino alla decomposizione emette fumi aspri e
irritanti. Infiammabile (1).
Tossicologia

Cancerogenicità: Ratti e topi trattati con Benzofuran per lunghi


periodi di tempo hanno mostrato tumori ai reni, al fegato, ai polmoni
e allo stomaco. La cancerogenicità del Benzofuran per l'uomo non è
stata ancora dimostrata (2). In un esperimento durato 2 anni con
trattamenti su ratti maschi per
intubazione gastrica, non si è riscontrato alcun effetto cancerogeno
del Benzofuran a dosi di
30 o 60 mg/kg/giorno; invece si è osservata qualche evidenza di tale
effetto sulle femmine, come incremento dell'incidenza di
adenocarcinomi delle cellule tubulari renali. Una chiara
evidenza della cancerogenicità del Benzofuran è stata dimostrata su
maschi e femmine di topo nei quali si è riscontrato l'aumento
dell'incidenza di neoplasie epatiche, polmonari e gastriche.
Tossicità acuta: Ratti e topi che avevano ingerito alte dosi di
Benzofuran per brevi periodi di tempo, hanno
mostrato danni al fegato e ai reni (2). In un esperimento durato 14
giorni sono state
somministrate dosi di Benzofuran di 63-1000 mg/kg a ratti e di 16-
250 mg/kg a topi. Tutti i
ratti maschi e femmine che avevano ricevuto 1000 mg/kg ed una
femmina che aveva ricevuto
500 mg/kg sono morti prima del termine dell'esperimento. il peso
corporeo medio, dei ratti
maschi che avevano ricevuto 250 o 500 mg/kg, era alla fine
dell'esperimento del 13-21% più
basso di quello dei controlli; mentre quello delle femmine che
avevano ricevuto 500 mg/kg
era del 10% più basso di quello dei controlli. Alla fine
dell'esperimento non si sono riscontrate lesioni istologiche correlate al
composto.
Tossicità cronica: In uno studio durato 13 settimane gruppi di 10 ratti
e 10 topi sono stati trattati con dosi di Benzofuran da 31 a 500 mg/kg.
Una femmina di ratto che aveva ricevuto 500 mg/kg ed una che aveva
ricevuto 250 mg/kg sono morte prima della conclusione
dell'esperimento. Il peso corporeo medio finale dei maschi di ratto
che avevano ricevuto 125, 250 o 500 mg/kg è stato di 11%, 17% e di
27% inferiore rispetto ai controlli; il peso medio finale delle femmine
di ratto che avevano ricevuto 500 mg/kg è stato di 11% inferiore
rispetto ai controlli. le lesioni istologiche osservate nei ratti esposti
comprendevano necrosi epatocellulari di minima intensità,
incremento delle nefropatie e vacuolizzazione citoplasmatica del
cortex adrenalinico. Sette maschi e 3 femmine di topo che avevano
ricevuto la dose di 500 mg/kg e un topo maschio che aveva ricevuto
250 mg/kg sono morti prima delle 13 settimane. Il peso corporeo
medio finale dei topi che avevano ricevuto 500 mg/kg è stato inferiore
del 13% rispetto al controllo. Nei topi maschi trattati con 250 mg/kg
sono state osservate nefrosi.

Sintomatologia
Inalazione: Tosse, respiro breve e sibilante, irritazione delle alte
vie respiratorie.
Contatto cutaneo: Irritazioni.
Contatto oculare: Arrossamento, irritazioni.

Ambiente e agronomia
Degradazione nel suolo: Il Benzofuran non si dissolve rapidamente
in acqua ma può inquinare le acque sotterranee nei pressi di industrie
o discariche per lo smaltimento di rifiuti pericolosi (2).

Bibliografia: 1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation,


August 29, 1991. (2) Agency for Toxic Substances and Disease
Registry - ToxFAQs - September 1995.
Naftalene
Nome chimico:Naphthalene
Formula di struttura:

Formula bruta: C10H8


Sinonimi: Naphthalin; Naphthene; Naphthaline; Camphor tar;
White tar: Moth balls; Moth Flakes; Tar camphor; Mighty 150;
Mighty RD1; NCI-052904; UN 1334; UN 2304.
# CAS: 91-20-3

Caratteristiche
Impiego: Il naftalene è il più abbondante costituente del catrame di
carbon fossile che ne contiene allo stato anidro circa 1'11%. Viene
usato per la fabbricazione degli acidi ftalico e antranilico utilizzati per
la produzione di coloranti. È inoltre usato per produrre altri composti
come naftoli, naftilammine, acido solfonico e altri, usati nelle
industrie dei coloranti. È usato ancora per produrre resine sintetiche,
celluloide. nerofumo e idronaftaleni usati come solventi per
lubrificanti e per combustibili per motori. È usato inoltre come
repellente, insetticida, antisettico (topico e intestinale) e antielmintico
anche in medicina veterinaria. Il suo uso come repellente e insetticida
è decaduto in seguito all'avvento dei composti clorurati (1. 2).
Aspetto fisico: Solido cristallino bianco o liquido con odore
caratteristico (l, 2, 3).
Valore soglia nell'aria: 0.003 ppm (1), 0.084 ppm (2, 3), mentre
nell'acqua 0.21 mg/1.
Peso molecolare: 128.17 (1); 129.2 (4).
Punto di fusione: 80°C (4): oltre questa temperatura sublima in
maniera apprezzabile (1).
Punto di ebollizione: 218°C a 760 mm Hg (1, 4).
Densità: 1.162g/mla20°C;1.15g/m1a25°C(1).
Tensione di vapore: 0.05 mm Hg a 20°C; 1 mm Hg a 52,6°C; 0.23
mm Hg a 25°C.
Solubilità: non solubile in acqua:

Proprietà chimiche: il naftalene è un composto incompatibile con


gli agenti ossidanti. Reagisce violentemente con il pentossido di
diazoto, con Cr03 e con cloruro di alluminio + cloruro benzoile. La
sua forma fusa (oltre 110°C) può produrre. a contatto con l'acqua, una
reazione violenta con produzione di schiuma o la formazione di
miscugli altamente reattivi. Allo stato fuso, attacca alcune plastiche,
gomme e altri rivestimenti. Il naftalene è sensibile al calore. si
infiamma a 88°C ed è combustibile. Volatilizza apprezzabilmente a
temperatura ambiente. Sue soluzioni in acqua, dimetilsolfossido,
etanolo al 95% o acetone dovrebbero essere stabili per 24 ore in
normali condizioni di laboratorio. Se riscaldato fino alla temperatura
di decomposizione emette fumi irritanti e tossici di monossido e
biossido di carbonio (1, 2).
Metodi di analisi: HPLC

Tossicologia
Sorveglianza biologica: Esame della vista; test di funzionalità
polmonare e renale (2).
Genotossicità: II naftalene è risultato negativo in saggi per
l'induzione di mutazioni geniche in ceppi di Salmonella typhimurium
con e senza attivazione metabolica. In prove citogenetiche con
cellule ovariche di cavie, il naftalene ha indotto scambi fra cromatidi
fratelli con e senza attivazione. L'esposizione al naftalene ha
determinato inoltre un significativo incremento di aberrazioni
cromosomiche in cellule ovariche di cavie in presenza di attivazione.
Cancerogenicità: Secondo le informazioni attualmente disponibili il
naftalene non è stato testato sugli animali (2). A seguito delle prove
di cancerogenicità eseguite nel 1990 e nel 1991, il naftalene è stato
definito come probabile cancerogeno per l'uomo. I dati NTP hanno
dimostrato che il naftalene non ha prodotto attività cancerogena in
maschi di topo esposti per inalazione a concentrazioni di 10 e 30
ppm del composto per 6 ore al giorno e per 5 giorni alla settimana
per 103 settimane. Tuttavia, le femmine trattate allo stesso modo
hanno evidenziato un incremento dell'incidenza degli adenomi
polmonari e alveolo-bronchiolari (dati EPA).
Effetti sulla riproduzione: Vi sono insufficienti dati riguardo la
capacità del naftalene di alterare lo sviluppo fetale (2).

Tossicità acuta: II naftalene è tossico per l'uomo per ingestione e


per inalazione; è anche pericoloso se assorbito attraverso la pelle. La
tossicità sperimentale è stata valutata per ingestione e per via
intravenosa e intraperitoneale. Il naftalene è moderatamente tossico
per via sottocutanea (1). La DL50 orale per i ratti è di 1780 mg/kg, la
DL50 sottocutanea per i topi è di 969 mg/kg, la DL50 intravenosa per
i topi è di 100 mg/kg.

Sintomatologia

Ingestione: Imitazione delle mucose, nausea, cefalea, vomito,


ematuria, febbre, convulsioni, coma, dolori addominali.
Inalazione: Irritazione delle alte vie respiratorie, respiro breve e
sibilante, tosse, confusione.
Contatto cutaneo: Irritazioni, arrossamento, dermatiti, eritema.
Contatto oculare: Imitazioni, arrossamento, congiuntivite,
disturbi visivi.
Ambiente e agronomia
Degradazione nel suolo: Il naftalene è moderatamente solubile in
acqua. Concentrazioni comprese fra 1 e 1000 mg solubilizzano
facilmente in 1 litro di acqua. L'emivita in acqua va da 2 a 20 giorni.
Circa il 96% del naftalene si disperde nell'aria, il 3% nell'acqua e
circa lo 0.5% nei suoli terrestri e nei sedimenti acquatici (2).
Nell'atmosfera il naftalene si fotodegrada rapidamente, con
un'emivita di 3-8 ore. Nell'acqua si degrada per volatilizzazione,
fotolisi, assorbimento e biodegradazione, con un'emivita che varia da
un paio di giorni a qualche mese. Nel suolo viene assorbito
moderatamente e subisce biodegradazione. In alcuni casi può
tuttavia essere rinvenuto nelle acque sotterranee dove la
biodegradazione può avvenire solo in condizioni aerobiche. La
principale sorgente di naftalene nell'aria è rappresentata dalle aree a
traffico sostenuto o dove vi siano esalazioni di carburante o in
prossimità di raffinerie di petrolio. La presenza di sostanza organica
nel terreno aumenta l'assorbimento di naftalene. II suo passaggio
attraverso suoli sabbiosi è rapido. L'entità della sua evaporazione è
inversamente proporzionale alla profondità di suolo raggiunta.
Bibliografia: (1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation,
August 29, 1991. (2) New Jersey Department of Health, July 1986.
(3) New Jersey Department of Health. August 1987. (4) ARS
Pesticide Properties Data Base, May 1995.
PIRENE
Nome chimico: Benzo[def]fenantrene; beta-pirene.

Formula bruta: C16H10


Sinonimi: Pyren (D); HSDB 4023; NSC 17534.
# CAS: 129-00-0

Caratteristiche
Impiego: Il Pirene è un componente del catrame di carbone. È usato
in biochimica a scopo di ricerca e come intermedio nella sintesi del
3,4-benzopirene (1). Aspetto fisico: Cristalli prismatici monoclini,
incolori se puri, giallo chiaro se impuri (con tetracene).

Peso molecolare: 202.26


Punto di fusione: 156°C (I).
Punto di 393°C a 760 mm Hg; 393°C a 760 mm Hg.
ebollizione:
Densità: 1.271g/ml a 23°C (1).
Tensione di 2.60 mm Hg a 200.4°C; 6.90 mm Hg a 220.8°C; 18.30 mm
vapore: Hg a 242.7°C (1).

Solubilità: In acqua: < I; acetone 50-100. È solubile inoltre in


toluene, bisolfuro di carbonio, etere di petrolio, ligroina, etere e
benzene. Completamente solubile nei solventi organici (1).
Proprietà chimiche: Il Pirene reagisce con ossidi di azoto a formare
nitroderivati, nonchè con acido nitrico al 70%. In normali
condizioni di laboratorio è stabile, così come sono stabili soluzioni
in acqua, dimetilsolfossido, etanolo (95%) e acetone se tenute per
24 ore in normali condizioni di laboratorio. Sebbene non si conosca
il suo punto di infiammabilità, si ritiene che il Pirene sia
combustibile. Allo stato solido o in soluzione presenta una leggera
fluorescenza bluastra. Non subisce foto-ossidazione in solventi
organici se sotto luce fluorescente. Riscaldato fino a
decomposizione. emette fumi con odore pungente (1).
Metodi di analisi: HPLC
Tossicologia

Tossicinetica - Metabolismo: L'assorbimento del Pirene può


avvenire per via cutanea (1).
Genotossicità: In esperimenti sul DNA di Escherichia coli e
Bacillus subtilis il Pirene si è rivelato incapace di produrre
mutazioni. Altre prove su geni di cellule batteriche hanno dato esito
sia positivo che negativo, mentre su cellule di lievito ha prodotto solo
un aumento dell'incidenza di conversione dei geni in fase mitotica. Il
Pirene non ha indotto aumenti di mutazioni recessive letali legate al
sesso in Drosophila. Risultati discordanti sono stati pure ottenuti da
esperimenti condotti su cellule in vitro di mammiferi e esito negativo
hanno dato iniezioni intraperitoneali del composto nel midollo osseo
di topi (dati EPA).
Cancerogenicità: I dati sperimentali sulla cancerogenicità del Pirene
non sono conclusivi. Questo composto non è classificabile come
cancerogeno umano (1).

Tossicità acuta: L'esposizione umana a Pirene può derivare sia da


inalazione di aria contaminata, sia da consumo di cibo e acqua
inquinata. Un'esposizione particolarmente elevata si ha con il fumo di
sigaretta e con l'ingestione di cibi affumicati. Nei ratti l'inalazione di
Pirene ha causato danni epatici, polmonari e gastrici, mentre
l'assorbimento cutaneo per 10 giorni ha prodotto iperemia, perdita di
peso e anomalie ematopoietiche. Applicazioni cutanee per 30 giorni
hanno inoltre prodotto dermatiti (1).

Tossicità cronica: In uno studio di 13 settimane maschi e femmine di


topo (20/sesso/gruppo) sono stati trattati per intubazione gastrica con
0, 75, 125 o 250 mg/kg/giorno di Pirene mescolato ad olio di mais. I
parametri tossicologici considerati sono stati i seguenti: anomalie del
peso corporeo, consumo di cibo, mortalità, segni patologici clinici di
organi e tessuti e chimica del sangue e del siero. In alcuni animali di
tutti i gruppi, compreso il gruppo di controllo, sono stati osservati
casi di nefropatia, caratterizzata dalla presenza di focolai multipli di
rigenerazione tubulo-renale, spesso accompagnata da infiltrazioni di
linfociti interstiziali e/o da focolai di fibrosi interstiziale. Il peso
relativo e assoluto dei reni si è rivelato ridotto negli animali trattati
con la dose più alta. In base a questi risultati il NOAEL è stato di 75
mg/kg/giorno e il LOAEL di 125 mg/kg/giorno (dati EPA).

Sintomatologia

Inalazione: Respiro breve e sibilante, tosse, irritazione delle alte


vie respiratorie.
Contatto cutaneo: Arrossamento, irritazioni.

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: Il rilascio di Pirene nell'ambiente è molto


diffuso poichè questo composto è un prodotto comune di combustione
incompleta. È largamente associato a particolato, particelle di suolo e
sedimenti. Sebbene le maggiori concentrazioni si abbiano nei pressi
delle fonti di emissione, la sua presenza in luoghi anche molto distanti
da esse indica che il Pirene è piuttosto stabile nell'atmosfera e che è
capace di essere trasportato a lunga distanza. Nell'aria può subire
fotolisi diretta, sebbene l'adsorbimento al particolato possa
apparentemente ritardare questo processo la sua emivita in fase di
vapore dipende dalla sua reazione con gli altri inquinanti atmosferici: è
di 0.67 giorni se reagisce con ozono e di 14 giorni se reagisce con
biossido di azoto; se reagisce con radicali ossidrilici prodotti
fotochimicamente, la sua emivita stimata è di 1.12 giorni. Liberato
nell'acqua viene adsorbito molto fortemente dai sedimenti e dal
particolato, si bioconcentra da leggermente a moderatamente negli
organismi acquatici, ma non subisce idrolisi. Nei pressi della superficie
delle acque può subire una significativa biodegradazione e una diretta
fotolisi. Importante può essere anche l'evaporazione, in seguito alla
quale l'emivita può variare da 4.8 a 39.2 giorni per un fiume o può
essere di 1176 giorni per uno stagno. L'adsorbimento ai sedimenti
limita l'evaporazione. Se liberato nel suolo si ritiene venga fortemente
adsorbito dalle particelle di terreno e per questo non dovrebbe lisciviare
in misura apprezzabile nella falda, sebbene il suo rinvenimento in essa
dimostra che può comunque raggiungerla. Si ritiene che non evapori nè
venga idrolizzato dal terreno ove può comunque biodegradarsi in
buona parte.

Bibliografia:(1) NTP Chemical Repository, Radian Corporation,


August 29, 1991.
1,2-Dibromoetano
Nome chimico: 1,2-Dibromoetano; alfa,beta-dibromoetano.

Sinonimi: EDB; Dibromoethane; Ethylene Bromide: Glycol


Dibromide; Sym-dibromoethane; Glycol bromide;
Dibromoethylene; 1,2-dibromoethane; alpha,beta-dibromoethane;
DBE.
#CAS: 106-93-4

Nome commerciale: Dowfume; Bromofume; Celmide; E-D-Bee;


Kopfume; Nephis: DBE; EDB-85; Fumo-gas; Iscobrome D;
Pestmaster; Soilbrom; Soilfume; Unifume; Aadibroom; Garden
dowfume.
Caratteristiche
Impiego: Nematocida, insetticida.
Aspetto fisico: Liquido incolore di odore dolce che ricorda quello del
triclorometano (si avverte a partire da concentrazioni da 10 a
25 ppm) (18).
Peso molecolare: 187.88
Punto di fusione: 9.9°C (18); 9.47°C (EPA).
Punto di ebollizione: 131.4°C a pressione atmosferica (18); 131.7
(EPA).
Densità: 2.1792 (18).
Tensione di vapore: 1.13 kPa a 20°C; 15.98 kPa a 75°C; 38.03 kPa a
100°C (18); 9 mm Hg a 20°C e 11 torr a 25°C (EPA).
Solubilità: In acqua: poco solubile (0.40% in peso a 20°C) (8, 18).
In altri solventi: solubile nella maggior parte dei solventi
organici, soprattutto in alcoli e ossido di dietile, eteri, acetone e
benzene (18. EPA).

Proprietà chimiche: A temperatura ordinaria 1'1.2-dibromoetano è un


idrocarburo alogenato (o alcano bromurato) relativamente
stabile, sensibile tuttavia all'azione della luce. La sua
decomposizione termica porta alla formazione di prodotti
tossici. L'idrolisi ad alta temperatura e sotto pressione genera
glicoletilene. Il composto, unito ad ammoniaca liquida, può
reagire in maniera esplosiva, con formazione di etilendiammina
e analoghi. Esso può ugualmente dar luogo ad una reazione
violenta con metalli alcalini, alcalino-terrosi, con materiali
ossidanti e con metalli in polvere come alluminio e magnesio
(18. EPA).
Metodi di analisi: Apparecchiature a risposta istantanea di tipo Draeger
equipaggiate di fiale reattive al tricloroetilene 10/a; prelievo
per assorbimento su carbone attivo, separazione con solfuro di
carbonio e analisi con cromatografia in fase gassosa (18).
Metodi EPA: 502.2; 504; 524.1; 524.2; 618; 8010B; 8011:
8021A: 8240B; 8260A.
Tossicologia
Tossicinetica — Metabolismo: L'1,2-dibromoetano è rapidamente
assorbito per via digestiva, respiratoria e percutanea. Nei topi le
maggiori concentrazioni del composto si rinvengono nel fegato, nei reni
e nelle ghiandole surrenali. E' probabile che esistano almeno due vie di
degradazione che concorrono alla formazione di metaboliti reattivi
responsabili degli effetti tossici del solvente. Nei topi il 12% della
quantità assorbita è eliminato per via respiratoria senza subire
modifiche, il 66% è stato ritrovato nelle urine dopo essere stato
metabolizzato. I principali metaboliti urinari sono la N-acetil-S-
idrossietilcisteina e suoi ossidi, la S-idrossietilcisteina, la S-
carbossimetilcisteina e l'acido tiodiglicolico (18).
Negli animali esposti l'EDB si degrada in bromuro inorganico,
rinvenuto nelle urine, nel fegato ed in altri tessuti. In ratti, polli, topi
e cavie esso ha un'emivita biologica inferiore a 48 ore (16). I
processi metabolici del composto nelle cavie sono simili a quelli
osservati nell'uomo. In un esperimento una singola dose elevata di
EDB è stata iniettata in alcune cavie. Dopo 72 ore i 2/3 del
composto iniettato era stato escreto come metaboliti nelle urine e
1/10 esalato in forma non modificata. La parte restante è stata
rinvenuta principalmente nei reni, nel fegato, nelle ghiandole
surrenali, nel pancreas e nella milza (10).
Sorveglianza biologica: Test di funzionalità epatica e polmonare
sono raccomandati prima di intraprendere un lavoro che comporti
l'uso di 1,2-dibromoetano e a intervalli regolari durante
l'esposizione professionale. In caso di comparsa di sintomi da
sovresposizione può essere utile sottoporsi a radiografie toraciche e
a test di funzionalità renale (19).
Genotossicità: L'1,2-dibromoetano è risultato mutageno per
numerosi ceppi di Salmonella typhimurium e per numerose specie di
lieviti e di vegetali. Esso ha indotto mutazioni letali recessive legate
al sesso in Drosophila ed è responsabile di un aumento della sintesi
non programmata di DNA, delle aberrazioni cromosomiche e di
scambi di cromatidi fratelli in colture cellulari di mammiferi. Il
composto si lega in maniera covalente con il DNA di fegato di ratto
in vitro e in vivo (18).
L'EDB è stato segnalato quale mutageno in alcuni saggi, ma non ha
prodotto effetti mutageni su cellule umane (1).
Cancerogenicità: Topi e ratti sono stati trattati per intubazione con
dosi variabili da 37 a 107 mg/kg/giorno per 5 giorni alla settimana.
A causa dei numerosi decessi, gli individui sopravvissuti sono stati
sacrificati in tempi differenti durante l'esperimento. Dalle loro
autopsie si è osservato un aumento dell'incidenza di
emangiosarcomi e di tumori gastrici, epatici e broncopolmonari.
Topi e ratti esposti a 10 e 40 ppm del composto per 78 settimane
hanno sviluppato tumori benigni e maligni alle fosse nasali e tumori
broncopolmonari. L'associazione con Disulfirame (incorporato
nell'alimentazione in quantità di 0.05%) aumenta l'incidenza dei
carcinomi epatocellulari, degli emiangiosarcomi e dei tumori renali,
tiroidei e broncopolmonari. Uno studio sulla mortalità di operai di 2
fabbriche che utilizzavano il composto, non ha mostrato alcun
aumento significativo dell'incidenza dei decessi per tumori. Tuttavia
il campione studiato era limitato (161 operai in tutto) (18).
L'EDB è considerato cancerogeno per ratti e topi. Ratti che avevano
inalato alte dosi giornaliere del composto per 18 mesi hanno poi
sviluppato tumori delle ghiandole mammarie e surrenali, della
milza, del fegato e dei reni (13).
L'EDB è un sospetto cancerogeno umano (15). Dati derivanti da
studi su animali inducono l'EPA a stimare in circa il 100%
l'incidenza dei casi di cancro che possono verificarsi nel corso della
vita di operai esposti per 40 anni al composto nei centri di
fumigazione. L'incidenza attuale è stata molto minore (circa il 5%)
in un gruppo di lavoratori impiegati nella produzione di piante
utilizzando 1'EDB (11). II rischio di cancro può essere maggiore se i
soggetti esposti a 1,2-dibromoetano usano anche il Disulfiram, un
composto utilizzato per il trattamento dell'alcolismo (13). Dopo che
ratti avevano inalato EDB e mangiato anche Disulfiram per 14 mesi,
erano comparsi tumori epatici, renali, polmonari e tiroidei. Il
numero di questi tumori era inoltre più alto di quello che si aveva se
i ratti inalavano la stessa dose di EDB per 18 mesi (9. 13).

