Fondamenti Omeo

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Paolo Bellavite

Andrea Signorini

FONDAMEI\TI TEORICI
E SPERIMENTALI
DELLA
MEDICII\A OMEOPATICA

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@ 7992, Nuova Ipsa Editore srl, Via G. Crispi, 50, 90145 Palermo - Tel. 091/6819025

Tutti i diritti riservati


Indice generale

PREFAZIONE

13 1. INTRODUZIONE

za 2. PRINCIPI FONDAMENTALI
E BREVE STORIA DELL'OMEOPATIA

20 2.1. La legge dei simili


22 2.2. Il farmaco (o ,,rimedio,') orneopatico
24 2.3. L,Organon di Hahnemann
3t 2.4. Il contrastato sviluppo dell,omeopatia
34 2.5. Varianti dell,omeopatia classica
34 2.5. l. Storia dell,isopatia
37 2.5.2. Terminologia e definizioni di isoterapia,
nosodi e
bioterapici
38 2.6. La omotossicologia
42 2.7. I-a situazione attuale dell,omeopatia

3. L'OMEOPATIA È ETF.ICACBT

46 3.1. Evidenzeempiriche
49 3.2. Ricerca clinica
62 4. RICERCHE SU ANIMALI E DI LABORATORIO

62 4.1. Sperimentazione su animali e sull'uomo sano


69 4,2. Studi su organi isolati
70 4,3. Studi su cellule ,.in vitro,'
78 4'4' Prime concrusioni derivab,i dagri studi sperimentari
81 4.5. Verso nuovi paradigmi
86 5. COMPLESSITÀ, INFORMAZIONE E INTEGRAZIONE

87 5.1. La complessità delle malattie


94 5.2. Un esernpio di sistema biologico complesso:
l'infiammazione
Indice generale

95 5.2. 1. C aratteristiche fonda*, nrolf del processo


infiammatorio
103 5.2.2. Rapporti tra il focolaio inftammatorio ed il resto
dell'organismo
106 5.2.3. Le dfficoltà di regolare I'infiammazione
711 5.3. Un altro esempio: il cancro
113 5.3. 1. Controllo biochimico della proliferazione cellulare
117 5.3.2. Oncogeni e proto-oncogeni
1,23 5.3.3. I fattori promoventi e la progressione neoplastica
128 5.3.4. Problemi legati ai possibili interventi terapeutici
13t 5.3.5. Medicina omeopatica e oncologia moderna
134 5.4. Omeostasi e complessità
139 5.5. L'informazione
L44 5.6. Le dosi, i sistemi bersaglio e gli effetti
144 5.6. 1. Effetti apparentemente paradossali
149 5.6.2. Le dosi
156 5.6.3. I recettori e i sistemi di trasduzione
r63 5.7. Caos e frattali
t74 5.8. Discussione generale sulla complessità
175 5.8.1. Nascita di un comportamento complesso
181 5.8.2. Riassunto delle proprietà dei sistemi complessi

186 OMEOSTASI, COMPLESSITÀ E OMEOPATIA:


LA "LEGGE DI SIMILITUDINE"

r87 6.1. Modo d'azione del farmaco omeopatico


L94 6.2. Discussioni sul modello presentato
1,94 6.2. 1. L' a g grav arnento
794 6.2.2. Ulteriori gradi di complessità
L97 6. 2. 3. L' indiv idualizzazione
198 6.2.4. Le dosi
200 6.2.5. Effetti inibitori o antagonistici
203 6.2.6. Rapporti con altre terapie
205 6.2.7. Limiti dell' omeopatia
207 6.3. Il principio di similitudine a livello farmacologico
e fisiopatologico
207 6.3. 1. C onsiderazioni sulla " scientificità " dell' omeopatia
210 6.3.2. La storia delln nitroglicerina, un farmaco
omeo-allopatico
Indice generale

27r 6.3.3. Belladonna, Hyosciamus, Stramonium


213 6.3.4. Gruppi chimici presenti in piante ad
effetto antispastico: polieni e cumarine
21,4 6.3.5. Ipeca o Cephaelis ipecacuanha
216 6.3.6. Derivati antracenici e sindromi diarroiche
2t6 6.3.7. Coffea
2L9 6.3.8. Principi attivi ed effetto inverso
219 6.4. Considerazioni sull,autoemoterapia

226 7. IL PARADIGMA BIOFISICO

228 7.1. Biofisicadell'acqua


229 7. 1. 1. Alcune caratteristiche dell, acqua
233 7. 1.2. La superradianza
236 7.1.3. "Attivazione" dell,acqua e reazioni colloidali
239 7.1.4. Modelli dei clatrati e simili
241 7.1.5. Spettroscopia NMR e infrarosso
243 7,2. Effetti biologici di campi elettromagnetici
243 7.2. 1.Effetti sull' organismo
246 7.2.2. Effetti molecolari e cellulari
252 7,3. Elettroagopuntura
252 7.3.1. Punti e meridiani
253 7.3.2. EAV
26L 7.4. Alte diluizioni, caos e frattali
262 7.4.1. Transizione dal caos all,ordine
263 7.4.2. D inamiche frattali
265 7.5. Discussione sullromeopatia delle alte dituizioni
266 7. 5. 1. O scillazioni lontane dall, equilibrio

268 7.5.2. Bifurcazioni


271 7.5.3. Approccio integrato e specificità

274 8. PROSPETTIVE

279 BIBLIOGRAFIA

INDICE ANALITICO
Esaminate ogni cosa,
tenete ciò che vale

(S. Paolo, 1Ts 5, 21)


PREEAZIONE

Se c'è qualcosa di antiscientifico in un sistema di pensiero, questo è soprattutto


il pregiudizio, e con esso ogni condizionamento ideologico che possa allontanare
dal discorso razionale.
In questo libro viene presentato appunto, un discorso razionale, lucido e
misurato, che chiede di essere valutato con atteggiamento critico scientifico. Esso,
infatti, criticamente affronta la questione omeopatica sulla scorta di aggiornate
descrizioni dei processi di amplificazione delle incertezze, che hanno parte inte-
grante nei meccanismi patogenetici.
È oggi possibile un approccio ai fenomeni omeopatici sulla scorta di queste
conoscenze dell'incomputabilità e della instabilità dei sistemi (caos deterministico,
sistemi non lineari lontani dall'equilibrio, incefiezze quantiche).
Lo sforzo critico del presente lavoro merita un forte apptezzamento da parte
di chiunque sia interessato all'ampliamento delle frontiere della scienza.

Prof. Mario Zatti


Direttore dell'Istituto di Chimica e Microscopia Clinica
Università di Verona
PREEAZIONE

Se c'è qualcosa di antiscientifico in un sistema di pensiero, questo è soprattutto


il pregiudizio, e con esso ogni condizionamento ideologico che possa allontanare
dal discorso razionale.
In questo libro viene presentato appunto, un discorso ruzionale, lucido e
misurato, che chiede di essere valutato con atteggiamento critico scientifico. Esso,
infatti, criticamente affronta la questione omeopatica sulla scorta di aggiornate
descrizioni dei processi di amplificazione delle incertezze, che hanno parte inte-
grante nei meccanismi patogenetici.
È oggi possibile un approccio ai fenomeni omeopatici sulla scorta di queste
conoscenze dell'incomputabilità e della instabilità dei sistemi (caos deterministico,
sistemi non lineari lontani dall' equilibrio, incertezze quantiche).
Lo sforzo critico del presente lavoro merita un forte apprezzamento da parte
di chiunque sia interessato all'ampliamento delle frontiere della scienza.

Prof. Mario Zatti


Direttore dell'Istituto di Chimica e Microscopia Clinica
Università di Verona
INTRODUZIONE

L'omeopatia rappresenta un caso molto singolare nella storia della medicina:


sviluppatasi apartire dalle idee e dagli esperimenti di C.F. Samuel Hahnemann nei
decenni tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, ha avuto alterne fortune
e diffusione diversificata nei vari continenti, ma la cosa che più stupisce è che ancor
oggi, dopo 200 anni e dopo l'enorme sviluppo degli strumenti di ricercabiomedica,
non vi sia consenso né sulla sua efficacia, né sul suo meccanismo di azione. D'altra
parte, considerando le sempre crescenti applicazioni pratiche dell'omeopatia, che
solo in Europ aè:utilizzafada circa 30 milioni di persone e ha recentemente ricevuto
una forma di riconoscimento anche in sede di Parlamento Europeo, non si può non
concordare sul fatto che gli studi sulla sua efficacia, la definizione dei campi di
applicazione e la razionali zzazione delle basi teoriche siano non solo auspicabili sul
piano scientifico ma anche necessarie sul piano delle implicazioni socio-sanitarie
ed economiche. Tali questioni fondamentali saranno qui affrontate, sulla base di un
approccio critico e razionale.
Un'opinione molto diffusa tra i medici è che non esistano prove convincenti
dell'efficacia dell'omeopatia, trattandosi sostanzialmente di una trovata commer-
ciale che sfrutta l'effetto placebo. Tale opinione si fonda sull'indubbia esistenza sia
dell'effetto placebo che, purtroppo, di fenomeni di abusivismo e sfruttamento
commerciale. Un altro comune modo di vedere l'omeopatia è quello che la assimila
ad altre pratiche alternative, come ad esempio la pranoterapia o le medicine
orientali.
A nostro avviso, simili posizioni non colgono tutta la complessità e la realtà del

fenomeno, soprattutto per il fatto che spesso vengono espresse senza un approfon-
dito esame della letteratura disponibile al riguardo. Il fatto è che la letteratura del
settore è difficilmente reperibile nelle nostre biblioteche, la materia non è insegnata
nella facoltà di medicina e, inoltre, le non numerose e spesso imprecise notizie che
filtrano, soprattutto ad opera delle case farmaceutiche, tendono a perdersi nella
pletora di dati, notizie e messaggi da cui oggi sia medici che ricercatori in campo
biologico e farmaceutico sono letteralmente sommersi. Laragioneprincipale di tale
scarsezza di informazioni sull'omeopatia nel pubblico risiede però nella quasi
74 Introduzione

totale incomunicabilità fra sistemi medici giudicati, da una parte e dall,altra,


alternativi. Tale incomunicabilità ha radici storiche e socio-economiche e risente
di difficoltà terminologiche e lessicali, nonché di problemi epistemologici (riguar-
danti il procedere del sapere scientifico) che saranno in seguito ampiàmente
illustrati. L'esperienza e la letteratura omeopatiche sono state spesso confinate in
un mondo del tutto a sé stante, autosufficiente e nel contempo difficile da giudicare
secondo le categorie della medicina moderna.
Questa situazione sta oggi, lentamente ma progressivamente, cambiando. Nel
febbraio 1991 il British Medical Journal ha pubblicato un lavoro dal titolo',Clinical
Trials in Homeopathy", eseguito da ricercatori del Dipartimento di Epidemiologia
dell'università di Limburg (olanda), in cui si passano in rassegna 107 pubb licazio-
ni su trials controllati in omeopatia [Klejinen et al., 1991]. Nonostante la maggior
parte di tali lavori non fossero di buona qualità, gli autori stessi (non omeopati;
affermano di essere stati stupiti dalla mole di evidenze positive trovata in questi
studi e che si presenta urgente e necessario un grosso sforzo per raccogliere
ultèriori
evidenze, mediante studi ben impostati e sotto strette condizioni di doppio cieco.
Non è quindi vero che non esistano studi controllati e seri sulla medicim o-ropu-
tica, anche se è vero che tali studi sono troppo pochi e di qualità troppo scarsa per
raggiungere conclusioni sicure.
Uno dei propositi di questo lavoro è proprio quellci di presentare una panoramica
della letteratura che si riferisce a ricerche cliniche e di base rilevanti per la
comprensione dell'omeopatia. La ricerca di tale letteratura è stata piuttosto lunga
e laboriosa, così che probabilmente non può dirsi completa ed esaurient", pu,
rappresentando certamente un valido campione delle ricerche finora eseguite ed
anche di quelle in corso. Spesso è stato necessario richiedere materiale biÉliogra-
fico direttamente ai ricercatori interessati o ricorrere ai volumi degli atti di
congressi delle Associazioni" omeopatiche o dell,International Study Group on
Very Low Dose Effects (GIRI). La panoramica che ne risulta è quella di un settore
in espansione, dove però i gruppi impegnati in serie ricerche ,ono un"oru relativa-
mente pochi (per lo più localizzati nell'area europea) rispetto alla vastità e
l' importanza delle problematiche aperte.
L'ipotesidifondochequisicercheràdiillustrareèquindiche ilprogressodella
ricerca biomedica da una parte e I'evoluzione d.ell,omeopatia dall,altra, stanno
portando ad una sempre maggiore convergenza dei due sistemi, un tempo consi-
derati alternativi. Se ragioni di conflitto esistono, queste vanno cercate su piani
diversi da quello scientifico, che è costituito esclusivamente da osservazioni
empiriche, ipotesi ed esperimenti. La scienza, là dove cerca di interpretare la realtà
rispettando umilmente il dato sperimentale ) seflza aver paura di costruire ipotesi
anche ardite, non può essere divisa in ufficiale ed alternativa.
Qui si cercherà di
dimostrare come l'affronto dell'omeopatia con I'ottica di una scienza aperta riservi
Introduzione 15

grandi sorprese ed affascinanti campi di indagine sia al medico pratico che al


ricercatorebiologo*j .rn
Nella pratica, se un trattamento funziona, la conoscenza del suo meccanismo
d'azionenon ènecessaria. Questaèmolto probabilmentelaprincipale ragionedella
larga diffusione dell'omeopatia (soprattutto nel XIX secolo), che dall'inizio si è
posta il problema del risultato più che della teoria [Hahnemann, 1985]. D'altra
parte, si potrebbero fare molti esempi di farmaci usati nella medicina convenzio-
nale in cui il meccanismo d'azione è scarsamente conosciuto. Si è visto recente-
mente che persino la comunissima aspirina agisce per vie biochimiche diverse, o
comunque non coincidenti, da quelle precedentemente conosciute [Weissmann,
1991]. Lo stesso dicasi della nitroglicerina, usata per più di un secolo senza che si
conoscesse il meccanismo della vasodilatazione da essa indotta, consistente nel
mimare il suo corrispettivo fisiologico, l'ossido nitrico. Pur tuttavia, la questione
del meccanismo d'azione del farmaco (o "rimedio") omeopatico è evidentemente
molto più importante e radicale: assumere che una sostanza diluita praticamente
all'infinito ,in una soluzione di acqua ed alcool abbia azione farmacologica
necessiterebbe di una spiegazione convincente basata su dimostrazioni di fisica,
chimica e biologia. AIlo stato attuale delle conoscenze) la mente del medico
moderno si rifiuta di credere che preparazioni che contengono solo il solvente
possano avere azioni farmacologiche.
L'affermata o presunta efficacia dell'omeopatia sarà oggetto specifico dei
capitoli 3 e 4,maciò che più chiaramente emerge dalla citata rassegna di Kleijnen
et al. (e anche dalle comuni discussioni sull'argomento) è che dfficilmente si può
ffiontare un discorso sull'fficacia della omeopatia in assenza di una plausibile
spiegazione del suo meccanismo d'azione.Lascientificità di un metodo di cura non
dipende tanto dalla percentuale di successi, bensì dal fatto che un risultato clinico
sia in coerenza con una teoria fisiopatologica, biochimica e farmacologica.
La situazione attuale dell'omeopatia spinge quindi fortemente verso ulteriori
studi e sperimentazioni per stabilire se effetti significativi dei rimedi omeopatici
siano inequivocabilmente dimostrabili, mentre, nello stesso tempo, c'è bisogno di
una teoria, o quanto meno di ipotesi percorribili, per cercare spiegazioni ragione-
voli degli effetti osservati. Solo la paziente, libera e metodica ricerca condotta su
molti piani, clinico, laboratoristico, epidemiologico, fisico-chimico, potrà forse
dipanare Ie questioni tuttora irrisolte. Regola basilare della ricerca è che, per
effettuare studi con un senso compiuto e che possano definirsi scientifici, è
necessario basarsi su una ipotesi di lavoro da sottoporre averifica, o a invalidazio-
ne, mediante osservazioni ed esperimenti. La scienza avanzaper successivi cicli di
teorie e sperimentazioni, essendo entrambe momenti essenziali. Non si fa scienza
solo accumulando dati sperimentali o solo costruendo teorie non verificabili. Per
questa ragione, una consistente parte di questo libro sarà dedicata al tentativo di
16 Introd.uzione

costruire un quadro di riferimento teorico che consenta sia di spiegare quanto già
si sa, sia di individuare nuove linee di ricerca.
Lo studio delle basi scientifiche della medicina omeopatica avrà in futuro
notevoli riflessi sullo stesso mondo dell'omeopatia, che si è diviso in varie scuole
tra loro spesso in acceso contrasto. Probabilmente, è proprio la pressoché totale
mancanza di una teoria scientifica a giustificare una tale frammentazione e
l'impossibilità di venire a capo di dispute dottrinali. Ciò non va tanto a scapito dei
risultati, ma piuttosto compromette seriamente un possibile sviluppo futuro di
questo settore della medicina, all'altezza degli standard qualitativi oggi richiesti e
delle nuove patologie emergenti. Qui non si vuole entrare nel merito di tali dispute,
che riguardano soprattutto la metodologia clinica, quanto piuttosto riesaminare in
chiave moderna i principi basilari, come quello di similitudine e quello delle
diluizioni/potentizzazioni, che sono accettati da tutte le scuole omeopatiche.
I capitoli del testo prendono in considerazione i vari aspetti del problema,
cercando di esporre i dati e le teorie già presenti nella letteratura, di vagliarli
criticamente e, dove possibile, di proporre delle sintesi e delle ipotesi di lavoro.
Poiché vengono sviluppate, in modo analitico, molte diverse problematiche tra loro
collegate, si potranno presentare, qua e là, delle ripetizioni di concetti o dati già
riferiti in altri capitoli, lasciate per cercare di raggiungere il massimo grado di
chiarezza.
La trattazione inizia con un riassunto dei principali concetti dell'omeopatia,
esaminandone i principi fondamentali e la storia dalla sua fondazione ai giorni
nostri (cap. 2). Non avendo questo lavoro la finalità di manuale pratico per
I'apprendimento dell'omeopatia, ci si è limitati alle notizie essenziali.
Nel capitolo 3 sono presentate le evidenze empiriche e cliniche che suggerisco-
no come l'omeopatia sia realmente efficace e non sia semplicemente inquadrabile
come un effetto placebo. Anche se tali evidenze sono tuttora manifestamente
povere e preliminari sia sul piano qualitativo che quantitativo, soprattutto se
giudicate con i parametri della medicina convenzionale, la spiegazione basata
unicamente sull'effetto placebo sta progressivamente perdendo la sua consistenza,
mentre nel contempo cresce la domanda di una teoria, di un modello, di una
spiegazione in termini fisiopatologici moderni. Il tentativo di costruire tale modello
si scontra con difficoltà di vario tipo, tra cui la necessità di spiegare sia le "leggi
sacre" dell'omeopatia classica, sia le varianti più recenti rappresentate dall'omo-
tossicologia (v. cap. 2.6) e dall'elettroagopuntura (v. cap.7.3).
Un problema così complesso e con molte sfaccettature non potrà certo avere
spiegazioni semplici e perciò si dovrà procedere prima analiticamente, poi cercan-
do una sintesi, o meglio si procederà come per costruire un mosaico, mettendo
progressivamente al loro posto i vari tasselli, con l'obiettivo di far risultare
un' immagine significativa.
Introduzione 17

come ogni teoria scientifica, anche le ipotesi sul meccanismo d,azione del_
l'omeopatia non possono che basarsi su sperimentazioni o altre teorie correntemen-
te accettate. Un primo gruppo di evidenze sperimentali (cap. 4) sono
state ottenute
secondo metodologie accettate e codificate dalla scienza convenzionale
e dal
ragionamento biomedico occidentale. euesto tipo di sperimentazioni non possono
perciò essere contestate in quanto non scientifiche (sarebbe un controsenso),
ed i
risultati possono essere letti, discussi ed interpretati secondo i paradigmi utiiizzati
per qualsiasi altro argomento di indagine. Certamente molti lavori finora pubblicati
possono non convincere per la loro scarsa qualità, ma fanno comunque parte
dello
stesso quadro di riferimento metodologico e concettuale della scienza moderna:
il
dibattito sulla qualità delle sperimentazioni non interessa solo la medicina omeo-
patica.
Largo spazio sarà dedicato, nel capitoro 5, ai più recenti sviluppi delle conoscen_
ze nel campo dell'infiamm azione e del cancro. Per quanto questà trattazione,
ricca
di dettagli biochimici e biologici, possa sembrare non immediatamente connessa
ai temi dell'omeopatia, si vedrà che è proprio dalle attuali conoscenze scientifiche
che comincia ad emergere la possibilità di un discorso ragionato sulle potenzialità
e i limiti dell'omeopatia stessa (come, d'altronde, di ogni metodica terapeutica).
Le ricerche scientifiche finora disponibili possono però spiegare solo in parte
quanto l'omeopatia sostiene. Si è voluto perciò andare più avanti nella costruzione
di possibili modelli esplicativi, ricorrendo all'aiuto di due potenti strumenti di
indagine: uno si riferisce allo studio della complessità e àell,integrazione in
medicina (cap' 5 e 6); l'altro allo studio della sensibilità elettromagnetica dell,or-
ganismo e della fisica dell'acqua (c ap.7).Lanecessità di nuovi punti di riferimento
concettuali e di nuovi campi di indagine sperimentale risulta evidente considerando
l'insufficienza delle spiegazioni basate sulla farmacologia ,,classica,,. I nuovi
approcci concettuali che saranno qui introdotti rappresentano una frontiera
aperta
verso il futuro della medicina e sono sostenuti più da teorie fisiche e matematiche
che da prove biologiche e farmacologiche: si entra nel campo dei modelli della
complessità, del caos e dei frattali, della fisica quantistiia, dei fenomeni di
coerenza, dei fenomeni elettromagnetici, dei rapporti tra omeopatia ed agopuntura.
Tali nuovi punti di vista con cui guardare all'omeopatia consentono di estenderne
ulteriormente Ia comprensione in termini razionali.
Sulla scorta delle sperimentazioni disponibili e con I'ausilio di questi nuovi
strumenti concettuali, saranno elaborate in forma sintetica le ipotesi esplicative
della legge di similitudine, caposaldo dell'omeopatia (capitoto e; e dell,effetto
delle alte diluizioni (capitolo 7). Non è facile prevedere quanto questo approccio
risulterà convincente, ma i molti punti ancora incerti non dovrebb".o undu.a
u
discapito dello scopo di questo testo: si cercherà, infatti, di costruire uno schema
interpretativo dell'omeopatia in forma "modulare,,, tale percui non necessariamen-
18 Introduzione

te deve essere accettato o respinto in blocco, ma può essere utilizzato anche solo in
parte per avere comunque un'immagine a senso compiuto.
Questo lavoro è rivolto all'attenzione di medici sia omeopati che non. I medici
omeopati vi troveranno stimoli ad un approfondimento delle basi biologiche del
sistema di cura da loro adottato. Lo spirito tecnologico della nostra era domanda
spiegazioni. Di questi tempi, in cui ancora spesso l'omeopatia è attaccata in quanto
"non scientifica", i dati e le teorie qui riportati possono costituire un aggiornato
strumento di documentazione e di discussione. È pure auspicio degli autori che
l'impostazione data al problema della investigazione delle basi dell'omeopatia
faccia crescere la fiducia nelle possibilità di utilizzare, anche in questo campo che
ha molti risvolti misteriosi, un approccio razionale e un metodo scientifico, che
possono contribuire a tenere questo metodo clinico-terapeutico il più lontano
possibile da strumentalizzazioni di vario genere che niente hanno a che fare con la
medicina.
I medici non omeopati potrebbero trovare utile questo testo per un primo
approccio alla problematica della omeopatia, vista sotto un'ottica non "alternativa"
ed affrontata secondo una prospettiva che, almeno per molti aspetti, risulta coerente
con la moderna biomedicina, in cui essi (come pure gli autori di questo testo) sono
stati formati e sono immersi nella pratica quotidiana. L'omeopatia è una pratica
nata e diffusasi "troppo presto" nella storia della medicina, in un periodo in cui non
era possibile darne alcuna spiegazione; essendo però una medicina empirica, non
può non contenere elementi di sostanziale aderenza alla realtà della salute e della
malattia. Si tratta quindi di un macroscopico insieme di'oosservazioni preliminari"
su cui si sono stratificati elementi di confusione interpretativa e metodologica, ma
anche di lungimiranza clinica ed accuratezza terapeutica. Rifiutare tutto in blocco,
come molti sono tentati di fare, significa gettare sia le osservazioni che le
inteqpretazioni, operazione che può essere comoda ma non è scientifica, perché le
osservazioni non spiegate sono state sempre la principale miniera di idee per la
ricerca. Per queste ragioni l'omeopatia, ed in generale una integrazione, critica-
mente vagliata, fra i vari sistemi terapeutici, saranno sempre più necessari nel
prossimo futuro della medicina, offrendo un contributo al superamento delle attuali
difficoltà di dominare problemi complessi con visioni riduzionistiche.
Questo testo propone un momento di confronto tra ricerca di base ed omeopatia,
con un'impostazione fortemente ancorata sulla moderna patologia generale. Non
poteva essere altrimenti, visto che il presente lavoro è originato dall'incontro tra un
patologo generale (P.B.) e un medico che usa l'omeopatia come principale metodo
terapeutico (A.S.). Le idee e le esperienze qui riportate costituiscono quindi un
tentativo di costruire una sintesi, o almeno un dialogo, tra sistemi medici che
vengono solitamente ritenuti alternativi. Un simile progetto si presenta estrema-
mente difficile, in relazione alla vastità del bagaglio di conoscenze costruito
Introduzione i9

dall'omeopatia da una parte e dalla moderna biomedicina dall'altra. se a ciò si


aggiunge il fatto che tali conoscenze sono in continua evoluzione, l'impresa ha
dell'impossibile. Sotto questo profilo, sussiste il rischio che il contenuto del testo
possa scontentare gli "specialisti". Sia gli omeopati che gli scienziati esperti nei
loro specifici ambiti potranno trovare insufficienze e forse anche inesattezzeinvari
punti della trattazione. Gli autori, restando disponibili a critiche e correzioni,
confidano che eventuali discordanze su punti specifici non vadano a discapito del
messaggio fondamentale del lavoro, che, modestamente, credono possa dare un
contributo al dibattito in corso sull'argomento. Se una sintesi è oggettivamente
impossibile, non è impossibile indirizzare studi, ricerche e ragionamenti verso di
ESSA.

Durante il nostro lavoro abbiamo beneficiato del contributo di idee e di materiali


bibliografici fornitici da numerosi colleghi, tra cui vogliamo ricordare Jacques
Benveniste, Sandro Bettini, Ivo Bianchi, Francesco Borghini, Adriana Carluccio,
Maurizio Castellini, Anita conforti, Elisabeth Davenas, P. christian Endler,
Emilio Del Giudice, Emilio Dido, Michael Kofler, Klaus Linde, Pietro Piovesan,
Bernard Poitevin, Fritz A. Popp, Giuliano Preparata, Giuliana Rapacioli, Cyril W.
Smith, Paolo Sommaruga, Massimo Sperini, Beverly Rubik, Roeland van Wijk,
Hildebert Wagner. Un ringraziamento particolare va al Prof. Mario Zatti, per
l'aiuto e l'incoraggiamento.
Introduzione 19

dall'omeopatia da una parte e dalla moderna biomedicina dall'altra. se a ciò si


aggiunge il fatto che tali conoscenze sono in continua evoluzione, l'impresa ha
dell'impossibile. Sotto questo profilo, sussiste il rischio che il contenuto del testo
possa scontentare gli "specialisti". Sia gli omeopati che gli scienziati esperti nei
loro specifici ambiti potranno trovare insufficienze e forse anche inesattezzeinvari
punti della trattazione. Gli autori, restando disponibili a critiche e correzioni,
confidano che eventuali discordanze su punti specifici non vadano a discapito del
messaggio fondamentale del lavoro, che, modestamente, credono possa dare un
contributo al dibattito in corso sull'argomento. Se una sintesi è oggettivamente
impossibile, non è impossibile indirizzare studi, ricerche e ragionamenti verso di
essa.

Durante il nostro lavoro abbiamo beneficiato del contributo di idee e di materiali


bibliografici fornitici da numerosi colleghi, tra cui vogliamo ricordare Jacques
Benveniste, Sandro Bettini, Ivo Bianchi, Francesco Borghirri, Adriana Carluccio,
Maurizio castellini, Anita conforti, Elisabeth Davenas, P. christian Endler,
Emilio Del Giudice, Emilio Dido, Michael Kofler, Klaus Linde, Pietro Piovesan,
Bernard Poitevin, Fritz A. Popp, Giuliano Preparata, Giuliana Rapacioli, Cyril W.
Smith, Paolo Sommaruga, Massimo Sperini, Beverly Rubik, Roeland van Wijk,
Hildebert Wagner. Un ringraziamento particolare va al Prof. Mario Zatti, per
l'aiuto e l'incoraggiamento.
E
2. PRINCIPI FONDAME}ITALI
OMEOPATIA
BREVE STORIA DELL'-

la
uni*uli allo scoPo.di stimolare
Lamedicinaomeopaticaèunsistemaclinico-farmaceuticocheutilizzamicro-
*""ruiio
dosi di sostanze d"r;;;;-g"i.ii, tggo; ultman' L989;
di guarigion" i*"u"'^t'*)i'c'*nutu' ie^*l::' Giudice e Del
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Gitson and Gibson,
Giudice, 1984;Lodis;;' 'il;Du]an)':^1,97s;eu"o-t Charette'
iqq'' B'uo e Masciello"l988; arrerma di
Haffen, 1982; Bianct'!';;ti;iun"hi' i'i"'tigzl'
Questo sistema
1e82; retau, 1e8e;
à;;;ì;;;;ffi" solitamente "rimedi")
che vengono
curare le malattie utili;;;;;;iur*u"i lctriamati

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una comPlel
secondo
,,1egge dei simili".

2.l.Lalegge dei simili


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La"legge"o "principio" comprensione' anche
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che:
In Pratica, ciò significa
o rimedio) produce
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qualche
a) ogni sostanzabiologicamente "tl1:11:**'co
organisài sani "susc"*ib;i;
;t""
sintomirn
modo Perturbati; sintonri che sono tipici
àalato esprime una setiedicaratteristici
b) ogni organismo
"particolare" soggetto;
della malattia di quel
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 21

c) la guarigione di un organismo malato, carutterizzata dalla progressiva scompar-


sa di tutti i sintomi, può essere ottenuta mediante somministrazione mirata del
farmaco che produce un quadro sintomatologico simile negli organismi sani.

Ad esempio, il medico omeopatico, partendo dall'osservazione che il veleno


d'ape provoca un ponfo caratteristico con dolore ed eritema mitigati dalla applica-
zione di impacchi freddi, somministra estratto di ape in preparazione omeopatica
(diluito e dinamizzato) per curare pazienti che presentano orticaria con ponfi e
dolori simili a quelli della puntura d'ape, anche se con altra eziologia.
Nelle sue prime formulazioni, tuttora presenti in alcune scuole, la prescrizione
del rimedio è fatta prescindendo dalla diagnosi e cercando solo con estrema,cura
la corrispondenza del quadro sintomatologico della malattia con il quadro dei
sintomi provocati da una deterrninata sostanza nei sani. Se la corrispondenza è
elevata o perfetta (rimedio come "simillimum"), la somministrazione anche di una
minima dose del rimedio innesca nel paziente una reazione che porta, spesso dopo
un iniziale aggravamento, alla guarigione. La guarigione quindi non sarebbe
effetto diretto soppressivo della sostanza somministrata ("legge dei contrari"), ma
della reazione del soggetto, dovuta, secondo l'omeopatia classica, all'azione di una
cosiddetta "forzavitale" [Hahnemann, 1985].
Allo scopo di identificare i rimedi più adatti alle singole circostanze, la
farmacopea omeopatica si è venuta quindi costituendo sin dall'inizio a seguito
delle prove di tipo "tossicologico", fatte somministrando a volontari sani piccole
dosi delle più svariate sostanze e raccogliendo minuziosamente le risultanze
sintomatologiche appena osservato qualche effetto. Questi esperimenti, detti
"provings", sono stati raccolti nelia cosiddetta "Materia Medica", che è stata ed è
continuamente aggiornata e contiene i dati sulla sintomatologia provocata da
centinaia di diverse sostanze minerali, vegetali ed animali. La Materia Medica è
stata continua ad essere sottoposta a verifica, modificata ed aggiornata anche dalle
e
esperienze acquisite con i malati. Infatti, affinché un particolare rimedio venga
introdotto e usato nella farmacopea omeopatica, è necessario che abbia dimostrato
di poter curare i malati portatori dei sintomi corrispondenti al suo "quadro
sintomatologico" provocato nel sano e non è quindi sufficiente che sia in grado di
provocare sintomi ad un soggetto sano.
Un altro aspetto che va sottolineato, in quanto ricorrente nella letteratura, è il
fatto che nella minuziosa e paziente analisi dei sintomi (detta "repertorizzazione")
viene data grande importanza a quelli più singolari, che possono evidenziare una
particolare reattività individuale, nonché a quelli della sfera psicologica non meno
che a quelli della sfera somatica. Una corretta repertorizzazione richiede infatti un
approccio analitico ed allo stesso tempo globale alla persona del malato. Solo così,
secondo la metodologia omeopatica, sarà possibile una scelta corretta del farmaco
indicato per ciascun paziente.
ZZ Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

Un esempio può illustrare il concetto della scelta del farmaco in base alla legge
di similitudine [Gibson and Gibson, 1987l.Tre pazienti con influenza sono trattati
con tre diversi rimedi: il primo presenta brividi, è ansioso, irrequieto, vuole essere
coperto e desidera acqua fresca; occhi e naso scaricano liquido mucoso irritante che
causa arrossamento del naso e del labbro superiore; presenta anche sintbmi
gastrointestinali (vomito e diarrea). Il rimedio indicato per questo paziente è
Arsenicum album. Il secondo paziente con la stessa influenza epidemica si sente
stanco e letargico, ha brividi e lamenta cefalea occipitale; egli desidera qualcosa che
lo riscaldi sulla schiena, stare fermo in letto e non fare alcuno sforzo. In questo caso
il rimedio indicato è Gelsemium. La terza persona ha febbre influenzale ed il
sintomo più eclatante è una dolorabilità diffusa in tutto il corpo, come se tutte le sue
ossa fossero state rotte. Egli riceverà come rimedio Eupatorium perfoliatum.i)lo
stesso virus influenzale che ha colpito tutti e tre i pazienti, ma le loro reazioni
individuali all'infezione sono state diverse e di conseguenza anche il trattamento
sarà differenziato.
Per il medico omeopatico un sintomo come la febbre dice poco in quanto è una
reazione molto aspecifica del processo infiammatorio, ma egli sarà molto attento
ad analizzare i tipi di febbre ed i sintomi concomitanti, per indirizzarsi alla scelta
del rimedio giusto: una febbre con senso di caldo, arrossamento cutaneo, sudora-
zione, polso molto forte, cefalea pulsante, midriasi e fotofobia indicherà che il
paziente necessita di Belladonna. Una febbre insorta improwisamente dopo un
raffreddamento, con ansietà fino alla paura di morire, arrossamento cutaneo (ma
non vi è sudorazione), polso pieno, duro, ma con miosi, con sete intensa ed
insofferenza per le coperte indicherà Aconitum come rimedio di elezione. Sono
quindi i dettagli particolari, le sottili differenze, che orientano nella scelta.

2.2.ll farmaco (o "rimedio") omeopatico

Non solo la metodologia clinica, ma anche la preparazione delle sostanze


utilizzate in omeopatia è del tutto peculiare. Come è noto, infatti, esse vengono
prodotte con un processo di diluizione seriale e di succussione che dovrebbe
conferire alle soluzioni un maggiore effetto terapeutico (dinamizzazione).
L'uso di sostanze molto diluite ha precise ragioni storiche: molte sostanze che
sin dall'inizio vennero provate ed introdotte nella farmacopea omeopatica erano di
origine empirica, derivate anche dacomposti biologicamente molto potenti, tossici,
come certi elementi minerali, veleni chimici organici e inorganici e veleni animali
ovegetali.I sintomi da essi provocati vennero dedotti dalle intossicazioni acciden-
tali, ma owiamente non potevano essere usati per le sperimentazioni. Fu così che
se ne provò l'effetto su sani (provings) e malati (omeopatia curativa) a dosi basse
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 23

e molto basse, somministrate ripetutamente fino alla comparsa (o scomparsa


rispettivamente) dei sintomi. Nel corso di queste iniziali esperienze lo stesso
Hahnemann fece due osservazioni fondamentali: ; t..,:,i,-.
, ,,4-,

a) Se un paziente necessitava di un rimedio, cioè se esisteva corrispondenzanel


quadro della legge di similitudine, egli tendeva ad essere molto sensibile al
rimedio stesso. Perciò i dosaggi necessari e sufficienti per ottenere una reazione
positiva erano molto più bassi di quelli necessari a provocare sintomi in un sano
o a guarire un malato che non avesse perfetta corrispondenza sintomatologica.
b) Forte di questa osservazione, egli cominciò a diluire i rimedi, in modo da trovare
le dosi curative che non producessero effetti collaterali indesiderati. L'esperien-
za lo condusse a notare un aumento del potere curativo al diminuire della dose,
cioè all'aumentare delle diluizioni. Per questo le diluizioni progressivamente
crescenti furono chiamate anche "potenze" ed il processo di diluizione e
s uccu s s i o n e " p otentizzazi o n e " o " dinamizz azi o n e ".

In pratica, i materiali grezzi sono estratti mediante solubilizzazione in alcool


contenente varie percentuali di acqua, o, se insolubili, sono inizialmente polveriz-
zati e triturati con lattosio, quindi portati in soluzione idroalcolica. Le soluzioni
iniziali, contenenti la massima concentrazione dei principi attivi, sono dette
"tinture madri". Da queste si procede a successive diluizioni, seguite da forte
agitazione. Le tecniche di preparazione dei vari tipi di rimedi oggi sono dettaglia-
tamente codificate nelle varie farmacopee, di cui le più importanti sono quella
francese e quella tedesca, anche se c'è la tendenzaatrovareun consenso almeno a
livello di Comunità Europea.
Le diluizioni più usate sono: quelle decimali (sigla "D", "DH", ,,X,,, o,,x,,),
quando 1 parte della soluzione più concentrata è diluita in 9 parti di solvente; oppure
centesimali (sigla "C", oppure "CH", oppure "c"), quando 1 parte della soluzione
più concentrata è diluita con 99 parti di solvente. Esistono anche diluizioni
cinquantamillesimali (sigla "LM"), basate su diluizioni seriali 1/50000, e diluizioni
"korsakoviane" (sigla "K"), basate su diluizioni fatte svuotando il recipiente con la
soluzione più concentrata, lasciandovene qualche goccia e riempiendolo con il
solvente (owiamente quest'ultimo metodo è meno stand,ardizzabile, pur essendo
di più facile esecuzione). Infine, sono u tilizzate oggi anche procedure meccanizzate
in flusso continuo.
È ben noto che spesso - ma non di regola - vengono $ilizzate diluizioni
estremamente alte, per cui teoricamente non vi è più presenzadelle molecole della
sostanza di partenza. Ciò costituisce uno dei capisaldi dell'omeopatia e nel
contempo forse il principale problema che la ricerca dovrà confermare e possibil-
mente spiegare.
Principi fondamentali e breve storia dell'otmeopatia

Un altro punto molto importante riguarda la cosiddetta "dinamizzaziane". Nella


procedura di preparazione del farmaco omeopatico la regola prevede che, dopo
ogni diluizione, la soluzione risultante sia sottoposta a forte scuotimento. Le norme
classiche indicano 100 colpi dall'alto in basso, ma sono state sviiuppate altre
procedure d i s uccussio n e, anch e automatizzate.
Infine esistono le preparazioni in granuli, o in globuli, costituiti da sferette di
saccarosio e lattosio, che vengono impregnate con la diluizione hahnemanniana,
della quale assumono la denominazione. Ad esempio, granuli di Arnica montana
9 CH sono granuli che sono stati impregnati con la diluizione 9 CH di Arnica
montana.
Ulteriori dettagli sulle tecniche di preparazione del rimedio omeopatico si
possono trovare in altre rassegne [Vithoulkas, 1980; Del Giudice e Del Giudice,
1984; Brigo e Masciello, 1988; Majerus, 1991;Winston, 1989].

2.3. L' Organon di Hahnemann

La storia dell'omeopatia [Gibson and Gibson, 1987; Ullman, 1989; Ullman,


1991; Majerus, 1991; Lodispoto, 1984; Haehl, 1989] inizia con le idee e le scoperte
del suo fondatore Hahnemann. Egli coniò il termine omeopatia dal greco homoios
(simile) e pathos (sofferenza), riferendosi alla legge dei simili, che ne è la base. La
prima intuizione del principio di similitudine nacque in Hahnemann quando, nel
1789, stava traducendo un libro di W. Cullen, uno dei più eminenti medici di allora.
Ad un certo punto, Cullen attribuiva l'efficacia della corteccia di china nel
trattamento della malaria alle sue proprietà amare ed astringenti. Hahnemann, che
era anche esperto chimico ed avido sperimentatore, non si accontentò della
spiegazione, in quanto sapeva che esistevano molte altre sostanze più amare ed
astringenti della china e che invece non erano efficaci nella malaria. Egli quindi
iniziò a sperimentare su se stesso ripetute dosi di estratto di corteccia di china,
finché ad un certo punto fu colpito da febbre, brividi ed altri sintomi simili alla
malaria.
Hahnemann pensò che la ragione dell'efficacia della corteccia di china nel
malato affetto da malaria dovesse in qualche modo essere correlata al fatto che
questa sostanza causava sintomi simili a quelli che trattava. Egli quindi provò su di
sé, amici e familiari, altri farmaci in uso a quel tempo e, lutilizzando le sue vaste
conoscenze di botanica, studiò gli effetti di molte piante medicinali. Nei successivi
venti anni egli stabilì, mediante pazienti e meticolose prove, le basi della "Materia
Medica". Già nel 1796 pubblicò un articolo [Hahnemann,1796l in cui indicava
come esistessero tre tipi di approccio al trattamento delle malattie: il primo tipo (da
lui definito il più "sublime") era la rimozione della causa, se conosciuta; il secondo
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 25

tipo era il trattamento mediante i contrari, in altre parole il trattamento da lui


definito "palliativo", come ad esempio i lassativi per la costipazione; il terzo tipo
era il trattamento mediante i simili, che egli considerò l'unico valido, a parte la
prevenzione. Egli anche suggerì l'importanza della dieta, dell'esercizio fisico e
dell'igiene, fattori che a quel tempo erano praticamente ignorati dalla medicina.
Oltre alla sua attività di medico pratico, di traduttore e di sperimentatore,
Hahnemann scrisse molti articoli e libri, in cui pose le basi dell'edificio omeopatico
[v. rassegna di Aulas and Chefdeville, 1984]. Il primo testo completo di omeopatia
uscì con il titolo di Organon della Scienza Medica Razionale nel 1810. Nove anni
dopo, nel 1819, venne pubblicata una seconda edizione dell'opera, dal titolo di
Organon dell'Arte di Guarire, che fu poi seguita da altre edizioni, fino alla sesta,
che fu pubblicata postuma nel1921.In essa, ovviamente, è presente il pensiero
compiuto di Hahnemann, nonché tutto il bagaglio dell'esperienza dell'autore e dei
suoi allievi che applicarono e diffusero l'omeopatia nei primi decenni dell'800"
Data l'importanza storica, ma anche l'interesse culturale di questo testo, vale la
pena dedicarvi un po' di spazio ed estrarne alcune citazioni significative.
L'Organon è scritto come serie di29l paragrafi ed inizia con queste afferma-
zioni: " Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati ossia, come
si dice, di guarirli", poi in una nota si legge: "e non il congetturare ed erigere a
sistemi (come hanno fatto molti medici, per desiderio di fama, sciupando forze e
tempo) vuote idee ed ipotesi sulf intima essenza dei processi vitali, tutto per
sbalordire gli ignoranti, mentre il mondo dei malati gemente chiede invano aiuto""
Queste frasi manifestano realmente l'obiettivo principale di Hahnemann, che fu
sempre attivamente impegnato nella pratica medica, ed anche il suo carattere
battagliero e poco diplomatico, carattere che contribuì non poco ad attirargli ben
presto l'ostracismo di buona parte della classe medica del tempo.
La affermazione della prevalenza dell'interesse pratico sulla costruzione di
teorie ed ipotesi "sull'intima essenza dei processi vitali" si può spiegare sulla base
della arretratezzascientifica del tempo (inizi dell'ottocento), in cui veramente poco
si conosceva di tali processi. D'altra parte, una simile affermazione potrebbe
apparire del tutto anti-scientifica: non è accettabile, per uno scienziato, la rinuncia
a capire i meccanismi di base dei processi vitali. In realtà, la più probabile
interpretazione di questo primo paragrafo è che Hahnemann non rifiutasse lo studio
delle leggi naturali che regolano il funzionamento dei processi vitali, perché tutto
il resto dell'opera dimostra un notevole sforzo razionale e investigativo, l'unico
approccio che consenta di fare una terapia efficace e consapevole. L'autore,
evidentemente, voleva sottolineare che "l'intima essenza" dei processi vitali non è
conoscibile, ed in questo senso la sua affermazione pare quanto mai moderna, alla
luce delle scoperte sulla complessità biologica e sui sistemi caotici, di cui si riferirà
ampiamente in seguito (capitoli 5 e 6). È probabile che l'autore intendesse anche
26 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

criticare quanti nella medicina si limitavano a costruire ipotesi e teorie che, mentre
si mostravano complicate e stupefacenti, erano di una assoluta inutilità pratica nel
risolvere i problemi dei malati.
Nel terzo paragrafo si legge: " Se il medico capisce la malattia, ossia sa che cosa
si deve guarire nei singoli casi di malattia (= riconoscimento della malattia); se il
medico sa chiaramente quello che nelle medicine, anziinogni singolo medicamen-
to v'è che guarisce (= conoscenza del potere dei medicamenti); se sa adattare, con
motivi fondati, il potere medicamentoso dei rimedi con quanto di sicuramente
patologico ha riconosciuto nel malato, in modo da portare la guarigione sia per
l'esattezza delf indicazione del medicamento (= scelta del medicamento più
opportuno e corrispondente al caso per il suo modo di azione), sia per 1'esattezza
della preparazione e della quantità (= dose giusta) e della sua ripetizione; se
finalmente conosce gli ostacoli alla guarigione in ogni caso e sa rimuoverli,
affinché la guarigione sia definitiva, allora egli opera utilmente e radicalmente ed
è un vero terapeuta". Nel quarto paragrafo: "Egli è pure un igienista, se conosce le
cause che disturbano la salute e determinano e mantengono le malattie e sa da esse
preservare l'uomo Sano". Queste citazioni non possono non essere oggi Sottoscritte
da qualsiasi medico ma, inserite nel quadro della medicina pre-scientifica ancora
vigente a quel tempo, rappresentano una indubbia novità di approccio. Le premesse
del ragionamento clinico di Hahnemann - e quindi dell'omeopatia - sono dichiara-
tamente razionali e logiche.
Il ragionamento dell"'Organon" procede nei paragrafi successivi con la affer-
mazione che nello stato di salute dell'uomo è fondamentalela "forzavitale" eche
la perturbazione di questo "principio dinamico intelno" è responsabile della
comparsa delle malattie, come viceversa "la restitutio ad integrum del principio
vitale presuppone necessariamente il ritorno alla salute di tutto l'organismo".
L'autore non ignorava certo l'esistenza degli agenti patogeni e conosceva bene i
lavori dei suoi contemporanei tra cui Sydenham, Jenner ed altri (par. 38), ma
poneva fortemente l'accento sui fattori legati al terreno, all'ospite, al soggetto.
Il concetto di"forzavitale" ha suscitato molte discussioni. L'autore indubbia-
mente attribuiva alla forzavitale un'essenza"immateriale" (par. 10) ed egli, molto
religioso, attribuiva questo potere di guarigione ad un dono del Creatore (par. 17).
Tuttavia, non si devono confondere le sue affermazioni con un ricorso arbitrario
alla metafisica. Parlare di forza vitale come qualcosa di misterioso era, per quei
tempi, nient'altro che prendere atto delle capacità di difesa e di guarigione
dell'organismo, senza poterne dare una spiegazione in termini di fisiologia o di
immunologia. Lo stesso autore, in una nota al par. 31, dice: "Denominando come
malattia una depressione o una perturbazione dello stato dell'uomo non intendo
affatto di dare una spiegazione metafisica della natura intima delle malattie...". La
critica al vitalismo hahnemanniano risulta quindi anacronistica e mal impostata: la
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 27

forza vitale non è altro che una metafora per indicare una capacità dinamiéa di
autoregolazione indubbiamente esistente, di cui sono dotati gli esseri viventj ai fini
di una migliore possibilità di sopravvivenza. Che tale capacità sia semplicemente
il frutto dell'evoluzione o sia considerabile come un dono del Creatore è un
problema analogo a quello riguardante le origini dell'universo e che, per le sue
implicazioni filosofiche, supera i limiti dell,indagine scientifica.
comunque, pur mantenendo ben distinte le questioni metafisiche da quelle
scientifiche, resta fuor di dubbio che l'omeopatia rappresenti, sin dalle sue orìgini,
un tipo di medicina molto aperto alle dimensioni superiori dell,uomo, che sempre
trascendono ogni conquista del sapere e della scienza.
Lo stesso Hahnemann, infatti, afferma: "Nello stato di salute dell,u omolaforza
vitale, vivificatrice e misteriosa, domina in modo assoluto e dinamico il corpo
materiale e tiene tutte le sue parti in meravigliosa vita armonica di sensi ed attiviià,
in modo che il nostrd intelletto ragionevole si possa servire liberamente di questo
strumento sano e vitale per gli scopi superiori della nostra esistenza,, (par. 9
dell'Organon).
I paragrafi 29-3L definiscono chiaramente ciò che Hahnemann intende per
malattia, e cioè "ogni malattia (non di spettanza della chirurgia) consiste in una
perturbazionepatologicadinamicadellanostraforzavitale" (par.z9),mentregli
agenti patogeni costituiscono solo una causa scatenante: "Le potenze nemiche sia
psichiche che fisiche, che si chiamano agenti patogeni, non possiedono necessaria-
mente la proprietà di rendere malato l'uomo. Noi per causa di loro ammaliamo
soltanto quando il nostro organismo ne ha la disposizione e trovasi disarmato in
modo che l'agente patogeno può intaccarlo, alterare e perturbare lo stato di salute
e determinare sentimenti e funzioni anormali. euindi gli agenti morbosi nonfanno
ammalare chiunque ad ogni tempo" (par. 31). Anche di fronte a questo passaggio
chiave della teoria omeopatica originale non resta che restare stupiti di come
concetti che solo recentemente sono stati assunti dalle moderne scienze della
patologia e dell'immunologia fossero stati così chiaramente intuiti ed espressi oltre
150 anni fa.
Nei paragrafi successivi (32-70) sono esposte le esperienze e le riflessioni che
hanno condotto I'autore a formulare la legge di similitudine, definita ,,la grande e
unica legge terapeutica della natura: guarire le malattie con rimedi determinanti
sintomi simili a loro malattie" (par.50). Tali esperienze si basano sulle attente
osservazioni del decorso di malattie naturali e delle interazioni tra malattie simili
o diverse, sull'effetto delle vaccinazioni antivaiolose, sulle sperimentazioni di
rimedi testati su sani e su malati, sulla constatazione delle deficienze dell'approccio
allopatico (par. 54-61, una vera e propria requisitoria contro la terapia basita sulla
legge di Galeno " contraria contrariis" e contro altre pratiche molto diffuse a quel
tempo quali purghe e salassi, somministrazione di bevande alcooliche e di oppio).
28 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

La spiegazione dell'efficacia della cura mediante i "simili" è data nei paragrafi


63-68 e si fonda essenzialmente sul concetto della attivazione della risposta reattiva
della forza vitale: "Qualunque medicamento, come qualunque forza agente sulla
vitalità, altera più o rneno l'equilibrio della forza vitale e produce un certo
cambiamento dello stato di salute del corpo, di maggiore o di minore durata. Questa
azione si chiama " effettoprimario" od " azione primaria". Sebbene sia il prodotto
del medicamento e dellaforzavitale, essa è dovuta, probabilmente, in prevalenza
alla potenza del medicamento. La nostra forza vitale con la sua energia cerca di
opporsi a tale azione .L' azione che ne deriva ha carattere conservativo per la vita,
è una attività automatica della forza vitale ed è chiamata "azione secondaria" o
"reazione" (par. 63).
Vengono fatti molti esempi, tra cui: "l'azione primaria del caffè forte è eccesso
di svegliatezza, a c:ui segue poi, per lungo tempo, lentezza e sonnolenza (effetto
contrario, azione secondaria), a meno che tale sonnolenza non venga rimossa
temporaneamente sempre di nuovo con l'uso di caffè (palliativo di breve durata).
Il sonno pesante, profondo prodotto dall'oppio (azione primaria) sarà seguito nella
notte seguente da maggior insonnia (effetto contrario, azione secondaria). A
costipazione prodotta dall'oppio (azione primaria) segue diarrea (azione posterio-
re) e dopo l'uso di purganti (azione primaria) medicamentosi, che stimolano
l'intestino, si osserva per alcuni giorni costipazione e stitichezza (azione seconda-
ria), E così sempre all'azione primaria di una potenza, in grande dose, alterante
fortemente lo stato dell'organismo sano viene costantemente opposto dalla nostra
forza vitale proprio il contrario (sempre che sia possibile), quale azione seconda-
ria." (par. 65).
In conseguenza di questo principio risulta possibile conoscere, mediante la
sperimentazione sull'uomo sano, effetti primari e secondari di un'ampia serie di
rimedi, ed è quello che appunto fece Hahnemann.
"Non vi è nessun altro modo per esperimentare con certezzale azioni proprie dei
medicamenti sullo stato di salute dell'uomo, non vi è nessun altro mezzo e più
naturale, per raggiungere tale sccpo, di quello di dare a uomini san| a scopo di
esperimento, in dose modica, i singoli medicamenti per osservare le alterazioni, i
sintomi, i segni della azione portata da loro, sovrattutto nello stato fisico e psichico,
ossia per conoscere gli elementi di malattia, che essi medicamenti sono in grado e
possono determinare, perché, come già detto, ogni azione curativa dei medicamenti
è posta unicamente nella loro capacità di modificare io stato di salute dell'uomo e
tale azione risalta dall'osservazione di queste modificazioni. Nessun medico, a mia
saputa, pensò, negli ultimi secoli, a questo esame, così naturale, così inevitabilmen-
te necessario e singolarmente genuino, dei medicamenti nelle loro azioni pure e
proprie sullo stato di salute deli'uomo e quindi a conoscere quali stati morbosi ogni
medicina può guarire, tranne il grande e immortale Albrecht von Haller. (...). Per
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 29

primo battei questa via, con tenacia senza pari, che mi proveniva soltanto dalla
assoluta convinzione della grande verità a beneficio dell'umanità, che unicamente
con I'uso delle medicine omiopatiche è possibile la guarigione sicura delle malattie
umane" (par. 108,109).
La natura di accanito sperimentatore, e nel contempo la statura moraie dell'au-
tore dell'organon si evincono anche da quest'altro passo: "cbme certamente ogni
specie di pianta è diversa da ogni altra per aspetto esterno, per modo di vita e di
accrescimento, per sapore ed odore, come sicuramente ogni minerale, ogni sale è
diverso dagli altri per le sue qualità esterne, interne, fisiche e chimiche (che, già da
sole, avrebbero dovuto evitare ogni confusione), così certamente tutte queste
sostanze, vegetali e minerali, hanno effetti patogenetici - e quindi anche curativi -
diversi e tra loro differenti. ognuna di queste sostanze agisce in modo proprio,
diverso, ma ben determinato, che elimina qualunque confusione, e determina
alterazioni dello stato di salute e della cenestesi dell'uomo. Stando proprio così
questa chiara verità, d'ora in poi nessun medico, che non voglia passare per
ignorante e che non voglia offendere la sua buona coscienza (unica manifestazione
di vera dignità umana), potrà usare nella cura delle malattie alcun medicamento
all'infuori di quello che egli conosce esattamente e completamente nel suo vero
valore, per averne sperimentato a sufficienza l'effetto (...). I medici di tutti i secoli
passati - i posteri a pena il crederanno - si accontentavano di prescrivere ciecamente,
nellemalattie, medicine sconosciute nel loro significato, mai esaminate nei riguardi
dei loro effetti importantissimi, diversi al massimo, puri e dinamici, sullo stato di
salute dellluomo e per di più parecchie di queste medicine sconosciute e così
differenti assieme in una ricetta, e poi si affidavano al caso per quanto poteva
succedere al malato. Come un pazzo potrebbe penetrare nello studio di un artista
ed afferrare a piene mani attrezzi assai diversi ed a lui ignoti, per ritoccare nella sua
pazziaopere d'arte lì presenti. Non è il caso di dire che egli, nel suo lavoro pazzesco,
non farebbe che rovinare quelle opere e rovinarle irrimediabilmente" (par. 119).
Nel prosieguo dell' Organon vengono esposte dettagliatamente tutte Ie metodi-
che sia per l'esecuzione delle sperimentazioni su gruppi di volontari sani (provin-
gs), sia per l'impiego del metodo omeopatico nella pratica clinica. L'aspetto
pratico-applicativo non rientra nello scopo di questo lavoro, per cui si rimanda
all'opera originale, che, d'altronde, sarebbe comunque difficilmente riassumibile.
L'ultima parte del trattato descrive la preparazione del rimedio omeopatico
(triturazione, estrazione dei principi attivi, vari metodi di diluizione e dinamizza-
zione), aspetti che sono di owia rilevanza per la problematica riguardante il loro
possibile meccanismo d'azione: "L'omiopatia sviluppa, per il raggiungimento dei
propri fini, le energie terapeutiche, interne e quasi spirituali delle sostanz e grezze,
mediante un trattamento speciaie, finora non usato; e le sviluppa ad un grado
altissimo, di modo che esse diventano assai attive, giovevoli e di azione assai
30 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

profonda. Diventano tali perfino quelle che allo stato greggio non manfustano sul
corpo umano alcuna azione. Questa meravigliosa trasformazione delle qualità di
sostanze naturali, mediante un'azione meccanica, che agisce sulle loro particelle
più piccole arnezzo della triturazione e succussione (mentre esse con l'interposi-
zione di una sostanza indifferente rimangono separate tra loro), sviluppa energie
prima non palesi, latenti, dinamiche, che agiscono sovrattutto sul principio vitale
e sullo stato di salute della vita animale. Questo procedimento si denomina
dinamizzare, potentizzare ed i suoi prodotti dinamizzazioni o potenze nei vari
gradi. L'esaltazione e il maggior sviluppo della potenza determina trasformazioni
nello stato dell'uomo e degli animali, quando nella somministrazione le sostanze
naturali potentizzate sono portate assai vicine alla fibra vivente, sensibile o la
toccano" (par.269).
Viene preso in esame anche il problema delle vie e delle modalità di sommini-
strazione. Nel par. 2721'autore attribuisce l'effetto della medicina al contatto con
i nervi della lingua e del cavo orale, più avanti (par.284) aggiunge che oltre la
lingua, la bocca e lo stomaco, anche le vie respiratorie (inalazione) e la cute
(frizioni) sono potenziali vie di somministrazione dei medicamenti. Per quanto
riguarda le dosi, Hahnemann raccomanda di usare le dosi minime possibili, ma non
stabilisce criteri rigidi, affermando, fra l'altro, che "unicamente l'esperimento, la
diligente osservazione dell'eccitabilità di ciascun malato e l'esperienza possono
servire di guida, volta per volta, nello stabilire la dose" (par. 278).
Più importante della dose è la corretta scelta del rimedio, che deve essere il più
possibile corrispondente al quadro sintomatologico del paziente ed alla sua
particolare r"n.ibilità al farmàco: "e perché una medicin, Ù.n poi"ntizzata ed a
dose piccola diventa più efficace e giovevole, quasi fino al miracolo, quanto
maggiore è la sua omiopaticità, una medicina, la cui scelta sia omiopatica, deve
essere tanto più efficace, quanto più la sua dose si avvicina alla tenuità necessaria
più adatta per il suo effetto benefico in forma mite" (par.277).
L'analisi dei contenuti fondamentali dell'Organon riveste un suo interesse non
solo dal punto di vista storico, in quanto costituisce la pietra angolare dell'edificio
omeopatico, ma perché a tutt'oggi rimane il principale testo di riferimento per chi
voglia apprendere l'omeopatia. In realtà, nonostante ben presto (ancora con
Hahnemann vivente, come è anche accennato nelle sue opere) siano sorte diverse
scuole di pensiero e diversi indirizzi metodologici in omeopatia, l'autorità del
fondatore è rimasta sempre ad altissimo livello. Pare addirittura singolare il fatto
che i principi e le metodologie fondamentali scoperti da Hahnemann non siano stati
praticamente mai messi in discussione, le dispute rimanendo limitate all'interpre-
tazione dei suoi insegnamenti.
Nel contempo, è indicativo il fatto che nei 150 anni seguenti i seguaci
dell'omeopatia non abbiano attuato alcuna sostanziale rielaborazione in termini più
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 31,

moderni delle intuizioni e delle scoperte originali. Le ragioni di ciò sono probabil-
mente legate al fatto che l'omeopatia si è presentata dall,inizio come un metodo
efficace di cura, basato su principi molto misteriosi e quasi insondabili, quindi
sostanzialmente indiscutibili. Una metodica che afferma di funzionare, ma senza
sostanziali spiegazioni scientifiche, può solo essere accettata o rifiutata a seconda
delle esperienze personali. Pure è innegabile che il fatto che questa impostazione
terapeutica si sia sviluppata a prescindere da qualsiasi spiegazione
fisiopatologica (Hahnemann addirittura affermava che non vale la pena cercare le
"cause nascoste" delle malattie), costituisce il fondamentale ostacolo alla sua
accettazione. D'altra parte, darsi ragione del funzionamento della legge di simili-
tudine e delle microdosi è impresa ardua persino con le conoscenze e le strumen-
tazionidi oggi, ed è quindi in un certo senso giustificabile la..rinuncia,, ad una seria
ricerca scientifica attuata dal mondo omeopatico. Come si vedrà, solo recentemente
questo stato di cose comincia ad essere superato.

2.4. ll contrastato sviluppo dell'omeopatia

I concetti e le osservazioni esposti nell'Organon rappresentano il primo tenta-


tivo organico effettuato nella storia della medicina di codificare i principi e le leggi
che governano la malattia e la salute, sulla base del ragionamento e di esperimenii.
Questo fatto incontestabile viene taciuto nella maggior parte dei trattati di storia
della medicina. L'omeopatia portava delle idee apparentemente troppo ayanzate
per lo stato primitivo nel quale versava la medicina e di fatto essa rimase sempre
minoritaria nella medicina convenzionale, mostratasi incapace di fare propriu
un'intuizione troppo in anticipo sul pensiero corrente.
La medicina omeopatica subì alterne vicende storiche: una rapida diffusione in
tutto il mondo nel corso del secolo scorso, seguita da un forte scontro con la
medicina ufficiale che ne causò l'arresto e poi il progressivo declino soprattutto nei
paesi occidentali, fino alla quasi totale scomparsa. Negli ultimi decànni però si
assiste ad una ripresa di questa pratica, anche in paesi molto progrediti come
Francia, Germania, Italia.
Lo stesso Hahnemann subì sin dall'inizio forte opposizione al suo lavoro da
parte di suoi colleghi e soprattutto da parte dei farmacisti, che vedevano messa in
discussione dalle fondamenta la loro professione: poiché egli raccomandava l,uso
di piccole dosi ed era contrario alle prescrizioni multiple, la nuova metodica
seriamente minacciava i loro profitti. Inoltre egli fu accusato di preparare da solo
le medicine e di somministrarle ai suoi pazienti, cosa che era illegale: fu arrestato
a Lipsia nel 1820, giudicato colpevole ed espulso dalla città. Ottenne però
dal Gran
Duca Ferdinando un permesso speciale di praticare l,omeopatia nella città di
32 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

Kòthen, dove continuò a lavorare, a scrivere ed a seguire i suoi allievi che siavano
rapidamente aumentando di numero e diffondendosi. AIla sua morte (ig43),
l'omeopatia era conosciuta in tutti i paesi d'Europa (eccetto svezia e Norvegia),
Gran Bretagna, stati uniti, Messico, cuba e Russia e poco tempo dopo raggiunse
1'India ed il Sud America. In Italia fu introdotta nel lBZ2 grazie a G. Necker che
fondò la scuola napoletana.
Probabilmente la rapida diffusione iniziale dell'omeopatia fu dovuta da una
parte al fatto che la medicina del tempo era ancora molto arretrata e priva dimezzi
terapeutici veramente efficaci, dall'altra alla superiorità che dimostrò nel tratta-
mento delle varie epidemie di tifo, colera e febbre gialla che percorrevano a quel
tempo l'Europa e I'America. Ad esempio, nell'epidemia di colera di Londra del
1854Ia mortalità fu del53.2 Vo trai pazienti trattati negli ospedali convenzionali,
del l6.4vo tra quelli trattati nell'ospedale omeopatico. Nell'epidemia di febbre
gialla diffusasi in America nel 1878 le statistiche riportano che la mortalità nei
pazienti trattati omeopaticamente fil di un terzo rispetto a quelli sottoposti a
trattamento convenzionale [Ullman, 1989; Gibson and Gibson, 1987].
Nell'8001'omeopatia fu molto popolare negli stati uniti, dove operarono grossi
personaggi come Hering, Kent e Farrington. Nelle università di Boston, del
Michigan, del Minnesota e dello Iowa si insegnava omeopatia. Alla fine del secolo
si pubblicavano29 giornali di omeopatia. Nel 1844 fu fondato l'American Institute
of Homeopathy, che divenne la prima società medica americana. Ciononostante
ben presto si organizzò una forte reazioneda parte della medicina "ortodossa", che
vedeva questa crescita come un grosso pericolo: l'omeopatia metteva in discussio-
ne le basi filosofiche, la metodologia clinica e la farmacologia ufficiali. Il nuovo
approccio conteneva sin dall'inizio una forte carica critica verso l'uso delle
medicine convenzionali, giudicate dannose, tossiche e controproclucenti per la
pratica della omeopatia, in quanto basate tutte sulla soppressione del sintomo.
Inoltre una buona pratica omeopatica necessitava di lungo tirocinio ed individua-
lizzazione del trattamento, cose che richiedevano molto più tempo di quello che
normalmente i medici potevano mettere a disposizione dei pazienti.
Nel 1846 fu fondata la American Medical Association, che ebbe fra i suoi primi
obiettivi la lotta contro l'omeopatia: l'iscrizione fu vietata ai medici omeopati, ai
membri fu vietato, pena l'espulsione, persino di consultarsi con omeopati, fu
negato il riconoscimento legale ai diplomi rilasciati da università dove vi fossero
cattedre di omeopatia. Nel 1910 venne stilata una classifica delle scuole mediche
americane (Flexner Report), in base a criteri che davano alti punteggi alie scuole
che privilegiavano l'approccio fisico-chimico e patologico al corpo umano, Dena-
lizzando l'approccio omeopatico. ovviamente, i colleges omeopatici ottennero
bassi punteggi e poiché solo i laureati nelle scuole con alto punteggio vedevano
riconosciuto il titolo di studio, ciò rappresentò un colpo mortale all'insegnamento
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 33

dell'omeopatia: infatti, su 22 colleges omeopatici presenti nel 1900, solo 2


rimanevano nel 1,923. Nel 1950 non vi erano più colleges che insegnassero
l'omeopatia e si stimava che esistessero solo un centinaio di medici omeopati, tutti
di età superiore ai 50 anni, in tutti gli stati Uniti. un parallelo declino, per vicende
analoghe, subì la pratica omeopatica in Europa nei primi decenni del '900.
Non si deve però concludere che il declino dell'omeopatia fu dovuto solo a
ragioni politiche o economiche. Almeno altri due fattori ebbero un ruolo decisivo:
le lotte interne all'omeopatia e le nuove grandi scoperte scientifiche e farmacolo-
giche. Per quanto riguarda le divisioni del mondo omeopatico, vi furono dispute fra
le diverse scuole a riguardo della diluizione (alte o basse potenze), a riguardo della
prescrizione unica o multipla, a riguardo della prescrizione secondo la totalità dei
sintomi o secondo la principale patologia presente. Le diverse scuole svilupparono
proprie organizzazioni, ospedali e riviste, rendendo perciò molto arduo orientarsi
anche ai medici che fossero seriamente interessati ad apprendere nozioni di
omeopatia.
Un duro colpo alle teorie omeopatiche fu assestato dalle scienze chimiche ed in
particolare dalle teorie di Avogadro, pubblicate inizialmente come ipotesi nel 1811
e poi verificate sperimentalmente da Millikan nel 1909 fiavori citati da Majerus,
1991]: come è ben noto, tali teorie stabilivano che in una Mole di una qualsiasi
sostanza sono presenti6.02254 x 1023 unità molecolari o atomiche. Di conseguen-
za, Ltn semplice calcolo dimostrava che diluizioni di una qualsiasi sostanza
superiori a1,024 (24D o 12CH in termini omeopatici) avevano probabilità sempre
più remote di contenere una singola molecola o atomo del composto originale di
pafienza. Da qui a gettare nel ridicolo l'impiego delle medicine omeopatiche il
passo fu owiamente molto breve, e gli omeopati vennero considerati dai loro
oppositori alla stregua di una specie di setta esoterica. Simili opinioni sono rimaste
quasi invariate fino ai nostri giorni e possono essere ancora riscontrate in testi
autorevoli [Meyers et al., 1981].
Determinante per il prevalere della medicina scientifica convenzionale fu il suo
stesso sviluppo come scienza, capace di individuare le cause di molte malattie, e
come tecnologia, efficace nella loro cura: le scoperte di Lister sull'antisepsi e lo
sviluppo dell'anestesia aumentarono grandemente i successi, le indicazioni e la
popolarità della chirurgia. Mentre la chimica, la fisiologia e la patologia facevano
passi da gigante sul piano teorico, la scoperta delle terapie di sostituzione con
vitamine ed ormoni e soprattutto l'introduzione degli antibiotici, degli analgesici
e degli anti-infiammatori permisero alla terapia ortodossa di dimostrare la propria
superiorità pratica. La possibilità di interpretare razionalmente i fenomeni patolo-
gici sulla base di un modello scientificamente dimostrato del corpo umano e la
disponibilità di mezzi chimici, fisici o tecnologici in grado di riparare i guasti
evidenziati con massima precisione da strumentazioni sempre più sofisticate ed
34 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

attendibili era (ed è) una prospettiva troppo attraente e convincente per consentire
ancora l'esplorazione di alternative basate su antiche e misteriose teorie.

2.5. Varianti dell'omeopatia classica

Come già accennato e come è nella logica delle cose, ai concetti e regole iniziali
sono andate via via aggiungendosi ulteriori scoperte ed applicazioni. Tra queste,
meritano particolare menzione l"'isopatia" e l'introduzione dell'impiego dei
cosiddetti "nosodi".

2.5. 1. Storia dell' isopatia

Una delle prime e più forti innovazioni dell'omeopatia, che ricevette poi
menzione anche nelle ultime edizioni dell'Organon, è l'isopatia. Il termine fu
coniato probabilmente dal veterinario Wilhelm Lux attorno al 1831-1833 [Lux,
1833]; dopo aver iniziato a curare i suoi animali con il metodo omeopatico, si
convinse che ogni malattia contagiosa porta in sé stessa ilmezzo per guarirla. Egli
osservò che la tecnica di diluizione e dinamizzazione di un prodotto contagioso
(batterio, virus o secrezioni e materiale organico infetti) metterebbe in grado
quest'ultimo di avere azione terapeutica sulla malattia che è risultato del contagio.
La legge di similitudine Similia similibus curentur diventa cos\: Aequalia aequa-
libus curentur o legge di identità.
In realtà, i principi che stanno alla base dell'isopatia hanno radici molto più
antiche della stessa omeopatia [Ju1ian, 1983]. Tentare di trattare una malattia per
rnezzo dell'agente che può provocarla o trasmetterla, è una delle più generali
acquisizioni della medicina empirica. Numerosi popoli primitivi si premuniscono
contro l'effetto dei veleni con inoculazioni ripetute di essi o di materiali estratti
dagli apparati veleniferi dei serpenti. In Estremo Oriente, i Cinesi praticavano la
vaiolizzazione preventiva sia indossando i vestiti provenienti da un malato in piena
fase di suppurazione, sia con delle pustole disseccate e conservate per un anno e poi
inalate. Plinio affermava che la saliva di un cane arrabbiato può preservare dalla
rabbia. Dioscoride di Anazarbo raccomandava agli idrofobi di mangiare il fegato
del cane che li aveva morsi. Aetius d'Antiochia raccomandava di mangiare la carne
della vipera che aveva appena morso. Nel XVII secolo Robert Fludd, irlandese,
curava i tisici con le diluizioni dei loro stessi sputi, dopo un'adeguata preparazione.
È solo però agli inizi del XIX secolo e con la nascita dell'omeopatia che
I'isopatia arriva al suo completo sviluppo [rassegna in Julian, 1983]. Tre autori
dominano nella storia dell'Isopatia, tutti e tre medici omeopatici: Constantin
Hering, Wilhelm Lux ed il Rev. P. Collet.
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 35

Constantin Hering nacque in Sassonia nel 1800 e divenne assistente del chirurgo
Robbi, il quale lo incaricò di scrivere per lui un libro che confutasse definitivamente
l'omeopatia, come gli era stato richiesto dall'editore Baumgartner. Hering, appro-
fondendo gli scritti di Hahnemann, non solo ne venne incuriosito, ma alla fine ne
prese anche le difese, dichiarandosi a favore del nuovo metodo. All'omeopatia
Hering ha dato moltissimo ma in particolare si deve a lui la sperimentazione di
Lachesis e la preparazione di rimedi omeopatici a partire da escrezioni e secrezioni
patologiche, che egli chiama "nosodi". All'inizio questo termine designava qual-
siasi rimedio estratto da escrezioni o secrezioni patologiche, derivate dall'uomo o
dall'animale. I veleni animali venivano compresi in questa definizione, tanto è vero
che Hering sperimentò per primo il veleno di Lachesis (primo nosode nella storia,
poi divèntato a tutti gli effetti un rimedio omeopatico) ed il "veleno" della rabbia.
Convinto che ogni malattia conterrebbe nel suo stesso germe il suo rimedio e la sua
profilassi, estese i suoi studi al "virus" della scabbia, estraendo il supposto "virus,,
a partire da vescicole di un soggetto con una scabbia ben sviluppata.
Hering sosteneva anche che prodotti del corpo umano e le varie parti dell,orga-
nismo allo stato sano hanno tutte un'azione preferenziale sulle parti malate
corrispondenti e fin dal 1834 consigliò l'fiilizzazione di organi omologhi diluiti e
dinamizzati ("iso-organoterapia"). Infine egli supponeva che gli elementi chimici
avessero un'azione particolare su quegli organi in cui si trovano principalmente
contenuti. I suoi studi e lavori sui minerali ed i sali precedettero i lavori di
Schuessler sui sali biochimici.
Il secondo grande isopata è il medico veterinario Johan Joseph wilhelm Lux
nato in Slesi anel1776. Professore di Scienze Veterinarie fin dal 1806 all'università
di Leipzig, Lux segna una data nella storia della medicina veterinaria. A partire dal
1820 conobbe gli scritti di Hahnemann ed applicò il nuovo metodo in medicina
veterinaria, divenendo un diffusore appassionato della omeopatia veterinaria.
Nel 1831 Valentin Zibrik gli chiese un rimedio omeopatico contro il cimurro ed
il carbonchio. Non conoscendo ancora rimedi omeopatici contro quelle epidemie
consigliò di rimpiazzare il "simile" omeopatico (cioè il farmaco prescritto in base
ai sintomi) con una 30'diluizione centesimale di una goccia del rnuco nasale di un
animale colpito da cimurro e una 30u diluizione centesimale di una goccia del
sangue di un animale colpito da carbonchio, e di farne prendere a tutti gli animali
affetti rispettivamente da cimurro e da carbonchio.
Egli così per primo creò il ceppo di Anthracinum. Nel 1833 Lux pubblicò i
risultati ottenuti in un piccolo opuscolo, Isopathik der Contagionen [Lux, 1833] in
cui sosteneva appunto che "tutte le malattie portano nelia loro stessa sostanza il
mezzo per guarirle". Si potevano quindi diluire e dinarnizzare non solo gli agenti
morbosi "conosciuti" ma anche qualsiasi tipo di secrezione e di escrezione umana
o animale. Inoltre Lux estese il principio anche alle sosta:rze divenute iatrogene per
36 Principi fondamenlali e breve storia dell'omeopatia

abuso, così il metodo dapprima rtilizzato solo nelle malattie contagiose, venne
applicato anche a quelle non contagiose.
Le idee di Hering e di Lux trovarono appoggio e difesa nel miglior allievo di
Hahnemann, Stapf e si diffusero in Francia e Germania. Weber, medico consigliere
alla Corte di Hesse, pubblicò nel 1836 uno studio fatto sull'iso-trattamento del
carbonchio, usando la 30" diluizione CH di succo purulento di milza in cancrena
(localizzazione specifica negli animali). Joly a Costantinopoli scrisse ad Hahne-
mann nel 1835 di aver ottenuto numerosi casi di guarigione da peste nei lebbrosari,
usando diluizioni alla 30" delle sierosità di bubboni della peste.
Qualche anno dopo J.F.Herrmann di Thalgau (Salisburgo) riprese le idee di
Hering e pubblicò nel 1848 "La vera isopatia o l'utilizzazione di organi animali sani
come rimedi per malattie analoghe nell'uomo". Le sue idee saranno riprese da
Brown-Sequard, padre dell'opoterapia moderna.
Tuttavia, dopo una prima espansione, il nuovo metodo andò incontro a critiche
continue e sempre più forti, tanto da portare l'isopatia in declino per parecchi anni,
all'interno degli stessi ambienti omeopatici. Solo alcuni solitari continuarono ad
usare i rimedi isopatici. Fu padre Denys Collet, nato nel 1824, medico e poi
religioso dell'Ordine Domenicano, a far rifiorire l'isopatia. Nel 1865 fu testimone
di una guarigione omeopatica, che lo convinse a dedicarsi al nuovo metodo.
Riscoprì da solo f isopatia e dopo decenni di pratica pubblicò il suo libro "Isopathie,
Méthode Pasteur par Voie Interne", all'età di settantaquattro anni. Secondo Collet
esistono tre modi di guarigione: l'allopatia,l'omeopatia e l'isopatia, tutte utili in
funzione delle indicazioni cliniche. Inoltre distingue tre specie d'isopatia:
l"'isopatia pura", che usa prodotti di secrezione di un malato per guarire la stessa
malattia; l"'isopatia organica", che cura gli organi malati con derivati dinamizzati
da organi sani; l"'isopatia sieroterapica" o "sieroterapia" (diluizione di siero
iperimmune). Nella sua opera si trovano anche 42 osservazioni personali e le regole
della farmacoprassi isopatica, punto di partenza di un notevole rinnovamento del
metodo.
Nel nostro secolo compaiono due opere dedicate interamente ai nosodi: laprima
nel 1910 di H.C. Allen, "The materia medica of the Nosodes" [Allen, 1910]. La
seconda è del francese O.A. Julian, che pubblica dapprima in tedesco la "Materia
Medica der Nosoden" nel 1960, poi rivista in due versioni francesi, nel 1,962
"Biotherapiques et Nosodes", e nel 1977 "Traité de Micro-Immunothérapie Dyna-
misée" [traduzione italiana: Julian, 1983].
Il libro sopracitato di O.A. Julian del 1960 ottenne un grande successo negli
ambienti tedeschi, rilanciando lo studio dei nosodi. In particolare R. Voll offrì un
posto centrale alla terapia con i Nosodi nella sua metodica diagnostica-terapeutica:
l'elettroagopuntura-organometria (v. cap. 7.3) e H. H. Reckeweg, fondatore
dell'omotossicologia, fece largo uso dei nosodi nella sua bioterapia (v. cap.2.6).
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 37

2.5.2. Terminologia e definizioni di isoterapia, nosodi e bioterapici

come si ricava dalla storia dell'isopatia, vi è una gran confusione di termini.


