ILLUMINISMO

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ILLUMINISMO

Il termine deriva da lume ovvero luce, gli illuministi intendevano infatti illuminare gli
uomini con la luce della ragione e della scienza. La società di quei tempi si basava su
un principio indiscutibile e cioè che i re assoluti governavano per diritto divino e i
rapporti sociali erano immutabili perché così erano stati voluti da Dio.
La società era divisa in ordini: clero, nobiltà e terzo stato, costituito da borghesi e
contadini ed era fondata su un’economia prevalentemente agricola. Il clero e
l’aristocrazia godevano di molti privilegi mentre la maggior parte della popolazione
non aveva alcun diritto. C’era infatti molta disparità tra le classi sociali, soprattutto di
fronte alla legge.
Gli illuministi contestavano proprio questo ordine sociale basato sulla
disuguaglianza.
L’illuminismo nato in Inghilterra verso la fine del 700 si sviluppò soprattutto in
Francia per poi diffondersi in tutta Europa. Quello che gli illuministi volevano era il
raggiungimento della felicità e sostenevano che la luce della ragione avrebbe dovuto
indirizzare gli uomini verso la via del progresso. Ecco perché quel periodo del 700
viene chiamato “secolo dei lumi”.
L’illuminismo fu un movimento laico cioè che non aderiva ad una chiesa in
particolare. Questo non significava necessariamente non credere in Dio; gli
illuministi condannavano le stragi delle guerre di religione, che avevano
insanguinato l’Europa tra 500 e 600 e sostenevano che nessun uomo avrebbe
dovuto più uccidere in nome di Dio; essi promuovevano la tolleranza al fanatismo
religioso.
L’intolleranza, la monarchia assoluta, le persecuzioni religiose, i privilegi dei nobili, la
disuguaglianza, la censura, facevano ormai parte dell’antico regime che gli illuministi
vedevano rappresentati nella monarchia assoluta francese e nella chiesa cattolica.
Queste istituzioni erano molto contestate, addirittura la chiesa poiché essa
imponeva di avere fede, l’esatto contrario di ciò che loro sostenevano.
Il mondo nuovo a cui loro ambivano era rappresentato dall’Inghilterra, la nazione
che con la rivoluzione aveva realizzato l’equilibrio tra monarchia e Parlamento e
garantito le libertà individuali sancite dalla Costituzione.
Il compito di far capire come agire secondo ragione era stato assegnato agli
intellettuali. Quel ruolo nel secolo dei lumi cambiò radicalmente rispetto al passato.
L’intellettuale illuminista non è più colui che ha il ruolo di custodire il sapere e la
tradizione ma di indicare a tutti, soprattutto i governanti, come agire secondo
ragione per creare e garantire il benessere generale della popolazione.

Tra i principali intellettuali illuministi ci sono tre filosofi politici che studiarono e
proposero forme di organizzazione sociale più giuste per assicurare la pubblica
felicità.

MONTESQUIEU: il francese Montesquieu sosteneva che ogni popolo dovesse


scegliere la forma di governo più adatta perché non esiste un modello politico
uguale per tutti. Egli creò la teoria della separazione dei poteri per la quale è
necessario creare un equilibrio fra i 3 poteri fondamentali dello stato: il potere
legislativo, esecutivo e giudiziario. Se questi poteri sono concentrati nelle mani di
una sola persona allora ci saranno sempre ingiustizie; al contrario se i poteri sono
divisi e spettano a persone e organismi diversi, ciascuno controllerà il potere
dell’altro e cercherà di limitarlo con il proprio.
Poi c’è VOLTAIRE e secondo lui il governo non deve obbligare il popolo a seguire
ideali ai quali non credono
Infine c’è ROSSEAU che propose l’idea di uno stato democratico fatto di persone che
si uniscono volontariamente ad esso, perché vivere insieme è più conveniente di
vivere da soli. Lo stato nasce allora come un patto fra cittadini, che Rousseau chiama
contratto sociale, perciò il potere politico appartiene al popolo e i governanti sono
solo funzionari ai quali il popolo avevano affidato un compito. Anche l’approvazione
delle leggi.
Come filosofi illuministi italiani abbiamo Cesare Beccaria