Effetti sulla riproduzione: Una serie di esperimenti effettuati su diverse


specie di animali utilizzando diverse vie di somministrazione e dosi
relativamente deboli, hanno messo in evidenza una certa tossicità testicolare
con teratospermia, oligospermia, atrofia dei testicoli, dell'epididimo. della
prostata e delle vescicole seminali. Sulle femmine di ratti e topi si sono
osservate anomalie mestruali ed effetti fetotossici. Questi effetti del solvente
sono stati osservati su un polmonari, del tratto respiratorio e un temporaneo
offuscamento delle cornee. Conigli esposti per 14 giorni ad una soluzione di
EDB 1% hanno presentato gravi irritazioni cutanee (16).

Sintomatologia

Ingestione: Dolori addominali, irritazione delle membrane mucose, vomito,


diarrea, cefalea, depressione perdita di appetito, confusione, delirio,
sonnolenza, coma.
Inalazione: Irritazione delle mucose, edema polmonare.
Contatto cutaneo: Irritazioni, prurito, arrossamento, vesciche, lesioni
caustiche. Rimedi: Lavaggio abbondante con acqua e sapone.
Contatto oculare: Irritazioni. Rimedi: Lavaggio abbondante con acqua per
almeno 30 minuti, sbattendo le palpebre.
Ambiente ed agronomia
Modalità d'impiego: Fino a tempi recenti I'EDB veniva usato in maniera
diffusa come fumigante del terreno e in post-raccolta su colture e nella
quarantena di frutti e ortaggi tropicali. Nel 1983 l'EPA ha sospeso
l'uso dell'EDB come fumigante dopo che piccoli residui erano stati
rinvenuti nelle falde e in alcuni cereali. Oggi l'EDB è principalmente
utilizzato come additivo decontaminante nella benzina con piombo. è
inoltre registrato come gas per il controllo di termiti ed altri insetti,
come fumigante di alveari, cantine e macchinari dei mulini. Poiché il
suo odore non è avvertito prima che le sue concentrazioni superino
quelle raccomandate nei luoghi di lavoro, si richiede un suo attento
monitoraggio per limitarne l'esposizione (EPA).
Un altro uso dell'EDB è l'impiego come solvente per resine, gomme e
cere ed è anche un composto intermedio nella sintesi dei coloranti e di
composti farmaceutici. E' usato infine nella preparazioni di
impermeabilizzanti (19).
In condizioni normali di utilizzo, 1'1,2-dibromoetano non è
infiammabile ed esplosivo (18).
In caso di manipolazione del composto, si consiglia un ambiente di
lavoro ben aerato, altrimenti l'uso di respiratori. L'area di
manipolazione o di stoccaggio deve comunque essere ben segnalata e
i lavoratori esposti appropriatamente equipaggiati. Essi devono inoltre
essere istruiti su tutte le precauzioni da prendere, sulla necessità di
svestirsi immediatamente e lavare a fondo gli indumenti dopo la fine
del turno di lavoro. Essi devono infine sapere che l'EDB va conservato
lontano da luce e fonti di calore e dal contatto con metalli attivi
chimicamente (come alluminio, magnesio, sodio e potassio), con basi
forti e forti ossidanti (come clorati, perclorati, perossidi, nitrati e
permanganati). Pur non essendo un liquido combustibile, si
raccomanda di utilizzare anidride carbonica, estintori chimici anidri o
schiumogeni per mantenere freschi i contenitori esposti a un
eventuale fuoco. I gas che il composto può sprigionare in caso di
incendio sono velenosi (19).

Degradazione ambientale: Per l'incapacità delle piante di


assumerlo dal suolo, I'EDB probabilmente non si accumula nei
vegetali. II suo prodotto di degradazione, il bromuro inorganico, è
tuttavia assorbito dalle piante in piccole quantità. I suoi residui
persistono negli alimenti fumigati per 6-12 settimane.
La più veloce degradazione dell'EDB avviene in prossimità della
superficie del suolo. In circa 2 mesi quasi la totalità del composto
(97%) è convertita sulla superficie del suolo in etilene e ioni
bromuro. La quantità che permane resta immodificata (17).
L'emivita dell'EDB può variare da suolo a suolo. In uno studio di
laboratorio che ha utilizzato 100 tipi diversi di suolo, la sua emivita è
variata da 1.5 a 18 settimane. In un suolo la sua presenza è stata
accertata anche dopo 19 anni dalla sua ultima applicazione
conosciuta. Si ritiene infatti che !'EDB resti intrappolato nei piccoli
pori del terreno, risultando pertanto inaccessibile ai biodegradatori e
può lentamente lisciviare nell'acqua in periodi anche molto lunghi.
Tale lisciviazione è molto lenta a 25°C e dipende notevolmente dalla
temperatura.
L'EDB è solubile, stabile e persistente nell'acqua (7, 19). Può
ampiamente distribuirsi nei corpi d'acqua dai quali può essere rimosso
principalmente per evaporazione (7). La sua emivita è leggermente
superiore a 1 giorno nelle acque di fiume ed è di circa 5 giorni in
quelle di lago. Si lega relativamente poco ai sedimenti. La sua
biodegradazione, piuttosto facile e rapida in generale, si dimostra
lenta nella falda (emivita in mesi), dove l'evaporazione non avviene,
ma può verificarsi l'idrolisi oltre che la biodegradazione. L'idrolisi
non catalizzata è lenta (emivita di 6 anni a 25°C), ma quella catalizzata
dalla presenza di varie sostanze naturali (come ioni HS-) può entrare in
competizione con la biodegradazione (emivita di 1-2 mesi).
Nell'acqua la sua emivita può secondo altri variare da 2 a 20 giorni e
può dar luogo a fenomeni di bioaccumulazione (19).
L'EDB è presente nell'atmosfera per lo più come risultato di emissioni
da autoveicoli e centri di fumigazione. Esso è stabile nell'aria, dove ha
un'emivita di 45 giorni e può essere degradato dalla luce solare.
Nel suolo e nell'acqua, un altro prodotto di decomposizione è il
glicoletilene che può ulteriormente degradarsi in formaldeide. L'EDB
si decompone lentamente in presenza di calore e/o luce e può essere
lentamente degradato dall'umidità.
La contaminazione dell'acqua di falda da EDB è stata osservata a
livelli fino a 300 ppb (8). I livelli consueti del composto rinvenuti
nelle falde sono stati però molto bassi (1-20 ppb). Tali valori sono
simili a quelli rinvenuti nei cereali immagazzinati.

Disinquinamento: Se 1'1,2-dibromoetano si versa nell'ambiente


occorre impedire l'accesso a persone non adeguatamente equipaggiate
con indumenti protettivi prima della completa bonifica dell'area
interessata; si deve poi arieggiare il locale, assorbire il liquido con
vermiculite, sabbia anidra, terra o altro simile materiale e riporre tutto
in appositi contenitori sigillati che verranno trattati come rifiuto
pericoloso (19).

Bibliografia
(1) Bladeren, P.J., et al. 1980. Biochem. Pharmacol 29:2975-2982.
(2) Broda, C., Nachtomi, E., and Alumot (Olomucki), E. 1976. Gen.
Pharmac. 7:345-348. (3) Hunter, R., et al. 1984. User Manual for the
QSAR System. Center for Data Systems and Analysis, Montana
State University. (4) Leo, A. 1978. Report on the Calculation of
Octanol/Water Log P Values for Structures in the EPA Files.
Claremont, CA. (5) Letz, G.A., Pond S.M., Osterloh, J.D., Wade,
R.L. and Becker, C.E. 1984. JAMA 252:2428-2431. (6) Li, Fred.
1982. Technical data submitted in support of the San Luis Drain
Report of Waste Discharge, File Report, Branch of Scientific
Resources, USBR Department of Interior, 2800 Cottage Way,
Sacramento, CA 95825. (7) Mackay, D., et al. 1982. "Volatilization
of Organic Pollutants from Water." USEPA-600/53-82-019. (8)
McConnel, J.B., et al. 1984. "Investigation of Ethylene Dibromide
(EDB) in Groundwater in Seminole County, Georgia." U.S.
Geological Survey Circular 933. (9) Olson, W.A., Habermann. R.T..
Weisburger, E. K., Ward, J.M., and Weisburger, J.H. 1973. J. Nat.
Cancer Inst. 51:1993-1995. (10) Plotnick, H.B. and Connor, W.L.
1976. Res. Commun. Chem. Pathol. Pharmacol. 13:251-258. (l I)
Ramsey, J.C., Park, C.N., Ott, M.G. and Gehring, P.J. 1979. Toxicol.
Appl. Pharmacol. 47: 411-414. (12) Short, R.D., et al. 1978. Toxicol.
Appl. Pharmacol. 45: 173-182. (13) Wong, L.C.K., Winston, J.M.,
Hong, C.B. and Plotnick, H. 1982. Toxicol. Appl. Pharmacol. 63:
155-165. (14) Wong, O., Utidjian, H.M.D., Karten, V. 1979. J.
Occupat. Med. 21:98-102. (15) Occupational Health Services Inc.
Material Safety Data Sheet for Ethylene Dibromide. 3/25/87. (16)
National Library of Medicine. Hazardous Substances Databank.
Ethylene Dibromide. May, 1992 (17) Pignatello, J.J.; Sawhney, B.L.;
Frink, C.R. EDB: Persistence in Soil. Science 236: 898. (18) INRS.
Fiche Toxicologique n° 86, CND n° 126, 1987. (19) New Jersey
Department of Health, May 1989.
Amianto

Nome chimico : Asbesto, nome generico dato a una classe di silicati naturali
fibrosi, appartenente alle famiglie di minerali dei serpentini e degli
anfiboli, dalle proprietà fisiche e chimiche notevolmente variabili (3).
Fra essi il più abbondante è il crisotilo, seguito da amosite,
crocidolite, antofillite e tremolite.

# CAS: 12001-28-4 Crocidolite (amianto blu)


77536-67-5 Antofillite (amianto grigio)
12172-73-5 Amosite (amianto bruno)
12001-29-5 Crisotilo (amianto bianco)
14567-73-8 Tremolite
Formula bruta:
Na2Fe5Si8O22 (OH)2 (crocidolite);
(Mg, Fe)7Si8O22 (OH)2 (antofillite);
Fe5Mg2Si8O22 (OH)2 (amosite);
Mg3Si2O5 (OH)4 (crisotilo);
Cat (Mg, Fe)5Si8O22 (OH)2 (tremolite).
Caratteristiche

Impiego: L'utilizzazione delle fibre di amianto è stata in passato molto diffusa


per la loro eccezionale resistenza al calore e al fuoco, l'inerzia
chimica e la resistenza meccanica (2). Il più utilizzato è stato il
crisotilo, l'unico ad essere estratto in Italia, in Piemonte, e costituente
oltre il 90% dell'asbesto usato nella fabbricazione di materiale
isolante, nella produzione di freni e frizioni, nei prodotti dell'edilizia,
nelle plastiche e vernici come sostanza inerte, nella fabbricazione di
filtri per il vino e la birra
Composto Solubilità
Crisotilo Solubile negli acidi.
Amosite Resistente agli acidi
Antofillite Resistente agli acidi
Crocidolite Resistente agli acidi

Proprietà chimiche : Le fibre di asbesto sono leggermente solubili

in acqua: < 1 mg/1 (I).

Tossicologia
Tossicinetica — Metabolismo: Il destino delle fibre inalate nei
polmoni dipende dalle loro dimensioni. Quelle più spesse di 3µm e
generalmente più lunghe di 50 µm non riescono a entrare negli alveoli.
Le fibre più grandi si depositano nell'apparato mucociliare e vengono
rimosse dall'espettorato o espirate. Quasi tutte le fibre ingerite con
l'acqua potabile attraversano l'intestino e nell'arco di pochi giorni
vengono escrete con le feci. Un piccolo numero di fibre viene
assorbito dalle cellule che rivestono l'intestino e lo stomaco e alcune di
esse riescono a raggiungere il sangue. Parte di queste viene
intrappolata in altri tessuti, altre vengono allontanate con le urine (4,
5). Le fibre più corte di 10 .tm vengono ingerite dai macrofagi che non
vengono danneggiati. Le fibre restanti nei polmoni vengono incluse
nella parete degli alveoli o all'interno del tessuto interstiziale che
diviene il sito di proliferazione dei fibroblasti e di deposizione del
fibrocollagene. Alcune fibre sono rivestite di una sostanza contenente
mucopolisaccaridi a base di ferro formanti i corpi di asbesto (corpi
ferruginosi). Il diffuso tipo di fibrosi non nodulare impiega almeno da
4 a 7 anni per raggiungere un grado preoccupante, diffondendosi
lungo i polmoni, intasando gli alveoli e i corpi vascolari associati. è
stato ipotizzato che lo sversamento di parte del contenuto dei
macrofagi porta alla fibrogenesi. è stato anche invocato un processo di
tipo immunologico. La fibrosi si sviluppa in misura più estesa nella
metà inferiore dei polmoni e può coinvolgere sia la pleura viscerale
che quella parietale con formazione di inspessimenti. Il rischio di
cancro bronchiale in soggetti pesantemente esposti ad amianto sembra
riguardare solo i fumatori.
Sorveglianza biologica: Prima di iniziare a lavorare con l'amianto, si
raccomanda di effettuare prove di funzionalità polmonare e
radiografie al torace che vanno ripetute annualmente durante il
prosieguo dell'attività professionale. Ogni valutazione deve includere
un accurato esame della storia del paziente. I fumatori, che già
rischiano di andare incontro a malattie cardiache oltre che al cancro ai
polmoni, a enfisema e ad altre malattie polmonari, possono veder
peggiorate le loro condizioni respiratorie in seguito a esposizione
all'amianto. Pertanto, l'interruzione del fumare, anche dopo che si è
fumato per lungo tempo, può ridurre la probabilità dell'insorgenza di
problemi per la salute. Il rischio di un cancro ai polmoni è infatti
maggiore di 92 volte per un soggetto che fuma ed è esposto ad
amianto rispetto a un soggetto non interessato da entrambe le
esposizioni (1). Altri test medici per verificare la presenza di fibre di
amianto sono le analisi delle urine, delle feci e del muco (4).
Cancerogenicità: L'amianto è cancerogeno per l'uomo. E' stato
dimostrato che può causare tumori ai polmoni come pure allo
stomaco, al colon, al retto, alle corde vocali e ai reni. Il primo caso di
tumore polmonare associato ad esposizione all'asbesto risale al 1935 e
il primo studio epidemiologico che ha definitivamente dimostrato la
correlazione fra esposizione all'asbesto e tumore polmonare è stato
pubblicato nel 1955. Oltre alla ben nota capacità di indurre il
mesotelioma della pleura, nei lavoratori dell'asbesto il rischio di
carcinoma broncopolmonare aumenta con un rapporto di 4:1 e che
tale rischio aumenta di 40-60 volte se contemporaneamente si fuma.
Molti studiosi ritengono che non esista un livello di sicurezza per
l'esposizione all'amianto; è. necessario perciò ridurre il più possibile il
numero di contatti con esso (1). Per quanto riguarda l'uomo, oltre ai
già citati casi di cancerogenicità frequentemente accertata fra i
soggetti esposti professionalmente all'amianto, resta da dire che non è
chiara la sua cancerogenicità in seguito all'assunzione delle fibre con
l'acqua potabile. Mesoteliomi sono ben documentati in individui
abitanti nei pressi di fabbriche e miniere di amianto e aventi contatti
con i relativi lavoratori. Il fumo di sigaretta aumenta il rischio di
cancro ai polmoni se associato all'assunzione di fibre di amianto.
Secondo l'EPA, in base a dati epidemiologici, il fumo di sigaretta e
l'esposizione all'amianto interagiscono sinergicamente a produrre il
cancro ai polmoni, ma non interagiscono in riferimento al
mesotelioma. In base alle osservazioni svolte su migliaia di lavoratori
esposti a crisotilo, solo in pochi casi questo tipo di fibra è stato capace
di provocare il mesotelioma. D'altra parte questa malattia è risultata
molto più frequente in seguito ad esposizione agli altri tipi di fibra.
Ciò è stato spiegato dal fatto che mentre il crisotilo ha una limitata
persistenza nei polmoni, le altre fibre vi restano più a lungo. Per
causare il mesotelioma è sufficiente una quantità di fibre molto più
bassa di quella che occorre per produrre il cancro polmonare (5). La
cancerogenicità dell'amianto in riferimento ad altri organi come
stomaco, intestino, esofago, pancreas e reni è stata dimostrata solo in
un numero limitato di casi su lavoratori esposti professionalmente;
pertanto non può essere considerata certa (4). Secondo l'EPA, se un
individuo ha respirato nel corso della sua vita aria contenente asbesto
in concentrazione di 0.000004 fibre/nn, esso ha in teoria non più di
1/1.000.000 di possibilità di contrarre il cancro come risultato diretto
di tale esposizione. Similmente, respirare aria contenente 0.00004
fibre/ml di amianto darebbe luogo a non più di 1/100.000 possibilità
di contrarre il cancro e respirare aria contenente 0,0004 fibre/ml di
amianto produrrebbe non più di 1/10.000 possibilità di ammalarsi di
cancro.
Vi sono prove sufficienti riguardo la cancerogenicità dell'amianto e
delle sue forme commerciali sugli animali. Somministrati a ratti per
inalazione, il crisotilo, la crocidolite, l'amosite e I'antofrllite hanno
indotto mesoteliomi e carcinomi polmonari, nonché mesoteliomi a
seguito di somministrazione intrapleurica. Gli stessi composti hanno
indotto mesoteliomi in criceti dopo somministrazione intrapleurica. Il
trattamento per via intraperitoneale di crisotilo, crocidolite e amosite
in topi e ratti ha indotto tumori peritoneali, inclusi i mesoteliomi.
Somministrata allo stesso modo, la crocidolite ha indotto tumori
addominali nei criceti, mentre l'actinolite nei ratti. In questi è stato
osservato un incremento statisticamente significativo dell'incidenza
dei tumori maligni dopo che nella dieta era stato somministrato loro
del materiale contenente crisotilo. L'incidenza dei tumori non è
aumentata dopo somministrazione orale di amosite nei ratti e nei
criceti e di crisotilo in questi ultimi. In ratti di entrambi i sessi la
somministrazione nella dieta di crisotilo a fibra corta, durante l'intero
arco di vita, non ha prodotto tumori, così come nelle sole femmine il
crisotilo a fibra di lunghezza intermedia. Nello stesso studio,
l'incidenza di polipi adenomatosi benigni è stata bassa nell'intestino
crasso di ratti maschi trattati con crisotilo a fibra di lunghezza
intermedia.
Effetti sulla riproduzione: L'amianto è stato testato riguardo
la sua capacità di influenzare la riproduzione
umana senza però causare alcun effetto (1). Non vi sono studi sugli
effetti dell'amianto sulla
riproduzione e lo sviluppo degli animali (dati EPA).
Tossicità acuta: Non esistono effetti a breve termine a seguito di
esposizione ad amianto (I). Le principali vie di potenziale esposizione
umana all'amianto sono l'inalazione, la più pericolosa, il contatto
cutaneo e l'ingestione. L'amianto è stato usato così diffusamente che
ogni popolazione può ritenersi a vario grado esposta ad esso. Dal
1950 fino a quando è stato bandito, il numero di lavoratori
dell'amianto è cresciuto notevolmente ma l'intensità dell'esposizione
professionale è andata via via riducendosi. L'inquinamento da
amianto nelle aree prossime a miniere e fabbriche è oggi molto più
basso rispetto a 30-50 anni fa, ma i livelli generali di esposizione alle
fibre in aria, acqua e alimenti sono andati sempre aumentando in
seguito alla costruzione di edifici e alla demolizione e deterioramento
di materiali contenenti amianto. Secondo I'OSHA sarebbero circa 2.5
milioni i lavoratori potenzialmente esposti all'amianto. Altre
esposizioni professionali caratterizzano inoltre i lavoratori addetti alla
manutenzione e alla demolizione di prodotti contenenti amianto. Le
concentrazioni di asbesto nell'atmosfera all'interno di una fabbrica che
lavorava l'amianto variavano da 10 a 100.000 ng/m', a seconda del
tipo di lavorazione, mentre nelle abitazioni dei lavoratori è stata
rinvenuta una concentrazione di fibre variabile tra 100 e 500 ng/m'. In
un generico ambiente urbano le fibre di amianto presenti
nell'atmosfera non superano la concentrazione di 100 ng/m', ma di
solito sono presenti in concentrazioni inferiori a 10 ng/m'. In ambienti
lontani da siti industriali e urbani la concentrazione di amianto
nell'aria è minore di 0.01 ng/m'. Non vi sono dati stimati sulla
quantità di fibre liberate in seguito alla eliminazione di rifiuti
contenenti amianto (3). Secondo altre fonti negli ambienti virali la
concentrazione di amianto nell'aria sarebbe di 0.03 - 3 fibre/m' (1 m' è
la quantità di aria respirata da un essere umano in 1 ora), mentre nei
centri urbani i livelli sarebbero di solito compresi fra 3 e 300 fibre/m'.
Nei pressi di miniere o fabbriche di amianto si possono raggiungere
concentrazioni di 2000 fibre/m' e oltre. Nell'aria presente all'interno di
abitazioni, scuole e altri edifici contenenti amianto, le concentrazioni
varierebbero tra 30 e 6000 fibre/m' (4). Il rischio unitario è basato
sulla conta delle fibre effettuata dal microscopio a contrasto di fase
che è lo strumento usato per le misure negli ambienti di lavoro e in
genere nell'aria. Molte misurazioni, come quelle effettuate nell'acqua,
vengono tuttavia riportate in termini di conta di fibre con il
microscopio elettronico a trasmissione. Il primo rileva solo le fibre
pia lunghe di 5 µm e > 0.4 p,m di diametro, il secondo può
riconoscere anche fibre molto più piccole. Questi due metodi non
sono confrontabili né vi sono fattori di conversione di uno nell'altro.
Secondo l'EPA il rischio unitario stimato per inalazione è di 2.3 x 10-1
(fibre/mi)*

Tossicità cronica: Ripetute esposizioni all'amianto possono causare


tumori. Quanto più frequente e prolungata è l'esposizione. tanto più
probabile è il loro verificarsi. Vi è una intensa discussione scientifica
sulle differenze di patogenicità fra i differenti tipi e dimensioni di
fibre. Alcune di queste differenze possono essere dovute alle diverse
proprietà fisiche e chimiche delle diverse fibre. Molti studi
suggeriscono che le fibre derivate dagli anfiboli (tremolite, amosite e
soprattutto crocidolite) possono essere più pericolose del crisotilo. In
ogni caso la maggior parte dei dati indica che è la dimensione delle
fibre il più importante fattore di cancerogenicità (4, 5). Alcune
osservazioni dimostrano che la fibrosi polmonare e il cancro
polmonare dipendono dalla dose di fibre assunte. Al di sotto di una
determinata soglia, se non insorgono infiammazioni croniche o
proliferazioni cellulari come iperplasie o fibrosi, il rischio di
contrarre il cancro polmonare non è elevato (5). L'asbestosi si
sviluppa alcuni anni dopo l'esposizione (da 7 a 30). I sintomi di
questa malattia includono: tosse, rantoli secchi, dita ippocratiche,
riduzione del volume polmonare e della sua capacità vitale,
riduzione del letto vascolare, aumento della pressione dell'arteria
polmonare, ipertofia del ventricolo destro, respiro breve e sotto
sforzo. insufficienza cardiaca e modificazioni del torace visibili con
i raggi X (1). Tali sintomi aumentano col tempo, anche dopo che
l'esposizione è cessata, e nei casi più gravi porta alla morte per
danneggiamento della funzione respiratoria.
Valori limite: PEL (OSHA): 0.2 fibre/cm3 per fibre > 5 tm calcolato
su un turno lavorativo di 8 ore (1, 3).
Il Limite Raccomandato di Esposizione all'Aria per il NIOSH è di
0.1 fibre/cm3 per un turno lavorativo di 8 ore, mentre per 1'ACGIH
è di 0.5 fibre/cm' (per l'amosite), di 0.2 fibre/cm3 (per la crocidolite)
e di 2.0 fibre/cm3 (per il crisotilo e le altre forme), sempre su un
turno lavorativo di 8 ore (1, 3).