Hering per primo parlò di nosodo, intendendo una diluizione omeopatica estratta
da escrezioni o secrezioni patologiche, derivate dall'uomo o dall'animale. Fu
invece Lux (v. sez. 2.5.1) probabilmente a coniare per primo il termine isopatia,
riferendosi ad un metodo terapeutico che segue il principio di identità: "Aequalia
aequalibus curentur", secondo il quale una sostanza infettante, diluita e dinamiz-
zata secondo la prassi omeopatica, è in grado di guarire la stessa malattia contagiosa
che essa provoca.
Più recentemente in Francia, sul Journal officiel del29 dicembre 1948, venne
pubblicato un decreto di "Codificazione delle preparazioni omeopatiche officinali"
dove questa era la definizione del termine "nosodo" (o nosode): "I nosodi sono
preparazioni omeopatiche ottenute a partire da colture microbiche, da virus, da
secrezioni o da escrezioni patologiche... I nosodi non vengono mai venduti al
pubblico allo stato naturale, ma solo a partire dalla terza diluizione centesimale o
dalla sesta diluizione decimale". Essi devono soddisfare prove di sterilità. La prima
diluizione centesimale, ed owiamente le diluizioni successive, inseminate su vari
mezzi batteriologici, non devono dare origine ad alcuna coltura.
Diversa è la definizione del termine "isopatico", che non si riferisce direttamen-
te al termine isopatia. Sempre secondo il decreto francese del 1948 "si denominano
isopatici quei nosodi il cui ceppo provenga dal malato stesso". Essi vengono
preparati estemporaneamente a partire da sostanze provenienti dal malato (sangue,
urine, secrezioni patologiche....), la cui prima diluizione liquida deve essere
sterilizzata, oppure fornite dal malato (vaccino, medicamento, allergene....). L,iso-
patico si distingue dal nosodo per il suo carattere individuale, il cui uso è
unicamente destinato alla persona che ne ha fornito il ceppo, che verrà poi distrutto
subito dopo I'uso.
Ancora più recentemente, nel codex dell'ottava edizione della Farmacopea
Francese del 1965, i termini "nosodo" e "isopatico" vennnero sostituiti con quelli
di "bioterapico" e "isoterapico" rispettivamente.
Infine fu O.A. Julian a proporre nella seconda metà degli anni '70 di attualizzare
la terminologia secondo il vocabolario medico del nostro tempo e suggerì di
designare bioterapici ed isopatici con il nome di Micro-Immunoterapia Dinamiz-
zata.Egli intendeva così esprimere che l'azione preferenziale di questi medicamen-
ti è la regolazione del sistema immunitario, a livello della produzione di anticorpi
e/o autoanticorpi. Anche il termine introdotto da Julian non è stato, comunque,
universalmente accettato (anche perché lo stesso concetto di "dinamizzazione" è
ancora molto discusso e discutibile, non essendone definite le basi chimico-
fisiche).
38 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

In conclusione,per isopatiaoggisi intende l'uso, quale rimedio, di preparazioni


diluite e dinamizzate di agenti eziologici delle stesse malattie, secondo il principio
non della similitudine dei sintomi, ma dell'ugu aglianzadell'agente eziologico. Ad
esempio, l'uso di pollini nell'asma allergico, I'uso degli stessi veleni per curare gli
avvelenamenti, l'uso di preparazioni "omeopatizzate" di farmaci allopatici per
combattere gli eventuali effetti tossici dei farmaci stessi.
Per isopatico si intende l'uso terapeutico di materiale patologico, di secrezioni
ed escrezioni provenienti dal malato stesso. Ad esempio, la materia del foruncolo
diventa (ovviamente dopo opportuna preparazione) I'isopatico, per il paziente che
I'ha fornita, della sua foruncolosi cronica.
Per nosodi si intendono quelle preparazioni omeopatiche che sono costituite da
estratti, adeguatamente preparati in forma sterile, diluita e dinamizzata secondo le
metodologie omeopatiche, di materiali patologici (vescicola della scabbia, pus
uretrale, materiale di sifiloma iniziale), di coltivazioni di agenti patogeni (microbi,
virus), di prodotti del metabolismo umano o animale (succhi biliari), di organi o
tessuti alterati patologicamente (tonsilliti, ulcere, osteomieliti, ecc.). Ad esempio,
Tubercolinura è un nosode preparato dalla lesione indotta dal micobatterio di Koch,
Variolinum il nosode preparato dal materiale derivante da una pustola vaiolosa,
Carcinosinurn da un carcinoma, ecc.
Una particolare forma di isopatia è la autoemoterapia, in cui viene usato lo stesso
sangue del paziente, somministrato di solito per via intramuscolare, dopo opportu-
no trattamento (ad esempio, diluizion e-dinamizzazione, ozonizzazione, aggiunta
di farmaco omeopatico). Di essa sarà detto più ampiamente nel capitolo 6.4.

2.6. La omotossicologia

A seguito dello sviluppo delle scienze chimiche, biochimiche ed immunologi-


che, che verso la metà di questo secolo cominciavano a fare intravvedere una
interpretazione veramente scientifica dei fenomeni biologici e patologici, vari
autori iniziarono a ripensare all'omeopatia nell'ambito dei criteri di scientificità
moderni.
La legge di similitudine, i principi attivi dei farmaci omeopatici, i meccanismi
dell'effetto di dosi basse e molto basse venivano riveduti criticamente. Questo
tentativo è stato ed è attuato (partendo dagli anni '50 in poi) principalmente dalla
scuola omotossicologica tedesca [Reckeweg, 1981, 1990; Maiwald, 1988; Bian-
chi,7987,1990] che ha preso le mosse da una rivisitazione critica del processo
infiammatorio, visto non già come processo patologico ma come reazione organica
di difesa. Il concetto di forza vitale viene ricondotto al mondo delle scoperte della
biochimica, della fisiologia e della immunologia.
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia -39

L'omotossicologia rappresenta quindi quella branca della omeopatia che ha


cercato e cerca di collegare scientificamente l'omeopatia alle conoscenze chimico-
terapeutiche della medicina moderna. Si deve comunque constatare che questo
tentativo non è ancora definitivamente compiuto, sia per lalimitatezza delle forze
e delle risorse che finora si sono dedicate a questo scopo, sia per la vastità della
materia, che abbraccia potenzialmente tutti i settori dello scibile biomedico.
La parola omotossicologia deriva dal concetto di "omotossina", che sarebbe in
fondo qualsiasi molecola, endogena o esogena, capace di provocare danno biolo-
gico. Probabilmente tale concetto è stato elaborato a partire clalle teorie e dall'espe-
rienza dell'omeopatia classica, che parlava di tossine endogene presenti nelle
"diatesi" patologiche.
Per quanto piuttosto generica, questa definizione ha un certo valore orientativo
per la teoria e la pratica medica. Infatti così definisce Reckeweg il concetto
omotossicologico della malattia: "Tutti quei processi che noi chiamiamo malattie
sono l'espressione delle misure difensive, biologicamente opportune, contro
omotossine esogene ed endogene (fasi di escrezione, di reazione e di deposito)
oppure del tentativo dell'organismo di compensare i danni omotossici subiti (fasi
di impregnazione, di degenerazione e di neoplasma) al fine di mantenersi in vita
quanto più a lungo possibile".
Non si vuole, in questa sede, affrontare una analisi degli aspetti applicativi della
omotossicologia, che sono, per molti aspetti, altrettanto discussi e discutibili di
quelli dell'omeopatia in generale, quanto piuttosto limitarsi ai concetti fondamen-
tali della teoria. Per illustrare il tipo di approccio della omotossicologia, si può
partire ad esempio da un punto che è apparentemente in comune tra medicina
convenzionale ed omeopatia, la vaccinazione. Considerando questa pratica di
manipolazione del sistema immunitario, si evidenzia bene la capacità dell'organi-
smo di reagire ad una perturbazione del sistema (in questo caso, I'antigene
estraneo), mettendo in atto una risposta integrata, specifica, tesa a tutelare la propria
integrità strutturale e funzionale. Tale risposta è sovrabbondante rispetto allo
stimolo iniziale ed è relativamente stabile (memoria), tanto che può servire a
neutralizzare una ipotetica seconda perturbazione (in questo caso, una infezione).
E noto poi che la risposta immunitaria è sì specifica verso l'antigene che l'ha
innescata, ma può dirigersi anche verso qualsiasi bersaglio che abbia qualcosa di
"simile" (anche solo una parte della molecola). Nella rete complessa del sistema
immunitario, il "ventaglio" anticorpale si può allargare allo scopo di attaccare e
nefiralizzare antigeni non solo identici, ma anche solo somiglianti all'originale.
Questi concetti, che sono oggetto della moderna immunologia, servono a
illustrare un comportamento degli esseri viventi che la omotossicologia valorizza
e studia. Quello che rappresenta il contributo dell'omotossicologia è l'estensione
di questa concezione dal campo della vaccinazione-immunità all'organismo nel
40 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

suo insieme, con tutti i suoi sistemi deputati alla conservazione dell'integrità
fisiologica. Per la omotossicologia, i fattori che perturbano tale integrità non sono
solo gli antigeni estranei, bensì anche le sostanze chimiche tossiche, le radiazioni,
le molecole endogene derivate dai processi infiammatori (soprattutto se questi sono
impediti farmacologicamente nella loro normale evoluzione), la alimentazione
eccessira o non equilibrata, le variazioni del pH dei tessuti connettivi, lo stress,
particolari stati psicologici, ecc.
Vengono deiinite "omotossine" tutte le molecole, endogene o esogene che
mediano un danno a cellule, tessuti ed organi' La risposta dell'organismo alla noxa
patogena coinvolge in modo altamente integrato tutto quello che viene detto
"sistema della grande difesa" e che comprende:

a) il sistema immunitario,
b) il connettivo come tessuto dove le varie sostanze tossiche sono "bruciate" dalla
reazione infiammatoria, o sono accumulate in attesa di una eliminazione,
c) il meccanismo ipotalamo-ipofisi-surrene'
d) il sistema di riflesso neurale simpatico e parasimpatico,
ej la funzione disintossicante del fegato (sistemi microsomiali, glucuronoconiu-
gazione, ecc.).

risale a metà
euesta formulazione del concetto di "sistema della grande difesa"
degli anni sessanta; oggi vi si potrebbero aggiungere altri elementi importanti (basti
p"n.ur. ai sistemi polimolecolari solubili del plasma, ai neuropeptidi, alle multifor-
mi funzioni delle prostaglandine, alle nuove funzioni delle ghiandole endocrine e
del sistema gastrointestinale, ecc.) senza che ne cambi il significato fisiopatologico
essenziale.
La attività dei sistemi di difesa è caratterizzata in circostanze normali dalla
normale funzione fisiologica, mentre nel caso di un eccesso di fattori tossici (o di
una loro permanenza nel sistema) si riscontra un livello di attività nei vari sistemi
tale da provocare dei sintomi. Se il sistema di difesa non riesce ad eliminare la noxa
patogena, o introduce esso stesso altri elementi di patogenesi, il quadro cambia e
.i Secondo la concezione omotossicologica [Reckeweg, 1981; Bianchi,
"o*pti"u.
1987; Maiwald, 1988] analizzandoi processi riscontrabili nelle malattie si possono
distinguere 6 fasi fondamentali ed in un certo senso progressive:

a) fase di escrezione, in cui l'organismo mette in azione tutti i processi


di escrezione attraverso la pelle, f intestino, i reni, i polmoni, ecc';
b) fase di infiammazione, conformazione di essudati, pus, febbre, attivazione del
sistema immunitario;
c) fase di deposito, con steatosi, glicogenosi, aterosclerosi, calcolosi, ecc., in cui
a

Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 41

l'organismo tende a confinare le sostanze tossiche o eccessive in particolari


distretti;
d) fase di impregnazione, in cui le sostanze tossiche (incluse quelle endogene
eventualmente prodottesi nelle fasi precedenti) si diffondono nei tessuti e negli
organi a causa di iniziale blocco dei sistemi cellulari ed enzimatici di smaltimen-
to;
e) fase di degenerazione, in cui prevale il danno cellulare, di origine citotossica,
anossica, distrofica, ecc.;
f; fasi neoplastiche, in cui fattori dannosi a livello genetico, in concomitanzacar,
la presenza di fattori di crescita od ormonali ed eventualmente con una
depressione del sistema immuuitario, portano alla insorgenza di tumori.

Un aspetto positivo di questo modello è che esso consente di inquadrare e


comprendere la evoluzione della malattia e soprattutto di orientare in modo
ragionato la azione terapeutica. Infatti sarà compito del medico, una volta rimosse
le possibili cause che stanno all'origine della malattia, cercare di far compiere
all'organismo del paziente un percorso "a ritroso" attraverso le varie fasi, utilizzan-
do farmaci biologici e non farmaci inibitori enzimatici. L'uso inappropriato di
farmaci, che bloccano ad esempio le fasi di escrezione (sudore, essudati e desqua-
mazioni cutanee, catarro, diarrea, ecc.) o di reazione (febbre, flogosi acuta), in
questa ottica può persino causare una progressione della malattia verso fasi
degenerative o neoplastiche, perché i fattori patogenetici non rimossi ("omotossi-
ne") si rivolgono verso altri bersagli cellulari.
Nel suo repertorio farmacologico l'omotossicologia recupera molto della
tradizione empirica omeopatica, prediligendo l'uso di farmaci omeopatici a basse
diluizioni (cioè contenenti sostanziali quantità dei principi attivi), pur non oppo-
nendosi apertamente all'approccio classico, cioè alla ricerca del "simillimum" ed
alle alte diluizioni. La "filosofia" di fondo però non cambia: si tratta di stimolare
il potere di guarigione e di detossificazione intrinseco all'organismo, mediante
farmaci biologici in bassi dosaggi. Secondo questo approccio, inevitabilmente si
stabiliscono convergenze con la medicina convenzionale e la farmacologia più
moderna: vengono concepiti nuovi presidi terapeutici che non erano stati indivi-
duati dalla metodologia omeopatica, come ad esempio l'uso di chinoni o intermedi
del ciclo di Krebs quali catalizzatori dei processi di rigenerazione energetica
cellulare, l'uso di svariati oligoelementi e vitamine, l'uso di immunostimolanti
naturali e di sintesi, inclusi interferoni e citochine prodotti recentemente con
ingegneria genetica.
È owio che la teoria omotossicologica abbia sollevato alcune critiche da parte
dei cultori della omeopatia classica, i quali sostengono che i principi fondamentali
di quest'ultima (similitudine e microdosi potentizzate) vengono quasi completa-
42 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

mente trascurati. La discussione verte fondamentalmente sul fatto che l'approccio


omotossicologico ha come scopo la disintossicazione e l'eliminazione delle
"omotossine", cOSa in sé certamente valida, ma che rischia di non considerare /r//i
i livelli di potenziale dis-regolazione dell'organismo, compresi le predisposizioni
ed il "terreno" peculiare di ciascun individuo.
Nonostante queste discussioni siano tuttora aperte, l'omotossicologia, come
ponte tra l'omeopatia e la medicina convenzionale, non si vuole porre in contrasto
né con l'una, né con l'altra. Soprattutto, c'è la possibilità che il criterio sperimen-
tale, per cui le teorie sono sottoposte al vaglio delle prove cliniche e laboratoristi-
che, costituisca punto di riferimento sicuro per ulteriori progressi e chiarimenti sui
rapporti tra omeopatia e omotossicologia.

2.7. La situazione attuale dell'omeopatia

Come si è detto, l'enorme progresso della medicina convenzionale in questo


secolo ha rafforzato la opinione che il trattamento allopatico, mediante i "contrari",
sia l'unico efficace e, in generale, rufforzato l'opinione che è solo questione di
tempo perché si trovi un trattamento per ogni malattia. Le grandi epidemie infettive
sono state debellate da una combinazione di miglioramento delle condizioni di vita,
igiene, vaccinazione ed antibiotici. La conoscenza delle malattie da deficit vitami-
nico, enzimatico od ormonale ha dato nuove armi per la lotta contro malattie quali
anemia perniciosa, nanismo, diabete. I trapianti, se non fosse per il problema di
trovare i donatori, sarebbero già terapia di routine per una ampia serie di malattie.
Ilcortisone e derivati risolvono molti problemi di ipersensibilità immunitaria. I
recenti sviluppi della biologia molecolare fanno sperare che neppure il livello
genetico potrà sottrarsi alle nostre capacità di manipolazione.
In questo contesto, non si vede quale spazio potrebbe avere la omeopatia, eppure
essa si sta attualmente ancora diffondendo. La pratica della omeopatia va aumen-
tando nel panorama sanitario italiano, come una recente inchiesta ha dimostrato
[Doxa, 1988]. Questo processo di diffusione segue quanto già avvenuto in
paesi come la Francia e la Germania, e va di pari passo con una ripresa dell'inte-
resse per l'omeopatia in molti paesi del mondo [Ullman, 1989; Ullman,1991;
Gibson and Gibson, L9871.1n Inghilterra, il ricorso a medici omeopati aumenta del
39Vo all'anno e 42Vo di pazienti visti da medici generici ha riferito di aver usato
rimedi omeopatici [Ullman, 1989]. Su 100 medici neolaureati,Sl%ò hanno espresso
interesse ad essere istruiti in omeopatia, o agopuntura o ipnosi [Ullman, 1991;
Taylor Reilly, 1983]. È ben noto che persino la Casa Reale britannica fiilizza
l'omeopatia come forma di terapia prevalente. In Francia 11000 medici prescrivo-
no rimedi omeopatici e secondo recenti statistiche, 30Vo dei francesi ha usato tali
Principi fondamentali e breve storia d.ell'omeopatia 43

medicine [Bouchaier, 1990]. Il giornale Le Nouvel Observateur riferisce che il


presidente Mitterrand e 6 rettori di Facoltà mediche spingono per una maggiore
ricerca in omeopatia. In Germania,25Vo dei medici ricorrono almeno occasional-
mente a medicine omeopatiche [Ullman, 1991]. Uno studio eseguito presso un
ospedale universitario norvegese ha mostrato che il 51,.1,Vo dei pazienti con
dermatite atopica e il42.5Vo deipazienti con psoriasi avevano fatto ricorso a terapie
alternative (soprattutto omeopatia e fitoterapia) [Jensen, 1990].
L'omeopatia è ancora più popolare in Asia, soprattutto in India, Pakistan e Sri
Lanka. Grande sostegno alla diffusione dell'omeopatia in India fu dato dal
Mahatma Gandhi, ed è evidente come nei paesi del terzo mondo, in cui spesso la
realtà sanitaria è ai livelli di quella nostra di un secolo fa e mancano le infrastrutture
per l'applicazione della medicina occidentale,l'omeopatia, anche per il basso costo
di produzione dei medicinali, trovi ampi spazi di diffusione. Ciò è confermato
anche dal fatto che Madre Teresa ha voluto introdurre la cura omeopatica nei centri
di accoglienza per poveri e bambini malati a Calcutta sin dal 1950 e che attualmente
esistono 4 dispensari omeopatici gestiti dalle Suore Missionarie della Carità. Lo
stesso vale per altri paesi: in Brasile vi sono circa 2000 medici che utilizzano
medicine omeopatiche e molte Facoltà mediche hanno corsi di omeopatia. In
Messico l'omeopatia è molto popolare, essendovi 5 colleges medici omeopatici, di
cui2 a Città del Messico. Anche negli Stati Uniti si assiste ad una rinascita di questa
pratica: le vendite di medicine omeopatiche sono decuplicate dagli anni '70 agli
anni '80 e verso la metà degli anni '80 vi erano già circa 1000 medici specializzati
in omeopatia [Ullman, 1989].
Anche in Italia molti giovani medici si "specializzano" in questo settore che
sembra loro promettente,sia sul piano professionale che occupazionale. Scuole di
omeopatia sorgono in molte città, rilasciano diplomi e chiedono un riconoscimento
ufficiale. Già queste considerazioni giustificherebbero un maggiore impegno da
parte delle istituzioni scientifiche ufficiali nel controllo e nella verifica clinica della
efficacia dei presidi terapeutici messi in atto. Si sente anche la necessità che i medici
formati nelle nostre università ricevano almeno alcune nozioni di tale metodica, in
quanto soprattutto a livello di medicina di base si tratta di una problematica molto
sentita dai pazienti e di cui spesso chiedono informazioni e consigli al medico
curante.
La ragione della ripresa dell'omeopatia, pur in assenza di un insegnamento
universitario e di un sostegno da parte delle autorità sanitarie pubbliche (i farmaci
non sono inseriti nel S.S.N.), può avere molte spiegazioni, ma non può essere
facilmente ridotta ad un fenomeno commerciale. La principale ragione di questo
successo delle medicine cosiddette "alternative" sta nel fatto che esse offrono
qualcosa che la medicina oggi non è in grado di fornire. Questo qualcosa è
riconducibile da una parte ad una maggiore "personalizzazione" del trattamento,
44 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia

con attenzione ad elementi umani e psicologici che sempre più spesso vanno
perduti nella medicina super tecnologizzata; dall'altra alla consapevolezza che
molte delle sfide tuttora aperte nella Iotta contro le malattie richiedano un approccio
diverso da quello finora seguito. Infatti sta crescendo, non solo nel vasto pubblico
ma anche nella classe medica, la consapevolezza che la medicina di oggi deve
affrontare con nuovi mezzi e nuove idee problemi quali la contaminazione
dell'ambiente da agenti tossici, le sempre crescenti patologie indotte dagli stessi
farmaci sempre più potenti, le malattie degenerative cui concorrono errori dietetici
o stile di vita, le allergie, l'autoimmunità e gli immunodeficit, molte patologie
nervose e psichiatriche, i disturbi psicosomatici, i tumori.
Nonostante gli indubbi progressi registrati negli ultimi decenni in questi campi
cruciali della medicina, nonostante spesso si diffondano notizie di "grandi scoper-
te" che aprono la strada alla cura definitiva di questa o quella malattia, nonostante
le nostre conoscenze sugli intimi meccanismi delle varie patologie siano aumentati
vertiginosamente a causa delle tecniche di biologia molecolare, in realtà non si può
negare che sul piano pratico, a livello di medicina di base e della grande massa dei
malati affetti dalle patologie sopra citate, ben scarsa è stata la ricaduta di tali
conoscenze.
Chi nega che la medicina convenzionale, nella sua applicazione su larga scala,
si trovi in una specie di "impasse" chiude gli occhi alla realtà, che ci mostra
drammaticamente questo gap tra conoscenze scientifiche e risultati pratici, tra
altissime capacità diagnostiche e scarsi mezzi curativi. Non solo i medici generici,
ma anche gli specialisti di molti settori mostrano spesso una sfiducia nelle reali
capacità della medicina di "guarire" i malati [Muller, 1,992]. Sono disponibili
sofisticati sistemi per effettuare indagini, terapie, trattamenti, interventi, monito-
raggi, follow up, statistiche, ecc.; vi sono molte più difficoltà quando si tratta di
curare i malati. Considerando l'alto livello delle scuole mediche, non si può
attribuire tale impasse alla mancanza di volontà, preparazione ed impegno degli
operatori sanitari, come non si può attribuirla alla mancanza di mezzi, considerati
i bilanci che le società occidentali hanno nel settore sanitario. Evidentemente c'è
qualcosa che non va nel sistema stesso e questo qualcosa non è di tipo quantitativo
(quantità di conoscenze, quantità di risorse) ma qualitativo, riguardante l'imposta-
zione di fondo.
Queste constatazioni non portano a concludere, come spesso erroneamente si fa,
che tutto il sistema sia da rimettere in discussione, servono solo a spiegare il ricorso
alle medicine cosiddette alternative da parte di un pubblico sempre più vasto. E tra
gli obiettivi di questo lavoro cercare di dimostrare che non vi è contrasto sostanziale
tra medicina scientifica e medicine empiriche, le quali ultime rappresentano una
specie di serbatoio di esperienze, di intuizioni, di tradizioni che, una volta passate
al vaglio di uno studio rigoroso e liberate da elementi spuri possono apparire quali
Principi fondarnentali e breve storia dell'omeopatia 45

"avanguardie" di un processo di rinnovamento che, pur non facile ed indolore, sta


interessando il sapere e la pratica medici.
Che non si tratti solo di un fenomeno commerciale è suggerito anche dal fatto
che si assiste ad un rinnovato interesse degli scienziati per gli studi sperimentali in
questo campo. Cominciano ad apparire lavori riguardanti gli effetti biologici di
farmaci omeopatici, lavori sul cosiddetto "effetto di alta diluizione", lavori clinici
eseguiti in doppio cieco e controllati con placebo. Il dibattito nel mondo scientifico
sta facendosi sempre più acceso e molti ricercatori si pongono l'obiettivo di
sviluppare metodi attendibili per affrontare il problema. Ad esempio P.Turner,
in un editoriale su Human Toxicology scrive: "An explanation of the activity of
homeopathic preparations mightbe found more readily if cellular or animal models
could be developed for their investigation" [Turner, 1987]. Anche se la letteratura
internazionale allopatica è ancora su posizioni molto prudenti, si tratta di proble-
matiche scientifiche di attualità che vengono trattate in simposi internazionali non
solo di specialisti omeopati, ma anche di biochimici, fisici e biologi (v. ad esempio
gli annuali meetings dell'International Study Group on Very Low Dose Effects,
giunti nel 1992 alla 6' edizione).
Negli ultimi anni è cresciuta sia da parte del mondo medico che delle autorità
sanitarie la domanda di spiegazioni scientifiche e di prove cliniche rigorose.
Purtroppo, esiste il notevole problema dei finanziamenti, del personale e delle
istituzioni deputati allo scopo. Un notevole impulso alle ricerche in campo
omeopatico è stato dato, a partire dagli anni '60, dalle industrie del settore, che
hanno cominciato a finanziare alcuni istituti universitari o a costituire propri
laboratori di ricerca [Majerus, 1991]. I principali obiettivi delle ricerche sono quelli
di provare l'efficacia in studi controllati in doppio cieco e di individuare il
meccanismo d'azione del farmaco omeopatico a livello molecolare, cellulare e/o di
sistemi complessi dell' organismo.
3. L'-OMEOPATIA E, EFFICACE?

Esiste ancora molto scetticismo nel campo della medicina convenzionale sulla
reale efficacia dell'omeopatia, per lo più giudicata alla stregua di un placebo,
oppure come un trattamento che, comunque, non fa male. Tale scetticismo non è
privo di giustificazioni, essendo dovuto da una parte alla mancanza di inform azione
sul problema, come si è già detto nell'introduzione, dall'altra ad una difficoltà
"epistemologica" nei confronti della concezione filosofica e dell'impostazione
metodologica che apparentemente escono dal modo di ragionare meccanicistico e
riduzionistico su cui il pensiero medico da secoli si basa.
Non si vuole qui sostenere che non esiste un effetto placebo in omeopatia: tale
fenomeno è ben noto anche nei trattamenti convenzionali e rappresenta uno dei
maggiori problemi nelle ricerche di farmacologia clinica. Nella particolare meto-
dologia omeopatica, dove la massima attenzione è dedicata dal medico alla
sintomatologia lamentata dal paziente ed alla sua storia personale e familiare, dove
si instaura un rapporto molto profondo tra malato e terapeuta e dove giocano
numerosi fattori socio-culturali (ritrovato interesse per la salute psicofisica, per
l'ecologia, paura della tossicità delle medicine, sfiducia nel sistema sanitario, ecc.),
owiamente l'efficacia della terapia è molto influenzata da elementi soggettivi. Vi
sono, però, molte indicazioni che l'effetto placebo non sia l'unica possibile
spiegazione dell'azione del farmaco omeopatico. Tali indicazioni sono qui di
seguito illustrate, secondo due linee, una basata su evidenze empiriche (sez. 3.1),
l'altra su studi clinici eseguiti su gruppi di malati (se2.3.2).

3.1. Evidenze empiriche

Un primo tipo di evidenze dell'efficacia dell'omeopatia si basa su una serie di


dati ed esperienze, presenti nella tradizione e riportate dalla letteratura omeopatica,
che non sono presentati in forma di studi clinici controllati, ma che possono
costituire ugualmente materia di riflessione e di discussione. Come già sottolineato
in altra sede, la tradizione omeopatica, pur essendo sostanzialmente derivata da un
L'omeopatia è efficace? 47

approccio sperimentale, ha in seguito dedicato poco impegno alla impostazione di


una seria e documentata ricerca clinica. Molta letteratura (materie mediche e
repertori) è stata composta da medici omeopati particolarmente dotati, che racco-
glievano le loro pluriennali esperienze e, confrontandole con la tradizione prece-
dente, aggiornavano il bagaglio di nozioni e di farmaci. Tali procedure risalgono
per la maggior parte ai primi discepoli di Hahnemann, e non si può ovviamente
pretendere che a quel tempo si seguissero metodologie che sono divenute patrimo-
nio della medicina molti decenni dopo. Non è neanche facile avere accesso oggi alle
fonti bibliografiche per controllare il tipo di documentazione raccolta nella costru-
zione della vastissima farmacopea omeopatica. Vari autorevoli omeopati moderni
hanno awiato un aggiornamento della farmacopea omeopatica mediante "re-
proving" di molti rimedi in essa contenuti [Fuller Royal, 19911, usando metodi più
moderni.
Deve essere, in ogni caso, confutata la convinzione comune che non esista
documentazione alcuna sulle ormai antiche farrnacopee omeopatiche. Infatti, come
è stato ampiamente documentato da studi storici [Aulas and Chefdeville, 1984],
sono state pubblicate almeno 22 opere di Hahnemann, molte delle quali in varie
edizioni aggiornate sulla base di nuove esperienze, e decine di lavori e libri di altri
sperimentatori suoi collaboratori o suoi contempcranei. tr,'edificio dell'omeopatia
è stato costruito dal sedimentarsi di moltissimi ci-:ntri,',luti nel corso del 1800 e dei
primi anni del 1900, necessitando, di tanto in tanto, di sintesi operate dai grandi
"capi-scuola": Hering, Allen, Clarke, Jahr, Kent, Vannier, ecc.
Un'innumerevole serie di articoli, riportanti per lo più le sperimentazioni
"provings" di nuovi rimedi o l'effetto di rimedi particolari in singoli casi, sono stati
pubblicati su giornali quali "Allgemeine Homòopatische Zeitung", "Hygea",
"Biologische Medizin", "Homotoxin Journal", "Homòopatische Vierteljahr-
schrift", "Proceedings of the American Institute of Homoeopathy", "American
Homoeopathic Review", "Homoeopathy", "British Homeopathic Journal", "Jour-
nal de la Société Gallicane de Médecine Homéopathique", "Annales Homéopathi-
ques Francaises", "Homeopathie Francaise", "Cahiers de Biothérapie" e molti altri
a diffusione più locale.
Per quanto non dimostrativo di per sé, un elemento che gioca a favore della
sostanziale validità dell'approccio omeopatico è la sua longevità e la sua diffusio-
ne. Almeno per quanto riguarda i rimedi di più largo uso, dalla lettura di varie opere
sull'argomento si deduce la convinzione che le Materie Mediche siano state
sottoposte ad un "filtraggio" di esperienza di tale ampiezzae durata che grossolani
errori di indicazione o di prescrizione sarebbero ''ati eliminati. È ditticite pensare
come alcuni rimedi abbiano continuato ad essere rortati come efficaci per certe
situazioni patologiche in duecento anni da scuole or , ir:atiche diverse indipenden-
temente nei diversi continenti. È Oificite immaginar. come a tutt'oggi medici con
48 L'omeopatia è efficace?

un curriculum universitario moderno, abilitati e spesso specialisti, cui certamente


non è ignota l'esistenza dell'effetto placebo, continuino ad usare alcuni rimedi per
determinate patologie se non ne abbiano osservato positivamente e personalmente
l'efficacia sui loro pazienti.
L'uso del placebo è una pratica corrente anche in omeopatia
[vithoulkas, 19g0]:
esso viene somministrato, in forma di gocce o granuli contenenti il diluente non
trattato con il principio attivo, in tutti quei casi in cui si vuole far emergere, dopo
le prime visite, le modificazioni di sintomi (o le presunte modificazioni) legate aila
suscettibilità emotiva del p azienteo all'effetto legato al rapporto col medico stesso.
Dopo un certo periodo di "trattamento" col placebo, viene somministrato al
paziente il rimedio scelto in base alle regole omeopatiche e si osservano le reazioni.
Se vi fosse equivalenza di effetti tra farmaci e placebo, in base a queste procedure
qualsiasi medico omeopata dovrebbe accorgersene dopo un po, di esperienza.
Il trattamento omeopatico è considerato particolarmente efficiente e rapido
anche nei bambini. È vero che anche i bambinipossono essere suggestionabilf ma
effetti così rapidi come quelli spesso osservati in omeopatia pediatrica su affezioni
di natura non semplicemente psichica o psicosomatica sono difficilmente spiega-
bili col solo effetto placebo.
Medicine omeopatiche sono comunemente usate in medicina veterinaria. Esi-
stono vari libri sul trattamento omeopatico di cani, gatti, cavalli e persino bovini.
Alcuni lavori sperimentali eseguiti su animali saranno riportati nel capitolo 4.
Benché un certo grado di suggestione sia possibile anche negli animali, pare
piuttosto dubbio che un semplice supporto psicologico faccia guarire un ascesso ad
un gatto, problemi cutanei ad un cavallo o una mastite ad una mucca, e che questo
non si osservi una volta sola ma sia ripetutamente osservato.
come già ricordato,l'omeopatia è divenutaparticolarmentepopolare in Europa
e negli Stati uniti per i suoi successi nel corso di grandi epidemie, come documen-
tano le cronache del tempo ed i registri dei deceduti negli ospedali. A credere a
questi dati, è molto dubbio che possa essersi trattato di un effetto placebo, anche
perché lo stesso effetto placebo avrebbe dovuto essere stato esercitato dagli altri
trattamenti non omeopatici.
Un'altra considerazione che non concorda con la teoria dell,effetto placebo
riguarda il fatto che quando una persona con una malattia cronica riceve un farmaco
omeopatico, è relativamente comune che si osservi una esacerbazione della
sintomatologia, una cosiddetta "crisi di guarigione", o "aggravamento omeopati-
co" [Popova,1,991). si tratta di un fenomeno temporaneo, ma a volte anche molto
intenso, che, come è scritto sui rhanuali, il medico omeopata considera un segno
molto positivo e non deve assolutamente cercare di sopprimere
[Vithoulkas, 19g0].
Invece i placebo, di solito, hanno effetti di tipo migliorativo. Un altro fenomeno
particolarmente suggestivo è il fatto che spesso, nel corso di una terapia omeopa-
49
L'omeopatia è efficace?

tica,sipuòosservareunritornodivecchisintomi'comeselaterapiaconsistessein
-iìlf"r"otto
a ritroso" nella storia patologica
del paziente'

3.2. Ricerca clinica

Certamentetutteleconsiderazionisoprariportatesonoinsufficientiaconvin-
statisticamente signifi-
di documentazione clinica
cere chi è abituato a fidarsi solo la
controllata' *:t1.1::']:li:::: o*tooutica
cativa, riproducibile e rigorosamente in considerazione
ricerca clinica come è intJsa dalla medicina moderna è stata presa
cieco è necessario per garantire la significa-
solo di recente. 1 ."toao J"l doppio ragioni
azioneè ritenuia impossibile per
tività dei risuttati,,,;;;.;" ta suà applic
puo tusciare senza trattamento il malato),
oppure
etico-deontologiche iri* .i importante per
difiducia tra.medico e paziente' molto
i"r"rrJ oiurug;" il,uppo'to tanto più' nella
la riuscita di ogni ttàpi"' ii" nella medicina
convenzionfe
111' possono essere
non
medicina no, medico, paziente e terapia
questo
,uiiubili indipendenti. si potrebbe superare
"orranrionale,
facilmente separati
"o*.
problema"."gu"ndolasperimentazionesenzailgruppodipazientinontrattatie la
trattati conlerapie diverse, ad esempio
confrontando due gruppi di pazienti
terapia conv"rrriorui" Iiu t".upiu
o*"opatica. Tale appioccio potrebbe dimostrarsi
le
in cui può.uc""d"r"-"he.pazienti rifiutino
vantaggioso soprattuito in qu"i campi
oàgli effetii collaterali o lasfiducianellariuscita'
terapie conv"nrioouiip", ir,i-"*
la difficoltà a trovare medici che
Tuttavia qui insorge ìn ,""ordo pioblema:
padronegginoentrambelemetodicheconunasiclrezzatalecheilloroconfronto
iia attendibile e significativo'
scarsità di ricerca clinica sinora
un,altra ,ugi"";-i;;, giustificativa) della 1o più
che essa è stata ed è praticata per
eseguita in omeopatà sta nel fatto piccoli gruppi' Oltre
ambulatorialmente da medici che lavorano singolarmente o in

alladifficoltaai,eperi',,u*"casistiche,vièilproblemachedifficilmenteun
in due gruppi omogenei per età
i suoi pazienti
medico può p"rrn.tlt"rri di dividere un altro:
il trattamenà ad un gruppo ed il placebo ad
e sesso, quindi somministrare
facilmentep",d","bb"almenolametàdeiclienti(ammettendocheiltrattamento eseguiti
quindi che trials in doppio cieco vengano
sia realment, .ri"*.ir É ,rg"r,. gruppi di molti
da programmi concordati
o tra
da grossi centri con vaste ca-sistiche
medici.
L,ostacolopiùgrossonellaricercaclinicainomeopatiaèdiordinemetodolo-
si basa fondamentalmente sulla
gico, in quanto fi-p"*ti'i"ne del.farmaco
semeiologiaindividualeemenosulladiagnosidellaformamorbosa:èmolto
probabile che pazienti con la stessa
malittia, ma. con diversa storia, diversa
reattivitàvegetativa,diversotipocostituzionale,diversa|oca|izzazionedeisinto-
50 L' omeopatia è ef{icace?

mi, richiedano diverse prescrizioni. Questo dato di fatto rende praticamente


difficilissimo valutare 1'efficacia di un rimedio in una certa patologia. Tale tipo di
prove Sono state comunque fatte, ma con risultati, come vedremo, Spesso contra-
stanti.
Più promettente pare un nuovo approccio: testare non il farmaco, ma il
trattamento omeopatico in quanto tale. In pratica, si effettua la visita omeopatica,
si prescrive il farmaco adatto per ciascun paziente,poi si passa alla randomizzazio-
ne dei pazienti in due gruppi, uno ,solo dei quali riceve la terapia che era stata
stabilita. Con questo sistema, si può valutare l'efficacia del metodo omeopatico in
una certa condizione morbosa e si può anche stabilire quali siano, statisticamente,
i farmaci che più spesso vengono prescritti e sono efficaci in quella malattia.
In ogni caso, un punto è certo: mentre i sostenitori delle terapie omeopatiche, e
naturali in genere, sono per lo più già convinti dell 'efficacia di tali terapie sulla base
dell'esperienza personale e della fiducia in capi-scuola più esperti, se si vuole aprire
un confronto con la medicina convenzionale ed ottenere un riconoscimento
ufficiale di queste forma di terapia, la esecuzione di trials clinici metodologicamen-
te corretti è assolutamente necessaria. Solo così si possono oggi ottenere prove
convincenti dell'efficaciadimetodi terapeutici, convenzionali o non convenzionali
che siano. Alcune "guidelines" per questo tipo di prove cliniche sono state già
proposte [Crapanne, 1985; Hornung, 1991].
Purtroppo si deve constatare che una buona parte degli studi clinici finora
riportati sono di qualità scadente, fatto riconosciuto anche da autorevoli ambienti
omeopatici [Hornung and Vogler, 1990; Hornung and Griebel, 1991]. Come si
accennava nell'introduzione, autori olandesi [Kleijnen et al., 1991] hanno eseguito
una valutazione di 107 ricerche cliniche in omeopatia sulla base di rigidi criteri di
giudizio utilizzati anche per trials in medicina allopatica: ad ogni lavoro è stato
assegnato un punteggio risultante dalla qualità della descrizione delle caratteristi-
che dei pazienti,dal numero di pazienti inclusi nella casistica, dal tipo di randomiz-
zazioneeffettuata, dalla più o meno chiara descrizione delle metodiche, dall'ado-
zione o meno del doppio cieco, dalla qualità della descrizione dei risultati. Sulla
base di tali criteri, solo 22 pubblicazioni sono state giudicate di buona qualità
(punteggio > 55/100). Di queste, 15 hanno dato risultati positivi in favore di un
effetto omeopatico, nel senso che hanno messo in evidenza significative differenze
tra pazienti trattati e non trattati (o trattati con placebo), 7 hanno dato risultati
negativi. In totale, dei 105 trials con risultati interpretabili, Sl hanno dato risultati
positivi, mentre i rimanenti non hanno evidenziato alcuna differenza di effetto tra
farmaci omeopatici e placebo.
Per quanto questo lavoro di rassegna non sia esaustivo dell'insieme dei lavori
eseguiti, trattandosi diuna pubblicazione su un giornale molto autorevole e diffuso,
ad essa qui si farà riferimento riportandone il punteggio assegnato (in centesimi)
L' omeopatia è efficace? 51

Tabella l. Trials clinici in omeopatia [citati da Kleijnen et al., 1991]

Argomento n. trials eseguiti risultati


positivi/tot.

Malattie cardiovascolari 9 4t9

Infezioni respiratorie 19 13t19

Altre infezioni 6t7

Malattie del sistema


gastrointestinale 7 \t1

Ileo post chirurgico 7 st7

Pollinosi 5 sts

Malattie reumatiche 6 4t6

Traumi e/o dolori 20 18t20

Problemi psicologici
o mentali 10 8/10

Altre diagnosi 15 731r5

per i lavori citati e di cui qui si riferirà. Una panoramica dei campi in cui le ricerche
cliniche in omeopatia sono state condotte si ha in base a quanto riassunto nella
tabella 1, che è stata costruita in base ai dati riportati nel lavoro di Kleijnen et al.
sopra citato.
Dalla tabella 1 si ottiene anche una stima delle principali indicazioni e dei
risultati della terapia omeopatica, o almeno di quelli che sono i settori in cui gli
sperimentatori considerano più facile eseguire ricerche ed ottenere risultati signi-
ficativi.
Qui si riporteranno alcuni dettagli sui Iavori più importanti, a scopo esemplifi-
cativo più che di rassegna completa. Si riferirà anche di alcuni altri lavori non
riportati da Kleijnen e che hanno interesse storico o servono per successive
discussioni sul possibile meccanismo d' azione omeopatico.
52 L'omeopatia è efficace?

Uno dei primi studi riportati dalla letteratura omeopatica fu sponsorizzato dal
governo britannico durante la seconda guerra mondiale [Paterson, L944; Scofield,
1984]. Esso fu effettuato su volontari cui venivano provocate ustioni cutanee col
gas mostarda azotata e mostrò un significativo miglioramento nei soggetti che
iicevettero cohe profila ssi Mustard gas 30C (un esempio di trattamento isopatico),
o come terapia Rhus tox 30C e Kali bichromicum 30C' Lo studio fu condotto
indipendentemente in due diversi centri (Londra e Glasgow) con simili risultati e
fu eseguito in doppio cieco e controllato con placebo.
Un gruppo s cozzese [Gibson et al. 1980] pubblicò sul British Journal of Clinical
pharmacology un lavoro eseguito al Glasgow Homeopathic Hospital sul trattamen-
to omeopatico dell'artrite reumatoide (punteggio 40/100). Ogni paziente riceveva
ilproprio rimedio indicato, ma metà vennero trattati con placebo. I risultati
mostrarono un miglioramento dei sintomi in82Vo dei pazienti trattati, edin21.Vo di
quelli sotto placebo.I miglioramenti riguardarono dolore, indice articolare, rigidità.
Il campo delle malattie reumatiche offre l'opportunità di vedere quali tipi di
controversie possano essere sollevate dalla ricerca in omeopatia. Ad esempio, una
sperimentazione in doppio cieco fu eseguita su pazienti affetti da fibrosite [Fisher,
1-986, punteggio 38]. Il medico poteva prescrivere una medicina scelta tra le tre che
potevano essere più probabilmente attive in questa condizione (Arnica, Rhus tox e

Bryonia). Non si evidenziò nessuna differenza tra i gruppi trattati col rimedio e
quelli trattati col placebo. Tuttavia, i risultati furono esaminati da un gruppo di
medici omeopati esperti che giudicò \a correttezza della prescrizione , analizzando
la corrispon denzatra sintomatologia individuale e rimedio ricevuto. Consideran-
do, nelli casistica, solo i pazienti che avevano ricevuto il rimedio giusto secondo
le regole omeopatiche (v. cap. 2.1), questi dimostrarono un significativo migliora-
*"rio rispetto ai controlli. Una analoga sperimentazione sulla fibrosite (fibromial-
gia primaria) è stata eseguita presso il reparto di reumatologia del St. Bartolomew's
Uospital diLondra [Fisheretal., 1989-punteggio 45]e, ancheperchépubblicata dal
British Medical Journal, rappresenta un interessante tentativo di armonizzare la
necessità di un protocollo scientificamente ineccepibile con la particolare metodo-
logia omeopatica. La diagnosi era stata fatta con i criteri diagnostici convenzionali
definiti daYunus, poi i pazienti vennero sottoposti ad anamnesi omeopatica e quelli
per cui era indicato il rimedio À/r us toxicondendrum 6C furono inclusi nello studio
(tale rimedio è uno dei più frequentemente prescritti in questo tipo di malattia). Il
trial fu condotto in doppio cieco versus placebo e con controllo incrociato. Dopo
l'ammissione non vi fu alcun contatto tra omeopata e paziente. I risultati furono
positivi in favore del trattamento omeopatico, che causò riduzione della sintomato-
logia dolorosa.
Una ricerca con risultati del tutto negativi è stata eseguita [Shipley et al., 1983,
punteggio 50/100] nell'osteoartrite. Pazienti affetti da questa malattia reumatica
L'omeopatia è fficace? 53

furono divisi in tre gruppi dei quali uno ricevette Rhus tox 6x, uno fenoprofen ed
il terzo placebo. I risultati (pubblicati sul Lancet) mostrarono che solo il gruppo
sotto fenoprofen ebbe un miglioramento dei sintomi significativamente superiore
al placebo. I medici omeopatici hanno risposto a questo lavoro sostenendo che la
strategia dell'esperimento non era corretta: usare una sola medicina per una
malattia, anziché individualizzare il trattamento secondo la totalità dei sintomi, può
essere efficace solo in pochi casi e l'osteoartrite non è fra questi, anche consideran-
do che Rhus /ox è spesso prescritto nell'artrite reumatoide ma non nell'osteoartrite
[Ullman, 1989]. Un'altra obiezione riguardò il fatto che è scorretto comparare, in
un breve periodo di tempo, un farmaco ad azione rapida (l'analgesico antiinfiam-
matorio) con uno ad azione lenta (il farmaco omeopatico) [Ghosh, 1983; Scofield,
1e841.
Problemi analoghi hanno sollevato anche altri trials [Savage and Roe, 1.977 e
1978, punt.55 e 53 rispettivamente]. Gli autori testarono, in doppio cieco,l'effetto
diArnica30CedArnicaTMnel colpo apoplettico (stroke), manon trovarono alcun
beneficio significativo. Tuttavia, un'analisi dei risultati in una rassegna molto
critica ed obiettiva sulla ricerca in omeopatia [Scofield, 1984], ha mostrato che dei
40 pazienti inclusi nello studio de|1977, solo 3 avevano il tipico quadro sintoma-
tologico omeopatico di Arnica e questi 3 fecero un buon progresso durante la
terapia omeopatica. Nel trial del 1978, solo un paziente aveva i tipici sintomi di
Arnica e fu incluso nel gruppo placebo!
Uno studio in doppio cieco del trattamento di pazienti con febbre da fieno fu
pubblicato dal Lancet nel 1986 [Taylor Reilly et al., 1986] (punteggio 90/100). In
esso si comparava l'effetto di una preparazione omeopatica 30C di una miscela di
dodici pollini con un placebo. I risultati furono positivi, nel senso che i pazienti
sotto trattamento omeopatico ebbero significativamente meno sintomi e utilizza-
rono nello stesso periodo la metà di antiistaminici rispetto ai controlli. Questa
ricerca ha fatto oggetto di indagine un trattamento che è un tipico esempio di
"isopatia" (polline omeopalizzato nella pollinosi); anche per il prestigio del
giornale che la pubblicò, essa fu seguita da prevedibili polemiche.
Lo stesso gruppo, in collaborazione con statistici e medici allopatici, ha
recentemente riportato uno studio su 28 pazienti con asma atopica grave (richieden-
te somministrazione giornaliera di broncodilatatori e 27 erano sotto trattamento
steroideo) [Taylor Reilly and Taylor Reilly, 1990; Campbell et al., 1990].
Senza cambiare la terapia di base, i pazienti ricevettero per 4 settimane un
placebo, quindi furono randomizzati in due gruppi, uno dei quali continuò il
placebo, mentre l'altro fu trattato con una preparazione omeopatica del principale
allergene cui ciascun paziente si era dimostrato sensibile. I pazienti registravano
l'intensità dei sintomi giornalmente su una scala visiva analogica. Dopo altre 4
settimane furono analizzati i dati dei due gruppi, che furono in favore del
54 L'omeopatia è efficace?

trattamento attivo rispetto al placebo, con una differenza statisticamente significa-


tiva.
Il trattamento omeopatico della pollinosi è stato riferito anche da altri autori
[Wiesenauer et al., 1983; Wiesenauer and Gaus, 1985] (punte ggi75l10O e 85/100
rispettivamente). In questi casi il tipo di trattamento fu molto diverso: infatti fu
usata una bassa diluizione (D4 o D6) di un estratto della pianta Galphimia glauca.
I risultati furono valutati in doppio cieco come miglioramento dei sintomi e furono
positivi in favore della terapia omeopatica.
Il lavoro di Wiesenauer and Gaus riveste un particolare interesse anche per un
altro motivo: in esso si confrontò non solo Galphimia glaucaD6 con placebo, ma
anche con Galphimia glauca 10'6, cioè una equivalente dose dello stesso farmaco
preparata con diluizione semplice e non secondo la metodologia omeopatica. La
semplice diluizione non dimostrò nessuna attività, o comunque non diede effetti
diversi dal placebo. Questa osservazione, se confermata (purtroppo sono pochissi-
mi i lavori in cui il problema è stato affrontato), sarebbe in favore del fatto che
mediante la procedura di preparazione adottata in omeopatia i farmaci acquistano
proprietà non riconducibili solo alla dose di principio attivo ivi presente.
La terapia del dolore di vario tipo è uno dei principali campi d'applicazione
dell'omeopatia. Tra le più rilevanti sperimentazionibisogna citare quelle di Brigo
e collaboratori sull'emicrania [Brigo, 1987; Brigo and Serpelloni, 1991]. Poco più
di un centinaio di pazienti affetti da emicrania vennero sottoposti ad anamnesi
omeopatica classica. Furono quindi scelti i 60 pazienti che, a giudizio degli autori,
davano maggiori garanzie della corretta scelta del rimedio, in altri termini quelli in
cui si era più confidenti di aver trovato il "simillimum" secondo le regole
dell'omeopatia. A quel punto si effettuò larandomizzazione,per cui 30 ricevettero
il rimedio (si trattavadi farmaci qualiBelladonna, Gelsemium,Ignatia, Cyclamen,
Lachesis, Natrum muriaticum, Silicea o Sulphur in potenza 30C) e gli altri 30
ricevettero, in doppio cieco, il placebo.
I pazienti compilavano periodicamente un questionario riguardante frequenza,
intensità e caratteristiche della sintomatologia algica. Dopo il trattamento, durato
alcuni mesi, si compararono i risultati, che furono nettamente e significativamente
migliori nel gruppo trattato omeopaticamente. Per la sua precisa metodologia,
questo lavoro è stato molto apprezzato sia dall'ambiente omeopatico [Hornung and
Griebel, 1991;Hornung, 1991] che non omeopatico (punteggio 68/100 da Kleijnen
et al., 1991).
Uno studio in doppio cieco fu condotto su pazienti con nevralgia a seguito di
estrazione dentaria [Albertini and Goldberg, 1986 - punteggio 38]. In un caso come
questo, dove la lesione è acuta e ben localizzataè più probabile che un singolo
trattamento, basato per lo più sui sintomi locali, sia efficace. Trenta pazienti
ricevettero Arnica 7C e Hypericum 15C prescritti alternativamente a 4 ore di
L'omeopatia è fficace? 55

intervallo, mentre trenta ricevettero un placebo. 76Vo dei pazienti trattati, contro
40% di quelli sotto placebo, sperimentarono sollievo dal dolore.
Il dolore provocato da distorsione della caviglia è significativamente mitigato
ed abbreviato dal trattamento omeopatico, effettuato con terapia di tipo omotossi-
cologico (pomataTraumeel: combinazione di 14 diverse sostanze in diluizioni D2-
D6), secondo quanto riportato lZelletal., 1988, punteggio 80/100]. Su 33 pazienti
trattati, 24 erano senza dolore al 10' giorno, mentre allo stesso giorno sui 36 che
ricevettero il placebo, solo 13 erano senza dolore. Lo stesso farmaco (Traumeel, in
altre farmacopee chiamatooggiArnicaCompositun) è stato sperimentato anche da
altri più recentemente [Thiel and Bohro, 1991]. Gli autori hanno dimostrato che
l'iniezione intraarticolare del rimedio omeopatico in pazienti con emartro trauma-
tico riduceva significativamente (rispetto al gruppo trattato con placebo) il tempo
necessario alla guarigione, valutata secondo parametri obiettivi (presenza di
sangue nel liquido sinoviale, circonferenza articolare, motilità, ecc.).
L'omeopatia è stata usata anche nella preparazione al parto in uno studio del
gruppo di Dorfman [Dorfman et al., 1987 (punteggio 80/100)]. L'associazione
Caulophyllum-Arnica-Actearacemosa -Pulsatilla -Gelsemirzm (tutti i rimedi alla
5CH, due volte al giorno per tutto il nono mese di gravidanza) è stata confrontata
con un placebo in doppio cieco. L'efficacia del trattamento omeopatico è risultata
evidente dal fatto che erano ridotte la durata del travaglio (5.1 ore rispetto a 8.5,
p<0.001) e la percentuale di distocie (1.1.3Vo rispetto a 40Vo, p<0.01).
Per quanto riguarda l'azione dell'Arnica, un rimedio molto usato in omeopatia,
esiste un altro interessante lavoro, eseguito all'Istituto di Patologia Chirurgica
dell'Universitàdi Catania, chemeritadi essere citato [Amodeo et al., 1988]. Arnica
montana 5CH veniva somministrata a pazienti sottoposti a perfusione venosa
prolungata, una condizione che facilmente provoca flebiti nelle vene utilizzate.ln
tale lavoro si dimostra, utilizzando il metodo del doppio cieco controllato con
placebo, ehe Arnica riduce la sintomatologia dolorosa, le manifestazioni infiam-
matorie (iperemia e edema) ed anche la formazione di ematomi. Inoltre, è stato
osservato, nei pazienti trattati, un miglioramento del flusso sanguigno (misurato col
Doppler) ed un lieve aumento di alcuni fattori della coagulazione e della aggrega-
zione piastrinica.
Una serie di lavori ha evidenziato un positivo effetto del trattamento omeopa-
tico, basato essenzialmente sull'uso di Opium e Raphanus sativus nell'accorciare
i tempi della ripresa del transito intestinale dopo intervento operatorio [Chevrel et
at.,t9$4;Aulagnier, 19851 (punteggi tra 50 e 751100). A seguito di tali segnalazio-
ni, fu eseguito uno studio multicentrico cui collaborarono medici omeopatici e non,
epidemiologi, chirurghi ed il Laboratoire national de la Santé francese IGRECHO,
1989, Mayaux et al. 1988] (punteggio 90/100). Questo trial, eseguito su 600 malati
diede risultati negativi e portò gli autori a concludere che la ripresa del transito
56 L'omeopatia è e{ficace?

intestinale dopo l'intervento non è più da considerarsi una indicazione né per


Opium né per Raphanus (usati in questo studio alla diluizione 15C)'
Per quanto concerne l'omeopatia in generale, è interessante la problematica
esposta nella discussione e che riguarda la individualizzazione del trattamento:
chiaramente, avendo usato gli stessi due farmaci in tutti i casi, non si è seguita la
procedura canonica della omeopatia, però dal punto di vista dei sintomi locali
(gastrointestinali) il trattamento era conforme alla legge di similitudine, in quanto
Opium in dose elevata provoca nel sano una atonia intestinale e Raphanus luna
flatulenza addominale dolorosa dovuta alla ritenzione di gas.
In conclusione, questo rapporto è stato certo una lezione per gli omeopati: è
chiaro che effetti inspiegabili allo stato attuale delle nostre conoscenze potranno
essere accettati solo a seguito di ricerche incontestabili sul piano metodologico e
soprattutto ripetibili in più centri indipendenti. La strada della ricerca clinica in
omeopatia è ancora lunga e chi è interessato a questo argomento dovrà adattarsi a
vedere pubblicati lavori negativi e positivi, come in ogni campo in cui si faccia
ricerca seriamente. Nel caso dell'omeopatia, soprattutto quando a tema della
ricerca non è il trattamento omeopatico in quanto tale ma un certo farmaco, o
gruppo di farmaci in una certa condizione patologica, i risultati saranno sempre
influenzati dalle variabili legate alle dosi, alle modalità di somministrazione, alla
sensibilità individuale, al tipo di farmacopea, ecc. Se si conferma la tendenza alla
crescita di numero e la qualità delle pubbli cazioni,la paziente e metodica valuta-
zione dei risultati, anche negativi, non potrà alla lunga non giovare alla pratica
dell'omeopatia, se non altro per evitare errori a scapito dei malati-
Le infezioni delle vie respiratorie sono un altro campo di largo uso di prodotti
omeopatici e vari studi ne hanno dimostrato l'efficacia. Uno dei primi fu quello del
gruppo di Gassinger et al. [Gassinger et al., 1981, punteggio 58], che rappresenta
anche una curiosa variante della metodologia sperimentale. Gli autori confronta-
rono l'effetto di Eupatorium perfoliatum Zx con quello dell'acido acetilsalicilico
(A,{S) nel comune raffreddore. Né i sintomi soggettivi, né la temperatura corporea,
né i dati di laboratorio mostrarono significative differenze tra i due gruppi, cosa che
portò a concludere che il trattamento omeopatico era efficace come quello allopa-
tico. Purtroppo nello studio manca un gruppo placebo, che avrebbe reso più
consistenti le conclusioni.
A risultati simili a quelli di questo studio sono pervenuti ricercatori della Clinica
Medica dell'Università di Wurzburg e dell'Istituto di Biometria dell'Università di
Tubinga [Maiwald et al., 1988] (punteggio 65/100). In una sperimentazione
randomizzata monocieca su 170 soldati dell'esercito tedesco affetti da influenza e
trattati o con AAS (500 mg 3 x die nei primi 4 giorni, poi 1 x die) o con un preparato
omeopatico complesso chiamato Grippheel (Aconitum D4, Bryonia D4, Lachesis
D1.2, Eupatorium perfoliatum D3, Phosphorus D5 in compresse 3 x die), il
L'omeopatia è efficace? 57

confronto tra le variazioni dello stato clinico e dei disturbi soggettivi al 4o ed al 10o
giorno e fra la durata dei periodi di inabilità al lavoro, nei due gruppi, non ha
registrato differenze significative, portando a concludere che l'efficacia dei due
farmaci è equivalente.
Allo scopo di illustrare un tipico esempio di ragionamento della omeopatia
complessista (o della omotossicologia), si riportano le conclusioni del lavoro del
gruppo di Maiwald [Maiwald et al., 1988], nella parte in cui discutono le ragioni
che dovrebbero far preferire l'impiego di un preparato omeopatico per curare
I'influenza (dal testo sono omesse, per brevità, le citazioni): "L'efficacia dell'AAS
è dovuta all'azione sintomatico-analgesica ed antipiretica ed all'inibizione aspeci-
fica sull'infiammazione attraverso il blocco della sintesi delle prostaglandine.
L'impiego di un antipiretico nei casi di influenza può avere anche effetti negativi,
poiché l'aumento della temperatura corporea inibisce la proliferazione dei virus. A
questa terapia antagonista e soppressiva con I'AAS si contrappone la terapia
regolatoria con Grippheel che stimola i meccanismi di autoregolazione dell'orga-
nismo per normalizzarele funzioni disturbate. La premessa necessaria è dunque
una reattività intatta da parte dell'organismo. La terapia regolatoria induce, tra
l'altro, una para-immunità, cioè produce, entro poche ore un incremento delle
difese non specifiche che può durare per alcune settimane. Aumenta soprattutto
l'indice di fagocitosi. Inoltre si ha una stimolazione dei fattori umorali, degli enzimi
cellulari, del sistema linfopoietico (specie dei linfociti T), della citotossicità
mediata da cellule, dell'attività litica dei monociti, della produzione o liberazione
dell'interferone. Questa attivazione non lascia una memoria specifica quando le
funzioni fisiologiche ritornano al livello normale. L'impiego di un preparato
omeopatico, che con esigue concentrazioni di principi attivi assicura una così
ampia efficacia, è senz'altro da preferire ad un antipiretico ed ai suoi effetti
soppressivi - tanto più se gli effetti del preparato omeopatico e di quello di sintesi
nella terapia dell'influenza risultano avere una efficacia paragonabile".
Nella terapia dell'influenza si è cimentato anche il gruppo di Ferley [Ferley et
a1.,1987 (punteggio 68) e Ferley et al., 1989 (punteggio 88)1. il primo lavoro ha
valutato un trattamento basato sui metodi della farmacologia complessista a basse
diluizioni (combinazione di 10 sostanze in D1-D6). L'incidenza e la durata dei
sintomi non fu differente nel gruppo di 588 pazienti trattati col farmaco rispetto ai
594 trattati con placebo. Il secondo lavoro invece ha $ilizzato un farmaco
omeopatico del tutto particolare ma di vastissima diffusione, soprattutto in Francia:
l'Oscillococcinum, che consiste essenzialmente di una diluizione estremamente
alta (200K) di estratto di fegato e cuore diAnas barbariae (anatra). Per quanto la
cosa possa sembrare strana, lo studio dimostrò un positivo effetto del trattamento
attivo, in quanto aumentò significativamente il numero di guarigioni a 48 ore dalla
diagnosi; cosa ancora più singolare, fu pubblicato da un'importante giornale non
58 L'omeopatia è efficace?

omeopatico. Probabilmente la qualità della metodologia e la vasta casistica (237


pazienti trattatilZ{l. placebo) hanno reso la pubblicazione difficilmente contesta-
bile.
Questo lavoro è un tipico esempio di pubblicazione scientifica che conferma un
dato empirico (testimoniato dalla straordinaria popolarità del rimedio), pur senza
poter fornire la minima spiegazione logica del dato stesso. Inutile dire che questo
è uno dei più significativi esempi dei paradossi offerti dalla omeopatia, ed ha
risvolti non solamente scientifici, se si pensa che questo farmaco di così largo uso
ha un prezzo non indifferente pur non contenendo praticamente alcuna molecola
della sostanza originaria. Con simili diluizioni, un solo fegato di anitra basterebbe
per preparare un rimedio per tutta la popolazione mondiale in una pandemia
influenzale!
È probabile che gli studi clinici vengano pubblicati più frequentemente quando
sono positivi di quando sono negativi (questo vale sia per le terapie omeopatiche
che allopatiche). Ciononostante, anche i risultati negativi hanno una Ioro intrinseca
importanza, sia pratica (inibiscono l'uso di farmaci dimostratisi inefficaci) che
concettuale (costringono a rivedere le teorie). Anche in campo omeopatico questa
idea va, giustamente, facendosi strada [Fisher, 1990] e, dove applicata, testimonia
in favore della serietà dei ricercatori. Ad esempio, nel campo delle malattie
influenzali, si può segnalare il lavoro di Lewith e collaboratori [Lewith et al., 1989]
(punteggio 55/100) che tentarono, senza successo, un approccio alla terapia
dell'influenza basato su diluizioni omeopatiche del vaccino influenzale, e di
Wiesenauer e collaboratori [Wiesenauer et al., 1989] (punteggio 60/100), che
dimostrarono inefficaci nella terapia della sinusite alcuni rimedi fatti da varie
combinazion i di Luffa operculata, Kalium bichromicum, Cinnabaris (in diluizioni
D3-D4).
Infine, per restare nel campo delle affezioni respiratorie, si deve citare un lavoro
di autori francesi fBordes and Dorfman, 1986], valido sul piano qualitativo
(punteggio 70/100), i quali hanno trattato la tosse secca con uno sciroppo a base
della pianta Drosera e di altre 9 sostanze in diluizione C3, dimostrando un ottimo
effetto del trattamento rispetto al placebo: dopo una settimana di terapia, il sintomo
fu ridotto o scomparve in 20 su 30 pazienti trattati, mentre solo in 8 su 30 soggetti
nel gruppo col placebo. Questo tipo di terapia della tosse secca rappresenta un altro
esempio di come l'approccio omeopatico sia potuto cambiare e scomporsi in
varianti anche molto diverse. Per quanto la tosse nella omeopatia classica possa
costituire una indicazione per la Drosera, Hahnemann si sarebbe vivamente
opposto ad una terapia il cui scopo sia la soppressione del sintomo e soprattutto che
sia basata su una miscela di molte sostanze da somministrare a tutti i malati
indiscriminatamente. La preoccupazione dell'omeopatia classica a questo propo-
sito non è infondata: infatti da una parte se si punta innanzitutto a sopprimere i
L'omeopatia è efficace? 59

sintomi si rischia di contrastare le reazioni di guarigione naturali (es. espettor azione


per eliminare agentimicrobici), dall'altra facendo una terapia complessa ci si priva
della possibilità di stabilire con criteri scientificamente rigorosi quale delle sostan-
ze usate sia stata effettivamente responsabile dell'effetto migliorativo, se osservato.
La risposta a queste obiezioni si basa su argomenti di varia natura. Da un punto
di vista pratico, se il farmaco funziona è logico e vantaggioso somministrarlo
(criterio imperante nella farmacologia allopatica); da un punto di vista logico e
scientifico, è possibile, anzi probabile, che l'effetto di un complesso di sostanze in
basse dosi non sia riconducibile ad una o più delle sue componenti, ma ad un
sinergismo fra molte di esse. È anche possibile suggerire che, ammettendo che
pazienti diversi con lo stesso sintomo (es. tosse) necessitino di rimedi omeopatici
diversi, se si usa un complesso di molti rimedi, aumentano le probabilità che tra
questi vi sia quello giusto per ogni singolo paziente, mentre gli altri rimedi del
complesso sono ininfluenti grazie al basso dosaggio.
Per quanto riguarda il trattamento omeopatico delle neoplasie, argomento di
owio interesse e su cui si incentrano grandi problemi di tipo scientifico, economi-
co, etico, la letteratura omeopatica è molto prudente e, soprattutto, povera di dati
veramente significativi. La letteratura omeopatica in questo campo denota innega-
bili difficoltà: da una parte si afferma che la terapia omeopatica, essendo diretta
all'individuo nel suo insieme, può rappresentare un complesso di mezzi di supporto
alla terapia convenzionale. D'altra parte si trovano spesso accenti critici nei
confronti soprattutto della radio e chemio-terapia, accusate di essere troppo
tossiche e quindi distruttive nei confronti della "forzavitale". Di fatto, avviene che
malati di cancro in fase spesso terminale, persa ogni speranza nelle terapie
convenzionali, si rivolgano all'omeopatia come ultima spiaggia. Inutile dire che in
questo caso, oltre ad evidenti problemi etici e deontologici connessi alla sommini-
strazione di terapie empiriche a questi pazienti, vi sono problemi di difficile o
impossibile interpretazione dei risultati, al di fuori della valutazione di ampie
casistiche.
Ciononostante, il problema della cura del cancro in fase avanzatanella maggior
parte dei casi non è risolto neanche dalle terapie convenzionali e sperimentazioni
di nuovi approcci terapeutici, eseguite secondo precisi criteri, non sono solo lecite
ma paiono necessarie e urgenti. Allo scopo di iniziare una raccolta sistematica della
documentazione di casistica omeopatica in oncologia è stato recentemente awiato
un progetto internazionale guidato dal Dipartimento di Naturopatia dell'Università
di Berlino [Hornung and Vogler, 1990].
L'omeopatia non può avere come obiettivo la lotta contro il tumore e le sue
cellule, sia per i suoi principi (cura del malato e non della malattia), sia per il suo
armamentario terapeutico, fatto per lo più da farmaci in dosi basse e bassissime. Ciò
non significa che l'omeopatia non possa avere qualche ruolo nella terapia dei
60 L'omeopatia è efficace?

tumori. Il recente rinnovato interesse della medicina scientifica per f immunotera-


pia sta a testimoniare che puntare l'attenzione sull'ospite oltre che sulla malattia
può rivelarsi utile ed efficace. Inoltre, tra i farmaci introdotti nell'armamentario
omeopatico, od omotossicologico, da alcune scuole vi è il l4scrzm album in basse
diluizioni: questo farmaco è stato recentemente analizzato da ricerche sia cliniche
che laboratoristiche e si è dimostrato efficace sia come immunostimolante che
come inibitore della proliferazione cellulare in vitro [Anderson and Phillipson,
1982; Koopman et al., 1990]. Il problema della terapia convenzionale e non, dei
tumori sarà trattato più estensivamente nel capitolo 5. Qui si riferisce di alcuni
Iavori pubblicati, con la notazione che non si tratta di trials clinici controllati, ma
di "case reports". Essi perciò valgono in quanto materiale interessante per una
discussione sulle future linee di ricerca in questo campo.
Drossou [Drossou et al., 1990] riferisce di due casi di leucemia in cui l'unico
trattamento, per precisa disposizione dei pazienti, fu quello omeopatico classico
(somministrazione del farmaco "simillimum" secondo le regole di Hahnemann).
un paziente affetto da leucemia acuta mieloblastica (FAB: M4) fu trattato con
Thuja 2o0, poi la terapia fu cambiata quando indicato in Mercurius Cyanatus 200,
Picric Acid200, Natrum muriaticum2o0, ceanothus e crotalus horridus, Ignatia
1M. Il trattamento drrò 22 mesi, ma già dopo sei mesi l'ematocrito si era
normalizzato e dopo un anno tutti gli esami erano nella norma. Nei successivi tre
anni non presentò ricadute.
Altrettanto favorevole fu il trattamento omeopatico nel secondo paziente,
affetto da Ieucemia linfatica cronica (a linfociti B). Alla diagnosi aveva 64.000
leucociti/mmc,867o linfociti. Egli ricevette Natrum muriaticum 200, poi Arnica
30,Ignatia 1M, zincum 200. Dopo 5 mesi dall'inizio del trattamento i leucociti
erano 12.000/mmc, z5va linfociti. Dopo 9 mesi tutti i dati laboratoristici e clinici
erano normali. Il trattamento durò 21 mesi e nei successivi 3 anni non si verifica-
rono ricadute.
Questo lavoro è interessante anche per alcune considerazioni che gli autori
fanno nella discussione: essi affermano che l'anamnesi omeopatica mise in
evidenza grossi problemi psicologici sia per una naturale sensibilità emotiva, sia
per il tipo di reazione alla notizia della diagnosi. Il trattamento omeopatico risolse
questi problemi già nei primi mesi, come anche altri problemi minori quali
condilomi acuminati in un paziente e gastrite nell'altro. La considerazione più
significativa riguarda il fatto che gli autori riferiscono di aver trattato molti pazienti
con leucemia, ma di aver avuto i migliori risultati nei due casi riportati, che erano
gli unici in cui i pazienti avevano voluto fare solo il trattamento omeopatico. I
pazienti che ricevevano contemporaneamente chemioterapia o radioterapia erano
molto debilitati ed era difficile individuare nella sintomatologia la particolare
"idiosincrasia" del paziente in quanto coperta dall'effetto della terapia citotossica.
L'omeopalia è efficace? 61

Un lavoro pubblicato dalla rivista Thorax [Bradley and Clover, 1989] riferisce
di un paziente affetto da carcinoma polmonare a piccole cellule, un tumore
notoriamente molto aggressivo che ha una mediana di sopravvivenza di 6-17
settimane, che fu trattato con radioterapia e poi non accettò la chemioterapia,
optando per una cura omeopatica. Egli ricevette vari rimedi secondo la sintomato-
logia (purtroppo non precisati nella pubblicazione) ed estratto di Viscum album
(Iscador). Egli sopravvisse per 5 anni e 7 mesi dalla diagnosi. Gli autori sottoline-
ano la inusualmente lunga sopravvivenza e la potenziale importanza delle terapie
naturali in questi casi, pur non potendo, ovviamente, attribuire con certezzaquesto
fatto alla terapia omeopatica classica, all'lscador, o ad altre ragioni.
In conclusione, dalle ricerche cliniche sinora eseguite, si possono trarre le
seguenti indicazioni:

a) Il trattamento omeopatico si è dimostrato efficace in molti studi clinici control-


lati, mentre altri studi hanno dato risultati negativi, indicando che I'omeopatia
può essere trattata, dal punto di vista sperimentale, come altre forme di terapia.
' In particolare si possono indicare campi di applicazione e limiti
di tale metodica.
b) È possibile applicare il metodo dello studio in doppio cieco controllato con
placebo alle particolari esigenze della ricerca in omeopatia (individualizzazio-
ne, uso di rimedi diversi per la stessa patologia, ecc.).
c) L'utilità del trattamento omeopatico è stata esplorata soprattutto nel campo
della terapia di sindromi infiammatorie, infettive, traumi, dolori in genere e
disturbi psicologici.
d) Per raggiungere conclusioni certe sull'efficacia di uno specifico trattamento in
una specifica patologia sarebbe necessario che i principali trials clinici pubbli-
cati finora venissero ripetuti da gruppi indipendenti. Ciò è certamente già in
corso, almeno per quanto riguarda il trial sull'emicrania [Gaus et al., l99z].
4. RICERCHE SU ANIMALI
E DI LABORATORIO

L'idea che almeno alcuni principi dell'omeopatia possano essere sottoposti al


vaglio sperimentale sta facendosi strada sia nell'ambiente omeopatico che nei
ricercatori in campo biologico, immunologico e biochimico. Le prime evidenze
derivate da veri e propri esperimenti, su animali o su sistemi di organi isolati o su
cellule invitro si stanno accumulando in questi ultimi anni [Kollerstrom, 1982;
Poitevin, 1988a; Poitevin, 1988c; Poitevin, 1990; Fisher, 1989; Rubik, 1989;
Bastide, 1989; Guillemain et a|.,1.987; Bellavite, 1990a].
Il ruolo cruciale che in questa fase dello sviluppo dell'omeopatia possono
giocare le ricerche su modelli sperimentali invivo edinvitro è riconosciuto da tutti.
Infatti studi di questo tipo si svincolano dalle basi filosofiche e metodologiche
dell'omeopatia classica e vengono a far parte del paradigma scientifico oggi
dominante. In questo contesto, qualora le ricerche siano eseguite con metodi
corretti e diano risultati riproducibili in diversi laboratori, non possono essere
rifiutate sulla base di argomentazioni quali l'effetto placebo o semplicemente la
inspiegabilità.