Per far conoscere tutto ciò che l’uomo aveva scoperto grazie alla ragione della
scienza gli illuministi diedero vita ad una grande opera: L’Enciclopedia. Gli autori
furono 150 e la direzione fu assunta da un filosofo e un matematico: Diderot e
d’Alembert. Essa conteneva circa 60.000 voci relative a tutti i campi del sapere ed è
divisa in 28 volumi. L’enciclopedia oltre a fornire informazioni dove persuadere il
pubblico della validità delle idee illuministe; per questo fu censurata dal re di Francia
e anche dalla chiesa che la inserì nell’indice dei libri proibiti, vietandone l’acquisto ai
cattolici. Nonostante tutto l’Enciclopedia ebbe un grandissimo successo
In Gran Bretagna e in Olanda, all’epoca i paesi più liberi d’Europa, si affermo il nuovo
fenomeno dell’opinione pubblica. Con questa espressione si intende ciò che pensa la
maggioranza della gente. Questa espressione iniziò ad essere usata alla fine del 700
grazie al diffondersi delle idee di uguaglianza e di libertà. All’epoca l’espressione
pubblica non sarebbe servita perché effettivamente a chi interessava ciò che
pensava la gente? Il popolo non contava nulla e quindi nessuno contava la sua
opinione.
Insieme all’invenzione della stampa e dei giornali, nacquero anche nuovi luoghi
d’incontro come i caffè. Il primo caffè europeo venne aperto nel 1645 a Venezia, ma
ben presto la moda arrivò in Inghilterra e poi si diffuse anche in Francia. I clienti
erano solo uomini perché alle donne era vietato frequentarli. Qui si leggevano i
giornali, si discuteva delle notizie del giorno, di politica e di letteratura.

L’Europa nel Settecento: un continente giovane

Intorno alla metà del Settecento avvenne in Europa un fenomeno nuovo: la


popolazione iniziò a crescere e non trovò più ostacoli che la fermassero. Per tutto il
Medioevo l’andamento della popolazione fu ciclico. L’incremento demografico
suscitò fra gli studiosi reazioni contrastanti. L’inglese Malthus espresse ad esempio
la sua preoccupazione che a una crescita incontrollata potessero seguire crolli
spaventosi pari a quelli dei secoli precedenti. I fattori che fecero aumentare la
popolazione furono diversi. Intanto, diminuirono le cause di morte: dopo il 1720
scomparvero le epidemie di peste. Anche le guerre, nel Settecento, furono meno
distruttive. Ma un’importanza fondamentale ebbero il miglioramento
dell’alimentazione e la diminuzione delle carestie dovute a due coltivazioni
importate dal Nuovo Mondo: il mais e la patata. Per l’insieme di questi fattori, calò
la mortalità e la vita media si allungò. In queste condizioni, l’alto livello delle nascite
assicurò la crescita della popolazione che obbligò ad ampliare le terre coltivate e a
migliorare le tecniche agricole.
È bene dire subito che le grandi trasformazioni agricole avvennero solo in
Inghilterra, Olanda, in alcune aree della Francia e della pianura padana. L’Inghilterra
fu il paese dove si verificarono le maggiori innovazioni, che poi si estero
progressivamente ad altre zone d’Europa con l’applicazione di un nuovo sistema di
rotazione ciclica. A questo tipo di rotazione, che lasciava quasi inutilizzato un terzo
del terreno ogni anno, se ne sostituirono altri che consentivano di coltivare il
terreno tutti gli anni. A queste innovazioni tecnologiche si accompagnò un altro
importante cambiamento: la trasformazione dei rapporti sociali, cioè del rapporto
fra proprietari e contadini. Ciò richiedeva innanzitutto notevoli capitali, che il piccolo
proprietario certamente non possedeva, e in secondo luogo la possibilità di creare
aziende capitalistiche, che lavorassero grandi appezzamenti di terreno affiancando
al pascolo le più diverse colture. Perciò i grandi proprietari ottennero dal
parlamento il diritto di effettuare recinzioni (enclosures) delle terre di uso comune.
Le recinzioni permettevano di creare aziende sempre più estese, il cui proprietario
investiva capitali per aumentare la produttività e utilizzava manodopera salariata.
Nobili, contadini e borghesi nell’Europa del Settecento