Ambiente ed agronomia
Degradazione ambientale: Le fibre di asbesto sono molto
persistenti in acqua dove l'emivita è > 200 giorni. Nei tessuti dei
pesci esso non si bioaccumula (1).
Disinquinamento: Le polveri di amianto disperse nell'atmosfera
sono molto difficili da rimuovere. E' pertanto essenziale che ogni
area nella quale esso è utilizzato sia chiusa e isolata. La rimozione
di materiale contenente amianto va fatta in ambiente confinato e il
materiale di risulta va avviato in discarica controllata, chiuso in
doppio sacco di polietilene (1).
Bibliografia
(1) New Jersey Department of Health. CN 368, Trenton, NJ,
February 1987. (2) INRS, Fiche toxicologique, n. 145. CND 96, 3°
trimestre 1979. (3) ARC Known Carcinogens. Asbestos. (4) ATSDR
- Agency for Toxic Substances and Disease Registry, December
1990. Asbestos, U.S. Department of Health and Human Services.
Public Health Service, Atlanta, GA, USA. (5) Meldrum M., 1996.
Review of Fibre Toxicology (OELs). Health and Safety Executive,
Sudbury, Suffolk, UK.
Cloroformio

Formula bruta: CHCI3


Sinonimi: Triclorometano; TCM; Freon 20; cloruro di metenile;
formiltricloruro; tricloruro di metano; tricloruro di metenile;
tricloruro di metile; tricloroformio.
# CAS: 67-66-3
Classe Chimica: Trialometano.
Nome commerciale: NCI-0O2686; R20; UN 1888.
Caratteristiche
Impiego: Il cloroformio viene impiegato nell'industria per la sintesi
di clorodifluorometano (Fluorocarbon 22) che viene usato come
propellente e refrigerante; viene inoltre usato come fumigante e
insetticida per la conservazione delle sementi, nella produzione di
smalti, tinture, nella sintesi del Teflon e come solvente per grassi, oli,
plastiche, gomme, alcaloidi e resine (1, 2). Viene utilizzato anche
come anestetico, rilassante muscolare, carminativo, conservante,
battericida (2).
Aspetto fisico: Liquido incolore chiaro, di odore etereo caratteristico
e di sapore dolciastro (1, 2, 3). Il valore soglia di percezione
dell'odore è di 50 ppm (3).
Peso molecolare: 119,37 (1).
Punto di fusione: -63.5°C (2).
Punto di ebollizione: 61.2°C (1, 2).
Densità: 1.48 a 20°C (1); 1.49845 g/ml a l5°C (2).
Tensione di vapore: 200 mm Hg a 25,9°C (1, 2); 160 mm Hg a
20°C (2).
SolubilitàIn acqua: scarsamente miscibile (0.822 g/100 ml a
20°C) (1); < 1 mg/ml a 19°C (2).
In altri solventi: miscibile in alcool etilico, benzene, etere etilico,
tetracloruro di carbonio, disolfuro di carbonio, dimetilchetone
(1), oli, etere di petrolio e nella maggior parte dei solventi
organici (2).
Proprietà chimiche : Il cloroformio si altera lentamente alla luce e
all'aria trasformandosi in prodotti tossici, principalmente fosgene.
Reagisce violentemente con l'acetone in presenza di KOH oppure di
idrato di calcio per formare I'l,1,I-tricloro-2-idrossi-2-metilpropano.
Reagisce in modo esplosivo a contatto con sodio, potassio, litio,
fluoro, magnesio, alluminio e con biossido di azoto (I, 2). Reazioni
esplosive possono aversi anche con idrossido di sodio + metanolo,
con nitrometano e con triisopropilfosfina. Reagisce rapidamente con
alogeni o agenti alogenanti, ammine primarie e fenoli. Può corrodere
il ferro e alcuni altri metalli in presenza di acqua. Può diventare
esplosivo in presenza di alcoli forti e acqua e può attaccare alcune
plastiche, gomme e rivestimenti. è incompatibile con le basi e non è
infiammabile (2).
Metodi di analisi: Metodi EPA: 502.2; 524.1: 524.2: 601; 624;
8010B; 8021A; 8240B; 8260A.
Tossicologia
Tossicinetica – Metabolismo: Il cloroformio viene rapidamente
assorbito e distribuito a tutti gli organi, con concentrazioni
relativamente elevate nel tessuto adiposo. Il coefficiente di
distribuzione aria/sangue è di I/10 a 37°C, i globuli rossi contengono
circa il 36-52% del cloroformio presente nel sangue. il solvente viene
eliminato direttamente con l'aria espirata nella percentuale di circa
30-50% in 15-20 minuti. Il fegato, in minor misura, e il rene gli
organi principalmente adibiti alla demolizione del cloroformio con
formazione di vari metaboliti, gli ultimi dei quali sono l'anidride
carbonica, che viene eliminata attraverso i polmoni, l'urea e i
composti solforati, che vengono invece escreti con le urine (1).

Sorveglianza biologica: Analisi di routine: test di funzionalità renale ed


epatica: elettrocardiogramma (24 ore).
Cancerogenicità: è stato dimostrato che il cloroformio è cancerogeno per gli
animali da esperimento. Infatti sono stati osservati tumori maligni al
rene in ratti di sesso maschile e tumori alla tiroide in ratti di sesso
femminile in seguito a somministrazione orale del composto; nei
topi si è manifestato un epatoma maligno. Si sospetta che esso sia
cancerogeno anche per l'uomo, ma ciò non è stato ancora
confermato da studi epidemiologici (1. 3).
Effetti sulla riproduzione: Vi sono limitate prove che il cloroformio sia
teratogeno per gli animali e per l'uomo (3). Studi effettuati su
animali hanno di mostrato l'insorgenza di anomalie in ratti e topi che
avevano inalato 30-300 ppm di cloroformio durante la gravidanza
nonché in ratti che lo avevano ingerito durante la gravidanza. Le
figliate di ratti e topi esposti per inalazione presentavano difetti di
nascita, mentre in topi che avevano inalato 400 ppm di cloroformio
per qualche giorno si sono riscontrate anomalie spermatiche (4).
Tossicità Acuta: La dose letale orale per l'uomo si aggira intorno ai 10 ml,
mentre la DL50 orale per i ratti è di 800 mg/kg e la CL70 per i topi è di 5687
ppm per 7 ore di esposizione (1).

Sintomatologia
Ingestione: Irritazioni delle mucose digestive, lesioni epatiche e renali.
Rimedi: Non provocare il vomito. Somministrare per via orale olio
di vaselina (2-3 mg/kg).
Inalazione: Ebbrezza. nausea, vertigini. incapacità di rispondere agli stimoli
sensoriali, depressione del SNC, arresto cardiaco o respiratorio.
Contatto cutaneo: Irritazioni, danni allo stato protettivo lipidico. Rimedi:
Lavare con abbondante acqua e sapone.
Contatto oculare: Dolore. lacrimazione, danni alla congiuntiva e alla
cornea. Rimedi: lavare con acqua corrente a palpebre aperte.
Ambiente ed agronomia
Modalità d'impiego: Per evitare ripetuti contatti con le mani è opportuno
utilizzare guanti resistenti ai solventi organici (ad esempio
neoprene). Se si eseguono lavori con possibilità di proiezione di
schizzi è bene indossare occhiali a tenuta. Se si opera senza
impianto di aspirazione, è necessario usare la maschera antigas con
filtro della serie A. Non operare in presenza di fiamme: il
cloroformio non è infiammabile. ma se riscaldato ad alte
temperature o a contatto con metalli roventi, può liberare fosgene
che è estremamente infiammabile. Per questo è opportuno
conservare il cloroformio in luoghi ben ventilati evitando
l'accumulo di cariche elettrostatiche (1). In caso di incendio,
controllare le fiamme con estintori chimici anidri, biossido di
carbonio o Halon (2).
Degradazione ambientale: Il cloroformio non è persistente in acqua
(emivita inferiore a 2 giorni). Circa il 99.67% del solvente
volatilizza nell'aria (3). Tuttavia le eventuali dispersioni al suolo
possono lisciviare e raggiungere le acque sotterranee dove
permangono come residui per lunghi periodi di tempo. Il
cloroformio non si bioaccumula all'interno dei cibi, ma la
contaminazione può avvenire se viene usato per estrazioni o se
presente nell'acqua potabile.

Disinquinamento: Uno dei sistemi per disinquinare sia l'aria che


l'acqua contaminate dal cloroformio è la filtrazione attraverso
carbone attivo, il quale ha dimostrato una notevole capacità
adsorbente per tale composto. In caso di spandimenti dovuti a
rotture di bottiglie, bidoni, cisterne, sono disponibili in commercio
delle sostanze assorbenti (vermiculite, sabbia anidra, ecc.), capaci di
limitarne la dispersione nell'ambiente (1). In caso di sversamento,
allontanare ogni sorgente di fiamme e utilizzare carta assorbente per
raccogliere il solvente. Gli indumenti contaminati e la carta
assorbente utilizzata devono poi essere racchiusi in sacchetti a tenuta
da smaltire in maniera appropriata. Lavare le superfici contaminate
prima con etanolo al 60-70% e poi con acqua e sapone.
Bibliografia
(1) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Masson, Milano. (2)
NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (3)
New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, January 1989. (4)
Agency for Toxic Substances and Disease Registry - ATSDR -
ToxFAQs. Chloroform. September 1997
PCB

Nome chimico Policlorobifenili.

Sinonimi: Polychorobiphenyles; Bifenili policlorurati; Bifenili


policlomrati 1221. 1242. 1254, 1260: Arochlor; Aroclor 1221. 1242,
1254, 1260; NCI-0O2664; UN 2315.

# CAS: 1336-36-3;
27323-18-8 (54% in cloro)
53469-21-9 (42% in cloro)
Caratteristiche
Impiego: I PCB sono dei composti rappresentati in teoria da 209 isomeri
contenenti da 1 a 10 atomi di cloro in differenti posizioni, ma
solamente un centinaio di essi si possono ricavare per clorazione del
bifenile. I prodotti commerciali corrispondono a miscugli complessi
di alcune categorie di isomeri per i quali la variazione del tasso di
cloro permette di ottenere proprietà fisiche particolari. Le percentuali
ponderali di cloro possono variare da 21 a 68%. Il contenuto in cloro
dei PCB più diffusi è approssimativamente di 42%, 54% e 60%. Le
principali impurità presenti in alcuni prodotti commerciali a base di
PCB sono policloronaftalene in tracce e policlorodibenzofurano (1).
I PCB sono stati utilizzati in: isolanti dielettrici in trasformatori e
condensatori, componenti di impianti per riscaldamento e come fluidi
idraulici per condotti sotterranei, pompe da vuoto, fluidi a scambio di
calore, adesivi, insetticidi, carta copiativa, inchiostri, ecc. (1, 2).
Aspetto fisico: A seconda del loro tenore in cloro, i PCB commerciali
si presentano sotto forma di liquidi più o meno viscosi o di prodotti
resinosi; essi sono incolori o giallastri. con odore aromatico
caratteristico (1).
Liquido viscoso giallo chiaro o chiaro incolore (2).
Peso molecolare: 326 (approssimato) (2).
(1).
Punto di fusione: -19°C (42% in cloro); 10°C (54%); 31°C (60%)

Punto di ebollizione:
365-390°C 760 Hg
Densità: 1.38 (42% in cloro); 1.54 (54%); 1.62 (60%) (t).

Tensione di vapore: 0.133 Pa a 0°C e 3900 Pa a 200°C (42% in cloro);


0.008 Pa a 0°C e 1200 Pa a 200°C (54%); 400 Pa a 200°C (60%)
(1).
0.00006 mm Hg a 20°C (2).
Solubilità: variabile in funzione della temperatura e del tipo di composto
In altri solventi: ? 100 mg/ml a 23°C in dimetilsolfossido, etanolo
95% e acetone: solubile inoltre in solventi organici e oli; insolubile
in glicerina e glicoli (1, 2).
Proprietà chimiche : I PCB presentano una grande stabilità termica, tanto
più importante quanto più aumenta il tenore in cloro. Si
decompongono a temperature molto elevate, per esempio in
presenza di fiamma, di superfici calde o di un arco elettrico. La
decomposizione dei PCB dà origine prevalentemente a gas
cloridrico, biossido di carbonio e acqua. In alcune condizioni,
generalmente a temperature comprese tra 300 e 1000°C, la pirolisi
dei PCB, in presenza di aria, porta alla formazione di piccole
quantità di composti estremamente tossici, soprattutto
policlorodibenzofurani e policlorodibenzodiossine. I PCB resistono
bene agli agenti chimici come acidi e basi: sono incompatibili con i
forti ossidanti. Non attaccano i comuni metalli, ma dissolvono o
ammorbidiscono alcune gomme o materie plastiche (I).
Metodi di analisi: Cromatografia in fase gassosa; spettrometria di massa;
HPLC (1).
Tossicologia
Tossicinetica — Metabolismo: Ben assorbiti per tutte le vie di esposizione, i
PCB vengono fissati nella maggior parte nei tessuti grassi dove
tendono ad accumularsi. Essi sono principalmente metabolizzati in
ossidi di arile, intermedi molto reattivi sulle molecole organiche.
L'escrezione avviene per via fecale e in minor misura con le urine. I
composti più clorati sono quelli meno eliminati. I PCB attraversano
la placenta e passano nel latte materno (1).
Genotossicità: Tutti i risultati ottenuti da numerose prove con differenti PCB
si sono rivelati negativi tranne che con il 4-clorobifenile e l'Aroclor
1221 (miscuglio a 21% in cloro) che hanno provocato un effetto
mutageno nel corso di un test di Ames con attivazione metabolica
(1).
Cancerogenicità: Diversi PCB hanno provocato un aumento dell'incidenza
di tumori epatici (benigni e maligni) in piccoli roditori da
laboratorio. Questi composti sembrano agire in sinergia con altre
sostanze cancerogene (1). I PCB sono dei probabili cancerogeni per
l'uomo (3). A seguito di trattamenti con Aroclor 1254 su ratti si è
osservata una alta incidenza di lesioni proliferative epatocellulari
correlate alla somministrazione: inoltre, anche il carcinoma del
tratto gastro-intestinale può ritenersi correlato alla somministrazione
del PCB.
Effetti sulla riproduzione: La somministrazione di Aroclor 1254 (54% in
cloro) alla dose di 100 mg/kg/giorno durante la gestazione di ratti ha
provocato una diminuzione del numero di nuovi nati e della vitalità
di questi. La fecondità dei sopravvissuti era ugualmente alterata. Al
contrario, tranne una riduzione di peso alla nascita, non è stata
costatati alcuna malformazione organica su queste specie. La
scimmia è più sensibile: perdita di pelo e alterazioni della pelle sono
state osservate nei piccoli di madri esposte ai PCB, nonché un peso
ridotto alla nascita ed alcune anomalie ossee (1). I PCB possono
essere teratogeni per l'uomo (3).
Tossicità Acuta: Numerose intossicazioni sono state osservate a seguito di
assorbimento di olio contenente accidentalmente 800-1000 mg/kg di
PCB. La DL50 orale per i ratti è compresa tra 4000 e 19000 mg/kg
circa. Per via cutanea, nei conigli, le dosi letali più basse sono
comprese tra 800 e più di 8000 mg/kg (1).

Sintomatologia
Ingestione: Affaticamento, disturbi gastro-intestinali, anoressia.
perdita di peso, disturbi epatici, neuropatie periferiche. Rimedi: non
indurre il vomito; somministrare 1 o 2 bicchieri di acqua per diluire il
composto.
Inalazione: Tosse, respiro breve, bronchite. irritazione delle mucose.
Contatto cutaneo: Ipesudorazione, irritazioni, iperpigmentazione
della pelle e delle unghie, cheratosi. cloracne. Rimedi: Lavare
abbondantemente con acqua per almeno 15 minuti.
Contatto oculare: Edema delle palpebre, lacrimazione.
congiuntiviti, irritazioni. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua
o soluzione salina per almeno 15 minuti.
Esami di laboratorio: Test di funzionalità epatica; livello dei
trigliceridi nel siero; esame della pelle; livelli di PCB nel sangue (3).
Ambiente ed agronomia
Modalità d'impiego: I PCB vengono conservati in recipienti in
acciaio galvanizzato, in alluminio o in metallo nichelato. I PCB sono
dei composti difficilmente infiammabili. In caso di incendio. ciò
riguarda o i contenitori o gli apparecchi che li contengono: in questo
caso è preferibile utilizzare anidride carbonica. schiumogeni per
liquidi polari e polveri chimiche. A causa dell'alta tossicità dei fumi
emessi a seguito di pirolisi, gli operatori devono essere equipaggiati
di autorespiratori (l).
Degradazione ambientale: La distribuzione relativa dei diversi
PCB dipende dal grado di clorurazione. Alcuni sono probabilmente
più persistenti in acqua, con una emivita > 200 giorni. La
distribuzione potenziale nei vari ambienti può avere i seguenti
valori, a seconda del grado di clorurazione: aria. 0-34%: suolo
terrestre. 33-52%; acqua, 0-1.8%: solidi sospesi. 0.05-0.08%;
organismi acquatici. 0.02-0.03%; sedimenti acquatici. 30-50% (3).
Disinquinamento: In caso di fuga o sversamento accidentale,
allontanare tutte le fonti di calore e recuperare immediatamente il prodotto
con materiali assorbenti. Lavare tutte le superfici contaminate con etanolo in
soluzione al 60-70% e successivamente con acqua e sapone. (1, 2).
Bibliografia
(I) INRS Fiche Toxicologique n. 194. CND n. 114, 1° trim.. 1984.
(2) NTP Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 199
t. (3) New Jersey Department of Health. CN 368. Trenton, N.J.,
May, 1989.
TETRACLOROMETANO

Formula bruta: CCl4


Sinonimi: Carbonio tetracloruro; benziform: perclorometano.
# CAS: 56-23-5
Classe Chimica: Idrocarburo alifatico clorurato
Nome commerciale: Freon 10; Tetrasol; Tetraform; Benzinoform; Carbona;
ENT 4705; ENT 27164; Fasciolin; Flukoids; Necatorina; Necatorine;
R 10; Tetrafinol; UN 1846; Univerm; Vermoestricid; Halon 104.
Caratteristiche
Impiego: Il tetraclorometano, non presente in natura, viene impiegato
largamente come prodotto intermedio nell'industria chimica, ad
esempio nella produzione di idrocarburi politluorati a partire
dall'acido fluoridrico. E usato come solvente, come agente anti-
fuoco e come fumigante in agricoltura (1, 2, 4). E adoperato nei
refrigeratori e nell'industria chimica per rendere non infiammabile il
benzene, per separare gli isomeri dello xilene, per lo sgrassaggio dei
metalli, nella fabbricazione di cavi e semiconduttori, nella
produzione di clorofluorocarburi e clorofluorometani. Trova inoltre
impiego in medicina veterinaria come antielmintico, per curare
infezioni epatiche negli ovini e ancora come agente azeotropico
asciugante per le candele delle automobili, per l'estrazione di oli da
fiori e semi, nella sintesi organica per la clorurazione di composti
usati nelle industrie di pesticidi e saponi profumati. Il
tetraclorometano non è infine adatto ad essere adoperato come
estintore di incendi poiché può determinare la formazione di fosgene
(2).

Proprietà fisiche
Aspetto fisico: Liquido chiaro, incolore, con odore dolciastro tipico (1, 2),
simile a quello dell'etere (3), avvertibile tra 140 e 584 ppm.
Peso molecolare 153.84 (1).
Punto di fusione: -22.9°C (1); -23°C (2).
Punto di 76.7°C (l, 2).
Densità: A 20°C: 1.585 (1); 1.597 g/ml (2).
Tensione di Molto volatile: 113 mm Hg a 25°C (1, 2); 91 mm Hg a
Solubilità: In acqua: insolubile (1); < 1 mg/ml a 21°C (2).

In altri solventi: miscibile con alcool etilico, etere e quasi tutti i


solventi organici (1); a 21°C 100 mghnl in dimetilsolfossido e in
etanolo al 95%; miscibile inoltre in cloroformio, disolfuro di
carbonio, etere di petrolio, nafta, etere, benzene, oli, alcool deidrato,
solventi grassi e nella maggior parte dei solventi organici; solubile
infine in etanolo assoluto (2).