4.1. Sperimentazione su animali e sull'uomo sano

In tossicologia, il tentativo è stato quello di indagare se alte diluizioni di una


sostanza tossica siano capaci di modificare o la sua eliminazione o le sue conse-
guenze. Alcuni studi hanno dimostrato che la 7' diluizione centesimale, o'|CH,
(circa 10-1a M) di arsenico e bismuto erano capaci di aumentare l'eliminazione
urinaria degli stessi metalli da parte di ratti intossicati con gli stessi metalli
[Wurmser and Ney, 1955; Lapp et al., 1955; Cazin et al., 1987]. L'arsenico non
aveva effetto sull'intossicazione da bismuto e viceversa, indicando una specificità
d'azione.
Questa proprietà non è stata vista con il piombo, in quanto alte diluizioni di
questo metallo non hanno modificato le cinetiche di escrezione del piombo nei ratti
[Fisher et al., 1987]. Gli esperimenti con l'arsenico sono stati ripetuti recentemente
Ricerche su animali e di laboralorio 63

con metodi più aggiornati e controllatilCazin et al., 1991]; i risultati sono stati
sostanzialmente gli stessi: iniezioni intraperitoneali di arsenico (come anidride
arseniosa AsrO, oppure acido arsenioso HrAsOr) diluito e dinamizzato hanno
ridotto i livelli ematicie aumentato l'escrezione di arsenico in ratti trattati con alte
dosi (10 mg/Kg) di anidride arseniosa. In una serie di diluizioni testate (5CH,7CH,
9CH, 11CH, 13CH, 15CH, 17CH, 19CH, 21,CH, 23CH, 25CH, 27CH, 29CH,
31CH), le diluizioni più attive in senso protettivo sono state 7CH e 1,7CH e la
differenza rispetto a diluizioni di sola acqua dinamizzata eru altamente significa-
tiva. È interessante notare che I 'effetto protettivo delle alte diluizioni veniva abolito
se esse erano sottoposte a riscaldamento a 120 gradi per 30 minuti.
Basandosi sulla analogia esistente sia sul piano biologico che su quello anato-
mopatologico tra l'intossicazione da tetracloruro di carbonio e l'intossicazione con
fosforo, il gruppo di Bildet ha dimostrato l'effetto protettivo delle alte diluizioni
(7CH e 15CH) di fosforo e della diluizione 7CH del tetracloruro di carbonio (CC14)
sulla epatite tossica da CClo del ratto [Bildet et al.,797 5; Bildet et al., 1 984a; Bildet
et al., 1984b1.
L'effetto delle alte diluizioni di CCl4 confermava dati analoghi, riferiti dalla
letteratura non omeopatica, attestanti un aumento di resistenza del fegato dopo
trattamento con basse dosi di un tossico [Ugazio et a1.,7972; Pound et a1.,1973f.
È stato anche riportato che piccole dosi di cadmio riducono la tossicità renale
provocata dallo stesso metallo tossico nel ratto [Bascands et al., 1990]. Èverosimile
che in questo tipo di fenomeni entri in gioco un meccanismo di induzione della
sintesi o di incremento di attività di enzimi dei sistemi di detossificazione.
Secondo quanto riportato da un altro gruppo (sotto forma di risultati prelimina-
ri), 1a mortalità di ratti trattati con dosi letali di o,-amanitina (il veleno della amanita
falloide) è significativamente rallentata (nel senso di una protezione nei primi
giomi dopo la somministrazione del veleno) dal trattamento degli stessi ratti con
diluizioni 15CH di cr-amanitina,di Phosphorus e di rifampicina [Guillemain et al.
1987]. Secondo gli autori, l'impiego di queste sostanze nella terapia della intossi-
cazione epatica rientra nella logica omeopatica della cura mediante piccole dosi
della stessa sostanza (simillimum), come nel caso della amanitina, oppure di
sostanze con similitudine tossicologica in senso più generale: il fosforo è un noto
epatotossico ad alte dosi, mentre la rifampicina potrebbe avere una similitudine con
l'amanitina sul piano del meccanismo d'azione (inibizione di attività enzimatiche
quali la RNA polimerasi).
Recentemente sono stati comunicati, in forma preliminare, risultati attestanti uf
effetto protettivo di Phosphoras 30CH sulla fibrosi epatica provocata da sommi-
nistrazione cronica di CCl4 nei ratti [Palmerini et a1.,1992). L'efficacia del fosforo
in diluizioni omeopatiche nelle epatopatie comincia quindi ad avere nu*"roi"
conferme sperimentali
64 Ricerche su animali e di laboratorio

In un altro studio [Cambar et al, 1983, Guillemain et al., 1984] è stato ntilizzato
un modello di nefrotossicità: ratti trattati con diluizioni di Mercurius corrosivus
9CH e 15CH erano significativamente protetti, in termini di ridotta mortalità, dalla
tossicità di dosi medio-alte (5-6 mg/Kg) di mercurio.
Secondo le ricerche di Cier e collaboratori [citate in Julian, 1983, p. 87] sul topo,
lasomministrazione diAllossanaindiluizionegCHinibisceparzialmentel'effetto
diabetogeno di una dose di 40 mg/kg di allossana. L'effetto si aveva sia con
somministrazione preventiva che curativa (cioè data dopo l'iniezione diabetogena).
L'osservazione che alte diluizioni (7CH-9CH) di veleno di ape (correntemente
fiilizzatoin omeopatia per le manifestazioni cutanee con edema, eritema e prurito)
avevano un effetto protettivo e curativo di circa il50% sull'eritema da raggi X nella
cavia albina [Bastide et a1.,1975; Bildet et al., 1990; Poitevin, 1988b] sembra
confermare il principio di similarità reazionale che è alla base della omeopatia. Il
veleno d'ape, che a dosi elevate (puntura dell'insetto) provoca edema ed eritema,
può, a determinate diluizioni, guarire un edema e un eritema provocati da un altro
agente. È significativo il fatto che tali risultati sono in accordo con studi biologici
su cellule isolate, dimostranti cheApisTCHblocca la attivazione di basofili invitro
(vedi sezione 4.3).
Un'altra serie di studi concerne la azione di alte diluizioni di silice sulla
produzione di platelet activating factor (PAF) da parte di macrofagi peritoneali di
topo [Davenas et al., 1987]. Il composto è stato aggiunto all'acqua da bere alla
diluizione di 9CH (che corrispondeva alla concentrazioneteorica di 1.66 x 10-1e M)
per 25 giorni. I macrofagi peritoneali estratti dai topi così trattati mostravano una
capacità di produzione di PAF in risposta ad uno stimolo con estratti di lieviti che
era da 30 a 60% superiore a quella di macrofagi dei controlli (topi non trattati, topi
trattati con NaCl diluito alla 9CH o con un altro farmaco omeopatico, Gelsemium
9CH). Diluizioni inferiori (5CH) avevano paradossalmente minore effetto.
Diluizioni omeopatiche di silice sono largamente usate in omeopatia per il
trattamento di piaghe, ulcere croniche ed ascessi. Un modello sperimentale su
animali, basato sulla riparazione di fori provocati sull'orecchio di topi, è attualmen-
te utilizzato dal gruppo di Oberbaum e Bentwich a Rehovot (Israele): essi hanno
riportato che alte diluizioni di silice (fino a 200C), aggiunte all'acqua da bere per
4-20 giorni a seconda degli esperimenti, fanno guarire più velocemente e riducono
maggiormen tel' ampiezza della lesione rispetto a soluzioni di cloruro di sodio usate
come controllo [Oberbaum et al., 1991].
Il gruppo della Bastide [Bastide et al., 1985, Bastide et al., 1987; Doucet-
Jaboeuf et al., L982; Doucet-Jaboeuf et al., 1984; Doucet-Jaboeuf et al., 1985;
Guillemain et al., 1987; Daurat et al., 1988] ha dimostrato nei topi l'effetto
immunostimolante di composti endogeni come ormoni timici ed interferoni prepa-
rati in alte diluizioni secondo le metodiche omeopatiche. Tra i molti esperimenti
Ricerche su animali e di laboratorio 65

riportati, sono particolarmente degni di nota quelli che riportano effetti di alte
diluizioni di interferone cr,B (8-16 x 10-'0 UI i.p.) e di ormoni timici (8 x 10{ pg i.p.)
sui parametri dell'immunità umorale (n" di cellule formanti placche) e cellulare
(risposta cellulare T citotossica allospecifica). Gli autori quindi hanno suggerito
che per ottenere una buona efficacia terapeutica nei soggetti immunodepressi
questi mediatori dell'immunità potrebbero essere usati in dosi estremamente basse
[Bastide et al., 1985].
Dagli studi compiuti da questo gruppo emerge un altro risultato interessante per
illustrare uno dei problemi più significativi nella ricerca in omeopatia: lo stato
fisiopatologico dell'animale da esperimento condiziona enormemente i risultati di
uno stesso trattamento. Infatti è stato preso in considerazione l'effetto di diluizioni
omeopatiche (da 4CH a 12CH) di timo e di timulina su topi di ceppo Swiss,
considerati immunologicamente normali, e di ceppo New Zealand Black (NZB),
considerati immunologicamente depressi. Il trattamento ha provocato significativa
immunostimolazione solo nei topi NZB, mentre quelli Swiss hanno subito una
immunodepressione (particolarmente marcata con le diluizioni di timo) [Guille-
main et al., 1987; Daurat et al., 1988].
Sempre nel campo di ricerca della immunomodulazione, sono notevoli i risultati
raggiunti dal gruppo di Bentwich [Weisman et al. 1991]. Gli autori, dopo aver
precedentemente dimostrato che quantità molto basse (diluizioni 6CH e 7CH) di
antigene KLH (emocianina) sono in grado di modulare specificamente la risposta
anticorpale su animali da esperimento [Toper et al., 1990], hanno ripetuto ed
approfondito gli esperimenti mettendo in evidenza gli effetti immunomodulanti
delle diluizioni omeopatiche di antigene nei topi. Per 8 settimane gli animali sono
stati precondizionati con iniezioni i.p. di diluizioni dinamizzate di antigene KLH
(da 10-ta M a 10-36 M) e di soluzione salina (per controllo). Quindi sono stati
regolarmente immunizzati con KLH in adiuvante di Freund completo o incomple-
to. I livelli sierici di anticorpi specifici furono determinati con il metodo ELISA e
i risultati mostravano un aumento significativo della risposta IgM specifica con
tutte le diluizioni di precondizionamento, e un'aumento significativo della risposta
IgG specifica negli animali pretrattati con KLH 1,0-36 M. Gli autori concludono che
quantità estremamente basse di antigene sono sufficienti per l'immunomodulazio-
ne specifica e che in particolare "le diluizioni omeopatiche al di là del numero di
Avogadro hanno ancora qualche effetto". Tuttavia, continuano gli autori, "date le
vaste implicazioni di tali ritrovati, questi esperimenti devono essere rigorosamente
ripetuti e confermati".
Un altro punto interessante, che risulta dalle sperimentazioni su animali,
riguarda l'importanza del fattore cronologico: uno stesso trattamento sarà percepi-
to diversamente da un organismo in funzione dell'ora del giorno (ritmo circadiano)
o del mese dell'anno (ritmo circaannuale). Questa variabilità e le sue possibili
66 Ricerche su animali e di laboratorio

conseguenze biologiche sono state prese in


considerazione da vari autori
main et a1.,1987 cambar and car, loez; camaar [Guille-
and Guillemain, 19g5; Doucet_
Jaboeuf et al .,1984;Ibarra, 1991]. Èben noto che
lacronobiorogia è oggi un campo
di frontiera anche per ra ricerca biomedica convenzionale
[Minors, 19g5].
- un altro gruppo di.ricercatori ha riportato
zinco
che preparazioni omeopatiche di
in diluizioni decimari (da D4 aDl.2,cor.ispondenti a quantità
di zinco da
0-025 mg a 0 '25 pg),somministrate a ratti per sette
giorni consecutivi, aumentavano
significativamente la liberazione di istamina da pirte delle
mastcellule peritoneali
[Harish and Kretschmer, 19gg].
Altri dati sembrano indicare come due sostanze ad azione simile
possano
interferire nel loro effetto quando una deile due venga
usata in diluizione omeopa_
tica come "antidoto', dell,altra
[de Caro et al., 199ò].
Ripetute iniezioni i.p. di isoproterenolo o della tachikinina
eledoisina determi-
nano, in 15 giorni, un forte aumento delle ghiandole
salivari, che tornano a
dimensioni normali in 30 giorni dopo ra sospensione del
trattamento. L,isoprote_
renolo fu somministrato i.p. come stimorantà della
risposta ghiandorare (10b mgl
15 giorni), mentre l'eledoisina era data i.p.
f^e ntt
10
a diiuizioli dinamiz zate tra 1,0.
e 10'426 g/ml, per valutare se era in grado di prevenire
l,aumento ghiandolare, se
data prima, o di accelerare il recupero, se data dopo
il trattamento con isoprotere_
nolo. Entrambe le risposte erano significativamente diverse
,irp"tto ai controli,
mettendo in evidenza che le basse dosi dinamizzate
di ereàoisina non soro
manifestano azione opposta alle alte dosi, ma anche contrastano
l,azione di una
sostanza simile, per effetto, sull,animale.
Un gruppo di ricercatori americani ha riportato risultati
ottenuti con altissime
diluizioni di tessuti infettati d,a Franciselia tularensis del
topo; in pratica una
preparazione del nosode della tularemia
[Jonas et a1.,1991]. Essi hanno prodotto
le diluizioni diluite e dinamizzate a partiie da tessuto
reticjo-endoteliale di ratto
infettato da tularemia, ottenendo tre diluizioni contenenti
tessuto originale ( 3D,7D,
12D) e tre diluizioni al di là della presenza di tessuro
originale (30c, 200c, 1000c).
Queste preparazioni venivano date per os ad un gruppo di ratti,
mentre un altro di
controllo veniva trattato con diluizioni di etanolo. Poi veniva
somministrata una
dose LD50 o LD75 intranasale di F. tulariensis evalutato
il tempo di sopravvivenza
e la mortalità totale. Dopo 15 esperimenti le altissime
diluìzioni omeopatiche
determinavano un aumento significativo der tempo di
soprawivenza ed una
diminuzione significativa della mortalità totale rispétto ai
controlli. La protezione
non era correlata al livello di diluizione, al numero
di agitazioni, o alla !.rr"nru o
assenza di tessuto originare. I ricercatori concrudono: ,.N-oi
non possiamo conferma-
re la nostra ipotesi che le preparazioni agitate
e diluite oltre la peàanenza di sostanza
si comportino allo stesso modo dei controlli nella profila..i
dru,inf"rione. euesti
risultati dovrebbero essere ripetuti, confermati da altri
e ulteriormente studiati,,.
Ricerche su animali e di laboratorio 67

Ricercatori del dipartimento di zoologia dell'università di Kalyani (India)


stanno lavorando sul danno da radiazioni IKhuda-Bukhsh and Maity, i 991 ; Khuda-
Bukhsh and Banik, 1991).Il protocollo sperimentale consiste nell'irradiazione di
topi albini con 100-200 rad di raggi X (dosi sub-letali) e nella valutazione, dopo
24,48 e 72 ore, di danni citogenetici quali la frequenza di aberrazioni cromosomi-
che, la formazione di micronuclei e l'indice mitotico. In questo sistema è stato
testato I'eventuale effetto radioprotettivo di farmaci omeopatici comeGinsengD6,
D30, D200 e Ruta graveolensD3o eD200, somministrati pervia orale prima e dopo
l'irradiazione. I risultati riportati sarebbero altamente significativi, nel senso che i
topi sotto trattamento omeopatico subivano significativamente meno danni di topi
di controllo (irradiati e trattati con diluizioni di etanolo). È significativo che gli
autori, benché definiscano "spettacolare" tale azione protettiva, concludano che "è
molto difficile spiegare l'esatto meccanismo per cui tali alterazioni dovute al
farmaco omeopatico possano essere possibili a così alte diluizioni in vivo" IKhuda-
Bukhsh and Banik, 19911.
Interessanti e tecnicamente validi sono i lavori del gruppo di sukul, del
dipartimento di zoologia dell'università di Santiniketan (India) [Sukul et al., 19g6;
Sukul, 1990; Sukul et al., 1991; Sukul et al., 1992). Si trarta di numerose
sperimentazioni eseguite su ratti, topi e gatti. Tra 1'altro, gli autori riportano che i
farmaci omeopatici Gelsemium, cannabis indica, Graphites e Agaricus musca-
rizq somministrati oralmente (come granuli disciolti in un po' d'acqua) a ratti
albini aumentano significativamente la catalessi indotta da blocco motorio (un
disturbo neryoso che compare quando il ratto viene ripetutamente tenuto fermo
forzatamente) [Sukul et al., 1986].
L'effetto di tali farmaci, in diluizioni 30 cH e 200 cH, era comparabile a quello
di farmaci ben noti quali pilocarpina e aloperidolo dati in dosi ponderali (5 mg/kg).
Gli effetti erano valutati in riferimento a ratti che ricevevano granuli di lattosio
senza farmaco. Pare che la 200 CH abbia dimostrato una più lunga durata d'azione
rispetto alla 30 CH.
Lo stesso gruppo sta attualmente lavorando su un altro interessante modello che
potrebbe dare importanti indicazioni sul meccanismo d'azione dei rimedi omeopa-
tici. In una recente comunicazione [Sukul et aL.,1992), gli autori riferiscono che
farmaci omeopatici potentizzati applicati alla lingua di ratti evocano risposte
elettrofisiologiche nei neuroni dell'ipotalamo. Ratti tenuti a dieta ipersalina erano
anestetizzati e un microelettrodo, collegato cofl un oscilloscopio, veniva impianta-
to nell'area ipotalamica laterale per registrare la frequenza di scarica di quell'area.
Dopo un congruo periodo di registrazione del tracciato basale, alcune gocce di
Natrum muriaticum (il comune sale marino) venivano deposte sulla lingua dei ratti.
L' aggiunta provocava marcatevariazioni (riduzione) della frequ enzadiscarica del
centro nervoso. Questo esperimento suggerisce sia che l'azione del farmaco può
68 Ricerche su animali e di laboratorio

essere mediata dai centri nervosi ipotalamici, sia che il precondizionamento con
dieta ipersalina rende l'animale più sensibile al rimedio Natrum muriaticum.
Cuprum (rame) è utilizzato nella terapeutica omeopatica come antispasmodico.
un gruppo francese [santini et al., 1990] ha sviluppato un modello animale per
valutare il possibile effetto diCuprum sulla motilità digestiva. Una soluzione 4 CH
di tale rimedio (corrispondente circa a 10-10 moli/l) veniva somministrata (0.3 ml/
i.p.) a topi, i quali poi ricevevano un trattamento con neostigmina in dosi ponderali
(50 pglkg), un farmaco che accelera la motilità intestinale. Il parametro misurato
era la distanza percorsa nell'intestino dalla fenosulfonftaleina. I risultati hanno
mostrato che il trattamento omeopatico riduce significativamente l'effetto della
neostigmina, riportando la velocità di transito intestinale a valori vicini a quelli di
topi non trattati con neostigmina.
L'omeopatia va trovando applicazioni anche in medicina veterinaria. Ad
esempio, è stato riportato uno studio eseguito su bovini dove si dimostra che il
rimedio Sepia, alla diluizione di 200CH riduce significativamente alcune compli-
canze tipiche del periodo post-parto [Williamson et al., 1991] e uno studio eseguito
su suini dimostrante che varie combinazioni di Lachesisl Pulsatillalsabina, Lache-
sislEchinacealPyrogeniurn, associate aCaulophyllum (tutti in basse diiuizioni, fra
D1 e D6), hanno effetti profilattici e terapeutici sulle infezioni (metriti e mastiti)
delle scrofe e sulle diarree dei porcellini [Both, 1987].
Infine vale la pena soffermarsi su recenti lavori pubblicati dal gruppo coordinato
da Endler [Endler et al., 1991; Endler et al., 1991b]. In tali studi, due laboratori
austriaci (Graz) e uno olandese (Utrecht) hanno dimostrato che diluizioni estreme
(D30) di tiroxina (T) sono in grado di inibire significativamente (p<0.01) la
metamorfosi dei girini ed anche la spontanea tendenza delle piccole rane ad uscire
dall'acqua. Le prove sono state eseguite nel corso di decine di esperimenti in cui
erano paragonate le diluizioni di tiroxina con diluizioni del solvente (acqua) portate
avanti in parallelo. A favore della qualità di queste sperimentazioni sta il fatto che
le soluzioni utilizzate per le prove erano codificate da un ricercatore indipendente
ed i codici erano comunicati solo alla fine degli esperimenti, una procedura quindi
in "doppio cieco", che è raramente lutilizzata nelle convenzionali ricerche sugli
animali. Questo modello sperimentale si è dimostrato molto versatile, allo scopo di
trovare le condizioni ottimali di metodica, di tempi e di dosi per ottenere i migliori
risultati: tra l'altro, è stato dimostrato che effetti significativi appaiono già pochi
minuti dopo l'esposizione degli animali alla diluizione di tiroxina.
In questa sezione sono citati anche alcuni studi sperimentali eseguiti su soggetti
umani sani, non essendo essi dei trials clinici per provare l'efficacia terapeutica di
un farmaco, ma vere e proprie sperimentazioni tese a individuare il suo possibile
meccanismo d'azione. Tali sperimentazioni potrebbero essere anche inquadrate
nell'ambito del classico "proving" omeopatico, che da qualche tempo tende ad
Ricerche su animali e di laboratorio 69

essere eseguito in doppio cieco e controllato con placebo. In letteratura


vi è un certo
numero di lavori di questo tipo, attestanti che farmaci omeopatici presi ripetuta-
mente da soggetti sani provocano sintomi particolari ed anche variazioni di
parametri fisiologici evidenziate laboratoristicamente [Julian, 1979; Smith ,1,9V9;
Campbell, 1980; Bayr, 1986; Koenig and Swoboda, 1987; Vakil et al., 1988;
Nagpaul, 19871. Sembrerebbe che l'effetto sul sano sia particolarmente pronuncia-
to in soggetti ipersensibili, cioè che non tutti gli individui rispondano alle dosi
omeopatiche di prova [Poitevin, 1988a].
È stato anche riportato, su riviste ematologiche ufficiali, un effetto paradossale
dell'acido acetilsalicilico: su volontari sani, diluizioni omeopatiche di aspirina (2
ml di diluizione 5CH, corrispondenti a circa 0.000000002mg,perviasublinguale)
causano una riduzione del tempo di sanguinamento statisticamente significativa
(p<0.05) rispetto al placebo (acqua distillata) [Doutremepuich et al., 1987a;
Doutremepuich et al., 7987b; Doutremepuich et al., 1988; Doutrernepuich et al.,
19901. Poiché è ben noto che l'aspirina in dosi farmacologiche (50-500 mg) causa
aumento del tempo di sanguinamento, si potrebbe intrawedere in questi ultimi
studi una dimostrazione del principio di similitudine. Tuttavia, non è chiaro ancora
il meccanismo con cui ciò avvenga perché, mentre è noto che l'aspirina in dosi
normali esplica la sua azione inibendo la funzione delle piastrine, nel lavoro di
Doutremepuich è riportato che l'aspirina "omeopatizzata" non ha alcuna influenza
sulla aggregazione piastrinica [Doutremepuich et al., 1990].

4.2. Studi su organi isolati

Il gruppo di Aubin [Pennec and Aubin, 1984; Aubin, 1984] ha condotto studi
pionieristici sulla attività cardiotossica dell'aconitina e della veratrina, sostanze
che sono usate in omeopatia. A basse diluizioni (alte concentrazioni) (10r M)
I'aconitina provocava, sul cuore isolato e perfuso, fibrillazione, a medie diluizioni
(10r M) provocava bradicardia, ad alte diluizioni (i0-ts tU; non aveva alcun effetto
sul cuore sano, ma sul cuore pretrattato con basse diluizioni di aconitina aveva un
netto effetto protettivo e normalizzatore del ritmo e di altri segni di cardiotossicità.
Risultati analoghi sono stati ottenuti con la veratrina [Pennec et al., 1984a; Pennec
et al., 1984b]. Tali esperimenti confermerebbero l'efficacia delle alte diluizioni su
cellule e tessuti in qualche modo sensibilizzati o predispostida situazioni patolo-
giche.
Benveniste e collaboratori [Hadji et al., 1991] hanno recentemente riportato in
forma preliminare dei risultati ottenuti con un modello sperimentale costituito dal
cuore di cavia isolato e perfuso (sistema di Langendoff). II flusso coronarico di
questi cuori aumentava con l'infusione di altissime diluizioni di istamina (superiori
70 Ricerche su animali e di laboratorio

a D30) così come avviene normalmente con le normali basse diluizioni. L'infusio-
ne di solo tampone (in cieco) o di una alta diluizione dell'analogo metil-istamina
non modificava il flusso coronarico. La attività vasodilatatrice dell'istamina in
altissime diluizioni era distrutta con trattamento a 70 oC per 30 minuti o a seguito
di esposizione ad un campo magnetico di 50 Hz per 15 minuti. Gli autori hanno
concluso che I'acqua, privata del soluto mediante diluizioni seriali, trattiene una
specifica attività che può essere soppressa mediante trattamenti fisici che non hanno
effetto sul soluto di per sé.
Frammenti (coleottili) di piantine di avena durante la fase di rapida crescita sono
state messe in coltura in presenza del fattore di crescita vegetale acido indolacetico.
In queste condizioni, un pre-trattamento con diluizioni omeopatiche di caco,
(5CH) ha causato un aumento statisticamente significativo della crescita rispetto al
coleottili trattati con solo acido indolacetico [Bornoroni, 1991]. È interessante il
fatto che l'autore suggerisce un possibile meccanismo d'azione della diluizione di
CaCOr, e cioè che essa possa aumentare la concentrazione di Ca2* extracellulare e
quindi di conseguenzaagire in sinergismo con I'acido indolacetico nell'attivare la
pompa H*/K* (che provoca acidificazione cellulare ed aumento di proliferazione),
oppure favorire una migliore captazione dello ione Ca2* presente nel mezzo di
coltura e quindi aumentare la attivazione cellulare.
Il gruppo di Doutremepuich, autore delle sperimentazioni dell'aspirina in alte
diluizioni sull'uomo sano (v. sezioneprecedente) hariportato anche studi su colture
di frammenti vascolari e piastrine del sangue [Lalanne et al., 1990; Lalanne et al.,
1991,).Laaggregazione piastrinica viene rallentata come velocità e diminuita come
entità globale dalla presenza, nel mezzo di incubazione di frammenti di parete
vascolare. Questo fenomeno è ben noto ed è probabilmente dovuto alla produzione
di qualche mediatore fisiologico. Gli autori citati hanno dimostrato che alte
diluizioni di aspirina in preparazione omeopatica (5CH) reversibilizzano l'effetto
inibitorio dei frammenti vascolari, quindi, in pratica, riportano al normale una
aggregazione precedentemente inibita: il risultato costituisce una prima contropro-
vainvitro di quanto riportato sul soggetto umano sano, dove l'aspirina altamente
diluita riduce il tempo di sanguinamento.

4.3. Studi su cellule o'in vitro"

GIi studi più significativi sono stati condotti sui basofili umani, usando il test di
degranulazione [Benveniste, 1981; sainte-Laudy,1,987; cherruault et al., 19g9].
Questo test indaga le proprietà di metacromasia di queste cellule, usando un metodo
di conta dei basofili al microscopio ottico. È stato recentemente dimostrato dal
gruppo di Benveniste che tale fenomeno è dovuto a modificazioni dei trasporti di
Ricerche su animali e di laboratorio 77

membrana piuttosto che a vera e propria degranulazione [Beauvais et al, 1991], ma


qui il fenomeno sarà trattato come "degranulazione", secondo la dizione usata nei
primi lavori. Le prime pubblicazioni dell'effetto di alte diluizioni sui basofili
[Poitevin et al., 1985; Poitevin et al., 1986] riportarono che la degranulazione in
vitro indotta da vari allergeni (polveri domestiche, acari) era inibita da alte
diluizioni di veleno d'ape (Apis mellifica 9CH e 15CH). uno studio successivo
[Poitevin et al., 1988] ha preso in esame i basofili stimolati con siero anti IgE,
studiando l'effetto di due prodotti usati nel trattamento omeopatico delle sindromi
allergiche, Apis mellifica e Lung histamine. Questi farmaci davano significative
inibizioni a concentrazioni teoriche di 104 M e 10-17 M. Esaminando il rapporto
dose effetto, si osservava una alternanza di inibizione, inattività e stimolazione, che
determinava un andamento "pseudosinusoidale". L'inibizione è stata poi ottenuta
anche con alte diluizioni di istamina pura, con picchi di inibizione attorno a6-7CH
e 17-18cH [Poitevin et al., 1988; Poitevin, 1990]. Poiché gli effetti osservati
sembravano dipendere dall'istamina e dalla melittina (componenti principali del
veleno d'ape), gli autori hanno suggerito i possibili meccanismi: a) blocco non
specifico delle IgE, b) regolazione della attività fosfolipasica: è noto che la
melittina attiva la fosfolipasi A2, c) feed-back negativo dell'istamina sulla sua
stessa liberazione.
Uno studio multicentrico guidato da J. Benveniste, condotto in collaborazione
con altri quattro laboratori, ha poi riportato che i basofili umani sono sensibili a dosi
infinitesimali di sostanze che già si conosce avere un effetto stimolatore a dosi
ponderali, quali anticorpi anti IgE, ionofori per il calcio, fosfolipasi A2. La
specificità d'azione era comprovata dal mancato effetto di altre sostanze ultra-
diluite: a) anticorpi anti IgG (infatti i basofili sono attivati da anti-IgE solamente),
b) di fosfolipasi c, la quale ha diversa specificità biochimica sulle membrane, c) di
ionofori per il calcio, quando si omette lo ione calcio dal mezzo di incubazione
[Davenas et al., 1988]. Le curve dose risposta mostravano, al decrescere della dose,
prima una scomparsa della attività, poi una ricomparsa e poi vari picchi di attività
ed inattività alternantisi fino a diluizioni altissime, corrispondenti a concentrazioni
di anticorpo praticamente nulle (figura 1). Viene inoltre riportato che per avere la
massima attività nelle diluizioni infinitesimali era necessario che il processo di
diluizione fosse accompagnato da forte agitazione (10 sec. con vortex) e che la
attività stimolante delle soluzioni diluite di anticorpo permaneva anche dopo
ultrafiltrazione attraverso membrane con pori inferiori alle dimensioni di 10 kDa,
che avrebbero dovuto trattenere l'anticorpo.
Dato che questi esperimenti rappresentano un punto-chiave delle discussioni
sull'omeopatia, necessitano di un particolare approfondimento e di alcune precisa-
zioni. Il lavoro del gruppo di Benveniste, pubblicato dalla autorevole rivista
scientifica Nature, ha avuto molta risonanza come la presunta dimostrazione della
72 Ricerche su animali e di laboratorio

100
a
\o
o\
80
o
q
J 60

Ct)
o) 40
E

o
o
a 20
.-F {--t{- - -- }-{--- {r - } 4.._ _1-_

6
0
10 20 30 40 50
Anti-lgE antiserum (log dilution)
Figura l. Andamento della "degranulazione " dei basofili all'aumentare della diluizione di
anticorpo anti-IgE. Figura tratta, con autorizzazione,dal lavoro di Davenaset al.,
1988 (Copyright: Macmitlan Magazines Ltd).

"memoria dell'acqua", ma è stato fortemente criticato sia per considerazioni


teoriche (la "incredibilità" dei dati) che per la difficile ripetibilità dei risultati e
insufficienze metodologiche (una specie di ispezione organizzata dalla rivista
Nature nel laboratorio di Benveniste) [Maddox et al., 1988; pool, 19gg; Lasters and
Bardiaux, 1988].
Simili posizioni fortemente critiche e, talora, anche sarcastiche o ironiche, non
paiono del tutto giustificate: il concetto di "memoria dell'acqua" è solo una
metafora per indicare l'ipotesi che le proprietàfisico-chimiche dell'acqua possa-
no essere modificate da un soluto e rimanere tali per un certo tempo anche in
assenza del soluto sresso. Se ciò fosse vero, la biologia e la medicina subirebbero
non una rivoluzione, ma certo un significativo incremento di conoscenze e di
Ricerche su animali e di laboratorio 73

applicazioni relative. Qui non si tratta diipotizzare l'esistenza di un "Ente" (la


memoria) che sarebbe dentro l'acqua conferendole proprietà cognitive e mnemo-
niche, bensì di studiare le proprietà fisico-chimiche dell'acqua stessa. In questo
senso, parlare di memoria non è molto diverso che parlare di temperatura, costante
dielettrica, viscosità, ecc.
Un esempio può chiarire il concetto appena esposto: se si prende un po' d'acqua
e la si pone in freezer, dopo qualche tempo essa congela. Togliendo l'acqua dal
freezer, si potrà constatare che, nonostante ora si trovi a temperatura ambiente, il
blocchetto di ghiaccio resterà tale per un certo tempo. Quindi, esiste nell'acqua una
proprietà per cui essa "ricorda" per un certo tempo di essere stata messa e tenuta in
freezer. Per chi ritiene banale questo esempio, se ne può fare un altro: se si prende
un nastro rivestito di idrossido di ferro e, mentre scorre, lo si sottopone ad una serie
di differenze di potenziale con una certa precisa successione, si causano modifica-
zioni delle cariche sul substrato magnetico: il nastro ricorderà tali modificazioni per
centinaia di anni. Non è la memoria dell'acqua, è la memoria del ferro, che consiste
in una "particolare forma" che prende il substrato magnetico sul nastro.
Un gruppo olandese ha riferito preliminarmente di non essere riuscito a
riprodurre l'effetto di alte diluizioni di IgE [Ovelgonne et al., 1991]. A nostro
giudizio, il tentativo di ripetere un esperimento ritenuto interessante ed importante
è l'unica posizione che si può considerare scientificamente corretta e utile.
Recentemente il gruppo di Benveniste avrebbe ripetuto le prove secondo metodo-
logie più attendibili e valutazioni statistiche più complete, ottenendo conferma
dell'esistenza di un effetto di alte diluizioni, sebbene non così eclatante come nel
primo lavoro pubblicato su Nature [Benveniste, 1991:. Benveniste et al. 1991a;
Benveniste et al., 1991b].
L"'affare Benveniste" è un tipico esempio di dis-inform azionescientifica. I più
oggi ritengono semplicemente che Benveniste sia stato smentito e che la questione
sia chiusa. Ciò non corrisponde alla realtà. Innanzitutto se si va a leggere la
documentazione sulla rivista Nature si nota che un gruppo formato da un mago, un
giornalista e un esperto di statistica furono invitati a presenziare ad alcuni
esperimenti nel corso di una settimana, dei quali la maggior parte (ma non tutti)
diede risultati negativi, e quindi tale gruppo fece una relazione totalmente negativa
basata su argomentazionivarie, ma per lo più motivatamente rifiutate dai ricerca-
tori del laboratorio ospite [Benveniste, 1988]. È chiaro che questo tipo di esperi-
menti ha problemi di riproducibilità, dovuti sia alla ignoranza delle basi fisiche del
fenomeno e quindi dei fattori ambientali e sperimentali che possono influenzarlo,
sia alla particolare metodologia che si basa su valutazioni semiquantitative eseguite
al microscopio, ma non è accettabile che un gruppo formato da tre inesperti della
materia pretenda di demolire in una settimana il lavoro di oltre due anni di un
laboratorio che è rinomato in tutto il mondo per i suoi studi sulle mast-cellule.
74 Ricerche su animali e di laboratorio

I dati riportati nel citato lavoro su Nature sono criticabili sotto alcuni aspetti di
tipo procedurale, ma qualsiasi filone della ricerca scientifica ha avuto all'inizio
problemi di tipo metodologico ed anche interpretativo. Aver voluto mettere alla
berlina il gruppo di Benveniste come è stato fatto dalla redazione di Nature ha molto
della manovra politico-editoriale e poco di un vero dibattito scientifico. Che ciò sia
vero è dimostrato anche dal fatto che sugli ultimi studi di Benveniste è stato fatto
un totale silenzio da parte della comunità scientifica. Non è stata fatta nessuna seria
critica, è come se i nuovi dati non fossero stati neanche pubblicati, ed il vasto
pubblico resta dell'idea che la memoria dell'acqua sia solo una pura invenzione. Ma
questo, secondo Benveniste non è un procedere scientificamente valido: "ci sono
solo due possibilità - egli scrive in un commento - o che i dati siano sbagliati e deve
essere mostrato che lo sono, o che sono giusti, ed allora rappresentano una scoperta
fondamentale della biologia, che non solo legittima l'effetto alta diluizione/
agitazione usato in omeopatia, ma anche raggiunge il cuore di ogni processo
biologico, la comunicazione molecolare. Quindi bisogna che il problema sia
conosciuto, che si facciano più esperimenti, che si estenda la cooperazione
internazionale così che questi importanti risultati e le loro implicazioni siano
pienamente riconosciuti".
Un altro gruppo francese ha investigato l'effetto di vari farmaci omeopatici, e
soprattutto dell'istamina diluita omeopaticamente, sulla "degranulazione" (osser-
vata al microscopio) dei basofili [Cherrault et al., 1989; Boiron and Belon, 1990].
L'attività inibitoria di diluizioni centesimali progressive era evidente con picchi di
attività che si alternavano a diluizioni inefficaci. I massimi erano attorno alle
diluizioni 7CH,17CH, 28CH, 39CH e 51CH. Tutti gli esperimenti erano eseguiti
in cieco, nel senso che lo sperimentatore non sapeva con quale diluizione stava
lavorando. Un controllo era fatto con diluizioni di istidina, che si sono dimostrate
inefficaci, riducendo le possibilità che si tratti di artefatti.
Recentemente, il gruppo di Sainte-Laudy e Belon ha riportato altri dati a
conferma del fatto che alte diluizioni di istamina (cloruro di istamina puro)
inibiscono significativamente la degranulazione dei basofili (sensibilizzati con
anticorpi IgEverso il dermatofagoide) indottainvitro da estratti di dermatofagoide.
Su una serie di sedici diluizioni centesimali progressive (da 5CH a 20CH), gli autori
hanno osservato attività inibitoria dell'istamina in diluizioni attorno alla 7CH e alla
18CH.
L'aggiunta di dosi farmacologiche di cimetidina (antagonista dei recettori H2
per l'istamina) aboliva l'effetto di tutte le diluizioni attive. Gli autori quindi
propendono per il coinvolgimento dei recettori H2nellaazione delle alte diluizioni,
anche se ammettono che "è paradossale pensare in termini di biologia molecolare
quando teoricamente non vi sono molecole dell'effettore in alcune delle diluizioni
attive testate" [Sainte-Laudy et al., 1991].
Ricerche su animali e di laboratorio 75

sulla linea delle prove di tossicità eseguite su animari (v. sopra) il gruppo di
Boiron [Boiron et al., 1981] ha riportato che il mercurio (Hgclr) in minime dosi
[5CH] protegge le colture di fibroblasti dalla intossicazione di dosi elevate di
mercurio. Il parametro studiato era l'indice mitotico. Altri [Mansvelt and Van
Amons 1975] hanno osservato un effetto citotossico del HgCl, su Iinfociti di topo
in coltura a dosi da 10-s a 10-6 M, mentre un effetto inibitore della crescit a, senza
citotossicità, a dosi da 10-16 a 10-17 M. Questo effetto però non è stato ritrovato da
un altro gruppo che ha studiato l'azione di diluizioni da 10-10 a 10-18 M sullo stesso
modello [Kollerstrom, 19821.
Particolarmente interessanti appaiono due lavori che riportano l'effetto di
Phytolacca sulla blastizzazione linfocitaria [Colas et al.,197 S; Bildet et al., 19g1].
La fitolacca contiene una glicoproteina, il pokeweed mitogeno, conosciuto per
indurre la trasformazione linfoblastica in coltura dei linfociti B. Phytolacca è anche
ttilizzatada molto tempo (prima che ne fosse conosciuta la azione immunologica
invitro) empiricamente in omeopatia in numerose affezioni comportanti adenopa-
tie, come ad esempio la mononucleosi infettiva e la patologia virale in otorinola-
ringoiatria [Mossinger, 1973; Poitevin, 1988c]. su linfociti a riposo, diluizioni
5cH, 7cH e 15cH di Phytolacca non hanno nessun effetto mitogeno, ma su
linfociti stimolati con dosi ponderali di fitoemagglutinina (pHA) esercitano un
effetto inibitorio sulla mitosi dal 28 al73Vo (massimo effetto Ia 15CH in un lavoro
[Colas eta1.,1975),la7CH in un altro lavoro [Bildet et al., 1981]). In queste
sperimentazioni ancora una volta risaltano i concetti di tropismo biologico (per cui
una soluzione ultra diluita ha una attività che si indirizza sullo stesso sistema
bersaglio della sostanza non diluita) e di inversione degli effetti (per cui la soluzione
diluita inibisce l'effetto della sostanza originale o di una simile).
Uno studio sull'azione di sostanze succussate su linfociti umani stimolati con
fitoemoagglutinina (PHA) e su granulociti PMN stimolati con zimosan opsonizza-
to (za) è stato perseguito dal gruppo di olinescu di Bucharest
[Chirila et al., 1990a
e 1990b]. Da sangue periferico di pazienti allergici al veleno d'ape o immunode-
pressi (cancerosi) sono stati isolati linfociti e granulociti pMN, e si è valutato
l'indice stimolatorio in seguito a PHA (test della timidina tritiata) per i linfociti o
la produzione di o, dopo Zo (test della chemiluminescenza) per i granulociti.
Prima di essere stimolati i linfociti erano incubati in un mezzo supplementato con
varie diluizioni di veleno d'ape e i granulociti con varie diluizioni di cortisolo (2C,
7c, 14c, 30c). Per controllo alcune cellule erano supplementate con acqua
distillata succussata o non. È stato trovato che i linfociti di pazienti allergici erano
inibiti nella risposta proliferativa dalle alte diluizioni del veleno 7c, 15c,30c.
L'inibizione non era osseryata nei controlli supplementati con acqua succussata e
non. I pazienti immunodepressi avevano bassi indici stimolatori linfocitari, sia in
presenza che in assenza di diluizioni di veleno d'ape. per quanto riguarda la
76 Ricerche su animali e di laboratorio

produzionedio;deiPMNstimolaticonZainpresenzadicortisolodiluito,
vengonoriportaterispostediverserispettoaicontrolli,siastimolatoriecheinibito-
rie,maidatinoneranostatisticamentesignificativi.Secondogliautoriidati
sulle strutture
delle diluizioni succussate
ottenuti suggeriscono un possibile effetto
di membrana delle cellule'
(leucociti polimorfo-
vi sono anche altri lavori eseguiti sulle cellule fagocitarie che vengono usate
state testate Sostanze
nucleati e macrofagi)' In questo "u.o ,ono
vi infiammazione acuta con forte componente
i, o*roputi" nelleiiiuaziàni in cui è
et al., L983] un effetto inibitore di
di polimorfonucleati. É stato riportato [poitevin
Belladonna F"rru* phirpnàriru*a
diluirioni 5cH e 9CH sulla produzione di
" indotta du opsonizzato'
radicali liberi dell,os.i-grno l"t r.iluminescenza) 1T:run all,incirca
raggiungeva circa i|30 40v0,
L,inibizione era altamente significativa e
la stessa inibizione ottenutaion 10 pM desametazone e 0.1 mM indometacina'
Contemporaneamente,èstatatestataApismellifica,nontrovan.doperòvariazioni
esiste una notevole differenza di sensibi-
significative. Gli autoii fanno notare che
problema della diversa sensibilità di
lità individuale a questi farmaci. Questo
cellule isolate da diversi soggetti è stato
*"r.o in luce anche da altri [Moss et al''
1,gg27,che hanno inàuguto"i,.ffetto
di B.elladonna, Hepar sulfur, Pyrogenium,
ottenendo risultati contrastanti'
silicea e staphylocorànu* sulla chemiotassi,
Quest'ultimolavoroèstatocriticato[Poitevin'1988a]inquantolesoluzioniusate
potrebbe così spiegare la variabilità dei
nelle prove non erano sterili e quinài si
risultati.
che Bryonia 4CH e 9CH hanno
È stato anche riportato (in forma preliminare)
ossidativo dei leucociti polimorfonu-
avuto un effetto stimolanteìul metabolismo
cleati,siadirettocheindiretto(aumentandolarispostaapeptidichemiotattici)
1988]'
[Fletcher and HalPern,
Poichénelnostrolaboratorioèinusocorrenteunmetodoperlamisuradella
dei globuli
anione superossido e della aderenza)
funzionalità (come produzione di
bianchi,inparticolaredeineutrofili,èstatoseguitounapprocciosimileaquellodel
gruppodiBenveniste,cercandodiattivaretalicelluleconsoluzionidiagonistio
nostri risultati [Bellavite et al" 1991a]
antagonisti diluite col metodo omeopatico.I
sonostatisostanzialmentenegativi,nelsensocheleattivitàcellularisubivano in
range di diluizioni tra D4 e D10' quindi
un,influenza dei composti testati in un nella ricerca
simili a quelle comunemente usate
condizioni in cui le ào.i "runo che anche Benveniste ha provato
convenzionate. nisogna comunque sottolineare
a testare alte diluizioni su granulociti
neutrofili e piastrine, con risultati negativi
(comunicazione Personale)'
Unaltroapproccioallostudiodeifarmaciomeopaticisusistemicellularièstato
degli effetti di preparazioni omeopatiche
da noi perseguito mediante lavalutazione
o"i neutrofili in coltura' attivati con
in fiale iniettabili, sul metabolismo ossidati*
Ricerche su animali e di laboratorio 77

peptidi formilati [Bellavite et al., 1991b; Chirumbolo et al., 1992].I risultati di tali
ricerche, basate sulla analisi di una larga serie di composti in molteplici diluizioni,
possono essere così riassunti: a) Manganum phosphoricumD6 eD8, Magnesium
phosphoricumD6 eD8, Sulphur D6, Acidum citricum D3;' Acidum succinicum D3
e D4 hanno effetti inibitori altamente riproducibili; b) Acidum fumaricum ed
Acidummalicum(entrambe alladiluizione D4) hanno effetti lievemente potenzian-
ti sul metabolismo ossidativo; c) Phosphorus e Magnesium phosphoricumhanno
presentato spesso, nel corso delle varie sperimentazioni, degli effetti inibitori anche
a diluizioni molto elevate (superiori alla D15), ma tali effetti non comparivano
sempre nelle stesse diluizioni, rendendo così difficile una valutazione statistica del
fenomeno. Tali risultati si prestano a molteplici interpretazioni sulle possibili
ragioni degli effetti osservati dal punto divistabiochimico.Innanzitutto essi stanno
a dimostrare che le soluzioni usate hanno, a dosi medio-alte, determinati effetti sulle

cellule del sangue. Inoltre, i dati sembrano suggerire che la maggior parte dei rimedi
testati agisce in modo da interferire con sottili meccanismi regolatori della cellula,
che sono notoriamente basati su scambi ionici, processi di fosforilazione e di
ossido-riduzione. In questi meccanismi hanno, nella normale fisiologia cellulare,
una grande importanza il fosforo, lo zolfo, il magnesio, il manganese, il calcio ed
altri elementi.
Il gruppo di Wagner [Wagner, 1985; Wagner, 1988; Wagner et al., 1988;
Wagner and Kreher, 1989] ha affrontato sperimentalmente il problema dell'effetto
a livello cellulare (sui leucociti) di basse dosi di estratti vegetali usati in omeopatia
e, inoltre, dei non usuali cambiamenti di effetto osservati nelle curve dose risposta.
Tra le varie sperimentazioni, paiono particolarmente interessanti quelle che ripor-
tano che naftochinoni (plumbagina, alkannina, ecc.) ed agenti citostatici (vincristi-
na, methotrexate, fluorouracile, ecc.) ad alte concentrazioni (100 pg - 10 nglml)
inibiscono, mentre a concentrazioni molto basse (10 pg - 10 fglml) stimolano la
blastizzazione linfocitaria e la fagocitosi granulocitaria. Dosi intermedie sono
inefficaci. Gli autori hanno suggerito che alcuni effetti antitumorali di estratti
vegetali potrebbero spiegarsi anche con questo meccanismo di duplice effetto a
seconda delle dosi.
Sono stati riportati vari esperimenti eseguiti su cellule vegetali. Tra questi,
paiono particolarmente significativi quelli che dimostrano come un pre-trattamen-
to con diluizioni omeopatiche di tossici (ad esempio CuSO) protegge le cellule
vegetali dall'intossicazione con dosi medio-alte del tossico stesso [Guillemain et
a1.,1984; Guillemain et al., 1987].
78 Ricerche su animali e di laboratorio

4.4. Prime conclusioni derivabili dagli studi sperimentali

Le sperimentazioni di cui si è riferito in questo capitolo testimoniano dell'esi-


stenza di una ricerca in omeopatia, di cui poco normalmente si conosce. vi sono
ormai molti gruppi nel mondo (soprattu-tto in Europa) che hanno iniziato a porsi il
problema di dimostrare sperimentalmente la realtà o la falsità di certi principi
"sacri" della omeopatia classica, sulla base dei canoni della ricerca biologica
moderna.
Naturalmente, così come è stato fatto per la ricerca clinica, non manca chi,
certamente a ragione, ha sottoposto ad un rigoroso vaglio metodologico molti dei
lavori pubblicati - per lo più su riviste non di primo piano - e ne ha messo in luce
le gravi deficienze. Non si può negare che la maggior parte di quanto si legge,
soprattutto a proposito degli effetti di soluzioni ultra-diluite, è ancora in attesa di
conferme da parte di gruppi indipendenti.
Quando le scoperte mettono in discussione alcuni capisaldi della farmacologia,
o comunque contemplano la necessità di nuove teorie, devono essere corroborate
da fondamenti metodologici e riproducibilità superiori al comune standard, anzi-
ché inferiori, come purtroppo succede in questo campo. Al problema della difficile
riproducibilità dei risultati eclatanti di alcuni laboratori si è già fatto cenno. Questo
problema, che trova la sua ragion d'essere nella pressoché totale ignoranza sul
possibile meccanismo d'azione delle soluzioni omeopatiche ultra-diluite, è desti-
nato a restare ancora per molto tempo un crocevia obbligato di chi si cimenta con
queste difficili ricerche. Se l'effetto di soluzioni virtualmente prive di molecole del
composto attivo esiste, esso è necessariamente di tipo non-molecolare, quindi si
esce dalla possibilità di un normale controllo di qualità delle soluzioni impiegate
per le sperimentazioni.
Una revisione critica di tutta la letteratura riportante ricerche in omeopatia è
stata effettuata in passato [Scofield, 1984] ed attualmente è in corso anche in
ambienti universitari [Linde et al., 1991]. Quest'ultimo lavoro è stato riportato in
forma preliminare e si riferisce a 109 pubblicazioni riportanti 106 differenti studi,
di cui 82 realizzati su animali, 14 su piante, 6 su organi isolati e 5 su colture cellulari.
Pressoché tutti i lavori recensiti riportano risultati positivi, almeno a certe diluizio-
ni. In particolare, le diluizioni più frequentemente riscontrate come aventi effetti
documentabili sono la C5 e C9. Gli standards qualitativi secondo criteri rigorosi
sono stati giudicati bassi, soprattutto per la scarsezza di notizie sui metodi di
preparazione delle diluizioni, sulla composizione delle tinture madri, sui dettagli
cronobiologici. Solo circa il 30% deglistudi hanno ottenuto un punteggio superiore
al 507o del massimo secondo l'analisi di Linde e collaboratori. Gli autori conclu-
dono che giudicando solo sulla base degli studi metodologicamente sufficienti si
avrebbe comunque una chiara evidenza dell'efficacia delle dosi molto basse e delle
Ricerche su animali e di laboratorio 79

alte diluizioni, ma che finora troppo poche ricerche sono state riprodotte da gruppi
indipendenti.
Ovviamente, scarsa attendibilità non significa falsità. Il giudizio di cautela sulla
attendibilità di ricerche non ancora riprodotte in diversi laboratori è d'obbligo in
ogni caso, ma quanto detto non vuole significare che una parte, anche consistente,
delle ricerche sin qui compiute non sia valida. Resta Ia necessità, sempre più
urgente, che le sperimentazioni vengano estese ed intensificate, soprattutto a livello
di centri di ricerca di primo piano, che vengano assegnati fondi ai gruppi interessati
e che cessi I'ostracismo a livello universitario per tutto ciò che ha a che fare con la
medicina omeopatica.
Nel complesso quindi, la sperimentazione di laboratorio che si è venuta
accumulando negli ultimi anni comincia a fornire utili informazioni che, aggiun-
gendosi a quelle più tradizionali ma più difficilmente controllabili della pratica
clinica, consentono di formulare alcune conclusioni:

a) Gli studi riportati in questo capitolo sembrano dimostrare I'esistenza di attività


biologica dimostrabile di farmaci in medie ed alte diluizioni preparate secondo
le metodiche dell'omeopatia. In riferimento in particolare alle ricerche sulle alte
diluizioni (oltre il numero di Avogadro) è indubbio che emerga una certa
difficoltà o lentezza nel riprodurre i risultati in modo inequivocabile e statisti-
camente significativo.
b) A causa delle incertezze sulla reale natura del farmaco omeopatico, le ricerche
di laboratorio hanno contribuito ancora poco a chiarire il suo meccanismo
d'azione.
c) Pare di poter cogliere in molti casi una certa coerenzatrale ipotesi dipartenza,
basate sull'esperienza ed il ragionamento omeopatico (principio di similitudine,
azione contraria di una alta diluizione rispetto all'effetto tossico della sostanza
stessa), ed i risultati ottenuti negli animali, nell'uomo sano e negli esperimenti
in vitro. Una certa sostanza farmacologicamente attiva quando testata in
soluzioni altamente diluite sembra reagire specificamente con lo stesso sistema
biologico con cui reagisce la sostanza non diluita [vedi ad esempio Vakil et al.,
L988; Poitevin, 1988a; Doutremepuich et al., 1987; Doutremepuich et al., 1989;
Taylor Reilly et al., L986; Wurmser and Ney, 1955; Bildet eta1.,1.984; Bastide et
al., 1985; Aubin 1984; Poitevin et al., L988; Davenas et al., 1988]. Il rimedio
omeopatico sarebbe quindi dotato di rn tropismo biologico nei confronti di
specifici sistemi recettoriali. Si può perciò ipotizzue, anche se in maniera
speculativa, che il segnale veicolato dalla soluzione altamente diluita sia ricono-
sciuto specificamente dal sistema bersaglio ed elaborato in modo particolare.
d) La reazione alla alta diluizione è spesso opposta a quella osservata a basse
diluizioni: un composto può avere effetto protettivo sugli effetti tossici dello
80 Ricerche su animali e di laboratorio

stesso o di altri composti; un agente pro-infiammatorio può presentare


ad alte
diluizioni effetto anti-infiammatorio [Doutremepuich eial., igsg; Guillemain
et a1.,1987; Bastide, 19g9; Cazin et al., 19g7; gitaet et a1.,1975; Bildet
et al.,
1984; Bildet et al., 1990; Boiron et al., 1981; Bildet et al., 19g1; poitevin,
19Bg;
Wagner et al., 1988]. Bisogna comunque precisare che tale inversione
di effetto
non è una costante [Bastide et al., 19g5; Doucet-Jaboeuf, 19g4; Harish
and
Kretshmer, 1988; Hadjiet al., 1991; Mansvelt and van Amons, lg7s),quindi
non deve essere considerato una regola universale d,azione del farmaco
omeopatico, bensì una possibilità che si realizza quando sussistono adatte
condizioni di reattività del sistema testato.

La attività biologica
ed eventualmente terapeutica di farmaci in dosi basse o
bassissime potrebbe essere dovuta al fatto che Ia alterazione dei sistemi
fisiologici
durante la malattia li predispone ad una variazione della sensibilità a
livellò di
specifici recettori, fatto ben noto anche alla farmacologia classica
[Brodde and
Michel, 19891.
L'effetto del farmaco di tipo omeopatico potrebbe perciò spiegarsi (intendendo
questa spiegazione solo come una prima ipotesi di Iavoro) in due
modi: il farmaco
stimola alcuni meccanismi biologici che sono inibiti o bloccati dai fattori patoge-
netici esogeni o endogeni, oppure il farmaco inibisce un meccanismo di rispòsta
che
è attivato in modo sproporzionato o distorto clall'agente causale della malattia.
Questa discussione sarà ampiamente ripresa nel capitolo 6.
Tuttavia, molti lavorisu soluzioni altamente diluite suggeriscono che il tipo
di
informazione e di segnale veicolato da queste soluzioni differisce, alnreno
per
alcuni aspetti, da quelle conosciute dalla biologia e farmacologia classiche.
Il fatto
che molti esperimenti mostrino che l'effetto aumenta, o rimane stabile, od oscilla
tra aumento e diminuzione, durante successive diluizioni farebbe ipotizzare
che
una informazione specifica di un composto a dosi omeopatiche possa essere attivata
o amplificata dal processo di diluizione ed agitazione. Si tratterebbe quindi di
attività biologica in presenza di tracce di molecole o in loro assenza, tanto
che è stato
coniato il termine biologia metamolecolare et al., 19gg].
fDavenas
La natura precisa di questo fenomeno resta ancora ignota, ma è chiaro che
la
spiegazione vada cercata in un particolare comportamento fisico chimico
del
solvente (acqua, o acqua con varie percentuali di etanolo) durante il processo
di
diluizione ed agitazione. Le particolari caratteristiche delle soluzioni acquose
di
composti altamente diluiti saranno approfonclite nel capitolo 7.
Ricerche su animali e di laboratorio 81

4.5. Verso nuovi paradigmi

Nelle precedenti sezioni si è visto come molte delle osservazioni empiriche


presenti nella tradizione omeopatica trovino sostegno e spiegazione, o almeno
inizio di spiegazione, nel quadro delle moderne scienze biologiche, biochimiche e
immunologiche. In particolare, la plausibilità del principio di similitudine e la
possibilità di effetti farmacologici a dosi sempre più basse risultano confermate, se
non come "leggi" universalmente valide, almeno come proprietà peculiari dei
sistemi viventi, Ia cui importanza fino a tempi recenti non era stata riconosciuta. Da
qui ad affermare che si sono chiarite le basi scientifiche dell'omeopatia il passo è
ancora molto lungo. Dire che il principio di similitudine sia plausibile non significa
ancora averne spiegato il meccanismo d'azione. Inoltre, resta ancora sostanzial-
mente irrisolto il problema degli effetti delle altissime diluizioni.
Si è visto che esistono numerose ricerche che suggeriscono l'esistenza di
un'attività biologica di soluzioni altamente diluite, quindi di tipo diverso da quello
comunemente conosciuto. Affinché questo fenomeno, che indubbiamente aprireb-
be una nuova fase nello studio della biologia e della medicina, sia definitivamente
accettato, le evidenze dovranno essere ancora più forti sul piano della ripetibilità
e della applicabilità a svariati modelli sperimentali. Ciononostante, la somma delle
osservazioni cliniche (v. cap. 3) e sperimentali ( v. cap. 4) comincia ad essere di tale
vastità ed intrinseca coerenza che non si può eludere ulteriormente Ia questione
come se non esistesse. Bisogna tuttavia ammettere che non esiste ancora un
modello sufficientemente chiarificatore su che tipo di informazione sia contenuta
nelle alte diluizioniomeopatiche, in totale assenza teorica di molecole del principio
attivo.
Le evidenze empiriche non riescono, di per sé, fornire una ipotesi esplicativa.
a
A questo punto, quindi, il ragionamento, sempre basato su quanto si sa di
scientificamente certo (o almeno attendibile), dovrebbe fermarsi, per mancanza di
"materia prima". Poiché però lo scopo di questo lavoro non è solo quello di fare una
rassegna aggiornata della letteratura riguardante I'omeopatia, ma anche, e soprat-
tutto, quello di formulare nuove ipotesi che siano di stimolo e guida per ulteriori
ricerche, è necessario affrontare il problema secondo un'ottica più vasta rispetto a
quella fornita dalle singole ricerche presentate. Per questo, si farà riferimento ad
una vasta serie di evidenze e di teorie che la scienza ha prodotto in anni abbastanza
recenti. Tali evidenze e tali teorie non sono immediatamente correlate allo studio
dell'omeopatia, ma si riferiscono al funzionamento dei sistemi biologici ed ai
principi fisico-chimici di base della natura. Solo così, si può fondare una ipotesi su
una base consistente.
Si è dato a questo "allargamento di orizzonte" dell'ottica scientifica il titolo
"verso nuovi paradigmi", in quanto l'affronto delle basi scientifiche dell'omeopa-
82 Ricerche su animali e di laboratorio

tia si inquadra all'interno di un cambiamento del modo di vedere la scienza e la


medicina che attualmente è in atto. Le difficoltà di accettazione dell'omeopatia da
parte del mondo accademico non sono primariamente di ordine scientifico, ma
epistemologico, come anche ben illustrato da F. Attena in una recente rassegna
[Attena, 1.9911.Infatti il problema non è solo ladebolezza delle prove scientifiche,
né la mancanza di spiegazioni sul meccanismo d'azione: sia l'una che I'altra
possibilità valgono anche per lo studio dei farmaci convenzionali nuovi e vecchi.
Se una nuova terapia sia efficace o meno rappresenta una discussione comune e
molto legittima in ambito medico-scientifico moderno e nessuno si scandalizzache
vengano investigati ed anche sperimentati su malati farmaci la cui efficacia sia
molto dubbia (ovviamente una volta che ne sia stata provata la non tossicità). Che
poi non si conosca il preciso meccanismo d'azione di molti farmaci, anche tra i più
cornuni, è una nozione ben nota agli addetti ai lavori. Quindi il problema della
accettazione o del rifiuto dell'omeopatia si gioca su un altro piano, quello della
concezione "filosofica" della scienza (epistemologia). Per far comprendere questo
concetto val la pena soffermarsi un momento sul concetto di paradigma scientifico.
Una delle chiavi interpretative più importanti attraverso cui oggi si esamina
l'evoluzione della scienza e quindi anche della medicina, è quella che vede la storia
delle teorie scientifiche come un susseguirsi discontinuo di paradigmi .Unparadig-
ma è un insieme di assunzioni teoriche, di pratiche sperimentali e di modi di
trasmissione dei contenuti della scienza [Arecchi e Arecchi, 1990]. Esso costitu-
isce quindi un quadro di riferimento comune agli scienziati di un certo periodo, in
cui teorie, modelli, metodi, strumenti e soprattutto un linguaggio costituiscono un
corpo unico e coerente in se stesso. Visto dall'interno, un paradigma pare avere una
tale coerenza e forza dimostrativa che le eventuali contraddizioni sono aspetti
trascurabili. Coloro che lavorano all 'interno di un certo paradigma si basano, sia per
impostare concettualmente gli argomenti di ricerca, sia per scegliere le metodolo-
gie, sia per trarre le conclusioni dai risultati sperimentali, su un modello accettato
da tutti: in questo modo è molto più facile anche ottenere finanziamenti per la
ricerca (i progetti paiono ai finanziatori molto logici ed importanti) ed avere
accesso alla pubblicazione sulle più importanti riviste scientifiche (il linguaggio
usato e le conclusioni tratte soddisfano le aspettative e le possibilità di comprensio-
ne del mondo scientifico).
Certamente un fattore che determina Io sviluppo di un paradigma è rappresen-
tato dalla situazione economica e dalla tecnologia, la cui evoluzione permette
talvolta di fare dei veri e propri salti qualitativi nel tipo di ricerche svolte. I
paradigmi hanno sempre avuto una loro utilità sia teorica che pratica nella
promozione dello sviluppo della scienza, consentendo progressi precedentemente
impensabili. Un aspetto negativo, però, può risultare dal fatto che un paradigma
scientifico ha la forte tendenza a divenire totalizzanle e ad essere assunto come
Ricerche su animali e di laboratorio 83

riferimento da tutti. scrive ad esempio D. Ruelle (membro dell'Académie des


Sciences francese): "La scienza contemporanea internazionale tende a confondersi
con la scienza americana. È senza dubbio vero che si fanno ricerche (e buone
ricerche) anche altrove, ma gli Stati uniti dettano Ia moda e lo stile di lavoro"
[Ruelle, 1991]. La prevalenza dell'alta tecnologia e del potere economico norda-
mericani sono un dato oggettivo che inevitabilmente si ripercuote sul modo di fare
scienza.
Il tipo di rapporto esistente tra i vari paradigmi in una stessa epoca, o succeden-
tisi nella storia, è ancora oggetto di discussioni accese tra gli epistemologi. Secondo
alcuni, i paradigmi sono in lotta tra loro per una sorta di predominanza, e si
soppiantano per successive "rotture rivoluzionarie". Secondo altri, sarebbe possi-
bile una evoluzione progressiva da un paradigma ad un altro senza drammatiche
contraddizioni, almeno sul piano scientifico.
Nel corso della storia della medicina hanno preso il sopravvento via via diversi
paradigmi. In società primitive o pre-scientifiche il paradigma dominante anche
nello studio dei fenomeni naturali era basato sulla filosofia o la mitologia, poi con
lo sviluppo delle tecniche anatomiche e delle indagini fisiologiche si è diffuso un
approccio più descrittivo e classificativo (1600-1700), quindi si è passati ad un
paradigma fondato sulla cellula, nascendo la patologia cellulare e la microbiologia
(1700-1800), quindi infine, a seguito dello sviluppo enorme della chimica e della
biochimica, si è giunti all'attuale paradigma che si può definire molecolare. La
biologia molecolare pare oggi la base interpretativa di ogni fenomeno cellulare e
fisiopatologico, fino ad abbracciare persino gli eventi neuronali e psichici. La
"spiegazione" dei processi morbosi, sia genetici che acquisiti, viene cercata e,
quando possibile, situata in meccanismi rappresentati da modificazioni quantitati-
ve e/o qualitative di particolari molecole facenti parte dei vari sistemi anatomici o
fisiologici.
Oggi però si assiste, nello stesso seno del paradigma molecolare, a segni di un
cambiamento di tendenza, o almeno a segni di notevoli varianti sul tema. vi sono
ormai molti che percepiscono f insufficienza del paradigma molecolare nell'af-
fronto dei grandi problemi sanitari quali le malattie neoplastiche, degenerative,
autoimmunitarie, endocrino-metaboliche e neuropsichiatriche. Non si tratta di una
insufficienza di tipo quantitativo, in quanto a nessuno sfugge l'importanza di
ulteriori progressi nella conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti in tali
patologie. si tratta di un problema diverso: la quantità di nozioni, in crescita
esponenziale, non può più essere "dominata" neppure da specialisti delle varie
discipline, e porta con sé una progressiva sub-specializzazione in vari settori.
sempre più difficilmente si riesce a perseguire un approccio unitario, capace di una
sintesi multidisciplinare, capace di definire la natura dei processi patologici a livelli
di organizzazione superiori. Non in linea di principio, ma di fatto, l'accumulo di
84 Ricerche su animali e di laboratorio

nozioni e di dati si rivela insufficiente a far progredire nella comprensione dei


fenomeni vitali complessi e quindi anche di quelli riguardanti la salute e la malattia.
La parola "complessità" ricorre sempre più di frequente in articoli scientifici che
trattano di genetica, sistemi di comunicazione cellulare, metabolismo, ecc.
A tale situazione non ha senso reagire negando l,importanza dell,approccio
molecolare, di cui tutti gli operatori bio-medici moderni sono una espresiione più
o meno consapevole, bensì ha senso rispondere iniziando esplorazioni in altri
territori, in altri paradigmi, per vedere cosa questi possano offriie di nuovo. come
spesso avviene in operazioni che si sviluppino in territori sconosciuti, chi si dedica
a tali esplorazioni è esposto sia alla incomprensione di coloro che sono abituati
a
stare "con i piedi per terra", sia al reale rischio di prendere strade sbagliate o vicoli
ciechi. ciò che giustifica l'impresa, dal punto di vista di questi ésploratori, è
fondamentalmente la curiosità scientifica, la spinta innata che ha l,uomo di fare
nuove scoperte. Ciò che rende non temerario l'addentrarsi in strade nuove ed
incerte è la possibilità di orientamento e di guida fornita dal metodo scientifico, che
si è finora dimostrato capace di sostenere lo sforzo investigativo, indipendentemen-
te dalla appartenenza ad un certo paradigma o ad un altro. II metodo sperimentale
ha origine nelle osservazioni, spesso fatte per caso o fortuitamente, ma sempre
meticolosamente e rigorosamente registrate; si sviluppa in una serie di ragionamen-
ti e di idee che generano vnateoria esplicativache a sua volta consente di formulare
ipotesi che vanno sottoposte al vaglio dell'esperimento. Fin che si possono fare
esperimenti, si è autorizzati a costruire ipotesi, anche le più fantasiose o strampa_
late. Le idee e le ipotesi, come sostiene K. popper, possono nascere nella mente
del
ricercatore anche per intuizione, o come improvvisa illuminazione di una serie di
conoscenze depositatesi nella mente da molto tempo, o persino come conseguenza
di inclinazioni caratteriali. Ciò che conta veramente è che tali ipotesi possanù.r.r.
sperimentate e che possano essere suscettibili di invalidazione.
Un nuovo paradigma consente di inquadrare scientificamente fenomeni prima
non spiegabili, di affrontare problemi non precedentemente risolvibili e
ierciò
diventerà sempre più importante quanto maggiore sarà la rilevanza sociale ed
economica dei fenomeni relativi. È stato sostenuto che ogni paradigma inevitabil-
mente risente del clima culturale e persino della situazione economica del tempo
in cui si sviluppa. oggi che, nonostante l'enorme progresso scientifico della bio-
medicina, un numero crescente di persone si rivolge (a ragione o a torto) ad altre
forme di terapia, quando i farmaci tradizionali cominciano ad avere costi altissimi
sia per il sistema sanitario nazionale che per le tasche dei malati, si sta verificando
una sempre maggiore pressione per un cambiamento di considerazione nei con_
fronti di terapie precedentemente trascurate.
L'omeopatia, per sua natura, è una sfida ar paradigma molecolare, o meglio,
alla pretesa che il paradigma molecorare talvolta avanza di essere l,unico
Ricerche su animali e di laboratorio 85

interprete della realtà biologica. L'omeopatia troverebbe migliore collocazione


nell'ambito di un paradigma emergente in medicina, che si potrebbe definire
paradigmabioftsico. Le molecole non sono gli unici fattori determinanti, in quanto
avrebbero un grosso ruolo anche energie e informazioni di tipo elettro-magnetico,
energie e informazioni finora utilizzate,e solo in parte, a scopo diagnostico (ECG,
EEG, NMR, raggi X, potenziali evocati, ecc).
Secondo altre vedute, sarebbe più opportuno inquadrare l'omeopatia nell'am-
bito del paradigma della complessitò.In questa prospettiva, viene valorizzata
l'interrelazione dinamica tra Ie varie componenti dell'essere umano, da quella
psichica a quella fisico-anatomica, nonché quella tra l'uomo e il suo ambiente. La
;'diagnosi" e la terapia omeopatiche si indirizzano primariamente all'unità della
persona (il "simillumum" omeopatico rappresenta insieme una analisi e una sintesi
ài tutti gli aspetti di dis-regolazione ritrovati nel paziente), piuttosto che alla lesione
anatomo-fisiologica ed al singolo sintomo. Per questo, alcuni vedono l'omeopatia
come una medicina che cura il malato intero e non solo la malattia.
Queste due diverse interpretazioni della natura dell'omeopatia, orientate alla
biofisica o alla complessità, non sono in contrasto tra loro, ma piuttosto servono a
illustrare la novità e I'attualità dell'approccio omeopatico. Nell'ambito di questi
due filoni di pensiero si dovrebbe poter comprendere nella giusta luce, e forse
superare, le difficoltà di affermazione e di accettazione dell'omeopatia e di altre
medicine cosiddette alternative, come quelle di tradizione orientale.
5. COMPLESSITÀ, INFORMAZIONE
E INTEGRAZIONE

' La necessità di affrontare, almeno a grandi linee, i problemi legati al compor_


tamento complesso dell'organismo e dei sistemi biologici anche a livello moleco-
lare e cellulare deriva da tre serie di considerazioni:

a) la salute e la malattia sono fondamentalmente determinate dall,ordine o dal


disordine dell'organismo, i quali sono espressione della complessità degli esseri
viventi;

b) il metodo omeopatico si presenta come un approccio globale e integrato alla


salute ed alla malattia: in esso vengono presi in considerazione tutti ipossibili
fattori, di natura biologica e psicologica, che caratterizzano un determinato
individuo, cercando di cogliere le loro interrelazioni in modo sintetico. Tali
interrelazioni non possono essere capite se non in una logica che tiene conto
della complessità;

c) l'omeopatia afferma che un'informazioneè contenuta nella soluzione acquosa,


' o idroalcoolica in una forma "meta-molecolare,,. Se questo è vero, ,i d"rr"
dedurre che tali soluzioni sono caratterizzate da una qualche forma di ordine e
di memoria (deposito dell'informazione). L'ipotetico trasferimento di informa-
zione dal soluto al solvente rientra nelle problematiche del comportamento
"complesso" dei liquidi ed in questo quadro viene indagato. In una sezione
successiva si vedrà che i fisici stanno costruendo dei modelli dell'acqua
allo
stato liquido,cheipotizzano i modi con cui essa possa immagazzinare informa-
zione.