Nel Settecento la società veniva ancora immaginata, come nel Medioevo, articolata
in tre ceti. In tutta Europa i nobili costituivano un gruppo privilegiato. La proprietà
terriera e l’appartenenza a una antica casata aristocratica garantivano loro diritti
maggiori rispetto agli altri ceti. Molti privilegi erano goduti anche dal clero, al cui
interno esistevano però forti differenze. All’altro capo della scala sociale stavano i
contadini. La loro condizione era l’opposto di quella dei nobili. Nell’Europa orientale,
in Spagna e nell’Italia meridionale il contadino dipendeva strettamente dal signore.
Migliori erano le condizioni dei contadini dell’Europa centrale e occidentale, dove i
nobili avevano mantenuto solo alcuni diritti feudali. Tra i nobili e i contadini si
collocava poi la borghesia, prevalentemente insediata nelle città. Questo gruppo era
molto variegato, perché comprendeva grandi finanzieri, banchieri e mercanti, ma
anche avvocati e giudici, notai, e ancora proprietari di laboratori e artigiani e di
botteghe. Da questo ceto veniva la maggior parte dei funzionari dello stato.
Artigiani, bottegai e professionisti erano organizzati in associazioni professionali
(Corporazioni) che partecipavano all’amministrazione delle città. Là dove la
borghesia non aveva ancora conquistato il potere, era sempre più insofferente dei
privilegi goduti dalla nobiltà e del suo dominio fondato sulla nascita ed ereditato di
generazione in generazione. L’uguaglianza giuridica, cioè l’uguaglianza di tutti i
cittadini di fronte alla legge dello stato, senza distinzione di nascita, fu però la
grande parola d’ordine della borghesia settecentesca nella sua lotta contro
l’aristocrazia.
Guerre e diplomazia nel Settecento
Dopo le paci di Utrecht e di Rastadt (1713-14), che avevano concluso la guerra di
successione spagnola, i rapporti tra le grandi potenze europee si ispirarono alla
politica di equilibrio. Per circa un ventennio si sviluppò ampiamente la diplomazia,
che affrontò, senza ricorrere alle armi, le innumerevoli ragioni di conflitto. Anche le
due successive guerre della prima metà del secolo furono accompagnate da trattive
diplomatiche e si ispirarono alla logica di mantenere l’equilibrio politico in Europa.
Come la guerra di successione spagnola, esse furono originate da problemi dinastici:
la prima (guerra di successione polacca, 1733-38) vide la Francia, la Spagna e i Savoia
opporsi all’Austria e alla Russia per il controllo della corona polacca e si concluse con
la sconfitta dell’Austria, che dovette cedere ai Borbone i suoi domini nell’Italia
meridionale. La seconda guerra scoppiò per la successione al trono d’Austria (1740-
48) e si concluse senza mutare l’equilibrio precedente. Dal 1757 al 1763, infine, i
paesi europei furono impegnati nella guerra dei Sette anni, che rappresentò una
svolta nella politica mondiale. Da un lato erano schierate la Francia, l’Austria e la
Spagna: dall’altro Inghilterra, la Prussia, che da sola sostenne vittoriosamente
l’attacco degli altri stati europei. La guerra ebbe due principali conseguenze: la
Francia perse molti dei suoi domini americani a vantaggio dell’Inghilterra, che
diventò la principale potenza coloniale; in secondo luogo, la guerra confermò il fatto
che sul continente europeo nessuno stato poteva prevalere sugli altri. Dal 1763 alla
fine del secolo l’Europa occidentale attraversò un periodo di pace; a est si assistette
all’espansione delle nuove potenze, Prussia e Russia, e dell’Austria. Quanto alla
Polonia, in vent’anni (1772-1795) il suo territorio fu interamente spartito tra russi
prussiani e austriaci. Alla metà del secolo, dunque, gli Asburgo d’Austria videro i loro
domini ampliati verso sud e verso oriente: le vittorie sui turchi avevano fruttato
l’annessione dell’Ungheria e di gran parte della Serbia, aprendo la via della
penetrazione nei Balcani; solido era il dominio austriaco in Lombardia. Prendeva così
corpo un impero multinazionale, formato da diversi popoli e diverse nazioni.
Il nuovo re di Prussia, Federico II (1740-1786) proseguì la politica del padre. Grande
generale, all’inizio del suo regno aggredì l’Austria e le tolse la Slesia. Federico II
ottenne in tal modo tre risultati: dimostrò che la Prussia era una grande potenza, la
propose come principale stato tedesco al posto dell’Austria, creò le premesse per il
suo sviluppo industriale. La Slesia era infatti ricca di ferro e carbone. Alla fine del
regno di Federico II la Prussia era uno degli stati tedeschi più ricchi, anche se aveva
l’aspetto di una grande caserma con capitale Berlino. L’alleanza con i grandi nobili e
la forza dell’esercito permettevano alla monarchia assoluta di controllare ogni
aspetto della vita del paese.

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