Proprietà chimiche
Il tetraclorometano non è infiammabile (1, 2) ma, se riscaldato, può
generare fosgene ed altri gas tossici. Esso reagisce violentemente a
contatto con elementi chimicamente reattivi come il sodio, il litio,
l'alluminio, il potassio, il fluoro, il berillio (1, 2) e loro composti e
leghe, nonché con tricloruro di alluminio, sesquicloruri di
trietilalluminio, disiliciuro di calcio, dimetilacetammide (in presenza
di ferro come catalizzatore), dimetilformammide (in presenza di ferro
e a temperature sotto i 100°C), esaclorocicloesano, tetraossido di
diazoto, thi e tetrasilano, bario, magnesio, zinco e altri metalli attivi,
uranio, zirconio, agenti ossidanti, ossigeno liquido (2). Reazioni
esplosive avvengono con gli idruri di silicio e di boro, l'etilene,
l'ossigeno liquido, il biossido di azoto e l'ipoclorito di sodio (1, 2). Si
ricuce in presenza di acidi. I suoi vapori, a contatto con catalizzatore
cobalto/molibdeno allumina determina, in presenza di aria, una
reazione esotermica. E incompatibile con tricloruro di
trietildialluminio, borani, diborani, decaborani e carbaborani o loro
derivati, con ipoclorito di calcio e 1,11-diammino-3,6,9-
triazaundecano. Reagisce lentamente con rame e piombo, forma
telomeri con etilente composti vinilici sotto pressione in presenza di
un inibitore perossido. Attacca alcune plastiche, gomme e
rivestimenti, si incendia in presenza di ossigeno a 100°C e reagisce
con il plutonio. Sue soluzioni in acqua, dimetilsolfossido, etanolo al
95% o acetone dovrebbero essere stabili per 24 ore in normali
condizioni di laboratorio. Riscaldato fino a decomposizione, emette
fumi tossici contenenti cloro, ossidi di carbonio, acido cloridrico e
fosgene, nonché vari idrocarburi (2).
Tossicologia
Tossicinetica – Metabolismo: Data la notevole volatilità, il tetraclorometano
viene facilmente assorbito per inalazione. L'assorbimento attraverso
la cute è inferiore ad altri idrocarburi alifatici clorurati, tuttavia, data
l'elevata tossicità del solvente, è possibile l'assorbimento attraverso la
cute di dosi sufficienti a dare manifestazioni sistemiche.
L'equivalente del 50% circa di tetraclorometano inalato viene
comunque eliminato in forma immodificata con l'aria espirata. Il
rimanente viene metabolizzato ed escreto attraverso le urine e le feci,
cioè approssimativamente il 4.4% come anidride carbonica, il 94.3%
come metaboliti non identificati e una piccola percentuale sotto
forma di urea e carbonati. Per ingestione l'assorbimento è rapido, con
comparsa immediata dei segni di intossicazione. L'assorbimento è
facilitato dalla presenza nel tratto gastroenterico di grassi o di alcool.
11 tetraclorometano tende ad accumularsi nell'organismo soprattutto
nel tessuto adiposo, fegato, midollo, cervello e rene. Esso viene
metabolizzato nel fegato e i radicali liberi formatisi dalla
dissociazione del legame CCl-Cl si legano ai costituenti cellulari,
prevalentemente ai gruppi sulfidrici (-SH) delle proteine. Una via
alternativa propone una decomposizione perossidativa dei lipidi del
reticolo endoplasmatico. Il tetraclorometano si legherebbe alle
proteine del citocromo P-450, dando origine a radicali liberi con vita
molto breve. A questi intermedi molto reattivi è stato attribuito gran
parte dell'effetto tossico del composto (1).
Sorveglianza biologica: Analisi di routine (3).
Genotossicità: In esperimenti condotti su animali da laboratorio (ratti, topi,
criceti) il tetraclorometano si è rivelato mutageno (2).
Cancerogenicità: È stato dimostrato sperimentalmente su animali da
laboratorio che il tetraclorometano è cancerogeno. Si sospetta che
esso lo sia pure per l'uomo provocando tumori al fegato e al midollo,
sebbene i dati epidemiologici siano ancora inconclusivi (1, 2, 4).
Effetti sulla riproduzione: In esperimenti condotti su ratti, il
tetraclorometano si è rivelato teratogeno (2), ma secondo altri autori
questi esperimenti hanno dato esito negativo (4). Vi sono inoltre
sospetti che il composto possa produrre effetti riproduttivi anche
nell'uomo (3).
Tossicità Acuta: Il tetraclorometano è tossico per ingestione e per via
intravenosa e subcutanea, leggermente tossico per inalazione.
L'effetto narcotico che produce determina conseguenze più gravi di
quelle dovute a inalazione di cloroformio. La suscettibilità al
tetraclorometano nell'uomo è soggettiva; tuttavia, un'esposizione per
diverse ore a 1000 - 1500 ppm del composto può essere sufficiente a
determinare l'insorgenza di sintomi. Tali esposizioni ripetute per
diversi giorni possono inoltre causare veri e propri avvelenamenti
(2). La DL50 orale per i ratti è di 7460 mg/kg, mentre la CLi0 è di
23900 ppm per 30 minuti di esposizione. La dose letale per
ingestione è di 1-2 ml nell'uomo adulto. Gli effetti tossici sono
accresciuti dall'ingestione di bevande alcoliche (1).
Tossicità cronica: A seguito di esposizione cronica al tetraclorometano
possono manifestarsi effetti al fegato e ai reni; i primi possono essere
aggravati dal consumo di alcool (3).

Sintomatologia
Ingestione: Irritazione delle membrane mucose, nausea, vomito, cefalea,
diarrea, crampi addominali, riduzione del volume delle urine, danni
ematologici, convulsioni, coma, arresto respiratorio o circolatorio,
morte. Rimedi: provocare il vomito o procedere con lavanda gastrica
(1). Secondo Altri, non indurre il vomito per evitare l'inala-zione di
vapori che peggiorerebbero la situazione, ma diluire il composto
somministran-do 1 o 2 bicchieri di acqua (2).
Inalazione: Irritazione delle membrane mucose, depressione del
SNC, nausea, cefalea, vertigini, incapacità di risposta agli stimoli
sensoriali, inappetenza, anestesia, incoscienza, aritmia, bronchite,
lesioni polmonari, epatiche e renali. Rimedi: lasciare
immediatamente l'area contaminata.
Contatto cutaneo: Disidratazione, irritazioni, dermatiti secche e scagliose.
Rimedi: lavare con abbondante acqua tiepida e sapone. Applicare una
pomata idratante.
Contatto oculare: Irritazioni, lacrimazione. Rimedi: Lavare con
soluzione salina o acqua corrente a palpebre
aperte per 20-30 minuti. Usare un collirio decongestionante
(previe indicazioni di un medico).
Esami di laboratorio: Test di funzionalità epatica e renale (3). Gli esami
effettuati prima possibile data la
rapida eliminazione del composto c' d'organismo (4).
Ambiente ed agronomia
Modalità d'impiego: La manipolazione del tetraclorometano dovrebbe essere
eseguita con adeguata ventilazione, indossando grembiuli di
polivinile e stivali in gomma, guanti ed occhiali a tenuta. Se non si
opera sotto aspirazione, indossare maschere antigas con filtro serie A
oppure l'autorespiratore (1, 3). Lo stoccaggio deve essere effettuato
in contenitori a tenuta, adeguatamente etichettati, mantenuti a
temperatura inferiore ai 30°C in un luogo ben ventilato e protetto
dalla luce, lontano da materiali ossidanti (I, 2) e, secondo alcuni
autori, in atmosfera inerte. In caso di incendio, il fuoco può essere
spento con estintori anidri (biossido di carbonio o Halon) (2).
Degradazione ambientale: 11 tetraclorometano è sensibile alla luce, al calore
e all'umidità e, in presenza di quest'ultima, è lentamente decomposto
da luce e da vari metalli. Ad alte temperature è decomposto
dall'acqua (2). La sua emivita nell'acqua è < 2 giorni; circa il 99.9%
del composto finisce nell'aria (3). Solo in piccole quantità si lega alle
particelle del suolo, mentre per la maggior parte evapora o finisce
nella falda. Nell'aria la sua emivita è di 30-100 anni. Durante la sua
degradazione forma composti che distruggono la fascia di ozono
dell'alta atmosfera. Non si accumula negli animali ma non è noto se
ciò avviene nelle piante (4).
Disinquinamento: In caso di spandimento, vista l'elevata tossicità del
prodotto, è necessario munirsi di mezzi personali di protezione ed
emulsionare con agenti disperdenti diluendo con abbondante acqua o
soluzione a base di etanolo 60-70% o di acqua e sapone, oppure
assorbire con sabbia, vermiculite, terra o altro materiale simile e
trasportarlo poi all'aria aperta per farlo evaporare (l, 2) o depositarlo
in contenitori ermeticamente chiusi prima di smaltirlo come rifiuto
pericoloso (3). Occorre inoltre rimuovere ogni fonte infiammabile e
impedire l'accesso nell'area a chiunque fino a completo
disinquinamento effettuato (2). Nel caso si dovesse disinquinare
dell'acqua potabile contaminata, uno dei migliori sistemi è quello
della filtrazione con carbone attivo (1).
Bibliografia
(1) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Masson, Milano. (2) NTP
Chemical Repository, Radian Corporation, August 29, 1991. (3) New Jersey
Department of Health, Trenton, NJ, January 1989. (4) Agency for Toxic
Substances and Disease Registry - ATSDR - ToxFAQs. Chloroform.
September 1997.
GENERALITA’ SUI METALLI PESANTI

DEFINIZIONE

Il termine metallo pesante si riferisce a tutti gli elementi chimici metallici che hanno
una densità relativamente alta e sono tossici in basse concentrazioni.
Esempi di metalli pesanti sono rappresentati da: ferro (Fe), nichel (Ni), manganese
(Mn), cromo (Cr), zinco (Zn),rame (Cu), piombo (Pb), mercurio (Hg) ecc.

FONTI E DISTRIBUZIONE

I metalli pesanti sono componenti naturali della crosta terrestre. Non possono essere
degradati o distrutti. In piccola misura entrano nel nostro corpo via cibo, acqua ed
aria. Come elementi in tracce, alcuni metalli pesanti (per esempio rame, selenio,
zinco) sono essenziali per mantenere il metabolismo del corpo umano. Tuttavia, a
concentrazioni più alte possono portare ad avvelenamento. Esso potrebbe derivare,
per esempio, da contaminazione dell'acqua potabile (per esempio da tubature in
piombo), da alte concentrazioni nell'aria ambiente vicino alle fonti di emissione, o
assunzione tramite il ciclo alimentare. I metalli pesanti sono pericolosi perché
tendono a bioaccumularsi. Bioaccumulazione significa un aumento nella
concentrazione di un prodotto chimico in un organismo biologico col tempo,
confrontata alla concentrazione del prodotto chimico nell'ambiente. I residui si
accumulano negli esseri viventi ogni volta che sono assimilati ed immagazzinati più
velocemente di quanto sono scomposti (metabolizzati) o espulsi. I metalli pesanti
possono entrare nei rifornimenti idrici da scarti derivanti da consumi o industrie, o
persino per effetto della pioggia acida che penetra nei terreni e porta i metalli pesanti
nei corsi d'acqua, nei laghi, nei fiumi e nell'acqua freatica.
Numerosi prodotti di uso comune contengono metalli pesanti. L’inalazione di polveri
o vapori attraverso l’ apparato respiratorio (per esempio veicolate dallo smog o
durante operazioni di taglio o di sverniciatura), è il più importante veicolo di
penetrazione nell’ organismo.
Le fonti più comuni sono vernici e altri prodotti di finitura e in particolare il loro
sfarinamento dovuto ad usura o a operazioni di rimozione; combustioni di materiali
plastici in PVC; fumo di sigaretta; scarichi di auto; polvere domestica (in cui si
deposita lo smog); rilascio negli alimenti da vecchie stoviglie e da ceramiche dipinte
realizzate senza precauzioni; pile, termometri a mercurio.
EFFETTI TOSSICI

L’ inquinamento da metalli è strettamente legato alle attività industriali e di


combustione che ne causano la movimentazione nell’ ambiente.
Benché siano elementi naturalmente presenti nell’ ecosistema, la loro mobilitazione
determinata dalle attività umane ne causa l’ accumulo nella biosfera e l’ ingresso nella
catena alimentare con gravi danni per l’ uomo, animali e piante.
Il piombo è tra i metalli pesanti più diffusi, sorgente di malattie o di intossicazioni
anche gravi, ma tutti i metalli pesanti tendono ad accumularsi nell’ organismo,
determinando numerosi effetti sul breve e sul lungo periodo, diversamente connotati
a seconda del metallo. Possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema
immunitario, in certi casi avere effetti cancerogeni e teratogeni. I sintomi più classici
di intossicazione irritabilità ed instabilità dell’ umore, depressione, cefalee, tremori,
perdita di memoria, ridotte capacità visive, parestesie.
Il saturnismo (inquinamento da piombo) influisce su tutti i sistemi dell’ organismo,
ma le alterazioni principali riguardano il sistema nervoso centrale, l’ apparato
digerente e il sangue con effetti quali coliche addominali (spesso confuse con
appendiciti), gotta, anemia.
Feti, neonati e bambini sono i soggetti più a rischio in quanto il piombo viene
assorbito più facilmente dagli organismi in crescita.
L’ esposizione al piombo determina nei bambini ritardi nella crescita fisica e mentale,
problemi comportamentali, difficoltà di concentrazione.
Il mercurio è una sostanza tossica che non ha effetti noti sulla biochimica o fisiologia
umana e non si trova naturalmente negli organismi viventi. L'avvelenamento
inorganico da mercurio è associato a tremori, gengiviti e/o cambiamenti psicologici
secondari, insieme ad aborto spontaneo ed a malformazione congenita.

Monometilmercurio danneggia il cervello ed il sistema nervoso centrale, mentre


l'esposizione fetale e postnatale provoca l'aborto, la malformazione congenita ed
cambiamenti nello sviluppo in bambini piccoli. Il mercurio è una sostanza inquinante
globale con proprietà chimiche e fisiche complesse ed insolite. Le fonti naturali
principali di mercurio sono il degassamento della crosta terrestre, le emissioni dei
vulcani e l'evaporazione da corpi naturali di acqua.
Piccole quantità di nichel sono richieste dal corpo umano per produrre le cellule rosse
del sangue, tuttavia, in quantità eccessive, possono diventare leggermente tossiche.
Una sovresposizione di breve durata a nichel non è ritenuta causare alcuni problemi
di salute, ma un'esposizione a lunga durata può causare riduzione del peso corporeo,
danni al fegato e al cuore ed irritazioni cutanee. L'EPA attualmente non regola i livelli
di nichel in acqua potabile. Il nichel può accumularsi nella vita acquatica, ma la sua
presenza non è amplificata nei cicli alimentari.
Il cadmio deriva le sue proprietà tossicologiche dalla sua somiglianza chimica allo
zinco, un micronutriente essenziale per le piante, gli animali e gli esseri umani. Il
cadmio è biopersistente e, una volta assorbito da un organismo, rimane in esso per
molti anni (nell'ordine di decine per gli uomini) prima di venire espulso. Negli esseri
umani, l'esposizione di lunga durata è associata a disfunzioni renali. Elevata
esposizione può portare all'affezione polmonare ostruttiva ed è collegata al cancro
polmonare, anche se i dati riguardo a quest' ultimo sono difficili da interpretare a
causa di altri fattori concomitanti. Il cadmio può anche produrre problemi alle ossa
(osteomalacia, osteoporosi) negli esseri umani e negli animali. Inoltre, il metallo può
essere collegato ad aumento della pressione sanguigna e ad effetti sul miocardio negli
animali, anche se la maggior parte dei dati sugli esseri umani non sostengono questi
risultati. L'assunzione quotidiana media per gli esseri umani è valutata intorno a 0.15
µg dall'aria e 1 µg dall'acqua. Fumare un pacchetto di 20 sigarette può portare
all'inalazione di circa 2-4 µg di cadmio, ma i livelli possono variare ampiamente.
Il rame è una sostanza essenziale per la vita umana, ma in dosi elevate può causare
anemia, danni a reni e fegato ed irritazione di intestino e stomaco. Le persone con la
malattia di Wilson sono al più elevato livello di rischio per gli effetti sulla salute
derivanti da sovra esposizione a rame. Il rame entra normalmente nell'acqua potabile
dalle tubazioni di rame, e dagli additivi destinati a controllare lo sviluppo di alghe.
Avvelenamenti da ingestione di grandi quantità di sali di zinco sono abbastanza
comuni. Tipicamente, essi risultano da un impropria conservazione di liquidi o
cibi acidi in recipienti in cui l'acido scioglie lo zinco metallico che riveste il
ferro. 1 composti dello zinco sono relativamente atossici per l'uomo a causa di
un meccanismo omeostatico efficiente di questo elemento, ma lo zinco e i suoi
composti presentano una elevata tossicità acuta per gli organismi acquatici,
maggiore nelle acque meno dure.
La forma più comune di sovraccarico di ferro è emocromatosi ereditaria. Nel
emocromatosi, l'assorbimento di ferro aumentato da tratto di gastrointestinale, questo
conduce all'accumulazione cellulare di ferro, specialmente negli epatociti. gli studi sulla
teratogenesi sia da carenza che da sovraccarico di ferro non sono definitivi. Quello che si è messo in
evidenza e che in entrambi i casi lo sviluppo embriofetale può essere compromesso in quanto c’è una
maggiore incidenza di malformazioni oltre che una situazione di sofferenza fetale grave che può evolvere
anche in exitus.
A dispetto della sua essenzialità, l’eccessiva esposizione al manganese provoca
fenomeni di tossicità al sistema nervoso centrale. L’intossicazione acuta per
inalazione delle polveri di manganese porta nell’immediato alla cosiddetta “febbre da
vapore metallico”, caratterizzata da dolori muscolari, brividi, secchezza della gola e
della bocca. I sintomi sono preceduti da bronchite acuta, nasofaringite, polmonite ed
intorpidimento delle estremità. Manganese, poi dai polmoni trasferisce i suoi effetti
devastanti al cervello.
Il cromo è usato nelle leghe metalliche e nei pigmenti per le vernici, il cemento, la
carta, la gomma ed altri materiali. L'esposizione anche a bassi livelli può irritare la
pelle e causare ulcera. L'esposizione a lungo termine può causare danni a fegato e
reni e danni ai tessuti circolatori e nervosi. Il cromo si accumula spesso in ambiente
acquatico, rendendo pericoloso il consumo di pesci che sono stati esposti a livelli
elevati di cromo.
Quindi capiamo bene come sia importante uno studio dettagliato della diffusione
ambientale di questi metalli allo scopo di prevenire quelli che sono i danni a cui l’
uomo e il suo ambiente possono andare incontro in seguito all’ esposizione, sia acuta
che cronica a questi metalli.Saranno riportate di seguito delle schede tossicologiche
per i metalli pesanti trattati
SCHEDE TOSSICOLOGICHE

CADMIO

Formula bruta: Cd
Composti: CdO Ossido di cadmio
CdCl2 Cloruro di cadmio
Cd(NO3)2, H2O Nitrato idrato di cadmio
CdSO4, gH2O Solfato
idrato di cadmio CdS
Solfuro di cadmio
#CAS: 7440-43-9 (cadmio)
1306-19-0 (ossido di cadmio)
10108-64-2(cloruro di cadmio)
10325-94-7 (nitrato di cadmio)
10124-36-4 (solfato di cadmio)
1306-23-6 ( solfuro di cadmio)

Nome commerciale: C.I. 77180; Colloidal cadmium; Kadmium.

Caratteristiche

Impiego: Dl cadmio è un elemento naturale presente nella crosta


terrestre, inodore ed insapore (3). Si tratta in particolare
di un metallo bluastro rinvenibile anche sotto forma di
polvere grigiastra (4). Si ritrova generalmente come
minerale legato ad altri elementi come l'ossigeno (ossido
di cadmio), il cloro (cloruro di cadmio) e lo zolfo
(solfuro e solfato di c a d m i o I l cadmio utilizzato dalle
industrie viene isolato durante l'estrazione di altri metalli
come zinco, piombo e rame (3). Viene utilizzato come
anticorrosivo nei rivestimenti dei metalli (acciaio
ghisa, leghe di rame, alluminio);.la cadmiatura è
generalmente realizzata per elettrolisi; il cadmio può
essere temperato e polverizzato.
E' utilizzato come elettrodo negativo nelle pile ricaricabili nichel-
cadmio o argento-cadmio. E' utilizzato come componente
di numerose leghe: a basso punto di fusione. antifrizione.
ad alta conducibilità, etc (I). Il cadmio costituisce
inoltre l'anodo negli accumulatori ferro-nickel (2). I
composti del cadmio vengono utilizzati come sorgente
di cadmio per la cadmiatura elettrolitica (ossido,
cloruro, cianuro); come materia prima per la
preparazione di altri composti di cadmio, pigmenti per
pitture, plastica, inchiostro, smalto (solfuro,
solfoseleniuro); come componenti di numerosi materiali
elettrici (ossido, idrossido. solfato, solfuro. seleniuro):
come sostanze luminescenti per apparecchi televisivi
(solfuro): in fotografia (bromuro e iodio); in
galvanoplastica (carbonato) (l. 2).

Composto Peso Punto di Punto di Densità Solubilità


molecolare fusione ebollizione (a 20°C)

Cadmio 112.41 321°C 765°C 8.64 Insolubile in acqua c nei


comuni solventi organici. E'
solubile negli acidi.

Ossido 128.41 non fonde 900-1000°C 6.95 Insolubile in acqua, soda e


(polv. (polv. potassa. ma è solubile in
amorfa): amorfa); acidi, ammoniaca, etanolo e
1559°C 8.15 acetone.
(cristalli) (cristalli)

Cloruro 183.32 568°C 960°C 4.05 In acqua: 140 g/l00 ml.


Solubile inoltre in acidi
diluiti, ammoniaca ed
etanolo.

Nitrato idrato 308.48 59°C 132°C 2.45 In acqua: 150 g/100 ml.
Solfato idrato 769.53 80°C 3.09 In acqua: 113 g/l00 ml.
Solfuro 144.47 1750°C Sublima a 4.82 In acqua: 0.13 mg/100 ml.
980°C in N2 Insolubile in ammoniaca.