Al fine di chiarire meglio la portata di queste problematiche per Ia costruzione


delle ipotesi sull'omeopatia, verranno qui presi in considerazioìe alcuni capitoli
della moderna medicina in cui la complessità risulta evidente proprio sulla base
delle attuali conoscenze biologiche e molecolari.
Complessità, informazione e integrazione 87

5.1. La complessità delle malattie

Un primo approccio al discorso sulla complessità può partire da una riflessione,


solo in apparenza di natura teorica, sulla natura delle malattie in generale. Tali
considerazioni sono solo apparentemente teoriche perché è inevitabile che l'ap-
proccio diagnostico e terapeutico alla malattia dipenda dal concetto che di essa si
ha in generale, sul piano teorico e "filosofico", prima che nei singoli dettagli. ciò
è tanto più vero per chi cerca di ragionare e di agire nell'ambito di un quadro di
riferimento concettuale di tipo olistico piuttosto che specialistico.
La malattia è, nella sua essenza, un disordine delle strutture e/o delle funzioni,
con alterazioni caratteristiche a livello cellulare e molecolare. La definizione di
malattia dipende inevitabilmente dal "punto di vista" (inteso owiamente non come
opinione personale, ma come prospettiva con cui si guarda) di chi tale definizione
cerca di dare [Laplantine, 1988]. oggi il punto di vista della moderna medicina,
impostata scientificamente, è rappresentato dalla patologia molecolare, perché il
vertiginoso progresso che si è avuto a seguito dell'introduzione delle tecniche di
biologia molecolare, soprattutto nell'analisi delle proteine e degli acidi nucleici, ha
permesso un enorme ampliamento delle conoscenze sulle alterazioni molecolari
(quantitative e qualitative) presenti in moltissime malattie, sia ereditarie che
acquisite. Le conoscenze sulle basi molecolari di molte malattie cominciano ad
avere ricadute significative sul piano diagnostico e sul piano di un più razionale uso
dei farmaci. L'approccio molecolare ha avuto, ed avrà ancora per molti anni, il
compito di chiarire le basi biologiche delle malattie. Data la varietà delle situazioni
patologiche possibili a questo livello, si tratta di un compito vari ordini di grandezza
più vasto di quello in passato svolto dalla anatomia patologica a livello di organi
o cellule.
Il problema di una esauriente e soddisfacente definizione del concetto di
malattia non si risolve solo sulla base delle conoscenze di biologia molecolare, per
quanto dettagliate esse possano essere. Infatti il grande aumento "estensivo" di
conoscenze non è sufficiente per garantirci la comprensione "intensiva" del
significato più profondo che le alterazioni osservate hanno nella dinamica dell'in-
sorgenza e dello sviluppo di un processo morboso. Una soddisfacente descrizione
della natura della malattia non può prescindere dalla ricerca delle cause (eziologia)
e dei meccanismi (patogenesi), in altre parole del "perché" e del "come,,il processo
morboso insorge e si sviluppa. La ricerca delle cause giunge a buon esito quando
si tratta di cause ben precise, di solito ristrette ad uno o pochi fattori di danno fisico,
chimico o biologico, ma trova ostacoli spesso insormontabili quando le cause sono
molteplici o quando la malattia origina da una serie di cause susseguentisi nel
tempo, in cui ognuna rimanda ad una precedente. La intelligenza della patogenesi
necessita sì del maggior numero possibile di nozioni sulle modificazioni oggettive
88 Complessità, informazione e integrazione

(siano esse anatomiche, biochimiche, molecolari o elettro-fisiologiche), ma neces-


sita anche della individuazione dei nessi causa-effetto, così come anche della
gerarchizzazione dei fenomeni secondo un ordine spazio-temporale.
Qui si tenta di
delineare un approccio alla definizione della malattia basato non tanto e non solo
sul paradigma molecolare, ma su un ragionamento che tiene conto di nuovi
orizzonti epistemolo gici.
La vita è una espressione del comportamento complesso della natura. Essa è
essenzialmente proprietà di un sistema aperto in cui l'informazione regola la
materia e l'energia, pur senza sopprimere del tutto, anzi spesso traendone vantag-
gio, l'elemento caotico (i concetti di informazione e di caos saranno trattati in sez.
5.5 e 5.7 rispettivamente).
La vita è uno stato meta-stabile: si mantiene e si riproduce come un evento
termodinamicamente lontano dall'equilibrio, grazie all'interscambio di energia e
di materia che il sistema vivente instaura con l'ambiente [Guerritore, 19g7;
Guidotti, 1990]. Il fatto che esistano sistemi biologici omeostatici che mantengono
certi parametri entro limiti opportuni di oscillazione non significa che 1'organismo
o suoi sotto-sistemi siano in "equilibrio", ma solo che l'organismo è ben organiz-
zato e sa incanalare il flusso di materia ed energia in modo produttivo per la vita
stessa.
Ad esempio, è ben noto che esistono delle fortissime differenze nella concen-
trazione di ioni (sodio, potassio, idrogeno, calcio, magnesio, ecc.) tra i vari
compartimenti separati da membrane biologiche. Le cellule si servono proprio di
queste differenze e di queste asimmetrie per generare segnali, informazione ed
anche energia. Così la trasmissione dell'impulso nervoso dipende dallo squilibrio
tra sodio e potassio attraverso la membrana della fibra, la divisione cellulare
richiede un trasferimento di ioni idrogeno dall'interno all'esterno della cellula
(alcalinizzazione del citoplasma), ecc. Il mantenimento della salute consiste quindi
nel controllo di un dis-equilibrio.
È evidente che lo stato di buona salute non può essere mantenuto all'infinito e
che l'invecchiamento è inevitabile. Anche questo problema non ha spiegazioni
semplici, riconducibili totalmente a parametri molecolari.
Scrive il neurofarmacologo M. Trabucchi: "La ricerca biomedica più recente ha
cercato di chiarire le vie attraverso le quali la vita lascia tracce sulla struttura
biologica. Alcune di queste sono prevedibili, perché seguono leggi oggettive (o
scientificamente parametrate), altre invece imprevedibili. All,ambito delle prime
appartengono le sperimentazioni condotte soprattutto nell'animale, in base alle
quali alcune caratteristiche ambientali si riflettono su parametri semplici di
funzionamento neuronale (arborizzazione dendritica, numero di sinapsi, ecc.); alle
seconde appartiene quella serie di eventi che possono essere carutterizzati dal tema
della complessità, per cui stimoli esterni di enorme variabilità vengono interpretati
Complessità, informazione e integrazione 89

attraverso varie interfacce uomo-ambiente e tradotti in realtà biologiche e personali


altamente differenziate" [Trabucch i, 1992).
All'opposto dell'organizzazione vitale sta la morte, che quindi rappresenta il
massimo disordine, dissipazione dell'informazione, aumento di entropia, tendente
all'equilibrio termodinamico. La malattia è una via dimezzo: parziale disordine,
localizzato nello spazio-tempo, dei sistemi informazionali, energetici e materiali.
Nella riflessione sul problema della malattia insorge subito il problema di
capire, tra i vari eventi osservabili, quali sono primari e quali secondari, quali utili
e quali dannosi: non tutto nella malattia è patologico nel senso di dannoso. La
malattia è disordine, ma segue comunque delle leggi, quindi ha un suo ordine,
seppure condizionato da eventi casuali. I sistemi biologici omeostatici che gover-
nano la salute sono gli stessi che provocano gran parte dei fenonieni patologici,
allorché attivati in modo insufficiente, eccessivo o inadeguato alle circostanze.
D'altra parte, è anche vero che molti fenomeni che vengono chiamati patologici
sono biologicamente utili (anche se causano dolore), rappresentando un passaggio
ad uno stato di maggiore vitalità, energia e resistenza agli agenti patogeni (=
guadagno di informazione). Ad esempio, si può citare l'infiammazione e l'immu-
nità, processi fisiopatologici che, pur avendo un costo in termini di sintomatologia
soggettiva e di possibili danni organici, in realtà sono finalizzati alla riparazione,
alla difesa ed alla induzione di uno stato di maggiore resistenza. La maggiore
resistenza deriva dalla memoria dell'esperienza passata.
Queste considerazioni portano ad una prima conclusione: giudicare, di volta in
volta ed in ogni aspetto della malattia, ciò che è utile o dannoso, è molto difficile,
perché presuppone di conoscere la "logica" della malattia e della normalità, il
linguaggio dei sistemi complessi (infiammazione, immunità, sistema neuro-endo-
crino, regolazioni metaboliche fini, ecc.) più che il linguaggio delle molecole. La
malatti4 è problema di molecole, ma anche, ed in una diversa dimensione, di cellule,
di sistemi fisiologici e dell'uomo nel suo insieme: se il dis-ordine molecolare non
è compensato da sistemi sovra-molecolari, sono questi ultimi ad essere responsabili
della malattia, non la molecola. La malattia è problema dell'individuo ma è anche
problema dell'ambiente: l'individuo spesso è la vittima di una malattia più grande
di lui (v. violenza, inquinamento, epidemie, dis-informazione operata dai mass
media, non senso dei rapporti sociali, solitudine, ecc.) e chi riflette sulla reale natura
delle malattie difficilmente può accontentarsi di una spiegazione riduzionistica
limitata alle ultime conseguenze biochimiche di tali problemi.
La malattia è quindi essenzialmente un disordine informazionale. Le malattie
gènetiche rappresentano il caso più evidente di ciò: è cambiato l"'ordine" della
sequenza del codice genetico, il disordine sta nello stesso deposito dell'informazio-
ne. La malattia genetica può essere determinata anche da un piccolissimo errore di
scrittura nella biblioteca fondamentale della cellula. Anche le malattie acquisite, o
90 Complessità, informazione e integrazione

in cui si mescolano fattori genetici e fattori ambientali (sono di gran lunga la


maggior parte) sono disordini informazionali, ad un livello più complesso: ciÀ che
è alterato non è solo I'ordine molecolare del DNA, ma anche l,ordine informazio-
nale che regola i sistemi sovra-molecolari. Nella maggior parte delle malattie si può
individuare uno squilibrio dei sistemi biologici omeostatici, a vari livelli. I sistemi
molecolari, cellulari, tissutali, organici, neuroimmunoematologici, ecc., tendono
di per sé a funzionare secondo parametri deterministicamente corretti.
Ad esempio nell'infiammazione, nella trombosi, nella aterosclerosi, nelle
iperplasie, nelle turbe endocrine, ecc., spesso non si individua un difetto primario
del sistema in sé, ma nella sua regolazione. La piastrina, quando provoca il trombo,
sta facendo il suo mestiere, così anche la trombina e la fibrina. La cellula
macrofagica, quando ingloba le lipoproteine ossidate, sta facendo il suo mestiere
(lo spazzino), anche se questo poi causa l'accumulo delle foam cells nella tonaca
intima della arteria. È vero che un particolare difetto genetico può causare l'evento
patologico (ad esempio assenza di proteina C/S nella trombosi o assenza di recettori
per le LDL nella aterosclerosi), ma il più delle volte, in pratica, un simile difetto
genetico non è evidente o determinante. Inoltre, ogni malattia, anche se primaria-
mente genetica, dipende in gran misura nel suo decorso dall'insorgere disquilibri
regolativi, in quanto ad ogni difetto il sistema tenderebbe a contrapporre un
adeguato meccanismo di compenso.
Il vecchio concetto di "terreno" torna alla luce secondo una ri-comprensione in
termini più aggiornati, così che oggi potremmo parlare di sistema neuroimmuno-
endocrino, ma la sostanza non cambia: ogni malattia ha una forte componente
legata alla reattività endogena. È infatti solo dopo molto tempo e continue
perturbazioni dei sistemi biologici omeostatici che le malattie multifattoriali
divengono manifeste clinicamente, quando i sistemi omeostatici stessi sono usciti
dalla normalità, adattandosi ad una situazione cronica di stimoli patologici abnor-
mi. Nella pratica, buona parte delle malattie hanno come meccanismo fondamen-
tale lo spostamento verso I'alto o verso il basso della attività divari sistemi biologici
omeostatici, con tutta la possibile gamma di sequele sintomatologiche e di altera-
zioni strutturali permanenti che poi a loro volta divengono la base per nuovi
squilibri.
Uno schema semplificato degli eventi fisiopatologici che si verificano nel corso
di una malattia-tipo è riportato in figura 2. euesto schema rappresenta un quadro
di riferimento generale, utile soprattutto per illustrare l'interconnessione di vari
passaggi che si integrano dinamicamente. Si vede come agenti eziologici di varia
natura (chimici, fisici, biologici, carenziali, ecc.), se riescono a superare i primi
sistemi di difesa, provocano un danno biochimico strutturale e/o funzionale. A
questo danno reagiscono i sistemi deputati alla conserv azioneed al ripristino della
integrità biologica, che sono detti anche sistemi biologici omeostatici. Tali sistemi
Complessità,
informazione
e inrcgrazione
91

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Figura 2. Schema
di un
una mara*ia.
;'3J::,Hi::fl:::;":,ffi:che rappresenra
i possibiri eventi
di
92 C omplessità, infor mazione e inte grazione

occupano quindi una posizione centrale nella dinamica evoluzione di una malattia:
un buon funzionamento conduce alla riparazione ed alla guarigione (freccia
grande), ma essi stessi possono provocare ulteriore danno, innescando una sorta di
feed-back positivo patologico. ovviamente, se il danno, diretto o indiretto, è grave
o irreversibile, si entra in un quadro di non-ritorno che può portare alla morte o alla
presenza di invalidità permanenti (stato patologico).
Gran parte dei segni e sintomidellamalattia derivano non tanto dal danno diretto
dell'agente eziologico, quanto dalle reazioni dell'organismo.
Nello schema della figura 2 è indicata un'altra possibile evoluzione del quadro
fisiopatologico-tipo: I'adattamenfo. Esso è una evoluzione in un certo senso
intermedia tra guarigione e stato patologico, in quanto rappresenta un nuovo stato
di normalità adattata alle mutate circostanze. Ad esempio, se vi è stato un danno
polmonare che ha ridotto Ia superficie di scambio alveolo-capillare, il sistema
omeostatico che controlla il livello di ossigenazione reagirà con produzione di un
maggior numero di globuli rossi (poliglobulia). La poliglobulia non è normale in
soggetti che non soggiornino in alta montagna, ma non si può neanche considerare
uno stato patologico, anche se si tratta di una modificazione "long-term". Se per
ipotesi si riuscisse a far regredire il quadro polmonare, la poliglobulia scomparireb-
be. Altri esempi di adattamenti potrebbero essere l'ipertrofia cardiaca e le modifi-
cazioni della funzionalità renale in corso di ipertensione, la linfoadenomegalia del
bambino esposto a continua stimolazione immunologica, l'iperinsulinemia nel-
l'obeso, le steatosi d gli xantomi in alcune dislipidemie, ecc.
Se la malattia è dis-informazione di sistemi complessi, per andare al cuore del
problema è necessario, ma non basta, l'approccio molecolare, che analizzasolo un
aspetto della informazione. Nuovi approcci, nuovi modelli, nuovi concetti comin-
ciano ad essere introdotti in biologia al fine di superare questo problema. Non è
sufficiente capire i singoli elementi e cercare di metterli assieme secondo un
modello "informatico" o cibernetico: nessuno crede più che sia possibile formulare
un modello preciso, predittivo, che sappia tenere conto di tutte le variabili in gioco
in una singola cellula, quindi tanto meno è possibile sperare di costruire modelli
esatti del funzionamento di organi o sistemi.
Di fronte a questo dato di fatto, si potrebbe essere tentati di concludere che non
è possibile descrivere esattamente la malattia e quindi di conseguenza non è
possibile concepire un intervento terapeutico che sia completamente razionale e
finalizzato alla guarigione della malattia stessa. Se così fosse, si dovrebbe quindi
accontentarsi di comprendere alcuni aspetti della malattia (cosa certamente oggi
possibile) e fare una terapia basata su quelli: ad esempio una terapia antiinfiamma-
toria, o analgesica, o sostitutiva, ecc. Ciò non significa che queste ultime terapie non
siano utili ed efficaci in molti casi, o che possano anche favorire i processi di
guarigione definitiva messi in atto dall'organismo stesso. Significa avere realisti-
Complessità, informazione e integrazione 93

camente coscienza del tipo di intervento che si sta facendo e quindi anche
comprendere il perché in molti casi le terapie attualinon sono sufficienti a risolvere
il problema.
Per cogliere con un'immagine il nucleo del problema della regolazione infor-
mativa dei processi vitali, e quindi anche dei suoi aspetti patologici, si potrebbe
rifarsi al modello dell'orchestra. L'orchestra è I'organismo, la musica è la sua vita.
Nell'orchestra c'è una parte materiale, "molecolare", composta da strumenti con
una loro ben precisa struttura e da suonatori con una loro capacità recettoriale,
elaborativa e motoria. Ciò che conta però è che suoni in armonia secondo un
programma costituito dallo spartito musicale e seguendo il ritmo dato dal direttore.
Un'esecuzione può riuscire male perché qualche parte materiale si rompe (ad
esempio le corde di un violino, o lo sgabello di un suonatore), ma può riuscire male
anche perché qualcosa non funziona nell'accordo tra i vari suonatori. Labontà della
musica che l'orchestra suona ha come condizioni la qualità degli strumenti, la
qualità dello spartito musicale, Ia qualità del direttore, ma soprattutto I'accordo,
l'armonia tra di essi. Se interviene un rumore di disturbo dall'esterno, o un
orchestrale è stanco o distratto, si rischia la stonatura, tanto più grave quanto meno
il direttore d'orchestra sa tenere in pugno la situazione. Se la stonatura è notevole
o il direttore debole, il difetto può coinvolgere tutta l'orchestra con grave detrimen-
to per l'opera nel suo insieme. Questo esempio ci fa capire che non è necessario che
vi sia primariamente una anomalia strutturale per avere poi un effetto anche
disastroso. Una dis-informazione in un sistema complesso può insorgere anche per
sottili e non immediatamente percepibili deviazioni dalla normalità, che vengono
poi amplificate elo stabilizzate da meccanismi di adattamento e di feed-back
positivo. Nell'organismo sano questa orchestra suona in continuazione, in modo
coordinato. È dificite dire se esiste un "direttore d'orchestra", perché tutte le parti,
compreso il cervello, funzionano influenzandosi reciprocamente. Non si può
comunque negare che esiste una gerarchia di importànza per cui alcuni sistemi
hanno maggiori funzioni di controllo e quindi possono essere considerati più
importanti sul piano regolativo.
Al di là dell'esempio fatto, esiste il modo di affrontare razionalmente il
problema della complessità? In assenza della possibilità di costruire modelli esatti
e dotati di predicibilità dei vari fenomeni, si tratta di vedere se si possono
individuare almeno alcune "regole fondamentali" di comportamento dei sistemi
complessi, in modo da sfruttarle perun eventuale intervento di modulazione. Come
si è già detto, lo studio della complessità è un campo di frontiera per Ia scienza, e
vi sono impegnati matematici, fisici e biologi. È molto probabile che da questi studi
si avranno notevoli ricadute anche nel campo biomedico. È facile intuire che questi
concetti che si riferiscono ai comportamenti dei sistemi complessi possono avere
delle notevoli correlazioni con l'interpretazione dei meccanismi con cui i sistemi
94 C omp le s s it à, infor mazio ne e inte g r azio ne

biologici complessi possono deviare dallo stato di normale omeostasi


(v. anche sez.
5.7 e 5.8).
Un approccio alla definizione di malattia si avvicina alla realtà quanto
più è
integrato, nel senso che tiene conto di tutti i possibili livelli in cui
si manifesta, si
perpetua e si comunica la dis-informazione patologica. Sta
emergendo in modo
sempre più chiaro e documentato che l'ordine biologico è dato
da una rete
interattiva di molecole, cellule, organi
e sistemi, rete fattùi messaggi sia,,orizzon_
tali" (es. molecola-molecola) che "verticali" tra sistemi di diierso Iivello di
complessità (es. molecola-cellula, ma anche cellula-organismo ed
organismo_
ambiente). Nessun sistema biologico è chiuso in se stesso: non potrebbe
sussistere
in vita, in quanto sarebbe sopraffatto dall'entropia. Neppure Ia
malattia è quindi un
evento chiuso in se stesso, non è semplicemente un .,errore,, della naiura,
ma
piuttosto un suo "modo di essere", il cui significato più profondo
resta per buona
parte inaccessibile.

5.2. un esempio di sistema biorogico compresso: r,infiammazione

L'infiammazione rappresenta la risposta del tessuto vivente ad un danno,


che
può essere di natura fisica, chimica o biologica. si tratta quindi di un
fenomeno
insieme fisiologico e patologico, che in qualche modo è implicato in
tutte le malattie
e la cui comprensione sul piano scientifico e la cui modulazione sul piano
farmacologico rappresentano una delle più grandi sfide per la medicina.
A partire dalle più svariate cause endogene ed esogene di stimolo lesivo
si mette
in moto un processo cui partecipano in modo coordinato varie componenti
molecolari (proteine del.plasma, lipidi, prostagrandine, ormoni, peptidi, ioni,
ecc.)
e cellulari (leucociti, piastrine, macrofagi, endoteli, neuroni, r., quant;
""f.;.
solitamente l'infiammazione sia una alterazione locale del tessuto,
appare sempre
più evidente che alla sua regolazione partecipano direttamente o indirettamente
vari organi e sistemi.
Se Ia funzione difensiva dell'infiammazione così come è andata perfezionando-
si nella evoluzione è fuori di dubbio, sempre più si presta oggi attenzione alle
malattie da eccessiva attivazione di tale meccanismo fisiopatologico ed
ai danni
secondari che esso provoca. Gli stessi sistemi effettori e gli stessi meccanismi
di
regolazione si rivolgono contro l'ospite, causando una serià di malattie,
sempre più
diffuse, non dovute tanto a cause esterne quanto a mal funzione dei sistemi
dèlla
infiammazione e della immunità. poiché gli stessi meccanismi possono
agire in
funzione difensiva od offensiva,la "interpretazione,, del Iinguaglio
della infiam_
mazione (cioè dei vari messaggi che si scambiano i sistemi i, *.ru coinvolti)
è di
fondamentale importanza per il suo possibile controllo e modulazione.
Il,,linguag-
C omplessità, informazione e integrazione 95

gio" che parlano i sistemi della infiammazione tende oggi a divenire coerente con
tnmodello cibernetico e contiene parole quali "segnali,',,.mediatoti,,,o,target,,
"attivazione","regolzione", "messaggio" (inter ed intra cellulare), ,,primin E,,,,de
sensibilizzazione", "memoria", ecc.
Qui si tratta piuttosto estesamente del processo infiammatorio peiché, essendo
il principale sistema di reazione e di riparazione nei confronti dei danni di qualsiasi
genere, deve necessariamente occupare una posizione centrale nel quadro di ogni
ipotesi che consideri il meccanismo d'azione dell'omeopatia. Infatti, si è visto che
tale tipo di medicina afferma, sin dalle sue origini, di mirare ad attivare Ie capacità
di reazione endogene ("forzavitale"). Alcune parti di questa sezione sono riprese
da una precedente rassegna sullo stesso tema [Bellavite, 1990b].

5.2. 1. C aratteristiche fondamentali del processo infiammatorio

Si può definire f infiammazione (detta anche flogosi) una risposta integrata del
tessuto ed anche dell'intero organismo (quando il processo è sufficientemente
ampio) al danno causato da agenti esterni ed interni. Questa serie di risposte
consistono in modificazioni deivasi sanguigni, del plasmacircolante ed anche delle
cellule, soprattutto della serie bianca. Su scala generale, awengono molti altri
fenomeni causati dalle ripercussioni a distanza del processo che si è originato in
sede locale.
' L'inquadramento della reazione infiammatoria come una fase di un processo
continuo che va dal danno alla guarigione o ad un ulteriore danno è in sintonia con
quello di "vicariazione progressiva" o di "metastasi morbosa" (intesa in senso più
estensivo del concetto di metastasi della medicina convenzionale), tradizionalmen-
te formulati dalla omotossicologia e dalla omeopatia per suggerire che esiste un
legame profondo e consequenziale tta le varie fasi che fanno la "storia" delle
malattie di un paziente. Il campo dell'infiammazione rappresenta un argomento
ideale di studio per Ia omotossicologia e la medicina naturale in generale. Infatti è
proprio obiettivo di tale tipo di approccio terapeutico quello di cercare di utilizzare
sistemi di cura che cooperino col processo di guarigione naturale sfruttandone le
grandi potenzialità intrinseche.
Il territorio dove si svolge la maggior parte del processo infiammatorio è il
tessuto connettivo, composto da cellule di derivazione mesenchimale, da leucociti,
da terminazioni nervose afferenti ed efferenti, da reti vascolari ematiche e linfati-
che, da fibre e sostanza fondamentale. La rete dei capillari in un tessuto è formata
da cellule endoteliali poggianti su di una sottile membrana basale. Il flusso di
sangue nei capillari è determinato soprattutto dallo stato di apertura delle arteriole
e delle loro ultime diramazioni che sono dotate di muscolatura liscia con funzioni
96 Comp lessitò, informazione e inte grazione

di sfintere. A questo livello si attua un controllo nervoso, ormonale ed anche


dipendente dalla pressione parziale di ossigeno e dal pH. euando in questo
territorio si verifica un evento traumatico o l'arrivo di batteri o lapresenza di tossine
o sostanze chimiche irritanti, scattano molti fenomeni biologici di cui i principali
sono:

a) Le cellule muscolari lisce delle ultime diramazioni arteriose, dopo una iniziale
contrazione, si rilassano, consentendo l'ingresso di molto più sangue, che
circola nella rete capillare, prima velocemente, poi sempre più lentamente,
infarcendo tutto il tessuto (da cui la antica notazione dei caratteri "rubor" e
"calor"). un importante ruolo, in questa fase, è giocato dalle stesse ceflule
endoteliali che, attivate dai cambiamenti chimico-fisici dell'ambiente circo-
stante, producono una serie di molecole mediatrici degli ulteriori eventi.
b) Le mast cellule presenti nel connettivo liberano i loro granuli contenenti
istamina ed altre sostanze, causando di conseguenza la apertura di spazi tra le
cellule dell'endotelio con fuoriuscita della parte liquida del sangue (plasma) e
formazione di essudato (l'antico "tumor", nel senso di edema, gonfiore).
c) L'essudato può diluire e portare via microbi e sostanze tossiche, per lo più
attraverso la rete linfatica, concorrendo così all'attivazione della risposta
immunitaria. L'essudato può formare una rete di fibrina, che costituisce anche
una barriera alla diffusione dei germi infettanti. Nell'essudato sono anche
presenti molte sostanze attive come mediatori dell'ulteriore sviluppo dell'in-
fiammazione e dell'amplificazione della reazione. Tra queste sostanze vi sono
fattori del complemento che stimolano le mast cellule a rilasciare l'istamina
(anafilotossine) ed altri che hanno un ruolo diretto nella uccisione dei batteri.
Alcuni dei mediatori stimolano anche le terminazioni nervose sensitive, causan-
do dolore e causando, fatto scoperto piuttosto recentemente, il rilascio da queste
terminazioni di neuropeptidi che a loro volta incrementano la risposta flogistica.
d) vi è poi l'intervento, nel focolaio flogistico, dei globuli bianchi, in primis dei
granulociti che, avvertendo le modificazioni dell'endotelio e dei liquidi tissu-
tali, escono dai vasi, richiamati da prodotti degli stessi batteri, dai detriti
cellulari, dalle endotossine, da frammenti di fibrina, dal complemento attivato
e da specifiche citochine come l'interleuchina-8.
e) Nelle fasi più tardive della reazione si troveranno anche linfociti, monociti e
macrofagi (flogosi cronica). I fibroblasti entrano in gioco, come è noto, nelle fasi
riparative e nella cicatrizzazione delle ferite. Tra le possibili conseguenze
dell'infiammazione vi è l'esito in sclerosi: basti pensare alla guarigione di ferite
per seconda intenzione, ai cheloidi, alla cirrosi epatica, alla fibrosi polmonare,
alla stessa aterosclerosi, di cui molti elementi patogenetici rappresentano una
"risposta al danno".
Complessità, informazione e integrazione 97

Si tratta quindi di una complessa serie di fenomeni integrati, in cui i granulociti


si inseriscono quali cellule più attive nella produzione dei radicali tossici dell'os-
sigeno, ma anche quali cellule capaci di produrre una serie di mediatori che sono
segnali per altre cellule. In questa relazione è possibile solo delineare alcuni aspetti
della regolazione biochimica del processo infiammatorio, trattandosi di un argo-
mento molto ampio e dibattuto.
I granulociti originati nel midollo osseo stanno poche ore nel sangue circolante,
quindi aderiscono all'endotelio e passano nei tessuti per partecipare alla difesa da
eventuali agenti estranei. Sono noti molti dei meccanismi molecolari con cui le
cellule si attaccano tra di loro, è noto ad esempio che nelle vicinanze del focolaio
infiammatorio i granulociti esprimono sulla loro membrana esterna delle proteine
di ancoraggio (ve ne sono vari tipi, tra cui particolarmente importanti le cosiddette
integrine) che si attaccano a recettori specifici prodotti ed espressi dall'endotelio,
detti molecole di adesione intercellulare.
Oggi si sa molto anche sui sistemi di orientamento e di motilità delle cellule, che
sono la base del fenomeno della chemiotassi e della fagocitosi. Sono stati descritti
recettori per decine di diverse sostanze cui i granulociti sono sensibili e che li
stimolano a muoversi ed a migrare in modo orientato. È anche noto che l,apparato
meccanico necessario alla cellula per compiere queste funzioni si basa essenzial-
mente su fenomeni di continua polimerizzazione e depolimerizzazionedi proteine
del citoscheletro, che formano filamenti organizzati nel citoplasma. Infine si sa
molto su come awiene il processo del killing dei batteri e dei meccanismi di
citotossicità. Tra i sistemi citotossici e battericidi dei granulociti gioca un ruolo
chiave la produzione di radicali tossici dell'ossigeno.
Questo peculiare tipo di metabolismo dell'ossigeno si attiva durante la fagoci-
tosi o per effetto di altri stimoli solubili e si basa sul fatto che l'ossigeno non viene
usato per produrre energia come in tutte le altre cellule, ma per produrre dei derivati
elettronicamente attivati come i radicali liberi or- (superossido), oH. (radicale
idrossile), acqua ossigenata ed altre molecole altamente reattive come l,ossigeno
singoletto e l'acido ipocloroso. Nella produzione di questi ultimi derivati è
implicato l'enzimamieloperossidasi.Il metabolismo dell'ossigeno così come è qui
descritto implica il consumo di NADPH come donatore di elettroni e consumo di
glucosio 6 fosfato, necessario per produrre nuovo NADpH IRossi, 1986; Bellavite,
1e881.
Un grosso filone della ricerca farmacologica si è indirizzato recentemente
sull'impiego di sostanze ad effetto "scavenger" (cioè di ripulitura) dei radicali
dell'ossigeno e di antiossidanti nella speranza di usarle come antiinfiammatori.
Tutte queste ricerche hanno sostanzialmente confermato e sottolineato la grande
importanza dei tocoferoli, dei caroteni, dell'ascorbato, della ceruloplasmina, della
cisteina, del selenio e della superossido dismutasi come sistemi protettivi nei
9B Complessità, informazione e integrazione

confronti dei radicali liberi. È però anche vero che mentre non vi sono dubbi sulla
loro funzione biochimica e fisiologica, non vi è generale accordo sulla reale
efficacia clinica di somministrazione di alte dosi di questi agenti nel prevenire o
curare le malattie nell'uomo [Southorn, 1988; Dormandy, 1983; Halliwell, 1987].
Uno dei campi più recenti di studio della funzione dei leucociti nell'ambito dei
processi infiammatori riguarda la regolazione dei loro diversi livelli di attivazione,
che sono molteplici e vari. Ciò è stato dimostrato sia in sistemi in coltura che su
cellule ex vivo, estratte da soggetti sani e pazienti affetti da varie patologie. Questo
tipo di prove non sono semplici artefatti di laboratorio, maconsentono di riprodurre
una situazione che si verifica in vivo, cioè che le cellule in un malato che ha
manifestazioni infiammatorie sono "diverse" dalle cellule di un sano. Infatti è
anche noto che se si prelevano i leucociti da un paziente durante un'infezione
batterica di una certa entità, essi sono non solo cresciuti di numero, ma anche
funzionalmente più efficienti [Bass et al., 1986]. In altre condizioni patologiche,
come ad esempio in corso di infezioni virali o dopo gravi ustioni, i leucociti del
sangue sono in uno stato di desensibilizzazione, quindi manifestano deficit di
attività. Vi possono essere anche modificazioni funzionali dei leucociti in zone
diverse del corpo nello stesso paziente. Noi ed altri abbiamo dimostrato che i
leucociti estratti da un focolaio infiammatorio sono più attivi nelle risposte a
particolari fattori rispetto ai leucociti estratti dal sangue circolante dello stesso
soggetto [Briheim et al., 1988; Biasi et a1.,1991; Biasi et a1.,1992].Il fatto che le
condizioni di malattia causino in varie cellule del corpo delle modificazioni della
sensibilità dei recettori e dei sistemi di trasduzione è ben noto in molti campi della
medicina [Brodde and Michel, 1989].
Mentre fino a non molto tempo fa si pensava che gli stati di attivazione fossero
essenzialmente due: cellula a riposo e cellula attivata (ad esempio nel caso qui
trattato, cellula attivata a produrre radicali liberi), oggi si conoscono almeno cinque
livelli funzionali:

a) cellula a riposo, o inattiva, quale ad esempio un leucocita giovane, appena


prodotto dal midollo osseo e circolante nel sangue di un soggetto sano;
b) cellula attivata, quale un leucocita giovane pochi secondi dopo che ha contattato
la superficie di un batterio o di una cellula cancerosa o infettata davirus e recante
sulla superficie anticorpi specifici e complemento;
c) cellula deattivata, o esaurita, in cui tutto il macchinario enzimatico e metabolico
è stato consumato nell'attacco ad una preponderante quantità di agenti estranei,
per cui non è più attivabile da alcuno stimolo;
d) cellula desensibilizzata in modo specifico verso alcune molecole, mentre è
normalmente funzionante o addirittura maggiormente funzionante a seguito
dell'azione di altri stimoli;
Complessità, informazione e integrazione 99

Cellulo
Cellulo iper-responsivo
normole
Cellulo .PRIMNE'
O
ipo-responsivo ATNVAZIONE

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/- ;eèlL.,.r..,,r
27... dr1§1{ffi6
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\\ Ar[yAzoNE-a:
\\ _cEitutAilE l

Siimolo
X
Stimolo
X
Voie rlsposte
Stimdo biologiche
(es.: metobollsmo,
x No movimento, esoclto§)
risposte

Figura 3. Vari stati di attivazione di una cellula fagocitaria. Lo stesso stimolante nella stessa
dose (X) evoca risposte quantitativamente molto diverse in cellule trovantisi in
diverse condizioni di sensibilità.

e) cellula iper-responsiva, o "primed" secondo la dizione anglosassone: si tratta di


una cellula che di per sé non è attiva, cioè non sta producendo radicali liberi, ma
che, una volta posta a contatto con basse dosi di uno stimolante, presenta una
risposta metabolica molto superiore alla normale cellula attivata.

"Priming" e desensibili zzazionesono dei modi con cui il sistema di regolazione


della risposta infiammatoria interviene a livello cellulare (figura 3). Il priming è
dovuto ad una sottile modificazione cellulare, il cui meccanismo è tuttora per buona
parte ignoto, indotta da un precedente contatto con piccole dosi di sostanze
chemiotattiche, di citochine, di prodotti batterici. La desensibilizzazione, d,altra
parte, è legata fondamentalmente alle dinamiche recettoriali, che possono portare
alla perdita di affinità, alla down-regulation (internalizzazione) o al disaccoppia-
mento di specifici recettori a seguito di un loro impegno eccessivo o prolungat;. sia
al priming che alla desensibilizzazionenon sono però estranei altri eventi biologici
che avvengono a livello post-recettoriale, come i livelli intracellulari di AMp
ciclico, di ioni calcio, sodio e protoni, la fosforilazione-defosforilazione di speci-
fiche proteine, lo stato di assemblaggio delle macromolecole, la costituzione dei
100 Complessità, informazione e integrazione

lipidi delle membrane, che sono in continuo rimaneggiamento, ecc.(v. anche sez.
5.6.3).
La tabella 2 riporta un elenco di sostanze che hanno effetti regolativi ai livelli
sopra considerati.
La distinzione tra effetto o'positivo" (priming) ed agenti con effetto "negativo,,
(desensibilizzazione o inibizione) non è da farsi in modo troppo schematico: dagli
studi in questo campo sta infatti emergendo il concetto che i leucociti entrano nelle
reti informative cibernetiche della infiammazione in modo molto sofisticato e
complesso. L'intensità delle risposte dipende ad esempio:

a) dalle condizioni in cui la cellula si è venuta a trovare in precedenza ("memoria,,


biochimica);
b) dalle dosi degli agenti regolatori, con possibilità di effetti inversi: a basse dosi
una sostanza funge da attivatore, ad alte dosi funge da inibitore [v. ad es. Naum
et al., 1991], o viceversa a basse dosi inibisce e ad alte dosi stimola [Bellavite
et a1.,19921;
c) dalla coesistenza di più composti attivi o antagonisti (sinergismi ed antagonismi
a livello recettoriale e dei sistemi di trasduzione);
d) dallo stato di salute dell'individuo in generale (equilibrio neuroimmunoendo-
crino).

Le stesse citochine, come l'interleuchina-1 (IL-1) ed il tumor-necrosis factor


(TNF) sono esempi di molecole attive in un gran numero di cellule, ed hanno degli
inibitori endogeni che ne moderano gli effetti. Tali inibitori, che sono praticamente
dei recettori "solubili" per le molecole stesse o degli antagonisti che si legano
competitivamente ai loro recettori, sono stati estratti per la prima volta dalle urine
di pazienti affetti da patologie infiammatorie ed oggi vengono attivamente studiati
per un loro possibile impiego come farmaci antiinfiammatori naturali. Vi sono
malattie (leucemia mieloide, autoimmunità) in cui si può evidenziareuno "sbilan-
ciamento" tra molecola attiva e suo inibitore endogeno [vedi rassegna di Dinarello,
1ee1l.
Gli stessi radicali liberi prodotti dai fagociti attivati possono divenire un
meccanismo con cui molecole dell'ambiente cellulare, mediatori neuroumorali e
prodotti batterici sono alterati in senso (di solito) di inattivazione ossidativa. La
alterazione di proteine da parte dei radicali dell'ossigeno è molto facile se queste
proteine contengono metionina, un aminoacido solforato particolarmente suscet-
tibile all'ossidazione. Se tale alterazione strutturale interessa proteine con funzioni
di segnali intercellulari, è possibile che abbia un risvolto informazionale: una
proteina segnale potrebbe divenire inattiva o addirittura trasformarsi in un antago-
nista della proteina originale (effetto feed-back negativo sull'evolversi della
C omp lessità, informazione e integrazione
101

Tabella 2.
Agenti che possono regolare la produzione di radicari riberi da parte
dei
granulociti neutrofili

a. Agenti che causano il ,.priming,,

1. La maggior parte delle citochine, in basse dosi


2. Fattori chemiotattici, in basse dosi
3. Fattori del complemento (es. C5a)
4. Ionofori
5. Lipidi e derivati (ac. arachidonico, pratelet activating factor, diacilglicerolo,
leucotriene B.)
6. Endotossine batteriche
7. Neuropeptidi e tuftsina
8. Adenosin trifosfato
9. Muramil peptide
10. Fibronectina
11. Ormone della crescita e fattore di crescita simil_insulina
12. Endotelina-1
13. Agenti citotossici in bassissime dosi

b. Agenti che desensibilizzano o inibiscono

1. Ripetizione di dosi medio-alte di agonisti


2. Agonisti B-adrenergici
3. Adenosina
4. Prostaglandine E,, I,
5. Fattori prodotti da tumori
6. Tossine batteriche (es. pertosse)
7. Corticosteroidi
8. Oppioidi
9. Contatto con endotelio sano
10. Vari farmaci anestetici ed antiinfiammatori
11. Proteina C-reattiva
12. Fattore di crescita derivato dalle piastrine
102 Complessità, informazione e integrazione

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Complessitò, informazione e inte grazione 103

infiammazione). Se però alcune sostanze hanno un effetto utile,la loro inattivazio-


ne diviene un fatto patologico: questo è, ad esempio, il caso degli inibitori delle
proteasi come la alfa-1 antitripsina e l'inibitore del plasminogeno.
La complessità della regolazione del sistema infiammazione si moltiplica se si
prende in considerazione anche il versante immunitario in senso stretto, là dove un
processo infiammatorio ad azione potenzialmente lesiva viene attivato da un
disordine dell'informazione antigenica, anticorpale o comunque della attività
linfocitaria. Le malattie autoimmunitarie, ad esempio, hanno una patogenesi che
viene fatta risalire ad un disordine della organizzazione della "rete" regolativa
dell'interazione tra varie sottopopolazioni di linfociti. Un possibile schema di tale
rete è proposto in figura 4. Si vede l'intricato gioco di interrelazioni attivatorie ed
inibitorie,l'impiego di vari messaggi molecolari e le interfacce con altri sistemi di
controllo o comunque interagenti con questa rete.

5.2.2. Rapporti tra il focolaio infiammatorio ed il resto dell'organismo

Il focolaio dell'infiammazione ha profondi rapporti con tutto il resto dell'orga-


nismo. Tali rapporti sono bidirezionali,cioè da una parte l'infiammazione localiz-
zata può influenzare tutto il corpo e, viceversa, l'organismo influenza l'infiamma-
zione. Oggi si ritiene che gli effetti sistemici dell'infiammazione siano dovuti
prevalentemente alla produzione, da parte delle cellule coinvolte in qualsiasi modo
nel focolaio, di messaggi biochimici costituiti soprattutto dalle citochine, ma anche
da veri e propri ormoni quali ACTH e TSH, oppure da endorfine.

Dalla tabella 3, che riporta solo una piccola parte delle molecole con tali effetti,
risulta chiaramente quale ampio spettro di modificazioni siano prodotte dall'in-
fiammazione su tutto l'organismo. Bisogna inoltre ricordare il fatto che la maggior
parte delle citochine hanno effetti pleiotropici, cioé influenzano molteplici tipi di
cellule innescando svariate risposte.
L'altra direzione in cui si realizza il rapporto tra infiammazione e sistema

Figura 4. Esempio di una rete di comunicazioni tra leucociti che sta alla base della risposta
immunitaria. A seconda dei fattori genetici o ambientali che interferiscono, la
stessa rete può portare a una risposta difensiva normale o a malattie
autoimmunitarie. Linee piene: attivazione o trasformazione; linee tratteggiate:
inibizione. Ispirato a uno schema di Immunology Today (aprile 19g9), con
modifiche.
104 Complessitò, informazione e inte grazione

Tabella 3.
Alcune molecole prodotte dai leucociti che mediano gli effetti sistemici
dell'infiammazione

Molecola Effetti o sistemi controllati

Interleuchina-1 Febbre
Sonno
Attivazione linfociti T
Sintesi proteine epatiche

Tumor Necrosis Factor Difese anti-tumorali


Cachessia
Ipotensione, shock

Interleuchina-2 Attivazione linfociti B/T


Produzione ACTH

Inteferone-cr,B Attività antivirale


Attività antiproliferativa
Febbre
Analgesia
Attivazione surrenali

Colony-stimulating factors Ematopoiesi

Endorfine Analgesia

ACTH Attivazione surrenali

TSH Attivazione tiroide

Fattori del complemento Difese biologiche

Fattori della coagulazione Fluidità del sangue


e fibrinolisi
Complessità, informazione e integrazione 105

globale riguarda l'influenza del sistema neuroendocrino sull'infiammazione. Si


tratta di un argomento vastissimo ed anche di difficile affronto, perché si va dalla
biochimica alla immunologia, alla neurologia, alla psicologia, campi evidentemen-
te tra loro molto distanti e difficilmente posseduti con competenza da una stessa
persona e neppure da uno stesso gruppo o istituto di ricerca. Era noto già da tempo
che le reazioni immunitarie possono essere condizionate come altre reazioni
fisiologiche in modo pavloviano classico, ed era anche noto che durante lo stress
si ha una involuzione del timo e una depressione dell 'immunità. Si sa che le risposte
immunitarie possono essere aumentate o soppresse da numerose situazioni di stress
psichico come perdita del coniuge, depressione, pressione psicologica per esami e
concorsi, persino nel bambino affidato all'asilo nido.
La patogenesi ed il decorso di malattie che vanno dal comune raffreddore al
diabete giovanile, alle artriti, all'ipertiroidismo, sono profondamente influenzate
da stress psicologici [Vandvik et al., 1989; Khansari et al., 1990; Cohen et al., 1991;
Haggloff et a1.,'L991; Winsa et al., 1991]. Lesioni cerebrali in specifiche aree del
SNC possono provocare alterate risposte immunitarie'
Per un lungo periodo, però, l'unica connessione individuata tra sistema nervoso
ed immunità fu l'asse ipofisi corticosurrene e la produzione di glucocorticoidi.
Questa veduta è stata superata sia perché si è chiaramente dimostrato che gli animali
stressati ed adrenalectomizzati sono funzionalmente immunosoppressi, sia perché
si sono individuati sempre più recettori per neurotrasmettitori sulle cellule perife-
riche e sempre maggior numero di molecole prodotte dal sistema neuroendocrino
che interagiscono col sistema immunitario e le cellule dell'infiammazione. Un
elenco delle molecole di origine neuroendocrina con effetto sui leucociti è riportato
in tabella 4.
Per quanto riguarda lo stress in particolare, bisogna comunque precisare che si
tratta di una condizione costante nella vita dell'uomo e che, per quanto di solito ne
vengano messi in luce gli aspetti negativi, esso ha una componente positiva.Infatti,
come è stato evidenziato già da Selye (lo "scopritore" dello stress), esiste anche uno
stress costruttivo, detto "eustress", che attiva le risposte fisiologiche preparando
l'organismo a reagire con efficacia agli stimoli ambientali [Farné, 1990]. La figura
5 illustra bene questo concetto, secondo il quale il rendimento e lo stato di salute
diminuiscono sia se lo stress è troppo basso che troppo alto.

5.2.3. Le dfficoltà di regolare l'infiammazione

Oggi sono molto attivi gli studi sui meccanismi molecolari di regolazione
dell'infiammazione e dell'immunità. La decifrazione dei segnali che si scambiano
le cellule, e che percorrono I'interno della cellula a fini regolativi, va di pari passo
106 Complessità, informazione e integrazione

Tabella 4.
dei leucociti
io,trrol" neuroendocrine che regolano la funzione

Effetti o sistemi controllati


Molecola
Produzione ACTH
CorticotroPina-RF
Produzione TSH
TireotroPina-RF
Produzione interferone-1
Vasopressina

Vasoactive-intestinal
Inibizione funzioni
peptide (VIP)

Inibizione funzioni
Endorfine

Aumento Proliferazione
Ormone della crescita
Priming

Priming
Insulin-like G.F.
Stimolazione funzioni
Sostanza P

Inibizione Proliferazione
Angiotensina 2

Inibizione funzioni
Glucocorticoidi
Inibizione crescita

Aumento metabolismo
Prolattina

conlapossibilitàdiattuareunamodulazioneditipobiologico.specifica.Ad
esempio,dopochesièchiaritol,importanteruologiocatodall,interleuchina.l
anche che esistono
si è scoperto
nell,attivare vari fenomeni d"u,infirÀmazione,
inibitoriendogenidell,interleuchina-l,iqualisonostatirecentementeproposti
principio d'azione
come una nuova Ji ug"nti antiinfiammatori, basati su un
chimici [Arend andDayer' 1990; Arend
"lur." et
totalmente diverso daiclasslci inibitori
a1.,1991]).Potenzialmente,lamaggiorpartedellecitochineattualmentenote
potrebbeio trovare applicazioni terapeutiche'
Complessità, informazio4e e integrazione t07

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e/o ottivozione fisiolog'tco

Figura 5. Andamento degli effetti dello stress sullo stato di salute in funzione del grado di
stimolazione. Schema tratto, con modifiche, da una recente rassegna sullo stress
[Farné, 1990].

Le difficoltà che si prospettano nell'applicazione in medicina delle nuove


conoscenze di biologia molecolare derivano principalmente dal fatto che sia
l'infiammazione in generale che la produzione dei derivati tossici dell'ossigeno, in
particolare, hanno aspetti contrastanti ed apparentemente paradossali, potendo
essere visti come fenomeni sia difensivi che offensivi. Sul piano molecolare, non
è facile distinguere ciò che è "difensivo" da ciò che è "offensivo": gli stessi
meccanismi biochimici (recettori, molecole segnale, enzimi quali adenilato ciclasi,
cicloossigenasi, chinasi, pompe ioniche, ecc.) sono usati, a seconda delle circostan-
ze, con i due esiti opposti. Il caiattere "difensivo" e "offensivo", come anche quelli
di "normale" e "patologico" in senso più generale, assumono un significato molto
più evidente se, spostandosi dal livello molecolare, si passa a considerare il sistema
su un livello più alto di organizzazione (tessuto, organo, organismo), cioè da un
108 C omplessità, informazione e inte grazione

punto di vista più ampio, globale e finalistico, capace di valutare nel suo insieme
la salute dell'individuo portatore di una determinata affezione.
A causa della sostanziale ambivalenza dei meccanismi biochimici dell'infiam-
mazione, si presenta ambivalente anche il tentativo di interferire a livello puramen-
te biochimico col sistema dell'infiammazione in modo da indirizzarlo verso
l'obiettivo desiderato, ad esempio aumentando l'attività infiammatoria nei soggetti
immunodepressi o neoplastici, riducendo la infiammazione negli individui affetti
da malattie da ipersensibilità o autoimmunitarie.
sia nel campo della immunostimolazione (specifica ed aspecifica), che nel
campo dellaimmunosoppressione, non mancanoimezzifarmacologici (l'industria
può oggi sintetizzare virtuamente ogni tipo di molecola, o produrla con le tecniche
dell'ingegneria genetica), ma manca spesso la possibilità di utilizzarliconsuccesso
nella pratica clinica. Se talvolta esistono casi "semplici" per la strategia terapeutica,
dove è abbastanza facile capire se vi è necessità di attivazione o soppressione di
determinati fenomeni (ad esempio nei casi in cui il sintomo dolore prevale, o nel
caso del rigetto di trapianti, o nel caso in cui vi sia un ben preciso deficit molecolare
che si può correggere con terapia sostitutiva, ecc.), molte altre volte i quadri
fisiopatologici sono talmente complessi che non si può affatto prevedere l'esito di
un intervento modulatore esterno. Per fare soltanto un esempio, è oggi sempre più
chiaro che nell'AIDS coesistono fenomeni di immunodeficienza (deplezione di
Iinfociti T4) con fenomeni di autoimmunità (attacco di linfociti citotossici anche
contro leucociti sani). Questa coesistenza preclude, sul piano teorico, la possibilità
diutilizzare sia immunostimolanti che immunosoppressori e spinge alla ricerca di
altre forme di modulazione che siano più specifiche.
si è ancora lontani dalla possibilità di costruire un modello "esatto" non solo per
quanto riguarda i sistemi di regolazione dell'infiammazione, ma anche solo peruna
singola cellula. Questa situazione non deve indurre ad una sorta di sfiducia nei
confronti della medicina scientifica, ma deve stimolare a costruire nuovi approcci
di indagine adeguati ai problemi con cui oggi ci si deve confrontare. c'è oggi la
convinzione che, mentre procede l'attività conoscitiva dei sistemi biologici a
livello molecolare (attività che negli ultimi due decenni ha già portato ad enormi
progressi sia teorici che pratici), si debba cominciare a considerare anche I'impor-
tanza dell'integrazione delle varie conoscenze in un quadro di insieme. ciò può
essere fatto studiando le interrelazioni, meglio gli scambi di informazioni, che
esistono tra sotto-sistemi ad uno stesso livello di complessità (es. scambi di
informazioni tra molecole, tra cellule, tra organi, tra individui) e tra sotto-sistemi
a diversi livelli (es. relazioni molecola-cellula, cellula-organo, organo-sistemi di
controllo centrali, individuo-società). In effetti, nel campo dell' infiamm azione-
immunità, mentre da una parte si assiste ad una vertiginosa serie di pubblicazioni
riguardanti le sequenze dei geni codificanti per recettori, antigeni e proteine varie
C omplessità, informazione e inte grazione 109

dei diversi tipi di leucociti, dall'altra si assiste anche alla nascita di una nuova area
disciplinare, la neuroimmunoendocrinologia, che raccoglie proprio le tendenze
all'integrazione delle conoscenze in campi precedentemente Iasciati ai vari specia-
listi. Le due tendenze, analitica e sintetica, non sono in contrasto ma sono
coessenziali alla comprensione della realtà.
Il sistema neuroimmunoendocrino è un tipico insieme di sistemi biologici
omeostatici che ai vari livelli tentano di mantenere l'equilibrio più idoneo alla
soprawivenza dell'organismo. Come per tutti i sistemi omeostatici, è noto che
ciascun sotto-sistema ha suoi propri meccanismi di feed-back. Esistono inibitori
endogeni per ogni principale sistema attivatore, dalla coagul azione, alle citochine,
ai fattori di crescita, ai controlli dei flussi ionici di membrana, ai secondi messaggeri
intracellulari, alla sensibilità dei recettori, ecc. Tali sistemi di feed-back sono uno
degli elementi decisivi nella dinamica del processo patologico.
Nelle malattie a prevalente componente infiammatoria, si genera una catena di
modificazioni e di adattamenti in cui raramente si vede con chiarezzaundifetto che
si possa dire determinante, cioè la cui correzione porterebbe la malattia a risolversi.
Il fatto è che nella maggior parte delle malattie, se si escludono i difetti da singolo
gene, la patogenesi è multifattoriale e per di più dinamica, cioè continua a cambiare
con l'evoluzione della malattia stessa. Si trovano fattori esterni ed endogeni,
equilibri spostati in senso positivamente reattivo, equilibri non spostati o adatta-
menti patologici a situazioni di anormalità. In questo quadro, se è vero che le
malattie guariscono solo quando si rimuove la causa (o si interferisce in modo
corretto con lapatogenesi), gli interventi immunostimolanti ed immunosoppressori
correnti sono ancora troppo lontani dal cogliere il livello eziologico, o comunque
il meccanismo patogenetico, limitandosi a toccare il livello effettore finale o quasi
finale.
Il fatto che il sistema tenda ad autoregolarsi e che le funzioni difensiva ed
offensiva dell'infiammazione siano difficilmente separabili rende molto arduo il
tentativo di interferire farmacologicamente. Infatti il farmaco ideale dovrebbe, in
linea teorica, contemporaneamente attivare le funzioni difensivo riparative ed
inibire quelle distruttive e dolorose. Una tale azione integrata e specifica non è
ovviamente posseduta da nessuna molecola, anche perché le varie funzioni sono
spesso attuate dagli stessi meccanismi biochimici. In questa ottica, appare ragione-
vole il dubbio che lo stesso uso degli antiinfiammatori (steroidei e non), pur ritenuto
necessario in molte situazioni per sopprimere i segni ed i sintomi clinici, sia sempre
scientificamente giustificato.
Quanto detto non significa, owiamente, che le terapie attuali nel campo
deil'infiammazione e dei radicali liberi siano prive di fondamenti o giustificazioni,
in quanto in realtà una serie vastissima di molecole hanno dimostrato "sul campo"
una certa efficacia, almeno nel risolvere i problemi sul piano sintomatico. Si vuole
110 Complessitò, informazione e inte grazione

solo sottolineare la necessità della ricerca di interventi più specifici e centrati sui
meccanismi regolatori situati a livelli più "alti"e che tengano conto della comples-
sità del sistema.
Recentemente l'ingegneria genetica ha messo a disposizione del medico grandi
quantità di citochine. Si spera naturalmente di poterle utilizzare per stimolare le
difese biologiche sia nelle sindromi di immunod eficienza,sia nella terapia immu-
nologica del cancro, cercando quindi di attivare i fagociti, le cellule NK ed i linfociti
citotossici con interferoni o con interleuchine (v. ad esempio la terapia con cellule
LAK di Rosemberg). Si è anche tentato di usare il tumor necrosis faaor (TNF)
come agente citotossico contro le cellule cancerose, o di impiegare i colony
stimulating faclors (CSFs) in quei casi in cui la produzione di globuli bianchi dal
midollo risulta deficitaria per svariate ragioni.
Senza negare l'indubbio valore e la necessità di queste ricerche, tuttavia bisogna
dire che i successi finora sono stati inferiori alle aspettative e limitati a pochi tipi
di tumori, soprattutto perché queste molecole non hanno effetto specifico sul
bersaglio che si vuole raggiungere, ma interferiscono con tutta la rete che si è
descritto. Insorgono così inevitabilmente effetti collaterali, tanto più gravi quanto
più elevate sono le dosi, quali febbre, ipotensione, oliguria, aumento di peso,
alterazioni epatiche, nausea, vomito, shock, ecc.
Chiaramente, il problema degli effetti collaterali dei farmaci non si limita a
questo settore, ma in questo caso il rapporto effetto/rischio appare molto critico.
Chi si occupa di queste cose a livello clinico sta recentemente giungendo alla
convinzione che per un più efficace impiego delle citochine si dovrà giocare sulle
dosi e gli schemi di trattamento, sfruttando con grande finezzal'effetto sinergico:
cioè ad esempio somministrare due o più diverse citochine a basse dosi che di per
sé non provocano effetti collaterali, ma che insieme su un bersaglio comune
provocano l'effetto desiderato.
In sistemi complessi come l'infiammazione e l'immunità è quindi molto
difficile trasferire sul piano terapeutico le numerose conoscenze di biologia
cellulare e molecolare riguardanti i singoli meccanismi coinvolti. Ciò è particolar-,
mente evidente nella terapia delle malattie autoimmuni ed in generale in ogni
intervento di tipo immunomodulatore [Bach, 1988; wybran, 19gg]. A frontedi
questa situazione non si vede perché non si potrebbe rivalutare, come strada aperta
ad ulteriori indagini, l'approccio empirico, che parte dall'uso tradizionale di
preparati fitoterapici, organoterapici ed anche dalla stessa esperienza omeopatica
ed omotossicologica (estratti batterici, nosodi, ecc.).
I preparati naturali complessi potrebbero dimostrarsi efficaci proprio in quanto
contenenti diversi composti biologicamente attivi che agiscono in modo coordina-
to. Lo studio clinico e laboratoristico di tali preparazioni come possibile mezzo di
modulazione dei fenomeni flogistici è problematico soprattutto per la difficoltà di
Complessità, informazione e integrazione 111

standardizzare e caratterizzatei preparati che si usano. Ciononostante, la disponi-


bilità di metodi analitici molto sensibili e la possibilità di testare vari effetti
biologici in colture cellulari sta rendendo sempre più scientificamente rigoroso e
promettente questo tipo di studi.
La possibile importanza dell'approccio omeopatico in questo settore va però
ben oltre l'individuazione di preparati naturali ad azione regolatrice. Infatti
l'omeopatia si pone anche e soprattutto come una metodologia per individuare il
rimedio specifico per ogni singolo paziente, sulla base dell'analisi dei sintomi. Sarà
mostrato nel capitolo 6 come tale metodologia sia adeguata all'affronto di malattie
in cui domina la complessità.

5.3. Un altro esempio: il cancro

Il cancro consiste nella crescita più o meno incontrollata di cellule, a causa di


gravi disordini delle informazioni contenute dentro la cellula e delle informazioni
che le cellule si scambiano tra loro e con 1'ambiente. Esso è perciò un fenomeno
patologico complesso, come complesse sono le cellule ed i loro meccanismi di
regolazione, come complesso è l'organismo umano nella sua interezza e nei suoi
rapporti con l'ambiente.
Qui non si può e non si vuole fare una trattazione completa su un problema di
così vasta portata, ma solo offrire una panoramica dei più recenti avanzamenti in
questo campo e delle principali linee di ricerca, insieme ad alcune riflessioni sui
rapporti tra fenomeni a livello molecolare e fenomeni riguardanti 1'organismo nel
suo insieme. Il cancro è una delle maggiori sfide per la medicina moderna e spesso,
nella pratica, awiene che si faccia ricorso alle terapie "alternative" come ultima
spiaggia, quando i trattamenti convenzionali si sono mostrati inefficaci. Per questa
ragione, c'èilrischiorealecheleterapie"alternative"sianoapplicateasproposito
ed a danno (economico e sanitario) del paziente.
Nel quadro di un'ampia panoramica sulle possibili basi scientifiche dell'ome-
opatia, il problema del rapporto tra omeopatia e tumori non poteva essere tralascia-
to. Per impostare correttamente il problema e sgombrare i1 campo da facili equivoci,
è opportuno far precedere un preliminare esame delle attuali conoscenze sulla
malattia neoplastica all'esposizione di alcune considerazioni sul ruolo dell'omeo-
patia. Solo così, infatti, si possono indicare e delimitare ragionevolmente i campi
di applicazione delle varie terapie. Questa sezione è stata pubblicata, in forma più
estesa, in una precedente rassegna [Bellavite, 1991).
Il problema fondamentale della crescita neoplastica è il seguente: essa è dovuta
alla perdita del normale controllo della proliferazione e della differenziazione delle
cellule.
112 Complessitò, informazione e integrazione

Ogni cellula nel corso della sua vita, che può essere più o meno lunga a seconda
del tipo, svolge molte attività, utili sia a se stessa che all'organismo, ma essenzial-
mente si trova di fronte ad una scelta fondamentale di comportamento: entrare in
mitosi o differenziarsi, detto in altri termini, replicarsio maturare. Schematicamen-
te, si può accettare la semplificazione che le due possibilità siano in alternativa, cioè
si escludano vicendevolmente. Tale scelta di comportamento va spesso ripetuta più
volte nel corso della vita della cellula e del clone che da essa deriva. La scelta di
replicarsi, di proliferare, è tipica delle cellule meno specializzate nella linea
evolutiva sia dell'individuo (embrione), che del tessuto (es. cellule basali dell'epi-
dermide, blasti del midollo osseo, ecc.). Quando il risultato della scelta è la
divisione, si avranno di conseguenzadue cellule figlie uguali a quella progenitrice,
cioè piuttosto immature. Quando la scelta è quella di differenziarsi, la cellula
assume progressivamente morfologia e proprietà di maggiore maturità nella linea
evolutiva di quello specifico tessuto.
In un tessuto si trovano quindi cellule in replicazione e cellule che via via
maturano, poi gradualmente invecchiano e muoiono. Come è noto, le cellule
mature di alcuni tessuti (es. muscolo striato, sistema nervoso) hanno una attività
proliferativa praticamente nulla ed irrecuperabile, mentre altre cellule la manten-
gono più o meno attiva a seconda delle esigenze funzionali e degli stimoli
ambientali. Le regolazioni della attività proliferativa sono particolarmente evidenti
nelle ghiandole e nei tessuti regolati per via endocrina. Alcuni cloni cellulari nei
tessuti a rapida proliferazione (midollo emopoietico, mucose) conservano un'altis-
sima attività proliferativa e scarsa differenziazione, rappresentando il pool germi-
nativo che rifornisce costantemente grandi quantità di cellule al pool maturativo.
Ad esempio, in una popolazione di cellule mieloidi come quelle del midollo
osseo normale, sono presenti cellule (blasti) in una fase proliferativa, assieme a
cellule in una fase differenziativa, verso i vari tipi di leucociti. Anche le cellule
molto immature ed in rapida proliferazione però sono sotto stretta sorveglianza
affinché la loro attività sia sempre in equilibrio con la velocità di scomparsa delle
cellule mature ed in generale con le necessità dell'organismo. Il controllo è operato
soprattutto da parte di altre cellule vicine o lontane (per via endocrina) mediante
fattori di crescita e fattori di differenziazione, oltre che da contatti cellula-cellula
e cellula-matrice. Tali fattori sono abbastanza specifici per ogni tessuto e spesso
sono anche prodotti dalle cellule stesse del tessuto man mano che maturano.
Nella neoplasia va perduto questo fine controllo ed è quindi a questo livello che
i biologi cellulari ed i biologi molecolari hanno iniziato a capire quali meccanismi
di controllo sono saltati. Sia lo studio del ciclo cellulare normale, che Io studio, più
recente, della genetica delle cellule neoplastiche stanno rapidamente delineando un
quadro su come la attività proliferativa sia regolata e su quali siano le differenze
fondamentali tra cellule normali e cellule cancerose. Ad esempio, in una popola-
Complessitò, informazione e integrazione 1,1,3

zione di cellule leucemiche, si troveranno molte più cellule in fase proliferativa e


meno cellule (o niente affatto) differenziate, mature. Come è noto, in Iinea generale,
tanto più le cellule sono immature, tanto più la neoplasia è maligna. Alcune
possibili ragioni di questo sbilanciamento sono legate al fatto che le cellule
leucemiche hanno scarsa necessità di fattori di crescita, oppure ne producono esse
stesse in quantità superiore al necessario, oppure non producono fattori di differen-
ziazione. Simili comportamenti hanno le cellule di quasi tutti i tumori.

5.3.1. Controllo biochimico della proliferazione cellulare

Quali sono le lesioni, i difetti biochimici che portano le cellule cancerose a


questi comportamenti anomali? Le lesioni evidentemente riguardano un disordine
nei meccanismi della divisione cellulare e nei segnali extracellulari ed intracellulari
competenti al suo controllo. È utile quindi analizzarebrevemente le caratteristiche
molecolari e funzionali di tali meccanismi, prima nella cellula normale, poi nella
cellula neoplastica, per poter cogliere le sostanziali differenze.
Nella figura 6 sono riportati alcuni eventi biochimici cellulari, riassunti molto
schematicamente per necessità di brevità e di chiarezza. L'analisi può iniziare dal
prendere in considerazione i segnali extracellulari che innescano la proliferazione.
Innanzitutto si conoscono molti fattori di crescita (growth factors), molecole per lo
più di natura proteica, con specificità di tessuto più o meno marcate. Molti di tali
fattori di crescita sono stati clonati ed oggi sono anche prodotti mediante l'ingegne-
ria genetica; essi sono andati ad aggiungersi alla serie di tradizionali ormoni con
effetti stimolanti la crescita dei tessuti, quali quelli ipofisari, tiroidei e gonadici. I
segnali extracellulari possono raggiungere i loro obiettivi intracellulari sia attraver-
so recettori di membrana che, dopo aver passato la membrana, attraverso recettori
citoplasmatici o nucleari che vanno direttamente a regolare l'espressione genica.
Un altro filone importante di studi ha messo in luce i fenomeni di membrana ed
intracellulari attivati da ormoni e fattori di crescita (figura 6). Molti recettori per
fattori di crescita hanno la parte carbossi-terminale della catena proteica, intracito-
plasmatica, dotata di attività protein-chinasica. Ciò significa che uno dei primi
eventi che si verificano nella cellula che sta iniziando la divisione è la fosforilazione
di proteine, cioè I'incorporazione di gruppi fosforici su particolari aminoacidi (di
solito, ma non esclusivamente, è coinvolto l'aminoacido tirosina negli eventi
correlati alla proliferazione ed alla cancerogenesi).
Che significato assume la fosforilazione di proteine? Il fatto è che l'incorpora-
zione di fosfato in siti specifici cambia le cariche elettriche, la struttura e quindi la
attività della proteina bersaglio, nel senso che la rende capace di attivare qualche
meccanismo replicativo a livello citoplasmatico (es. movimento del citoscheletro,
FE
OF
8P
É. t-
o
Complessità, informazione e integrazione 115

sintesi proteiche) o nucleare (es. espressione di geni, assemblaggio/disassemblag-


gio dell'involucro nucleare e dei cromosomi durante la mitosi). Per altre vie
biochimiche, la fosforilazione può interessare anche particolari fosfolipidi della
membrana cellulare, quali il fosfatidil inositolo, che hanno un importante ruolo nel
processo di accoppiamento tra stimolo e risposta.
Data la loro importanza, sui processi di fosforilazione si è concentrata molta
attenzione negli ultimi anni, soprattutto dopo che è stato dimostrato che le cellule
tumorali contengono grandi quantità di tirosina fosforilata. Vi sono molti tipi di
protein chinasi, associate direttamente al recettore o attivate indirettamente tramite
una serie di reazioni a cascata che sono schematicamente rappresentate nella figura
6; tali reazioni a cascata sono date da G-proteine, attivazione di enzimi quali
adenilato ciclasi e fosfolipasi e generazione di secondi messaggeri intracellulari.
Tra i secondi messaggeri gioca un ruolo di primaria importanza I'AMP ciclico
(cAMP), sia perché è un attivatore di protein chinasi (di tipo A), sia perché di per
sé costituisce un segnale recepito da proteine del nucleo strettamente collegate con
la sintesi del DNA (cAMP-responsive elements).
Altri importanti eventi collegati alla attivazione della replicazione sono l'au-
mento di Ca**, la depolarizzazione della membrana e la attivazione dell'antiporto
Na*/fI*, con conseguente aumento di Na* intracellulare, alcalinizzazione del
citoplasma ed acidificazione del mezzo esterno. Pare quindi che l'equilibrio acido/
base della cellula sia importante per regolare la proliferazione cellulare e quindi
anche la crescita del tumore.

Una piccola minoranza di recettori, quelli per le piccole molecole idrofobiche


quali gli ormoni steroidei o tiroidei, non necessitano di questi meccanismi di
trasduzione, in quanto si trovano già nell'interno della cellula o addirittura già nel
llucleo cellulare.
Vi sono svariate altre modiftcazioni biochimiche in relazione con l'attivazione
cellulare, tra cui traslocazione di proteine da un compartimento ad un altro,

Figura 6. Alcuni meccanismi di trasmissione del segnale proliferativo dall'esterno


all'interno di una cellula. Per la spiegazione, vedi il testo. Abbreviazioni: G-P:
proteine leganti il guanosin trifosfato; D.G.: diacil-glicerolo; IP3: Inositolo 1,4,5
trifosfato; cAMP: adenosin monofosfato ciclico; ATP: adenosin trifosfato;
A.P.: activator protein, proteine che legandosi al DNA inducono la trascrizione
del mRNA; mRNA: RNA messaggero; Polimer.: polimerasi, enzimi che
replicano iI DNA o copiano il DNA in RNA.
L16 C omplessità, informazione e integrazione

acetilazioni o ADP-ribosilazioni di proteine, formazione di un ampio spettro di


derivati lipidici, parziale scissione di macromolecole, variazioni metaboliche del
ciclo di Krebs, ecc. Alcune modificazioni sono transitorie e facilmente reversibili,
altre sono di più lunga durata, o addirittura permanenti, costituendo quindi una sorta
di "memoria" della storia biologica della cellula.
I fenomeni descritti hanno lo scopo di costituire un sistema di trasmissione, più
precisamente di trasduzione, rete di segnali che va dai fattori di crescita esterni
verso l'interno della cellula, cioè all'interno della centrale di comando, costituita
dal nucleo cellulare. Non tutti i recettori attivano tutti i segnali intracellulari,
essendovi "percorsi preferenziali" a seconda del tipo di recettore coinvolto. Larete
di modificazioni biochimiche di membrana e del citoplasma, che risponde essen-
zialmente alle leggi della cibernetica, accoglie inputs attivatori, ma anche inibitori,
serve ad amplificare il segnale o a modularlo. La modificazione di un elemento del
sistema ha ampie ripercussioni sugli altri elementi.
A questo livello i sinergismi e gli antagonismi tra più fattori fanno sì che la
trasmissione del segnale non sia mai un on/off drastico, un tutto o nulla, ma la
instaurazione di modi di essere dinamici, di condizioni più o meno favorevoli alla
crescita, che evolvono continuamente man mano che la stimolazione procede ed
interagisce con le condizioni genetiche e metaboliche della cellula. Tale interpre-
tazione rende conto sia della molteplicità e varietà dei meccanismi biochimici
descritti, che dei sinergismi tra le risposte proliferative innescate dai classici fattori
di crescita ed altri mediatori attivi in altri sistemi quali l'infiammazione ed il
metabolismo (bradichinina, trombina, insulina, ecc) [v. ad es. Pandiella et al.,
1eSel.
La rete informativa di membrana e citoplasmatica, che è sconvolta nel caso della
neoplasia, porta segnali a livello del nucleo, dove vanno a interagire con specifici
fattori trascrizionali (activator proteins, A.P., e repressor proteins, R.P.) che a loro
volta si legano (A.P.) o si distaccano (R.P.) da specifiche sequenze del DNA, in una
posizione a monte del promotore, cioè del punto di partenza della RNA polimerasi.
La trascrizione dei geni implicativiene quindi attivata, si formano trascritti di RNA,
che dopo opportuna maturazione divengono i messaggeri che governano la nuova
sintesi di proteine che, a loro volta, in vario modo servono alla divisione cellulare
(sintesi di DNA, formazione del fuso mitotico, ecc.). Tra le proteine regolative,
hanno recentemente guadagnato un posto di primaria importanza le cicline [Murray
and Kirschn er, 1,991f, che sarebbero, come indica lo stesso nome, i fattori-chiave
che danno il "ritmo" al ciclo cellulare.
Complessità, informazione e integrazione 1L7

5.3.2. Oncogeni e proto-oncogeni

Si sapeva da tempo che la cellula neoplastica presenta alterazioni sia a livello


genetico (mutazioni) che a livello epigenetico (disordini biochimici efunzionali dei
sistemi di controllo del gene). Però solo nell'ultimo decennio si è assistito ad un
drastico progresso nella interpretazione delle alterazioni genetiche ed epigenetiche
della cellula cancerosa, dovuto essenzialmente alle tecniche di biologia molecola-
re, che hanno consentito la scoperta degli oncogeni e dei loro prodotti.
Infatti, dalla nozione generica che i cancerogeni provocavano danni al DNA si
è passati alla identificazione dei bersagli precisi di tali danni ed alla loro caratteriz-
zazione,in pratica si sono identificati i geni malati nel tumore. Su circa 30.000 geni
presenti nel nostro genoma, solo alcune decine pare possano essere direttamente
coinvolti nellacancerogenesi . Questi geni sono stati appunto denominati oncogéni
[Hunter, 1984; Varmus, 1989; Nishimura and Sekiya, 1987; Frati, i989].
La cellula neoplastica contiene in forma attiva, cioè esprimente il suo contenuto
informazionale, uno o più oncogeni. In genere, essi prendono un nome in forma di
sigla di tre lettere, derivato dal tumore in cui sono stati inizialmente identificati..
La storia di queste scoperte deve molto anche alla virologia, perché è stato grazie
ai virus oncògeni che si è avuta la prima dimostrazione che particolari sequenze di
DNA (o di RNA) possono rappresentare l'elemento determinante della trasforma-
zione in senso neoplastico. In realtà, gli oncogeni virali per un lungo periodo sono
stati sottovalutati nella loro importanza, soprattutto sulla base della argomentazio-
ne che pochissimi tumori umani hanno una origine sicuramente virale.
Un enorme passo avanti anche di tipo concettuale è stata quindi la dimostrazio-
ne, ottenuta mediante tecniche di ibridazione degli acidi nucleici, che gli oncogeni
virali avevano delle sequenze omologhe anche nelle cellule normali. Gli oncogeni
virali (v-onc) hanno permesso di "smascherare" gli oncogeni cellulari (c-onc). Ciò
significa che gli oncogeni nella maggior parte dei tumori umani non sono dei geni
totalmente anomali, non sono geni ad esempio introdotti dai virus nella cellula, che
sarebbe la vittima quasi di un parassitismo molecolare, ma sono geni che hanno un
corrispettivo normale in tutte le cellule.
Gli oncogeni, cioè, derivano dalla trasformazione di geni importanti nella
funzione di tutte le cellule. Tali geni normali sono stati quindi chiamati, con un
termine non molto felice, proto-oncogeni. Il termine proto-oncogeni non è molto
felice perché si è visto che essi sono benefici, essendo attivi in vari momenti della
vita della cellula ed essenziali per la sua attività e per la sua replicazione. Si tratta
di geni molto conservati nell'evoluzione e presenti praticamente in tutte le cellule
degli eucarioti.
Da quanto detto, nascono due domande fondamentali:
a) Come un proto-oncogene può divenire oncogene?
118 Complessità, informazione e integrazione

b) Come I'oncogene provoca la trasformazione in senso neoplastico di una cellula


precede ntemente normale ?

La trasformazione di proto-oncogene in oncogene è l,evento fondamentale, Ia


"conditio sine qua non" per la insorgenza del cancro. Mentre era noto già dalle
evidenze epidemiologiche e sperimentali che tale evento è legato alla mutazione
del
codice genetico indotta da agenti cancerogeni di vario tipo, la teoria degli oncogeni
ha consentito di fare chiarezza su alcuni aspetti di come ciò possa avvenire.
un
concetto è molto chiaro: il proto-oncogene diventa oncogene per opera degli agenti
cancerogeni. È I'evento della "trasformazione,, a livello genetico, che basta
avvenga una volta per essere poi trasmessa a tutte le cellule figlie. Per questo è
anche detta "iniziazione" .
I principali agenti cancerogeni sono, come è ben noto, sostanze chimiche
contenute nel fumo, nell'aria inquinata, negli alimenti, radiazioni ionizzanti
ed
eccitanti, radioisotopi, farmaci genotossici, virus. ovviamente, qui si sono consi_
derate solo le categorie generali dei cancerogeni, in quanto le molecole con attività
cancerogena e/o mutagena sono nell'ordine delle centinaia. L'estrinsecarsi o meno
della azione trasformante del cancerogeno dipende sia dalla dose e dalla durata
dell'esposizione, sia da fattori legati all'organismo, quali ad esempio Ie capacità di
de-tossificazione ed eliminazione del cancerogeno e le capacità deisistemi cellulari
di riparazione del DNA. Non va però dimenticato che molte sostanze esogene
diventano mutagene e quindi cancerogene a seguito di particolari conversioni
metaboliche che si attuano nell'organismo e le rendono attive. La caratteristica
comune delle sostanze cancerogene è di avere una regione della molecola forte-
mente elettrofila (di solito attorno ad atomi di carbonio o azoto), capace quindi
di
reagire con i centri nucleofili, ricchi di elettroni non condivisi, presenti in varie
posizioni del DNA (es. posizione 6 deila guanina, gruppo fosforico dei legami
zucchero-fosfato-zucchero).
Sul piano della patogenesi della neoplasia i leucociti potrebbero essere implicati
direttamente nella trasformazione genetica, in quanto essi potrebb ero metabolizza-
re (e quindi attivare) sostanze cancerogene
[Trush et al., 19g5], ma soprattutto
produrre proprio i radicali tossici dell'ossigeno. È noto infatti che mutazioni
del
DNA possono aver origine, fra l'altro, per effetto dei radicali liberi prodotti dai
leucociti [weitberg et al., 1983; weitzman et al., 19g5; Birnboim, 19g6].
Anche in questo caso, si può vedere la "doppia faccia', di un fenomeno
biologico: i radicali possono avere vari effetti in dipendenza dalla loro quantità e
dall'esistenza o meno di specifici enzimi o sostanze ,,scavenger,'. A dosi elevate i
radicali hanno effetto citotossico e quindi difensivo in quanto cooperano alla
distruzione delle celule tumorali (soprattutto se queste non hanno sviluppato
sistemi detossificanti); a basse dosi i radicali dell'ossigeno non hanno alcun effetto
Complessità, inlormazione e integrazione 119

perché sono rapidamente degradati; a dosi intermedie hanno effetti sia genetici
(mutazioni) che epigenetici (attivazione di protein chinasi e di altri enzimi tra cui
la poli-ADP ribosil-transferasi), potendosi quindi comportare sia da cancerogeni
che da promoventi (Sekkat et al., 1988; Cerutti, 1991].
È noto infine che molti tumori hanno difetti nei sistemi di smaltimento dei
radicali liberi [Casaril et al., 1985; Bannister et al., 1986; Vo et al., 1988]: ciò
potrebbe costituire sia la base per un intervento più efficace dei sistemi citotossici
di sorveglianza contro il tumore, sia, però, anche il motivo di ulteriori danni al
patrimonio genetico della cellula neoplastica, con conseguente attivazione di altri
oncogeni ed incremento della malignità (processo di progressione del tumore).
Quindi nel focolaio infiammatorio (particolarmente in quello cronico, dove gli
eventi istogenetici e proliferativi sono più accentuati) ed anche nell'ambito delle
popolazioni macrofagiche che infiltrano il tumore, potrebbero coesistere, in
equilibrio instabile, eventi anti-tumorali ed eventi cancerogenetici. Di fatto, la
comparsa di displasie, metaplasie e neoplasie sovrapponentisi a flogosi croniche,
particolarmente a livello broncopolmonare, gastrointestinale ed epatico, siti dove
facilmente si localizzano anche agenti cancerogeni, è un fenomeno ben noto.
La modifica dell'informazione genetica, connessa al momento della trasforma-
zione del proto-oncogene in oncogene può consistere in diverse eventualità, sul
piano molecolare:

a) classica mutazione puntiforme, con delezione o sostituzione di una o più coppie


di basi con altre errate, ottenendosi quindi una proteina con diversa sequenza
aminoacidica. Ciò, ad esempio, è stato osservato a proposito dei primi oncogeni
caratterizzati, come il src, ed in molti tumori umani con mutazioni del proto-
oncogene ras (qualche caso di carcinoma della vescica,1.0-20V0 delle leucemie
mieloidi acute, circa il 30% dei carcinomi colorettali ed addirittura nella
maggior parte dei carcinomi del pancreas esocrino);
b) traslocazione delproto-oncogene in un sito del DNA dove cade sotto il controllo
di sequenze enhancers o promotrici virali ("mutagenesi inserzionale") o di un
promotore cellulare molto attivo e quindi viene esso stesso attivato in modo
. ,:- ..
eccessivo. E il caso dell'oncogene myc nel90Vo dei linfomi tipo Burkitt ed in
alcuni casi di linfoma a cellule T (traslocazione tra cromosoma 8 e 14), nonché
dell'oncogene bcl in molti altri linfomi (traslocazione tra cromosoma 14 e 18);
c) una particolare variante di questo problema legato alla traslocazione si ha
quando I'oncogene subisce, per traslocazione,lafusione con un altro gene, con
formazione quindi di una proteina ibrida, o chimerica, anomala (es. bcrlablnel
classico cromosoma Filadelfia della leucemia mieloide cronica, con trasloca-
zione tra cromosoma 9 e22, ma si è visto che ciò può avvenire anche in lA-207o
dei casi di leucemia linfatica acuta);
t20 Complessità, informazione e integrazione

d) aumento delle copie del proto-oncogene per errata duplicazione del DNA
(amplificazione) o per inserzione di varie copie di oncogeni retrovirali (retrovi-
rus acutamente trasformanti). La amplificazione dell'oncogene myc è stata
osservata in casi sporadici di leucemia promielocitica, di cancro del polmone e
dello stomaco, mentre una variante particolare del myc, dettaN-myc si osserva
amplificatanella maggiorpartedei neuroblastomi. L'amplificazione dell'onco-
gene erb-B è stata descritta nel 10-30vo dei casi di cancro della mammella, ed
a tale caratteristica si associa una cattiva prognosi.

In sintesi, il proto-oncogene diventa oncogene sia quando ne è alterata la


sequenza nucleotidica, sia quando ne è eccessivamente attivata la trascrizione, sia
quando ne è aumentata la quantità in termini di materiale genetico. Le varie
possibilità non si escludono ma possono coesistere.
La seconda importante questione sulla patologia molecolare del cancro riguarda
il ruolo svolto dagli oncogeni nella trasformazione fenotipica e comportamentale
della cellula. Perché essi sono così dannosi o pericolosi una volta attivati? Per
rispondere a questa domanda è stato fondamentale identificare i prodotti degti
oncogeni. Non è sufficiente conoscere l'oncogene e la sua sequenza nucleotidica
per sapere che cosa fa, perché il ruolo di un certo gene è strettamente legato alla
proteina da esso codificata ed alle attività o funzioni della proteina stessa. Si tratta
di proteine che vanno alocalizzarsi sulla membrana, o nel citoplasma, o nello stesso
nucleo a stretto contatto con il DNA.
Più che lalocalizzazione, è interessante evidenziare la funzione che i prodotti
possono avere nella biochimica della cellula che li produce: in generale, i prodotti
degli oncogeni non fanno che mimare i fattori implicati nel controllo della
proliferazione della cellula (vedi figura 6).
Alcuni dettagli: si è visto che alcune proteine sono molto simili a dei recettori
per i fattori di crescita. Ad esempio, i prodotti degli oncogeni erb-B,fins e &i/ hanno
omologie rispettivamente con i recettori per il fattore di crescita dell'epidermide
(EGF), con il colony-stimulating facror-1, (csF-1) e con Io stem cell factor (scF).
Questo tipo di recettori sono però anormali rispetto a quelli delle cellule sane: il
recettore per I'EGF è "troncato", cioè manca della parte che si lega al fattore di
crescita, e quindi si pensa che sia dis-regolato, in pratica esso invia segnali
proliferativi anche in assenza del legittimo ligando.
I segnali proliferativi sono essenzialmente Iegati alla attività enzimatica tirosin-
òhinasica che questi recettori anomali hanno mantenuto ed esprimono in maniera
inopportuna. Anche altri oncogeni (srq abl, {ps, nos) codificano per protein
chinasi, che non sono però associate a recettori, ma la cui attività ha conseguenze
analoghe alle precedenti. Altri oncogeni producono recettori intracellulari, come
ad esempio l'erb-A, il cui prodotto ha omologia con il recettore per gli ormoni
Complessità, informazione e inte grazione t21

tiroidei. L'importanza delle protein chinasi è fortemente sostenuta anche dal fatto
che alcuni inibitori naturali di questi enzimi (come la briostatina e Ia genisteina)
possono bloccare la crescita di cellule tumorali in opportuni sistemi sperimentali
[watanabe et al., 1991; Jones et al., 1990]. L'argomento è, ovviamente, vastissimo
e le ricerche sono in continua espansione.
vi è poi una classe di oncoproteine (correlate ai geni ras) di diverso tipo, è che
hanno forte omologia con le G-proteine, che sono state sopra considerate quali
importanti intermedi nella trasmissione del segnale trans-membrana. È facile
immaginare come la presenza quantitativamente o qualitativamente abnorme di tali
proteine incorporate nella membrana di una cellula ne possa alterare il sistema
informativo a tal punto da impartire ordini proliferativi totalmente anomali.
Un ulteriore ed interessantissimo aspetto della oncogenesi è venuto in luce
quando si è visto che alcuni oncogeni producevano proteine omologhe a fattori di
crescita (ad es. il sis ha sequenze comuni con il platelet-derived growth factor,
PDGF, ed il àsr con il fibroblast growth factor, FGF). In questo caso il meccanismo
della cancerogenesi si spiega, almeno in parte, con il fenomeno della autocrinia: il
clone di cellule trasformate si rende indipendente da altri fattori di crescita esogeni
e si auto-sostiene nella crescita, anzi, più le cellule crescono e più fattore di crescita
è disponibile.
Infine, un diverso tipo di oncogeni (tipo myc, myb, fos, jun) hanno come prodotti
proteine che si localizzano nel nucleo cellulare, dove svolgono un ruolo decisivo
nel controllo della mitosi (ad esempio, I'oncogene /os codifica per il fattore
trascrizionale A.P.-l). Che ciò sia vero è dimostrato anche dal fatto che i proto-
oncogeni correlati (cioè le versioni "benigne" di questi oncogeni nucleari) sono in
grande attività nelle cellule in rapida crescita dell'embrione e nelle cellule blastiche
del midollo osseo, nonché ogni volta che una qualsiasi cellula normale riceve un
trattamento con fattori di crescita.
Dato che le ricerche sono in grande sviluppo, c'è da aspettarsi che altre proprietà
delle proteine degli oncogeni vengano rapidamente messe in luce. Ad esempio, una
recentissima scoperta indica che un oncogene implicato nei linfomi (bcl-2) codifica
per una proteina che inibisce la cosiddetta "morte cellulare programmata" (un
sistema ancestrale che limita la durata della vita cellulare): le cellule tumorali con
questo oncogene avrebbero quindi vita più lunga delle cellule normali, spiegando
anche in tal modo l'aumentato numero ed il vantaggio selettivo delle cellule
trasformate.
Riassumendo: la cellula neoplastica si caratterizza p$ avere uno o più dei
sistemi di regolazione alterato in senso qualitativo (cioè si tratta di una proteina
anomala, pur con somiglianze con Ia controparte normale) e/o quantitativo (cioè si
tratta di una proteina rappresentata in quantità esorbitante rispetto al normàle).
Tutto ciò porta ai caratteristici fenotipi delle cellule cancerose.
122 C omplessità, informazione e inte grazione

Si potrebbero quindi avere molte e svariate atipie cellulari, di cui alcuni esempi
sono i seguenti:

a) fosforilazione abnorme di proteine del citoscheletro, fatto che produce un


collassamento delle strutture che danno alla cellula normale morfologia;
b) alterazioni delle placche di adesione tra cellula e cellula e tra cellula e matrice
del connettivo, con possibile distacco e disseminazione metastatica;
c) alterazioni delle caratteristiche di superficie con possibile innesco di una
risposta immunitaria contro il tumore;
d) alterazioni di varie vie metaboliche, con aumentato consumo di ossigeno e di
sostanze nutritizie e diminuita produzione di energia, oppure riduzione dei
sistemi normali di difesa dai radicali tossici dell'ossigeno e di riparazione delle
lesioni al DNA, con possibile incremento del rischio di nuove mutazioni;
e) possibile produzione e rilascio di sostanze con effetti sulla stessa cellula
(autocrinia) o a distanza (produzione ectopica di ormoni);
f) come già detto, uno sconvolgimento del fine sistema di rapporti tra proteine e
DNA che nel nucleo regola la divisione cellulare.