Proprietà chimiche: Il cadmio è un metallo duttile, che ha proprietà simili a quelle


dello zinco e, come tale, perde la sua lucentezza all'aria umida. Viene inoltre attaccato
dall'ammoniaca e dall'anidride solforosa, entrambe in presenza di umidità. Polveri di
cadmio costituiscono un rischio di incendio quando vengono esposte al calore, a
fiamma o a contatto con forti agenti ossidanti. Il metallo reagisce violentemente con
il nitrato di ammonio, con il selenio e con il tellurio per riscaldamento. Il selenito di
cadmio costituisce un rischio quando viene esposto al calore; a contatto con l'umidità
e con gli acidi emette inoltre fumi di seleniuro di idrogeno (H2Se), gas estremamente
tossico. La reazione tra il fosfuro di cadmio e l'acido nitrico concentrato è esplosiva
(2). A temperatura ordinaria e in condizioni anidre, il cadmio non viene attaccato
dall'ossigeno; si ossida lentamente in presenza di umidità. Riscaldato a temperature
elevate, brucia con emissione di vapori giallo-rossastri di ossido di cadmio. Il cadmio
è facilmente attaccabile dagli acidi, anche dai più deboli, come per esempio gli acidi
organici presenti nelle sostanze alimentari. Esso si dissolve lentamente in acido
cloridrico e solforico diluiti con emissione di idrogeno. Con l'acido nitrico diluito
esso dà origine a ossidi di azoto (1). Il cadmio e i suoi composti catalizzano in
chimica organica un gran numero di reazioni, in particolare le reazioni di
polimerizzazione. Il nitrato di cadmio è un forte ossidante che può reagire
violentemente con le sostanze organiche facilmente combustibili (l).

Metodi di analisi:Assorbimento atomico

Bibliografia dei metodi di analisi: "Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo",
Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, Roma 1994

Tossicologia

Tossicocinetica - Metabolismo: L'assorbimento dei composti a base di cadmio


avviene principalmente per via digestiva e polmonare sia per l'uomo che per gli
animali. Diversi elementi nutrizionali (ferro, calcio, proteine) possono influire su
questo assorbimento. L'assorbimento per via cutanea è considerato trascurabile (l, 2).
II cadmio assorbito viene trasportato attraverso il sangue; esso è soprattutto presente
negli eritrociti (70%) in forma legata all'emoglobina. La sua percentuale è
normalmente trascurabile. In caso di esposizione prolungata il suo tasso sanguigno
aumenta lentamente e regolarmente fino a stabilizzarsi; al termine dell'esposizione
esso diminuisce con un'emivita pari a 40-80 giorni. Il cadmio si distribuisce
attraverso gli organi (pancreas. polmone, cuore, ecc.) nei quali poi si accumula,
soprattutto nel fegato e nei reni dove si concentra dal 50 all'80% della dose totale
legato principalmente alla metallotioneina. L'emivita biologica del prodotto
nell'organismo è molto lunga: da 10 a 30 anni. L'escrezione avviene principalmente
per via urinaria; l'escrezione fecale sembra correlabile alla quantità di cadmio ingerito
e non assorbito (1, 2). Poiché in lavoratori esposti sono state riscontrate
concentrazioni di cadmio nella saliva maggiori del normale, sembra possibile una
escrezione attiva tramite anche questa via (2). Il cadmio si accumula nell'organismo,
aumentando con l'età, con valori più elevati nei fumatori (2).3

Sorveglianza biologica: Test delle urine per il cadmio, per le proteine a basso peso
molecolare; analisi delle urine; test di funzionalità dei polmoni, analisi di unghie e
capelli (l, 3, 4). Per coloro che sono esposti a concentrazione di cadmio TLV è
raccomandata un'analisi completa del sangue (4). La concentrazione di cadmio nelle
urine non deve superare, in condizioni normali, l mg/g di creatinina (2) o deve essere
inferiore a 10 microg/l di urina (4).
Genotossicità: Diversi composti minerali determinano in vitro un aumento della
frequenza di aberrazioni cromosomiche in fibroblasti di cavie e in linfociti umani:
tuttavia questo risultato si verifica a dosi citotossiche, rendendo quindi queste prove
relativamente significative. I risultati di esperimenti in vivo sui topi sono stati
negativi.
Cancerogenicità: Tre studi sulla cancerogenicità del cadmio sono stati realizzati per
via orale, due sui ratti e uno sui topi. Per via intramuscolare la polvere di cadmio e il
solfuro hanno provocato insorgenza di sarcomi nel punto di iniezione. Per via
sottocutanea l'ossido, il solfuro, il cloruro e il solfato hanno ugualmente mostrato
l'insorgenza di sarcomi locali; nel caso dei due ultimi sali, sono stati osservati anche
tumori testicolari e, in un caso, anche tumori pancreatici. Ratti esposti ad aerosol di
cloruro di cadmio per 18 mesi hanno sviluppato carcinomi ai polmoni con una
frequenza proporzionale alla concentrazione atmosferica del metallo. Il cadmio, e
soprattutto l'ossido di cadmio, è un probabile agente cancerogeno per l'apparato
respiratorio e urogenitale nonché per la prostata nell'uomo (2, 3, 4).

Effetti sulla riproduzione: Il cadmio produce degli effetti a tutti gli stadi della
riproduzione; le dosi efficaci sono spesso minime, ma variano generalmente a
seconda della via di somministrazione. Per i mammiferi gli organi più sensibili alla
tossicità del cadmio sembrano essere i testicoli: una sola iniezione alla dose di 1
mg/kg di cadmio o di 3.7 mg/kg di cloruro di cadmio ha provocato in topi, ratti e
cavie lesioni irreversibili. La produzione di spermatozoi era totalmente alterata. A
seguito di somministrazione orale ripetuta, gli effetti sono stati dello stesso tipo, ma
molto meno marcati. Sugli organi riproduttivi femminili gli effetti si sono rivelati
molto meno gravi e rapidamente reversibili. L'effetto sulla fertilità a seguito della
somministrazione di cadmio nei pasti o nell'acqua da bere è stato l'oggetto di
numerosi studi multigenerazionali su topi e ratti. L'assenza di informazioni sufficienti
riguardo questi studi e i loro risultati contraddittori impediscono di tirare qualsiasi
conclusione. A seguito di iniezioni o somministrazioni orali a dosi massicce, è stata
ottenuta una serie di risultati embrioletali, fetotossici e teratogeni. Il cadmio è un
probabile teratogeno per l'uomo (4).

Tossicità acuta: Il cadmio è un elemento altamente tossico per inalazione


ed ingestione e, per di più, tende ad accumularsi nell'organismo, I suoi composti
sono irritanti e al contendo sono tossici
sistemici. L'azione irritante è a Carico della cute, della mucosa nasale e bronchiale
mentre l'azione sistemica si esprime soprattutto a livello renale. La concentrazione
letale si aggira intorno ai 2500 mg/ m per l'esposizione di 1 minuto, mentre per via
orale 10 mg/kg di sali solubili possono comportare gravi lesioni a livello renale. (2).
Gli effetti dovuti al contatto cutaneo non sembrano essere dannosi per uomo ed
animali (3). I valori di DLS0 per via orale nei ratti sono molto variabili a seconda del
composto: 53-260 mg/kg per l'ossido, il cloruro, il solfato e il nitrato; 2330 mg/kg per
la polvere di cadmio; 5000 mg/kg per il solfuro. Secondo un'altra fonte, la DL 50 orale
per i ratti, riferita al nitrato, è di 300 mg/kg (2). Gli effetti osservati sono digestivi,
polmonari, cerebro-meningei e testicolari. La CL50 per inalazione di fumi di ossido a
seguito di un'esposizione di 10 minuti è compresa tra 50 e 130 mg/m' per i topi e i
ratti, tra 200 e 400 mg/m3 per cavie, conigli e cani, circa 1500 mg/m3 per le scimmie.
A seguito di inalazione, gli effetti osservati interessano essenzialmente i polmoni: ad
una concentrazione vicina alla CL50 dopo 24 ore si sviluppa un edema polmonare,
successivamente, dopo 3-10 giorni, si verificano lesioni polmonari fino alla morte
degli animali. In tutte queste intossicazioni respiratorie gli effetti polmonari sono
accompagnati da disturbi minori di reni e fegato associati ad un accumulo di cadmio
in questi organi (I).

Tossicità cronica: La tossicità cronica dei composti di cadmio per via orale è stata
studiata su ratti, cani e scimmie, soprattutto con il cloruro. L'aggiunta di questo sale
nei pasti degli animali ha provocato lesioni renali limitate ai tubuli prossimali. Gli
effetti cominciavano a manifestarsi alla dose di 10 ppm somministrata per 40
settimane, mentre si dimostravano gravi a dosi superiori a 50 ppm. Nei topi e nei
conigli la somministrazione orale di
5 ppm di cadmio riduce la possibilità di sopravvivenza degli animali (I).
L'esposizione di lavoratori a fumi di ossido di cadmio per almeno 5 anni provoca un
irreversibile danno polmonare come fibrosi ed enfisema. II cadmio si accumula
principalmente nella corteccia renale provocando proteinuria tubulare. Di
particolare interesse sono le alterazioni ossee, gravi dolori reumatici e mialgie con
deformità scheletriche (2, 3, 4).

Sintomatologia

Ingestione: Nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, crampi muscolari,


ipersalivazione, disturbi idroelettrolitici, disturbi emodinamici, insufficienza renale,
citolisi epatica, collasso cardiovascolare, morte. Rimedi: gastrolusi con
somministrazione di carbone attivo.

Inalazione: Tosse, dolori toracici, dispnea, brividi, febbre, cefalea,


iperleucocitosi edema polmonare, morte.
Rimedi: allontanare l'infortunato, sottoporre a rianimazione respiratoria.

Contatto cutaneo: Rimedi: lavare con acqua e sapone.

Contatto oculare: Rimedi: lavare abbondantemente con acqua per almeno


15minuti.

Approccio terapeutico: In caso di inalazione, somministrare cortisonici e


antibiotici. Non vi sono al momento agenti chelanti in grado di disintossicare
l'organismo senza provocare lesioni renali più accentuate (2).
Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: L'inquinamento da cadmio può verificarsi in prossimità di


cave estrattive, industrie, per combustione di carburanti e di rifiuti urbani. Nell'aria
le particelle di cadmio possono muoversi per grandi distanze prima di precipitare ed
inquinare le acque o il suolo, dove si lega fortemente alle particelle del terreno.
Nell'ambiente non viene degradato ma cambia la sua forma. Tutti gli esseri viventi
possono assumerlo dall'ambiente e bioaccumularlo nell'organismo (3). II cadmio ha
una lunga persistenza nell'acqua, con un'emivita di oltre 200 giorni (4).3

Bibliografia: (I) INRS Fiche toxicologique, n° 60, CND 144, 3° trim. 1991. (2)
Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento.
Masson Edizioni S.p.A., Milano. (3) ATSDR - Agency for Toxic Substances and
Disease Registry, April 1993. Cadmium, U.S. Department of Health and Human
Services, Public Health Service. Atlanta, GA, USA.. (4) New Jersey Department
of Health, Trenton, NJ, U.S.A., July 31, 1986.

CROMO

Formula bruta: Cr
Cr03 Anidride cromica (triossido di cromo)
# CAS: 7440-47-3 (cromo)

Caratteristiche
Impiego: Il cromo è un elemento che si trova in natura nelle rocce, nel suolo, nelle
polveri vulcaniche e 1 nei gas. » un metallo lucente, di colore grigio acciaio,
spesso presente in polvere. Si rinviene nelle forme con valenza 0 (non in
natura), (III) (stabile in natura) e VI (raro). Il cromo (III) in piccole quantità
è un importante elemento per la dieta umana. I composti del cromo non
hanno sapore ne odore. In industria è utilizzato per aumentare
considerevolmente la resistenza e la durezza dei metalli nonchè per
placcature al cromo, per conservare il legno e per rivestimenti di forni (3).
Gran parte del cromo prodotto viene usata nella produzione di acciaio
inossidabile e leghe con ferro, nickel, vanadio, molibdeno, cobalto, rame e
titanio. Questi acciai hanno proprietà di elevata durezza e resistenza alla
corrosione. I composti del cromo vengono impiegati in galvanoplastica. in
litografia, nella concia delle pelli, nella colorazione del vetro, nell'industria
tessile per la tintura, nell'industria chimica per la produzione di pitture,
inchiostri ed esplosivi (2). L'anidride è utilizzata per: cromatura elettrolitica
dei metalli; sintesi organiche (catalizzatore, agente di ossidazione,
preparazione dei cromati); purificazione di oli e acetilene; preparazione di
inchiostri e vernici; in medicina (antisettico e caustico come soluzione); in
fotografia (1).
Proprietà fisiche:
Composto Valenza Peso Punto di Densità Solubilità
molecolare fusione

Cromo O
Cromo 3
Cromo 6
Anidride 100.1 196°C (si 2.80 E' molto solubile in
decompone (prodotto acqua (62,49% a
leggermente) fuso) 20°C); la solubilità
aumenta con la
temperatura

Proprietà chimiche: L'anidride cromica riscaldata lentamente si decompone con


liberazione di ossigeno tra 200 e 550°C. Se riscaldata rapidamente, la
liberazione brusca di ossigeno a circa 330°C provoca una esplosione. E' un
composto estremamente reattivo a causa del suo forte potere ossidante. Esso
agisce prontamente con le sostanze riducenti, come zolfo, fosforo, selenio,
idrogeno solforato, ammoniaca. In presenza di acidi si comporta da
ossidante. Numerose sostanze organiche sono ossidate dall'anidride
cromica. La carta viene bruciata semplicemente mettendola in contatto con
questa sostanza. Nelle soluzioni di anidride, l'ossidazione porta ad aldeide e
poi ad acido acetico. Numerosi metalli sono attaccati dall'anidride, talvolta
con reazione violenta (metalli alcalini). Ad alcune concentrazioni, si forma
un rivestimento protettivo ed il metallo diventa passivo (1). II cromo
metallico è insolubile (4). Sotto forma di polvere, può prendere fuoco
spontaneamente. L'anidride cromica reagisce violentemente per
riscaldamento con acido acetico; si infiamma per contatto con alcoli,
acetone, glicerina, zolfo, fosforo e piridina. Il dicloruro di cromile può
esplodere violentemente durante la preparazione, o per contatto con
composti alchil-aromatici, cloro liquido, tricloruro di fosforo, azoturo di
sodio; si infiamma invece a contatto con acetone, etanolo, etere etilico, urea
e fosfina. Il cromo acetato anidro è piroforico a contatto con l'aria e il sodio
bicromato reagisce violentemente esplodendo con anidride acetica (2).

Metodi di analisi:Assorbimento atomico

Tossicologia

Tossicocinetica - Metabolismo: L'anidride cromica, una volta ingerita o


inalata, si combina con l'albumina tissutale. L'acido cromico ed i
suoi sali disidratano ed ossidano i tessuti (I). L'eliminazione
avviene con le urine (4). Il cromo e i suoi composti sono assorbiti
per via cutanea, respiratoria e gastrointestinale, e il grado di
assorbimento dipende dalla forma chimica in cui si trova
l'elemento. Una volta assorbito, il cromo si lega per la maggior
parte alle proteine plasmatiche da cui va rapidamente liberandosi,
distribuendosi nel reticolo endoteliale di milza, fegato, reni e
polmoni, ove raggiunge concentrazioni 10-100 volte più elevate.
L'escrezione del metallo avviene per 1'80% attraverso le urine e per
il rimanente con le feci. I livelli medi di escrezione urinaria di
soggetti non esposti sono inferiori a 5 microg/l (2).

Sorveglianza biologica: La presenza del cromo nell'uomo può essere rilevata nei
capelli, nelle urine, nel siero, nei globuli rossi e in tutto l'organismo
(3). Senza esposizione professionale al cromo i livelli del metallo
nelle urine sono generalmente inferiori a 15 microg/l (4).

Genotossicità:si ritiene che il cromo sia mutageno (4).


La cancerogenicità di alcuni composti come il cromato di piombo e di
zinco (2). Gruppi di 60 ratti maschi e femmine sono stati trattati con
somministrazioni orali di Cr203 alle dosi di 0, 1, 2 o 5% per 5
giorni/settimana per un totale di 600 pasti (circa 840 giorni). L'obiettivo
primario di questo studio era quello di stabilire la cancerogenicità del
composto. Sono stati quindi monitorati il peso corporeo e l'assunzione del
cibo. Gli animali sono stati tenuti in osservazione anche dopo il termine
della somministrazione fino alla loro morte. All'analisi istologica di tutti
gli organi interni non si è riscontrato alcun effetto dovuto al trattamento.
A seguito di un altro simile esperimento su ratti per 90 giorni, gli unici
effetti riscontrati sono stati una riduzione (12-37%) del peso assoluto di
fegato e milza degli animali trattati con le dosi più alte (1400
mg/kg/giorno) (5).

Effetti sulla riproduzione: Non esistono conferme per il cromo riguardo alla
capacità di causare danni riproduttivi (3, 4). Prove effettuate su topi che
avevano ingerito grandi quantità di cromo
Il cromo può causare cancro nell'uomo e negli animali, in particolare ai polmoni
e alle alte vie respiratorie.

Tossicità acuta: Tutte le forme di cromo possono essere tossiche ad alti livelli ma il
cromo (VI) è molto più tossico del cromo (III). L'anidride cromica, in
polvere o in soluzione, agisce soprattutto per contatto diretto e per
inalazione (1). La DL50 orale per il cromo cloruro nei ratti è di 1790
mg/kg; per il cromo nitrato è di 3250 mg/kg (2).

Sintomatologia

Ingestione: Tumefazione delle labbra e della lingua, secchezza delle fauci, disturbi
digestivi, lesioni gastriche, vomito, dolori addominali, convulsioni, danni epatici e
renali, morte. Rimedi: somministrare immediatamente 300-500 ml di latte e
provocare il vomito.

Inalazione: Tosse, ulcerazioni della mucosa nasale con perforazione della


cartilagine, congestione polmonare, bronchite, asma, febbre, gusto
metallico, brividi, dolori muscolari. Rimedi: Trasferire l'infortunato
all'aperto.
Contatto cutaneo: Bruciature, ulcerazioni, dermatiti eczematose. Rimedi: lavare
abbondantemente con acqua e sapone.
Contatto oculare: Congiuntiviti, lesioni gravi. Rimedi: lavare abbondantemente
con acqua per almeno 15 minuti.

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: Il cromo è presente nei corpi d'acqua naturali con stato di
ossidazione 3+ (III) e 6+ (VI), e ciascuna può essere convertita nelle altre
forme sotto particolari condizioni ambientali. L'inquinamento delle acque
può avvenire per trasporto in fiumi nelle vicinanze di siti industriali o
discariche; nell'aria e nel suolo può derivare dalla combustione di
carburanti fossili (3, 4). La precipitazione delle particelle contenenti cromo
presenti nell'aria avviene in meno di 10 giorni. Nel suolo il cromo si lega
fortemente alle particelle del terreno. Nell'acqua la maggior parte del
cromo si lega ai sedimenti, mentre solo una piccola quantità entra in
soluzione e pertanto contamina le falde. I pesci non lo bioaccumulano (3).
Per la vita acquatica, il cromo (VI) ha una tossicità acuta maggiore del
cromo (III). Non sono disponibili dati sulla tossicità a breve termine per le
piante, gli uccelli e gli animali terrestri. Il cromo è caratterizzato da un'alta
persistenza nell'acqua, con emivita 200 giorni (4).

Bibliografia: (1) INRS Fiche toxicologique, n° I, 1975. (2) Bressa G., 1997. Le
sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni
S.p.A., Milano. (3) ATSDR - Agency for Toxic Substances and Disease
Registry, April 1993. Chromium, U.S. Department of Health and Human
Services, Public Health Service, Atlanta, GA, USA. (4) New Jersey Department
of Health, Trenton, NJ, U.S.A., July 31, 1986. (5) Ivankovic, S. and R
Preussmann, 1975. Absence of toxic and carcenogenic effects after
administration of high doses of chromic oxide pigment in subacute and long-
term feeding experiments in rats. Food Cosmet. Toxicol. 13: 347-351.

FERRO

Formula bruta: Fe
Composti: solfato ferroso FeSO4 è quello che trova maggiori impiego come
fitofarmaco.
Impiego: battericida, correttivo, integratore nutrizionale.
Aspetto fisico: Solido in cristalli fini o grossolani di colore verdastro o giallastro
Peso molecolare: 151.91
Solubilità: In acqua: solubile a 20°C.
Metodi di analisi: Spettrofotometria in assorbimento atomico

Tossicologia

Tossicocinetica e metabolismo

LA DISTRIBUZIONE negli epatociti


Il Ferro è assorbito dal lume intestinale attraverso le cellule epiteliali della mucosa,
raggiunge il plasma dove si lega alla transferrina, un glicoproteina di 83-kDa. La
Transferrina, è una proteina di trasporto per il ferro sintetizzata e immessa in circolo
dagli epatociti ; Lega il ferro formando un complesso ferro-transferrina. Questi
complessi giungono ad un recettore per transferrina sulla membrana cellulari dal lato
plasmatico ed è interiorizzato con il recettore per endocitosi (Figura 7).
Il basso pH nell’ endosoma vescicolare causa la dissociazione di ferro dal complesso
ferritina recettore. Il complesso di transferrina-recettore viene riciclato e torna alla
membrana cellulare, la transferrina(TF) è rilasciato posteriore nella circolazione.
Ferro può entrare anche epatociti come i complessi di citrato di Fe3+ o i complessi di
Fe3+-eme attraverso carrier speciali. Il ferro di Intracellulare è immagazzinato nella
forma di ferritina alcuni/e dei/lle quali è scambiato con emosiderina ed accumula in
lisosomi.
Il Ferro è preso anche su da epatociti come eme. Almeno tre complessi di eme
diversi possono entrare: emoglobina-aptoglobina, eme-emopexina, e eme-albumina
(Smith e Morgan, 1979; Ceppo) et al., 1980; Al di et di Sinclair., 1988). Una volta nel
epatocita, il eme viene rotto. Il Ferro è rilasciato ed entra rapidamente nel
compartimento di ferro scambiabile.
Il ferro di Intracellulare è immagazzinato principalmente come ferritina. Ferro
intracellulare aumentando incentiva la sintesi di apoferritina aumentando la
traduzione di apoferritina mRNA preesistente. Ferritina maturo è composta da 24
subunità con un peso molecolare di 450 kDa ed è capace di magazzinare 4500 atomi
di ferro come ossido-fosfato ferrico ed idrato (al di et di Seligman., 1987). Quando
c’è bisogno, di ferro ferrico è rilasciato da ferritina riducendo agenti, come cisterna,
glutatione, acido ascorbico. Ferritina ha emivita di 24 h ed è degradata a
emosiderina che si accumula nei lisosomi di cellule ferro-sovraccaricate (Figura 7)
(al di et di Masuda., 1990. L'escrezione di biliare di ferritina endogena durante
sovraccarico di ferro è un processo clorochina-sensibile, microfilamenti-dipendente
(al di et di Ramm., 1994).Il Ferro è legato da transferrina e ferritina non solo per il
trasporto e per il deposito, ma anche per impedire al ferro di catalizzare reazioni di
radicali liberi che sarebbero tossiche.

Meccanismo di azione tossica:


La forma più comune di sovraccarico di ferro è emocromatosi ereditaria. Nel
emocromatosi, l'assorbimento di ferro aumentato da tratto di gastrointestinale, questo
conduce all'accumulazione cellulare di ferro, specialmente negli epatociti. Dal ferro
sono catalizzate diverse reazioni tra cui la perossidazione attraverso la formazione di
radicali liberi che rappresentano un importante componente della tossicità di ferro in
epatociti favorendo la
perossidazione dei lipidi che precede la morte cellulare (al di et di Hogberg., 1975).
L'antiossidante, è un tocoferolo, è il chelatore di ferro, deferoxamina ed
apotransferrina significativamente riducono la perossidazione dei lipidi e migliorano
l’ autosufficienza di cellula . Molti studi hanno tentato di chiarire quali membrane
cellulari sono danneggiate durante sovraccarico di ferro. Lo studio da al di et di
LeSage. (1986) mostrò quell'in ratti alimentati con carbonil ferro associato
all’alimentazione, l’ attività degli enzimi lisosomiali epatici fu ridotte, indicando il
guasto di lisosomi (al di et di Peters., 1985). al di et di Myers. (1991) mostrò che quel
sovraccarico di ferro aumentò perossidazione di lipide di lisosomiali, decrescendo
cosi la fluidità delle membrane, e innalzando il pH intra lisosomiale . Molti studi
sono stati effettuati sugli effetti del sovraccarico di ferro sulle funzioni di
mitocondriali. I Mitocondri si gonfiano, viene inibita la fosforilazione ossidativa, la
perossidazione mitocondriale dei lipidi di membrana, e le sintesi di proteine di
membrana in seguito al sovraccarico di ferro (Ganote e Nahara, 1973; Al di et di
Hanstein., 1981; Al di et di Castilho., 1994). Il Sovraccarico di ferro cronico riduce
l'attività di citocromo ossidasi epatica, questa riduzione è dipendente dalla
concentrazione di fosfolipidi di membrana, specialmente di cardiolipina (Tzagoloff e
MacLennan, 1965; Frigga e Verde, 1980). La Cardiolipina contiene acidi grassi
poliinsaturi che sono estremamente sensibili a perossidazione (al di et di Mitchell.,
1980). Così, la perossidazione di questi acidi grassi possono essere responsabili di in
attivazione della citocromo ossidasi e della disgregazione susseguente della
fosforilazione ossidativa mitocondriale.
Il solfato di ferro interferisce con l'assorbimento della vitamina E nei bambini prematuri. può aumentare
(l'emolisi dei globuli rossi nei bambini con carenza di vitamina E.

Effetti sulla riproduzione: gli studi sulla teratogenesi sia da carenza che da sovraccarico di ferro non
sono definitivi. Quello che si è messo in evidenza e che in entrambi i casi lo sviluppo embriofetale può
essere compromesso in quanto c’è una maggiore incidenza di malformazioni oltre che una situazione di
sofferenza fetale grave che può evolvere anche in exitus. La mortalità che si colloca verso il
giorno 12 di gestazione. La precocità di questo picco correla con il periodo del
aumento rapido in cellule rosse nel sangue ,periodo in cui il metabolismo aerobico
diviene importante nell'embrione. l'unica causa significativa della deficienza di ferro
altro che la ridotta introduzione materna dell'elemento è il diabete

cancerogenicità: La cancerogenesi del ferro in mammiferi è poco chiaro. Esposizione


professionale, principalmente agli ossidi, è comune nello scavare, ferro e lavoro di
fonderia di acciaio ed in saldatura ad arco. Studi epidemiologici hanno mostrato che
una mortalità di eccesso da cancro di polmone è stata osservata in minatori di ferro-
minerale metallico rispetto alla popolazione non esposta. Un Incidenza aumentato di
cancro di polmone è stato riportato anche in lavoratori di fonderia di acciaio da
Sheffield, l'Inghilterra (McLaughin e Harding, 1956). più recentemente un
epidemiologo francese ha trovato una mortalità aumentata per cancro del polmone, e
dello stomaco minatori (al di et di Chau., 1993). si concluse che il rischio di cancro di
polmone in questi minatori era dovuto principalmente a causa di polvere, fuliggine di
motore diesel, e gli altri cancerogeni aerotrasportati, mentre per i cancri di stomaco
essendoci un riflusso di postinalazione ed ingoiando le polveri tossiche inalate (al di
et di Meyer., 1980). Un studio sul cancro di stomaco mostrò che molti dei soggetti
furono esposti smodatamente alle polveri, e che il rischio della formazione di cancro
aumentò con la concentrazione e la durata delle esposizioni (al di et di Kraus., 1957).

Sintomatologia

Ingestione: Nausea. costipazione. feci scure. dolori di stomaco, letargia, ipotensione. ulcerazione della
mucosa gastrica, danni epatici.
inalazione: Irritazione delle alte vie respiratorie.
contatto oculare: Irritazioni.
approccio terapeutico: Allontanare il soggetto esposto dal contatto con il composto. Lavaggio con
acqua. Lavaggio abbondante con acqua per almeno 15 minuti.

bibliografia:
Nuccinelli M.. 1997. Prontuario dei fitofarmaci (VIII edizione). Edagricole. Bologna. (2) New Jersey •
tsartment of Health. Trenton. NJ. February 1989.

MANGANESE

Caratteristiche chimico-fisiche

Manganese, elemento del gruppo VIIA del sistema periodico, ha proprietà per
molti aspetti simili a quelle del ferro, immediatamente preceduto nella prima serie di
transizione. Manganese, tuttavia, è più duro, più fragile e meno refrattario del ferro.
L’elemento ha una densità di 7,3 g/cm3, una temperatura di fusione di 1244 °C ed
una temperatura di ebollizione di 1962°C
il Manganese puro è di colore argenteo, ma non si trova in natura. Manganese
metallico è ferromagnetico soltanto dopo uno speciale trattamento.
Questo metallo è chimicamente reattivo e si dissolve rapidamente in acidi diluiti
non ossidanti; nel cloro si incendia per formare MnCl, reagisce con l’ossigeno ad
alta temperatura, producendo Mn3+ O Mn4+; si combina anche direttamente con B,
C, S, Si e P
Manganese ha numerosi stati di ossidazione, il più importante dei quali, sotto
l’aspetto pratico, è quello bivalente. Mn(II) forma una serie di sali manganosi con
tutti i più comuni anioni, quasi tutti solubili e cristallizzabili come idrati; Mn(II)
forma anche una serie di chelati con EDTA ed altri agenti. La chimica di Mn(III) non
è molto vasta, perché in soluzione acquosa Mn(III) è instabile e viene rapidamente
ridotto a Mn(II). Allo stesso modo i composti Mn(IV) sono di limitata importanza
pratica, ad eccezione di MnO2. Mn(VI) si trova soltanto nello ione manganato
(MnO2). I permanganati, che sono forti agenti ossidanti, hanno valenza +7.

Diffusione ambientale

Il Manganese è relativamente abbondante (costituisce intorno allo 0.1 % della


litosfera) ed è il dodicesimo elemento più comune. Tra i metalli pesanti è secondo
soltanto al ferro.
Il Manganese in natura si trova combinato con borati, carbonati, fosfati, ossidi,
silicati e solfuri.
Il minerale contenente manganese più importante è la pirolusite (MnO2); altri
minerali sono i rodanati e la rodocrosite . Le miniere si trovano in depositi sotterra-
nei o all’aperto. I maggiori giacimenti sono in Australia, Brasile, Gabon, Sud-Africa,
Russia, India e Messico. Ci sono grandi riserve di manganese nelle profondità ocea-
niche in forma di noduli polimetallici, attualmente considerate non utilizzabili, per-
ché di recupero dispendioso e difficile.
Manganese è presente in tutti i tessuti animali e vegetali, nell’acqua e nel pul-
viscolo atmosferico.
Nelle aree urbane e rurali senza sorgenti puntiformi, i livelli di fondo dell’ele-
mento nell’aria vanno da 0,01 a 0,07 mg/m3, mentre nelle aree con sorgenti di emis-
sione industriale i livelli vanno da 0,22 a 0,3 mg/m. Le sorgenti antropogeniche di
manganese nell’ambiente aereo sono costituite dalla combustione dei combustibili
fossili (20%) e dall’emissione gassosa industriale (80%). L’utilizzo dei composti
organometallici nella produzione di benzine può provocare un incremento delle con-
centrazioni di manganese nell’ambiente aereo delle aree urbane. L’erosione del suolo
è un’altra importante sorgente di manganese nell’aria, ma i dati disponibili per sti-
mare questo contributo sono scarsi.
Le concentrazioni medie di manganese nell’acqua di mare sono di 2 mg/L, men-
tre nell’acqua dolce vanno da 1 a 200 mg/L. Alcuni composti, come il cloruro ed il
solfato di manganese, sono solubili in acqua e quindi l’esposizione può avvenire
attraverso l’ingestione di acqua contaminata.

Utilizzi produttivi

Manganese è stato proposto come elemento da Sheele nel 1771, ma è stato sco-
perto da Gahn, un chimico svedese che nel 1774 lo ottenne per riduzione della piro-
lusite tramite carbone. I suoi utilizzi, però, sono rintracciabili nel Periodo del Paleo-
litico, quando il biossido di manganese era impiegato come pigmento nelle pitture
delle caverne. Più tardi, nell’Antica Grecia, la presenza di manganese nei minerali
ferrosi usati dagli Spartani è la più plausibile spiegazione del fatto che le loro produ-
zioni metalliche fossero superiori a quelle dei Troiani. Gli Egizi ed i Romani utiliz-
zavano i minerali del manganese nella produzione del vetro, sia per la decolorazione
sia per la colorazione (rosa, porpora o nera). Il nome del metallo deriva dal latino
“magnes”, e proviene dalle proprietà magnetiche della pirolusite
Manganese viene utilizzato in piccole quantità nella produzione di leghe di
alluminio, rame, zinco, magnesio per incrementarne alcune proprietà.
Il secondo settore utilizzatore di manganese è attualmente quello della produzio-
ne di batterie. Nel 1868 Leclanché sviluppò le batterie a secco, tramite l’utilizzo del
biossido di manganese come depolarizzante.
I composti del manganese si formano da reazioni con Mn metallico o con i mine-
rali che contengono l’elemento. Il cloruro di manganese trova impiego nella produ-
zione di accumulatori elettrici, di integratori per mangimi zootecnici, di catalizzato-
ri per la clorazione di sostanze organiche e di precursori per altri composti del man-
danese I. Il biossido di manganese trova impiego, oltre che nella produzione di accu-
mulatori elettrici, nella produzione del vetro e dei fuochi d’artificio. Il solfato di man-
ganese viene usato nella produzione di ceramiche, nonché di integratori per mangi-
mi zootecnici e di fertilizzanti.
Manganese in varie forme viene anche impiegato nella produzione di pigmen-
Ti e vernici nere, circuiti elettronici, preparazioni industriali e farmaceutiche.
I composti organici del manganese si utilizzano nella produzione di fungicidi,
additivi per benzina con e senza piombo, combustibili in genere e abbattitori di fumo.
Alcuni fungicidi della famiglia dei ditiocarbammati, come Maneb e Mancozeb, con-
tengono l’elemento e sono molto utilizzati per il controllo di avversità della vite, dei
cereali e delle piante da frutto in genere.
Diffusione negli alimenti

Fino a tempi recenti, le informazioni disponibili sul contenuto di manganese dei


diversi alimenti e sull’assunzione da parte delle varie categorie della popolazione
erano scarse. La situazione è cambiata con il miglioramento delle tecniche analitiche
e con l’acquisizione delle conoscenze sul significato che ha l’elemento per la salute.
Analisi effettuate in numerosi paesi mostrano come i livelli del metallo nelle stes-
se categorie di alimenti sono abbastanza simili. Le concentrazioni nei diversi tipi di
alimenti, invece, mostrano grandi variazioni: i valori più elevati di manganese si tro-
vano nei prodotti vegetali, specialmente nei cereali integrali, mentre i valori più bassi
si trovano nei prodotti di origine animale. Il tè può costituire la maggior fonte di
manganese nella dieta ed è probabile che in una dieta in cui non sono presenti tè e
cereali interi ci sia una bassa assunzione di manganese

Diffusione nell’organismo e ruolo biologico

Manganese si è rivelato elemento essenziale in ogni specie animale studiata. Il


contenuto totale di manganese nell’organismo umano varia da 12 a 20 mg .
L’elemento è noto come attivatore di diversi enzimi in vitro e costituisce nume-
rosi enzimi (arginasi, piruvato carbossilasi, glutamina sintetasi e superossido dismu-
tasi mitocondriale). Manganese, inoltre, è essenziale per la formazione dell’osso e
della cartilagine. Manganese può essere essenziale per l’utilizzazione della vit. B1,
della vit. E e del ferro.
Non sono stati accertati con sicurezza casi di carenza di manganese nell’uomo.
Manganese, dopo essere entrato nel circolo sanguigno, viene in gran parte cap-
tato dal fegato. L’escrezione avviene quasi esclusivamente per via biliare, ma con un
circolo entero-epatico che ne limita l’eliminazione. L’elemento viene concentrato,
quindi, nel fegato ed anche nel rene e nel pancreas, organi ricchi di mitocondri. I tes-
suti ricchi di cheratina possono accumulare manganese ed è stato proposto che i
capelli ed il pelo possano riflettere lo stato dell’elemento nell’organismo. Le struttu-
re pigmentate come la retina, la pelle scura ed i granuli di melanina contengono alti
livelli di manganese. Le ossa sono abbastanza ricche di manganese ed a causa della
loro massa contengono la percentuale dell’elemento più elevata del corpo (nell’uo-
mo il 25% del contenuto totale).
Il feto non accumula riserve di manganese prima della nascita e le concentrazio-
ni tissutali fetali sono molto basse.

Tossicità

A dispetto della sua essenzialità, l’eccessiva esposizione al manganese provoca


fenomeni di tossicità al sistema nervoso centrale
L’intossicazione acuta per inalazione delle polveri di manganese porta nell’im-
mediato alla cosiddetta “febbre da vapore metallico”, caratterizzata da dolori musco-
lari, brividi, secchezza della gola e della bocca. I sintomi sono preceduti da bronchi-
te acuta, nasofaringite, polmonite ed intorpidimento delle estremità. Manganese,
poi, dai polmoni trasferisce i suoi effetti devastanti al cervello. L’intossicazione può
portare a manifestazioni acute psichiche e neurologiche, che nel complesso prendo-
no il nome di “manganismo”. Tali sintomi sono molto simili a quelli del morbo di
Parkinson (difficoltà nel cammino e nel controllo preciso dei movimenti della mano),
causati da degenerazione cerebrale e distruzione della funzione nervosa in alcune
aree. Se l’intossicazione non viene scoperta in tempo i sintomi possono esacerbar-
si e diventare irreversibili.
Possono essere esposti ad un eccesso di manganese anche gli operatori agricoli
che utilizzano impropriamente i formulati contenenti le sostanze attive a base di man-
ganese. Ricerche epidemiologiche ed esperimenti in vitro suggeriscono che gli effetti
tossici possono verificarsi con esposizioni a concentrazioni di Mn molto basse.
Fino a tempi recenti si credeva che, mentre i vapori e le polveri del metallo potes-
sero provocare tossicità, l’ingestione di manganese con il cibo non provocasse danni.
La comune opinione che manganese negli alimenti non sia potenzialmente tossico. Il
sovraccarico di manganese, infatti, causa lesioni ai gangli basali con abbas-
samento dei livelli di dopamina.
Quindi, anche se la maggior parte dei casi di tossicità cronica è legata all’inala-
zione di particolato contenente manganese, gli effetti sul SNC si hanno anche con
l’ esposizione al manganese attraverso altre vie. E’ stata osservata tossicità in
popolazioni che bevevano acqua contenente naturalmente concentrazioni elevate di
manganese. La tossicità è stata anche evidenziata in individui che ricevevano
alimentazione per via intravenosa.
L’intossicazione cronica nell’uomo per ingestione può causare cefalea, agitazio-
ne, irritabilità, disturbi della personalità, allucinazioni, sordità, rigidità e tremori.Dal
momento che manganese è un elemento essenziale per la salute umana anche la sua
scarsita' ha effetti sulla salute. Si manifestano i seguenti effetti:

- Grassezza
- Intolleranza al glucosio
- Coagulazione del sangue
- Problemi di pelle
- Livelli di colesterolo bassi
- Disordini allo scheletro
- Problemi di nascita
- Variazione del colore del sangue
- Sintomi neurologici
L'avvelenamento cronico da manganese può derivare da inalazione prolungata di
polvere e fumo. Il sistema nervoso centrale è il luogo principale di danni causati dalla
malattia, quale può provocare l'inabilità permanente. I sintomi includono il languore,
sonno, debolezza, disturbi emozionali, andatura spastica, crampi alle gambe
ricorrenti, e paralisi. Un'alta incidenza di polmonite e di altre infezioni respiratorie
superiori è stata trovata in operai esposti a polvere o al fumo di composti di
manganese. I composti del manganese sono agenti cancerogeni sperimentali.
L’eccesso di manganese nella dieta interferisce con l’assorbimento del calcio e
del ferro. Negli animali domestici, così come nelle sperimentazioni animali, l’effet-
to più comune della tossicità da manganese è la carenza secondaria di ferro; ciò è
dovuto ad una competizione tra Fe e Mn per comuni sistemi di trasporto e comples-
sati. La tossicità acuta porta negli animali a crescita stentata, anoressia, alterazioni
del metabolismo dei carboidrati, alterazioni delle funzioni cerebrali e anomalie com-
portamentali. Alti livelli di manganese nella dieta non sembrano essere teratogeni,
sebbene manganese iniettato sia feto-tossico in numerose specie, come gatto, topo,
coniglio e suino.
Nelle sperimentazioni sui ratti la tossicosi cronica porta a disturbi del comporta-
mento, come riduzione delle abilità legate all’apprendimento ed un aumento delle
attività spontanee

L’analisi del manganese

L’analisi è condotta in Spettrofotometria di Assorbimento Atomico.


Le letture dei campioni di fegato, rene, stomaco e ossa avvengono con sistema di
atomizzazione in fiamma ossi-acetilenica utilizzando il correttore di fondo a
lampada al deuterio, una larghezza della fenditura di 0,2 nm ed una lunghezza d’on-
da di 279,5 nm. Il metodo di lettura è quello della retta di taratura con soluzio-
ni standard di 0, 0,5, 1, 2, 5 mg/L di Mn, tempo di lettura di 5 sec e controllo ogni
50 letture del “bianco”. Il limite di rilevabilità è di 0,058 mg/kg.
Le letture dei campioni di muscolo, cuore, cristallino, polmone e cervello si
effettuano con sistema di atomizzazione a fornetto di grafite con tubi pirolitici, utiliz-
zando le medesime condizioni ottiche descritte sopra. Il metodo di lettura è
quello della retta di taratura con soluzioni standard di 0, 5, 10, 20, 50, 100 e 200 mg/L
di Mn. Il programma della fornace prevede 7 passaggi con temperatura di
atomizzazione a 2500°C. La regolazione della sensibilità avveniva tramite controllo
delflusso di argon. Il volume iniettato manualmente è di 10 ml. Il limite di rilevabilità
è di 3,8 mg/kg.
Per le letture dei campioni di sangue intero e plasma, anch’esse con
sistema di atomizzazione a fornetto di grafite, si utilizza il metodo delle aggiun-
te standard, con costruzione della retta di taratura sul primo campione. Al volume di
0,4 ml del campione vengono aggiunte aliquote di 10 e 20 mL di una soluzione di
Mn a 0,1 mg/kg. Il programma della fornace prevede nove passaggi con tempera-
tura di atomizzazione a 2500°C. Ogni 5 letture avvieni il controllo del “bianco”.
La manipolazione dei campioni è condotta in modo da evitare tutte le pos-sibili
contaminazioni o perdite. Sono sempre stati utilizzati guanti di lattice da labo-
ratorio. I reagenti chimici utilizzati sono stati scelti della massima purezza. Prima
dell’uso, tutti i contenitori di vetro sono stati accuratamente lavati, mantenuti in una
soluzione al 10% di acido nitrico, risciacquati più volte con acqua deionizzata ed
asciugati in un forno ventilato.

MERCURIO

Formula bruta: Hg
Composti: HgCl2 (Cloruro di mercurio)
# CAS: 7439-97-6

Caratteristiche
Impiego: Il mercurio è un liquido pesante inodore e di colore argenteo, usato per
termometri, barometri.
lampade a vapore, nel rivestimenti degli specchi e nella fabbricazione di.
Equipaggiamenti chimici ed elettrici (I, 3). Composti mercuriali molto
utilizzati sono: il nitrato di mercurio, impiegato soprattutto nella
fabbricazione di cappelli di feltro, e il fulminato di mercurio. usato nella
produzione di polveri detonanti (3).
Peso molecolare: 200.59
Punto di fusione: -39°C
Punto di ebollizione: 357°C
Densità: 13,546.
Solubilità: Molto poco solubile in acqua (0.002 Q/100 ml a 20°C), ma solubile in
acido nitrico diluito.

Proprietà chimiche: Il mercurio è un composto corrosivo, ma è praticamente nón


reattivo giacché è fortemente resistente alla corrosione. Può dissolvere vari
metalli come l'argento. l'oro e lo stagno, formando amalgami. Può però
reagire violentemente con bromo, biossido di cloro, acetilene e ammonio.
Non è infiammabile (2, 3). E' stabile a temperatura ordinaria e non
reagisce con aria. ossigeno, anidride carbonica o biossido di azoto, mentre
si combina con alogeni e viene attaccato da acido nitrico diluito e da acido
solforico

Metodi di analisi: Spettroscopia di assorbimento atomico con il metodo dei vapori


freddi (CV-AAS)

Tossicologia

Tossicocinetica – Metabolismo I1 metallo, se ingerito, non viene assorbito dal tratto


gastrointestinale. mentre il 70-80% del mercurio inalato, viene trattenuto negli
alveoli polmonari e in seguito viene immediatamente ossidato a ione bivalente, che è
ritenuta la forma più tossica del mercurio inorganico. Una volta assorbito, il mercurio
si distribuisce a tutti gli organi corporei con un' emivita media di 60 giorni. La
maggiore via di escrezione è quella urinaria e solo una piccola percentuale viene
eliminata con l'aria espirata e con le feci attraverso le vie biliari (3)]
Sorveglianza biologica: E' stato osservato che esiste una buona correlazione lineare
tra contenuto di mercurio nell'ambiente di lavoro e nelle urine degli esposti. L'OMS
ha indicato. come valore di sicurezza, un Hg urinario di 5 g/g dì creatinina per
prevenire danni renali e turbe neurologiche (3). A coloro che sono soggetti a frequenti
ed elevate esposizioni a mercurio a lavorare o a intervalli regolari nel corso del
lavoro, di eseguire i seguenti esami: esame del sistema nervoso (incluso il test di
scrittura per verificare tempestivamente tremori alle mani); esame del contenuto di
mercurio nelle urine (che deve essere solitamente inferiore a 0.02 mg/l); test di
funzionalità renale (I ).

Cancerogenicità: Secondo le informazioni al momento disponibili presso il


Dipartimento della Salute del New Jersey, il mercurio è stato sperimentato su
animali da laboratorio senza causare tumori. Esso non si è rivelato cancerogeno
neppure per l'uomo.