Nel quadro della patologia molecolare del cancro non va trascurato di menzio-
nare un altro grosso filone di ricerca che riguarda l'esistenza di geni che contrastano
lo sviluppo della neoplasia. Tali geni sono perciò detti anti-oncogeni, o geni
soppressori, od oncogeni recessivi [Friend et al., 1988; Vile, 1990]. Essi sono stati
scoperti a seguito dell'osservazione che in alcuni tumori (retinoblastoma, tumore
di Wilms, neuroblastoma, adenomatosi del colon, ma oggipare che ciò avvenga in
molti altri casi), che fra l'altro si possono presentare già nelle prime età della vita,
sono associati alla mancanza di geni, a volte visibile come vere e proprie delezioni
di parti di cromosoma.
Se la mancanza di particolari geni provoca il cancro, si è dedotto che tali geni
sono importanti nell'inibire la neoplasia. La prova diretta è stata che se mediante
ingegneria genetica (o formazione di cellule ibride tumore-sane) si re-introduce il
gene difettoso, il fenotipo neoplastico scompare. Nonostante l'importanza di questi
geni sia enorme, ancora poco si conosce della loro precisa funzione nel controllo
della crescita cellulare. È interessante il fatto che recentemente è stata segnalata la
delezione del gene per l'interferone-o, in alcune leucemie [Diaz et al., 1990], fatto
che suggerisce che tale citochina potrebbe essere il prodotto di un gene soppressore.
Sembra logico prevedere che i prodotti degli anti-oncogeni entrino nella stessa
rete informativa sopra considerata, contrastando l'effetto dei prodotti degli onco-
geni (o dei proto-oncogeni), ad esempio mediante de-fosforilazione di proteine
(fosfatasi) o degradazione di secondi messaggeri come cAMP (fosfodiesterasi).
Come si osserva in molte altre situazioni fisiopatologiche, il controllo della
Complessità, informazione e inte grazione r23

proliferazione costituisce un equilibrio omeostatico tra due gruppi di fattori


opposti
che si controllano reciprocamente, e tale equilibrio si spostain uno dei due
sensi sia
per l'eccesso di un elemento che per il difetto di quello contrastante.

5.3.3. I fattori promoventi e la progressione neoplastica

Dopo aver esaminato il meccanismo della trasformazione a livello dell'oncoge-


ne ci si può chiedere: è sfficiente la trasformazione di un proto-oncogene in
oncogene per provocare il cancro? La risposta è certamente negativa: ]a trasforma-
zione della cellula normale in cellula neoplastica e la succesiiva espansione del
clone mutato nella forma di una vera e propria neoplasia non sono quasi mai il
risultato di un singolo evento molecolare. Le evidenze sperimentali dimostrano
chiaramente che non è sufficiente la trasformazione di un proto-oncogene in
oncogene perché si determini il cancro. Perché un tumore si sviluppi, a partiie dalla
cellula trasformata, sono necessari anche altri eventi biologici alivello ,,epigene-
tico", eventi legati alla azione dei cosi dd,etti " tumor promoters', (fattori promòven-
ti, detti anche fattori co-cancerogeni).
Tali fattori non agiscono direttamente a livello del patrimonio genetico, ma a
livello di tutta quella serie di reazioni che condizionano l,espre.iiorc dei geni
implicati nella proliferazione e le attività degli enzimi implicati nel procesù di
divisione cellulare. Rifacendosi ad una immagine automobilistica si potrebbe dire
che se il fattore cancerogeno ha acceso il motore (oncogene), e può avere anche
ingranato la marcia (proteina abnorme), i co-cancerogeni premono sull,accelera-
tore per partire. In loro assenza, la cellula potrebbe in teoria restare ferma o anche
degenerare e quindi scomparire senza aver dato origine ad una progenie. La tabella
5 riporta una serie di agenti con possibile azione promovente.
Gli agenti promoventi classici includono sostanze varie di origine prevalente-
mente vegetale o di sintesi chimica: esteri di forbolo e diterpeni collegati, alcaloidi
indolici come la teleocidina, l'acido iodacetico, il fenolo, l,olio di cedro, alcuni
detergenti, il n-dodecano, ecc. Il loro meccanismo d,azione è oggetto di attive
ricerche e si è dimostrato, come era prevedibile, molto complesso e variabile da tipo
a tipo. Il co-cancerogeno più paradigmatico è il TpA (un principio attivo dell,oiio
estratto dai semi di Croton tiglium), che grazie alla sua idrofobicità ed alla sua
somiglianza strutturale con dei mediatori fisiologici, agisce legandosi alla protein
chinasi C, attivandola, e quindi agendo in sinergia con altri eventi attivatòri che
sono stati in precedenza considerati. Il trattamento delle cellule con TpA causa la
fosforilazione di molte proteine e l'innesco di svariate risposte metaboliche. Di per
sé ciò non provoca la comparsa del fenotipo neoplastico in una cellula
normale, ma
se il trattamento è effettuato su cellule o animali da esperimento precedentemente
1,24 Complessità, informazione e integrazione

Tabella 5.
Alcuni agenti che potrebbero agire da promoventi

Sostanzevarie: lectine
esteri del forbolo
mezereina
acido okadaico
esotossine batteriche
fenolo

Ormoni: Estrogeni
Tiroidei
Insulina

Fattori di
crescita: PDGF (platelet derived g.f.)
EGF (epidermal g.f.)
IGF (insulin-like g.f.)
FGF (fibroblast g.f.)
TGF (transforming g.f.)
AIcune citochine

Neuropeptidi: Bombesina
Vasopressina
Bradichinina
VIP (vasoactive intestinal peptide)

Prostaglandina E

Campi elettromagnetici di bassa frequenza

trattati con un cancerogeno (ad esempio benzopirene, o radiazioni ionizzanti), si ha


la comparsa del tumore con una probabilità significativamente superiore che nelle
cellule di controllo.
Un'altra sostanza ad azione promovente, l'acido okadaico, probabilmente
esercita i suoi effetti mediante inibizione di fosfatasi, enzimi che, come si è visto,
costituiscono una specie di equilibrio omeostatico con le chinasi. Anche i campi
Complessità, informazione e integrazione 125

elettromagnetici a bassa frequenza possono avere effetto promovente, forse per


interferenza con l'omeostasi intracellulare del calcio ione [Goodman and Shirley-
Henderson, 1990; Yost and Liburdy,1992). vi sono indicazioni che l'esposizione
a campi elettromagnetici di bassa frequenza aumenta il rischio di essere colpiti da
Ieucemia, ma il dato è ancora oggetto di discussioni [pool, 1990; Galva, 1991].
Anche se il meccanismo d'azione di vari promoventi è ancora oggetto di studio,
pare chiaro che essi non fanno che inserirsi nella rete attivatrice informativa che si
è sopra considerata, mimando sostanzialmente alcune azioni di sostanze fisiologi-
che (a volte con effetti più marcati e duraturi). Per questo sembra logico includere
nella tabella dei composti con attività promovente anche molti altri agenti, come
ormoni, fattori di crescita, citochine, anche neuropeptidi [Rozengurt, 1991; Malik
and Balkwill,1991).
vi sono evidenze che persino mediatori con funzioni "tradizionali" completa-
mente diverse (catecolamine, serotonina, angiotensina) possano, in particolari
circostanze, fungere da fattori di crescita [williams, 1991]. Anche in questo caso
ha grande importanza lo "stato" di sensibilità e di pre-disposizione di una cellula,
a partire dalla presenza degli adatti recettori, fino alla sussistenza di condizioni
favorevoli alla espressione di particolari vie di trasduzione, per precedenti o
concomitanti condizionamenti da parte di fattori di tipo farmacologico od ormona-
le. Ad esempio, un' ampia serie di agenti agonisti ed antagonisti che influenzano
il livello intracellulare di cAMP o della attività della protein chinasi C possono
comportarsi da promotori della crescita, sia della cellula normale che, tanto più,
della cellula trasformata. La crescita del clone cellulare è sempre più o meno
condizionata da tali fattori, anche se gli effetti possono essere molto diversi a
seconda del tipo di cellule in questione, del tipo di oncogeni coinvolti, del tipo di
recettori presenti. Agenti che si comportano da co-cancerogeni su alcune cellule
potrebbero comportarsi da fattori inducenti la differenzi azione,quindi in pratica da
anti-cancerogeni, in altre cellule.
Va sottolineato il fatto che, se un effetto promovente può essere esercitato da
svariate sostanze endogene, è da rivalutarel'importanza delfattore "terreno" stJ
cui si sviluppa la malattia cancerosa. Pare legittimo quindi chiedersi quale "contri-
buto" l'organismo ospite dia alla crescita del tumore, se cioè possa giocare un ruolo
permissivo o addirittura, in particolari condizioni, incentivante. È chiaro che un
certo "aiuto" viene al tumore dall'ospite con la fornitura dell'impianto connettiva-
le, della rete vascolare e dei substrati energetici, ma è probabile che l'aiuto possa
consistere anche di particolari mediatori biochimici come i fattori di crescita
[Lang
and Burgess, 1990].
Per quanto riguarda il meccanismo della promozione neoplastica, bisogna tener
presente che il focolaio infiammatorio è un buon "terreno di coltura" per cellule
quali leucociti, endoteli, fibroblasti ed anche epiteli, grazie alla secrezione di
126 Complessità, informazione e integrazione

appositi fattori di crescita. Ciò è particolarmente vero nei casi in cui l'infiammazio-
ne non procede speditamente verso la guarigione con "restitutio ad integrum,,,
riassorbimento dell'essudato, inattivazione dei mediatori per lisi od ossidazione,
cessazione della chemiotassi leucocitaria. Nella flogosi è facile che si verifichino
sinergismi tra sostanze che hanno dimostrato attività mitogenica, come epidermal-
growth factor, insulina ed insulin-like growth factor, bradichinina, endotelina,
persino neuropeptidi, che, come è noto, vengono rilasciati nella sede di una Iesione
tissutale. Non è quindi improbabile che simili fattori di crescita fungano da
acceleratori della proliferazione non solo di cellule normali, ma anche di quelle
eventualmente formatesi per un precedente o concomitante evento di trasformazio-
ne genetico.
Fattori cancerogeni e co-cancerogeni (o promoventi) portano ad un progressivo
complicarsi della situazione biologica del tumore. Si è visto che in realtà nei tumori
sono attivati più oncogeni nella stessa cellula, e che vi è una progressione di
malignità in relazione al numero di oncogeni che sono attivati. Nuove mutazioni a
livello genetico insorgono, magari favorite da una riduzione dei sistemi di difesa
e di riparazione, nuove spinte alla disorganizzazione cellulare compaiono, magari
a seguito dell'esprimersi in maniera inappropriata anche di geni normali, o per
riduzione delle capacità delle cellule immunitarie per effetto di sostanze rilasciate
dal tumore stesso. Se si esaminano le cellule di un tumore, si riscontrano molteplici
atipie biochimiche e spesso è difficile stabilire se esse siano direttamente legate alla
trasformazione o siano alterazioni secondarie ad essa.
Nella progressione neoplastica gioca un ruolo fondamentale il fatto che i
successivi errori generano una certa eterogeneità nella popolazione di cellule
proliferanti, tale per cui alcuni cloni, con caratteristiche che permettono una
migliore resistenza ai sistemi di difesa ed ai farmaci, possono prendere via via il
sopravvento. La malignità del tumore tende quindi sempre ad aumentare.
La figura 7 riassume schematicamente la storia naturale di un tumore. La teoria
degli oncogeni consente una visione unitaria del processo della cancerogenesi,
dove agenti mutageni, virus, agenti promotori e fattori regolatori endogeni intera-
giscono a livello di recettori, di sistemi di trasduzione e di inform azione genetica.
In relazione a questo modello, la crescita della neoplasia non appare come un evento

Figura 7. Le tre principali fasi della crescita di un tumore. O = eventi a livello genetico
(modificazioni del DNA come mutazioni, inserzioni, delezioni o traslocazioni
di oncogeni); X = eventi a livello epigenetico (modificazioni biochimiche varie
che accelerano l'espressione degli oncogeni e di geni della crescita normali).
Complessità, informazione e integrazione 127

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8P
1,28 Complessità, informazione e integrazione

del tipo "tutto o nulla", ma come un progressivo accumularsi di errori informazio-


nali che portano le cellule a livelli di atipia, quindi di malignità, sempre più
accentuati. È ,ero che clinicamente il tumore può rendersi manifesto anche
all'improwiso, ma la sua storia biologica risale a molto tempo prima. euesto
concetto è in accordo con la teoria della crescita multi-stadi del tumore, già
sviluppata sulla base di solide evidenze sperimentali in era pre-oncogeni, ed ora
accettata da tutti.
In vivo la situazione è complicata anche per molti altri motivi: a prescindere da
tutto il grosso problema delle reazioni immunitarie - argomento che richiederebbe
trattazione a sé per la sua importatza - vi sono molti altri fattori locali (ossigena-
zione del tessuto, mobilità dell'organo, costituzione biochimica della sostanza
fondamentale del connettivo, fattori legati alla compressione o alla erosione di
organi vicini) e generali (metabolismo energetico, mediatori bio-umorali, caches-
sia, ormoni, farmaci, ecc.) che condizionano la progressione del tumore. Anche
stress psicosociali o caratteristiche psicologiche o neuro-endocrine simili alla
"personalità di tipo C" (frustrazioni familiari precoci, negazione dei conflitti
emotivi, riduzione di comunicazione con l'ambiente, fantasie distruttive, ecc.)
costituiscono un "fattore di rischio" per il cancro [Invernizzi and Gala, 1989].
La progressione del tumore è condizionata dall'interazione tumore-ospite
anche nel senso che il tumore stesso, man mano che cresce, influisce in vario modo
sull'organismo sia attraverso la disseminazione metastatica che attraverso il
rilascio di prodotti solubili, provocando alterazioni dirette o indirette a organi vicini
e lontani, incluso il sistema nervoso. Si generano quindi situazioni di danno
organico e di disorganizzazione bio-umorale di grande complessità e di grande
varietà.

5.3.4. Problemi legati ai possibili interventi terapeutici

In questa sezione viene affrontato il problema di possibili nuovi approcci


terapeutici alle neoplasie non con l'intento di dare indicazioni di pratica terapeutica
(esulerebbe sia dagli scopi di questo lavoro, sia dalle competenze degli autori), ma
con I'intento di illustrare quanto il problema sia complesso.
Sono sotto gli occhi di tutti i grandi progressi fatti dall'oncologia in questi ultimi
anni, sui piani chirurgico, radioterapico e chemioterapico. Neoplasie fino a non
molto tempo fa invariabilmente infauste oggi sono curabili ed anche guaribili. Nel
contempo, sono cresciuti anche la coscienza ed i mezzi di intervento per una
efficace opera preventiva. Molto resta comunque ancora da fare e da capire prima
di potersi dire soddisfatti dei mezzi terapeutici della medicina nei confronti di
queste malattie.
Complessità, informazione e integrazione r29

patolo-
Dopo aver analizzatogli elementi fondamentali delle conoscenze sulla
gia moìecolare del cancro, ci si può chiedere se il diradarsi dell'oscurità
sulla sua
consenta di progetiare nuovi e più efficaci interventi terapeutici'
fatogenesi
^R"uiirti"u*ente,
si è ancora ben lontani da una sostanziale ricaduta di tali cono-
scenze sul piano terapeutico, anche se alcune linee di tendenza e di ricerca paiono
molto promettenti.
di fattori
L',esistenza di varie fasi legate ad eventi epigenetici ed all'intervento
esogeni ed endogeni che controllano e che favoriscono
la crescita del tumore
*oaifi"u in parte la nozione di tumore come evento casuale, soggetto alle leggi
con un
probabilisticie e ultimamente immodificabile nelle sue dinamiche, se non
uttu""o distruttivo (chirurgia e chemioterapia)'
neoplastica
La questione fondamentale è la seguente: se è vero che la malattia
possibile anche una dinamica regres-
è soggitta ad una dinamica progressiva, è
risposta patzial-
sfvitrecenti studi su qu".io problema consentono di dare una
su cellule
mente affermativa, almeno sul piano teorico e sulla base di esperimenti
in coltura. Pare infatti che la crescita della neoplasia non sia inevitabilmente
irrever-
progressiva, non sia totalmente priva di controllo, non sia necessariamente
si potrebbe
.iUif". Poco si può fare p., -oàifi"ure il gene trasformato, ma molto
poter agire
fare per bloccarne gti àffetti deleteri. La speranza sta quindi nel
ad esempio da L' Sachs: "Ie
efficacemente a livelio epigenetico, come sostenuto
possono essere by'passate ed
anomalie genetiche che àa-nno luogo alla malignità
iloro effelti annullati inducendo la dffirenziazione che blocca la moltiplicazione"
1989].
'
[Sachs,
mezzi
Alcune possibilità teoriche di indune la regressione della neoplasia con
sono le seguenti:
diversi dai convenzionali approcci chemio-radioterapici o chirurgici

a) immunoterapia, consistente nel potenziamento delle difese, specifiche


ed
di immuno-
aspecifich", d.ll'o.gunismo ospite, mediante la somministrazione
e citochine,
tossine (anticorpi còntro il tumore, veicolanti tossine), interferoni
altri immunostimolanti naturali
o cellule trattate con citochine (LAK), o agenti
o artificiali (qui la ricerca è estremamente aperta a nuove acquisizioni);

b) btocco della espressione degli oncogeni, mediante la aggiunta


di appropriati
agenti quali interferoni (particolarmente importante pare essere l'interferone-a'
o antagonisti
sJprattutto perché se ne à dimostrata la deficienza in alcuni tumori)
o i cortico-
dei tumor promoters, come ad esempio la briostatina, la genisteina
steroidi;

c) blocco della produzione delle proteine degli oncogeni, mediante la sommini-


o gli oncogeni in
strazione di oligonucleotidi antisenso specifici per l'oncogene
130 Complessità, informazione e integrazione

causa, che andrebbero a interferire con i mRNA e quindi con la sintesi proteica
nelle cellule tumorali;

d) induzione della dffirenziazione cellulare, mediante fattori tessuto-specifici,


ormoni, vitamine (es. vitamina A, vitamina D3), sodio butirato, ed altri agenti
che porterebbero le cellule a stadi più maturi, con conseguente arresto della
proliferazione;

e) induzione della espressione degli anti-oncogeni (molto importante, ma al


momento puramente teorico, in quanto non si sa molto dei loro prodotti e dei loro
modi di regolazione).

Tra tutte queste possibilità, ha applicazione da tempo l'uso dei corticosteroidi


nella cura delle leucemie, ma più recentemente anche l'uso della vitamina A (ac.
retinoico) e soprattutto l'uso di citochine (interleuchine, interferoni, tumornecrosis
factor, ecc.), perché tali agenti hanno effetti pleiotropici, agendo sia sull,ospite che
sul tumore. Più che su una singola citochina, pare importante basare l,intervento
sulla associazione di più citochine, in modo da poter sfruttare l'effetto sinergico e
quindi ridurre le dosi e precisare il bersaglio o i bersagli. Da prove su colture
cellulari pare anche che la associazione di una citochina (come il tumor necrosis
factor) e un chemioterapico (come l'adriamicina) consenta di usare dosi molto più
basse di entrambi al fine di superare la resistenza delle cellule tumorali al
trattamento [Bonavida et al., 1991]. Data la loro importanza, queste linee di ricerca
sono attivamente perseguite con risultati promettenti.
I problemi che impediscono un approccio semplicistico alla modulazione della
crescita neoplastica sono molteplici, e ciò è tanto più vero se si considerano le
possibili applicazioni cliniche. Infatti, per accennare brevemente solo ad alcune
questioni aperte:

a) la terapia con citochine o con cellule LAK ha dimostrato avere spesso gravi
effetti collaterali e per di più pare efficace in una minoranza (pur non trascura-
bile) dei tumori in cui è stata sperimentata;
b) i fattori di differenzi azione e le stesse citochine potrebbero in alcune neoplasie
comportarsi da fattori mitogenici, quindi accelerando la progressione del
tumore;
c) i fattori inibitori della proliferazione difficilmente hanno specificità tale da
inibire solo il tumore, quindi potrebbero avere effetti collaterali immunosop-
pressivi (v. corticosteroidi);
d) gli oligonucleotidi antisenso (che teoricamente avrebbero l'enorme vantaggio
della selettività) funzionano su cellule in coltura, ma a dosi che difficilmente si
Comp lessità, informazione e integrazione 131

pensa potrebbero essere usate in vivo, dove anche verrebbero rapidamente


degradati;
e) in generale è difficile prevedere le dosi reali che raggiungono le cellule
bersaglio, soprattutto se si tratta di molecole non facilmente diffusibili o captate
da recettori;
0 infine un altro problema è anche legato al fatto che le sperimentazioni dei nuovi
farmaci vanno prima eseguite su animali, ma in questo campo i modelli animali
non sono sempre predittivi del risultato nell'uomo.

Data I'eterogeneità della malattia neoplastica e la grande importanza del fattore


ospite nella sua progressione, si capisce perché la terapia del cancro sul piano
pratico trovi così grandi difficoltà ed anche perché spesso trattamenti con tutti i
presupposti teorici e scientifici per essere efficaci diano risultati incoraggianti in
alcuni singoli casi, ma poco significativi sul piano statistico. Allo stato attuale del
problema appare poco realistico pensare che vi possa essere "una" cura per il
cancro, e ciò vale sia per le terapie convenzionali che per quelle non convenzionali.
Ciò è dovuto semplicemente al fatto che "il cancro" è una astrazione, esistendo
nella realtà solo casi particolari e diversi tra loro. Pare quindi importante procedere,
senza trascurare l'importanza dei trials clinici controllati su singoli trattamenti,
verso un tentativo di v alor izzare l "'individ ualizzazione" dell' approccio al mal ato
di cancro. Tale individualizzazione dovrebbe partire dal piano diagnostico per poi
trasferirsi, possibilmente, sul piano terapeutico.

5.3.5. Medicina omeopatica e oncologia moderna

Quanto finora detto può suggerire, in linea generale, che ad una patologia
complessa, come complesso è il cancro, non può non far riscontro una impostazione
diagnostica e terapeutica fine, sofisticata e complessa. A fianco della tradizionale
strategia "d'attacco" (chirurgica, farmacologica o radiante), che, come è ben noto,
può oggi essere risolutiva in molti casi di tumore, si può ipotizzare chel'individua-
zione dei vari e molteplici fattori che concorrono allo sviluppo della neoplasia
possa consentire di applicare correttivi efficaci nell'indurre la regressione, o
almeno nel rallentare la progressione. Di fronte alla varietà dei possibili livelli di
dis-regolazione nel sistema nel suo complesso, difficilmente si può ipotizzare che
si dimostri risolutivo l'approccio riduzionista, per cui conosciuto il meccanismo
molecolare si possa poi intervenire con uno specifico farmaco, come difficilmente
(e la storia lo dimostra) sarà risolutivo l'empirismo puro, per cui provando e
riprovando si scoprirà una ricetta per la cura del cancro. È comunque l'esperienza,
scientificamente fondata e metodicamente controllata, che può dire l'ultima parola
1,32 C omplessità, informazione e integrazione

sulla utilità di un trattamento. Trovandosi difronte un problema di enorme comples-


sità, la scienza biomedica moderna e l'approccio empirico, che spesso fa emergere
nuovi ed inattesi aspetti della realtà, si possono incontrare ed integrare, ciascuno
fornendo il suo specifico apporto.
In questo contesto, quale potrebbe essere il ruolo della medicina omeopatica?
Innanzitutto, non va omesso di sottolineare il grave pericolo costituito da quelle
impostazioni metodologiche che si pongono dichiaratamente in alternativa con la
medicina convenzionale - tendendo alla sua esclusione - sulla base di riferimenti
puramente empirici o intuitivi. Tali impostazioni, forse meno criticabili in altri
campi della medicina dove la vita stessa del paziente non è a repentaglio, non
tengono conto della realtà biologica e delle acquisizioni scientifiche sul cancro e
quindi non possono non essere inadeguate sul piano dei risultati. Pare superfluo
osservare che, là dove una guarigione con mezzi allopatici è ragionevolmente
possibile, l'omeopatia non può che avere un ruolo secondario. L'omeopatia, allo
stato attuale delle conoscenze e delle esperienze, non può essere presa in conside-
razione come una terapia anti-tumorale, nel senso di poter attaccare direttamente
il tumore. In questo campo, non vi sono studi clinici importanti e convincenti e vi
sono, piuttosto, obiezioni teoriche ad un'efficacia risolutiva del rimedio omeopa-
tico nei confronti di patologie che coinvolgono il livello genetico della cellula (v.
anche capitolo 6). Ciò detto, non significa che non si possa fare alcune considera-
zioni generali sul tema, certo di attualità e di vivo interesse.
Se il problema di fondo è a livello di informazione (genetica o epigenetica), si
dovrebbe prevedere che, in linea teorica, un buon intervento terapeutico dovrebbe
consistere nel fornire al sistema le informazioni "giuste", nella forma che esse
possano essere recepite e utilizzate a livello del sistema di controllo che ha deviato
dall'equilibrio. In questo senso anche le molecole sono informazioni (buone o
cattive: ad esempio l'oncogene virale è una "cattiva notizia" per una cellula!) ed in
questo sensovengono spesso usate in terapia. Unavolta escluso che le informazioni
deboli e complesse delle medicine omeopatiche possano avere qualche possibilità
di sconfiggere un tumore nella sua fase progressiva, si tratta di chiedersi se
l'approccio omeopatico possa influire in modo positivo srz alcuni aspetti della lotta
dell'organismo contro il tumore. Non si può escludere in via di principio che
interventi terapeutici complessi, in quanto indirizzati alla persona nella sua globa-
lità, potrebbero avere un buon risultato, se usati in modo da influire su determinati
sistemi omeostatici.
L'approccio metodologico della omeopatia e della omotossicologia è degno di
interesse soprattutto perché tende a inquadrare il paziente nella sua interezza e nella
sua peculiare individualità fisiopatologica, avendo come caratteristiche program-
matiche e metodologiche imprescindibili la raccolta ragionata del maggior numero
possibile di informazioni sullo stato e la storia del paziente, nonché il concetto che
Complessità, informazione e integrazione 133

un trattamento per essere efficace deve puntare innanzitutto sul trattamento del
"terreno", cioè sul malato prima che sulla malattia. A questo proposito, val la pena
ricordare il fatto che la teoria omotossicologica [Reckeweg, 1981] inquadra la
neoplasia come un processo dinamico in un certo senso progressivo rispetto alla
infiammazione, quando quest'ultima non sia risolta in senso completo (v. anche
sez.2.6).
Sul piano terapeutico, l'omotossicologia ha anche introdotto il concetto di
"vicariazione regressiva", secondo cui lo stimolare con vari mezzi biologici il
processo di espulsione delle "omotossine" ("fase di escrezione") e I'infiamm azione
("fase di reazione") può costituire un mezzo per prevenire o contrastare il passaggio
a fasi degenerative e neoplastiche. Tali concetti, pur nella loro genericità, paiono
in coerenza con le moderne terapie con citochine le quali, pur essendo molto più
controllabili e scientificamente fondate, si basano sostanzialmente sullo stesso
principio biologico: attivare l'infiammazione e l'immunità allo scopo di utilizzare
al massimo tali sisterni per attaccare il tumore. Usare citochine purificate o miscele
di esse, come si fa oggi in alcuni protocolli anti-tumorali non è sostanzialmente
molto diverso dalla somministrazione del vecchio BCG (bacillo di Calmétte e
Guerin, una forma attenuata del bacillo di Koch) o dei nosodi omeopatici (i quali
sono essenzialmente degli estratti di tessuti con processi patologici in atto e quindi
contenenti miscele di citochine, oltre all'agente eziologico). Le citochine, infatti,
sono normalmente prodotte per via endogena ogni volta che la reazione infiamma-
toria viene attivata.
Di particolare interesse, infine, appare lo studio di alcuni farmaci di origine
vegetale come l'estratto diViscum album,che,nati dalla tradizione empirica, hanno
oggi chiaramente e sorprendentemente (se si pensa al modo con cui sono stati
scoperti) dimostrato in studi scientifici contenere principi attivi sia di tipo immu-
nostimoiante che citotossico nei confronti delle cellule tumorali [v. per rassegna
Koopman et al., 1990].
In conclusione, pur con tutte le imprecisioni legate alla scarsità di ricerca
scientifica condotta in questo campo (situazione che va oggi migliorando), l'ap-
proccio omeopatico e omotossicologico pare potersi integrare con i moderni
concetti derivati dalla cancerologia sperimentale. Ovviamente, le presenti conside-
razioni restano sul piano di speculazioni teoriche e non vogliono essere un sostegno
alla effettiva utilità, in oncologia, dei rimedi omeopatici ed omotossicologici. Tale
possibile utilità resta, a nostro avviso, tutta da dimostrare in pratica, mediante
appropriati studi clinici.
t34 C omplessità, informazione e integrazione

5.4. Omeostasi e comPlessità

prece-
La complessità dei meccanismi patogenetici, evidenziata nelle sezioni
denti a riguardo delle malattie in generale e di alcuni processi patologici (infiam-
presente
mazione-e cancro) in particolare, ha un fondamento nella complessità
rendere più esplicita e documentare meglio
anche in fisiologia ed in biochimica. Per
sezioni, alcuni aspetti
tale importantJquestione, si esamineranno, nelle prossime
g.r.ruii dell'omeostasi fisiologica e degli interscambi di informazioni biologiche
per inquadra-
rhe la regolano. capire la complessità dell'omeostasi è una premessa
re correttamente la possibile azione del rimedio omeopatico.
Il concetto di omeostasi, introdotto dal fisiologo w. cannon nel 1929, si
entro
riferisce a tutte quelle attività che tendono a conservare costanti, o meglio
limiti accettabili, le variabili di un sistema vitale. Può essere utile approfondire il
quale quello
concetto di sistema omeostatico, ricorrendo ad un modello schematico
riportato in figura 8.
da un
Un sistema omeostatico, nella sua costituzione essenziale,è rappresentato
insieme di elementi anatomici, biochimici e funzionali atti a mantenere una
una
variabile fisiologica entro limiti minimi e massimi di oscillazione' Si consideri
equilibrio ed in condizioni di reversibilità per la
variabile A-A', che si trova in un
azionedi due meccanismi operatori, o effettori,che possono
portareA al livello o
senza
allo stato A ' e viceversa. Il sistema, però, non può funzionare correttamente
un controllo, che è attuato da tn centro regolatore che riceve
informazioni da A'
un prodotto di una
sotto forma d iun segnale "a "' associato al suo stato (ad esempio
reazione enzimatica, proporzionale a quantoA'è presente o a quantoA'funziona)'
sistema di
oltre a ricevere ,rgnuti i' 1p", i quali ha specifici sistemi recettoriali), il
questi segnali convnamemoria in cui è stabilito
controllo in qualche modo
"o*putu e produce
il valore ottim ale di a'. superato tale valore, il sistema regolatore si attiva
il segnaler, che va a inibire il meccanismo A- >A' e/o ad attivare il meccanismo
A' - >A. Di solito, questi meccanismi effettori (enzimi, pompe e canali di membra-
considerati)
na, ma anche anticorpi o cellule di vario tipo a seconda dei sistemi
hanno incorporato siii recettoriali per segnali regolatori' Il sistema
omeostatico
quindi è rappresentato da un anello di retroazione (feed-back negativo),
in cui
o di una oscillazione di attività
liinformaziàne sul risultato di una trasformazione
vengono rimandate, rivedute e corrette, all'ingresso del ciclo'
òwiamente, lo schema sopra riportato è limitato all'essenziale, dovendosi
contemplare, se si voless. più completi, numerose varianti ed aggiunte' Ad
".r"i. negativi (che
esempiò, si deve sapere che non esistono solo anelli di retroazione
guruntir"ono la stabilità;, ma anche anelli positivi, in cui il prodotto della reazione
durante
contribuisce ad accelerare la trasformazione' Questo è il caso che si verifica
la crescita di un tessuto o quando si devono mettere in moto rapide ed intense
C omplessità, informazione e integrazione 135

Altri sistemi

{
Segnob fl

*o:Segnole
SISTEMA
REGOLATORE

Segnole

Recetlore

\
tri sistemi

Figura 8. Rappresentazione schematica di un tipico sistema omeostatico. + = effetto


stimolatore; - = effetto inibitore.

modificazioni funzionali (amplificazione). Lo schema della figura 8 dovrebbe


considerare anche il fatto che anche lo stato A ha un suo sistema di controllo e,
soprattutto, che il sistema omeostatico stesso è a sua volta in relazione con altri
sistemi: i segnali a' e r possono influire su altri sistemi di controllo ed altri
meccanismi effettori, mentre il sistema regolatore può avere recettori per altri
segnali ed essere da questi influenzato. Leintegrazioni (è un punto ricorrente) sono
sia di tipo "orizzontale", come tra cellule e cellule, tra organo ed organo, sia di tipo
"verticale",tra sistemi molecolari e sistemi cellulari, tra sistemi cellulari ed organi,
tra organi e tutto il corpo.

I costituenti essenziali dei sistemi biologici omeostatici sono quindi i seguenti:


a) Strutture anatomiche o biochimiche con funzioni effettrici regolabili e reversi-
bili. Per fare solo alcuni esempi, tali strutture sono rappresentate sul piano
cellulare dagli enzimi, dalle membrane, dalle proteine contrattili, ecc., sul piano
136 Complessità, informazio ne e integrazione

dell'organismo dalle ghiandole endocrine, dalle pareti dei vasi, dalla massa
delle cellule di un certo tessuto, ecc.
b) Molecole segnale che mettono in comunicazione strutture vicine e lontane:
neurotrasmettitori, ormoni, mediatori chimici locali, citochine, inibitori ed
antagonisti fisiologici, ecc.. Una particolare caratteristica di complessità delle
molecole segnale è che il loro messaggio non è mai totalmente specifico: le
stesse molecole possono essere utilizzate, per comunicare, da sistemi diversi. La
stessa molecola può essere prodotta da molti tipi diversi di cellule. La stessa
molecola può legarsi a diversi recettori presenti su cellule in diversi tessuti ed
organi. Vi è quindi un notevole grado di "ridondanza" dell'informazione
biologica, che permette al sistema un notevole grado di flessibilità e di plasticità,
ma nello stesso tempo rende difficile una schematizzazione rigida degli eventi
che succedono alla produzione, in determinate condizioni fisiopatologiche, di
un certo mediatore.
c) Recettorl per molecole segnale o per gli altri tipi di messaggeri, dotati di affinità
specifica e capaci di trasmettere il segnale ad altri elementi del sistema di
regolazione. Vi sono recettori di membrana e recettori intracellulari e persino
intra-nucleari. Da notare che i recettori sono molto "plastici": le cellule sono
capaci di aumentare (ipersensibilità, priming) o diminuire (desensibilizzazione,
tolleranza, adattamento, down-regulation) il numero di recettori a seconda delle
necessità, nonché di regolarne la attività modificando la affinità per la molecola
segnale. A volte le cellule presentano più di un recettore per la stessa molecola,
ma con diverse affinità e con diversi effetti intracellulari. Alcune proprietà dei
recettori saranno approfondite nella sezione 5.6.3.
d) Sistemi di trasduzione: accoppiamento tra attivazione del recettore e Ia produ-
zione di segnali o la attivazione di meccanismi effettori; variazioni dei "secondi
messaggeri" intracellulari, modificazioni covalenti e non covalenti di proteine
e di lipidi di membrana, apertura di canali ionici. Le multiformi caratteristiche
dei sistemi di trasduzione rappresentano un argomento troppo vasto per poter
essere trattato in questa sede. È certo comunque che il livello di responsività di
un certo sistema (di controllo o effettore) è controllato nella cellula anche da tali
sistemi, che essi sono anche modificati in corso di malattia [Brodde and Michel,
1989] e che sono suscettibili di influenze farmacologiche.
e) Elementi responsabili del deposito dell'informazione per un determinato tem-
po: quando un sistema subisce una modificazione, questa può essere rapidamen-
te e totalmente reversibile (ad esempio la contrazione di un muscolo), ma può
anche rappresentare un fenomeno che lascia una traccia più o meno permanente.
Di solito, ma non sempre, le modificazioni di maggiore durata sono quelle che
in qualche modo interessano il codice genetico delle cellule.
Complessità, informazione e integrazione 1,37

Esempi di sistemi omeostatici:


a) A livello cellulare: i trasporti di membrana, per cui le concentrazioni di Na*, K*,
Ca**, Cl-, H* ecc. sono mantenute in marcato disequilibrio tra l'interno e
l'esterno della cellula; il controllo del metabolismo, per cui la disponibilità di
nutrienti e la presenza di metaboliti regolano la attività di enzimi e vie
metaboliche.
b) A livello di organo: la regolazione del flusso ematico in dipendenza del
fabbisogno di Or; il mantenimento della costanza numerica delle popolazioni
cellulari e dei rapporti geometrici tra le varie parti; Ia crescita e strutturazione
dell'osso in dipendenza dallo stress meccanico e gravitazionale; la induzione
enzimatica delle funzioni disintossicanti del fegato a seguito della introduzione
di sostanze tossiche, ecc..
c) A livello di apparati: il sistema nervoso vegetativo, per il mantenimento della
pressione sanguigna, della termoregolazione, ecc.; il sistema endocrino, per il
controllo del metabolismo, dell'accrescimento, del metabolismo, del ciclo
sessuale, ecc..; il sistema cardiovascolare e respiratorio; il sistema immunitario
per la discriminazione dell'informazione endogena ed esogena; il sistema
emostatico, come integrazione di meccanismi cellulari e umorali deputati al
controllo della fluidità del sangue.
d) A livello difunzioni superiori: funzioni mentali ed emotive finalizzate all'inte-
grazione dell'io (personalità, carattere, volontà) ed all'affronto di situazioni
ambientali variabili (es. istinto di sopravvivenza, gestione matura di affettività,
decisioni e frustrazioni).
e) A livello inter-individuale e socioculturale: densità di popolazione e condizio-
namenti economici su varia scala; modelli culturali, valori etici, ideologie;
sistemi di potere e di controllo della devianza (leggi) o di incentivo per
comportamenti accettati dal gruppo sociale; meccanismi di apprendimento di
tradizioni passate e di previsione di programmi di sviluppo; sistemi di controllo
dell' informazione, ecc.

Naturalmente, quanto più complesso è un sistema, tanto più complesse devono


essere le reti di controllo deputate a garantire risposte efficaci e specifiche. Il
sistema nervoso offre l'opportunità di esemplificare cosa significhi integrazione in
senso "verticale" ed in senso "orizzontale". Le neuroscienze, appoggiandosi
soprattutto sulla biologia molecolare e la biologia cellulare, hanno consentito negli
ultimi decenni enormi progressi nelle conoscenze della struttura del neurone, dei
meccanismi sinaptici e dei sistemi di segnale e di modulazione (neuromediatori).
Da questo punto di vista, l'encefalo tende ad essere descritto come un "contenitore
di molecole in azione" [Andreoli 1,9911. L'integraziore"orizzontale" qui consiste
nel capire sostanzialmente le dinamiche di funzionamento sul piano molecolare:
138 Compl.essità, informazione e integrazione

interazioni tra segnali e recettori, tra recettori e proteine del sistema di trasduzione,
tra canali ionici variazioni di potenziale,ecc. Nasce però nel contempo la necessità
e
di una integrazione "verticale", che consiste nel raggruppare molecole e neuroni in
"centri" nervosi, in cui le varie cellule e molecole sono deputate allo svolgimento
di una o più funzioni. Il centro nervoso ha una sua architettura e un suo "linguag-
gio", che è fatto di singoli eventi molecolari o elettrici, ma che assume un significato
solo nel suo insieme. Molti centri sono integrati "orizzontalmente" a costituire
un'area cerebrale, o una sequenza di centri che danno unità ad una funzione più
complessa, come può essere quella di una percezione visiva o uditiva. I centri
nervosi però si integrano anche "verticalmente" in un emisfero cerebrale, in quanto
particolari funzioni sono raccordate ad altre aree che aggiungono alla percezione
altre "proprietà", quali quelle della coscienza, dellamemoria, della emotività, ecc.
A questo livello di analisi si possono spiegare quindi delle funzioni che non
appartengono ai Iivelli precedenti, anche se li presuppongono come elementi
necessari. L'organo dell'udito ed i suoi centri nervosi possono percepire una
sequenza di suoni, ma perché questi possano essere percepiti come musica bisogna
che si attui un processo integrativo superiore. Se volessimo definire delle differenze
essenziali tra una accozzaglia di note musicali e una musica, inutilmente andremmo
a cercare nel tipo di enzimi fosforilanti le proteine delle cellule della coclea, o nel
tipo di neurotrasmettitori delle vie uditive, o nel numero di cellule implicate
nell'area cerebrale uditiva.
Per procedere in questa analisi, non si deve trascurare che gli emisferi sono tra
loro integrati"orizzontalmente" attraverso la commissura cerebrale, mentre "ver-
ticalmente" con tutto il resto dell'encefalo (dove ad esempio risieclono molte
funzioni vegetative) e poi con l'organismo intero. È quindi essenziale considerare
i diversi Iivelli di integrazione cui corrispondono funzioni differenti.
Mentre la complessità del sistema nervoso è fuori discussione, meno evidente,
forse, è la complessità a livello cellulare. Per quanto la cellula sia ritenuta l'unità
fondamentale dell'organismo vivente, è facilmente intuibile che la sua organizza-
zione sia estremamente complessa, a causa della molteplicità di recettori, vie di
trasduzione, sistemi effettori, geni, tutti elementi tra loro reciprocamente influen-
zantisi. Se a ciò si aggiunge il fatto che molti elementi (soprattutto le macromole-
cole) sono perennemente soggetti a dinamiche oscillatorie di attivazione-assem-
blaggio e disattivazione-disassemblaggio, si capisce come una descrizione precisa
di ciò che awiene nell'insieme di una cellula sia praticamente impossibile. Poiché
però la teoria cellulare ha dominato Ia patologia per molto tempo, ancor oggi vi è
chi non accetta una simile conclusione, che viene vista, a torto, in contraddizione
con il punto di vista molecolare.
Altri, invece, sottolineano con forza la necessità di sviluppare uno studio della
cellula su basi non solamente molecolari [Albrecht-Buehler, 1990]: la principale
C omp lessità, informazione e inte grazione 139

argomentazione a sostegno di questa tesi è il fatto che nella cellula sono concentrate
ed organizzate molte strutture e sistemi in attività, le cui proprietà non possono
essere desunte solo da studi su molecole purificate e studiate fuori dal contesto.
Infatti, i rapporti di vicinanza si possono tramutare in comportamenti collettivi
delle molecole (incluse quelle di acqua), moti coerenti, fenomeni di risonanza,
interazioni a lungo raggio. In altre parole, è proprio la complessilà dei sistemi in cui
molte molecole interagiscono ad ostacolare una descrizione esaustiva delle funzio-
ni cellulari su base puramente molecolare.
È stata anche sottolineata l'importanza di prendere in considerazione, nei
modelli cellulari,leforze fisiche generate dalla "tensione" delle fibre del citosche-
letro e dei sistemi di ancoraggio delle cellule alla matrice del tessuto. Tali forze
paiono avere un contenuto informativo, in quanto regolano funzioni quali il
trasporto di ioni, le sintesi proteiche e l'espressione di specifici geni IIngber,1991].

5.5. L'informazione

Data l'importanza che nello sviluppo del nostro ragionamento ha assunto il


concetto di informazione, vale la pena dedicare ad esso una speciale sezione.
L'informazione, oggi è chiaro a tutti, conta più della forza, degli eserciti, della
energia (senza voler affermare che queste non siano importanti). Le aziende oggi
investono e spendono più nell'informazione che nell'energia. Le guerre si vincono
più con i satelliti e l'informatica che con i carri armati. Tale informazione, come ha
mostrato anche il diavoletto di Maxwell,* ha un suo costo energetico, in un certo
senso si potrebbe dire che l'informazione è uno speciale tipo di energia richiesta
per stabilire l'ordine. Però il fatto che produrre, trasmettere e manipolare informa-
zione abbia un costo energetico non significa che necessariamente l'informazione
"in sé" sia dotata di energia, e neppure di massa. Vi sono informazioni che di per
sé hanno minimo contenuto energetico, eppure causano effetti ben precisi su

+ Nota: Il diavoletto supposto da Maxwell voleva violare la seconda legge della termodinamica
portando ordine in un gas, separando le molecole in due camere semplicemente aprendo e chiudendo
una porticina (microscopica e priva di attrito) allorché una molecola si avvicinava alla apertura di
comunicazione delle due camere. Dopo un po' di tempo, pensava il diavoletto, senza far nessuna fatica
avrò intrappolato molte molecole in una camera, quindi avrò una pressione da sfruttare per compiere
un lavoro. Egli però non teneva conto del fatto che, per poter operare il suo trucchetto, necessitava di
informazione al riguardo della posizione e movimento delle mole cole che voleva catturare. È possibile
calcolare che per acquisire tali informazioni il diavoletto doveva consumare più energia di quella che
avrebbe potuto recuperare dalla pressione prodotta dal gas [v. Harold, 1986, p. 18-19].
140 C omplessità, informazione e integrazione

sistemi bersaglio. Ad esempio, le informazioni trasmesse via radio hanno energia


bassissima, così quelle che ci vengono riflesse dalla luce che illumina uno scritto,
così una parola che giunge al nostro orecchio. Così è anche evidente che molecole
con meccanismo d'azione estremamente selettivo e specifico (che sfruttano quindi
un alto contenuto informazionale) agiscono a dosi molto basse (v. ad esempio gli
ormoni, o le citochine, o alcune tossine).
L'informazione può essere in qualche modo anche valutata in modo quantita-
tivo. Il "contenuto" di informazione è misurato h bit, dove un bit è la quantità di
informazione necessaria per poter effettuare una scelta tra due alternative, cioè una
scelta binaria (sì o no). Naturalmente, più il sistema è complesso, più informazioni
contiene e più informazioni sono necessarie per descriverlo. Ad esempio, se per
codificare tra due numeri (0 e 1) è sufficiente 1 bit, per codificare un numero N tra
32 numeri sono necessari 5 bits: si divide 32 in due parti e si decide in quale gruppo
si trova il numero N (si usa 1 bit). il gruppo di sedici numeri rimanenti contenente
il numero N viene diviso in due e si usa un altro bit per ridurre a 8le possibilità. Così
procedendo si arriva al momento in cui restano solo 2 numeri, e si usa il 5" bit per
effettuare la scelta finale.
In generale, il contenuto di informazioni (I) di un sistema ( o di un evento) è

| = logrllp

dove p è la probabilità che il sistema sia in questo stato (o che l'evento accada)
per caso. Quindi l'informazione è inversamente proporzionale al caso. Più grande
è il numero di scelte possibili, più difficile è che un evento accada per caso, o che
un certo sistema si trovi in una certa forma per caso.
Si può stimare il grado di ordine di un dato sistema calcolando quante scelte
binarie devono essere fatte per specificare la sua struttura. Ad esempio, durante la
sintesi di una proteina, la scelta di un aminoacido su 20 possibili richiede logr20,
o 4.3 bits. Tutta una proteina di 300 aminoacidi richiede 3001ogr 20, cioè 1300 bits.,
mentre la corrispondente sequenza di DNA (che è, semplificando, di 300 triplette
di nucleotidi) richiede 900logr 4, cioè 1800 bits di informazione [Harold, 1986, p.
20]. n genoma di una cellula umana ha circa 3 miliardi di basi, che corrisponde a
circa 6 x 10e bits/cellula, mentre se si considera tutta l'organizzazione di un
individuo adulto si arriva alla cifra astronomica di 1028 bits.
Acquistare informazione ha un costo in termini di energia (a27'C un bit è
equivalente a 3 x 10-21 joules [Harold, 1986]). Per cornprendere quanto costi
produrre informazione in fisiologia, si può ad esempio considerare la formazione
e l'azione di tipici segnali, gli ormoni. Tali molecole, prodotte con consumo di
energia dalla cellula endocrina, raggiungono i recettori (anche prodotti con
consumo di energia), da cui poi parte un messaggio in forma di aumento di calcio
C omplessità, informazione e integrazione 14'l

che viene rilasciato da depositi intracellulari, dissipando il gradiente che era stato
creato consumando energia (Ca2' ATPasi). I segnali quindi in un certo senso
convogliano l'energia della cellula che viene dissipata, cioè attuano un controllo
sulla dissipazione di gradienti termodinamici. Owiamente questa dissipazione è di
breve durata, seguita da un nuovo accumulo di gradiente termodinamico (a spese
però di un consumo di energia di altro tipo, ad es. metabolica). Nel conto del costo
energetico dei processi bio-informativi si deve anche mettere labiosintesi di DNA,
RNA, ecc.
Il fatto che l'informazione possa essere in qualche modo misurata in bit non
risolve totalmente la complessità del problema, perché la quantità non comprende
di per sé il "significato" dell'informazione. Il significato dell'informazione sta
nell'interazione dell' informazione stessa con il sistema ricevente e nel risultato che
da questa interazione si produce. Due sequenze di DNA, di cui una "normale" e
un'altra "patologica" (ad esempio codificante per un carattere che provoca malat-
tia), possono contenere la stessa quantità di informazione, ma il risultato è ben
diverso. Così uno spartito di buona musica può contenere la stessa quantità di
informazioni (sotto forma di note musicali) di uno spartito di pessima musica.
Quindi nell'informazione vi è necessariamente un elemento qualitativo che non è
quantizzabile.
Nel mondo biologico, come già in precedenza sottolineato, la comunicazione
dell'informazione è essenziale alla vita: a livello molecolare, l'ordine è espresso
nella determinata e precisa associazione di atomi in molecole (aminoacidi, prote-
ine, lipidi, acidi nucleici); a livello cellulare l'ordine è espresso nella regolarità e
riproducibilità della organizzazione cellulare, dei processi biosintetici, di trasporto,
di movimento. Per imporre l'ordine, cioè per ridurre l'entropia della materia
vivente, è necessaria informazione. Si potrebbe quindi definire l'informazione
come la capacità di stabilire ordin e [Harold, 1986] oppure, secondo la famosa frase
di Jacob, "the power to direct what is done" (il potere di dirigere ciò che è fatto)
[Jacob, 19731.
Il DNA, quale principale banca-dati della cellula, ha la capacità di "dirigere" lo
sviluppo cellulare, e nello stesso tempo di incorporare e ricordare le informazioni:
nel DNA si sono depositate informazioni di tutta la storia evolutiva della specie cui
l'individuo appartiene. Naturalmente, il DNA è solo un.importante materiale
informativo, ma non è l'unico: informazione è contenutain ogni struttura organiz-
zata,in ogni evento spazio-temporale che non sia casuale. Mentre il linguaggio del
gene è piuttosto semplice, in quanto scritto con pochi sirnboli in un modo lineare,
molti segnali usano linguaggi più complessi e simboli di vario tipo. Eventi quali la
variazione di potenziale elettrico trans-membrana, il cambiamento dei rapporti
delle varie specie di fosfolipidi, la alcalinizzazione del citoplasma, l'aumento di
AMP ciclico, un rialzo di temperatura corporea, Ia pressione del sangue, la
742 Complessità, informazione e integrazione

formazione di un certo complesso di fattori che controlla la coagulazione


del
sangue, fino all'emozione per uno stress improvviso, sono segnali
ché agiscono nei
modi più disparati. Inoltre è importantissima la durata del segnale:
di solito i segnali
hanno vita breve, esistendo molti sistemi di controllo e di modulazione.
A proposito di regolazioni spazio-temporali, è interessante notare che il puro
passare del tempo viene avvertito a livello biologico: il passare
del temio è
segnalato da "orologi biologici", che inducono Ie cellule a compiere determinate
funzioni solo in certi momenti della giornata o del periodo cui l,orologio è
associato.
Informazione è contenuta quindi non solo dentro le molecole, ma anche
nel
"modo" con cui le molecole si rapportano ai sistemi riceventi. È molto importante
la quantità del segnale, ma anche la qualità. Ad esempio, il sistema
recettoriale delle
cellule è capace spesso di distinguere lacineticacon cdi riceve il segnale:
se si tratta
di un segnale improvviso o a comparsa lenta, se la concentraziàne è stabile od
oscillante, se il segnale è singolo o accompagnato da altri concomitanti o preceden-
ti, se si tratta della prima sollecitazione o se è una ripetizione di qualcosa ,,dejà
di
vu". Quindi l'informazione non è solo quantitativa, ma è sostanzialmente,,spazià_
temporale". È stato suggerito recentemente che uno dei più importanti sistemi
di
segnalazione intracellulare, l'aumento di ioni calcio, isplichì Ia sua funzione
mediante pulsazioni, o meglio oscillazioni di concentrazione,che rappresentano
per vari sistemi sensibili una specie di "codice digitale": più che la quantità
di calcio
presente, perché si attivi qualche processo di risposta, conta la frequenza
delle sue
oscillazioni spazio-temporali (onde) [Berridge and Galione, 19gg; cheek, 1,gg1j.
La comunicazione biologica è così importante che la natura si è sbizzarrita
a
trovare le forme più differenziate di comunicazioni (linguaggi). A quelli
citati
finora, se ne possono aggiungere altri, come innanzitutto ovviamente gli
organi di
senso dotati di fotorecettori, chemiorecettori, barorecettori, ecc.
euesto pare ovvio
e non vale la pena soffermarsi. Forse più connesso al tema trattato
è il problema
delle comunicazioni tramite onde elettromagnetiche. La luce è un fondamentale
mezzo non solo di trasmettere l'energia (sole-Terra), ma anche di comunicare:
molti pesci comunicano con messaggi ruminosi, alcune cellule anche nei mammi_
feri producono luce (chemiluminescenza), tramite la vista vengono ricevute
una
quantità infinita di informazioni luminose; pare anche che la luce sia importante
per
stabilire molti bio-ritmi. La 1uce rappresenta però solo una piccola parte
dello
spettro elettromagnetico e parrebbe strano che la natura non avesse imparato
a
confrontarsi con altri tipi di campi elettromagnetici. euesto problema sarà ripreso
nel capitolo 7.
In sintesi, ogni sistema biochimico o biofisico dotato di un certo grado
di ordine
uqicola una informazione che, opportunamente de-codificata da sistemi
recettoriali
e trasduzionali, può avere conseguenze biologiche. Le
molecole informazionali per
Complessità, informazione e integrazione 143

eccellenza sono gli acidi nucleici, perché sono caratterizzati da un grande ordine
(vedi la disposizione dei nucleotidi in lunghissime sequenze), una grande comples-
sità (vedi tutti i meccanismi che controllano la espressione del codice genetico ed
anche la sua continua trasformazione) e una grande stabilità chimico-fisica (data la
particolare struttura a doppia elica, il DNA è tra le molecole più resistenti, ed inoltre
vi sono molti sistemi di riparazione di eventuali errori). Molte altre molecole, però,
contengono e trasmettono informazione: proteine, peptidi, zuccheri, lipidi, persino
sali minerali e protoni (H*) servono alla natura per trasmettere informazioni e
regolare quindi i sistemi biologici. Uscendo dal campo molecolare, si trovano
informazioni che si trasmettono mediante frequenze, come le onde sonore o
elettromagnetiche e gli eventi chimici ritmici, oscillanti. Tanto più un sistema è
complesso, tanto più ha reso complessa la rete informazionale, che può essere fatta
di molti elementi disposti in sequenze ed in reti.
Il problema dell'informazione è strettamente connesso con il meccanismo
d'azione del rimedio omeopatico. Come si vedrà anche in seguito (cap. 6), il
"Segreto" dell'omeopatia, nella sua forma classica, sta proprio nella meticolosissi-
ma raccolta di informazioni relative da una parte al rimedio (vedi prove su soggetti
sani), dall'altra al paziente: ogni sintomo fisico o psichico viene valutato nella sua
entità, varianti circadiane, localizzazione, modalità di comparsa, durata, associa-
zione con altri sintomi e caratteristiche costituzionali, ecc..
Si potrebbe dire che il massimo sforzo che si compie nel metodo omeopatico sta
proprio nella raccolta e "repertorizzazione" (cioè confronto tra sintomi del malato
e sintomi provocati dai rimedi così come segnalati dalle Materie Mediche). Non per
niente, un grande contributo a questo lavoro di analisi e comparazione di dati viene
oggi dai sistemi di repertorizzazione computerizzati [v. ad esempio Van Haselen
and Fisher, 1990].

5.6. Le dosi, i sistemi bersaglio e gli effetti

In questa sezione ci si occupa più in particolare di un problema, già in


precedenza sollevato, quando si è parlato delle difficoltà di controllare, mediante
manipolazioni esogene, i sistemi omeostatici ed i meccanismi patogenetici. Tale
problema riguarda il fatto che non sempre una determinata manipolazione di un
sistema biologico è seguita da un effetto proporzionale all'entità dell'intervento
effettuato. Ciò è di grande importanza in medicina clinica ed in farmacologia, ma
è ovviamente di vitale interesse a riguardo dell'interpretazione del meccanismo
d'azione dei farmaci che sono utilizzati in dosi basse o bassissime.
Due sono principalmente i problemi da trattare, il primo riguarda il fatto che gli
effetti di un certo trattamento non vanno sempre nella direzione che una logica
144 Complessità, informazione e integrazione

apparente potrebbe suggerire, il secondo riguarda la non linearità e univocità delle


curve dose-risposta.

5.6. 1. Effeni apparentemente paradossali

La complessità dei sistemi fisiopatologici omeostatici fa sì che non sempre si


possa prevedere il risultato di un determinato intervento finalizzato alla loro
regolazione. La psichiatria e le neuroscienze in generale rappresentano oggi la
massima frontiera in cui questo tipo di problematiche viene preso in considerazio-
ne. In queste discipline infatti l'approccio molecolare alla farmacologia mostra
insieme la sua validità ed i suoi limiti. L'effetto degli psicofarmaci varia in modo
spesso clamoroso da persona a persona, non solo a seconda che Ia persona sia sana
o malata, ma anche a seconda del tipo di malattia e persino a seconda delle
caratteristiche della personalità del soggetto.
La psicofarmacologia è quindi piena di esempi in cui un certo trattamento
provoca effetti paradossali. Questo concetto è ben espresso in un recente articolo
che tratta dei rapporti tra follia e biologia: "Se una molecola esogena somministrata
ad un folle è in grado di modificarne il comportamento, è legittimo ipotizzare che
la follia stessa sia legata a molecole endogene sulle quali in questo modo si
interferisce. Una controprova deriva dalla somministrazione di molecole esogene
a soggetti sani con il risultato di modificarne il comportamento in senso patologico:
in questo caso la molecola produce follia. Queste due circostanze hanno una lunga
storia nella psicofarmacologia e hanno dato origine ai due importanti capitoli della
"terapia della follia" e delle "psicosi sperimentali" o "psicosi da farmaco" [Andre-
oli, 19911,
Il
sistema nervoso è il sistema complesso per eccellenza: esso manifesta in
forma paradigmatica un comportamento tipico di tutti i sistemi complessi: l'effetto
di una manipolazione farmacologica dipende sia dall'effetto diretto del farmaco
stesso su cellule e molecole, sia dalla sensibilità delle strutture recettoriali o
enzimatiche, sia dalle reazioni che mette in moto il sistema stesso, sia dalle reazioni
secondarie alle reazioni endogene, ecc. Ciò non significa di per sé che un effetto sia
di regola imprevedibile, ma che il meccanismo attraverso cui un effetto si esplica
non è interpretabile in base solo all'effetto diretto sul piano molecolare determini-
stico.
Un preciso esempio di quanto detto potrebbe essere quello che si riferisce agli
antidepressivi triciclici [Goodman Gilman etal.,l992f.Il capostipite, l'imiprami-
na, venne scoperta nel 1958 per caso nel corso di uno studio clinico su pazienti
psicotici. Si notò che l'imipramina era relativamente inefficace nel calmare i
pazienti psicotici agitati ed invece si dimostrò in grado di assicurare un notevole
C omplessità, informazione e integrazione 145

beneficio ai pazienti depressi, che ne erano stimolati. Da allora questi composti


sono largamente utilizzati nelle depressioni. Se I'imipramina (100-200 mg al
giorno) viene somministrata per un sufficiente intervallo di tempo ad un paziente
depresso si produce una elevazione dell'umore. In alcuni casi l'effetto è così netto
che c'è il pericolo di un effetto eccitatorio simil-maniacale. Se però si somministra
una dose di 100 mg di imipramina ad un soggetto sano, questi avverte sonnolenza
e tende ad essere più calmo, subisce una lieve diminuzione della prossione arteriosa
e prova una sensazione di "testa vuota". Spesso compaiono spiacevoli effetti
anticolinergici e, talvolta, una lieve variazione del diametro pupillare. La deambu-
lazione può diventare barcollante ed il soggetto può sentirsi affaticato ed impaccia-
to. Può manifestarsi un deterioramento dei tests di esecuzione. Tali effetti farma-
cologici vengono percepiti di solito come spiacevoli e causano un sentimento di
infelicità e un aumento dell'ansia. La somministrazione di imipramina ripetuta per
parecchi giorni può causare una accentuazione di questa sintomatologia ed inoltre
difficoltà di concentrazione e di ragionamento.
Altri esempi di effetti paradossali dei farmaci si possono trovare in sistemi
diversi da quello nervoso, come quello cardiovascolare, o endocrino, oppure
l'immunità e l'infiammazione.
La digitale, che oggi è vista come un vero e proprio ormone prodotto probabil-
mente dalle surrenali [Lancet editoriale, L99l], provoca, in dosi farmacologiche,
una depressione della funzione cardiaca nel soggetto sano, mentre nel cuore
scompensato ha un effetto inotropo positivo. Viceversa, I'adrenalina ha un effetto
inotropo positivo nel sano, mentre nel cuore scompensato non ha effetto, o ha
effetto negativo (quando attiva i recettori Beta2-adrenergici e sono stimolati anche
i recettori muscarinici ed adenosinici) [Braunwald, 1991]. Queste modificazioni di
responsività sono legate ad aumenti e depressioni di sensibilità e di numero di
specifici recettori e, anche, di sistemi di trasduzione quali le G-proteine. Un altro
possibile esempio, tra tanti che si potrebbero fare a riguardo del sistema vascolare,
è il fatto che la acetilcolina provoca, nelle arterie affette da patologia aterosclero-
tica, un effetto vasocostrittore che è paradossale, in quanto normalmente causa
vasodilatazione [Ludmer et al., 1986].
Endocrinologi giapponesi hanno condotto uno studio su 109 pazienti affetti da
malattia di Basedow (ipertiroidismo provocato da autoanticorpi), trattati prima con
un trattamento convenzionale anti-tiroideo, poi, sospeso questo, con ormoni
tiroidei (tiroxina 0.1 mg/die) a lungo termine, contro placebo [Hashizume et al.,
1991]. Il gruppo trattato ha mostrato, nel successivo follow-up, una significativa
diminuzione delle recidive di ipertiroidismo, accompagnata da una progressiva
diminuzione del tasso di autoanticorpi. Quindi il trattamento con ornoni tiroidei
riduce, nel malato, la attivazione della tiroide. Gli autori stessi hanno trovato una
convincente spiegazione di questo apparente paradosso: la tiroxina inibisce, per
146 Complessità, informazione e integrazione

feed-back endocrino, la stimolazione tiroidea


da TSH ed il conseguente rilascio
recettori che servono da s.timolo per la produzione di
di autoanticorpi.
Nel campo deile terapie deile marattie autoimmunitarie
sta frenoenao sempre
più piede una terapia basata sula somministrazione
di immunogloburine
Kaveri et al', 1991; Dwye r.,l.gg,zr,cioè, in pratica, [v. ad es.
di molecore clie già sono presenti
come agenti patogenetici deila marattia. È verosimil.
rtiri"acia
di questa
terapia dipenda o da una competizione "n"
a livello delle membrane cettulari vittime
dell'attacco immunitario o, più probabil-""t", jurrì;;ì;r" broccante
anticorpi verso artri anticorpi.morto di
(anticòrpi anti-idiotipo
1 io*y"r, tsrz1.
si possono poi citare le terapie per malattie autoimmuni
nu.ur" sulra sommini_
strazione orale della stessa proteina che ha
causato l,autoimmunità, o di particolari
frammenti delre proteine stesse ("epitopi tolrerogenici,,)
[Marx, il91; whitacre et
a1.,1991; Miller et al., 1991a; Miller it ul., Engel, 1992):è stato scoperto
che .tggtb;
gli attacchi di marattie a.utoimmuni sperimentali
n.it,urirut" (encefaromielite
allergica provocata dall'iniezione di una proteina
associata alla mielina, artrite
provocata dal coflagene, uveite provocata
da una proteiru a.ttu retina) possono
essere soppressi dando da mangiare agri
animali leìtesse proteine che provocano
l'attacco' Questi studi su animali hanni dato
risultati così prometienti che sono già
iniz-iati_trials clinici per Ia "terapia antigenica
orale,, in pazienti affetti da sclerosi
multipla, artrite reumatoide e uveite. Gti studiosi
che poràno avanti queste ricerche
sostengono che si tratta di una terapia
che induàe unu i*-urosoppressione
specifica, basata sulra attivazione dei làfociti
T cDg+, sopprimere la
attività di altre cellule del sistema immunitario. "n"po..oro
Il sistema immunitario.non cessa di stupire per la sue caratteristiche
lità di flessibi-
e di complessità, che si cerca
di sfruttare rn"h" u scopo terapeutico. Fino
a non
molto tempo fa si pensava che re vaccinazioni
fossero ,n ittimo mezzo per
prevenire Ie malattie infettive,ma che poco
potessero fare nelle malattie già in
ciò parrebbe rogico, visto che Iindiviàuo càtpito atto.
ou un agente inr.uirro è già pieno
di antigeni e, dopo poco tempo, di anticoipi e linfocjti
comincia a delinearsi un quadro abbastanza
,pr"iii"i. ora invece ,

diverso: 1, ,u""inuri;;t
avere anche effetto curativo ilffi;;
[Beardsrey, lggl].si può ipotizzare che questo nuovo
approccio alla terapia, mediante ,rucòinarioni
giustificabile razionalmente sulla base ltuttora in fasasperimentale) sia
delle particorarità di funzionamento della
risposta immunitaria.
Una prima spiegazione sta nel fatto che la
vaccinazione può essere fatta con
antigeni. in forma leggermente diversa
dal|antigene naturaÈ, aJ esempio sotto
forma di proteina ricombinante o come
complesso con altri ir*rrog.ni: quindi
l'antigene sarebbe riconosciuto dal sistema
in modo diverso ed innescherebbe una
tirp::11. diversa, magari più efficace, ail'agente
infettivo originario. un,artra
possibilità si basa sul fatto che è possib
ileutilizzarediverse vie diintroduzione
del
Complessitò, informazione e inte grazione 147

vaccino (via orale, o intramuscolare, inalatoria, ecc.). Modificando la via di


introduzione, rispetto alla via seguita dall'agente naturale, si possono attivare altri
gruppi di linfonodi o di centri reattivi del sistema immunitario, si possono
soprattutto raggiungere le cellule di sorveglianza (macrofagi) da una via anatomica
che esse "non si aspettano", superando perciò eventuali blocchi o adattamenti del
sistema, che permettevano al microbo di nascondersi o sopravvivere.
Questo tipo di considerazioni non possono non avere un riflesso sul discorso
riguardante l'omeopatia, in particolare con la validazione del principio di simili-
tudine. Sostanze simili hanno effetti opposti a seconda delle dosi e delle particolari
sensibilità dei sistemi con cui vanno ad interagire.
Nel settore delle terapie modulanti il sistema immunitario, i confini tra allopatia
ed omeopatia tendono a sfumare. Si potrebbero così citare dei farmaci non
omeopatici che agiscono secondo un meccanismo che potrebbe essere considerato
un'applicazione del principio di similitudine. Un significativo esempio è fornito
dai prodotti a base di estratti di Klebsiella pneumoniae, Diplococcus pneumoniae,
Hemophilus influenzae, ecc., pet cui esiste una vasta letteratura dimostrativa
[Nespoli et al., 1987; Wybran, 1988; Capsoni et al., 1988, Balsano et al., 1988] e
che sono riportati nella categoria delle sostanze immunostimolanti nel Repertorio
Farmaceutico Italiano. Tali farmaci sono indicati, in piccole dosi, per la profilassi
e la terapia delle infezioni del tratto respiratorio. È interessante il fatto che la
somministrazione di questi preparati causa, come effetto non desiderato, un
temporaneo aumento dei sintomi in seguito ai primi dosaggi, fenomeno caratteri-
stico riportato anche dalla letteratura a riguardo della azione dei prodotti omeopa-
tici.
Che molte molecole facciano un "doppio gioco" è ben noto anche nel campo
dell'infiammazione. Ad esempio, si può citare la sostanza "P'. Si tratta di un
undecapeptide che fa parte della famiglia delle tachichinine e si trova in molti
organi, come sistema nervoso centrale, polmoni, cute, intestino. Ha funzioni molto
diverse: la prima assegnatale fu quella di mediare il dolore, sia come neurotrasmet-
titore tra i neuroni delle vie dolorifiche, sia in quanto aumenta la sensibilità dei
recettori termici e pressori (probabilmente inibendo i canali del potassio delle
membrane); successivamente si è visto che la sostanza P rilasciata anche in
periferia, dai terminali sensitivi delle fibre amieliniche di tipo C, media molti
fenomeni dell'infiammazione. I tessuti in preda a flogosi quali nella colite ulcera-
tiva, l'artrite reumatoide, l'asma, presentano una quantità di recettori per la
sostanza P molto aumentata. D'altra parte, si è visto che l'interleuchina-1, uno dei
prodotti delle cellule dell'infiammazione, stimola la produzione di sostanza P da
parte delle cellule dei gangli nervosi. Il suo doppio ruolo sta in questo: aumenta la
sensibilità al dolore, ma promuove anche la guarigione delle ferite aumentando la
attività dei globuli bianchi e del sistema immunitario in genere. In pratica, essa
148 Complessità, informazione e integrazione

rende i fagociti più efficienti nella uccisione dei batteri e i linfociti più efficienti
nella produzione di anticorpi. Quindi, lo stesso mediatore causa dolore e fa guarire
[Skerret, 1990].
E stato riportato, tra l'altro, che l'onicolisi scompare durante il trattamento con
benoxaprofene, quando il benoxaprofene ha tra i suoi possibili effetti collaterali
proprio la onicolisi [cit. da Taylor Reilly et al., 1986].
E noto che uno dei mediatori della comparsa di cefalea ed emicrania potrebbe
essere la serotonina, in quanto tale molecola provoca in certi casi vasodilatazione.
D'altra parte, recentemente sono stati introdotti farmaci, efficaci nell'emicrania,
che sono molecole analoghe (cioè "simili") alla serotonina ed pgiscono non come
antagoniste, bensì come un agoniste, cioè hanno la stessa azione della molecola
endogena. Perché una molecola simile al mediatore che causa dolore ha un effetto
antidolorifico? Qui la risposta va cercata nella complessità dei recettori: esistono
almeno tre tipi di recettori per la serotonina, e l'analogo va a stimolare solo un tipo,
quello che, evidentemente, serve dafeed-backnegativo sugli effetti dolorifici della
serotonina stessa.
L'aspirina, ad alte dosi, può provocare una ipertermia [Goodman Gilman et al.,
7992), effetto evidentemente paradossale rispetto alla sua principale indicazione.
Passando ad un altro campo di ricerca, si vede che da studi in coltura su cellule
tumorali sono emersi risultati apparentemente paradossali, ma molto indicativi. La
differenziazione di cellule leucemiche verso forme più mature e quindi meno
maligne è ottenibile, in coltura, non solo con gli specifici fattori di differenzi azione
(questo però solo in alcune linee cellulari, evidentemente dotate di recettori), bensì
anche con agenti quali le lectine, o i classici tumor promoters come il rpA, o basse
dosi di agenti citostatici, o basse dosi di radiazioni [sachs, 19g6; sachs, 19g9].
Evidentemente gli effetti promovente la proliferazione o promovente la maturazio-
ne e quindi l'arresto della proliferazione non sono proprietà legate solo alla
molecola usata, ma dipendono dalle dosi, dalla sensibilità dei recettori, dal tipo di
oncogeni attivi in una certa linea cellulare, dal sinergismo o antagonismo con altri
fattori del mezzo di coltura o prodotti dalle stesse cellule, dal metabolismo che la
sostanza subisce dentro la cellula, ecc.
Data la complessità dei meccanismi in causa nel controllo della proliferazione
cellulare (vedi anche se2.5.3.1), è comprensibile come un trattamento che secondo
i concetti tradizionali dovrebbe essere pro-cancerogeno si riveli poi, sperimental-
mente, anti-cancerogeno cambiando le dosi o il protocollo sperimentale. Molti
agenti mitogeni, ad esempio, se somministrati alle cellule in piccole dosi e per
lunghi periodi, le desensibil izzano,quasi sempre in modo omologo (cioè verso essi
stessi), ma talvolta anche in modo eterologo (cioè verso altri agenti con azione
simile a livello del meccanismo di trasduzione) [Rozengurt, 1991]. vi sono anche
modelli sperimentali su animali che mostrano come un cancerogeno in basse dosi
C omplessità, informazione e integrazione t49

possa contrastare la comparsa del cancro stesso [De Gerlache and Lans, 1991].
All'opposto, è stato riportato davari autori [rassegna in Stebbing, 1.982), che la
crescita cellulare (non solo di cellule tumorali, ma anche di cellule normali e
vegetali) può essere stimolata da basse dosi di agenti inibitori.
Quelle qui riportate sono indicazioni suggestive di come l'effetto nocivo di
sostanze velenose o tossiche possa cambiare specularmente in effetto terapeutico
(o viceversa l'effetto terapeutico in effetto nocivo) al variare delle dosi, delle
modalità di somministrazione e della sensibilità del sistema trattato. Ciò ha grande
rilevanza per la comprensione del possibile meccanismo d'azione dei rimedi
omeopatici. Owiamente, bisogna sottolineare, soprattutto in campi come quello
oncologico, che i modelli sperimentali possono illustrare alcuni fenomeni biologici
indubbiamente esistenti, ma che, rappresentando spesso dei casi particolari nel-
l' ambito della complessità biologica, non possono essere considerati prove dell'ef-
ficacia terapeutica nell'uomo di determinati trattamenti.

5.6.2. Le dosi

In questa sezione si prende in considerazione il fatto che non sempre gli effetti
di un determinato trattamento, volto a modulare un determinato sistema biologico,
sono proporzionali alle dosi impiegate. In chimica, biologia ed in farmacologia
l'analisi delle curve dose-risposta è fondamentale per studiare le caratteristiche ed
il meccanismo di azione di qualsiasi composto attivo. Tale analisi dà molte
informazioni sui meccanismi responsabili di una certa reazione. Ad esempio, in
biochimica si può valutare l'affinità di un enzima per il substrato o il tipo di
inibizione della reazione (competitiva, non competitiva) da parte di un certo
composto. In biologia, si può con simili curve misurare numero ed affinità dei
recettori per un certo ormone, o risposte attive cellulari quali la contrazione di
cellule muscolari o la secrezione di enzimi, ecc.. Data la versatilità degli studi ln
vitro, si possono misurare gli effetti di varie dosi di una certa sostanza tossica sul
rilascio di enzimi citoplasmatici come indice di mortalità cellulare, o l'aumento di
numero delle cellule come indice della attività proliferativa.
In farmacologia, la produzione di curve dose-effetti prima su animali, poi
sull'uomo, è d'obbligo per stabilire il corretto dosaggio del farmaco ed il cosiddetto
intervallo terapeutico (la differenza tra le dosi tossiche e le dosi terapeutiche).
Una convinzione comune tra i non esperti è che quanto più cresce la dose, tanto
più cresce l'effetto. Questa convinzione è owiamente non corretta, in quanto è noto
che di solito gli effetti di una certa sostanza attiva su un certo parametro non sono
direttamente proporzionali alla dose. Nelle curve dose-risposta classiche (figura 9)
si ha una prima zona di non-effetto (dosi sotto la soglia di sensibilità del sistema
r50 Complessità, informazione e integrazione

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Dosi crescenti di oltivatore Dosi crescenfi di inibitore


Figura 9. Curve dose-risposta classichc. Vicne rappresentato l'andamento-tipo di una
attività biochimicao biologica in funzione del crescere delle dosi di un composto
attivatore (o substrato enzimatico) (A) o di un composto inibitore (B). Le òurve
mostrano una prima zona nelle basse dosi dove non vi sono effetti, poi una
crescita esponenziale dell'effetto, quindi un rallentamento fino a "plateau"
(massima stimolazione o inibizione, che non cambia più al crescere deile dosi).

testato o del metodo di misura), un certo dosaggio in cui si comincia a vedere


qualche effetto (dose minima efficace), una crescita esponenziale dell'effetto nella
prima parte della curva, poi un progressivo rallentamento della crescita fino ad
arrivare ad un plateau dove l'effetto è massimo ed ogni aumento della dose non è
seguito da alcun aumento quantitativo del parametro misurato. Tale andamento si
presenta, in forme simili, sia che si misuri un effetto stimolante che un effetto
inibitorio. La dose che causa un effetto del50Vo rispetto al massimo è detta E.D.50
(dose efficaceal50To),o I.D.50 (dose che inibiscep eril50%),o L.D.50 (dose letale
per il 50vo degli animali), ecc., a seconda di cosa si sta misurando. Mediante altre
operazioni matematiche, si possono estrarre da simili curve altre informazioni
significative, su cui però non è il caso di soffermarsi in questa sede.
Questo tipo di misurazioni e di interpretazioni sono tra i capisaldi della moderna
medicina scientificamente orientata e non possono essere, owiamente, messe in
discussione. Quello che però sta apparendo sempre più importante negli ultimi
anni, è che vi sono molte eccezioni a queste regole fondamentali, così che esse non
possono più essere considerate come valide in tutti i casi. Le eccezioni in questo
caso non confermano la regola, e neppure Ia smentiscono, ma ne delimitano il
campo di applicazione ad una parte (difficile a questo punto dire se sia la più
Complessità, informazione e integrazione 151

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Dosi crescenti di onfigene Dosi crescenti di peptidi

Figura 10. Curve dose-risposta atipichc. Ncl riquadro A è rappresentato l'andamento


della risposta immunitaria all'albumina bovina in topi pre-trattati con dosi
crescenti di albumina bovina. La risposta immunitaria risulta depressa (stato
ditolleranza) sia in animali che hanno ricevuto dosi moltobasse che in animali
che hanno ricevuto dosi molto alte di antigene; dosi intermedie causano invece
rnamaggiore risposta [tratto, con modifiche, da Pontieri, 1987]. Nel riquadro
B è riportato l'andamento della attività metabolica di granulociti umani
stimolati con alte dosi di peptidi batterici dopo un pre-trattamento con dosi
crescenti di peptidi. Il grafico quindi mostra la risposta alla seconda
stimolazione; essa risulta fortemente potenziata dal pre-trattamento con dosi
basse (priming) e inibita con dosi elevate (desensibilizzazione) [dati riportati
in Bellavite et al., 1991c e Bellavite et al,, 1993].

consistente) degli eventi che si verificano in biologia e patologia.


In questa sezione sono riportati esempi di queste eccezioni, rintracciabili nella
comune letteratura biologica e farmacologica e non in lavori fatti allo scopo di
indagare l'omeopatia.
La figura 10 mostra curve dose-risposta atipiche. Nel quadro A si vede
l'andamento di una risposta immunitaria (ad esempio, quantità di anticorpi prodot-
ti) in funzione della quantità di antigene. Alle dosi più basse si ottiene un calo della
risposta, cioè una de-sensibilizzazione, alle dosi intermedie un aumento, alle dosi
alte di nuovo un calo. Nella figura 10 B si osserva la attività metabolica dei
granulociti stimolati con peptidi chemiotattici (flMLP) dopo un pre-trattamento con
dosi crescenti degli stessi peptidi. Alle dosi basse si osserva un crescere della
risposta col crescere della dose, mentre alle dosi più alte si osserva che la attività
cellulare risulta depressa fino a raggiungere livelli inferiori a quelli delle cellule che
1,52 Complessità, informazione e integrazione

non avevano ricevuto nessun trattamento. Come si vede dalle curve, in questi casi
i concetti di proporzionalità fra dose ed effetto devono subire evidenti correttivi.
Le ragioni di tali comportamenti dei sistemi biologici sono complesse, riguar-
dando i modi con cui cellule, tessuti e organi regolano il grado di sensibilità a livello
recettoriale, biochimico e genetico. In sintesi, si potrebbero riprendere i concetti di
"priming" e di "desensibilizzazione" (o adattamento), già esposti a proposito della
regol azione del l' infiam m azione (sez. 5.2.1).
Per priming si intende uno stato di iper-attivabilità nei confronti di un determi-
nato stimolante, stato che caratterizzauna cellula dopo che ha ricevuto un pre-
trattamento con dosi basse dello stesso stimolante (priming omologo) o di altri
stimolanti di diverso tipo (priming eterologo). Ir priming è dovuto alla esposizione
di nuovi recettori, alla attivazione dei recettori stessi e/o ad alcune modificazioni
dei sistemi intracellulari di comunicazione o enzimatici.
Per"desensibilizzazione" si intende uno stato di mancata responsività cellulare
nei confronti di un determinato stimolo dopo che la cellula ha ricevuto un pre-
trattamento con dosi basse, medie o alte dello stesso stimolante (desensibiliz zazio-
ne omologa) o di stimolanti diversi (desensibilizzazione eterologa). In genere, la
desensibilizzazione (sia omologa che eterologa) può essere dovuta a molti mecca-
nismi, tra cui consumo o inattivazione dei recettori, dis-accoppiamento dei recettori
dai sistemi di trasduzione, de-attivazione dei sistemi effettori cellulari.
Nella figura 11 si osservano curve di dose-risposta che documentano il fenome-
no del priming, cui si è già fatto cenno nel capitolo sulla modulazione delle funzioni
delle celiule infiammatorie (sez. 5.2.1). Tale evento può manifestarsi o come una
aumentata sensibilità alle piccole dosi (spostamento a sinistra della curva dose-
risposta) (figura 11 B), o come un aumento dell'effetto massimo a parità di dose
(figura 11A).
Nella figura 12 si documenta un altro fenomeno importante che ha certamente
un ruolo nel priming ed in genere nella regolazione delle risposte ad agenti
farmacologici. Applicando alle cellule dosi crescenti di uno stimolante, si possono
registrare degli effetti di un tipo (ad esempio aumento di calcio intracellulare) con
dosi molto basse, mentre effetti di un altro tipo (ad esempio innesco del metaboli-
smo ossidativo) possono essere ottenuti solo con dosi molto più alte dello stesso
stimolante. Ciò dipende dal fatto che per il primo tipo di risposta è sufficiente
l'impegno di un numero ridottissimo di recettori rispetto a quello necessario per
scatenare il secondo tipo di risposta. Un'altra possibilità è che le cellule presentino
più tipi di recettori per lo stesso composto, tipi di recettori con diversa affinità
(intensità di legame al variare della concentrazione) e mediatori di diverse risposte.
In generale (che significa che ogni regola in questo campo ha eccezioni), le basse
dosi sono in grado di attuare sottili modificazioni della biologia cellulare, quali
assemblaggio delle proteine colloidali del citoscheletro, apertura di canali ionici,
C omplessità, informazione e inte grazione 153

Cellule
irqttoie

Cellule normoli

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Dosl crescenfi di oltivotore Dosi crescenti di oltivotore

Figura 11. Curve dose-risposta che illustrano il fenomeno di priming (o ipersensibilità).


Le linee continue rappresentano un parametro di attività iunzionale di celluie
di controllo al variare delle dosi di uno stimolante. Le linee tratteggiate
rappresentano lo stesso parametro valutato su cellule che hanno ricevuto
un
pre-trattamento con basse dosi di un altro stimolante. ED50 dose che
= causa
una attivazione del50Vo rispetto alla attivazione massimale. In A si riporta
un
esempio dove la curva dose-risposta delle cellule pre-trattate raggiunge una
maggiore altezza rispetto a quelle di controllo, ma la ED50 e il picco massimo
si osservano alle stesse concentrazioni nei due tipi di cellule. Cìò può indicare
che l'effetto priming risulta da un aumento del numero dei recettori o da
altri
meccanismi di regolazione post-recettoriale. In B si riporta un esempio in cui
la curva dose-risposta è spostata a sinistra, verso le basse dosi, nelie cellule
pre-trattate. ciò può indicare che l'effetto priming risulta da aumento di
ffinità (capacità di legare dosi via via più basse) dei recettori per il composto
attivatore.

esposizione di un discreto numero di recettori. Queste sono proprio le modificazio-


ni che sono associate al priming.
Un ulteriore esempio di come siano molti i fattori che influiscono sulle
dinamiche recettoriali, è rappresentato da esperimenti fatti sui leucociti
[De Togni
et al., 1985]: la stessa dose di uno stimolante (peptide chemiotattico) può sort-ire
effetti molto diversi a seconda delle "modalità" di somministrazione. sommini-
strando il composto lentamente, lungo un arco di minuti, la risposta è molto
scarsa,
in termini di consumo di ossigeno. somministrando il composto tutto in un
momento, nell'arco di pochi secondi, si ottiene un potente aumento del consumo
di ossigeno. Si è visto che la differenza di effetto tra le due modalità di aggiunta
non
è dovuta a diverso legame del composto ai recettori, che sono occupati
ugualmente
154 Complessità, informazione e integrazione

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Dosi crescenfi di oltivotore

Figura 12. Curve dose-risposta che riportano il variare della attività di due parametri
funzionali delle stesse cellule al crescere delle dosi di uno stimolante. La curva
A (linea tratteggiata) riporta l'aumento dello ione calcio nel citoplasma di
leucociti attivati; la curva B (linea continua) riporta l'aumento del
metabolismo ossidativo nelle stesse cellule trattate con le stesse dosi di
attivatore (in questo esempio, peptidi batterici). si nota che l'aumento del
calcio ione scatta a dosi molto più basse di stimolante di quelle necessarie per
attivare il metabolismo ossidativo. Ciò può indicare o che esistono due tipi di
recettori (un tipo ad alta affinità che regola il flusso di calcio e uno a bassa
affinità che regola il metabolismo), o che esiste un solo tipo di recettori, ma
è sufficiente un impegno di un minimo numero di essi per far scattare il flusso
di calcio.

in entrambi i casi. Evidentemente, il sistema recettore-trasduttore percepisce la


velocità di associazione della molecola al recettore, in quanto se la velocità è
elevata non fa a tempo ad avvenire la contro-reazione che disattiva in qualche modo
la risposta.
Un fenomeno analogo alla desensib ilizzazione è la tolleranza, definibile come
la acquisizione di una non-reattività del sistema immunitario verso determinati
antigeni. La tolleranza è un meccanisrno fondamentale attraverso cui il sistema
impara a riconoscere le sostanze dello stesso organismo da quelle estranee, ma in
determinate condizioni può aversi anche una tolleranza verso sostanze non-self
(tolleranza acquisita). Lo stato di tolleranza può interessare sia i linfociti B (risposta
anticorpale) che i linfociti T (risposta cellulo-mediata). È possibile indurre la
tolleranza verso antigeni estranei esponendo l'organismo a dosi più elevate di
quelle che sono normalmente immunogene (si tratta quindi di un fenomeno di
C o mp le s s it à, informazio n e e inte gr azio ne 155

desensibilizzazione o di inattivazione dei linfociti) oppure con dosi molto basse di


antigene, subimmunogeniche (in questo caso pare sia dovuta all'intervento di
linfociti T soppressori). È stato sostenuto che la tolleranza indotta da dosi basse
rivela la grande capacità dell'organismo di reagire a stimoli subliminali e può
costituire uno dei meccanismi d'azione di molti preparati con azione primaria
debole [Speciani, 1991].
Gli esempi sopra riportati si riferiscono prevalentemente al campo dell'immu-
nità ed alla biologia dei leucociti, ma, con le dovute varianti, potrebbero applicarsi
alla biologia delle piastrine, dell'epatocita, del muscolo ed anche della cellula
nervosa.
Un altro esempio riguarda la fisiopatologia vascolare. È stato scoperto, abba-
stanza recentemente, che le pareti dei vasi sanguigni producono l'ossido di azoto,
che rappresenta essenzialmente un "nitrovasodilatatore endogeno". Praticamente,
tale rnolecola nient'altro è che il componente attivo di farmaci conosciuti da tempo
come vasodilatatori, il nitrito d'amile, Ia trinitroglicerina e gli altri nitrovasodila-
tatori [Collier and Vallance, 1991). A questo proposito, val la pena sottolineare
come questa scoperta abbia analogie con quelle della scoperta degli oppiacei
endogeni (encefaline ed endorfine) e con quella della scoperta di fattori simil-
digitalici endogeni: l'organismo sa produrre molti dei "farmaci" di cui ha bisogno!
Vi sono chiare indicazioni che in varie malattie cardiovascolari vi sia una diminuita
produzione o un aumentato catabolismo dell'ossido di azoto, fatto che può quindi
predisporre i vasi ad uno spasmo più marcato e protratto e conseguente ischemia.
D'altra parte, nello shock e nell'ipotensione si può avere una eccessiva produzione
di ossido d'azoto.
In questo tipo di equilibri, si evidenzia ancora che la patologia cambia Ie
sensibilità: quando Ie arterie subiscono un danno endoteliale, producono meno
ossido di azoto, ma contemporaneamente la parete vascolare sottostante diventa
ipersensibile ai nitrovasodilatatori [Moncada et al., 1991]. La parete "malata" è
quindi più sensibile al farmaco della parete sana: ciò spiega, almeno in parte,
l'efficacia della nitroglicerina nella angina.

5.6.3. I recettori e i sistemi di trasduzione

Nelle precedenti sezioni di questo capitolo e nel capitolo sulla ricerca in


omeopatia (cap. 4) in ripetute occasioni sono stati riportati esperimenti che
illustrano i seguenti fenomeni:

a) uno stesso agente può indurre effetti opposti se usato in dosi diverse;
b) due agenti diversi possono provocare lo stesso effetto sul sistema bersaglio;
156 Complessità, informazione e integrazione

c) uno stesso agente può determinare o indurre risposte diverse in un organismo


sano rispetto ad uno malato;
d) uno stesso agente può risultare stimolante, inibitorio o con effetto nullo a
seconda della modalità di somministrazione;
e) l'effetto di uno stesso agente varia a seconda delle condizioni del sistema
bersaglio, a loro volta determinate dal precedente o concomitante contatto con
altri agenti;
f) l'effetto di un certo trattamento può variare a seconda di fattori cronobiologici.

Queste sono caratteristiche peculiari dei sistemi viventi, caratteristiche per


molti aspetti paradossali, che hanno una loro base generale nell'ambito della
complessità delle dinamiche recettoriali. L'argomento è di capitale importanza per
l'omeopatia, perché il flusso dell'informazione biologica dipende sì dalla natura
del segnale (fisico o chimico che sia), ma anche dal comportamento dei recettori.
Perciò, è opportuno qui riassumere brevemente alcuni recenti avanzamenti della
ricerca in tale campo.
Vi sono sia recettori presenti all'interno della cellula che recettori presenti sulla
membrana esterna (v. anche ad esempio la figura 6 a pag. 114).
I recettori intracellulari sono quelli che ricevono il segnale sotto forma di
molecole che attraversano la plasmamembrana grazie alla loro caratteristica di
idrofobicità (ad esempio, ormoni steroidei o tiroidei). Tali recettori, una volta
legato il segnale, subiscono una attivazione, o un cambiamento conformazionale
che li rende atti a legarsi a specifiche sequenze del DNA o ad altre strutture
proteiche intermedie. In ognicaso, alla fine si avrà la attivazione di una serie di geni
e la messa in azione di una serie di risposte cellulari specifiche per quella molecola
segnaie.
I recettori di membrana, invece, sono adatti a ricevere molecole che non entrano
nella cellula, a causa della loro particolare grandezzao della loro carica elettrica (la
membrana è impermeabile alle piccole molecole cariche). I recettori di membrana,
per funzionare necessitano di un trasduttore, sono cioè accoppiati ad un altro
sistema di trasmissione che trasduce il segnale dalla membrana al sistema che deve
essere attivato dentro la cellula. I trasduttori, detti anche secondi messaggeri, sono
molto importanti perché possono intervenire sul segnale modificandolo sia in senso
quantitativo (amplificazione, spegnimento) che qualitativo (alterandone il "signi-
ficato", nel senso di poterlo dirottare verso altre funzioni rispetto a quelle normali).
Vi sono molti tipi di recettori di membrana e di trasduttori, alcuni dei quali sono
illustrati nella figura 13. Si vede che alcuni recettori sono accoppiati direttamente
con un canale ionico, cioè quando legano la molecola segnale, aprono un passaggio
per gli ioni, che così in gran copia attraversano la membrana secondo il loro
gradiente elettrochimico. È degno di nota che in questa classe di recettori ve ne sono
C omplessità, informazione e integrazione 157

alcuni che non sono attivati da molecole segnale, ma da variazioni del potenziale
elettrico della membrana. Il segnale, in questo caso, sono elettroni o campi
elettromagnetici. Ciò è facilmente spiegabile, se si pensa che quasi tutte le proteine
hanno almeno qualche porzione elettricamente carica.
Altri tipi di recettori sono accoppiati a protein chinasi, cioè a proteine che
operano una fosforilazione di altre proteine, con dispendio di energia ma anche con
conseguenze molto significative sulla biologia della cellula. Infatti, la fosforilazio-
ne rappresenta un cambiamento spesso drammatico nelle proprietà fisico-chimiche
della proteina, per cui ne consegue un cambiamento della funzione (attivazione o
disattivazione di enzimi o degli stessi recettori).
La attivazione delle protein chinasi può avvenire come evento direttamente
legato al recettore (v. schema 2 nella figura 13) o con una serie di passaggi intermedi
collegati alla entrata in funzione di altri enzimi quali adenilato ciclasi, fosfolipasi,
pompe ioniche varie (schema 3 nella figura 13). Nel gioco di segnalazione che
forma i secondi messaggeri, pare che abbiano grande importanza le proteine G (dal
termine GTP-binding proteins), le quali rappresentano una specie di navetta che va
dal recettore attivato all'altro enzima che deve essere a sua volta reclutato nel
sistema di trasmissione. Le proteine G sono particolarmente importanti nel deter-
minare l'esito di un certo segnale che raggiunga la cellula. Esistono, in vari sistemi
recettoriali, proteine G stimolatorie e proteine G inibitorie. A seconda che entrino
in gioco le une o le altre, uno stesso segnale potrebbe avere effetti anche opposti.
Tipico, a questo riguardo, è il sistema della adenilato ciclasi che è accoppiato
attraverso le proteine G ai recettori alfa2 e beta adrenergici [v. ad esempio Alberts
et al., 19891.
La figura 13 non contempla, per ragioni di semplicità, un altro importante
meccanismo di attivazione recettoriale, che consiste nell'aggregazione di vari
recettori sul piano della rnembrana ad opera di segnali costituiti da macromolecole
con molteplici siti di aggancio. Tale aggregazione può avvenire, come si vedrà
anche nel capitolo 7, ad opera di correnti elettromagnetiche anche molto deboli che
attraversano la cellula.
I sistemi di ricezione e di elaborazione dei segnali extracellulari sono molto
sofisticati e flessibili, nonché collegati strettamente tra loro avari livelli da relazioni
a feed-back. I trasduttori del segnale consentono di amplificare enormemente la
azione di ogni singolo recettore, ma sono possibili anche effetti di retroazione
inibitori. Un esempio di come sia complicata la rete degli eventi che seguono al
legame tra molecola segnale e recettore è riportato in figura 14. Si vede che, quando
un segnale arriva al recettore, direttamente o indirettamente si attivano enzimi di
tipo protein-chinasi che, tramite la fosforilazione di proteine, innescano una serie
di funzioni. Nello stesso tempo, però, la attività protein chinasica non trascura di
attaccare anche lo stesso recettore da cui era partito il segnale: il recettore viene
158 C omplessità, informazione e inte grazione

fosforilato in un preciso sito aminoacidico, con conseguente disattivazione della


sua funzione. Una successiva dose di sostanza stimolante non troverà più il
recettore pronto a funzionare come quello "vergine,', bensì lo troverà incapace di
Iegare la sostanza stessa o incapace di promuovere ra fosforil azione.
Quest'ultimo esempio rende conto solo di una delle miriadi di possibili
modificazioni molecolari che sono associate alle variazioni, in positivo o in
negativo, della sensibilità dei recettori. È ben noto che l,eccessivo impegno
recettoriale si traduce, in molti casi, in una vera e propria,,scomparsa,, dei recettori,
che vengono "internalizzati" o "sequestrati" in siti cellulari inaccessibili alle
molecole segnale (meccanismo della cosiddetta "down-regulation" dei recettori).
A scopo conclusivo di questa sezione, può essere utile presentare un modellino
delle dinamiche recettoriali che illustra la possibile oscillazione delle sensibilità
cellulari (figura 15). La cellula a riposo (A) ha sulla membrana molteplici recettori,
qui per semplicità rappresentati come recettori per due tipi diversi di stimolanti,
molecole triangolari e molecole quadrate. euando la cellula incontra una piccola
quantità dello stimolante "triangolare", subisce uno stimolo iniziale (B), che però
non evoca nessuna risposta se non l'aumento di recettori, omologo ed eterologo,
cioè per diversi tipi di molecole (B'). Allorché la cellula incontra uno stimolo più
consistente, presenta una attivazione delle risposte cellulari notevole, con vari
effetti specifi ci (C) . Qualora lo stimolo sia di notevole intensità e perduri nel tempo,
i recettori per la molecola "triangolare" sono rapidamente inattivati, cosicòhé
subentra uno stato di desensibilizzazione, o di adattamento (D).Infine, se invece
sopraggiunge un nuovo stimolo, dato da altre molecole, nella fattispecie quelle
"quadrate", la cellula sarà molto pronta a rispondere, perché in essa permane lo
stato di priming eterologo (E).
Dopo un periodo più o meno lungo di inattività, è possibile (ma non è una regola)
che la situazione della cellula si reversibilizzi allo stato iniziale, con ricompar* a"i
recettori iniziali. Un'altra possibilità è che la cellula rimanga,,impressionata,, dalla

Figura 13. Tre principali modi di funzionamento dei recettori di membrana. l- recettori
=
direttamente associati a un canale ionico, che viene aperto (o chiuso) allorché
awiene l'interazione con una molecola segnale o al variare del potenziale di
membrana; 2 = recettori direttamente associati a un enzima con attività
catalitica protein-chinasica (esistono anche quelli con attività protein-
fosfatasica), che viene attivata dal segnale; 3 = recettori che, una volta legata
Ia molecola segnale, trasmettono a loro volta il segnale - tramite le protàine
leganti il GTP - ad altri sistemi qualigli enzimi adenilato ciclasi o fosfolipasi;
questi ultimi enzimi, a loro volta, producono altri segnali biochimici
intracellulari.
C omplessitò, informazione e integrazione 759

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160 C omplessità, informazione e inte grazione

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MEMBRANA

AMBIEME
IMRACELLULARE
sfesso
recellore

t
ATNVAZIONE
DI
PROTEIN-CHINASI

I
VARIE
R/SPOSTE
CELLUIARI

Figura 14. Un esempio di come un recettore possa essere inattivato da un meccanismo di


feed-back negativo innescato dalla sua stessa attivazione.

sua "esperienza" per sempre (memoria), con modificazioni della espressione


genica, dell'espressione di recettori e delle attività enzimatiche. In pratica, si avrà
una cellula diversa da quella di partenza.
A tali considerazioni si dovrebbe aggiungere un argomento correlato: quello dei
sinergismi e degli antagonismi fra sostanze che contemporaneamente impegnano

Figura 15. Dinamiche recettoriali e conseguente variazione (potenziamento o


desensibilizzazione) della attività cellulare. Per la spiegazione, vedi testo.
C omplessità, informazione e integrazione 161

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t62 Complessità, informazione e inte grazione

diversi recettori della cellula, aspetti di notevole importanza nelle regolazioni


fisiologiche e farmacologiche. Tale argomento, però, è forse di più owia e
documentata acquisizione nella cultura biomedica moderna, per cui non serve
soffermarvisi ulteriormente in questa sede.
Quanto sopra riportato costituisce uno spaccato di quello che è il pane quotidia-
no dei ricercatori in campo biomedico avanzato. Cosa c,entra tutto ciò con
I'omeopatia? si deve procedere per gradi nella analisi e quindi la risposta sarà più
chiara in seguito (v. cap. 6). Per ora, è importante aver fissato questo concetto: ze
dinamiche dei recettori variano in fisiologia ed in patologia e sono così complesse
che una s/es.t4 sostanza si può comportare da attivatore o da inibitore sulla stessa
cellula, a seconda delle dosi della sostanza stessa in rapporto alla sensibilità
recettoriale di un determinato momento.
In altre parole, tale concetto può essere così tradotto: da un punto di vista
biologico, non esistono sostanze di per sé " bltone" (medicine) o " cattive', (veleni,
tossici). ogni sostanza ha una "doppia faccia", perché il suo possibile effetto
biologico dipende sia dalla sua struttura molecolare e dalla dose che dal sistema con
cui viene a contatto. La qualità "bontà" o "cattiveria", nel senso dell,esito positivo
o negativo sull'insieme del sistema omeostatico, viene "attribuita,, alla sostanza
stessa dal sistema con cui "inter-agisce", dal suo stato particolare di sensibilità e di
responsività. A tale conclusione si potranno muovere molte obiezioni, basate su
eccezioni vistose (difficile vedere, ad esempio, un ruolo positivo del virus HIV, a
qualsiasi dose e su qualsiasi sistema), ma il discorso resta sostanzialmente valido
come concetto generale (per quanto riguarda i virus, comunque, è ben noto che essi
non sono sempre patogeni, infettando solo le cellule che sono "sensibili,, ad essi,
che presentano adatti recettori).

5.7. Caos e frattali

In tempi piuttosto recenti, nelle teorie esplicative delle dinamiche dei sistemi
complessi ha fatto la sua comparsa un nuovo protagonista: il caos.
L'esistenza di fenomeni casuali accanto a fenomeni strettamente deterministici
e prevedibili è sempre stata riconosciuta, ma fino a tempi molto recenti l'attenzione
degli scienziati era rivolta solo verso questi ultimi. Le leggi della fisica classica
sono infatti deterministiche: se si conosce lo stato di un sistema in un certo istante
e le leggi che ne regolano le modificazioni, si è in grado di prevederne il
comportamento futuro.
sulla base delle leggi di gravitazione classiche, ad esempio, è possibile preve-
dere le eclissi, o la traiettoria di un satellite, il moto di un pendolo. Sulla base delle
leggi genetiche mendeliane, è possibile prevedere i caratteri di una pianta derivante
Complessitò, informazione e integrazione 1,63

dall'unione di due gameti di piante a caratteri noti. Altri fenomeni naturali, però,
non sono altrettanto prevedibili: il moto dell'atmosfera, la densità di popolazione
animale in un certo ambiente, la forma delle impronte digitali, la turbolenza di un
liquido che scorre in una tubazione, sfuggono alla nostÀ capacità di previsione.
Nella visione classica, una possibile soluzione, che salva il determinismo, era
quella di imputare I'insuccesso alla scarsità di informazioni, per cui basterebbe
raccogliere ed elaborare un numero maggiore di informazioni sul sistema oggetto
di studio per awicinarsi progressivamente alla descrizione esatta. Come sosteneva
il matematico f,aplace, le leggi della natura implicano un rigido determinismo e una
predicibilità totale, benché I'incompletezza e le imperfezioni delle osservazioni
rendano necessario ricorrere alla teoria delle probabilità. Con I 'ausilio di tale teoria,
l'esplorazione del mondo fisico non dovrebbe avere problemi a svilupparsi in modo
progressivo e lineare.
Questa opinione "ottimistica" sulle possibilità della scienza tradizionale è stata
modificata, nel corso del novecento, da due fondamentali ragioni: la prima è lo
sviluppo della meccanica quantistica ed in particolare la scoperta del principio di
indeterminazione di Heisenberg, per cui vi è una limitazione insuperabile nella
precisione con cui si può determinare simultaneamente la posizione e la velocità
delle particelle elementari.
La seconda ragione, più strettamente legata al discorso sul caos, è la scoperta che
sistemi costituiti da tre o più corpi possono presentare un comportamento aleatorio.
Tale aleatorietà non scompare con la raccolta di ulteriori inforrnazioni sul sistema
stesso.
L'esempio che viene fatto a questo riguardo è quello di un sistema di sfere dure
(biliardo), che rappresenta, in modo semplificato,l'interazione tra atomi o mole-
cole in un gas. Lanciando una palla da biliardo contro altre palle, non si può
prevedere il percorso che seguirà la palla dopo pochi urti. La non prevedibilità si
mantiene anche se si assume che le superfici delle palle siano perfettamente lisce
e le traiettorie siano perfettamente rettilinee.
La ragione di tale imprevedibilità in un sistema così semplice sta nella sua
estrema dipendenza dalle condizioni iniziali. II fenomeno è infatti noto come
"sensibilità alle condizioni iniziali". Una minima variazione della direzione di
incidenza del primo urto viene amplificata dalla superficie curva della palla, per cui
"
la traiettoria dopo il primo urto sarà più sensibilmente divergente da quella prevista,
e così via negli urti successivi. Dopo diversi urti, i percorsi saranno imprevedibili.
Non esiste nessuno strumento che possa lanciare la palla senza la minima imper-
fezione (sarebbe uno strumento perfetto, ma la perfezione assoluta non esiste nel
mondo fisico: vi sarà sempre una minima perturbazione, o fluttuazione nello stato
di un sistema fisico, anche se macroscopicamente tale imperfezione può non
apparire). Per questo il sistema apparentemente "semplice", descritto dal modello
164 C omplessità, informazione e integrazione

del biliardo, ha una intrinseca tendenza al comportamento caotico. Il caos non


deriva da un "errore" di lancio, o dalla non conoscenza delle leggi che regolano le
traiettorie ed i rimbalzi, ma è una proprietà caratteristica del sistema. Ruelle, il
"padre" degli attrattori strani e uno dei massimi studiosi del caos, definisce
quest'ultimo come "Ltn'evoluzione temporale con dipendenza sensibile datle
condizioni iniziali" [Ruelle, 1 991].
Se questo è vero, la descrizione di sistemi complessi in cui più componenti
interagiscono, per essere sempre più aderente alla realtà, non può trascurare i
fenomeni caotici considerandoli dei disturbi di una teoria per altri versi perfetta, ma
deve trovare gli strumenti e le vie per integrarli con la teoria precedentemente
ritenuta sufficiente.
Persino la matematica, una volta ritenuta la scienza esatta per eccellenza, ha
scoperto il caos: vi sono varie funzioni ad una sola variabile che, con un processo
di iterazione (inserire il risultato della prima valutazione al posto della variabile
nella successiva e così via) danno risultati non predicibili. Un esempio è dato dalla
formula matematica descritta dal matematico verhulst [cit. da Garner and Hock,
1ee1l:

Pn*r=Pn + p"k(p."*-p")

dove pn*, è la popolazione dell'anno n+1 che può essere calcolata in base alla
popolazione dell'anno precedente, o popolazione iniziale (p,) sommata della
crescita annuale che è uguale a p, moltiplicata per un coefficiente di crescita k e di
un fattore dato dalla differenza tra la popolazione massima possibile (p,"_) e p".
La crescita additiva annuale sarà perciò dipendente linearmente dalla popola-
zione preesistente, ma è limitata dal fatto che c'è un massimo raggiungibile.
Ponendo il valore del coefficiente di k tra 0.3 e 1.5 e sviluppando i calcoli iterativi
di anno in anno, si otterranno le seguenti soluzioni: se pn è molto più basso del
massimo, la crescita è effettivamente lineare. Quando però la popolazione cresce,
p- r max,la differenza p
I n si avvicina a p_.., , -p
FmAx ---_- azero e Ia crescita si ferma. Ponendo
rn tende
sull'asse delle ascisse il numero delle iterazioni (anni successivi) e sull'asse delle
ordinate la popolazione, si ha una curva di crescita che raggiunge asintoticamente
il massimo (Figura 16 A). Fin qui non vi è niente di strano. Se però nella funzione
si inserisce un coefficiente di crescita tra 1.5 e 2, si ha una curva qualitativamente
diversa: all'inizio si supera il valore di p.u*, poi iterazioni successive portano a
valori leggermente oscillanti in più ed in meno rispetto a p,"*, poi la curva di crescita
si assesta sul valore massimo senza più modificarsi (figura 16 B). Per coefficienti
di crescita tra2 e2.45, avviene un fenomeno strano ed imprevisto cui si dà il nome
di "biforcazione": la funzione oscilla tra due valori fissi che si ripetono in anni
alternati (figura 16 C). Per valori immediatamente più grandi di 2.45 awiene
Compless ità, informazione e integrazione 165

t.02
.937

.857

.717

.697
15.0 25.0 35.0 4

Figura 16. Iterazioni di Verhulst [dal lavoro di Garner and Hock, 199L, con
attorizzazione]. I riquadri riportano i grafici dell'andamento della
popolazione in anni successivi, risultante dalla iterazione dell'equazione pn*,
= pn * pn k (p-u*-pn), cambiando il fattore k (velocità
di crescita annuale della
popolazione). A: È k
= 0.3;B: = 1.5; C:k=2.1;D'.k=2.5; E: k = 2.9' Con
quest'ultimo valore, risulta un andamento caotico.
166 Complessità, informazione e integrazione

un'altra biforcaziono. i possibili valori di oscillazione della funzione sono 4 (figura


16 D)' Tra2.45 e2.56 si hanno successive biforcazioni, così che il numero delle
possibili soluzioni che si susseguono aumenta. si è però sempre in un comporta-
mento ordinato, anche se periodico, fatto di cicli di numeri che si ripetono. Infine,
con coefficienti più grandi di 2.56, si presenta un infinito numero di possibili
soluzioni: praticamente tutte le configurazioni sono ammesse e le oscillazioni della
popolazione appaiono irregolari, "caotiche" (figura 16 E). si è entrati in una,,zona,,
matematica dove regna il caos; il filo dell'ordine imposto dal determinismo dei
numeri va perduto e si ottengono via via risultati totalmente non predicibili. È
inutile cercare il ripetersi di cicli: le irregolarità sono permanenti.
Il comportamento caotico del biliardo e di sistemi analoghi è dovuto alla estrema
dipendenza dalle condizioni iniziali per I'esistenza di un principio che amplifica
l'errore (la superficie curva delle palle).
Il comportamento caotico dei sistemi matematici è legato al fatto di considerare
equazioni non lineari, cioè vi compaiono termini che non sono più semplicemente
proporzionali alla variabile. In fondo, la caratteristica della equazione capace di
generare il caos è quella di avere all'interno la presenza di un feed-back, per cui il
risultato del calcolo viene usato come fattore per la reiterazione del calcolo stesso.
Per una trattazione del feed-back in termini matematici e per le sue possibili
applicazioni in biologia si può riferirsi al lavoro di Nicolis and Prigogine
[Nicolis
and Prigogine,l991l.
L'idea che i sistemi deterministici non siano sempre retti da equazioni con
soluzioni regolari ha richiesto molto tempo per affermarsi [Croqu ette, 7991;
Ruelle, 1991]. ovviamente, la scoperta del caos in sistemi fisici ed equazioni
matematiche semplici ha risvegliato l'interesse degli scienziati, spinti dalla speran-
za che questi potessero costituire un motlello per capire il funzionamento anche di
sistemi più complessi. Nessuno contesta l'esistenza di fenomeni imprevedibili in
sistemi quali la metereologia, l'economia, il comportamento della crosta terrestre
(v. terremoti), il battito cardiaco (v. aritmie), o l'ecologia (v. le "previsioni,, sulla
temperatura terrestre o il buco nell'ozono). Tale imprevedibilità potrebbe però
essere attribuita solo alla mancanza di sufficienti informazioni sui dettagli di tali
sistemi, o alla inadegu atezzadelle condizioni sperimentali, ma se il comportamento
caotico è caratteristica propria di sistemi fisici e matematici, è possibile ipotizzare
che il carattere caotico è dovuto ad un principio fondamentale del mondo fisico che
non può essere trascurato.
I fisici ed i matematici hanno subito pensato di vedere se esistessero delle "leggi
del caos", in altri termini se quello che poteva apparire il trionfo della casualità in
ambito deterministico, non rivelasse invece qualche ordine o qualche regolarità. In
effetti, ciò ha portato alla scoperta ed allo studio degli "attrattori strani,,, che sono,
sul piano matematico, delle figure geometriche che descrivono il comportamento
Complessità, informazione e integrazione 167

a lungo termine di alcuni sistemi dinamici. In altri termini, un attrattore è ciò verso
cui si stabilizza, o è attratto, il comportamento di un sistema. Esso possiede quindi
un'importante proprietà: la stabilità. In un sistema sottoposto a perturbazioni, il
movimento tende a tornare verso I'attrattore.
L'attrattore può essere un singolo punto, come ad esempio nella traiettoria del
pendolo quando esso raggiunge lo stato stazionario, oppure un numero finito di
punti che riflette un comportamento di tipo periodico, oppure un sistema infinito
di punti che genera una figura in forma di orbita che non si ripete mai uguale, come
può avvenire nei sistemi caotici ("attrattori strani"). È difticlte immaginare un
"attrattore strano" a livello geometrico, perché le sue caratteristiche implicano che
una tale orbita debba avere una lun ghezzainfinita contenuta in una superficie finita
(l'area d'attrazione). Si tratta quindi di oggetti "di dimensione non intera', o
"frattali" (v. sotto) [Ruelle, 1991].
Anche i sistemi caotici presentano delle regolarità. Ad esempio, le equazioni
descritte in precedenza, pur dando, a determinati valori del coefficiente, risultati
imprevedibili, non danno soluzioni infinite: la ampiezza delle oscillazioni rimane
in un certo ambito. Inoltre si è visto che, continuando le iterazioni di simili
equazioni e crescendo ulteriormente il valore dei coefficienti, dopo periodi di caos,
possono ricomparire periodi di ordine, seguiti da nuove zone di caos e poi di ordine.
Vi è quindi una "regolarità ricorsiva'l [Hofstadter ,1.991] in generazioni successive
di transizioni da caos a ordine, con la ricomparsa di soluzioni uniche o regolari
oscillazioni che si sdoppiano a cascata al crescere del valore del coefficiente. Tale
regolarità ricorsiva crea figure con lfbande" di regolarità e di irregolarità che si
ripetono e si assomigliano, con uno schema di tipo frattale.
Lo studio del comportamento di sistemi matematici e fisici con transizioni tra
ordine e caos ha tratto grande impulso dalla analisi delle dinamiche di formazione
di oggetti frattali. La geometria frattale è infatti la più adeguata a descrivere caos
e complessità [Jurgens et al., 1990].
Il termine frattale fu coniato nel1975 da B.B. Mandelbrot ed acquisì ampia
notorietà nel mondo scientifico a partire dai primi anni '80 [Mandelbrot,lgBZT.
Con esso si vuole intendere quelle entità matematiche o geometriche che sono
dotate di dimensione frazionaria (dal latino fractus, rotto). Molte figure frattali
hanno una configurazione ripetitiva al cambiamento di scala, una sorta di autoso-
miglianza nei dettagli rispetto allo schema generale.
Le forme frattali possono essere generate al calcolatore con algoritmi (elenchi
di istruzioni che specificano Ie operazioni da svolgere per risolvere un determinato
problema) a partire da funzioni matematiche che vengono opportunamente iterate,
cioè ripetute in modo che il risultato,della precedente entri come fattore nella
successiva. Mediante questgoperazioni, appaiono figure con le seguenti caratteri-
stiche:
168 Complessitò, infor mazione e integrazione

a) gran varietà di particolari di forme diverse,


b) presenza di sottili ramificazioni che si possono seguire nei più fini dettagli,
c) autosomi glianza, in modo che ingrandendo una parte della struttura è possibile
rilevare dettagli che si ripetono a diverse scale di ingrandimento.

Gli esperimenti "eidiomatici", eseguiti al calcolatore, mostrano che le figure


con dimensione frattale sono dotate sia di grande "fantasia" nelle forme, che di
autosomiglianza [Dewdney, 1991]. Nelle strutture molto complesse quali gli
insiemi di Julia e Mandelbrot si possono osservare particolari estremamente vari e
fantasiosi (cerchi, spirali, ellissi, stelle, ramifi cazionivarie), all'interno dei quali si
possono, ingrandendo l'immagine, scorgere altri diversi particolari (figura 17).
All'interno di alcune di tali immagini particolari su scala ulteriormente ingrandita,
si ritrovano, sorprendentemente, dei "mini-insiemi", molto simili a quelli macro-
scopici da cui si è partiti. Nel particolare si ritrova un'immagine che pareva perduta
nella varietà dei dettagli.
Mandelbrot e, più recentemente, altri hanno osservato che molti oggetti naturali,
apparentemente disordinati, godono di queste proprietà. Ciò sta avendo notevoli
ricadute in campo scientifico. Per quanto queste forme siano state scoperte da un
matematico e siano ancora prevalentemente studiate da matematici ed informatici,
i frattali sòno strumenti utili per descrivere una gran varietà di fenomeni fisici e di
forme naturali [Sommarug a, 1.992].
Ad esempio, una forma frattale potrebbe essere rappresentata da un albero, in
cui il tronco si divide in rami, questi danno origine a rami collaterali e così via fino
alle foglie, le quali a loro volta presentano nervature con molteplici suddivisioni.
Altri esempi di frattali naturali sono ben illustrati da alcuni fiori (v. figura 18),
dai fiocchi di neve, ma anche dagli aggregati molecolari non cristallini, dalle
ramificazioni viscose in fluidi non miscibili, dai coralli, dalle scariche elettriche
come i fulmini, dalle ramificazioni delle vie aeree e dei vasi
[Sander, 1991], dai
dendriti dei neuroni, dal sistema di Purkinje che conduce i segnali elettrici nel
cuore, dalle ripiegature della mucosa intestinale [Goldberger et al., 1991].
Il formarsi e l'accrescimento di tali strutture è bene descritto dalle leggi e dalle
formule dei frattali, così che oggi, con 1'ausilio indispensabile dei calcolatori, si
riesce a "simulare" graficamente molti oggetti che finora sfuggivano, per la loro
complessità, a qualsiasi analisi formale e quantitativa. Si può calcolare Ia dimen-
sione frattale di oggetti reali come litorali, montagne, nubi, ecc. Le arterie umane
hanno dimensione frattale di 2.7 [Jurgens et al., 1990].
Nella formazione (= prender,forma!) degli oggetti con dimensioni frattali si
assiste ad una particolare interazione tra eventi stocastici (casuali) ed eventi
determinati dallo stato del sistema fisico che va crescéhdo. Tale tipo di crescita,
detto anche aggregazione per diffusione, molto probabilmente ha avuto un ruolo
C omp lessità, informazione e inte grazione 769

Figura 17. Insieme di Mandelbrot [adattato dal lavoro di Garner and Hock, 1991, con
autorizzazione]. L'immagine è prodotta al calcolatore iterando nel campo
complesso la formula Xn*, = Xn'+ c. Ogni punto della figura 17 A risulta da
200 iterazioni della formula calcolata con numerosi valori di c. X e c
nell'insieme di Mandelbrot sono numeri complessi. Se con un certo valore di
c I'iterazione identifica un'orbita critica che non tende all'infinito il punto
appartiene all'insierne di Mandelbrot e il computer segna un punto nero, se
l'orbita tende all'infinito, il computer segna un punto bianco. I confini
dell'insieme di Mandelbrot presentano dettagli straordinariamente fini e dalle
forme più varie [v. anche Dewdney, 1991]. In 17 B è riportato un
ingrandimento, ottenuto con ulteriori 1,2 itcrazioni per ciascun punto, del
particolare indicato dalla freccia in 17 A. In 17 C l'ingrandimento dello stesso
particolare è fatto con 24 iteruzioni per punto; in 17 D con 30 iterazioni per
punto e in 17 E con 200 iterazioni per punto. Nel dcttaglio si ritrova una figura
molto somigliante all'intero insieme di Mandelbrot.
t70 Complessità, informazione e integrazione

Figura 18. Un fiore (celosia) con struttura a frattale. Lo ste sso schema del fiore intero (A)
si vede in un particolare e nelle sue ulteriori suddivisioni (B).

fondamentale nella nascita della vita sulla terra lo ha continuamente nei processi
e
biologici. La aggregazione per diffusione dipende dal moto casuale delle particelle
disperse e dalla "atttazione", o "condizionamento" dati dal primo microaggregato,
o dalle superfici del contenitore, o dal moto del fluido, ecc.La aggregazione per
diffusione produce strutture frattali, forme geometriche affascinanti in cui determi-
nismo e casualità, ordine e diversificazione coesistono. La geometria frattale si
riferisce quindi ad una "casualità vincolata", tanto che alcuni parlano di un
determinismo del caos (caos deterministico).
Si sta quindi indagando un campo di frontiera per la scienza: individuare le
"leggi del disordine",che sono alcune regole fondamentali di comportamento dei
sistemi complessi, regole che rivelano il modo con cui il sistema caotico si può
organizzare in ordine ad ampio raggio, pur mantenendo sempre un certo grado di
aleatorietà. Tale aleatorietà, scoperta di recente persino dentro l'atomo [Gutzwiller,
1992), resta come un fattore ineliminabile nell'evoluzione ontogenetica e filoge-
netica, come un fattore che, accoppiato all'informazione capace di generare ordine,
costituisce un mezzo per poter generare continuamente nuove forme, nuove
diversità.
Complessità, informazione e integrazione t71

Vi è già chi inizia ad applicare questi nuovi concetti allo studio della fisiologia
e della patologia umane. Ad esempio, è stato riportato [Goldberger et al., 1991] che
la frequenza cardiaca di un individuo sano varia nel tempo con periodicità
intrinsecamente caotica e non, come si riteneva finora, secondo un normale ritmo
sinusale influenzato solo dai sistemi omeostatici. Osservando tali variazioni
secondo scale temporali diverse (minuti, decine di minuti e ore) si vedono
fluttuazioni simili, che ricordano un comportamento frattale, nel dominio del
tempo anziché in quello dello spazio. Non si tratta, ovviamente, di aritmia, ma di
oscillazioni del ritmo normale. Anche I'elettroencefalogramma rivela simili cao-
ticità come aspetti normali del suo funzionamento [Freeman, 1991]. Analizzando
variazioni temporali del livello ormonale in soggetti sani, sono state trovate
situazioni caotiche.
Gli autori sopra citati sostengono che i sistemi fisiologici con dinamiche
intrinsecamente caotiche hanno vantaggi funzionali, in quanto sono più flessibili
ed adattabili al variare delle condizioni e delle richieste da parte di un ambiente in
continua modificazione. In altre parole, si potrebbe dire che un sistema caotico può
esserepiùfacilmente modulato diun sistema giàfortemente ordinato. Acontropro-
va di tale teoria, viene riferita una osserv azione paradossale: molti elettrocardio-
grammi di pazienti con gravi patologie cardiache rivelano la scomparsa delle
fluttuazioni caotiche, come se la patologia fosse la stabilità. Anche il sistema
nervoso può mostrare perdita di variabilità ed insorgenza di periodicità patologiche
in disordini quali l'epilessia, il morbo di Parkinson, la sindrome maniaco-depressiva.
Freeman, professore di neurobiologia all'Università della California a Berke-
ley, riferisce: "I nostri studi ci hanno fatto anche scoprire un'attività cerebrale
caotica, un comportamento complesso che sembra casuale, ma che in realtà
possiede un ordine nascosto. Tale attività è evidente nella tendenza di ampi gruppi
di neuroni a passare bruscamente e simultaneamente da un quadro complesso di
attività ad un altro in risposta al più piccolo degli stimoli. euesta capacità è una
caratteristica primaria di molti sistemi caotici. Essa non danneggia il cervello: anzi,
secondo noi, sarebbe proprio la chiave della percezione. Avanziamo anche l'ipotesi
che essa sia alla base della capacità del cervello di rispondere in modo flessibile alle
sollecitazioni del mondo esterno e di generare nuovi tipi di attività, compreso il
concepire idee nuove" [Freeman, 1991].
Anche nel sistema immunitario il caos potrebbe avere un ruolo molto importan-
te, soprattutto perché tale sistema deve continuamente generare nuove forme di
recettori, che possano confrontarsi con tutti ipossibili antigeni che il mondo esterno
ed interno al corpo possono presentare. La "fantasia" è quindi una fondamentale
proprietà del sistema immunitario, senza la quale mancherebbe la adattabilità ad un
mondo in continuo cambiamento e la capacità di difendersi da potenziali aggres-
sori. Caos e frattali sono essenziali nelle dinamiche delle reti idiotipiche, come
172 Complessità, informazione e integrazione

l'immunologia moderna va sempre più evidenziando [v. Immunology Today,


maggio 19911.
Nel sistema emopoietico esistono delle cellule, le cellule staminali, che possono
dar luogo a tutte le possibili linee cellulari del sangue (globuli rossi, granulociti,
linfociti, megacariociti, monociti-macrofagi). Cosa fa "decidere" alla cellula la
strada evolutiva da prendere? Esistono due interpretazioni: secondo la concezione
deterministica, le cellule ubbidiscono a segnali esterni quali ormoni e fattori di
crescita; secondo la concezione stocastica, la scelta awiene in modo casuale.
Probabilmente, entrambe le teorie hanno qualcosa di vero: infatti pare che la cellula
staminale si differenzi casualmente, ma che subito dopo la scelta, esprima dei
recettori per i fattori di crescita, così che sono questi ultimi che poi fanno proliferare
la cellula (che, altrimenti, resterebbe differenziata ma inutile in quanto non darebbe
alcuna progenie) [Golde, 1992].
È molto probabile che nel prossimo futuro gli studi sui frattali e sul caos saranno
applicati alla fisiologia ed alla patologia in sempre maggiore misura. Infatti, se le
dinamiche caotiche sono un aspetto "normale" dei processi fisiologici, la loro
indagine dovrebbe fornire informazioni più complete e predittive per caratterizzare
le disfunzioni dovute a vecchiaia, malattie o sostanze farmacologiche o tossiche.
L'esistenza del caos e soprattutto della possibilità di studiarne almeno alcune
regole ha implicazioni molto più vaste di quanto si potrebbe pensare. A questo
proposito, vale la pena citare la parte conclusiva di un lavoro sul caos di ricercatori
americani [Crutchfield et al., 1991]: "Il caos rappresenta una nuova sfida per il
punto di vista riduzionistico, secondo cui un sistema può essere compreso scom-
ponendolo e poi studiandone le singole parti. Questo punto di vista è stato
largamente seguito nella scienza anche perché sono moltissimi i sistemi per i quali
il comportamento del tutto è effettivamente la somma delle parti. Il caos, tuttavia,
dimostra che un sistema può manifestare un comportamento complesso come
risultato di un'interazione non lineare semplice tra poche componenti soltanto.
Il problema si sta facendo acuto in un'ampia gamma di discipline scientifiche,
dalla descrizione della fisica microscopica alla costruzione di modelli per il
comportamento macroscopico degli organismi biologici. Negli ultimi anni la
capacità di ricavare conoscenze particolareggiate sulla struttura di un sistema ha
compiuto progressi formidabili, ma la capacità di integrare queste conoscenze è
stata ostacolata dall'assenza di una cornice concettuale adatta entro la quale
descrivere il comportamento qualitativo. Anche quando si possegga una mappa
completa del sistema nervoso di un organismo semplice, cpme il nematode studiato
da Sidney Brenner dell'università di Cambridge, non è possibile ricavarne il
comportamento dell'organismo. Analogamente, la speranza che la fisica possa
raggiungere la compiutezza grazie ad una comprensione sempre più particolareg-
giata delle forze fisiche e dei costituenti fondamentali è infondata. L'interazione
Complessità, informazione e integrazione 173

delle componenti ad una data scala può provocare su scala più vasta un comporta-
mento globale complesso che in generale non può essere ricavato dalla conoscenza
delle singole componenti.
Spesso il caos è visto in termini delle limitazioni che comporta, come la
mancanza di prevedibilità. Ma accade che la natura sfrutti il caos in modo
costruttivo. Grazie alla amplificazione delle piccole fluttuazioni, esso può con-
sentire ai sistemi naturali di accedere alla novità. Una preda che sfugga all'attacco
di un predatore potrebbe usare un controllo caotico del volo come un elemento di
sorpresa per sfuggire alla cattura. L'evoluzione biologica richiede la variabilità
genetica, ed il caos offre un mezzo per la strutiurazione delle variazioni aleatorie,
fornendo così la possibilità di porre la variabilità sotto il controllo dell'evoluzione.
Anche il progresso intellettuale è basato sull'introduzione di idee nuove e su
nuove connessioni fra idee vecchie. La creatività innata potrebbe essere basata su
un processo caotico, che amplifica selettivamente piccole fluttuazioni e le foggia
in stati mentali macroscopici coerenti che vengono esperiti come pensieri. In certi
casi i pensieri possono essere decisioni o essere percepiti come un esercizio della
volontà. Sotto questa specie, il caos fornisce un meccanismo che spiega il libero
arbitrio nell'ambito di un mondo retto da leggi deterministiche".

5.8. Discussione generale sulla complessità

Si è voluto esporre, almeno nelle grandi linee, i concetti relativi al paradigma


della complessità perché essi costituiscono una premessa al corretto inquadramen-
to dell'omeopatia. Il rapporto tra il discorso sul caos ed i frattali e il discorso
sull'omeopatia non è immediato né semplice. Questo argomento sarà ripreso e
discusso nei capitoli 6 e 7, dopo aver presentato il quadro di riferimento generale
dell'ipotesi sul modo d'azione (o sui modi d'azione) del farmaco omeopatico. In
assenza di un tale riferimento, ogni speculazione aquesto punto sembrerebbe vaga
e poco motivata.
Non vi dubbio che i fenomeni viventi rientrino sotto la categoria dei fenomeni
è
complessi. Anche un singolo batterio contiene una tale quantità di elementi
costitutivi tra loro interagenti in modo coordinato da rendere incontestabile la
definizione di esso come "sistema complesso". Viceversa, i fenomeni della fisica
di sistemi non viventi (come la caduta dei gravi e il moto del pendolo), le varie
sostanze chimiche pure (sotto forma di materiali solidi, Iiquidi o gassosi), le forme
geometriche sono di solito considerati dei sistemi fondamentalmente semplici, di
cui è comunque possibile dare una descrizione esatta e prevedere il comportamen-
to. Tuttavia, negli ultimi decenni, nuovi strumenti di ricerca fisica e nuove teorie
applicate alla meccanica classica mostrano che il divario tra "semplice" e "com-
1,74 Complessitò, informazione e integrazione

plesso" è molto più sottile di quanto un tempo si supponesse. Anche sistemi


semplici possono avere,in determinate condizioni, un comportamento complesso.
Per questo sono fioriti gli studi di fisici e matematici, che consentono di aveie
oggi
una visione abbastanza obiettiva della complessità e delle sue principali propri"à,
fatto che ha sicuramente una importanza anche in biologia e medicina.
Introdurre il concetto di complessità e di caos nella biologia e nella medicina
significa introdurre, in un certo senso, un nuovo modo di pensare, perché non si
tratta solo di capire che le cose non sono semplici come si poteva forse sperare
(owero sono molto complicate), ma si tratta di acquisire alcune categorie di
pensiero secondo le quali è possibile "muoversi" dentro la complessità con una
certa dimestichezza. In altre parole, capire Ie proprietà peculiari dei sistemi
complessi può aiutare a non "naufragare" nell'infinita varietà e complicazione dei
singoli meccanismi in gioco. ciò non ha, ovviamente, importanza solo per
l'approccio omeopatico, ma consente di collocare tale approccio all,interno di un
paradigma ormai in via di affermazione in molti campi della scienza.
Scrivono Nicolis e Prigogine: "Il nostro universo fisico non ha più come
simbolo il moto regolare e periodico dei pianeti, moto che è alla base della
meccanica classica. È invece un universo di instabilità e fluttuazioni, che sono
all'origine dell'incredibile ricchezza di forme e strutture che vediamo nel mondo
intorno a noi" Abbiamo quindi bisogno di nuovi concetti e nuovi strumenti per
descrivere una natura in cui evoluzione e pluralismo sono divenute le parole
fondamentali" [Nicolis and Prigogin e, 1991).

5.8.1. Nascita di un comportamento complesso

Per cercare di illustrare il concetto di complessità, si deve riferirsi alle proprietà


di quei sistemi dinamici che sono in continuo cambiamento ed interscambio con
altri sistemi. una forma di complessità, o meglio di comportamento complesso, può
emergere da un sistema dinamico in equilibrio, quando esso è sottoposto ad un
flusso di energia (da alcuni autori chiamato "vincolo,,) che raggiunge una soglia
critica (chiamata anche "rottura di simmetria,,).
Ad esempio (figura 19), si consideri un sistema aperto che presenta due stati A
e A'tra loro teoricamente in equilibrio e reversibili (A e A'potrebbero
essere stato
di salute o stato di malattia, o, più semplicemente, un parametro fisiologico o
cellulare con valori oscillanti da un minimo A ad un massimo A,). Il sisùma è
aperto, nel senso che riceve un input (x) di materia, energia, informazioni dall,am-
biente (altri sistemi) e produce un output (x') in uscita, sempre di materia, energia
ed informazioni. Prigogine definisce questo sistema come un sistema.,dissipati-
vo", mentre Reckeweg parla di ,,sistema di flusso,,.
Complessità, informazione e integr azione 175

Energio
Moterio
XI A a-----, A, | *'
__________> , '^X|igii"
lnformozione
I I /nformazione

Figura 19. Schema di un sistema aperto. Per le spiegazioni, vedi testo.

Lo stato di A e di A' in un determinato tempo sarà condizionato dal "vincolo"


costituito dalla variazione di x e x' in quel tempo. Quindi un simile sistema
difficilmente sarà stabile, ma subirà continui cambiamenti.
Diversamente dal sistema considerato, i sistemi isolati, nei quali non è permesso
alcuno scambio con l'ambiente, tendono in maniera irreversibile verso uno stato
finale di equilibrio, in cui non vi sono più diversità, asimmetrie, modificazioni. In
tal caso, equilibrio non coincide con "ordine", ma con disordine di tutti gli elementi
del sistema.
Questo comportamento della materia è espresso dalla famosa seconda legge
della termodinamica:

ds/dt > 0

secondo la quale la variazione di entropia dS nel tempo dr è maggiore o uguale a


zero, che è come dire che esiste un'inevitabile tendenza al disordine.
I sistemi aperti, e tra questi in particolare i sistemi viventi, in un certo senso
sfuggono alla seconda legge della termodinamica, proprio grazie alla dissipazione
di entropia nell'ambiente. Tali sistemi, al loro interno, subirebbero l'aumento di
entropia, nel senso che la loro entropia interna d S è > 0, ma essi dipendono anche
dall'interscambio di entropia con 1'esterno. Chiamando tale interscambio d"S, si
ottiene una riformulazione della legge con:

dS/dt=d,S/dt+d"S/dt

Mentre la legge fisica impone d S > 0, non esiste legge che impone il segno di
d"S, in quanto il flusso di entropia di un sistema può essere positivo o negativo, a
sèconda del sistema considerato. È dunque possibile che d"S diventi, in qualche
176 Complessità, informazione e integrazione

sistema particolare, abbastanza negativo da eccedere il valore di dis, per cui il


sistema presenti:

ds/dt < 0

una situazione per cui il disordine diminuisce ed il sistema aumenta il proprio grado
di organizzazione. Questo sarebbe in fondo il meccanismo fondamentale di
diminuzione del disordine nel corso dell'evoluzione. Dall'ambiente il sistema
prende o riceve energia, materia ed informazione, all'ambiente il sistema aperto
fornisce in altra forma energia, materia ed informazione. Nell'interno del sistema
l'entropia diminuisce, mentre quella totale dell'universo continua ad aumentare,
salvando così la validità generale della seconda legge.
La situazione reale dei sistemi fisici e dei sistemi biologici non è tuttavia
riconducibile ad un simile schematismo, in quanto parrebbe che allo stesso interno
del sistema le interazioni spaziali su larga scala dei vari elementi possono in qualche
modo sfuggire "spontaneamente" al disordine e generare forme ordinate
tamenti complessi [Nicolis and prigogine,1991]. Trattare questi problemi " "ò*po.-
ad un
livello più approfondito esulerebbe dagli scopi di questo lavoro, che intende offrire
solo una panoramica dei problemi oggi ancora aperti nel campo della complessità.
Un efficace esempio di cosa significhi complessità in un sistema fisico potrebbe
essere quello dei fenomeni di convezione termica. Se si prende un recipiente e lo
si riempie di acqua, lasciandolo a se stesso (sistema "chiuso") dopo poco tempo le
turbolenze del liquido che si avevano durante il riempimento spariranrà, l"
bollicine d'aria verranno a galla e si avrà un liquido omogeneo in cui tutte le parti
sono identiche, omogenee ed aventi la stessa temperatura. Le molecole d,acqua si
muovono nel massimo disordine (figura 20 A).
La tendenza del sistema all'equilibrio è piuttosto forte: se si applica una
perturbazione, per esempio rimescolando (energia cinetica) o immergendo un dito
(energia termica), dopo poco tempo l'acqua ritornerà ferma e disperderà l,energia
termica: non resterà traccia di questa perturbazione. Se però si sottopone questo
sistema adunflusso dienergia (vincolo), ad esempio applicando un calore stabile
che viene da sotto il recipiente e si disperde sopra (assumendo che le pareti laterali
non influiscano) si potranno verificare due diverse situazioni: fino ad un certo punto
il sistema trasferisce I'energia dall'acqua calda (sotto) a quella fredda (sopra),
secondo una "semplics" convezione termica, si avrà cioè un nuovo equilibrio, con
molecole che si muovono caoticamente più veloci negli strati bassi, caoticamente
più lente negli strati più alti (figura z0B).Anche in questo nuovo equilibrio, però,
le molecole si muovono disordinatamente, a velocità maggiore o minore a seconda
della temperatura. Ad un certo punto, detto punto critico, nel liquido si cominciano
a manifestare movimenti massicci, collettivi, dell,acqua. La continuità
del gradien-
Complessità, informazione e integrazionè 177

(c A L o R E)
trlr$t
y,,.'({-r!Z-Ài\'-.,1àtrìr(tl)ì|ìrrr{-}
A
9lìi(,Q;+lK,)'lìi',-i,i.ìi'.r-l-
t$rltl
(cALOR=)

ààÀ*.ÀÉ&*ÀÀà.ÀtuÈ;}"§,à.#éSiàe
CALORE

3$1131$§$§1
.(9jÌri§{ìK,}l[§s.rEtiii
$31911$$$§$
*'È Èaaéé,, A à&hAÀà$ ÉÀtàÀ
CALORE
Figura 20. Formazione delle celle di Bénard. Sono schematicamente raffigurati i
movimenti vettoriali di molecole d'acqua in un recipiente chiuso tra due
pareti, superiore e inferiore, sufficientemente ampie per cui le pareti laterali
sono ininfluenti. Per semplicità, è rappresentata solo la sezione del recipiente.
A: situazione in equilibrio; B: nuovo equilibrio, determinato dal flusso di
energia termica; C: rottura dell'equilibrio, con comparsa di un
comportamento complesso (celle di Bénard).
178 C omplessità, informazione e integrazione

te termico dar basso al'alto si spezza e si formano


correnti ascendenti (di acqua
calda) e discendenti acquà pit rreaaa; più
.(di_ tor*uno l" ce,e
(figura 20 C). "t " di
convezione, o celle dj Bénarà
"oriao"tte
A questo punto, I'acqua non ipiù
n.l che dominava in precede nza,neT
sistema compare un certo tipo
di ìrdine, "uo.
come se Ie molecore si mettessero
muoversi in file, obbedienti a qualche',coordinamenro,, a
molecola del fluido "conoscesse" ,up"rìore. È come se ogni
Iu poririone ed 1 n,""ir"r,"
vicine e ne tenesse conto per delre molecole
il quadro d,insieme. eueste interazioni
Iungo raggio fanno sì quindi "orporà
il'.ot, ,on sia più determinaio soro dal,energiaa
"rr"
cinetica, dagri scontri casuari tra
*otecote, ma anche arii.'""ìr"r,ività.
aggiunge ir fatto che Ie nuove A ciò si
regole non irflu"nraro soro le
cella di convezione, ma anche it-"orporturento roi""or"..dentro,, una
di celle adiacenti: infatti due celle
adiacenti presentano moti con
Oi."rion" ài rotazione opposti.
continuando a fornire energia a
tale recipiente ideàie, ui ai ,op.,
valore critico si romperà I,ordi-ne. di un artro
collettivi, ma caotici) e poi il moto "orrrri*nno le "o.iaA.,t. turbolenze (moti
torneri ad essere quasi completamente
owiamente, ir massimò del disordinrn,ot""otu., caotico.
si raggiunge aro stato gassoso.
L',esempio fatto, pur nelra sua
schematica semprificazione, contiene
principali elementi compressità: ii nascere della ,,organizzazione,, sé i
in
.deila
sistema, nonostante Iesistenzaài di un
rorti tenaen ze afiacrescita d] entropia.
dine nel sistema considerato consiste euest,or_
neiu ai interazioni ..a rungo raggio,,
tra molte molecore d'acqua (si "o-purru
è calcolato che una cella di Bénard ne contenga
1020)' Esso è stato ottenuto circa
comunicando un flusso di
sistema aperto.
Quanto complesso e tuttora non completamente "r..gi;-;
compreso sia il comportamento
dell'acqua si può dedurre anche
Nella transizione di fase che porra
da #;;ro fenomeno: Ia sua crista,izzazione.
dal ilq;id" ar ghiaccio arrurt. r,uubassamento
di temperatura si ha un'espansion"
ar
degli altri Iiquidi), ma, ciÀ che più
,Jì,." (contrariamert. uiiu .,rugrande
parte
int.r"..u, è ra possib,ita ai comparsa,
condizioni, di figure ordinate quari in adatte
sono i cristairi di neve. N"i rio""o
reticolo crista,ino dato dai legami di
neve il
iarog.ro intermorecorari ha poco
lo svilupparsi dei rami neile-pit .rurii,.'iorrne, a che fare con
perché Ie dimensioni di queste
hanno un ordine di grandez)a
superiore ai diametri morecorari.
Quindi ciò che si verifica è ,n "nor*"r*te
complesso der vapore acqueo
quella fase in cui è sottoposto "orp-tar"nto in
ad un non-equiribrio durante
temperatura. euesto c iuiuurru,n.nto deila
,,Tff"':Hti*:
*ruj,;j:;;;;::1,,"J?[Ji]::r,i:ì:ffi #::J:f
sono stati descritti molti sistemi
capaci di generare un ordine
situazione caotica, sottoposta a partire da una
a determinati vincoli: I,ordine
(onde, strutture spaziari òome può essere spaziale
aneili, .oiil') o temporare (osciilazioni).
Esistono
Complessità, informazione e integrazione t79

perfino reazioni chimiche che si autoorganizzano in stati di non equilibrio nel


tempo. Il prototipo di queste reazioni è quella descritta da Belusov-Zabotinskij: in
essa i reattivi (si tralasciano i dettagli) generano un prodotto colorato che però non
è sempre costante, o sempre in aumento, bensì continua a comparire ed a scomparire
nel corso del tempo, tanto da potersi parlare di un orologio chimico.
se si formano sistemi ordinati nello spazio (es. cerchi, strutture a bersaglio,
spirali) significa che ogni elemento risente, per la sua_posizione e velocità, degli
altri del sistema: prende "ordini" o informazioni da quello vicino e si comporta di
conseguenza. Ne risultano fenomeni di cooperazione e di coerenza, per cui gli
elementi si dispongono in strutture ordinate. Se si formano strutture ordinate nel
tempo (es. oscillatori chimici, bioritmi, pulsazioni) significa che lo stato del sistema
in un certo istante "dipende" da quello precedente e "condiziona" quello successi-
vo. Nei sistemi complessi ciò non è equivalente ad un certo tipo di inerzia del moto
secondo le classiche leggi della fisica, perché tali strutture ordinate nel tempo
possono avere, anzi di solito hanno, andamento non lineare. c'è quindi una
trasmissione di informazioni elaborate in modo complesso nel tempo, quindi una
forma di memoria.
I biologi sono abituati a considerare questi tipi di ordine come la regola nelle
strutture cellulari (membrane, proteine filamentose, ritmi circadiani, ciclo cellula-
re, ecc.), ma recentemente anche i chimici ed i fisici hanno posto l'attenzione su
fenorneni di questo tipo che si verificano nella natura "non-vivente". ciò è
importante perché se la capacità di generare ordine si trova anche fuori dall'ambito
biologico, significa che si è di fronte ad un comportamento della natura fondamen-
tale e in un certo senso ancestrale.
ordine, informazione, complessità sono aspetti di uno stesso problema, che pare
avere sempre più rilevanza in campi della scienza che vanno dalla biologia alla
fisica, allo studio dell'evoluzione e dei sistemi sociali ed economici. Il contributo
derivante da un approccio fisico-matematico al problema della complessità è molto
superiore a quanto si potrebbe immaginare: se è vero che un sistema vivente con le
sue migliaia di diverse sub-componenti non assomiglierà mai ad un sistema
chimico a due o poche componenti e non potrà mai essere descritto da una formula
matematica, è d'altra parte vero che lo studio della complessità di sistemi "sempli-
ci" potrebbe consentire di scoprire alcune "regole fondamentali" di comportamen-
to che si ripetono sostanzialmente identiche in sistemi di diverso grado evolutivo.
Riassumendo: complessità è l'emergere di interazioni a lungo raggio tra
elementi di un sistema, con formazione di strutture spazio-temporali ricche di
informazione, di significato e dotate d,i qualche tipo di memoria. In questo consiste
il comportamento complesso nell'esatta accezione del termine, e non, come si
potrebbe credere, solo nel continuo aumento dei fattori in gioco, fatto che potrebbe
ingenerare, al più, complicazione, o confusione, nella descrizione del sistema
180 C omplessità, informazione e inte gr azione

indagato. La distinzione è ben più che semantica, in quanto se Ia complessità è una


proprietà peculiare di certi sistemi in particolari condizioni, si può sperare di
coglierne almeno alcune caratteristiche mediante calcoli teorici o esperimenti; se
invece la complessità coincide con complicazione sempre maggiore, ciò che si può
comprendere sarà inversamente proporzionale al numero dei fattori in gioco e una
descrizione attendibile del comportamento di sistemi a multiple componenti, come
quelli biologici, sarebbe praticamente preclusa.
In altre parole, la complessità di sistemi biologici (e dei loro risvolti patologici)
potrebbe essere affrontata e maggiormente compresa facendo riferimento ad un
quadro comune a tutti i sistemi complessi, ad un modello che è stato sviluppato in
sistemi chimico-fisici di riferimento. Conoscendo il comportamento di un sistema
su piccola scala, si potrebbero derivarne, per analogia, alcune proprietà di un
sistema enormemente più vasto. Un simile procedimento sfrutta le conoscenze
accumulate nello studio delle geometrie frattali, che stanno rivelando come in molti
aspetti della natura esista una sorta di "autosomiglianza", per cui le regole
fondamentali (anche espresse in formule matematiche) restano simili al variare di
scala. Nel particolare si ritrova I'immagine del contesto più vasto in cui tale
particolare è inserito (v. sezione 5.7).

5.8.2. Riassunto delle proprietà dei sistemi complessi

Senza voler owiamente esaurire in questa sede una problematica così ampia e
difficile, si possono riassumere quelle che sono le caratteristiche, le proprietà
peculiari, i modi di funzionamento dei sistemi complessi così come molte discipli-
ne stanno oggi rivelando:

a) Un sistema complesso presenta proprietà che sono superiori alla somma delle
sue componenti.
Dalle interrelazioni dei sotto-sistemi si generano nuove funzioni, come ad
esempio nel campo della fisiologia i potenziali elettrici di membrana a livello
cellulare, o il controllo della pressione arteriosa a livello del sistema vascolare,
o il pensiero e le emozioni a livello del sistema nervoso centrale. Le nuove
funzioni non sono deducibili dall'analisi delle sub-componenti, anche se sono
condizionate e determinate da esse.

b) Nel sistema complesso non tutti i comportamenti sono teoricamente predicibili


e sperimentalmente riproducibili.
Ad esempio, nel sistema delle celle di Bénard sopra descritto, si può predire e
riprodurre il fenomeno della comparsa dei moti convettivi oltre un valore soglia
Complessità, informazione e integrazione 181

di temperatura, ma non si può predire quale sarà la direzione (ad esempio


rotazione destrogira o levogira) del moto dell'acqua di una cella in un certo
spazio del recipiente. Quest'ultimo parametro è scelto dal sistema a caso,
probabilmente a seguito di impercettibili fluttuazioni dei moti casuali delle
molecole nel momento critico in cui il flusso ordinato tende a iniziare. Quindi
il comportamento di un sistema complesso è frutto di una cooperazione tra
determinismo e caso. Anche il sistema immunitario è caratterizzato da tale
proprietà: i linfociti generano continuamente nuovi recettori con sequenze
casuali, poi I'informazione che entra sotto forma di un antigene seleziona i cloni
corrispondenti e li induce a proliferare, grazie all'intervento di molte altre
compònenti del sistema stesso (recettori, memoria immunologica, altri linfociti,
citochine, ecc.).

c) Un sistema che segue le leggi della complessità non sempre si comporta in modo
lineare, cioè gli effetti non sono sempre proporzionali alle dosi di un certo
fattore che modifica l'equilibrio.
Le conseguenze di tale fattore possono teoricamente essere molto varie. Ad
esempio, si può dare il caso che una perturbazione venga "assorbita" senza
lasciare traccia, cioè che provochi una modificazione in un parametro, subito
seguita da un ritorno allo stato iniziale (feed-back negativo).
È possibile anche che la reazione del sistema sia tale che si abbiano oscillazioni
dei parametri, anche in senso opposto alla perturbazione iniziale (quello che in
farmacologia si potrebbe definire un effetto rebound). D'altra parte, è possibile
che minime variazioni delle condizioni iniziali o minime perturbazioni possano
attivare dei cicli di auto-catalisi (feed-back "positivo"), o adatti sistemi a cascata
di amplificazione tra loro concatenati, con grandi effetti risultanti: è il cosiddetto
"effetto farfalla", per cui tipico è il detto che il battito d'ali di una farialla in
Brasile può scatenare, o fermare, un uragano in Texas! lLorcnz,1979; v. anche
Nicolis e Prigogine, 1.991, pag. 1.44).
Infatti il campo della meteorologia è uno di quelli in cui il problema della
complessità e del caos è stato compreso in modo molto sistematico, per la ben
nota difficoltà nella previsione del tempo. Sistemi di amplificazione sono però
presenti a tutti i livelli degli apparati di ricezione di stimoli esterni da parte di
un sistema complesso. La"dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali" è una
proprietà fondamentale dei sistemi complessi che giustifica la comparsa di
dinamiche caotiche, l'imprevedibilità e la non linearità delle risposte [Ruelle,
1,ee1l.

d) I sistemi complessi hanno rivelato un'altra proprietà peculiare: la bistabilità.


Date le stesse condizioni esterne ed interne (temperatura, concentrazioni
182 Complessità, informazione
e integrazione

chimiche, parametri matematici, ecc.) ir sistema può


assumere stati diversi. La
scelta tra uno stato e'altro possib,eiipende
spàsso dara.,sloria passata,,
sistema stesso' Ad esempio, quando del
,iJor.id"ru u-n Iiquido .,perfetto,, il punto
di fusione e di congeraménto
coincid*o, ,nu qrundo siconsidÀrano
aggregate di delre forme
morecore che sono una via
dr *"rroir"liqria" e sorido (i
microaggregati), i.due punti possoro
diff"rir" ur"r," aiioìà: scaldando un
solido fatto di microaggreguìi,
ud una certa temperatura si ha
raffreddando Ia soruzione,-i Ia fusione,
microaggregati restano i, ra."
temperature più basse di quelre liquida fino a
che arriiano quando erano in
della fusione. A una stessa temperatura, fase sorida prima
le molecore sono in fase solida o in fase
liquida a seconda del.roro.tuìo pr""eLnte:
se vengono da una fase riquida
tendono a restare Iiquide, se vengono
da una fase soridi tendono
u r"rrrr" soride.
Questi moderi sono ritenuti Àorto u,iii
processi di transizione di fase,
p., studiare sempre più a fondo i
che, come è ben noto, .ono oli"rrinanti
nei sistemi viventi (vedi i continui anche
feno-.ri di porimeriz ,urion-"e depolimeriz_
zazione delle macromolecole
cellulari).

è regolato da modi d.i comunicazione


"' Y:;x"flesso adeguati at grad,o
Ad esempio re comunica zioni tradue
morecore (sistema relativamente
ce) consistono in attrazioni o repulsioni sempri_
erettrostatiche, ecc.,
le comunicazioni
tra più gruppi di morecore
§istema complesso) sono rappresentate anche
dinamiche ondulatorie e variazioni.purio'-t",,porari da
(osciIazioni di particolari
molecore segnare), re comunicazioii
tra organi e sistemi sono affidate
ulteriori sistemi complessi che usano.orunr"uriori ad
,iu (ormoni) che
fisiche (potenziari d'azione). rr "rri.i"i.
tra rnaruiaui iiuersi sono poi
affidate ad altri mezzi qualiparole,"o*uni"uzioni
scrittl sguardi, trasmissioni via cavo
etere' ciò significa che se si vuole o via
'l'"nt aréne,a rete di comunica zioni,,(con
scopo di capirla ed eventuarmente ro
di influenzarla) si deve idealmente
stesso o gli stessi metodi di comuricazione usare lo
der .irt"*u di interesse.
Questo fatto Io n'nr: capito-benJgrilsicrriat.i
che, pur"g;;;;
disponendo di una
vastissima batteria di moiecore
urtuil"nà efficaci come neurotrasmettitori
inibitori della trasmissione, u"n" o
.urro questo approccio molecolare
condizionare ma non risolvere "he può
un problema psichiatrico la cui radice sta in
disordine affettivo, rerazionare un
Il ";;p;;;;renrare
paragone però può essere estraporaìo [v. ad es. Andreori, 1991].
anche ad aitri campi deila medicina,
perché quanto più si studiano,
un"h. artri sistemi si riveranà costituiti
interattive rra ceilure e centri murticeilurari da reti
no alle reti neurari. Se un sistemu
che sur pruno qruiiiuiiio assomigria_
.i ..gola con comuni cazionicostituite da
sinergismi fra più morecore agenti
i, uuri" ào.i, per entrare in tare rete in modo
Complessità, informazione e integrazione 183

efficace si dovrebbe, teoricamente, usare lo stesso metodo: modulatori in basse


dosi sfruttando sinergismi ed antagonismi. Usando invecemodulatori di un solo
tipo molecolare ed in alte dosi, si ottengono sì effetti, anche nella direzione
desiderata, ma non in completa armonia con il sistema stesso, così che ne
derivano notevoli effetti collaterali indesiderati.

f) I sistemi lontani dall'equilibrio sono suscettibili non solo di drammatici


cambiamenti, ma anche di "memoria" spazio-temporale di tale cambiamento.
La memoria in questo contesto significa la possibilità di un cambiamento
irreversibile. Contrariamente a quanto avviene in un sistema in equilibrio
reversibile al cambiare dei parametri esterni o interni (v. figura 19), in un sistema
complesso si può raggiungere una situazione in cui si ha la "rottura di simme-
tria", la modificazione irreversibile. Piccoli e localizzati tentativi di deviare
dall'equilibrio non vengono necessariamente fatti fallire da una contro-azione
istantaneamente sviluppata, ma possono essere accettati o anche amplificati dal
sistema, diventando così sorgenti di innovazione e di diversificazione. In
termini matematici questo fenomeno è detto biforcazione, o rottura di simme-
tria. Se è vero che di solito le fluttuazioni casuali o le perturbazioni possono
essere smorzate, oltre certi valori critici, o in presenza di adatte condizioni
ambientali, questi effetti non sono annullati, ma agendo il sistema come un
amplificatore, si instaura una reazione che allontana il sistema dallo stato di
riferimento. Si ha cioè l'instaurazione di un nuovo stato del sistema che non è
più riportabile allo stato precedente. Questo fenomeno è stato molto importante,
fra l'altro, nella evoluzione delle cellule: la rottura di simmetria spaziale
verificatasi ad esempio quando delle membrane hanno cominciato a separare
ciò che è interno da ciò che è esterno alla cellula costituisce un salto irreversibile
nella organizzazione dei sistemi viventi, in quanto proprio attraverso queste
partizioni si ha un guadagno di informazione e di complessità che favorisce
l'esistenza di un nuovo stato rispetto al precedente.
La complessità quindi si associa con la memoria, owero il deposito dell'infor-
mazione: un evento precedente nel tempo può influenzare altri successivi.
L'informazione ha una speciale capacità di essere trasmessa, e quindi di
generare effetti consequenziali sul sistema ricevente, ma anche di essere
depositata, di permanere come memoria di eventi successivi. L'evoluzione sia
del macrocosmo che del singolo individuo (embriogenesi, poi sviluppo e
crescita) è una progressiva crescita di informazione.

g) Nel comportamento dei sistemi complessi è molto più importante la qualità


della informazione che la quantità, o I'energia consumata per fornirla.
Il sistema biologico, in particolare, ha sviluppato e ha in sé integrati i sistemi di
Complessità, informazione e integrazione

produzione edi utilizzo dell'energia, per cui è sufficiente fornire al sistema una
informazione in modo che sia recepita ed elaborata così da evocare risposte a
cascata che possono essere anche enormemente superiori, come quantità di
energia e di informazioni, allo stimolo iniziale che l'ha messa in moto.
Un riferimento all'esperienza comune potrebbe rendere I'idea di questo impor-
tante principio. si immagini di avere un grosso peso, come una damigiana sul
pavimento e di volerla mettere su un tavolo. Per sollevarla di un metro da terra,
si impiegherebbe una energia di 100 Joules, ovvero24 calorie. vi è però un'altra
possibilità per sollevare il peso senza consumare tanta energia: chiamare un
amico robusto e dirgli "solleva il peso, per favore, che poi ti offro un bicchiere
di vino". Egli recepisce il messaggio, lo valuta e decide di soilevare ra
damigiana. si ottiene 1'effetto consumando molta meno energia, cioè quella
necessaria per pronunciare un paio di frasi, forse 1 o 2 Joules. Si sarebbe potuto,
forse, consumarne ancora meno usando solo uno sguardo di intesa, come
awiene tra amici. L'energia di 100 Joules l'ha trovata l'amico nei suoi muscoli.
L'amico è un sistema complesso, dotato di recettori (orecchie od occhi), di
trasduttori (cervello), di sorgenti di energia (metabolismo), di sistemi effettori
(muscoli ed ossa). La cosa importante, per ottenere l'effetto desiderato, è stato
dare l'informazione giusta nel momento giusto alla persona capace.
Gli esempi si potrebbero allargare a volontà, fino a mostrare come la conoscen-
za, la trasmissione o la manipolazione di informazioni, informazioni cruciali in
momenti particolari, possano cambiare la storia di persone e di popoli. euanto
più un sistema è complesso e "flessibile", tanto più "sottili" possono essere le
energie capaci di alterarne il comportamento.

h) Nella descrizione e nella comprensione dei sistemi complessi è molto utile, forse
indispensabile, fare uso di archetipi e di analogie.
ciò è stato messo in luce molto bene da Nicolis e prigogine [Nicolis e prigogine,
1991]. Per analogia si intende quella somiglianza tra due sistemi distinti, che
può servire a comprendere meglio l'uno sulla base delle conoscenze già
raggiunte sull'altro. Tramite l'uso della analogia è quindi possibile costruire
modelli più avanzati rispetto a quelli attuali e fare previsioni su sistemi ignoti
a partire da sistemi noti (di solito chimico-fisici, o matematici) che fungono da
"archetipo", cioè da riferimento.
Scrivono gli autori citati: "I sistemi fisico-chimici che danno origine a fenomeni
di transizione, all'ordine a lungo raggio, ed alla rottura della simmetria lontano
dall'equilibrio possono servire come un archetipo per capire altri tipi di sistemi
che mostrano un comportamento complesso, per i quali le leggi di evoluzione
delle variabili coinvolte non sono note ad alcun livello confrontabile di
dettaglio. (...) L'analisi procede in due passi. primo, vengono tratte certe
Complessità, informazione
e integrazione
1g5
analogie fra Ie oss"^ tq>i^^: _ .,
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6. OMEOSTASI, COMPLESSITA
E OMEOPAIIA:
LA "LEGGE DI SIMILITUDINE"

La relazione tra i concetti esposti nel capitolo precedente e la terapia omeopatica


non è forse direttamente evidente, ma-è molto profonda: l'omeopatia si presenta
come un approccio che privilegia il "sottile" rispetto al macroscopico, la regolazio-
ne dell'omeostasi rispetto all'intervento drastico su un singolo fattore modificato
dalla malattia, l'equilibrio dell'organismo rispetto all'organo, in un certo senso
privilegia l'informazione rispetto alla materia. La stessa "legge di similitudine",
caposaldo della teoria omeopatica, è fondata su un ragionamento analogico-
empirico prima che logico-induttivo.
L'omeopatia non può essere compresa se non all'interno del paradigma della
complessità.
In questo capitolo si cercherà di analizzare il rapporto tra complessità ed
omeopatia, senza pretendere, però, di risolvere tutte le questioni sollevate dal-
l'omeopatia, ma limitandoci, per adesso, ad affrontare la discussione sulla "legge
di similitudine" enunciata da Hahnemann e sull'effetto di piccole dosi di sostanze
farmacologicamente attive. In altri termini, per tentare di fare chiarezza su una
questione così intricata, si è scelto di "scorporare" il problema delle dosi infinite-
simali, trattandolo successivamente (cap. 7).
Qui l'omeopatia sarà trattata come un approccio terapeutico che usa composti
in basse dosi somministrate secondo una logica diversa da quella allopatica.IJn
simile procedimento ha una sua giustificazione nella storia stessa dell'omeopatia,
dove sia il fondatore che le varie scuole hanno posto al centro la legge dei similipiù
che il problema delle diluizioni, e nella sua pratica applicazione odierna, dove si
riscontra che una parte importante dei farmaci venduti come "omeopatici" conten-
gono effettivamente dosi ponderali di sostanze di origine minerale, vegetale o
animale. Tutte le preparazioni contenenti diluizioni inferiori a D20 o 10CH
rientrano in questa categoria.
Utilizzando un simile procedimento, si potrà trattare del possibile meccanismo
d'azione del rimedio omeopatico senza dover necessariamente presupporre come
accettata la famosa "memoria dell'acqua", che giustificatamente può non concor-
dare con il ragionamento biomedico attuale.
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine» t87

In sintesi, l'ipotesi qui considerata è la seguente: il farmaco omeopatico


funziona apportando una informazione adeguata alla complessità dell'organismo
con cui interagisce. Tale ipotesi viene qui di seguito illustrata in dettaglio e per
gradi.