Effetti sulla riproduzione: Le prove che dimostrerebbero la capacità del mercurio


di causare un aumento degli aborti spontanei in donne esposte sono poche. Hanno
però rivelato proprietà teratogene verso l'uomo alcune sostanze organiche
contenenti mercurio. I composti inorganici a base di mercurio, pur non essendosi
rivelati teratogeni per l'uomo, dovrebbero essere tuttavia maneggiati con prudenza
poiché potrebbero determinare effetti sulla riproduzione sia degli uomini che delle
donne (1).

Tossicità acuta: Gli effetti del mercurio sugli animali possono essere anche
causa della morte di questi. Anche le piante possono morire o subire un
accrescimento rallentato. Gli effetti acuti possono manifestarsi sia sulle piante che
sugli animali da 2 a 4 giorni dopo il contatto con un composto contenente il metallo.
Il mercurio organico e il metilmercurio manifestano un'elevata tossicità acuta nei
confronti degli organismi acquatici, anche se non vi sono dati sufficienti per
valutarli. Vi sono anche degli effetti cronici visibili anche a lungo termine:
accorciamento della durata della vita, riduzione della fertilità, cambiamenti di
natura estetica e comportamentale. Uccelli, altri animali e esseri umani che si
nutrano con pesci contaminati da mercurio possono rimanere intossicati. Non vi
sono dati che quantifichino l'entità dei danni a lungo termine del mercurio sulle
piante (1). La tossicità acuta del mercurio nell'uomo varia in misura significativa a
seconda della via di esposizione. Per ingestione non si verificano effetti tossici
acuti, l'inalazione di elevate concentrazioni del metallo produce gravi irritazioni,
disturbi digestivi e danni renali. Rispetto ai vapori di mercurio non vi sono
particolari misure di attenzione poiché essi sono incolori, inodori e privi di gusto
(2). L'inalazione di vapori al mercurio (1.2 - 8 mg/m3) nell'uomo causa
intossicazione acuta, provocando un danno permanente al sistema nervoso con
possibilità di morte. La CL50 inalatoria per il mercurio nei conigli è di 29 mg/m3 (30
ore). La DL50 orale per il cloruro di mercurio nei ratti è di 37 mg/kg (3).

Tossicità cronica: L'intossicazione cronica o "mercurialismo" colpisce il sistema


nervoso in maniera insidiosa, così che gli effetti tossici non possono essere osservati
se non dopo mesi dall'esposizione. La sintomatologia fondamentale è rappresentata --
dal tremore, che suole manifestarsi dapprima a carico degli arti superiori e nei casi
gravi si estende anche agli arti inferiori, ai muscoli della faccia e della lingua. Al
tremore si associa spesso un particolare stato psichico, contrassegnato da
depressione con apatia e irritabilità (3). Un'esposizione cronica a mercurio può
causare danni alla vista e ai reni, nonché problemi cutanei di natura allergica e
disturbi degli istinti sessuali.

Sintomatologia

Ingestione:
Dolori colici (sali solubili), diarrea, anuria, morte. Rimedi: somministrare una
soluzione latteo-albuminosa e provocare il vomito.

Inalazione: Disturbi emotivi, infiammazione della bocca e delle gengive, irritazione


dei polmoni, tosse, affaticamento, perdita della memoria e della concentrazione,
cefalea, tremori, anoressia, perdita di peso, febbre, disturbi dell'umore, allucinazioni,
psicosi, danni renali, dolori toracici, respiro breve, edema polmonare, morte. Rimedi:
trasferire l'infortunato all'aria aperta. Effettuare una rianimazione cardio-polmonare.
Sorveglianza medica per 24-48 ore poiché l'edema polmonare può comparire con
ritardo.

Contatto cutaneo: Dermatiti, allergie, prurito, eruzioni cutanee. Rimedi: lavaggio


abbondante con acqua e sapone.

Contatto oculare: Visione offuscata. Rimedi: lavaggio abbondante con acqua per
almeno 15 minuti sollevando le palpebre.

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: Il mercurio elementare è un liquido pesante e


relativamente inerte. Esso si ossida a mercurio organico in condizioni
naturali. Questo può combinarsi con una frazione organica a formare
metilmercurio. Entrambi questi composti rivestono una notevole
importanza ambientale. Il mercurio organico contamina l'ambiente
attraverso il trattamento di rifiuti industriali e urbani a partire da
sedimenti già contaminati. Altro mercurio può derivare dalla
degradazione di alcune rocce e viene trasformato da batteri in
metilmercurio. La concentrazione del mercurio organico nell'acqua può
aumentare con le piogge acide che raccolgono il metallo presente nell'aria
e per disgregazione dei sedimenti che lo contengono. La sua persistenza
nell'acqua è molto lunga, giacché la sua emivita è 200 giorni. Il mercurio
ha la capacità di bioaccumularsi negli organismi acquatici, tant' è che la
sua concentrazione nei pesci può essere considerevolmente maggiore che
nell'acqua in cui essi vivono (l).
Bibliografia: (1) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, ottobre 1986. (2) HHMI
Laboratory
Safety, 1995. National Academy of Science. (3) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose.
Impieghi,
tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano.

NICHELIO

Formula bruta: Ni

Composti:NiO Ossido di nichel


Ni(OH)2 Idrossido di nichel
NiCO3 Carbonato di nichel
2NiCO3, 3Ni(OH)2, 4H 20 Carbonato basico idrato di nichel NiCl2, 6H 20 Cloruro di
nichel esaidrato Ni(NO3)2.6 H 20 Nitrato di nichel esaidrato NiSO4, 6H 20 Solfato di
nichel esaidrato

# CAS: Nichel: 7440-02-0.


Ossido di nichel: 1313-99-1.
Idrossido di nichel: 12054-48-7.
Carbonato di nichel: 3333-67-3.
Cloruro di nichel: 7718-54-9.
Nitrato di nichel: 13138-45-9.
Solfato di nichel: 7786-81-4.

Caratteristiche

Impiego: II nichel è utilizzato(1, 4):

nella produzione di acciaio inossidabile e di altri acciai speciali. La sua presenza


in questi prodotti migliora infatti le loro proprietà meccaniche e la loro resistenza
alla corrosione e al calore;
- nella preparazione di leghe non ferrose (con il rame, il cromo, l'alluminio, il
molibdeno), in particolare nella fabbricazione di monete, utensili e arnesi da
cucina;
−nei rivestimenti elettrolitici dei metalli;
−nella catalizzazione in chimica organica (idrogenazione di oli e grassi, desolforazione
di prodotti a base di petrolio, polimerizzazione e decomposizione di idrocarburi,
riduzione di ossidi di azoto);
−nella fabbricazione di nuclei magnetici, batterie alcaline nichel-cadmio,

−pigmenti minerali per smalti e ceramiche

Proprietà fisiche:
Composto Peso Punto di Punto di Densità Solubilità
molecolare fusione ebollizione
Nichel 58.71 1452°C 2730°C 8.9 Insolubile in acqua e nei
atomico a 25°C solventi organici. Si
dissolve lentamente negli
acidi forti.

Ossido 74.69 1984°C _ 6.67 Praticamente insolubile in


acqua (0,1 mg/100 ml a
20°C). Solubile in acidi e
anunoniaca.

Idrossido 92.70 4.15 Poco solubile in acqua (10


mg/ 100 ml a 20°C).
Solubile in acidi e
ammoniaca.

Carbonato 118.72 2.6 Poco solubile in acqua (10


mg/100 ml a 20°C).
Solubile in acidi.

Carbonato 587.57 Insolubile in acqua.


basico idrato Solubile in acidi e
ammoniaca.

Cloruro 237.69 Molto solubile in acqua


esaidrato (254 g/I00 ml a 20°C).
solubile in etanolo e
glicoletilene.

Nitrato 290.79 56.7°C 136.7°C 2.05 Molto solubile in acqua


esaidrato (238 g/l00 ml a 0°C).
solubile in etanolo e
glicoletilene.

Solfato 262.84 2.07 Facilmente solubile in


esaidrato acqua (65 g/100 ml a 0°C).
Solubile in etanolo e
metanolo.

Proprietà chimiche: Il nichel è un elemento duttile e malleabile, dall'aspetto simile


all'argento. ma con un riflesso che volge al grigiastro (4). A temperatura ordinaria il
nichel è praticamente inattaccabile dall'ossigeno; a caldo si ricopre di una pellicola
di monossido, unico prodotto di reazione tra 300 e 700°C. La polvere di nichel
ottenuta dalla reazione dell'ossido con l'idrogeno tra 250 e 350°C è infiammabile. Il
prodotto ottenuto a 450°C si ossida all'aria e a 150°C può esplodere. A freddo e in
assenza di umidità il metallo resiste bene agli alogeni; in presenza di acqua invece,
esso è attaccato in superficie con formazione di alogenuri. A caldo gli alogeni
reagiscono senza incandescenza. In corrente di ossido di carbonio il nichel
volatilizza tra 45 e 70°C dando origine al carbonile di nichel. Difficilmente
attaccabile dagli acidi cloridrico e solforico, il nichel si dissolve lentamente in acido
nitrico con formazione di ossidi di azoto irritanti e tossici. Esso può essere corroso
da alcune soluzioni saline (per esempio dal cloruro di sodio), ma resiste bene alle
soluzioni alcaline (1). II nichel reagisce violentemente con fluoro, nitrato
d'ammonio, idrazina, ammoniaca, acido formico, fosforo, selenio e zolfo (4).
L'ossido di nichel esiste come due forme allotrope: verde e nero, quest' ultima più
reattiva. Ha un carattere prevalentemente basico ed è quindi dissolto dagli acidi con
formazione di sali di nichel. Può essere ridotto dall'idrogeno, dall'ossido di carbonio
(a 120°C), dall'ammoniaca, dal carbonio (a 450°C), così come da diversi metalli (1).
L'idrossido di nichel ha carattere prevalentemente basico. Per riscaldamento si
trasforma in ossido a 200-230°C. non si ossida all'aria (I). Il carbonato anidro di
nichel esiste sotto due forme allotropiche (verde e gialla) ed è raramente utilizzato
nell'industria. Le forme commerciali sono generalmente di tipo idrato (I). Il cloruro
esaidrato in soluzione acquosa è facilmente idrolizzato (1). II nitrato esaidrato in
aria secca brucia a 40°C (1). II solfato di nichel esaidrato esiste sotto due forme
allotropiche (blu e verde) (1).

Metodi di analisi: Assorbimento atomico

Tossicologia

Tossicocinetica - Metabolismo: La deposizione, la ritenzione e l'assorbimento


polmonare dei composti di nichel sono regolati dalle proprietà fisico-chimiche delle
particelle: nel caso di particelle solubili nel mezzo biologico e accumulate negli
alveoli, l'emivita può essere di qualche ora; nel caso di particelle insolubili,
l'emivita può variare da poche settimane a qualche anno.
L'assorbimento gastro-intestinale è molto debole. I composti idrosolubili possono
dare origine a un trasporto percutaneo più o meno importante in funzione della natura
del sale e delle condizioni di contatto. Nel sangue il nichel assorbito è in minima
parte libero e soprattutto legato a proteine e all' istidina. L'emivita del nichel nel siero
è di circa 10 ore (1) , nei tessuti è di circa 1200 giorni (4). Il nichel si ritrova in
quantità notevoli nei reni e nei polmoni: viene escreto con le urine (70%) entro i
primi 3 giorni dall'esposizione e una parte attraverso il sudore. In caso di ingestione,
la maggior parte del nichel viene eliminata attraverso le feci(1,4).

Sorveglianza biologica: Test di funzionalità polmonare. Test per il nichel su feci,


urine e plasma; tali misurazioni sono più utili se è noto il composto con il nichel cui
si è stati esposti. Questi esami non forniscono tuttavia alcuna previsione su
eventuali futuri effetti sulla salute (2).

Genotossicità: Come succede per tutti i metalli, i risultati delle prove di


mutagenicità sono molto discordanti e variano a seconda del sale utilizzato e delle
condizioni sperimentali. I risultati ottenuti da test batterici sono generalmente
negativi come quelli ottenuti sulle aberrazioni cromosomiche su ratti e topi.
Tuttavia, l'effetto citogenetico del cloruro di nichel è stato messo in evidenza in
cellule di linfoma di topi e risultati positivi sono stati ottenuti nei seguenti
esperimenti: aberrazioni cromosomiche (sali solubili), scambi di cromatidi fratelli
(sali solubili e solfuro), trasformazioni cellulari (sali solubili, metallo, ossido e
solfuro). Si sono verificati anche fenomeni di errori nella trascrizione del DNA (l).

Cancerogenicità: Numerosi studi sulla cancerogenicità del nichel sono stati


effettuati su un certo numero di specie animali, ma solo una parte di essi hanno
utilizzato vie di somministrazione in rapporto all'esposizione umana (inalazione,
iniezione intratracheale, via orale). A seguito di iniezioni, l'insorgenza di eventuali
tumori si verificava nel punto stesso di iniezione. A seguito di trattamenti per
inalazione con solfuro di nichel per 78 settimane ad una concentrazione di 1 mg/m3,
più del 60% dei ratti trattati presentava iperplasie polmonari a livello dei segmento
bronchiali e bronchiolo-alveolari, mentre il 14% presentava tumori maligni (1). Casi
di cancro dei polmoni e dei 'seni nasali sono stati osservati in lavoratori che avevano
inalato polveri contenenti grandi quantità di composti a base di nichel. In base a
esperimenti effettuati su ratti e topi, si è visto che l'esposizione ad alcuni composti
(ad es. NiS, NiO e Ni(CO)4) causava tumori al polmone ed ai seni nasali con una
risposta del 60-100%, contrariamente ad altri composti (2, 4).

Effetti sulla riproduzione: Il nichel ionizzato attraversa la barriera placentare. I suoi


composti minerali hanno determinato sui ratti degli effetti fetotossici, riduzione del
peso dei feti, aumento della frequenza di riassorbimento e di morte prematura,
riduzione durante la 4a-8a settimana del peso dei nuovi nati. Nei topi e nelle cavie i
composti inducono anche un aumento dell'incidenza delle malformazioni a livello di
cervello, occhi, volta palatina e cranio. Questi differenti effetti sono stati osservati in
generale, a prescindere dal tipo di composto e dalla via di somministrazione. Studi
realizzati su tre generazioni di ratti hanno mostrato effetti tossici marcati alla dose di
250 ppm di nichel nel cibo o di 5 ppm nell'acqua da bere; in questi studi si è
osservato un aumento della percentuale di anomalie nelle femmine della terza
generazione. I composti del nichel sembrano avere effetti anche sulla fertilità dei
maschi (I).

Tossicità acuta: ___Il nichel è relativamente atossico, analogamente a


ferro, cobalto, rame
e zinco in funzione della loro solubilità. La DL 50 orale (mg/kg) per i
ratti è di: 9000 (nichel metallo); 5000 (ossido); 1600
(idrossido); 1044 (carbonato idrato); 105-285 (cloruro);
1620 (nitrato esaidrato); 300 (solfato esaidrato) (1).
Tossicità cronica: Nei ratti la dose letale per inalazione dopo
un'esposizione ripetuta (6 ore/giorno, 5 giorni/settimana,
per 12 settimane) è superiore a 1.7 mg/m3 di nichel nel
caso di un'esposizione al solfato, a 7.3 mg/m3 nel caso del
solfuro e a 26.3 mg/m3 nel caso dell'ossido. L'inalazione
prolungata o ripetuta di alcuni composti di nichel (ad es.
NiO, NiCl2) causa essenzialmente danni nasali e polmonari,
in particolare polmonite chimica con incremento di
macrofagi alveolari (1, 4). Seguono reazioni infiammatorie
interstiziali fino all'enfisema polmonare. In alcuni
esperimenti si sono verificate ulteriori anomalie:
modificazioni epatiche e renali, aumento del peso del
cuore, alterazione della risposta immunitaria. Il nichel è
conosciuto come l'allergene per la pelle più diffuso.
L'aumento della sensibilizzazione al nichel nella
popolazione è elevato: per le donne la percentuale è del
10%, per l'uomo va da 1 a 3%. L'esposizione professionale
sembra essere la causa meno importante di questa
sensibilizzazione (favorita dal calore e dall'umidità)
rispetto al contatto giornaliero con degli oggetti usuali
(gioielli, bottoni, monete, ecc.). Il 40-50% delle persone
sensibili al nichel sviluppano, per contatto ripetuto con il
metallo e i suoi composti, delle dermatiti eczematiformi
recidive. Numerosi casi dì asma sono stati osservati a
seguito di esposizioni a composti solubili del nichel con
crisi che apparivano nei minuti successivi all'esposizione o
ben più frequentemente nelle ore successive.
In ambiente professionale l'asma può essere associata ad una
dermatite da contatto, ad un'orticaria o a una rinite (I).

Sintomatologia

Ingestione: Nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, cefalea, astenia,


bradicardia,ipotermia,tremori, paralisi, modesto aumento della bilirubina.
Rimedi: indurre il vomito.

Inalazione: Cefalea, disturbi polmonari, tosse, respiro breve, edema


polmonare.
Rimedi: trasportare l'infortunato all'aria aperta e tenerlo a riposo.
Contatto cutaneo: Irritazioni, allergie. Rimedi: lavare
abbondantemente con acqua e sapone.
Contatto oculare: Irritazioni. Rimedi: lavare
abbondantemente con acqua.
Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: [I nichel è uno dei metalli più comuni che
si rinvengono nelle acque superficiali a causa del
dilavamento delle rocce. Altre sorgenti di nichel possono
essere i residui della combustione del carbone e di altri
combustibili fossili e scarichi industriali. Il nichel e i suoi
composti sono caratterizzati da un'alta persistenza
nell'acqua, con un'emivita 200 giorni (informazioni EPA).
Bibliografia: (1) INRS Fiche toxicologique, n° 68, CND 133, 4°
trim. 1988 (2) ATSDR - ToxFAQs, september 1997. (3) New Jersey
Department of Health, Trenton, NJ, aprile 1989. (4) Bressa G., 1997.
Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo intervento.
Masson Edizioni S.p.A., Milano

PIOMBO
Formula bruta: Pb

Composti: PbF2 Fluoruro di piombo


PbF4 Tetrafluoruro di piombo
PbCl 2 Cloruro di piombo PbCI 4
Tetracloruro di piombo PbBr 2
Bromuro di piombo Pbl 2 Ioduro
di piombo
Sinonimi: Lead (GB), Piombo (I), Plomb (F), Blei (D), Plomo (E).
# CAS: 7439-92-1

Nome commerciale: C.I. Pigment metal 4; C.I. 77575; Glover; KS-4; Lead S2;
Olow; Omaha

Caratteristiche

Impiego: II metallo è utilizzato nelle batterie di accumulo, per la protezione dei


cavi elettrici, piombature, munizioni, come fonoassorbente, come scudo contro
i raggi X e le radiazioni nucleari, come componente di vernici, per contenere
liquidi corrosivi. nelle leghe di ottone il biossido come antidetonante del
petrolio e per produrre vetri per lenti e per cristalli (l, 2)..J

Peso molecolare 207.19

Punto di fusione 327,4°C

Punto di ebollizione 1740°C

densità 11,344

solubilità insolubile in acqua a 20 °C

Proprietà chimiche: il Pb è un metallo di colore blu-grigiastro duttile e


malleabile.é resistente all’ acido solforico ma viene rapidamente
disciolto dall’ acido nitrico. Il piombo in polvere riscaldato a 290°C
diventa piroforico. In presenza di acqua ossigenata al 60% e di
trioxano reagisce violentemente. Il biossido è comburente (2). E'
incompatibile con forti ossidanti, perossido di idrogeno e metalli attivi
(sodio, potassio) (1).
Metodi di analisi: ASSORBIMENTO ATOMICO

Tossicologia

Meccanismo di azione tossica: Il piombo interferisce con molteplici sistemi


enzimatici, fra i quali i più
importanti sono quelli coinvolti nella sintesi dell'eme (2).
Tossicocinetica - Meta : I composti organici del piombo vengono assorbiti
prevalentemente lungo il tratto gastro-intestinale e nei polmoni, mentre
l'assorbimento cutaneo è modesto. Una volta assorbito, il piombo si
distribuisce inizialmente negli eritrociti e successivamente si diffonde nei
tessuti molli, in particolare nel rene e nel fegato. Soltanto in un secondo
tempo il piombo viene depositato nelle ossa e nei denti con un accumulo
continuo nel tempo. Tuttavia il piombo che si trova nelle ossa è soggetto a
mobilizzarsi in tutte quelle condizioni nelle quali si ha una mobilizzazione
del calcio, in seguito alla quale può manifestarsi la sintomatologia da
intossicazione da piombo. L'escrezione del piombo avviene
prevalentemente per via renale attraverso la filtrazione glomerulare. Una
parte del piombo viene pure escreta attraverso la bile, il sudore e il latte
materno 2)

Sorveglianza biologica: Per stabilire se vi è stata esposizione al metallo, è stata


proposta la determinazione del piombo ematico, dì d-ALA e di
coproporfirina nelle urine (2). La quantità di piombo nel sangue non deve
superare il limite massimo di 40 mg/100 g di sangue e l'analisi va ripetuta
ogni 2 mesi fino a quando 2 analisi consecutive non rivelino una
concentrazione di piombo nel sangue inferiore a tale limite.

Genotossicità: Alcuni studi hanno dimostrato che i composti del piombo sono
capaci di indurre aberrazioni cromosomiche in vivo e in colture di tessuti.
Il piombo ha dimostrato, in un certo numero di saggi sulla struttura e la
funzione del DNA, di influenzare i processi molecolari associati alla
regolazione dell'espressione genetica (dati EPA).

Cancerogenicità: Dieci esperimenti su ratti ed uno su topi hanno prodotto


incrementi statisticamente significativi di tumori renali a seguito di
esposizioni giornaliere orali e sottocutanee a diversi sali solubili di
piombo. I saggi sugli animali hanno fornito risultati riproducibili in diversi
laboratori su diverse varietà di ratti e con prove di cancerogenicità a carico
di vari organi. E' stato dimostrato che i sali di piombo (in primo luogo
fosfati e acetati) hanno un certo potenziale cancerogeno dopo essere stati
somministrati a ratti e topi per via orale o per iniezione. La forma tumorale
più frequentemente indotta è il carcinoma renale bilaterale. Ratti nutriti
oralmente con acetato o subacetato di piombo, hanno sviluppato gliomi,
mentre in topi il subacetato ha prodotto anche adenomi polmonari dopo
somministrazione intraperitoneale. La maggior parte di questi studi hanno
riscontrato una reazione cancerogena solo alla dose più alta. I composti di
piombo saggiati sugli animali sono quasi tutti sali solubili, mentre il
piombo metallico, l'ossido e i tetralchili non sono stati utilizzati
adeguatamente. Non vi sono in letteratura studi sull'esposizione al piombo
per inalazione. Le prove di cancerogenicità del piombo sull'uomo non
sono sufficienti a dimostrare la relazione tra insorgenza di tumori ed
esposizione al metallo (EPA).