6.1.1\Iodo d'azione del farmaco omeopatico

Il possibile meccanismo d'azione di un rimedio omeopatico va cercato al livello


della regolazione dei sistemi omeostatici complessi. È necessario quindi rifarsi a
quanto già esposto in precedenza sulle caratteristiche di funzionamento dei sistemi
omeostatici (sez. 5.4). In una prima approssimazione, si cercherà di considerare i
fenomeni essenziali delle variazioni dell'omeostasi e dell'intervento regolatore
dell'omeopatia. Successivamente, lo schema sarà arricchito di varianti e discusso
nelle sue possibili applicazioni.
Dato un sistema omeostatico quale quello descritto in figura 8 (pug. 135), si
consideri una sua modificazione quando entra in campo una perturbazione di tipo
patologico che sposta l'equilibrio eccessivamente versoA'(figura 21). Si potrebbe
quindi considerareA la condizione normale edA'la condizione patologica, nel
senso di una oscillazione eccessiva del parametro considerato. Un'altra possibilità
è cheA' sia un evento patologico nel senso della presenza di alterazioni biochimi-
che derivate dall'esterno, cioèA'sia di origine esogena, come un antigene estraneo
o una molecola tossica: il discorso successivo non cambia. A questo punto A'
produce molto segnale a' che andrà ad attivare il sistema di regolazione in modo
molto marcato. Si è visto che, a seguito dell'aumento del segnale a',il sistema
recettoriale specifico si sensibilizza, cioè, semplificando, espone maggior numero
di recettori per a' (v. il fenomeno del "priming" omologo, di cui si è parlato in
precedenza, nelle sezioni 5.2.1 e 5.6.2).
Il sistema regolatore sensibilizzato aumenta la sua attività producendo più
segnale r che, a sua volta, spingerà i meccanismi effettori (A'- >A) verso la
condizione normaleA. In questa prima fase della malattia l'organismo reagisce in
modo logico ed efficiente verso il riequilibrio e la guarigione. Ad esempio, se a' è
una molecola "giudicata" abnorme come qualità o quantità dal sistema regolatore
"immunità", il sistema produrrà più recettori per a' (in questo esempio, anticorpi
e recettori di linfociti T) e più segnali r (interleuchine, citochine, interferoni) i quali
a loro volta spingeranno il sistema effettore "fagociti" o "complemento" a ripristi-
nare la normale omeostasi eliminando l'eccesso diA'e riportando la condizione ad
A (guarigione).
In questa prima fase della malattia, che si potrebbe considerare perfettamente
"fisiologica", avvengono altri fenomeni degni di nota: il primo riguarda Ia compar-
188 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

Aftivozione del
sisfemo regolotore
'Ptmlng'omologo
ed eterologo
Aumento
§gnoli

*@) +
*@» {>
*(@» {>
@@@
+ 7\ Altrl sistemi
Compenso
o reozione
Segnl, siptqmi,.
e vonozoru ol /
indici biochimici

Figura 21. Schema delle modificazioni indotte da una perturbazione esterna in un sistema
omeostatico. La situazione di partenza ("disequilibrio controllato") è quella
descritta in figura 8. La condizone perturbante è ipotizzata essere quella che
incide sul sistema effettore A->A'o direttamente su A', portando ad un
aumento eccessivo di tale parametro. All'aumento del segnale a', il sistema
regolatore viene attivato e reagisce tentando di reintegrare l'equilibrio
perduto. Per le dinamiche recettoriali presentate in questo modello, vedi anche
il testo.
Omeostasi, complessità e omeopatia: la
"Legge di Similitudine» 189

DerenslbillzoXone
omologo verso (o')
Aumenlo
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verso oltrl segnoll
*(@»
*@»

-60
"*,LX:ss,em
compenso

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Ridttzione effelti di (r')

Figura 22. Disordine di un sistema omeostatico dovuto alla permanenza della


perturbazione. si ipotizza che la condizione perturbante sia grave e duratura,
così da produrre un forte e costante aumento del segnale a, nonostante
l'impegno del sistema regolatore. In queste condizioni, il sistema regoratore
può adattarsi riducendo la sensibilità per a', con notevoli conseguenze
sull'evoluzione del processo patologico.
190 Omeostasi, complessitò e omeapatia: la
"Legge di Simititudine"

sa di sintomi. I segnali che regolano i sistemi omeostatici sono dotati generalmente


di notevole ridondanza e pleiotropicità, nel senso che sono in grado di attivare in
vario modo molteplici sistemi. Quindi a'darà segno di sé producendo qualche
sintomo in dipendenza dei sistemi che andrà ad attivare. si è già detto (se2.5.1) che
i sintomi sono di solito legati alla attivazione di sistemi endogeni più che all'effetto
diretto dell'agente eziologico. I sintomi quindi derivano da effetti "collaterali"
prodotti da a'attivando i sistemi omeostatici specifici. Nello schema riportato in
figura 21 appariranno quindi sintomi provocati da a', ma anche sintomi provocati
da altri segnali prodotti dal sistema regolatore. Rifacendosi all'esempio preceden-
te, un aumento di a' e r potrà provocare sintomi derivati dall'attivazione del sistema
immunitario,legati agli effetti "collaterali" degli anticorpi, del complemento, delle
citochine (febbre, leucocitosi, spossatezza, sonno, ecc.).
Un secondo evento che si deve segnalare è la comparsa di nuove sensibilità
legate alla esposizione, da parte del sistema di controllo, di nuovi recettori, per
sostanze diverse da a'. Anche questo fenomeno rientra negli eventi del "priming"
(priming eterologo) e, in generale, di tutte quelle modificazioni delle sensibilità
recettoriali e delle attività di sistemi omeostatici di compenso, connesse alle
condizioni patologiche, trattate ampiamente in precedenza (v. in particolare la
sezione 5.6.3 e la figura 15, pag. 159). I sistemi omeostatici coinvolti nelle
regolazioni reattive sono alterati quindi non solo specificamente per I'agente
eziologico, ma secondo uno spettro di specificità più vasto. Anche questo è stato
ben dimostrato in molte condizioni: gli interferoni prodotti a seguito di una
infezione virale o batterica inducono una maggiore resistenza anche verso altri
virus, altri batteri e persino cellule tumorali; un trattamento con barbiturici induce
nel fegato un aumento di attività dei sistemi microsomiali, che può servire a smaltire
con maggior efficacia anche altri farmaci e tossici; quando i leucociti vengono a
contatto con endotossine si sensibilizzano anche per altri prodotti batterici come i
formilpeptidi; quando il principale sistema di detossificazione epatico (citocromo
P450) è attivato dalla cronica assunzione di sostanze tossiche diviene più capace di
metabolizzare altre sostanze. Vi è quindi un certo allargamento del ventaglio di
sensibilità specifiche in un sistema di controllo attivato durante una malattia.
Dopo questa prima fase reattiva, se la perturbazione dell'omeostasi continua, il
sistema di controllo può subire una importante evoluzione: esso si adatta alle
mutate condizioni sopprimendo progressivamente la sensibilità per il segnale
abnormemente aumentato e persistente (figura 22). L'adattamento consente al
sistema in qualche modo di "convivere" con la malattia, che altrimenti richiedereb-
be eccessivo dispendio di energie (continua attivazione sia del meccanismo A-
>A' che A'- rA) ed eccessivi problemi a livello di sintomatologia. Sul piano
molecolare, Ie cellule riducono fino alla scomparsa i recettori per a', oppure ne
riducono Ia affinità, oppure ne alterano in senso diminutivo le comunicazioni con
-i,91
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

i sistemi effettori (nel nostro caso, produzione di r). In generale, questo fenomeno
è specifico a livello recettoriale: sono cioè i recettori occupati che spariscono,
mentre gli altri rimangono, o addirittura aumentano. In altre parole, la desensibi-
lizzazione tende ad essere agonista-specifica (anche se, ovviamente, solo possibili
eccezioni e varianti che riguardano associazioni tra gruppi di recettori diversi, stati
cellulari di esaurimento globale di tutte le attività, ecc..).
Facendo riferimento a questo schema fondamentale e per forza di cose sempli-
ficato, è quindi possibile ipotizzare il modo d'azione del farmaco omeopatico
(figura 23). Esso attiva il sistema di controllo attraverso altri recettori, diversi da
quelli per a', ma che ottengono lo stesso effetto: far riprendere Ia produzione di
segnale r e quindi far attivare il meccanismo di compenso A'- >A. Il farmaco
omeopatico agirebbe quindi in sostituzione di a', per il quale il sistema non è più
sensibile in quanto adattato.
Su cosa si basa tale ipotesi? Essa si fonda sul fatto che il farmaco omeopatico
deve necessariamente interagire col sistema regolatore in oggetto, perché è stato
individuato proprio in base alla sua capacità di provocare sintomi simili alla
malattia, cioè sintomi simili a quelli provocati dal mediatore a' tramite la
attivazione del sistema regolatore. È chiaro che, se è vero che la maggior parte dei
sintomi in una condizione patologica sono dovuti alla attivazione dei sistemi di
reazione omeostatici, dovrebbe essere possibile in qualche modo "riprodurre" la
attivazione degli stessi sistemi omeostatici somministrando un composto che
"riproduce" i sintomi della malattia. Teoricamente, nel sistema sano, non perturba-
to, i sintomi della malattia potrebbero essere prodotti dallà somministrazione di a'
e di r, oppure di una sostanza che attiva il sistema regolatore attraverso recettori
diversi da quelli per a'. Nel sistema malato, a' è già presente in gran quantità e
provoca effettivamente i sintomi, ma, se scatta il meccanismo dell'adattamento
recettoriale, si può entrare in una situazione in cui i sistemi di regolazione "si
paralizzano", sono inefficienti, squilibrati essi stessi. Poiché però il sistema di
regolazione nella malattia conserva altre sensibilità, anzi probabilmente le accen-
tua, se si impegnano tali sensibilità con altri segnali, è possibile riattivarlo.
Applicando al sistema regolatore un segnale " simile" ad a' (nel senso che provoca
sintomi simili), si evoca la risposta r e quindi il ritorno alla normale omeostasi.
Lasimilitudine è quindi tra i sintomi provocati dalla attivazione dei meccanismi
reattivi da parte del processo patologico nel paziente e i sintomi provocati dalla
attivazione degli stessi meccanismi reattivi in un soggetto sano da parte di un agente
esterno biologicamente significativo (in questo caso, il farmaco omeopatico).
L'ipotesi qui esposta si basa, in sintesi, sui seguenti punti:

a) nel dinamico evolversi di un processo morboso, specifici sistemi di regolazione


omeostatici possono subire uno "stallo", o bloccarsi, in seguito all'eccessiva
192 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

Rimedio
omeopotico
I

--E:

{>
@ REGOI.AIORE

{>
@

Figura 23. Rappresentazione schematica e molto semplificata del possibile modo con cui
un farmaco con modo d'azione "omeopatico" (o) potrebbe ri-attivare il
sistema regolatore ed il circuito omeostatico.

stimolazione o in seguito all'interferenza di altri fattori patologici (problemi


metabolici, nutrizionali, tossici, desensibilizzazioneeterologa, disordini neuro-
ormonali, squilibri idroelettrolitici, ecc.);
b) fintanto che il processo patologico non intacca troppo profondamente e in modo
irreversibile i sistemi di regolazione, tale blocco può essere by-passato utiliz-
zando diverse sensibilità recettoriali (per sostanze esogene o endogene) che i
sistemi perturbati stessi conservano o addirittura accentuano;
Omeostasi, complessità e omeopatia: la
"Legge di Similitudine" 193

c) l'individuazione delle sostanze adatte per ri-attivare i sistemi omeostatici


specificamente bloccati in un determinato processo patologico difficilmente
può essere raggiunta con precisione in ogni singolo paziente, a causa della
complessità, varietà e molteplicità dei sistemi coinvolti ed a causa della natura
dinamica e mutevole delle malattie;
d) l'approccio omeopatico, in particolare mediante 1':utilizzo della analogia (legge
di similitudine) consertte di awicinarsi alla individuazione delle sostanze
capaci di interagire specificamente con i sistemi omeostatici coinvolti nel
processo patologico in ogni singolo caso.

Non si può non citare a questo punto quanto scriveva Hahnemann, che per primo
intuì questo approccio terapeutico (perdonandogli, ovviamente, le esagerazioni):
"Il potere di guarigione delle medicine si basa quindi sui loro sintomi (*) di forza
superiore simili a quelli della malattia, cosicché ogni singolo caso di malattia viene
rimosso e distrutto nel modo più sicuro, più radicale, più rapido e più duraturo
soltanto da un medicamento che sia capace di produrre nell'organismo umano la
totalità dei sintomi nel modo più simile e più completo e nel medesimo tempo superi
in forza la malattia. Poiché questa legge salutare di natura si manifesta in tutte le
prove pure (* *) e in tutti gli esperimenti puri del mondo, è dimostrato che il fatto
esiste; poco importa sapere scientificamente il perché questo avvenga ed io ci tengo
poco a tentarne la spiegazione. Pur tuttavia la seguente ipotesi è la più probabile,
perché si basa su chiare premesse sperimentali. Poiché ogni malattia (non di
spettanza della chirurgia) consiste in una perturbazione patologica dinamica della
nostra forza vitale (principio vitale), il principio vitale, perturbato dinamicamente
dalla malattia naturale, nella cura omiopatica viene attaccato da una affezione più
forte, simile, artificiale, determinata dalla somministrazione di una medicina
potentizzata e scelta esattamente per la somiglianza dei sintomi" (par.27 ,28 e 29
dell'Organon).
Quanto qui presentato ha lo scopo di costruire, a livello di biologia cellulare e
molecolare, un modello che rende conto dell'effetto del farmaco omeopatico. Tale
teoria è basata su uno schema estremamente semplificato, forse semplicistico, ma
ciò è necessario per enucleare con chiarezza il concetto centrale, attorno a cui
individuare svariati altri problemi, che saranno qui di seguito discussi.

Cioè quelli che le medicino sono in grado di provocare sull'uomo sano.


Per espcrienza pura Hahnemann intende quella fatta sperimentando i rimcdi su soggetti
sani e malati.
194 Omeostasi, complessità e omeopatia: la
"Legge di Similitudine,

6.2. Discussioni sul modello presentato

Le teorie ed i modelli esposti nella sezione precedente non hanno la pretesa cli
rappresentare l'unica spiegazione della azione del farmaco omeopatico, ma solo un
primo abbozzo di un'ipotesi che certamente andrà modificata ed integrata da nuove
acquisizioni e nuovi concetti. La teoria sopra esposta offre un quadro di riferimento
attorno a cui si devono fare varie precisazioni e di cui si devono discutere alcuni
corollari, estensioni e varianti.

6.2.1 . L'aggravamento

Dallo schema presentato in figura 23 risulta che la somministrazione del


farmaco omeopatico potrebbe provocare dei sintomi correlati alla ri-attivazione del
sistema regolatore. Per quanto le dosi siano basse, la terapia di riattivazione può
comunque provocare effetti che in qualche modo assomigliano alla malattia, o che
possono apparire come un riacutizzarsi della sintomatologia. Infatti la attivazione
del sistema di regolazione non comporta solo la produzione di segnali direttamente
indirizzati al ripristino dell'omeostasi, ma anche di segnali che vengono trasmessi
a sistemi che producono sintomi. Questo è un fatto ben noto nella pratica
omeopatica, tanto che è definito "aggravamento omeopatico". È il prezzo che si
deve pagare alla rimozione dei sistemi di adattamento. È anche possibile che, se la
malattia attuale è il risultato di eventi patogenetici successivi, la regressione
dell'ultimo evento si accompagni alla ricomparsa di sintomi precedentemente
scomparsi. La terapia omeopatica, in questo senso determina un ripercorrere
all'indietro la storia di una malattia o persino la storia patologica di un paziente, con
un procedimento che potrebbe trovare un analogo nella terapia psicanalitica. Un
simile concetto è stato proposto anche da altri [Laplantine, 1988].

6.2.2. Ulteriori gradi di complessità

Lo schema della figura 23 (se2.6.1) va ampliato in considerazione del fatto che


i sistemi omeostatici sono tra loro integrati in reti complesse. In questo sta una delle
massime intuizioni dell'approccio omeopatico. Infatti è chiaro che, in presenza di
una rete praticamente inestricabile di sistemi omeostatici, non è possibile, nel
singolo caso, sapere dettagli sufficienti dello stato di ciascuno per poter applicare
correttivi farmacologici adeguati. Ad esempio, nel corso di una malattia infettiva,
potremmo sapere che il centro termoregolatore è alterato ed attuare una terapia
mirata tale da riportarlo al normale equilibrio (ad es. terapia antipiretica), ma non
si può contemporaneamente sapere a che punto si trova il centro della sete, della
fame, la attività macrofagica della milza, la sintesi epatica di vari mediatori del
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine" 195

complemento e degli antiproteasici,l'influsso dello stato psicologico del paziente


sulla regolazione della pressione o la pervietà delle vie respiratorie, il rapporto tra
le varie sottopopolazioni di Iinfociti, il tasso di fattori di crescita del sangue, la
funzionalità tiroidea e corticosurrenale, ecc. Se poi anche potessimo sapere,
mediante opportune analisi, dettagli di questi ed altri sistemi, non è detto che
riusciremmo poi ad attuare terapie coordinate tra i vari dis-equilibri così da aiutare
veramente l'organismo del paziente a re-integrare l'ordine biologico. Nella mag-
gior parte dei casi, quindi, non resta che fare le terapie contro i fattori eziologici o
contro i sintomi. Troppo complessi sono infatti i sistemi di regolazione per poter
agire a questo livello (che è comunque il cuore della dinamica di un processo
patologico).
Ecco quindi in cosa consiste il progresso effettuato dall'omeopatia: essersi resi
conto di tale complessità del disordine informazionale della malattia ed aver trovato
l'unico modo per venirne fuori, quello empirico-sperimentale basato sulla legge di
similitudine. Infatti in tal modo si dispone di due serie di informazioni complesse
ed integrate: la serie di quelle relative al farmaco e Ia serie di quelle relative al
paziente. È vero che poco si sa su quali sono le alterazioni molecolari e cellulari e
soprattutto sulle loro intime correlazioni ("1'intima natura" di cui parlava Hahne-
mann), ma tali alterazioni e tale complessità in qualche modo si traducono nei
sintomi, che si possono osservare e documentare. Comparando sintomi del paziente
e sintomi del farmaco, si confrontano due immagini complesse, l'espressione didue
"patterns" reattivi che, se corrispondono, devono necessariamente far riferimento
agli stessi o simili sistemi regolatori nefl"'intimità" dell'organismo. Il farmaco
quindi "usa" gli stessi sistemi (che si può anche ammettere di non conoscere) della
malattia. È un modo di procedere tipicamente analogico (ciò che il medico
fondamentalmente cerca nell'atto della repertorizzazione dei sintomi è una analo-
gia tra il malato e il farmaco), ma, da quanto si è detto, pare anche un procedere
Iogico. L'approccio omeopatico non è una resa della ragione all'inestricabile
complessità, ma è un atteggiamento realistico di fronte ad essa. La complessità
viene accettata come un dato di fatto, ma, conoscendone qualche regola generale
(non linearità, feed-back, integrazioni, analogia), si riesce a supplire alla ignoranza
dei dettagli.
La azione del rimedio omeopatico si presenta come una azione altamente
specifica sul piano informazionale. Tale specificità si basa innanzitutto sulla natura
del farmaco in sé, cioè sulla bassa dose (in generale, tanto più bassa è la dose di un
farmaco, tanto è più facile che esso sia specifico perché agisce su quei pochibersagli
altamente sensibili) e sui suoi principi attivi, che sono di solito molteplici ed in varie
combinazioni (vedi la vastità della farmacopea omeopatica soprattutto di deriva-
zione vegetale ed animale e la sottigliezza delle distinzioni fra farmaci apparente-
mente molto simili come piante di una stessa famiglia, ecc.).
196 Omeostasi, complessità e omeopatia: la di Simititudine»
"Legge

La specificità non si basa però solo sulla natura del farmaco, perché in omeopatia
vengono usate sostanze apparentemente molto semplici (sali minerali, metalli), ma
è garantita soprattutto dalla particolare metodica di individu alizzazione sulla base
dei sintomi. Infatti tale metodica consente di :'identificare" il rimedio giusto per il
maggior numero di sintomi presenti, e quindi per il maggior numero di sistemi
omeostatici alterati.
Il farmaco omeopatico agisce tanto meglio quanto più il sistema è complesso e
sottoposto a dinamiche di regolazione fini. Non si può concepire un uso del farmaco
come un inibitore enzimatico, e chi ha provato a sperimentarlo come tale ha avuto
risultati negativi [Petit et al., 1989] o scarsi ed incerti [Harisch and Kreshmer,
19881. Le sperimentazioni riportate nel cap. 4 indicano che la ricerca sta mostrando
come sia più facile (o meglio, meno difficile) ottenere risultati positivi di diluizioni
omeopatiche quando i sistemi sperimentali sono costituiti da animali od organi
isolati piuttosto che cellule o enzimi.
L'omeopatia ha una farmacopea fatta da molte sostanze derivate dal regno
animale, vegetale e minerale. La maggior parte di queste sostanze (prescindendo
ancora dal discorso sulle alte diluizioni) sono estratti di materiali grezzi, non
molecole purificate o sintetiche. Ciò aggiunge un ulteriore grado di complessità sia
alla interpretazione del loro effetto che alla ricerca in questo campo. D'altra parte,
nella "logica" omeopatica non potrebbe essere diversamente. Se è vero che le
malattie hanno dinamiche complesse, l'intervento riequilibratore non potrebbe
essere fatto se non con un approccio complesso. Nella terapia ottimale, devono
essere raggiunti, in modo dinamico e mirato, molti diversi recettori simultaneamen-
te, di cui alcuni attivatori, altri regolatori, sia nella sfera psichica che nella sfera
fisiologica. La farmacopea omeopatica offre una vastissima scelta di rimedi con
caratteristiche diverse. L'unico, o quanto meno il prevalente, filo conduttore che
orienta in tale complessità è la similitudine dei sintomi tra paziente e rimedio.
Desta meraviglia constatare come l'organismo animale presenti multiformi
recettori capaci di ricevere informazioni da molteplici elementi presenti in altri
organismi animali, in fiori, radici di piante, una varietà di minerali. Spesso, tali
elementi sono dei veleni se usati alle alte dosi, fatto che indica la loro alta reattività
con i sistemi biologici.
che senso ha questa "corrispondenza" di informazioni tra il mondo esterno e
l'interno dell'organismo, corrispondenza che risulta in effetto dannoso o terapeu-
tico a seconda delle dosi? Le ragioni si possono ritrovare nell'evoluzione degli
esseri viventi: i veleni sono comparsi come prodotti di piante ed animali che li
utilizzavano vantaggiosamente a scopo difensivo ed offensivo;per sortire tali scopi
dovevano in qualche modo "mimare" sostanze presenti all'interno dell'organismo
bersaglio, altrimenti non vi sarebbe stata interazione specifica e quindi il danno
biologico cercato. Quindi, veleni e tossine, proprio in quanto tali, sono dei "simili"
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine, 797

a qualche struttura, recettore, enzima, molecola segnale che è già presente


dentro
l'organismo, probabilmente come mediatore di funzioni fisiologiche.
D'altra parte, sul piano evolutivo, si può capire perché la complessità del
rimedio (intendendo con questo Ia medicina che si rende disponibile o viene
scoperta in natura) si sia evoluta assieme alla complessità dell'organismo da curare:
gli esseri viventi hanno imparato, spesso a loro spese, a ,,riconoscere,, ciò che
nell'ambiente era utile a scopo terapeutico, in modo sempre più esperto. Le forme
di vita con un più ampio, versatile, flessibile quadro di apparati recettoriali (il
recettore è lo specchio del segnale) si sono meglio adattate al mutare delle
condizioni ambientali. Secondo questa veduta, un grande vantaggio evolutivo
avrebbero avuto quelle forme di vita che, sottoposte a stress endogeni o esogeni e
quindi affette da svariate malattie, hanno sviluppato gli apparati recettoriali capaci
di riconoscere specifiche sostanze (alimenti, piante, oligoelementi, vitamine, ecc..)
o altri segnali (luce, calore, campi magnetici) presenti nell'ambiente e utili per il
reintegro della normale omeostasi.

6. 2. 3. L' indiv idualizzazione

Il quadro di riferimento concettuale qui presentato consente di capire uno dei


capisaldi dell'approccio omeopatico, il fatto che una stessa malattia possa presen-
tare sintomi diversi, peculiari, in diversi soggetti e quindi richiedere trattamenti
diversi. A questo aspetto, l'individualizzazione della prescrizione, gli omeopati
hanno sempre dato grande importanza.
Una stessa malattia può risultare dalla alterazione di svariati sistemi omeosta-
tici, con sfumature particolari per ogni individuo, in dipendenza della sua costitu-
zione genetica, dell'età, di pregresse malattie, del tipo di dieta, e di altri fattori
intercorrenti esogeni. I sintomi "tipici" di una malattia, quelli ..diagnostici,, o
"patognomonici" secondo la visione convenzionale, sono uguali in tutti i soggetti
da essa affetti (ad esempio, la febbre nell'influenza, il mal di testa nell,emicrania,
l'ittero nella coledocolitiasi, ecc.). Tali sintomi sono di significato scarso nella
individualizzazioneomeopatica, che li chiama sintomi "/oc ali', o,,comltni,,,mentre
maggiore rilevanza è data a quei sintomi che si differenziano tra individui affetti
dalla stessa malattia. Questi ultimi sintomi sono detti sintomi,,peculiari,,. Ad
esempio, due soggetti con l'influenza possono entrambi avere Ia febbre, ma uno
sudare molto e l'altro no, uno essere prostrato e l,altro agitato (Belladonna e
Aconitum rispettivamente). La sudorazione e la prostrazione sono peculiari ed
indirizzano alla scelta del rimedio.
L'importanza dei sintomi peculiari, nell'ambito della teoria qui enunciata, si
giustifica sulla base del fatto che essi riflettono sia l'omeostasi
fisiologica del
paziente a prescindere dalla malattia, sia il modo di reagire, it mado di porsi di
198 Omeostasi, complessità e omeopatia: la
"Legge di Similitudine,

quell'organismo di fronte al turbamento dell'omeostasi attualmente in corso. Non


si deve dimenticare che tutti i sistemi omeostatici sono fra loro in collegamento, per
cui la modulazione dell'uno non può non avere riflessi sugli altri. Nell,esempio
fatto, sembra evidente che lo squilibrio di altri sistemi omeostatici (termoregolazio-
ne, cenestesi generale) "condiziona" la malattia influenzale. solo,.condizionando,,
farmacologicamente questi sistemi si potrà aiutare quel particolare soggetto con
una terapia omeopatica.
La "malattia", secondo I'ottica omeopatica, non si identifica né con ciò di cui
il paziente si lamenta, né con ciò che convenzionalmente si è abituati a considerare
tale, bensì abbraccia un ampio spettro di modificazioni fisiopatologiche tra loro
collegate. È una esperienza comune del medico omeopata quàtlu di osservare che
in pazienti, che si erano presentati lamentando patologie d'organo o localizzate a
livello cutaneo, la terapia induce miglioramenti della sfera psicologica, o in altre
patologie presenti da tempo e che il paziente non avevaconsiderato fossero curabili.
ciò avviene perché, dirigendo la cura verso i sintomi peculiari di quel soggetto, si
agisce ad un livello ben più profondo di quello apparente in base alla sintomatologia
attuale lamentata.

6.2.4. Le dosi

Per riattivareil sistema di regolazione, alterato dal processo patologico, potreb-


bero bastare piccole dosi di una sostanza che agisca a livello recettoriale. Il sistema
alterato, infatti, potrebbe essere ipersensibile, avendo un maggior numero di
recettori e una accentuata sensibilità a livello post-recettoriale. Questo fatto è alla
base di quanto già illustrato da Hahnemann e confermato dalle varie scuole
omeopatiche: per provocare sintomi della malattia nel soggetto sano occorrono
dosi più elevate del rimedio di quanto serva per indurre la remissione nel malato.
D'altra parte, questo tipo di considerazioni valgono anche per vari farmaci non
omeopatici: l'aspirina, ad esempio, abbassa la temperatura solo se questa è
patologicamente elevata, non la abbassa se è normale; il sistema di termoregolazio-
ne diventa sensibile all'aspirina solo se è fuori dalla normalità.
Il fatto che il rimedio omeopatico possa agire in basse dosi è importante anche
perché così si evita:

a) che il rimedio usato possa avere effetti tossici, visto che molte sostanze usate in
omeopatia sono dei veri e propri veleni quando usati alle alte dosi;
b) che i recettori per il farmaco omeopatico sul sistema di regolazione risultino essi
stessi saturati e quindi se ne perda l'efficacia, per le ragioni in precedenza
esposte a proposito delle dinamiche recettoriali (sez. 5.6.3).
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «I-egge di Similitudine" 199

Nell'ambito della complessità, il problema delle dosi acquista ancora più senso
ed interesse di quanto ne abbia solo alla luce delle dinamiche recettoriali in senso
classico. Infatti la sensibilità a piccole dosi di farmaco non si spiega solo sul piano
dell'aumento di recettori, come potrebbe apparire da unavisione semplificata quale
quella proposta negli schemi delle figure 22-24. Se è vero che i sistemi omeostatici
seguono le "leggi" della complessità, dove insorgono facilmente dinamiche caoti-
che, dove ordine (informazione) e disordine (entropia) convivono in disequilibrio
controllato, anche una loro manipolazione farmacologica ubbidisce alle leggi di
non-linearità. Quando un sistema omeostatico oscilla tra ordine e disordine, tra
finalismo positivo ed autolesionismo, tra la scelta di aggredire la malattia e quella
di salvare la tranquillità, esso è in una situazione di grande "precarietà", di
"iicettezza", per quanto riguarda le possibili soluzioni che vengono adottate. È il
punto che in termini matematici è detto "di biforcazione", o "rottura di simmetria"
[Nicolis and Prigogin e, 1991., pag. 84-88].
Il confine tra ciò che è considerato difesa e ciò che è considerato offesa
rappresenta un crinale lungo il quale l'organismo nelle fasi critiche si trova
"indeciso". A questo punto la più piccola informazione "esogena", se ben indiriz-
zataeben intesa, rappresenta per il sistema ciò che indirizza la scelta tra due opposti
atteggiamenti (nel nostro caso, semplificando, adattamento o reazione, espressione
di recettori o loro down-regulation, immunità o tolleranza, coagulazione o fibrino-
lisi, ecc.). Si potrebbe ipotizzare che, per produrre un effetto regolativo, le dosi
necessarie di un farmaco siano tanto più basse quanto più delicata e sottile è la scelta
che il sistema deve compiere. In altre parole, in un sistema che può assumere diverse
configurazioni o diversi livelli di attività, l'intensità dello stimolo esogeno che ne
determina la scelta è tanto più bassa quanto maggiore è la "libertà" del sistema
stesso.
Si intende qui per libertà la possibilità di assumere diverse configurazioni
alternative. Ad un estremo vi è la massima libertà, come nel caso di un sistema che
oscilla per fluttuazioni spontanee e caotiche, all'altro estremo vi è un sistema
totalmente deterministico e rigidamente soggetto a precisi controlli. Come si è
visto, i sistemi biologici e I'organismo umano come loro massima espressione,
hanno in sé entrambi i caratteri (il caos e l'ordine deterministico) e perciò possono
essere regolati sia da interventi "drastici" (farmaci ad alte dosi, inibitori enzimatici,
radiazioni ionizzanti ed eccitanti, interventi chirurgici, ecc.), sia da interventi
"sottili" (omeopatia, agopuntura, fattori psicologici e culturali, campi elettroma-
gnetici di bassa frequenza, ecc.).
Secondo questa ipotesi, sarebbe del tutto improponibile che un rimedio omeo-
patico agisca a liveilo atomico o su molecole semplici. Se si vuole spaccare il nucleo
di un atomo (sistema relativamente semplice ed altamente - se non totalmente -
deterministico), si deve usare un'altissima energia, fornita solo da particolari
200 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

acceleratori di particelle, e non lo si può fare con nessuna sostanza chimica, per
quanto potente e concentrata. Se si vuole spaccare una cellula, si devono usare
radiazioni abbastanza forti, ma bastano quelle di un comune tubo a raggi catodici,
e lo si può fare con acidi, alcali, tossine in adeguate concentrazioni. se si vuole
uccidere un uomo, lo si può fare con minime dosi di un veleno che interessi una
minima parte del corpo, ad esempio il sistema di conduzione del cuore, o il centro
del respiro. Un uomo lo si potrebbe uccidere - e succede - anche con una notizia
sconvolgente (minima energia in termini fisici, massimo significato informaziona-
le). In conclusione: tanto più è complesso il sistema, tanto meno energia serve per
alterarne il comportamento e la strutturs. Questo punto sarà ripreso a proposito
dell'omeopatia delle alte diluizioni (sez. 7.5.2).

6.2.5. Effetti inibitori o antagonistici

Un importante aspetto che, per semplicità, non si è precedentemente discusso,


ma che deve andare a integrare il modello, riguarda il possibile effetto inibitorio del
farmaco in basse dosi. E chiaro che qui si tratta dell'effetto di composti biologica-
mente attivi sui sistemi omeostatici di controllo, che quindi si è nell'ambito delle
problematiche già ampiamente illustrate a proposito della complessità delle dina-
miche recettoriali (v. cap.5). Il legame di una molecola al suo recettore può sortire
un effetto che, schematicamente, può essere di tipo attivatorio o inibitorio, a
seconda di quali siano i trasduttori messi in azione dal recettore ed a seconda di una
possibile interferenza della molecola stessa con altre molecole (sinergismi ed
antagonismi). Nel quadro di riferimento che si va discutendo, perciò, non si deve
trascurare la possibilità che un farmaco omeopatico agisca non tanto come
attivatore del sistema omeostatico (azione contemplata nel modello presentato in
figura 23), quanto come un regolatore del sistema omeostatico.
Questo punto è molto importante perché, se le cose stessero solo nei termini
delineati in figura 23,1'azione di un intervento di tipo omeopatico potrebbe avere
un senso solo allorché il sistema regolatore fosse completamente dis-regolato, nella
fattispecie dall'adattamento recettoriale che lo porta ad una mancata o comunque
insufficiente contro-reazione alla malattia. Se le cose stessero esclusivamente in
questi termini, non si potrebbe capire come un farmaco omeopatico possa agire
nelle prime fasi delle malattie, allorché il sistema di regolazione è ancora molto
efficiente, anzi, si trova in uno stato di ipersensibilità, di iper-attivazione. In queste
prime fasi, in cui la responsività del sistema regolatore è integra, non avrebbe senso
dare ai sistema stesso un ulteriore stimolo, "simile" a quello fisiologico endogeno.
Ciò potrebbe solo aggravare la malattia e la sintomatologia, introducendo un
ulteriore fattore patogeno.
Omeostasi, complessitò e omeopatia: la
"Legge di Similitudine" 201

L'esperienza omeopatica e omotossicologica invece riferisce di effetti terapeu-


tici ottenuti anche negli stadi iniziali delle malattie, effetti che sostanzialmente si
potrebbero considerare a livello di una diminuzione della sintomatologia, ottenuta
con dosi medio-alte di farmaci naturali. ovviamente, non si tratta di una soppres-
sione del tipo di quella provocata da farmaci allopatici, soprattutto se questi sono
usati in alte dosi come inibitori a livello enzimatico, ma si tratta sempre di una forma
di soppressione, di riduzione della sintomatologia. Quando il sistema regolatore
funziona in modo ottimale, è esso stesso che conduce al reintegro dell'equilibrio
omeostatico (guarigione) e l'azione del medico non può essere altro che un
tentativo di ridurre la sintomatologia soggettiva ed eventuali compiicazioni dovute
all'eccessiva espressione della reazione endogena.
Come si può concepire una azione regolatrice del farmaco omeopatico? Essa
può awenire, teoricamente, attraverso due principali meccanismi:

a) Il legame o I'interferenza con recettori per i mediatori endogeni attivatori. Si


è detto che il farmaco omeopatico provoca sul sano una sintomatologia simile
a quella che può curare nel malato. Per spiegare questo apparente paradosso si
può ipotizzare che il farmaco in questione sia molecolarmente "simile" al
mediatore endogeno (a'nelle figure8,22,23) in modo tale che, se somministra-
to al soggetto sano, percorre la sua stessa linea d'azione: provocare sintomi
simili allamalattiaed attivare il sistema diregolazione. Nel malato,invece,dove
il mediatore endogeno è giò presente in gran quantità, la presenza di un "simile"
si potrebbe tradurre in una inibizione dell'effetto di a', mediante una forma di
competizione o di interferenza a lit'ello recettoriale. Non è necessario, perché
ciò avvenga, che il farmaco sia presente in alte dosi perché, se si tratta di un
"simile", esso potrebbe andare a interferire con i recettori con una affinità molto
più alta del mediatore endogeno.
b) Il legame a recettori accoppiati con sistemi inibitori. Un'altra possibilità di
moderare la azione indesiderata del sistema regolatore è quella di andare ad
attivare sistemi recettoriali che, una volta impegnati, sortiscano un effetto
inibitorio o repressore sulla cellula. Esistono molti recettori di questo tipo. Ad
esempio, i recettori per gli oppioidi nel S.N.C., i recettori A2per l'adenosina
nelle cellule del sangue, i recettori H2 sui mastociti, ecc.). Se un farmaco
omeopatico interagisse, attivandoli, con simili recettori, potremmo aspettarci
effetti quali una immediata riduzione dell'entità della sintomatologia o di altri
disordini.

A questo punto si potrebbe osservare che meccanismi d'azione di questo tipo


non possono dirsi omeopatici, perché si tratta di fenomeni di manipolazione
recettoriale utilizzati da molte terapie allopatiche molto consolidate (cimetidina,
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

lgiene
Dieio Omeopotio
Prevenlone

Antimicrobici

SISTEN4I

\/ REGOLATORI

aJ nlioliae
ronespecifico
fr.l§,i, \ @

,-l /
Teropiesoslitutive I /
odi supporio ___-L--_/
'/--" Anolgesici
t Anlipiretici
es: insulino I / Antinfiommotori

i§fll""
teofillino
,1, /
oigiiote
immunoglobuline
Segni e
SintOmi

Figura 24. Possibili livelli


d'azione sul sistema omeostatico di vari tipi di intervento
medico e farmacologico.
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine» 203

beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ecc.). Tale osservazione ha un suo fondamento


solo nell'ambito di uno schematico preconcetto che i confini tra omeopatia e
allopatia siano rigidi e insuperabili. Si è già espressa l'opinione che molte terapie
moderne si awicinino sempre più ai principi omeopatici, nel senso che si specifi-
cano sempre più i bersagli del farmaco, si usano molecole sempre più simili a quelle
naturali, si sfruttano i sinergismi e, di conseguenza, si riducono al massimo le dosi.

6.2.6. Rapporti con altre terapie

La terapia omeopatica è quindi una terapia di riattivazione o di regolazione, a


differenza di altre forme di terapia, che agiscono su altri livelli del processo
patologico (figura 24). La maggior parte delle terapie attualmente utilizzate si
basano o su interventi a monte (contro i fattori eziologici) o su interventi a valle
(contro i sintomi). Un altro tipo di intervento è quello sostitutivo, necessario quando
la malattia abbia come elemento patogenetico determinante la mancanza di qualche
fattore, ormone, vitamina, organo (trapianti), ecc. Vi sono poi le terapie a livello
recettoriale (v. cimetidina, antiistaminici, ecc.) che sono basate sostanzialmente sul
blocco della risposta del sistema reattivo. L'approccio omeopatico è del tutto
peculiare, in quanto si appoggia sui sistemi endogeni.
Secondo quanto illustrato nella figura 24, vi sono procedure terapeutiche ben
consolidate nella medicina moderna che agiscono in modo simil-omeopatico. Gli
immunostimolanti, come gli interferoni, le citochine e gli estratti batterici, agisco-
no con questo meccanismo, ma ad un livello leggermente più aspecifico: non
vengono infatti prescritti in base alla totalità dei sintomi, ma in base all'esistenza
di presunti o accertati difetti del sistema di regolazione "immunità".
Un altro tipo di terapia che si basa su un principio omeopatico è quella de-
sensibilizzante, in cui si cerca di far guarire da una malattia allergica somministran-
do lo stesso allergene che la provoca. Tuttavia anche qui si trovano delle differenze.
Infatti se in questo caso la terapia è molto specifica (va a bersagliare proprio i
recettori dell'allergene), l'effetto si basa sulla soppressione delle sensibilità più che
sullo sfruttamento di sensibilità alternative.
In realtà il discorso è più sottile, perché vi sono evidenze che l'induzione della
tolleranza nel sistema immunitario non sia solo un effetto di soppressione recetto-
riale (questo potrebbe valere per la tolleranza da alte dosi), ma una risposta attiva
che coinvolge la attivazione di linfociti soppressori. Allora in questo senso la
immunoterapia specifica potrebbe avere in sè alcuni elementi che la assimilano
all'intervento del farmaco omeopatico che attiva il sistema regolatore. È probabile
che, ad un attento esame, molti altri farmaci attualmente in uso funzionino secondo
un meccanismo almeno in parte omeopatico.
204 Omeostasi, complessità e omeopatia: la "Legge di Similitudine"

come
Anche alcuni trattamenti di tipo non farmacologico potrebbero agire
viene
attivatori del sistema regolatore: ad esempio, l'ossigenoterapia iperbarica
È verosimile
utilizzataper la terapia À ulcere cutanee che non riescono a guarire.
ai tessuti (ciò awiene solo per
che tale teiapia non funzioni solo perché dà ossigeno
alla produzione di
il breve tempo del trattamento), ma perché riaccende, grazie
al meccanismo
radicali liberi dell'ossigeno, il processo infiammatorio che serve
potrebbero agire terapie fisiche
riparativo epiteliale e òonnettivale. Similmente
medicina convenzionale
càme la maiconiterapia o la magneto-terapia (usata nella
soprattutto in ortopedia, v. sez.7 .2).
con altre forme
La terapia omeopatica non è, in linea di principio, in contrasto
di terapia, *u, un)i, potrebbe essere con esse integrata. Questo è un punto
storia dell'omeopatia
particolarmente imporiante, su cui si è giocato molto della
ai suoi tempi, in
come medicina alternativa. Si può forse capire che Hahnemann,
proponesse la propria
cui la medicina non aveva praticamente nulla di scientifico,
(v. esempio note alpar.22e25
impostazione come l'unica razionale ed efficace ad
e micidiale con
d"ll'organon, dove definisce l'allopatia un "gioco irresponsabile
1a vita Àl malato"). Oggi però un simile atteggiamento
pare' ovviamente' anacro-
patet fiilizzare tutti gli
nistico, in quanto *r pi*o terapeutico sarebbe auspicabile
è evidente che la
interventi che concorrono a ristabilire la salute. Ad esempio,
fattori
riattivazione del sistema regolatore ben si accompagna alla rimozione dei
di sostanze
eziologici (prevenzione ambientale, dieta, abolizione dell'introduzione
non si vede perché non si
tossiche, allergogene, cancerogene, ecc')' Così anche
In
possa associaie l'omeopatia agli antibiotici in caso di malattie batteriche'
parte i problemi già noti
quest,ultimo caso I'unica obiezione che si potrebbe fare (a
all,allopatia) è che, se si somministrano antibiotici quando non è strettamente
di funzionare
necessario, non viene data la possibilità al sistema di regolazione
successiva'
naturalmente e quindi di sensibilizzarsi per una migliore risposta
omeopatia e farmaci che agiscono a
Più difficile è il discorso sul rapporto tra
associazione non dovrebbe
livello di soppre.r.ione di sintomi. In teoria una tale
essere controindicata, tranne, ovviamente, nel caso
in cui i farmaci soppressori
stesso sistema su cui punta
siano usati a dosi che bloccano il funzionamento dello
il farmaco omeopatico. Il problema è che effettivamente la maggior parte dei
sintomi sono prodotti dai sistemi regolatori (vedi figure 2 e 2l) e che la maggior
parte dei farmaci che sopprimono iiintomi (ad es. analgesici,
antiinfiammatori,
non sono molto specifici sul piano biochimico
àntispastici, broncodilatatori, ecc.)
l'azione regolativa del farmaco
e bioiogico. Di conseguenza,la interferenza con
omeopatico è molto Probabile.
un altro problema riguarda il fatto che la soppressione dei sintomi, pur
problemi sul
desiderabile sul piano delia soggettività del paziente, può provocare
piano della metidologia omeopatica, perché rende molto più difficile al medico
Omeostasi, complessità
e omeopatia: la oLsggs
di Similitudine,
205

l":,::::ìff :,11iffi='ilr.'jlij.ilr,:ffi
ilconcettoch I"1i
j:ilj;:ll"*'di'ipome,odo.
earcu.n.isintomi(aJ...rrr",,o","i.i*'.'."#:::J:i,.;:::Tffl?[
ne restano altri, u^t1l_izzlbili
per I,inquJOrurento
per quanto ,iguaàa omeopatico.
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rur.dl'ilppro""io ilil;i
zione ar "terreno" in gere' a*en_
questi
"u.i più logico e "or
preventivo.

6. 2. 7. Limiti dell, ome opatia

,,r'?:[Ulii,,Trffio'lli.presentati o""uu,,::r:.rogica una


consesuenza, anche
patico, argomenro ,ur:I:i lottibilicampi di applicazior. o.r-,?ruurenro
considerato. o.oprìo omeo-
teorico oi.ir.ri*lr;.ur"r,. p., ru ,rn""u.lru orun quadro
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re rap i
"0, ",,,
i ,,.,.:;ffi :ì :,1
il[::5ilmnrrlr:*m:fl ]i:
206 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

opzionale in altri, come inutile e, forse, persino dannoso in altri ancora. pur
ammettendo che, trattandosi di un approccio ,,globale,, (v. dopo) qualche effetto
si
possa sempre ottenere, il nostro modello esclude che l,omeopatia possa
essere
risolutiva in casi come i seguenti:

a) nelle malattie in cui la componente genetica è preponderante, o, meglio, nella


componente genetica (intesa come alterazionepermanente del codice genetico)
che è presente, in modo maggiore o minore, in quasi tutte le malattie;
b) malattie in cui vi sia un difetto di tipo organico troppo accentuato ed irreversi-
bile, come ad esempio casi di aterosclerosi avanzata,necrosi infartuale, ecc.;
c) quando il fattore eziologico permane ed è esorbitante rispetto ai sistemi reattivi:
in questo caso, anche se il sistema regoratore viene riattivato, permanendo
troppo intensa la perturbazione A-rA' (r. figura 2z),la malaitia non può
guarire;
d) quando il sistema regolatore stesso è intaccato in modo da non presentare
recettori o non produrre segnali: si potrebbe ad esempio ipotizzare che vari
sistemi di reazione diminuiscano di efficien za nell'anziano (si dice infatti che
I'omeopatia sia molto più efficace nei bambini) o in soggetti che assumono
tossici o droghe.

In particolare, vale la pena tornare sul problema della terapia dei tumori: come
si è anticipato nella sezione 5.3, allo stato attuale delle conoscenze, laterapia
omeopatica nei tumori non può agire in modo diretto e risolutivo. Nelle neoplaiie,
soprattutto se in stadi avanzati,le alterazioni molecolari, cellulari e sistemiche sono
così avanzate e gravi che il paziente presenta un quadro di sintomatologia che
non
può trovare corrispettivo in un "proving" omeopatico. In altre parole, poiché la
individuazione di adatti rimedi si basa sulla sperimentazione di tall rimedinel sano,
dove dovrebbero provocare sintomi simili a quelli della malattia, non è pensabile
che tale sperimentazione possa essere fatta in modo da provocare tumori nel
soggetto sano. A ciò si potrebbe obiettare che è comunque possibile effettuare
una
terapia omeopatica non direttamente mirata alla neoplasia, ma all,insieme delle
caratteristiche neuroimmunoendocrine del soggetto, allo scopo di cercare di
riequilibrarle. ciò è certamente vero, ma restano comunque due grossi problemi:
a) come tali caratteristiche possano essere individuate in un quadrò
in cui il tumore
ha sconvolto in modo grave e profondo |organismo del paiiente; b) come possa
agire un trattamento orientato alla "fine" manipolazione dell,omeostasi nell,ambi-
to di un quadro clinico e biochimico così fortemente degenerato e progressivo.
La legge di similitudine, almeno nella sua forma .,classica,,, trova difficile
applicazione in casi in cui grossolane alterazioni anatomichelocalizzate, quali
sono
le crescite neoplastiche, sfuggono al controllo del sistema omeostatico generale
e
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine" zo7

divengono, esse stesse, il meccanismo patogenetico principale della malattia.


Inoltre, in questo tipo di malattie, come si è visto in precedenza, vi è una
componente patologica di tipo genetico (mutazione o traslocazione o inserzione di
oncogeni) che non rientra nel quadro di un disordine della funzione di sistemi
omeostatici, bensì di lesioni praticamente irreversibili sul piano molecolare. Non
si vede come piccole dosi di qualsivoglia farmaco possano agire sul piano genetico
in una larga popolazione cellulare.
Ciò non significa che la ricerca in questo campo non possa progredire e che un
domani si trovi il modo di influire omeopaticamente non tanto sul gene quanto sul
piano del controllo del suo funzionamento.
Un altro limite oggettivo nelle possibilità di efficace applicazione del metodo
omeopatico potrebbe essere individuato nella pratica difficoltà ad analizzare tutta
la sintomatologia lamentata dal paziente e ad attribuire il giusto peso ai vari sintomi.
Non si tratta in questo caso di un problema teorico, ma applicativo. Infatti, se è vero
che la teoria omeopatica dice che si deve usare lo stesso farmaco che provoca i
sintomi della malattia, in realtà /e malattie sono processi dinamici e spesso i sintomi
cambiano con gran rapidità. Anche gli stessi sistemi regolatori possono trovarsi in
fase di buona risposta o in fase di adattamento patologico (vedi rispettivamente
figure 22 e 23). Nella stessa malattia, i farmaci potenzialmente attivi in una fase
potrebbero essere diversi da quelli attivi in una fase diversa. Inoltre, una volta
somministrato il farmaco, se esso è efficace, i sintomi cambiano. A quel punto, il
nuovo quadro dovrebbe, teoricamente, richiedere un altro farmaco.
In conclusione, la attività del medico omeopata diventa molto impegnativa per
il continuo cambiare del quadro a causa dell'evoluzione della malattia e dell'effetto
dei farmaci. Per questo l'omeopatia, per quanto possa sembrare logica e utile sul
piano teorico, nella pratica è difficile da applicare, richiede molto studio, grande
esperienza e una buona dose di intuizione e presenta tutti i ben noti problemi di
standardizzazione e riproducibilità a Iivello di ricerca clinica.

6.3. Il principio di similitudine a livello farmacologico e fisiopatologico

6.3. 1. Considerazioni sulla " scientificità" dell' omeopatia

Impostando il problema della definizione del processo patologico in riferimento


alla complessità dei sistemi omeostatici, si è ammessa la sostanziale inconoscibilità
dell'intima natuù delle malattie e, di conseguenza, la sostanziale legittimità
dell'approccio empirico seguito dall'omeopatia nella ricerca dei rimedi per le
malattie stesse.
208 Omeostasi, complessilà e omeopatia: la
"Legge di Similitud.ine»

Ciò però non deve far ritenere che sia impossibile cercare una spiegazione
dell'azione del farmaco omeopatico sulla base di sue specifiche proprietf di tipo
farmacologico dirette su determinati meccanismi fisiopatologici. Dato un rimedio
individuato empiricamente in base all'approccio globale proposto dall,omeopatia
(ossia l'insieme dei sintomi del rimedio), è sempre possibile fare il p"."or.o
inverso, dalla sintesi alla analisi, cercando di scomporre il problema del meccani-
smo d'azione considerando da una parte i principi attivi del farmaco omeopatico e,
dall'altra, specifici disordini informazionali e regolativi dei probabili sistemi-
bersaglio nell' organismo.
Molti rimedi omeopatici sono stati inizialmente proposti e studiati in totale
assenza di cognizioni sui possibili principi attivi che gli estratti e le prime diluizioni
contengono e, per di più, in totale assenza di cognizioni sui possibili disordini
molecolari, cellulari e fisiopatologici che tali rimedi dovevano curare. oggi la
situazione è ben diversa e si è in grado, sulla base delle conoscenze scientifiche
attuali, di fare molti collegamenti precedentemente impensabili. Da tali collega-
menti risulta un fatto sorprendente: almeno alcune delle azioni dei farmaci
omeopatici su organi e sistemi si possono spiegare sulla base dei loro principi attivi.
Tale fatto è sorprendente perché documenta "a posteriori" la validità delle speri-
mentazioni eseguite dalle scuole omeopatiche in era pre-scientifica, almeno per
quanto attiene all'individuazione dei rimedi. In questa sezione si vuole solo offrire
alcune esemplificazioni di tali concetti , senza poter e voler affrontare in modo
sistematico un argomento di così vasta portata.
La legge di similitudine, così come fu formulata inizialmente da Hahnemann,
si basava sulla somiglianza dei sintomi e quanto illustrato nella sezione precedente
sta a dimostrarne la sostanziale validità. Tuttavia, proprio da quanto si è detto,
risulta che la necessità di ricorrere alla analisi dei sintomi è legata essenzialmente
allaignoranza degli intimi meccanismi fisiopatologici coinvolti nellamalattia. Tale
ignoranza non sarà mai definitivamente colmata, a causa della natura complessa del
fenomeno patologico nella maggior parte dei casi, soprattutto se ci si riferisce
all'analisi completa del singolo paziente. Tuttavia, nella logica dei modelli qui
esposti, si deve assumere che, qualora il meccanismo o i meccanismi della malattia
fossero noti, per un intervento regolatore efficace non sarebbe necessario, anzi
sarebbe insufficiente, ricorrere all'analisi dei sintomi, essendo molto più affidabile
e precisa scientificamente la conoscenza dei parametri biochimici, laboratoristici,
molecolari e cellulari alterati e la conoscenza delle cause che li determinano.
Assumendo che una simile serie di conoscenze venisse raggiunta nel singolo
caso, a questo punto l'approccio Hahnemanniano basato sui sintomi sarebbe
integrato da una omeopatia pienamente ed inequivocabilmente scientifica. Ciò è
propriamente quanto sta avvenendo nel campo delle immunoterapie, dell,uso dei
cosiddetti Biological Response Modifiers, delle vaccinazioni, delle terapie desen-
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine» 209

sibilizzanti della
stessa omotossicologia. Si usa un fattore che attiva Ia funzione del
sistema omeostatico ad un livello molecolare abbastanza ben conosciut o. È quindi
facilmente prevedibile che i principi dell'omeopatia, anche se non riconosciuti
come tali, pervaderanno sempre più la medicina scientifica, in concomitanza con
I'aumento delle conoscenze scientifiche sui sistemi regolatori endogeni.
Ciò non deve far temere agli affezionati omeopati un totale "assorbimento" della
classica omeopatia nella medicina scientifica, perché molti aspetti delle malattie,
là dove predomina la complessità, sfuggiranno per forza di cose ad una descrizione
in termini molecolari. In questo senso, è anche probabile che l'omeopatia possa
rappresentare una sorta di avanguardia, di esperienza-pilota, per la ricerca in
medicina. Infatti l'omeopatia rappresenta pur sempre un enorme serbatoio di
osservazioni empiriche, di casi clinici, di speculazioni teoriche raccoltosi per ormai
due secoli. Tali conoscenze sperimentali e cliniche potrebbero aprire e suggerire,
ad un osservatore attento, nuove linee di studio di quei meccanismi regolatori
complessi che si vanno via via comprendendo nelle loro dinamiche.
Anche nell'ambito del mondo omeopatico, comunque, si riscontrano tendenze
arazionalizzaree la legge dei simili secondo i punti di vista della scienza contem-
poranea, trovandone applicazioni a livello cellulare e molecolare [v. ad es. Boiron
and Belon, 1990]. Così, ad esempio, si è sviluppato l'approccio isoterapico, dove
si usa l'agente eziologico in preparazione omeopatica: diluizioni di Herpes virus
per trattare l'Herpes, diluizioni di Pollen per trattare la febbre da fieno, ecc.. Si è
visto anche che animali intossicati da arsenico sono stati trattati con diluizioni di
arsenico [Cazin et al., 1987], fatto che indica che la similitudine è stata cercata e
trovata a livello di agente eziologico. Ad un altro livello, la similitudine si può
trovare a livello di organo o cellula: vedi gli effetti protettivi del fosforo sul danno
epatico, o gli effetti della fitolacca sui linfociti e dell'istamina sui basofili, descritti
nel capitolo 4.
Vi è chi propone, almeno come ipotesi di lavoro, un uso "omeopatico" dei
farmaci allopatici [Dawey, 1988]. Il razionale di ciò, almeno dal punto di vista
omeopatico, sta nel fatto che per la maggior parte dei farmaci moderni oggi in uso
sono state eseguite delle precise e dettagliate prove tossicologiche, cioè, in pratica,
se ne conoscono gli effetti da sovradosaggio. Tali effetti potrebbero essere
assimilati ad un "proving" omeopatico. Quindi, nella logica omeopatica, dovrebbe
essere possibile ottenere dei risultati terapeutici utilizzando preparazioni diluite e
dinamizzate degli stessi farmaci allopatici in due situazioni: in malati con sintomi
simili a quelli notoriamente provocati dal farmaco in soggetti sani ed in malati che
presentassero tali sintomi come effetto indesiderato del farmaco somministrato in
alte dosi. Si tratta, in pratica, di una versione moderna della isopatia, comunque di
un approccio che andrebbe perseguito con attenzione, anche alla luce della larga
diffusione delle malattie iatrogene.
zto Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

La "scientificità" dell'omeopatia, o almeno di alcuni suoi aspetti, deriva quindi


dalla possibilità che molte questioni possano essere affrontate secondo i canoni
della farmacologia corrente e sottoposte al vaglio sperimentale e analitico. Se tale
terapeutica, come approccio globale e integrato alla patologia, presenterà sempre
elementi di sostanziale inconoscibilità, d'altra parte è anche vero che molti
problemi specifici possono essere ruzionalizzati e chiariti.

6.3.2. La storia della nitroglicerina, un farmaco omeo-allopatico

Per illustrare il rapporto, anche nel corso della storia della medicina, tra
omeopatia ed allopatia, è interessante la storia della nitroglicerina, che fu studiata,
come agente potenzialmente terapeutico, da un medico omeopata, C. Hering
[Goodman Gilman et al., 1980; Fye, 1986].
Hering sperimentò su se stesso e su amici questa sostanza (da non molto
sintetizzata per tutt'altri scopi) negli anni 1840-1850. Si era nel periodo della
nascita delle grandi Materie Mediche, in cui finivano sperimentazioni di un'infinità
di sostanze minerali, vegetali ed animali. Hering evidenziò che gli effetti principali
dell'ingestione di nitroglicerina (chiamata dagli omeopati "glonoina") erano
cefalea, tachicardia e senso di oppressione precordiale, oltre ad un pessimo gusto.
Tuttavia egli non diede troppa importanza ai sintomi cardiovascolari e non incluse
la nitroglicerina tra i rimedi per il dolore toracico, lasciandola prevalentemente
come rimedio per le cefalee [Hering, 1849]. Forse tale "svista" fu dovuta al fatto
che l'angina pectoris costituiva una malattia piuttosto rara o comunque raramente
riconosciuta a quel tempo [Fye, 1986]. Questi primi studi costituirono comunque
la base per molte altre successive sperimentazioni, fatte sia da medici omeopati che
non, che condussero nel 1879 alla scoperta dell'efficacia della nitroglicerina
nell'angina pectoris.
Questo esempio sta a dimostrare che l'approfondimento del meccanismo
d'azione del farmaco omeopatico può portare la stessa omeopatia ad avvicinarsi
alla medicina scientifica, mentre quest'ultima può trovare alimento nelle scoperte
empiriche dell'omeopatia.
Altri esempi che illustrano come i due approcci non siano fondamentalmente in
contrasto possono essere tratti dalla considerazione di quelli che sono i principi
attivi, in senso farmacologico classico, delle preparazioni omeopatiche. come si
vedrà dagli esempi seguenti, 1a considerazione di tali principi attivi dimostra come
nell'uso di questi rimedi vi sia una logica biochimicache, quanto meno, suggerisce
le ragioni per cui certi farmaci debbano avere certi effetti su precisi bersagli
("tropismo biologico").
Omeostasi, complessità e omeopatia: la di Similitudine» 211
"Legge

6.3.3. B elladonna, Hyosciamus, Stramonium

Sono tre solanacee contenenti alcaloidi ad attività parasimpaticolitica: atropina


presente soprattutto in Atropa belladonna e scopolamina soprattutto in Hyoscia-
mus niger ed in Datura stramoniun. Esse vengono ampiamente :utilizzale nella
farmacopea omeopatica. Secondo il principio di similitudine, ci si dovrebbe
aspettare che tali piante siano efficaci nelle sindromi con sintomi di blocco
parasimpatico e, secondo la composizione farmacologica, i tre rimedi dovrebbero
avere parecchie somiglianze. Entrambi questi presupposti sono sufficientemente
realizzati.
Secondo la farmacologia e la tossicologia classica [Meyers et al., 1981;
GoodmanGilman etal.,l992f,glieffettideifarmaciatropinicipossonoesserecosì
riassunti:

a) Sul sistema nervoso vegetativo: midriasi, secchezza delle fauci, tachicardia,


ipotensione posturale, ritenzione urinaria e difficoltà della minzione, stipsi.
Tutti questi effetti (eccetto la stipsi) sono elencati nelle "patogenesi" (elenco di
sintomi provocati nell'uomo sano) delle Materie Mediche omeopatiche. La
midriasi, la secchezza delle fauci, la tachicardia con polso duro e pieno e la
minzione difficile sono presenti per tutte e tre le piante in maniera caratteristica.
b) Sul sistema nervoso centrale: sonnolenza e depressione, poi delirio, allucinazio-
ni, ipereccitabilità sensoriale e per dosi massive convulsioni e depressione
respiratoria. In omeopatia, le tre piante sono indicate in vari disturbi del sonno
che compren dono sonnolenza (lalor a accompagnata, paradossalmente, ad inca-
pacità a prender sonno), sonno profondo non risvegliabile oppure sonno agitato
con incubi.
Ma ciò che contraddistingue le tre solanacee nelle patogenesi omeopatiche è il
delirio che si manifesta in tutte furioso e violento: il malato tende a percuotere,
mordere, strappare; è accompagnato da allucinazioni visive di uomini, fanta-
smi, animali, mostri. Hyosciamus si differenzia dalle altre due per l'eccitazione
verbale con grida, canti, discussioni immaginarie oppure con borbottio continuo
incomprensibile e per l'esibizionismo.
L' iperestesia è caratteristica della sol aBelladonna, mentre una alterazione delle
percezioni è frequente in Hyosciamus. Altra importante coincidenza tra tossi-
cologia e patogenesi omeopatica sono le convulsioni, presenti, con sfumature
diverse, nelle patogenesi di tutte e tre le solanacee. B elladonna agisce meglio in
quelle febbrili dell'infanzia. Hyosciamu.s agisce su quelle con movimenti
automatici di grattare o acchiappare (carpologia), inoltre sono spesso scatenate
dalla deglutizione (mangiando o bevendo). Stramonium provoca nello speri-
mentatore contrazioni violente di uno o più gruppi muscolari, in particolare sui
212 Omeostasi, complessità e omeopatia: la di Similitudine»
"Legge

muscoli della nuca. Per quanto riguarda la depressione respiratoria l'azione


omeopatica è più controversa, dato che Belladonna e Hyosciamr,,s possono
causare sia rallentamento che accelerazione del respiro, mentre Stramonium è
ininfluente. È noto che atropina e scopolamina hannò anche proprietà stimolanti
i centri respiratori.
c) sal muscoli lisci extravasali: se per il SNC e per il SNV la coincidenza tra
tossicologia e patogenesi omeopatica è quasi totale, diverso è per l'effetto delle
diluizioni omeopatiche di queste solanacee sui muscoli lisci extravasali, dove
la coincidenza avviene non con i sintomi da sovradosaggio (tossicologia) ma
con l'uso terapeutico ponderale degli atropinici.
Questi ultimi sono utilizzati in terapia tradizionale come spasmolitici, ad
esempio in coliche epatiche e renali o negli spasmi del tratto gastrointestinale.
Tali indicazioni coincidono perfettamente con quelle diBelladonna in diluizio-
ne omeopatica. Hyosciamus invece viene usato dagli omeopati in spasmi che
colpiscono gli occhi (nistagmo) o le palpebre (blefarospasmo) oppure la
muscolatura bronchiale (tosse spasmodica). Stramonium determina nello spe-
rimentatore sano e quindi guarisce violenti tics nella faccia e nel corpo e una
costrizione spasmodica dei muscoli della faringe e dell'esofago che impedisce
la deglutizione. Al momento attuale è difficile commentare un tale comporta-
mento in base alla legge dei simili (che prevederebbe l'inversione dell'effetto)
ed alle conoscenze farmacologiche; tuttavia risulta imprevista anche l'azione
dell'atropina sullo sfintere di Oddi: quest'ultimo si contrae per azione delle fibre
simpatiche mentre le fibre parasimpatiche lo rilasciano; ciò nonostante l'atro-
pina inibisce lo spasmo dello sfintere. La possibile spiegazione di tali apparenti
discrepanze si trova solo considerando i fini meccanismi regolatori a livello
recettoriale e post-recettoriale (presenza di molteplici tipi di recettori per la
stessa sostanza, stato attivo o inattivo del recettore, effetti agonistici ed antago-
nistici del rimedio omeopatico, ecc..), argomenti già sviluppati approfondita-
mente in altre sezioni (capitoli 5.4,6.7,6.2).
d) Sulla sudorazion:e e la regolazione termica.' secondo la farmacologia classica,
gli atropinici possono causare soppressione della sudorazione, conseguente
ipertermia e rossore della pelle, particolarmente nei bambini. Ebbene, in
omeopatia Belladonna e Stramonium e, meno spesso, Hyosciamus sono usati
soprattutto nell'infanzia nella cura delle febbri ad esordio rapido accompagnate
da segni di inefficienza parasimpatica, midriasi, secchezza della bocca, rossore
e congestione del viso, indipendentemente dall'eziologia batterica o virale. Da
notare, tuttavia, che le affezioni febbrilidiBelladonnasolo all'inizio hanno cute
arrossata e secca, poi vi è una caratteristica ed abbondante sudorazione.
Omeostasi, complessitò e omeopatia: la oLegge di Similitudine" 21,3

6.3.4. Gruppi chimici presenti in piante ad effetto antispastico:


polieni e cumarine

Un esempio della possibile logica sottostante 1'uso di rimedi omeopatici viene


fornito dallo studio dei principi attivi presenti in una serie di piante usate con
indicazioni antispastiche ed antidolorifiche, anche se la relazione con la farmaco-
logia convenzionale è meno evidente rispetto all'esempio precedente. Tra queste
piante, la più rappresentativa è Matricaria chamomilla, la comune camomilla che,
in omeopatia, ha azione antispastica, antidolorifica, antinfiammatoria e sedativa. I
disturbi classici in cui è indicata sono i dolori intollerabili, le coliche flatulente
neonatali ed infantili con diarrea fetida, la dismenorrea intollerabile, certi tipi di
febbre e di otite, alcune sindromi convulsive. Riassumendo in tre parole: infiam-
mazione, spasmi, iperestesia.
Della camomilla si usa la pianta intera fiorita da cui si ottiene la tintura madre
secondo ia regolamentazione internazionale [Brigo, 1990]. I costituenti più interes-
santi sono: un olio essenziale contenente camazulene, un carburo proveniente dalla
trasformazione di un lattone sesquiterpenico incolore, la matricina; un dicicloetere
polienico; dei polifenoli: cumarine e fl avonoidi [Guermonprez, 7985f.
Vale la pena di sottolineare la associazione di cumarine (prodotti contenenti un
gruppo carbonilico C=O) e derivati polienici (con più gruppi acetilenici C-triplo
legame-C): Tale associazione si ritrova, oltre che nella camomilla, in altre piante
usate dagli omeopati nelle sindromi convulsivel. Cicuta virosa contiene delle
cumarine (ombelliferone e scopoletolo) e derivati poliacetilenici (cicutolo e
cicutossina); Aenanthe crocata contiene numerosi derivati poliacetilenici e un
derivato carbonilato, un chetone, il latifolone o crocatone; Artemisia vulgaris
contiene un derivato poliacetilenico con una funzione chetonica, l'artemisiacheto-
ne. Questo tipo di associazione pare quindi essere una costante di molte piante con
effetto anticonvulsivante.
Da notare che l'uso omeopatico di tali piante pare essere in relazione diretta con
la loro composizione chimica molto simile, pur appartenendo esse a famiglie anche
molto diverse tra loro dal punto di vista botanico: Cicuta e Oenanthe sono
ombrellifere, mentre Chamomilla ed Artemisia sono composite.

I derivati polienici si possono riscontrare in due gruppi di piante:


a) quelle ad azione omeopatica nelle sindromi convulsive: Cicutavirosa (spasmi
in iperestensione, epilessia), Oenanthe crocata (epilessia), Aethusa cynapium
(convulsioni del neonato intollerante al latte con gastro-enterite), Artemisia
vulg,aris (epilessiamestruale o peripuberale) o comunque in varie patologie con
spasmi: Chamomilla (in certe convulsioni), Conium maculatum (tremori,
spasmi esofagei), Grindelia (dispnea, broncocostrizione);
2t4 Omeostasi, complessità e omeopatia: la oLegge di Similitud.ine»

b) quelle ad azione omeopatica sul processo infiammatorio e sull,emostasi:


chamomilla matricaria, Arnica monta na (traumatismi, ecchimosi, sindromi
tossi-infettiv e), Bellis perennis (traumi, ecchimosi, ematomi), E chinacea angu_
stifolia (suppurazioni, ascessi), Erigeron canadensis (emorragie traumatic-he,
ecchimosi).

Infine vanno segnalate quelle piante con derivati a funzione carbonilica diversi
dalle cumarine: Strichnos nuxvomica e Strichnos ignatii(stricnina e brucina, degli
alcaloidi indolici), Moschus moschiferus (muscone, un chetone aromatico), Aia-
mirta cocculas (picrotossina, un sesquiterpene molto ossigenato con più gruppi
chetonici), Crocus sativus (olio essenziale con derivati carbonilici derivati àal
safranal e dall'isoforone), castoreum (acetofenone, un chetone), Ambra grisea
(diidro-'y-ionone, un composto volatile con funzione chetone), Vai.leriana
fficina-
/ls (pirril-a-metilchetone ed il dipiridilmetilchetone, un alcaloide detto',piincipa-
le"), oenanthe crocata (crocatone, un chetone policiclico), Actea racemosa
(carbonile della funzione estere dell'acteina), Sepia officinalis (doppio carbonile
della sepiamelanina I e II, un pigmento nero),Artemisia cina(santonina, un lattone
sesquiterpenico), Gambogia o Garcinia hanburyi (numerosi composti a funzione
carboniletracuiilbenzofenone), Cephaelisipecacuanha(carbonilidell'ipecoside,
un eteroside azotato), e sicuramente altri.
Tutte queste piante, quando vengono djluite e dinamizzate e quindi sommini-
strate all'uomo sano nelle cosidette patogenesi omeopatiche, evidenziano dei
sintomi legati a spasmi delle fibre muscolari lisce o striate (in distretti molto diversi
del corpo) ed in molti di essi la presenza di tali sintomi è essenziale per Ia
prescrizione del rimedio (ad es. Nax vomica o Ignatia o Moschus),mentre per altri
è secondaria (ad es. sepia). Tra questi un buon numero (Ignatia, Moschus,
castoreum, Ambra grisea, Actea racemosa, valeriana)sono indicati a soggetti con
temperamento isterico che hanno manifestazioni di variabilità dell'umore, loqua-
cità, paradossalità e frequenti svenimenti.
II fatto che più piante siano accomunate dall'avere simili componenti quali i
gruppi carbonilici ed acetilenici e che siano queste componenti a spiegare, almeno
in parte, l'effetto farmacologico, suggerisce fortemente l,esistenza di una base
biochimica e farmacologica non casuale per l'effetto del farmaco omeopatico.

6.3.5. Ipeca o Cephaelis ipecacuanha

Questa pianta è una Rubiacea nativa in Brasile ed America centrale ma che si


coltiva anche in India ed in Malesia. Di essa si usa la radice secca che contiene il
4-5% di materie minerali, il30-40% di amido, una glicoproteina allergi zzante,
un
Omeostasi, complessitù e omeopatia: la «Legge di Similitudine, 21,5

tannino (l'acido ipecacuanico),1'l.Vo di ipecoside (un eteroside azotato ad anello


isochinolinico) ed il 2-37o di alcaloidi isochinolinici, di cui i principali sono
l'emetina, la cefalina, la psicotrina.
Lo sciroppo di ipecacuana viene usato in terapia come emetico, a causa
particolarmente della sua composizione in emetina,la quale determina tossicolo-
gicamente:

a) sintomi gastrointesinali, come diarrea, nausea, vomito e dolori crampoidi


addominali, per azione diretta sulla muscolatura intestinale;
b) sintomi neuromuscolari, come debolezza, dolore e rigidità dei muscoli schele-
trici, particolarmente quelli del collo e delle estremità;
c) sintomi cardiovascolari tra cui ipotensione, tachicardia, dispnea ed anormalità
elettrocardio grafiche.