Effetti sulla riproduzione: Studi effettuati su animali e uomo indicano che il


piombo può essere prontamente trasferito attraverso la placenta al feto.
Dati su donne i gravidanza hanno verificato questo trasferimento già dalla
12° settimana di gestazione. In genere, i sali alchilici di Pb, come il
tetraetile, non sono stati associati a effetti teratogeni. I sali inorganici di
piombo hanno determinato malformazioni al SNC e palatoschisi in topi,
variazioni nelle dimensioni di criceti e idronefrosi e difetti scheletrici nei
ratti. Sebbene studi sul comportamento postnatale nei ratti abbiano dato
risultati contraddittori, esperimenti sulle pecore hanno indicato che livelli
dì piombo nel sangue di femmine gravide pari a 34 mg/dl hanno indotto
difetti dell'apprendimento nei nuovi nati. Più di 100 anni fa si è sospettato
che il piombo avesse effetti tossici su donne in gravidanza che lavoravano
con sali di Pb nella fabbricazione di contenitori. Nascite di feti morti e
aborti sono stati inoltre frequenti tra questi soggetti. Ciò è stato
confermato da dati più recenti che hanno verificato l'associazione
dell'esposizione al piombo anche alla rottura prematura delle membrane
amniotiche e alle nascite premature. Durante la gravidanza vi è anche la
possibilità che il piombo contenuto nel sangue aumenti per la
mobilizzazione delle quantità contenute nelle ossa (I ).

Tossicità acuta: Intossicazione acuta da piombo è rara ed è dovuta all'ingestione di


derivati solubili oppure ad inalazione di elevate quantità di piombo
finemente suddiviso o sotto forma di fumi. La dose letale orale acuta si
aggira intorno ai 10-30 g di un sale solubile. La DL50 orale acuta di
piombo acetato nei ratti è di 165 mg/kg (2).

Tossicità cronica: La dose minima con effetti cronici è di 0.5 mg/giorno e gli
effetti comprendono anemia. irritabilità. incoordinazione, paralisi, disturbi
mestruali, aborto. atassia. letargia. encefalopatia, delirio, convulsioni, coma (1).
L'apparato uropoietico subisce danni che si manifestano con oliguria e alterazioni
della funzionalità renale. Nell'intossicazione cronica (saturnismo) possono
sopravvenire diverse sindromi più o meno gravi: neuropatia centrale.
neuromuscolare, ematologica, gastro-intestinale e renale (2). L'emivita nelle ossa è
di 32 anni, nei reni è di 7 anni (I).

Sintomatologia

Ingestione: Sete, sapore metallico. perdita di appetito, debolezza, cefalea, nausea,


vomito, dolori addominali. ipotermia. Rimedi: gastrolusi con sospen-sione di
carbone attivo in soluzione di solfato sodico al 3%.

Inalazione: Rimedi: trasportare l'infortunato all'aria aperta e praticare la


respirazione artificiale se necessario.

Contatto oculare: Rimedi: lavaggi accurati con acqua corrente per almeno 15
minuti.

Bibliografia: (I) Dreisbach R. and W. Robertson, 1987. Handbook of Poisoning:


prevention, diagnosis and treatment. Twelfth edition. Los Altos: Appleton and
Lange. (2) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo
intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano.

RAME

Formula bruta: Cu
# CAS: 7440-50-8

Caratteristiche

Impiego: Il rame è un metallo di colore marrone-rossastro ampiamente utilizzato


nell'industria elettrica; nelle leghe come zinco-rame (ottone) e stagno-rame (bronzo) e
con altri elementi come berillio, fosforo, manganese, argento, piombo, silicio, cromo
e nichel per la fabbricazione di leghe speciali dove sono richieste particolari proprietà
come elevata durezza, resistenza alle vibrazioni, agli agenti corrosivi e a elevate
temperature; nei riscaldamenti; per i rivestimenti e nelle costruzioni edilizie. E'
inoltre impiegato nell'industria chimica e farmaceutica 1, 2).

Peso molecolare: 63.54

Punto di fusione: 1083°C

Punto di ebollizione: 2595°C

Densità: 8.96

Solubilità: E' scarsamente solubile in acqua (< 0.1 % sia calda che fredda. E'
solubile in acidi ossidanti (nitrico e solforico) e in ammoniaca.

Proprietà chimiche: Il rame è un metallo duttile e malleabile, stabile, incompatibile


con acidi forti, con composti attivi contenenti alogeni, con cloro, fluoro, iodio, bromo
e ammonio. La sua decomposizione produce fumi di rame (I). Il rame è caratterizzato
da bassa reattività chimica. All'aria secca e a temperatura ambiente non si ossida,
mentre riscaldato all'aria si ricopre di un velo di ossido e a temperatura elevata si
trasforma interamente in CuO2 o CuO. Si combina facilmente con gli alogeni,
rivelando una particolare affinità per il selenio e per lo zolfo. Con l'azoto non reagisce
neppure ad elevate temperature, mentre con il carbonio non si combina direttamente,
ma è capace di sostituire l'idrogeno nell'acetilene per dare acetiluro rameoso, il quale
esplode in presenza di fonti di accensione. Dopo l'argento è il migliore conduttore di
elettricità e di calore (2).
Metodi di analisi: Assorbimento atomico

Tossicologia

Tossicocinetica - Metabolismo: L'assorbimento del rame nel corpo umano avviene


principalmente lungo il tratto gastro-in estinale. Lo stomaco e tutte le parti
dell’intestino tenue, particolarmente la parte superiore di quest'ultimo, assorbono
gran parte del rame ingerito. Dopo l'assorbimento intestinale, il rame si distribuisce
nel plasma legandosi all'albumina e. in piccola parte, ad aminoacidi e a piccoli
peptidi. Successivamente, in poche ore, il 60-90% del rame assorbito viene
depositato nel fegato. dove circa 1'80% è legato a particolari proteine denominate
metallotioneine. Concentrazioni di rame relativamente alte si ritrovano, oltre che nel
fegato. anche nel cervello, nel rene e nel cuore. Il contenuto medio di rame
nell'adulto è di circa 72 mg. L'escrezione del rame avviene attraverso il fega( con la
bile ed è evacuato con le feci. L'emivita del rame nell'organismo è di circa 40 giorni
2).
Genotossicità: Non vi sono dati che dimostrino inequivocabilmen la mutagenicità
del rame su animali e esseri umani. Esperimenti su batten, incubati in piastra con
quinolinolato di rame o con solfato di rame in quantità fino a 5 mg per piastra. non
hanno verificato l'insorgenza di mutazioni. Cloruro e acetato di rame hanno invece
prodotto errori nella sintesi del DNA in alcuni ceppi virali. mentre il solfato di rame
ha indotto aberrazioni cromosomiche in epatociti isolati di ratto. Trasformazioni
sono state notate inoltre su cellule embrionali di criceto infette da un virus, dopo un
trattamento con solfuro rameoso e solfato rameico. Alte concentrazioni di composti
a base di rame hanno poi causato mitosi in cellule ascitiche di ratto. Larve e uova di
Drosophila nrelanogaster sono andate incontro a un incremento percentuale di
morte per effetto rispettivamente di microiniezioni allo 0,1% di solfato di rame e di
immersione in solfato di rame acquoso concentrato (dati EPA).

Cancerogenicità: Nel 1968 e stato condotto uno studio per verificare la


cancerogenicità di un composto a base di rame. l'idrossiquinolino di rame, su due
razze di topi. A gruppi di 18 maschi c 18 femmine di topi di 7 anni di età sono stati
giornalmente somministrati per 28 settimane 1000 mg del composto su kg (180.6
mg di ramefkg), sospesi allo 0.5% in gelatina; trascorso questo tempo. la
somministrazione è passata a 2800 ppm (505.6 ppm di rame) per 50 ulteriori
settimane. AI termine dell'esperimento non è stato riscontrato alcun incremento
statisticamente significativo dell'incidenza dei tumori negli animali. Nell'ambito
dello stesso studio, a gruppi di animali già soggetti ai primi 28 giorni
dell'esperimento precedente è stata somministrata per iniezione sottocutanea una
singola dose di gelatina (come controllo) oppure 1000 mg del composto (180.6 mg
di rame/kg) sospesi allo 0.5% In gelatina. Dopo 50 giorni i maschi trattati di una
delle due razze hanno mostrato un incremento dell'Incidenza dei sarcomi delle cellule
del reticolo rispetto ai controlli. mentre i maschi dell'altra razza non hanno
presentato alcun tumore. Sulle femmine trattate di entrambe le razze l'incidenza di
quel tipo di tumore e stata bassa (dati EPA). In un altro esperimento, ratti di 2-3
mesi sono stati sottoposti. in entrambe le cosce, a iniezioni intramuscolari contenenti
20 mg di ossido di rame (16 mg di rame), di solfuro rameoso (13.3 mg di rame) e di
solfuro rameico (16 mg di rame). Dopo 20 mesi, intorno ai punti di iniezione non
sono stati osservati tumori in alcuno degli animali trattati; altri tipi di tumore sono
stati tuttavia riscontrati. ma con un'incidenza molto bassa, nei ratti trattati con
solfuro rameico (2/30) e con solfuro rameoso (1/30). Poichè la capacità dei
composti organici a base di rame di indurre sarcomi non è stata accertata e dal
momento che l'incidenza dei tumori su animali trattati con rame inorganico per via
intramuscolare è molto bassa, si ritiene che l'insieme di queste informazioni non sia
sufficiente a classificare il rame come cancerogeno. Non vi sono inoltre dati sulla
cancerogenicità del rame per gli esseri umani (informazioni EPA). Tuttavia è stata
osservata un'elevata incidenza di cancro polmonare tra i fonditori del metallo e di
cancro allo stomaco in soggetti che vivono in regioni con alte percentuali di Zn/Cu
nel suolo. Tali evidenze epidemiologiche non sono state comunque ancora
confermate da indagini sperimentali (2).

Effetti sulla riproduzione: Secondo le informazioni al momento disponibili, il


rame, nelle prove effettuate. si è rivelato incapace di influenzare la riproduzione (I).

Tossicità acuti : Il rame è un elemento comunemente presente nelle acque naturali A


basse concentrazioni esso è essenziale , piante che per g I animati A
concentrazioni leggermente maggiori risulta però tossico per gli organismi
acquatici Tale tossicità varia con le condizioni fisiche e chimiche
dell'acqua. I fattori che la influenzano sono la durezza. l'alcalinità e il
pH dell'acqua. Gli effetti acuti possono portare alla morte degli
animali e a un ridotto accrescimento delle piante. Tali effetti si
verificano da 2 a 4 giorni dopo il contatto con il metallo, ma non vi
sono dati sugli effetti a breve termine del rame a piante, uccelli e
animali terricoli O). I fumi di rame possono causare la "febbre da fumi
di metalli" con sintomi che possono comparire con un ritardo variabile
da diverse ore a uno o due giorni, anche solo dopo un'esposizione di
circa 0.1 mg/m3 di polvere fine di rame. L'esposizione industriale alle
polveri e ai fumi non sembra provocare manifestazioni morbose,
mentre sono state osservate lesioni polmonari nei viticoltori che
impiegavano il solfato di rame ("poltiglia bordolese") in forma di
spray come fungicida. L'ingestione di una dose dell'ordine di 10 g di
solfato o ossido di rame provoca un'intossicazione grave e talvolta
mortale con gastroenterite, disidratazione e shock. 1, 2). Nei ratti la
DL 50 orale è di 300 mg/kg per il solfato, di 140 mg/kg per il cloruro,
di 159 mg/kg per il carbonato e di 940 mg/kg per il nitrato (2).

Tossicità cronica: Un'esposizione cronica al rame può indurre negli animali


l'accorciamento della durata della vita, problemi riproduttivi,
riduzione della fertilità, e modificazioni dell'aspetto e del
comportamento. Tali effetti possono verificarsi anche molto tempo
dopo la prima esposizione al metallo. Gli effetti cronici di
un'esposizione al rame possono manifestarsi nell'uomo qualche tempo
dopo il contatto con il metallo e durare anche per mesi o anni.

Sintomatologia
Ingestione: Nausea, vomito, diarrea, cefalea, vertigini, irritazioni
gastrointestinali, convulsioni, necrosi epatica e renale. Rimedi:
lavanda gastrica con una soluzione precipitante di ferro cianuro di
potassio o Blu di Prussia all'l%. Somministrare grandi quantità di
acqua. Consultare il medico.

Inalazione: Irritazioni delle alte vie respiratorie, sanguinamento dal naso,


"febbre da fumi di metalli" (gusto metallico, febbre, tosse,
raffreddore, dolori, disturbi toracici). Rimedi: esporre il soggetto
all'aperto. Consultare il medico.

Contatto cutaneo: Eruzioni cutanee di natura allergica, dermatite ("scabbia da


rame"), colorazione dei tegumenti e degli annessi cutanei. Rimedi:
lavaggio abbondante con acqua e sapone per almeno 15 minuti.

Contatto oculare: Irritazioni, cecità. Rimedi: lavaggio abbondante con acqua


per almeno 15 minuti. Consultare il medico.

Approccio terapeutico: In caso di contatto cutaneo, le dermatiti allergiche


sono trattate con successo con pomate all'idrocortisone (2).

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: Il rame e i suoi sali sono altamente solubili nell'acqua
(oltre 1000 mg/1) e vi permangono a lungo, giacché la loro emivita è
200 giorni. Il rame è soggetto a bioaccumulazione. Nei pesci, infatti,
la sua concentrazione è notevolmente maggiore che nell'acqua nella
quale essi vivono (1).

Bibliografia: (1) New Jersey Department of Health, Trenton, NJ, luglio 1986.
(2) Bressa G., 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi, tossicologia e primo
intervento. Masson Edizioni S.p.A., Milano.
ZINCO

Formula bruta: Zn
Composti: ZnCl2 Cloruro di zinco
# CAS: 7440-66-6 (zinco)
7646-85-7 (cloruro di zinco)

Caratteristiche
Impiego: Lo zinco è uno dei più comuni elementi della crosta terrestre ed è un
metallo lucente, tenero e di colore bianco con sfumature bluastre. E' usato come
rivestimento antiruggine per ferro ed acciaio, nelle pile a secco e per la fabbricazione
di leghe metalliche di ottone e bronzo. E' usato inoltre come polvere per vernici c
coloranti (3). Vengono utilizzati in larga misura anche i sali di zinco: l'ossido nella
produzione di gomma. linoleum, vernici, ceramiche, cosmetici e tessuti; il cloruro
come conservante del legno e nelle batterie a secco; il bromuro nelle emulsioni
fotografiche; il solfato nel rayon, nelle colle. fertilizzanti e nei tessuti: il cromato in
pigmenti per vernici e il caprilato in fungicidi 4).

Peso molecolare: 65.38

Punto di fusione: 419.4°C

Punto di ebollizione: 907°C

Solubilità: Insolubile in acqua a 20°C, ma solubile in acidi e in alcali.

Proprietà chimiche : Quando lo zinco metallico viene riscaldato in presenza di aria


a temperature che si avvicinano al suo punto di ebollizione, esso volatilizza sotto
forma di fumo bianco di ossido di zinco, il quale rappresenta il maggior rischio per la
salute. Lo zinco in polvere può formare miscele esplosive in aria umida o ad elevata
temperatura e quindi può costituire un rischio di incendio. Inoltre reagisce
violentemente a contatto con alogeni (cloro, fluoro e bromo). metalloidi (zolfo,
arsenico, selenio, tellurio, ecc.), agenti ossidanti (clorato di potassio, acido nitrico,
nitrato di ammonio ed ossidi di metalli). idrocarburi alogenati. nitrobenzene.
dicloruro di manganese e idrato di sodio (4).

Metodi di analisi: Assorbimento atomico

Tossicologia

Tossicocinetica - Metabolismo: L'assorbimento gastrointestinale dei sali di


zinco solubili è assai variabile, dell'ordine del 50% circa della quantità assunta
con gli alimenti, e dipende dalla concentrazione di zinco nella dieta.
L'inalazione di sali di zinco dà luogo ad un accumulo transitorio nei polmoni
prima del passaggio in circolo. Lo zinco viene distribuito a tutti gli organi e
tessuti ed è presente in concentrazioni elevate nelle ossa, nella cute, nella
prostata e nello sperma. Viene escreto principalmente con le feci, solo il 10%
dello zinco assorbito è invece escreto con le urine (4).

Sorveglianza biologica: Analisi del sangue, elle feci, delle urine e della saliva.
Per esposizioni a lungo termine si effettua anche l'analisi dei capelli (2).

Cancerogenicità: Sulla base delle informazioni disponibili presso il


Dipartimento per la Salute del New Jersey, sullo zinco non sono stati effettuati
esperimenti per saggiarne la capacità di causare tumori negli animali. I dati
sugli effetti cancerogeni dello zinco sull'uomo sono insufficienti (3). Sono stati
effettuati studi sugli effetti dello zinco somministrato per motivi terapeutici:
sono inoltre stati confrontati i livelli di zinco nei tessuti normali e in quelli
tumorali. Da una serie di studi effettuati su lavoratori esposti a composti dello
zinco, non si è riscontrato alcun aumento nell'incidenza dei tumori; tuttavia si
sono potuti riscontrare altri effetti come una leggera leucocitosi, febbre da fumi
metallici, anomalie respiratorie e ipocalcemia (EPA). E' stata confermata la
cancerogenicità nell'uomo dello zinco cromato (4).

Effetti sulla riproduzione: Sulla base delle informazioni disponibili presso il


Dipartimento per la Salute del New Jersey, sullo zinco non sono stati effettuati
esperimenti per saggiarne la capacità di influenzare la riproduzione degli
animali (3). Alcuni esperimenti sugli animali hanno mostrato che esposizioni
giornaliere a dosi molto alte di zinco sono associate a un incremento dei difetti
scheletrici nei topi, a exencefalia nei criceti e a un aumento dell'incidenza delle
malformazioni congenite nei ratti. Un altro studio ha tuttavia dimostrato che,
sebbene alti livelli giornalieri di solfato di zinco abbiano ridotto il tasso di
concepimento nei ratti, non sono stati osservati effetti negativi del trattamento
sull'accrescimento e sullo sviluppo del feto (I). Mentre varie ricerche hanno
dimostrato gli effetti negativi della carenza di zinco nella riproduzione degli
animali, i dati sugli esseri umani riguardo a questo argomento sono scarsi. Il
ruolo dello zinco nella fertilità maschile non è completamente chiaro (1).
Adolescenti con carenze di zinco nella dieta possono presentare uno scarso
sviluppo degli organi sessuali e un rallentamento della crescita. Se una donna in
gravidanza non assume zinco a sufficienza può dare alla luce bambini con
ritardi dell'accrescimento (1).

Tossicità acuta: Avvelenamenti da ingestione di grandi quantità di sali di zinco


sono abbastanza comuni. Tipicamente, essi risultano da un impropria
conservazione di liquidi o cibi acidi in recipienti in cui l'acido scioglie lo zinco
metallico che riveste il ferro. Non si sa se l'esposizione a zinco metallico causi
effetti acuti alla salute, ma se esso viene riscaldato può dare luogo a fumi di
ossido di zinco tossici (I). Prove cutanee effettuate su conigli, cavie e topi con
composti di zinco hanno determinato irritazioni (2). Lo zinco può produrre effetti
tossici acuti su animali e piante che possono portare alla loro morte o, per le
piante, a un ridotto accrescimento. Tali effetti possono presentarsi dopo 2-4
giorni dall'avvenuto contatto con il metallo. Lo zinco e i suoi composti
presentano una elevata tossicità acuta per gli organismi acquatici, maggiore
nelle acque meno dure. Non sono tuttavia sufficienti i dati disponibili per
valutare o prevedere gli effetti a breve termine del metallo e dei suoi composti
sugli organismi (3). 1 composti dello zinco sono relativamente atossici per
l'uomo a causa di un meccanismo omeostatico efficiente di questo elemento.
L'inalazione di aria contenente ZnO da 1 a 34 mg/m3 produce "febbre da fumi
metallici" Gli effetti tossici dello zinco derivano dalla complessa interazione
con altri elementi essenziali come ferro, rame, magnesio e calcio. La DL orale
per il solfato di zinco nei ratti è di 2200 mg/kg (4).

Tossicità cronica: Gli effetti tossici cronici dello zinco sugli animali possono
includere: accorciamento della vita, problemi riproduttivi, riduzione della fertilità e
modificazioni dell'aspetto e del comportamento. Tali effetti possono manifestarsi
anche molto tempo dopo la prima esposizione al composto tossico (3). Lo zinco e i
suoi composti presentano una elevata tossicità cronica per gli organismi acquatici.
Non sono tuttavia sufficienti i dati disponibili per valutare o prevedere gli effetti a
lungo termine del metallo e dei suoi composti sugli organismi (3).

Sintomatologia

Ingestione: Disturbi gastrici, nausea. vomito, diarrea, anemia, danni al


pancreas. spossatezza, ottundimento dei riflessi tendinei, leucopenia,
depressione del SNC, tremori. shock. collasso. morte.

Inalazione :Febbre da fumi metallici. ipertermia. malessere, depressione.


nausea, secchezza delle fauci e della cute, cefalea, tosse con catarro.
Rimedi: trasferire l'infortunato all'aria aperta. Contatto cutaneo:

Irritazioni. Rimedi: lavare abbondantemente con acqua e sapone.

Contatto oculare: Irritazioni e abrasioni. Rimedi: lavaggio immediato.

Ambiente e agronomia

Degradazione nel suolo: La diffusione dello zinco nell'ambiente può avvenire


in parte da processi naturali. ma nella maggior parte dei casi deriva da
attività estrattive, da produzione di acciaio, da processi di combustione
e dall'incenerimento dei rifiuti. Esso si lega ai sedimenti del suolo ed è
presente nell'aria come particelle sospese che la pioggia e la neve
possono far depositare sul suolo dove possono contaminare le acque
profonde. i laghi e i fiumi. La maggior pane dello zinco resta legato
alle particelle di suolo e si può accumulare in pesci, altri organismi,
ma non nelle piante (2). Lo zinco e i suoi composti tendono a
bioaccumularsi negli organismi acquatici. La loro persistenza in acqua
è molto lunga, giacche la loro emivita è 200 giorni (3).

Bibliografia: (1) Dreisbach R. and W. Robertson, 1987 Handbook of Poisoning:


Prevention, Diagnosis
and Treatment. Twelfth Edition. Los Altos, Appleton and Lange. (2) ATSDR
(Agency for Toxic Substances
and Disease Registry) - ToxFAQs. September 1995. (3) New Jersey Department of
Health, Trenton. NJ.
gennaio 1986. (4) Bressa G.. 1997. Le sostanze pericolose. Impieghi
tossicologia e primo intervento. Masson Edizioni S.p.A.. Milano.

Potrebbero piacerti anche