Ciò giustifica l'uso omeopatico di lpeca nelle sindromi diarroiche, specie se


accompagnate da nausea, ed inoltre nelle sindromi più disparate dove compare una
nausea di origine centrale e non gastrointestinale. Qui si può notare, a favore della
logica esistente nell'uso dei rimedi omeopatici in analogia alle conoscenzefarma-
cologiche, che l'indicazione specifica di Ipeca non è la nausea di origine gastroin-
testinale, che ha lingua sporca ed è migliorata dal vomito, ma è solo quella in cui
la lingua è pulita ed umida, la salivazione è abbondante e le nausee non sono
migliorate dal vomito.
Tale osservazione è stata fatta dagli omeopati nel secolo scorso ben prima che
si potesse definire tale nausea di origine centrale e soprattutto molto prima di sapere
che esiste un "chemoreceptor trigger zone" nel midollo allungato e che l'emetina
agisce proprio a quel Iivello. Inoltre il cloridrato di emetina in diluizione omeopa-
tica viene in genere preferito alla radice secca in toto se la diarrea e la nausea sono
accompagnate da ipotensione e tachicardia, manifestazioni tossiche dell'emetina e
non dell'estratto della radice secca in toto.
Un'altracomparazione razionale dell'nso di lpecacuananellatradizione farma-
cologica convenzionale ed in quella omeopatica si può fare a livello dell'apparato
respiratorio. Infatti questa droga vegetale è senza dubbio attiva come espettorante,
ma il suo uso è stato molto limitato dalla presenza dei notevoli effetti collaterali già
citati (nausea e vomito); era presente in alcune preparazioni antitossigene e veniva
usata talora da soggetti asmatici che non potevano tollerare lo ioduro di potassio.
L'uso omeopatico di questa pianta è abbastanza simile, viene prescritta nelle
patologie respiratorie con tosse, dispnea, broncospasmo ed ipersecrezione bron-
chiale; tuttavia, per ribadire l'azione globale del farmaco omeopatico, risulta
particolarmente indicata se gli accessi di tosse sono accompagnati da nausea o se
nella storia del paziente si ritrovano frequentemente nausee o diarree.
216 Omeostasi, complessità e omeopatia: la oLegge di Similitudine,

Riassumendo il tropismo dilpecacuana e ricollegandoci al capitoro precedente,


si può dire che Ipeca ha una tendenza spastica netta, sia a livello del tratto
gastroenterico, che a livello del tubo respiratorio. Sul piano biochimico
ciò è molto
probabilmente dovuto alla presenza di più gruppi carbonilici nell,ipecoside.

6.3.6. Derivati antracenici e sindromi diarroiche

Un altro esempio che conferma il legame tra composizione di principi attivi


vegetali ed azione dei rimedi omeopatici ottenuti da quei vegetali, si può fur"
u
riguardo di piante usate come lassativi sia dalla tradizione popolare che dalla
farmacologia moderna. Si tratta di una liliaceaAloe
ferox,unu ì"gu*in osa Cassia
angustifolia, o erba senna, e di due porigonacee Rheum officinite o Rabarbaro
e
Rumex crispus. Queste piante contengono tutte dei derivati antracenici (aloina
e
ramnosidi dell'aloina) Ia cui azione lassativa è ben conosciuta; in omeopatia
si
conferma l'azione sull'intestino crasso di tali piante, anche se ovviamente con
l'inversione dell'effetto. Infatti tutte queste piante hanno la caratteristica di agire
sulle sindromi diarroiche, specialment e Aloe che contiene dal 10 al30Vo di aloina.

6.3.7. Coffea

Originaria degli altipiani di Abissinia, la pianta del caffè è stata introdotta in


numerose regioni tropicali di Asia, America e oceania. In omeopatia viene
utilizzato il caffè verde, cioè il grano privato di tutti i suoi tegumenti, così come si
presenta prima di aver subito la torrefazione, che fa apparire l,aroma. per
questo il
rimedio viene chiam ato coffea cruda. Nel grano verde si possono dosare rn3_4%
di minerali, soprattutto fosfato e solfato di calcio; acidi oiganici, citrico, malico
e
ossalico; glucidi (più del 50vo di peso secco); Iipidi (dal 10 al 15vo); abbondanti
fenoli acidi (dal 5 al 1,0vo) tra cui il più importante è l,acido clorogenico o 3_
caffeilchinico; scopoletolo; composti azotati tra cui amidi della serotonina e
soprattutto la caffeina (dal 0,6 al3Vo).
Di tutti questi composti il più interessante ed il più studiato è sicuramente la
caffeina' La caffeina, come la teofillina e la teobromina, sono dei derivati metilati
delle xantine, delle basi puriniche. L'azione farmacologica più conosciuta della
caffeina è la stimolazione del SNC: sotto condizioni sperimentali essa induce un
aumento della sopportazione agli sforzi intellettuali, una diminuzione
del tempo di
reazione ed una migliore associazione di idee. Tuttavia dopo ingestione
di r g 1rs
mg/kg) o più di caffeina, corrispondente a concentrazioni plasmatiche ai p;t
oi :o
Fglml,appaiono insonnia, irrequietezza, eccitazione ed ipeiestesia. Un altro effetto
217

della caffeina sul SNC è la stimolazione dei centri respiratoribulbari, probabilmen-


te perchè eleva la sensibilità alla stimolazione da COr; tale azione, però, si riscontra
molto più quando la respirazione è stata depressa da alcuni farmaci, come gli
oppioidi. Un ultimo effetto sul SNC è la nausea ed il vomito.
Anche il sistema cardiovascolare risente dell'azione della caffeina. Sul miocar-
dio, dosi superiori a 400 mg, circa 5 tazze di caffè, aumentano la frequenza sinusale,
la formazione di impulsi ectopici elaforza di contrazione cardiaca.
Infine la caffeina è in grado di stimolare la secrezione gastrica, sia acida che
peptica, e la secrezione di catecolamine.
Per spiegare gli effetti terapeutici delle metilxantine, viene spesso invocata la
loro capacità di inibire le fosfodiesterasi per i nucleotidi ciclici; però gli studi
farmacologici mettono in evidenza che le concentrazioni terapeutiche non coinci-
dono con quelle necessarie a far aumentare l'AMP ciclico. D'altra parte, le
metilxantine agiscono da antagonisti competitivi a livello dei recettori dell'adeno-
sina a concentrazioni che rientrano ampiamente nell'intervallo terapeutico. L'ade-
nosina prende parte a numerosi meccanismi regolatori locali, specialmente a livello
delle sinapsi del SNC; per esempio l'adenosina inibisce la liberazione dei neuro-
trasmettitori dalle strutture presinaptiche e diminuisce la frequenza di scarica dei
neuroni; inoltre fa dilatare i vasi sanguigni coronarici e cerebrali e rallenta l'attività
delle cellule pacemaker cardiache.

In omeopatia, Coffea viene usata in tre principali condizioni:


a) La più frequente è costituita dall'insonnia, ed in particolare in quella dovuta ad
una eccitazione cerebrale con iperideazione continua; i soggetti a cui solitamen-
te viene prescritta Coffea sono agitati, eccitati e disposti all'euforia. Si scrive
nelle Materie Mediche che "sono pieni di idee e che agiscono velocemente".
Così l'uso terapeutico omeopatico di questa sostanza sembra coincidere con
l'effetto tossico della caffeina sul SNC, a dosi ponderali.
b) Unasecondaindicazioneèl'lpersensibilitàaldoloreedituttiisensi,soprattutto
dell'udito, dato che ogni dolore viene aggravato dai rumori. Alcuni hanno
proposto che tale sensibilità sia però dovuta non tanto alla caffeina ma all'acido
clorogenico contenuto nel caffè verde [Guermonprez et al., 1985].
c) La terza indicazione è una condizione di ipersimpaticotonia che comprende
anche tachicardia e tachiaritmie. Anche quest'ultima indicazione di Coffea in
diluizione omeopatica può essere confrontata con l'azione della caffeina a dosi
farmacologiche sul miocardio.
218 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge
di Similitudine»

Tabella 6.
Relazioni tra alcuni principi attivi di rimedi
omeopatici e
pos s ibile effe tto farma c o lo gic o

Farmaco Alcune Principio Alcunieffetti


indicazioni attivo biologici
omeopatiche

Apis Edemi Melittina Attiva


Ponfi
mastociti
Prurito

Phytolacca Linfoadeniti Pokeweed Attiva


Faringiti mitogeno linfociti
Nux vomica Spasmi Stricnina Blocca
Iperestesia
inibizione
postsinaptica

Ipeca Nausea Emetina Attiva


Vomito chemorecettori
midollari
Silica Flogosi Silice Attiva
croniche
macrofagi

Opium Sonnolenza Morfina Mima


Euforia
endorfine e
Stipsi
encefaline

Belladonna Midriasi Atropina Blocca recettori


Secchezza fauci
muscarinici
Agitazione
colinergici
Iodum Tachicardia Iodio Attiva
Ansia (tramite orm. metabolismo
Vampate tiroidei?)

Coffea Insonnia Caffeina Aumento cAMp


Ipersensibilità
Antagonista di
Simpaticotonia
adenosina
omeostasi, compressirà e omeopatia: ra oLegge di similitudine,
219

6.3.8. Principi attivi ed effetto inverso

Quelli quisopra riportati sono soro alcuni esempi di come sia possibire
percorrere, a partire dall'empirismo omeopatico, una linea
di studio affine alla
Iogica farmaceutica moderna. Naturarmente, sarebbe necessario
un più ampio
lavoro di analisi e di sperimentazione per documentare questi concetti
in modo
sistematico.
La tabella 6 riassume in forma schematica la possibile relazione esistente
fra
principi attivi della preparazione, effetto ..omeopatico', ed azione biologica
e
biochimica del principio attivo stesso.
Ne risulta una significativa dimostrazione di come, una volta ammessa
Ia
possibilità di effetti inversi, l'effetto omeopatico sia logicamente inquadrabile
in
una azione farmacologicamente mirata ad uno o più sistemi fisiologici:
l,effetto
biologico del principio attivo è " simile" alle indicazioni omeopatiche
del rimedio
.s/es.§o. Considerando il fatto che molti rimedi omeopatici
sono stati individuati ed
applicati empiricamente molto tempo prima che ie ne potesse comprendere
il
bersaglio a livello fisiopatologico, le relazioni qui illustrate costituiscono
sorpren-
denti evidenze "a posteriori" della validità della tradizione empirica
omeopatica.
owiamente, quelle qui riportate sono solo una piccola parte, esemplificativà, di
un
campo estrememente vasto e complesso, in quanto, trattandosi spesso
di farmaci di
origine vegetale, i rimedi omeopatici contengono una moltepliciià di principi
attivi.

6.4. Considerazioni sull,autoemoterapia

Nell'esposizione delle varianti dell'omeopatia (cap. 2) si è accennato


anche
all'autoemoterapia come particolare forma di isoterapia eseguita con
il sangue
dello stesso paziente. Essa consiste nel prelievo di una certa qùntità
di sangue del
malato, nel trattamento del sangue con ozono o farmaci omeopatici,
nella sua
risomministrazione al malato stesso per via, di solito, intramuscolare (Kief,
19gg;
Kirsch, 1989; Kief, 1991).
come si vede, la metodica è semprice, ma quello che non è chiaro è ra sua
efficacia, il suo modo d'azione, le sue indicazioni e le sue controindicazioni.
eui
non si possono prendere in esame tutti i problemi, anche gravi, che
rendono tale
pratica molto discussa e discutibile. ci si interessa di quesà metodica
perché può
costituire un valido esempio di "interfacc ja" tra problemi trattati dalla
moderna
immunologia e l'omeopatia. T 'nulssmoterapia è basata sul principio
omeopatico:
somministrare al malato quarcosa che "contenga" principi attivi jella
malaitia, in
questo caso il sangue del malato stesso.
220 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine"

Regione di legome
oll'idiotipo

Regbne dl legome
oll'ontlgene
(ldlotlpo) Abl
Y Ab3

Figura 25. Raffigurazione della formazione di anticorpi contro un antigene estraneo


(Ab1) e di anticorpi anti-idiotipo (Ab2 e Ab3). Linee continue = stimolazione
del sistema o produzione di anticorpi; linee tratteggiate = blocco dell'antigene
o regolazione idiotipica. Per semplicità, l'anticorpo è raffigurato come
monovalente (cioè che lega un antigene con una sola regione).

Qui vengono considerate delle ipotesi sul possibile meccanismo che sta alla
base della metodica di terapia detta autoemoterapia, in particolare quando questa
è applicata al trattamento delle allergie. Il meccanismo d'azione dell'autoemotera-
pia potrebbe essere interpretato alla luce delle più recenti conoscenze sui sistemi
omeostatici immunologici ed in particolare nell'ambito delle teoria sul "network"
idiotipico.
Fino a metà degli anni sessanta le reazioni del sistema immunitario erano viste
in termini di capacità di riconoscere ed eliminare, tramite la risposta anticorpale
(linfociti B) o cellulare (linfociti T), antigeni non-self per lo più di origine esterna
all'individuo, o antigeni derivati da modificazioni abnormi di sostanze endogene.
A seguito della scoperta di anticorpi diretti contro anticorpi, si è capito che la
interazione lra antigeni, anticorpi e cellule del sistema immunitario è molto più
complessa. È merito soprattutto di Jerne, premio Nobel per la medicina 1984, l'aver
costruito un modello (idiotype network, rete idiotipica) per spiegare queste
interazioni. secondo questa teoria, oggi accettata da tutti, fJerne, 197 4;Male et al.,
1988; Golub,1984; Blaser and Weck, 1982; Perelson, 1989], gli anticorpi, in
quanto proteine, sono essi stessi antigeni e quindi un anticorpo (antibody-1, o
"abl"), diretto specificamente verso un certo antigene estraneo (nel nostro caso ad
Omeostasi, complessità e omeopatia: la "Legge di Similitudine" 221

esempio un allergene), presenta nella sua parte variabile detta Fab (Fragment
,-Antigen Binding) una struttura particolare (idiotipo) che può evocare la formazione
di specifici anticorpi (antiidiotipo , o "abZ") (figura 25)'
Tali anticorpi antiidiotipo a loro volta evocano la formazione di anticorpi anti-
antiidiotipo, o "ab3". Ab1,abZ, ab3, e forse ab4 ed ab5..., sono prodotti, in quantità
diverse (decrescenti), nel corso di una normale risposta immunitaria.
Su queste basi, sono stati sviluppati vari modelli matematici per poter fare
previsioni quantitative sul comportamento dei cloni linfocitari durante la risposta
immunitaria [Perelson, i989]. Analizzando le dinamiche immunitarie (ad esempio
l'andamento della produzione di un certo anticorpo) con questi mezzi, si è visto che
esse presentano sempre delle oscillazioni in cui si vedono le concentrazioni di
anticorpi idiotipici ed antiidiotipici fluttuare inversamente con picchi ricorrenti
ogni circa 80 giorni. Se però si cambiano, anche di poco, alcuni parametri del
sistema-modello (come ad esempio la velocità di formazione di nuove cellule B nel
midollo), le fluttuazioni divengono irregolari o persino aperiodiche (caotiche). È
interessante il fatto che simili oscillazioni, alquanto irregolari, sono state ritrovate
anche sperimentalmente in immunizzazioni sperimentali nel ratto [rassegna in
Perelson, 1989].
Poiché gli antiidiotipo riconoscono e si legano all'ab1, essi hanno una struttura
chimico-fisica "simile" all'allergene, che pure si lega all'ab1, ne rappresentano per
così dire l"'immagine interna", prodotta dall'organismo (vedi figlura25).
Il fatto che l'anti-idiotipo (ab2) sia per molti aspetti simile all ' antigene originale
è già stato sfruttato dagli immunologi per produrre dei vaccini che vengano
la somministrazione dell'antigene originale non è consigliabile
'rtilizzati quando
per ragioni di sicurezza (ad esempio virus particolarmente pericolosi). In questo
caso il paziente che riceve un anticorpo somigliante all'antigene patologico,
produrrà anticorpi anti anti-idiotipo (ab3) che saranno simili all'abl e quindi
daranno una certa protezioneverso l'antigene verso cui si vuole indurre l'immuni-
tà. Un'altra possibile applicazione, ancora però a livello sperimentale, è l'uso di
anticorpi antiidiotipo nelle malattie autoimmunitarie [v. ad es. Verschuuren et al.,
1ee1l.
Tutta questa serie di interazioni non ha il significato patologico dei già noti
anticorpi anti-anticorpo presenti nelle malattie autoimmuni, bensì pare svolga
importanti funzioni di regolazione. Infatti il legame di un anticorpo all'idiotipo di
un altro anticorpo può avere alcune importanti conseguenze, e cioè:

a) laneutralizzazionedellepossibilitàdilegarel'antigene(oallergene)"naturale",
per mascheramento del sito di riconoscimento;
b) la eliminazione da parte del sistema dei fagociti del complesso aggregato
anticorpale;
222 Omeostasi, complessità e omeopatia: la oLegge di Similitudine»

c) il blocco dei recettori per l'antigene sui linfociti B, recettori che notoriamente
presentano lo stesso idiotipo dell'anticorpo che la cellula produrrà; quindi
si
blocca anche la blastlzzazione, clonazione e maturazione della Iinea B-plasma-
cellula specifica per quell'anticorpo;
d) non si può escludere che una forte risposta antiidiotipo possa portare anche alla
eliminazione, per citolisi, dei cloni linfocitari interessati, prospettandosi quindi
uno stato di desensibilizzazione permanente.

Benché la teoria fosse stata originalmente proposta in termini di interazioni tra


anticoqpi e cellule B, ora comprende anche le cellule T, che presentano recettori
antigene-specifici sulla loro superficie. Anche i recettori di linfociti T presentano
una parte variabile che esprime quindi un particolare idiotipo, che può essere
riconosciuto ed interagire con un recettore anti-idiotipo sulle cellule T o con un
anticorpo antiidiotipo. La partecipazione delle cellule T rende enormemente più
complessa la interpretazione delle possibili funzioni fisiologiche del sistema.
Infatti esistono vari tipi di linfociti T, di cui i principali sono quelli di tipo helper
(che aumentano la risposta immunitaria e quelli di tipo tuppr"iror(cle inibiscòno
Ia risposta). vi sono evidenze che si possono formare sia cellule helper che
suppressor idiotipo-specifiche. Le interazioni a livello del ,.network,, idiotif ico, sia
di cellule B che T, sono molto importanti nella regolazione dei processi di controllo
della quantità e qualità della risposta immunitaria. Malfunzionamenti della rete
idiotipica fanno parte dei meccanismi che determinano l,insorgenza dell,autoim_
munità [Kumar and Sercarz,1991).
Considerazioni analoghe si potrebbero fare sugli anticorpi anti-anti-idiotipo.
Non è noto quale sia il grado effettivo di "ramifica zione,, del sistema, ma pare che
non si estenda oltre a ab3 o ab4 [Male et al, 1988].
Altri esperimenti, eseguiti nel topo, [Kelsoe et al., 19g1; Blaser and weck,
1982], hanno dimostrato che l'iniezione di idiotipo ha effetti modulatori del sistema
immunitario in dipendenza dalla dose iniettata. Ad esempio,l0 pgdi anticorpo
sopprimono Ia produzione di antianticorpo, mentre 10-100 ng la stimolano. È stato
anche visto che ò più facile ottenere la soppressione in animali giovani rispetto agli
adulti [Male et al., 1988].
La induzione di una soppressione mediata da cellule T si spiega in questo modo:
l'idiotipo iniettato va a legarsi su recettori di cellule T suppressor e li stimola,
inducendo una proliferazione di un clone di lifociti T anti-idiotipo. eueste cellule
quindi interagiscono con cellule B che esprimono I'idiotipo e le sopprimono,
bloccando la produzione di anticorpi. Vi sono evidenze sperimentali che òellule B,
anticorpi e cellule T hanno recettori con simili o identici idiotipi
[Blaser and Weck,
19821. Da notare che, affinché l'interazione T-B (cui partecipano anche le
cellule
della serie macrofagica) avvenga, è necessario anche il riconoscimento del gruppo
Omeostasi, complessità e omeopatia: la di Similitudine" 223
"Legge

HLA. In altre parole, questi meccanismi funzionano solo tra cellule dello stesso
gruppo HLA.
Quanto detto sopra si riferisce a studi fatti sulla normale risposta immunitaria
IgG. Vi sono evidenze che il network idiotipico gioca un ruolo anche nella
regolazione della risposta IgE, che è quella più importante (pur non essendo
l'unica) nella patogenesi delle manifestazioni allergiche. In termini sintetici e per
forza di cose semplificati, il principale movente patogenetico della allergia, o
ipersensibilità immediata di tipo I, è l'eccessiva produzione di immunoglobuline
IgE in soggetti particolarmente sensibili verso determinati allergeni. Tali anticorpi
vanno quindi a legarsi con il loro Fc (Frammento Costante) sulla membrana dei
basofili circolanti e delle mastcellule nei tessuti connettivi per lo più sottoepiteliali.
Quando il soggetto allergico (sensibilizzato) viene di nuovo a contatto con
l'allergene, questo si lega alla parte Fab delle IgE cellulari e scatena la liberazione
di istamina e di altre sostanze pro infiammatorie. A seconda del distretto dove la
reazione è massima,si hanno le varie manifestazioni quali orticaria, rinite, congiun-
tivite, edema della glottide, asma, diarrea, fino allo shock anafilattico se la reazione
è generalizzata. secondo alcuni [Katz et a|.,1,979],la formazione di IgE è minima
nei soggetti normali e mantenuta a bassi livelli da un meccanismo di spegnimento
costituito dalle cellule T suppressor e dai loro fattori solubili. Depressione o
malfunzionamento di questo meccanismo di spegnimento potrebbero iniziare la
sensibilizzazione, mentre la stimolazione di IgE-T suppressors potrebbe restaurare
lo stato di salute. Nelle reazioni allergiche sono sicuramente coinvolti anche
meccanismi neuroendocrini, se si pensa ad esempio che il cortisone ha un potente
effetto depressore sulle risposte linfocitarie e che alcuni terminali nervosi nei
tessuti connettivi possono liberare neuropeptidi (sostanza P) che sono in grado di
per sé di stimolare le mastcellule a secernere istamina.
È quindi possibile ipotizzareche per rnezzo della autoemoterapia si intervenga
nel delicato equilibrio che regola la risposta IgE e quindi la allergia. Introducendo
sangue dello stesso paziente per via intramuscolare o sottocutanea si introducono
come fattori critici, vettori di informazioni specifiche, anticorpi, immunocomplessi
e linfociti (soprattutto T, che sono i più rappresentati nel sangue circolante) recanti
particolari idiotipi. Adiuvati dalla reazione infiammatoria causata dal sangue in
sede extravascolare e, forse, dalla gran quantità di materiale lipidico fornito dalle
membrane dei globuli rossi, questi fattori andranno a stimolare la produzione di
anticorpi (IgG o IgM) capaci di neutralizzare le IgE, o andranno a stimolare la
produzione di linfociti T idiotipo-specifici capaci di sopprimere i corrispettivi B
produttori di IgE.
La via di somministrazione ha una notevole importanza. Infatti una possibile
obiezione all'ipotesi qui riportata potrebbe basarsi sul fatto che attraverso la
autoemoterapia si somministra sangue dello stesso soggetto, quindi qualcosa che
224 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»

è ovviamente già presente a livello di tutto il sistema immunitario, e tollerato come


"self'. Non si spiegherebbe quindi una risposta antiidiotipo superiore a quella
fisiologica. A tale obiezione si può però rispondere, in via ipotetica, che attraverso
la via di somministrazione intramuscolare o sottocutanea ci si aspetta che i fattori
idiotipo-specifici (anticorpi o recettori B o T) raggiungano il sistema immunitario
(linfonodi) attraverso la corticale, che è la via più appropriata per essere riconosciu-
ti, processati dai fagociti e presentati ai linfociti. Come già discusso in precedenza
(sez. 5.6.1), cambiando la via di introduzione dell'antigene si possono ottenere
effetti opposti nella risposta immunitaria. Altrettanto importante potrebbe essere
una modificazione chimicaparziale dell'anticorpo (o del recettore del linfocita) [v.
Sehon, 19821. Tale modificaziote,che trasforma l "'identico" in "simile", potrebbe
essere attuata durante la risposta infiammatoria (intervento di proteasi, formazione
di complessi carrier-aptene, aggregati proteici e proteolipidici) conseguente alla
stessa presenza del sangue in sede extravascolare. La trasformazione del-
l"'identico" in "simile" potrebbe essere un meccanismo per by-passare la tolleran-
za immunitaria ed indurre la risposta anti-idiotipo.
In questo contesto di ragionamenti, potrebbe spiegarsi anche il fatto che secondo
alcuni autori [Kirsch, 1989], trattando il sangue con ozono prima della reintrodu-
zione, si ottengono risposte terapeutiche più precocie efficaci. L'ozono, come
potente ossidante, renderebbe I'idiotipo (o le parti della struttura proteica adiacenti)
leggermente diverso da quello nativo, stimolando quindi una risposta molto più
intensa.
La regolazione della formazione di anticorpi coinvolge effetti Helper e Suppres-
sor, il cui equilibrio può essere alterato dall'innesco di una risposta antiidiotipo. A
questo proposito è significativo il dato che la formazione di IgE è particolarmente
suscettibile alla soppressione per opera dell'antiidiotipo. In alcuni casi addirittura
si è osservato concomitante soppressione della risposta IgE ed attivazione della
risposta di altre classi di anticorpi. Questo è importante perché la soppressione
specifica di tutto il sistema immunitario potrebbe essere deleteria per la difesa
contro un antigene patogeno e la sua eliminazione [Blaser and Weck, 1,9821.
Tra i possibili meccanismi in gioco nella autoemoterapia si dovrebbero
probabilmente considerare anche le reazioni "aspecifiche", cioè quelle reazioni
non direttamente legate alla immunità nei conf onti di una certa sostanza. Nel
sangue di un malato, oltre agli anticorpi ed ai linfociti attivati, vi sono molte altre
componenti potenzialmente biologicamente significative. Ad esempio, sostanze
molto attive, anche in piccole dosi, sono le citochine, i recettori solubili delle
interleuchine, gli inibitori delle citochine, ecc. È plausibile che in ogni malattia ed
in ogni fase della malattia si creino particolari "costellazioni" di vari composti di
questo tipo, a scopo regolatore. In altre parole, esiste un "network" anche delle
citochine. A questo punto, l'uso di un sangue di questo tipo potrebbe avere una
Omeostasi, complessilò e omeopatia: la
"Legge di Similitudine» 225

notevole efficacia nella regolazione delle risposte non specifiche. A simili effetti
potrebbe forse essere dovuta l'inibizione della degranulazione dei basofili invitro
da parte di diluizioni di sangue [Sainte Laudy et al., 1986].
Nonostante le considerazioni sopra riportate possano indicare suggestive pos-
sibilità di intervento, deve essere ben chiaro che, a causa della complessità del
sistema immunitario,non è possibile a tutt'oggi costruire un modello che consenta
con cefiezza cosa avvenga a seguito dell'introduzione di sangue
di stabilire
omologo secondo la metodica dell'autoemoterapia. Non è facile prevedere la
risposta nel singolo paziente e neppure sapere se questa metodica, che sicurarnente
costituisce una "perturbazione" di un fine equilibrio di molte componenti, possa
comportare dei rischi di peggioramento del quadro immunologico.
Ad un esame critico del problema non può non apparire di grande interesse il
fatto che l'evidenza clinica è in favore aila autoemoterapia in quanto dimostra il
verificarsi di un significativo numero di guarigioni o miglioramenti di pazienti
allergici. Inoltre non sono segnalati effetti secondari gravi, se si esclude l'insorgen-
za di sindromi febbrili. Poiché però la letteratura su questo argomento è frammenta-
ria e per buona parte non rintracciabile su testi di immunologia correnti, si rendono
necessarie ulteriori e più approfondite ricerche. Soprattutto nel trattamento di
patologie gravi del sistema immunitario come l'AIDS, dove pure è stato proposto
e sperimentato (pare senza successo) l'uso della autoemoterapia [Garber et al.,
1.991), è assolutamente necessario procedere con prudenza e con metodiche sicure
di accertamento dell'efficacia e della innocuità di simili procedure.
In conclusione, sarebbe auspicabile che venissero chiarite le basi biologiche di
un metodo che potrebbe, se ben conosciuto e rigorosamente controllato, costituire
un valido approccio al controllo di vari disordini del sistema immunitario e
dell'infiammazione. Le possibili linee di ricerca potrebbero essere sostanzialmente
due:
a) Attuare ampi trials clinici rigorosamente controllati per stabilire la validità della
metodica ed i suoi possibili effetti collaterali negativi. In questi trials clinici si
dovrebbe prendere in esame non solo l'aspetto sintomatologico soggettivo, ma
anche quello strumentale (ad es. spirometria nelle forme asmatiche) e soprattut-
to laboratoristico (dosaggi di anticorpi, linfociti delle varie sottoclassi, tutti i test
di allergia).
b) Intensificare Ie ricerche sulle basi biologiche della autoemoterapia, provando ad
esempio se l'effetto dipende dalla somministrazione di anticorpi, o di linfociti,
o di altre componenti del sangue (citochine, immunocomplessi). Inoltre si
potrebbero sviluppare modelli in animali (soprattutto topi), molto più facilmen-
te manipolabili sul piano sperimentale. Infatti la maggior parte degli studi sul
network idiotipico sono stati condotti su topi, tanto che molti aspetti di questa
teoria nell'uomo sono puramente ipotetici.
7. IL PARADIGMA BIOFISICO

La ricerca delle basi scientifiche su cui fondare una ipotesi sul meccanismo
d'azione dell'omeopatia ha condotto il discorso sul tema della complessità, entro
cui è stata fondamentalmente inserita la spiegazione razionale della "legge di
similitudine" e del possibile effetto di piccole e piccolissime dosi di composti
naturali e di estratti derivati da processi patologici. Si è già sottolineato come questa
sia la principale acquisizione della omeopatia e che questo approccio possa
consentire di integrare con relativa facilità il farmaco omeopatico nell'ambito della
farmacologia scientificam ente ortodossa.
Si deve ora proseguire il discorso sul problema delle dosi ultra-basse (dette più
precisamente "alte diluizioni", o "alte potenze" secondo la dizione Omeopatica
classica), quelle che non hanno virtualmente molecole di composto attivo. Non v'è
dubbio che il salto concettuale sia enorme e che quanto si va a trattare appaia
talmente fanta-scientifico da far apparire folle chiunque sostenga la possibilità di
indagare scientificamente simili problemi. Di fronte a simili argomentazioni, che
chi scrive ha avuto varie volte occasione di sentirsi proporre, non disponendo di
"prove schiaccianti" (si è visto che le prove cliniche e biologiche non offrono
ancora certezze definitive e molti risultati apparentemente eclatanti aspettano di
essere ripetuti), non resta che riferirsi a quanto scritto da più autorevoli personaggi
a proposito degli studi nei campi di frontiera della scienza.
Dice il noto filosofo della scienza Karl Popper: "Quello che possiamo chiamare
il metodo della scienza consiste nell'imparare sistematicamente dai nostri errori, in
primo luogo osando cornmetterli - cioè proponendo arditamente teorie nuove - e,
in secondo luogo, andando sistematicamente alla ricerca degli errori che abbiamo
commesso" [Popper, 1969].
Fa eco Claude Bernard, che potrebbe essere definito il padre del metodo
sperimentale in medicina: "Coloro che hanno condannato l'uso delle ipotesi e delle
idee preconcette nel metodo sperimentale hanno commesso l'errore di scambiare
l'ideazione dell'esperimento con l'accertamento dei risuitati. È giusto dire che
bisogna accertare i risultati dell'esperimento con la mente sgombra di ipotesi e di
idee preconcette, ma non si deve assolutamente impedire di fare delle ipotesi
Il paradigma biofisico 227

allorché si impianta un esperimento e si va alla ricerca di mezzi di informazione.


Bisogna, invece, come diremo subito, dar libero sfogo alla fantasia; l'idea è la fonte
di ogni ragionamento e di ogni invenzione; ad essa è dovuta ogni forma di iniziativa.
Non si deve soffocarla o scacciarla col pretesto che essa può nuocere: bisogna solo
regolarla e darle un carattere decisivo della verità, e questo è cosa ben diversa. (...)
Anche se l'ipotesi non dovesse essere confermata e dovesse essere abbandonata, i
fatti che essa ci ha aiutato a trovare resteranno acquisiti come materiale indistrut-
tibile della scienza" [Bernard, 1973].
Più avanti si legge: "Quando nella nostra scienza si costruisce una teoria, la sola
cosa di cui si può essere certi è che in genere questa teoria è falsa in valore assoluto.
Le teorie rappresentano solo delle verità parziali e provvisorie di cui ci si serve per
procedere nella ricerca, come ci serviamo dei ripiani di una scala per riposarci; esse
corrispondono allo stato attuale delle nostre conoscenze e dovranno perciò neces-
sariamente cambiare col progredire della scienza e tanto più rapidamente quanto
più arretrata è la scienza stessa. D'altro lato, come abbiamo detto, le nostre idee
sorgono dallo studio di fatti precedentemente osservati e che vengono interpretati
in un momento successivo. Ora nelle nostre osservazioni possono introdursi
innumerevoli cause di errore e nonostante tutta la nostra attenzione e la nostra
sagacia non possiamo essere mai certi di aver visto tutto perché spesso non se ne
hanno imezzi o questi sono ancora troppo imperfetti. Il ragionamento perciò, se ci
è di guida nella scienza sperimentale, non ci impone di accettarne tutte le
conseguenze. La nostra mente rimane sempre libera di accettarle o di metterle in
discussione. Non bisogna respingere un'idea, quando è nata, solo perché non si
trova in accordo con le deduzioni di una dottrina dominante. Possiamo invece
seguire il nostro sentimento e dar libero corso alla nostra immaginazione a patto che
tutte le nostre idee servano solo di pretesto per altri esperimenti che possano fornirci
dati nuovi e fecondi" [Bernard, 19731.
Non è quindi estraneo al metodo scientifico chi si propone di affrontare, almeno
sul piano delle idee e delle ipotesi, argomenti come quelli qui trattati. Naturalmente,
quanto qui riportato costituisce un insieme di fatti e di teorie non ancora sistema-
tizzato, ma può certamente rappresentare lo spunto per prove di tipo sperimentale
che potranno confermare o smentire vari specifici punti.
La necessità di andare oltre la chimica e la biochimica, entrando quindi
nell'ambito di un paradigma biofisico, per spiegare gli effetti delle altissime
diluizioni omeopatiche, è ovvia: se non si vogliono accettare aprioristicamente
(come qui non si vuole) né I'ipotesi "nulla" (= è tutto un imbroglio) né spiegazioni
di tipo extra-scientifico (azione di "entità" o "energie" non meglio definibili), una
volta accertata matematicamente la assenza di molecole oltre la diluizione 24D o
1,2CH, si deve pensare all'esistenza di informazioni legate a fenomeni di natura
fisica, quali vibrazioni di campi elettromagnetici o particolari strutture spaziali del
228 Il paradigma biofisico

solvente che in qualche modo riproducono l"'immagine", o l"'informazione", del


soluto originario.
La possibile applicazione in medicina dell'elettromagnetismo era stata intuita,
pur fra molte cautele, dallo stesso Hahnemann, che nel paragrafo 286 dell'Organon
scriveva: "Non meno omiopaticamente delle vere medicine, che vengono sommi-
nistrate per bocca o per frizioni sulla pelle o per fiuto, e non meno energicamente,
agisce la forza dinamica magnetica, elettrica e galvanica sul nostro principio vitale;
e con questi mezzi possono venire guariti casi di malattia con sensibilità ed
irritabilità anormali, malattie psichiche con abnorme sentimento e movimenti
muscolari involontari. Però il modo di usare i due ultimi mezzi come pure la
macchina elettromagnetica sono pratiche non molto chiare, per applicarle in
omiopatia. Per lo meno finora l'elettricitàed il galvanismo si sono usaticomemezzi
palliativi,congrandedannodeimalati.Leazionipositiveepurediquesti duemezzi
finora sono state ancora poco esperimentate sul corpo umano sano". Anche in
questo brano risaltano sia la grande capacità intuitiva e precorritrice di Hahnemann,
sia la sua radicata mentalità di medico sperimentatore.
Affinché si possa accettare che il farmaco omeopatico ultra-diluito agisca con
meccanismo biofisico bisogna affrontare le seguenti due questioni fondamentali:

a) Può un solvente, quale acqua o acqua contenente varie % di etanolo, incorporare


e mantenere qualche forma di ordine o organizzazione che sia veicolo di
informazioni in assenza del soluto originario? In altre parole: esiste la famosa
"memoria dell'acqua" e come eventualmente Ia si può spiegare?
b) Ammettendo che ordine e informazione possano essere incorporate e mantenute
nelle soluzioni altamente diluite, come esse possono interagire con il livello
biologico? In altre parole: come l'organismo legge e recepisce tali proprietà del
rimedio omeopatico eleùilizza in senso regolativo?

A nessuno può sfuggire che solo se tali domande avranno una risposta convin-
cente, si potrà affermare l'esistenza di basi scientifiche dell'omeopatia delle alte
diluizioni.

7.1. Biofisica dell'acqua

In questo capitolo vengono raccolte molte indicazioni, presenti in letteratura,


riferentisi alle peculiari proprietà dell'acqua e che possono essere di interesse al fine
di dare una risposta al primo dei due quesiti sopra enunciati. Naturalmente, anche
in questo caso, non si potrà sviluppare l'argomento in modo specialistico, cosa che
esulerebbe dalle competenze degli autori e dalle finalità del testo. Lo studio
il paradigma biofisico 229

dell'acqua costituisce un grosso capitolo della fisica [Franks,19B2; Franks and


Mathias, 1982). Nonostante che le conoscenze su questa straordinaria sostanza
siano ben lungi dall'essere complete, quanto attualmente si sa consente, quanto
meno, di non poter escludere che essa funga da deposito e trasmettitore di
informazioni biologicamente significative

7.1 .1. Alcune caratteristiche dell'acqua

Già si è avuto occasione di illustrare come l'acqua, nonostante la semplicità


della molecola, manifesti un tipico comportamento complesso nelle transizioni di
fase ed allo stato liquido, quando essa si trova in un sistema "aperto", che scambia
energia con I'ambiente. Qui I'argomento è analizzato con maggiore dettaglio,
riportando nozioni di tipo teorico ed indicazioni di tipo sperimentale.
Le interpretazioni del comportamento dell'acqua allo stato liquido vengono
generalmente formulate in termini di interazioni a cortd raggio, come ad esempio
i legami idrogeno e le forze di van der Waals, che in qualche modo connettono le
molecole d'acqua in una specie di "network". La molecola d'acqua non è lineare,
ma l'ossigeno forma con i due idrogeni un angolo di 104.5". Poiché i legami tra
idrogeno e ossigeno sono covalenti polari, con l'idrogeno positivo rispetto all'os-
sigeno, la molecola ha un momento dipolare risultante. L'attrazione tra la regione
negativa correlata all'atomo di ossigeno e la regione positiva correlata all'atomo di
idrogeno di un'altra molecola porta all'associazione di varie molecole d'acqua,
così che si forma un reticolo irregolare di forme tetraedriche interallacciate (v.
figura 26) [Stillinger, 1980].
Ogni molecola d'acqua è capace di formare quattro legami idrogeno con le
molecole vicine, in ciascuno dei quali un protone (H-) è diretto verso la zona
elettronegativa dell'atomo di ossigeno. Una molecola si comporta come donatore
di protoni verso altre due, mentre diventa accettore di protoni da altre due: i protoni
sono quindi condivisi tra due atomi di ossigeno e di conseguenza sono in continuo
"movimento", in continua oscillazione tra i due atomi.
Questo tipo di interazioni sono descritte come degli "uncini" che uniscono le
molecole d'acqua vicine e le vincolano, quando la temperatura è inferiore a cento
gradi, in uno stato fisico più condensato (liquido) rispetto al vapore in cui non
esistono legami ma solo scontri casuali tra molecole.
Il liquido deve essere definito come un insieme omogeneo ma irregolare di
molecole. La struttura del liquido non è cristallina come avviene per un solido e si
esclude anche la possibilità che nel liquido possano esistere regioni cristalline
[Finney, 1,982], tuttavia alcuni propongono una struttura "quasi-cristallina" IStil-
linger, 1980]. Infatti dire che la disposizione delle molecole sia irregolare non
230 Il paradigma biofisico

Legome
idrogeno

Figura 26. A: legame idrogeno tra molecole d'acqua; B: strutture tetraedriche e


poligonali irregolari nell'acqua Iiquida.
Il paradigma biofisico 231

significa che le molecole d'acqua siano in un totale disordine; il disordine è ristretto


dalla particolare geometria delle molecole, che tendono a formare Iegami in forma
di tetraedri.
La struttura a tetraedri interallacciati su tre dimensioni forma figure pentagonali
ed esagonali molto regolari nel ghiaccio, ma tali da essere presenti anche nel
iiquido, solo che in quest'ultimo variano continuamente in modo caotico. Una
struttura a rete con una certa forma cambia statisticamente in una con una forma
diversa ogni L0-1r o 10-r2 secondi. I cambiamenti sono permessi dal fatto che Ia
molecola è sufficientemente elastica per sopportare piccole distorsioni dell'angolo
di apertura.
Una descrizione precisa delle leggi che regolano la disposizione delle molecole
d'acqua e quindi i suoi cambiamenti di fase è ben lungi dall'essere compiuta. Ecco,
ad esempio, cosa scrive il fisico D. Ruelle: "Ecco un bel problema per i fisici teorici:
dimostrare che, se si aumenta o si diminuisce la temperatura dell'acqua, ci saranno
cambiamenti di fase che daranno vapore o ghiaccio. Un bel problema sì... ma troppo
difficile! Noi siamo molto lontani dal poter fornire la dimostrazione richiesta. In
effetti non c'è un solo tipo di atomo o di molecola per cui si possa dimostrare che,
a basse temperature, si verificherà la cristallizzazione. Questi sono problemi troppo
difficili per noi. In verità, non è raro in fisica trovarsi di fronte a problemi troppo
difficili per poterli risolvere..." [Ruelle, 1991].
Due sono i principali problemi aperti: il primo riguarda l'interazione tra
molecole vicine" Nel modello sopra presentato (tetraedri interallacciati in moto
caotico) si deve fare l'assunzione che l'energia totale di N molecole dipenda dalla
somma delle energie di interazione tra ciascuna singola coppia di molecole. Si
trascura cioè un eventuale influsso da parte di molecole vicine sull'energia di
interazione, cioè di ciascun legame idrogeno. Date due molecole che interagiscono
in un liquido, si deve assumere che la energia di legame non sia alterata da altre
molecole vicine. Tale assunzione è valida per liquidi semplici, ma non sembra che
si possa applicare all'acqua, sullabase di considerazioni siateoriche che sperimen-
tali [Finney, 19BZ). L'esistenza di influenze di altre molecole vicine sul legame di
due molecole non è certo priva di conseguenze: si vengono arcalizzare interazioni
multiple a cascata che possono cambiare notevolmente il comportamento casuale,
introducendo fenomeni di cooperatività e di coerenza.
Un secondo punto importante riguarda ciò che avviene quando una molecola
diversa viene sciolta o immersa nell'acqua: è certo che la struttura si modifica e si
rompe, a seconda delle proprietà della nuova molecola. Inoltre, all'interfaccia tra
macromolecole e solvente si verificano enormi riorganizzazioni della struttura
dell'acqua, che assume configurazioni del tutto nuove, anche a distanze conside-
revoli dalla molecola del soluto. In questo caso sicuramente gli effetti cooperativi
sono molto importanti. A questo proposito, vari autori parlano di "acquavicina" per
232 Il paradigma biofisico

intendere l'acqua che si trova vicino a superfici solide o a macromolecole. È l'acqua


dell'interfacie, e le sue proprietà differiscono considerevolmente da quelle dell'ac-
qua libera. Ad esempio, una catena proteica con gruppi chimici positivi (NH) e
negativi (CO) alternantisi dovrebbe polarizzare l'acqua circostante, ridurne i
movimenti di rotazione e traslazione e dar luogo alla formazione di molti strati
ordinati di molecole d'acqua. Tali modificazionipeculiari della struttura dell'acqua
si estendono, a seconda degli autori, da 5 a 200 diametri molecolari a distanza dalla
supericie considerata.
Questo fenomeno non coincide con le ben riconosciute interazioni molecolari
fia l'acqua e la superficie (ad esempio interazioni ione-dipolo o dipolo-dipolo), che
sono ad alta energia ed a breve raggio. L'acqua vicina, invece, si estende molto più
lontano delle interazioni specifiche di superficie [Drost-Hans en,1982]. Ciò potreb-
be avere grosse implicazioni nel funzionamento delle cellule che, come è noto, sono
ricchissime di macromolecole, di fibre e di membrane.
Le proprietà dell'acqua vicina sono peculiari: essa è più densa dell'acqua
normale e congela solo a molti gradi sotto lo zero ed anche le sue proprietà di
solvente sono alterate. È stato suggerito che molti enzimi, ritenuti sciolti nel
citoplasma, in realtà siano debolmente associati alle superfici di fibre o membrane
per I'interazione con I'acqua vicina, così che molti processi metabolici si svolge-
rebbero in condizioni di organizzazione su piani bidimensionali piuttosto che nel
moto caotico dell'acqua libera [Clegg,l98Z).
Allo scopo di illustrare le possibili implicazioni che avrebbe Ia accettazione
dell'esistenza e dell'importanza dell"'acqua vicina" nella cellula, ci si può riferire
alla teoria portata avanti soprattutto da Ling [Ling et al.,1973; Ling and Ochsen-
feld, 1983; Rowlands, 19BB]. È noto che lo ione sodio ha una bassa concentrazione
all'interno della cellula rispetto all'esterno, mentre l'opposto vale per lo ione
potassio. La teoria corrente è che tale differenze di concentrazione siano mantenute
da pompe di membrana, ma secondo Ling se ciò fosse vero si avrebbe un eccessivo
consumo di energia solo per far funzionare le pompe. L'autore propone quindi
l'ipotesi che il potassio all'interno della cellula sia quasi interamente legato alle
proteine, mentre lo ione sodio, che ha un maggiore volume di idratazione, sia molto
meno solubile nell'acqua vicina, ordinata e polarizzata dei liquidi intracellulari,
rispetto all'acqua ordinaria presente nei liquidi extracellulari. Quindi il potassio
sarebbe trattenuto ed il sodio sarebbe escluso dalla cellula mediante meccanismi
che non richiedono costante rifornimento di energia.
Le possibili implicazioni dell'acqua vicina sulla fisiologia della cellula sono
state discusse e documentate anche da Bistolfi nell'ambito di una teoria biofisica
sui sistemi di comunicazione biologici [Bistolfi et al., 1985; Bistolfi, 1989].
Riprendendo i lavori di Hameroff [Hameroff, 1988], I'autore ipotizzache l'acqua
adiacente al citoscheletro sia altamente ordinata, cioè allineata con legami polari
Il paradigma biofisico 233

sulla superficie delle proteine filamentose. Tale acqua ordinata potrebbe accoppiar-
si alle dinamiche coerenti delle proteine (che, come è noto, sono fatte dall'assem-
blaggio di tante sub-unità identiche), opponendosi alla dissipazione termica
dell'energia di oscillazione delle proteine. In altre parole, le proteine filamentose
potrebbero essere dei conduttori di segnali vibrazionali e l'acqua vicina potrebbe
essere una specie di isolante che favorisce la conduzione.

7. 1.2. La superradianza

Dopo aver delineato alcuni dei problemi tuttora aperti nello studio delle
proprietà dell'acqua in fase liquida, è possibile affrontare le questioni più stretta-
mente correlate al problema dell'omeopatia. Esse riguardano modelli teorici ed
esperienze empiriche che suggeriscono l'esistenza di realibasi fisiche del fenome-
no omeopatico.
Un gruppo di fisici dell'Istituto di Fisica Nucleare di Milano (E. Del Giudice,
G. Preparata e collaboratori) sta portando avanti da diversi anni Ia formulazione di
un modello descrittivo della fisica dell'acqua allo stato liquido, che potrebbe
contribuire non poco a sciogliere l'enigma dei fenomeni omeopatici, o, quanto
meno, potrebbe servire da supporto a quanti considerano "non teoricamente
impossibile" una attività biologica delle soluzioni ultra-diluite.
Qui si cercherà di offrire una sintesi dei lavori di detto gruppo [Del Giudice et
al., 1988a; Del Giudice et al., 1988b; Del Giudice, 1990], trascurando numerosi
dettagli tecnici e formulazioni matematiche, che potranno essere trovati nei lavori
citati.
Gli autori partono da una critica alla teoria dell'acqua allo stato liquido che
contempli solo l'interazione mediante il legame idrogeno tra molecola e molecola.
Secondo i loro calcoli, quando il vapore d'acqua liquefa, il cambiamento di fase
gas-liquido, che coinvolge qualcosa come 1023 molecole/litro, è troppo rapido e
massivo (tenendo conto anche che avviene a 100 'C, sotto una fortissima agitazione
termica che contrastala attrazione elettrostatica) per essere spiegato solo da un
modello basato sull'esistenza del legame idrogeno che unisce due molecole vicine.
Un modello più soddisfacente dovrebbe includere un altro ingrediente, mancante
nei modelli precedenti: il campo elettromagnetico radiante, cioè un messaggero a
lungo raggio che porta ordine nel moto vibratorio delle molecole.
Si è visto che le molecole d'acqua sono dei dipoli elettrici. Il contributo di questo
piccolo campo elettromagnetico alle dinamiche dell'acqua è trascurabile in termini
quantitativi se la interazione tra molecole è vista come una somma di interazioni
binarie molecola-molecola. Tuttavia, quando un gran numero di elementi (moleco-
le) interagisce attraverso il campo elettromagnetico, oltre una certa densità il cui
234 Il paradigma biofisico

valore dipende dalla lunghezza d'onda del campo elettromagnetico, il sistema si


situa in una configurazione in cui la maggior parte delle molecole si muovono
coerentemente, tenute in fase dal campo stesso. Questo fenomeno è detto
"superradianza" e consiste praticamente in una oscillazione all'unisono nel tempo
in un certo spazio (corrispondente a metà della lunghezza d'onda) di un gran
numero (si calcola 10rs) di molecole di acqua. Data una ltnghezza d'onda tipica
di una radiazione e.m. di 20O pm, il dominio di coerenza si estenderebbe per circa
100 pm.
Gli studi del gruppo milanese si sono spinti ben più avanti della scoperta della
superradianza, in quanto nel loro modello sono trattate altre due questioni di
fondamentale importanza per la problematica dell'omeopatia delle alte diluizioni:

a) la stabilità di un simile fenomeno nel tempo (qualcosa di analogo ad una


"memoria") e
b) la interazione tra il regime di superradianza e le molecole del soluto.

Secondo la teoria quantistica, è possibile che nell'acqua liquida coesistano due


fasi separate: una fase sottoposta al regime di coerenza, un'altra fatta di molecole
che si muovono a caso come un gas, una situazione descritta anche per l'elio
superfluido ed in accordo con le osservazioni sperimentali secondo cui i legami
idrogeno tra le molecole di acqua sono molto inferiori a quelli teoricamente
possibili se tutte le molecole vi fossero coinvolte [citazioni in Del Giudice, 1990].
Quella parte di molecole che vibrano coerentemente, Si "vedono" l'un l'altra come
immobili e quindi le attrazioni elettrostatiche dovute principalmente ai legami
idrogeno non sono casuali come nel gas, bensì sequenzialmente ordinate in
pacchetti in cui le forze attrattive sono enormemente superiori che nella fase
gassosa.
La teoria di Del Giudice e Preparata prevede che i gruppi di molecole che si
muovono coerentemente siano mantenuti in regime di superradianza sia per
effetto dello stesso campo elettromagnetico prodotto (che, come si è visto,
controlla significative distanze), sia perché protetti dal "guscio" di forti legami
idrogeno formatisi come descritto. La fase coerente dell'acqua è perciò piuttosto
stabile e con difficoltà altre molecole potrebbero entrarvi. Secondo Del Giudice,
all'interno della fase coerente l'entropia sarebbe pressoché zeto) e le proprietà
termiche e di solvatazione dell'acqua sarebbero dipendenti solo dalla fase fluida
(simil-gassosa).
Ora ci si deve chiedere come un simile modello possa essere la base per un
deposito di qualche tipo di informazione: ciò sarebbe possibile se la vibrazione
elettromagnetica coerente potesse essere influenzata, modulata, da forze chimiche
o fisiche esterne, in modo da assumere una certa frequenza e poter entrare in qualche
Il paradigma biofisico 23s

modo in comunicazione con altri sistemi chimici, fisici o biologici. Questa ipotetica
proprietà dell'acqua è sostenuta dal modello secondo cui essa è assimilabile ad un
laser a dipoli elettrici liberi. In tale tipo di laser, un campo ondulatorio induce in un
fascio di elettroni liberi un dipolo elettrico oscillante, trasversale al loro movimen-
to, che si accoppia alla radiazione elettromagnetica vibrando coerentemente ad essa
[Del Giudice et al., 1988a]. Partendo dal dato di fatto che le molecole d'acqua
possiedono un considerevole momento di dipolo, gli autori hanno svolto la
dimostrazione teorica che esse possono interagire coerentemente con una adatta
radiazione elettromagnetica. Dato il fenomeno della interazione collettiva, non è
necessario postulare un campo elettrico molto forte, in quanto sarebbe sufficiente
la piccola perturbazione elettrica attorno ad una macromolecola con momento
dipolare, o il campo presente sulla superficie di un aggregato colloidale. Attorno a
simili "impurità" presenti nell'acqua, si potrebbe quindi generare un dominio
macroscopico, dell 'ordine di qualche centinaio di pm, formato dalla superra dianza
dell'acqua. Poiché distanze di quest'ordine potrebbero coinvolgere decine o
centinaia di cellule in un tessuto di un organismo, è immediato capire quale
potrebbe essere l'importanza di simili fenomeni nell'organizzazione biologica.
Per tornare ai discorso riguardante l'omeopatia, secondo Del Giudice la
particolare preparazione del farmaco omeopatico consente di ipotizzare che la
succussione che si accompagna alla diluizione produca un regime di turbolenza tale
che il guscio di legami idrogeno dei domini di coerenza per qualche momento si
rilassi, lasciando quindi la possibilità ad un campo elettrico esterno (quale quello
generato dal materiale disciolto) di comunicare con il campo di polarizzazione
dell'acqua ed attribuirgli le nuove frequenze vibratorie. Alla fine della agitazione,
il guscio si riformerebbe, proteggendo le nuove frequenze da disturbi esterni.
Secondo questo modello, la presenza di altre molecole sciolte nell'acqua (come
ovviamente avviene quando il farmaco è assunto dal paziente) non causa problemi
alle frequenze così stabilitesi, sia perché il soluto sta nella fase fluttuante e non
interagisce con la fase coerente, sia perché le frequenze delle molecole in soluzione
sono molto superiori a quelle delle macromolecole e dei grani in dispersione semi-
solida con cui i farmaci omeopatici normalmente vengono preparati (v. processo di
triturazione) [Del Giudice, 1990].
Per quanto sia a questo punto opportuno ricordare che allo stato attuale delle
conoscenze le teorie su esposte sono ancora in attesa di una convincente conferma
sperimentale (ad esempio che dimostri con mezzi chimici o fisici l'esistenza dei
postulati domini di superradianza), non si può non sottolineare come la moderna
fisica quantistica non esclude che 1'acqua abbia proprietà finora sconosciute e che
sono in qualche modo compatibili con le osservazioni empiriche dell'omeopatia.
Chi accusa gli omeopati di inconsistenza scientifica dovrebbe forse prima farsi una
cultura sulla fisica dell'acqua in fase liquida, in modo da opporre obiezioni che non
236 Il paradigma biofisico

siano basate solo sul "senso comune", secondo cui alcune teorie sarebbero di per
sé assurde o certi fenomeni sarebbero impossibili. Giudicare la realtà naturale sulla
base del senso comune, o addirittura di un pregiudizio, ha spesso rappresentato una
notevole fonte di errore, ma ciò è tanto più vero quando si entra nei campi della
fisica quantistica.
Lungi dall'aver chiarito o dimostrato inequivocabilmente la base fisica del-
l'omeopatia, le teorie fisiche come quella della "superradianza" consentono già di
smentire coloro che, all'oscuro delle possibilità di interazioni a lungo raggio
mediate dall'acqua, considerano teoricamente impossibile che una molecola tra-
smetta informazioni in modo indipendente dal contatto diretto con un'altra molecola.

7.1.3. "Attivazione" dell'acqua e reazioni colloidali

Sciogliendo in acqua una normale sostanza, come un elettrolita o uno zucchero,


si ottiene un sistema costituito da molecole o ioni dispersi nel mezzo acquoso, non
separabili per filtrazione, non visibili con mezzi ottici, neppure col microscopio
elettronico. Se invece si sospende in acqua una polvere di sostanze non solubili, si
ottiene un sistema eterogeneo fatto di solidi microscopici in una fase acquosa
disperdente, tale che le diverse fasi sono facilmente separabili con una carta da
filtro. Tra questi due estremi esiste un campo di dimensioni di particelle sospese in
tn mezzo disperdente, tale da rendere difficile stabilire se si tratta di una soluzione
omogenea o di una sospensione eterogenea. Tali sistemi vengono detti colloidi e lo
stato colloidale deve essere considerato uno stato speciale della materia, con delle
sue particolari proprietà.
Tali proprietà sono ad esempio il fatto che: i colloidi non vengono trattenuti dai
comuni filtri; diffondono lentamente in campi elettroforetici; possono facilmente
passare dallo stato colloidale allo stato di gel, formando coaguli reversibili o
irreversibili. Inoltre i colloidi hanno particolari proprietà ottiche come il fenomeno
di Tyndall (visibilità del raggio di luce che attraversa la soluzione colloidale) e
l'assorbimento in particolari bande dello spettro visibile non solo in relazione alla
composizione chimica ma anche allo stato fisico (dimensione delle particelle,
carica di superficie, variazioni a seconda del pH). I sistemi colloidali sono
rappresentati da particelle composte da 103 a 10e atomi, con dimensioni che vanno
da 1 a 100 nm. Vi sono colloidi sia inorganici (ad es. oro colloidale, zolfo colloidale,
bromuro di argento, ecc..) sia organici (amido, cellulosa, agar-agar, gomma
naturale, proteine cellulari polimerizzate).
Ad un livello di piccolezza inferiore ai colloidi ma ancora superiore alle
molecole stanno i cosiddetti microaggregati. Essi sono composti da un gruppo di
atomi o molecole che può andare dai quattro-cinque ai 100-200, e possono formare
Il paradigma biofisico 237

un gran numero di strutture, tutte stabili anche se in misura diversa. A conferma


dell'interesse che sta suscitando questo argomento, recentemente la rivista "Le
Scienze" ha dedicato un articolo proprio alla singolare termodinamica dei micro-
aggregati [Berry, 1990]. In essi,le forze di attrazione e repulsione fra i vari atomi
o molecole fanno assumere la conforrnazione migliore dal punto di vista della
energia potenziale, tenendo conto, ovviamente, del fatto che protoni ed elettroni si
attirano, mentre all'interno delle coppie di protoni ed etettroni vi sono forze
repulsive. Normalmente le interazioni protone-elettrone sono rilevanti solo all'in-
terno dello stesso atomo o molecola, maquandovari atomi omolecole si awicinano
oltre un punto critico,le interazioni con elementi vicini diventano molto importanti.
La formazione dell'aggregato si determina quando l'energia è minima (buca di
potenziale), ma il calcolo delle energie permesse fatto in base alla fisica quantistica
dimostra che 1'energia dell'aggregato è limitata ad una serie di livelli, di scalini.
Un'altra interessante proprietà dei microaggregati è che essi passano dalla fase
solida a quella liquida e viceversa al variare della ternperatura, ma a differenzadella
materia ordinaria, il punto di fusione ed il punto di congelamento non necessaria-
mente coincidono, per cui è facile che in un ampio intervallo di temperature possano
coesistere fase solida e fase liquida di una sospensione di microaggregati. Questa
situazione è reminiscente delle proprietà dei colloidi e degli aggregati di molecole
organiche che oscillano tra forme monomeriche e filamentose, o tra sol e gel. Gli
aggregati possono cambiare di configurazione non solo a seguito del variare della
temperatura, ma anche a seguito di altre energie fornite da vibrazioni eiettromagne-
tiche (normalmente un aggregato vibra circa 10r0 volte per secondo [Berry, 1990].
Nonostante l'obiettiva difficoltà che presenta questo campo di studio (non
affrontabile con i mezzi di indagine né della biologia molecolare, né della fisica
dello stato solido), la sua importanza anche per la medicina sta appena oggi
cominciando ad apparire: è noto che molte reazioni caratteristiche delle cellule
viventi avvengono a livello di microaggregati o di fasi colloidaii di molte proteine,
consistendo in rapide transizioni monomero-polimero e viceversa. La struttura e la
funzione dello scheletro delle cellule sono determinate in buona parte dai microtu-
buli, la cui più caratteristica - e, in buona parte, misteriosa - proprietà è l'instabilità
dinamica dovuta al loro facile dissolvimento e riassemblaggio.
Gli editori del giornale "Current Biology" affermano che l'instabilità dinamica
è uno dei processi biologici di maggiore interesse per biochimici e biofisici nel
prossimo futuro [Pollard and Goldman, 1992]. Anche i materiali extra-cellulari
hanno comportamenti tipici dei colloidi: basti pensare ad esempio ai fenomeni della
coagulazione del sangue o della tissotropia (passaggio da gei a sol) dei liquidi che
bagnano le cavità articolari durante il movimento.
Ci si interessa in questa sede dei colloidi perché questo particolare campo della
chimica permette di illustrare, sulla base di sperimentazioni pubblicate, un interes-
238 Il paradigma biofisico

sante fenomeno fisico-chimico che si verifica nell'acqua trattata secondo partico-


lari procedure. Si tratta essenzialmente del fatto che la formazione dei colloidi è
fortemente accelerata dall' acqua trattata con onde elettromagnetiche.
Il fenomeno della cosiddetta "attivazione" dell'acqua fu descritto estensiva-
mente da Piccardi (direttore dell'Istituto di Fisica dell'Università di Firenze) già
negli anni '30 [Piccardi, 1938; Piccardi e Corsi, 1938; Piccardi e Botti, 1939], ma
non ebbe poi la risonanza che forse ad esso spettava.Lareazione rivelatrice è
facilmente riproducibile: si mescolano in parti adeguate delle soluzioni di tricloruro
aurico, formaldeide e carbonato di sodio, si scalda la soluzione e si vede comparire,
nel giro di pochi minuti, il colore dell'oro colloidale formatosi (blu-violetto). Con
diverse varianti, questo tipo di reazione è descritta sui testi di chimica dei colloidi,
anche perché oggi queste sostanze trovano applicazioni pratiche in vari campi, tra
cui la microscopia elettronica. Piccardi notò che se trattava l'acqua con vari mezzi
che causavano la formazione di radiazioni elettromagnetiche (bulbi al mercurio,
archi elettrici, bacchette di ebanite elettrizzate,ecc.), l'acqua acquistava la capacità
di far awenire la formazione dell'oro colloidale (e anche di altri colloidi) con
maggiore velocità. Ciò che più stupì Piccardi fu che questa proprietà si manteneva
per dei mesi dopo il trattamento: ciò lo indusse a numerosissimi controlli da lui
meticolosamente descritti, ed infine, come da lui stesso affermato, a doversi
"arrendere all'evidenza". La cosa non può non stupire ancora oggi.
Non risulta che il fenomeno descritto da Piccardi abbia avuto poi applicazione
o abbia portato ad ulteriori avanzamenti di conoscenze sulla struttura dell'acqua.
Probabilmente i tempi non erano maturi e la cosa fu vista più come una stranezza
o una curiosità che come una vera scoperta scientifica. Recentemente dei ricercatori
di Milano [Ansaloni e Vecchi, 1986a; Ansaloni e Vecchi, 1986b;Ansaloni et al.,
1990] hanno applicato 1a reazione della formazione di colloidi d'oro per dimostrare
che l'acqua trattata con energia "bioradiante" emessa dalle mani di pranoterapeuti
ha una maggiore attività dell'acqua non trattata. Anche se di più difficile interpre-
tazione e riproducibilità secondo il metodo scientifico (non è chiaro chi possa
essere definito pranoterapeutané cosa sial'energia bioradiante), questa osservazio-
ne sembra dimostrare ulteriormente la capacità dell'acqua di incorporare energie
di natura fisica o elettromagnetica.
Il metodo di indagine descritto da Piccardi è stato recentemente adottato da
ricercatori dell'Istituto San Raffaele di Roma (diretto dal Prof. Emilio Dido), i quali
hanno dimostrato che la reazione di formazione dell'oro colloidale è incentivata da
acqua bidistillata dopo che questa è stata trattata per qualche minuto con onde
elettromagnetiche nel campo delle radiofrequenze. Il trattamento con ultrasuoni
potenzierebbe questa attività (comunicazione personaie).
Le ricerche sopra riportate servono sostanzialmente a sostegno della ipotesi che
l'acqua abbia delle proprietà particolari finora non considerate, proprietà che
Il paradigma biofisico 239

vengono evidenziate dalla capacitàdicatalizzare reazioni colloidali. poiché


queste
proprietà sono acquisite non mediante l'aggiunta di particolari
sostanze, ma
mediante un trattamento fisico, si deve dedurre che Iacqua
è dotata di vari stati
fisici che sono chimicamente significativi, cioè veicolano una informazione
o una
energia fiilizzabili da sistemi chimici. Poiché tali stati fisici
si mantengono per
tempi significativamente lunghi, si può in qualche modo parlare
di una,.memoria,,
dell'acqua, anche se questo tipo di prove ci dice poco ,u tipo di specificità e di
selettività abbia questo fenomeno. Lareazionedi formazion" "h. d"ll,o.o
colloidale
pare essere influenzata da una serie di possibili diversi
trattamenti dell,acqua,
quindi non pare essere dipendente da una precisa radiazione elettromagneticà.
É
quindi in un certo senso una reazione ad ampio spettro, non molto
specifica, ma
ngualmente, anzi forse proprio per questo, potrebbe avere una grande
impo rtanza
per porre Ie basi di uno studio controllato e documentato sulÉ proprietà
fisico-
chimiche dell'acqua' In un futuro forse non lontano si potranno fàrse
trovare altri
sistemi, magari anche più vicini ai colloidi biologici, più sensibili
o più selettivi per
questo tipo di studi.
una serie di esperienze, con risultati in accordo con quelli sopra esposti,
è stata
riportata da Markov [Markov et al., 1975]. Gli autori hanno descritto
un fenomeno
di "magnetizzazione" dell'acqua esposta a campo magnetico statico
di 450_3500
Gs per periodi di 30-120 minuti. L'acqua così trattata mostrerebbe evidenti
alterazioni (permanenti per almeno 24 ore) dello spettro Raman, della
elettrocon-
ducibilità e, anche, una maggiore attività stimolante la germinazione
di vari semi.
un altro approccio allo studio dell'acqua attivata è stato portato avanti da
G.
Arcieri [Arcieri, 19BS]. Limitandoci alle note essenziali e rimandando per
i dettagli
alla letteratura citata, l'autore sostiene che l,acqua può essere .,arricchita,,
di
frequenze elettromagnetiche mediante trattamento con energie
fisiche (laser) o con
sostanze chimiche, inclusi campioni di materiale biologico quali
sangue di soggetti
sani e malati. Le dimostrazioni delle variazioni fisico-chimiche
indotte aa questi
trattamenti furono ottenute sia con spettrometria a risonanza magnetica
,r"l"ur",
sia con velocimetria Doppler (quest'ultima metodica servirebbe,
Jecondo I,autore,
a mettere in evidenza modificazioni fisiologiche indotte dall,acqua
attivata).

7.1.4. Modelli d,ei clatratt e simili

secondo alcuni [Anagnostatos et ar., 1991; smith, 19gg] Ia,.memoria


dell,ac_
qua" sarebbe basata sulla formazione di aggregati di molecole d,acqua
in forma di
"clatrati" . Si intende per clatrati, dal latino ..clathrus,, (= inferriata),
delle formazio_
ni cave che verrebbero ad assumere le molecole d,acqua unu disposizione a
rete, ripiegata attorno ad una nicchia interna. La possibiìità "on
diformazione di cavità
240 tl paradigma biofisico

in liquidi universalmente accettata. Nell'acqua, le molecole possono allinearsi in


è
forme pentagonali o esagonali grazie a legami idrogeno; a loro volta, varie
conformazioni poligonali possono costruire, in certe condizioni (agitazione o
sonicazione del liquido), figure geometriche complesse, cave al loro interno.
Formandosi delle cavità, la tensione superficiale produce una pressione nega-
tiva all'interno, che, nella sua forma più piccola assume la forma di un dodecaedro
(12 pentagoni legati tra loro in forma geometricamente ordinata), ma che può
comprendere anche esagoni non planari. Inoltre, possono essere interessate varietà
di legami chimici diversi da quello idrogeno, come dipoli tra ioni idrogeno e ioni
idrossile [Smith, 1990].
Un certo numero di molecole del composto originale verrebbe circondato, una
volta sciolto nell'acqua, da un maggior numero di molecole d'acqua che formano
come un piccolo guscio, una nicchia. Una simile nicchia potrebbe avere stabilità
anche se il composto originale viene espulso dalla nicchia stessa" Quindi, con
continue diluizioni e succussioni, comincerebbero a formarsi clatrati vuoti all'in-
terno, i quali a loro volta potrebbero divenire il nucleo per la formazione di altri
clatrati più grandi ma sempre con lo stesso schema originale.
Quindi una notevole variabilità di forme e combinazioni sarebbe possibile nella
formazione di simili micro-cavità. Le forme dodecaedriche dovrebbero essere
capaci di legarsi assieme in forme simili a collane elicoidali, unite dalle facce
pentagonali. Tali catene potrebbero rappresentare il luogo dell'interazione coeren-
te tra l'acqua ed il campo magnetico di una corrente che potrebbe provocare salti
- "hopping" -sincronizzati tra protoni (atomi di idrogeno) che connettono atomi di
ossigeno adiacenti [Smith, 1990; Smith, 1gg2].
Grazie alla disposizione ordinata e sequenziale di Iegami idrogeno, simili cavità
sarebbero in grado di vibrare coerentemente, in risonanzacon un campo magnetico.
Le frequenze di vibrazione dipenderebbero dalla forma e dalla lunghezza di tali
strutture (a loro volta dipendenti dal soluto originale), nonché dal grado di
strutturazione progressiva dell'acqua, al procedere delle diluizioni-dinamizzazioni.
È stato notato [Smith, 1990] che un simile modello dell'acqua non prevede che
l'acqua emetta radiazioni o campi magnetici, cioè che sia una sorgente attiva di
coerenza per altri sistemi, bensì solamente che possa essere uno "specchio" della
coerenza mediante deboli interazioni tra campi magnetici esterni e quelli generatisi
di conseguenza all'interno dell'acqua. Ciò è importante, perché se vi fosse
emissione di energia da parte di una particolare struttura chimico fisica dell'acqua,
quest'ultima non potrebbe che esaurirsi in tempo brevissimo per dissipazione
dell'energia. se invece l'interazione avviene per una specie di risonanza tra un
pattern di coerenza della soluzione (determinato dalla fine struttura derivante dal
soluto originale) con un pattern di frequenza dell'organismo vivente (derivante
dallo stato, normale o patologico, di sistemi oscillatori), tale comunicazione
il paradigma biofisico 241

dell'informazione per via elettromagnetica non richiede che la soluzione di per sé


emetta alcuna radiazione o energia. Un'analogia potrebbe essere fatta con altri tipi
di informazione: un libro contiene informazioni, ma non le "emette". Esse possono
rimanere fissate sulla carte per molto tempo e divengono significative, nel senso
che possono organizzare i pensieri del lettore, allorché entrano in sintonia (sin-
tonia: ecco emergere il concetto di tono, vibrazione, frequenza) con i sistemi
recettoriali e cognitivi del lettore stesso.
Il modello dei clatrati è interessante in quanto consentirebbe di spiegare come
"aggregati" di molecole d'acqua possano divenireilmezzo di trasmissione dell'in-
formazione. Tuttavia bisogna ammettere che ancora non esiste una base fisica per
spiegare Tapermanenza di tali aggregati, in forme definite, per un tempo sufficien-
temente lungo.

7.1.5. Spettroscopia NMR e infrarosso

Le sezioni precedenti, dedicate alla "superradianza" ed ai "clatrati", riguardano


fondamentalmente delle teorie che, però, non hanno ancola trovato una conferma
sperimentale. Gli esperimenti sulla attivazione dell'acqua sono a favore della
permanenza di proprietà particolari capaci di catalizzare reazioni chimiche colloi-
dali. Tuttavia tali esperimenti, come quelli di impostazione più biologica riportati
nel capitolo 4, non permettono di entrare nelf intimo meccanismo fisico con cui
simili proprietà si giustificherebbero. In altre parole, rimane pressoché totalmente
oscura la risposta alla questione: i rimedi omeopatici hanno speciali proprietà
fisiche?
Un tentativo di approccio a tale problema sul piano sperimentale è stato fatto da
vari autori mediante I'analisi degli spettri di risonanza magnetica nucleare (NMR)
di preparazioni omeopatiche. Una rassegna sul tema è stata recentemente pubbli-
cata [Weingartner, 1990]. La NMR è oggi nota soprattutto per le sue applicazioni
nella diagnostica per immagini, ma è stata ed è usata soprattutto per studiare atomi
e molecole, in quanto permette di indagare il comportamento del nucleo atomico
quando sottoposto ad un campo magnetico. Poiché il nucleo ha un momento
dipolare, il dipolo può entrare in risonanza con onde elettromagnetiche sufficien-
temente forti ed ogni tipo di atomo ha una sua particolare frequenza di risonanza.
Quindi lo spettro NMR (cioè il grafico che riporta i picchi di risonanza) è

direttamente correlato alle componenti del campione misurato ed alla "geometria"


delle molecole. Oltre allo spettro, altri parametri che vengono considerati sono i
tempi di rilassamento dellarisonanza(T7,tempo dirilassamento longitudinale;T2,
tempo di rilassamento trasversale). Il rilassamento è un parametro complesso
risultante dall'interazione magnetica dipolare tra protoni vicini intra e intermole-
242 Il paradigma biofisico

colari, dal movimento molecolare di rotazione e traslazione, dallo scambio di


protoni e dalla presenza eventuale di sostanze paramagnetiche (alcuni metalli,
ossigeno molecolare, radicali liberi).
I primi lavori furono quelli di smith e Boericke [smith and Boericke, 1968], i
quali mostrarono che la struttura del solvente (etanolo ed acqua), così come appare
nella regione relativa al segnale dell'OH e dell'HrO nello spettro NMR, viene
modificata nelle diluizioni seriali. La modifica è più marcata se si attua anche la
succussione rispetto alla sola diluizione e, cosa ancora più notevole, non diminu-
isce ma piuttosto cresce al crescere della diluizione. Successivamente, altri autori
[Young, 1975;Sachs,1983;Lasne et al., 1989]fecero simili osservazioni,riprese
poi da Weingartner, il quale ha mostrato chiaramente che la differenza tra uno
spettro NMR del solvente (acqua + etanolo) rispetto ad uno spettro NMR di
solvente in cui è stato diluito zolfo (SulfurD23) riguarda la intensità dei segnali
HrO e OH, mentre queilo del segnale CH, e CH, non varia (l'etanolo ha formula
chimica CH3CH2OH). In particolare, i picchi della diluizione omeopatica di zolfo
sono significativamente (probabilità >99.9o/o) più abbassati e allargati rispetto ai
picchi del solo solvente. Lo stesso autore riferisce che tale differenza non si vede
nella diluizione di sulfur D13, nel senso che a questa diluizione lo spettro ed
indistinguibile da quello del solvente. L'autore suggerisce che I'abbassamento dei
picchi osservato con NMR è indice di un accelerato scambio di protoni. Questo dato
può avere molte interpretazioni, ma sembrerebbe essere in accordo con chi
attribuisce un importante ruolo al legame idrogeno nella associazione di molecole
d'acqua in modo non casuale [Weingartner, 1990].
Variazioni delle caratteristiche di risonanza NMR, ed in particolare dei tempi di
rilassamento Tl eT2, in soluzioni altamente diluite di silicio, sono state recente-
mente rilevate anche da un altro gruppo in Francia e pubblicate su una rivista
ufficiale di fisica [Dernangeat et al., 1992].In sintesi, è stato osservato che soluzioni
di silicio/lattosio, preparate in diluizioni centesimali secondo le metodologie
omeopatiche, presentavano aumento di T1 e aumento del rapporto TllT}se com-
parate a acqua distillata o a soluzioni diluite e dinamizzate di NaCl. eueste modi-
ficazioni erano rilevabili anche con concentrazioni di silicio dell'ordine di 10-'?
moli/L).
Pare che anche 1'analisi spettrofotometrica all'infrarosso consenta di evidenzia-
re cambiamenti fisico-chimici nelle alte diluizioni omeopatiche. Il gruppo di Heinz
Idati riportati da Barros e Pasteur, 1984, in quanto la letteratura originale, argentina,
è di difficile reperimento] avrebbe dimostrato, con tale metodica, l'importanza
della succussione, o dinamizzazione, nel metodo di preparazione:

a) sostanze diluite e dinamizzate alla 30D presentano bande di assorbimento allo


spettro I.R.;
Il paradigma biofisico 243

b) le stesse bande non si presentano in soluzioni diluite alla 30D ma non dinamiz-
zate;
c) una diluizione dinamizzata alla 30D perde la proprietà di produrre bande allo
spettro LR. se sottoposta ad ebollizione;
d) le bande di assorbirnento decrescono in forma alternante e non uniformemente:
la massima attività corrisponde alle diluizioni 6,9,12,14,18,21,,28,30 decimali,
e Ia minore alle 7,L0,1,3,16 decimali.

7 .2. Effetti bi ol ogici di cam pi elettroma gnetici

Non esiste ancora una esauriente spiegazione di come possa eventualmente


avvenire un trasferimento di informazione dal rimedio omeopatico all'organismo,
ma, se si imposta il problerna a livello fisico e non solo chimico, è molto probabile
che tale spiegazione debba tenere in considerazione i fenomeni elettromagnetici.
Lo studio degli effetti di campi elettromagnetici sull'organismo sta assumendo
negli ultimi anni sempre maggiore importanza e dignità scientifica, mentre nel
contempo sta diminuendo quell'alone di mistero che ha favorito lo sfruttamento di
tali fenomeni da parte di ciarlatani. È pur vero, d'altra parte, che anche in tempi
recenti scienziati che hanno volto il loro interesse allo studio dell'elettromagneti-
smo in medicina e biologia, come ad esempio Tsong, sono ancor oggi esposti alla
accusa di "magia" [Tsong, 1989]! È singolare il fatto che simili accuse, a volte
corredate da giudizi negativi sulle facoltà mentali del soggetto, siano ricorse nei
confronti di molti scienziati operanti come pionieri in questo campo, tra cui anche
un certo Guglielmo Marconi.

7.2. 1. Effetti sull' organismo

Uno schema riportante i vari tipi di onde elettromagnetiche, con Ie loro


lunghezze d'onda e frequenze, è riportato in figura 27.Qui si considerano le
radiazionicon bassa energia e bassa frequenza, che agiscono con meccanismi molto
diversi rispetto alle radiazioni ionizzanti.
Gli effetti di campi elettromagnetici non ionizzanti sull'organismo umano
possono essere sia di tipo patologico che utili a scopo terapeutico. Per quanto
riguarda gli effetti dannosi più studiati, ci si deve riferire sostanzialmente agli studi
che sembrano dimostrare un aumento delle neoplasie in soggetti esposti [pool,
1990]. L'argomento è molto discusso ed i dati epidemiologici sono stati confermati
solo per quanto riguarda alcuni tumori (leucemie) nell'infanzia. Per quanto
riguarda gli impieghi a scopo terapeutico, quelli più largamente usati sono la
244 Il paradigma biofisico

Rodiozioni non ionizzonti Rodiozioni ionizzonti

Lrnee A,M-
eleitriche rodio IV Rador

I r--l n t-l
Micro
E.L.É VH F onde

LUce
vìsibile g,y.
Rodiofrequenze lnfrorosso Roggi X e y
!l

3OO Km 30 cm pm Lunghezzo
3OO pm 3OO d'ondo

l0 l0'a l09 l0lB Frequenzo


(Hz)
(l KHz) (ì cHz)

Figura 27. Le radiazioni elettromagnetiche di varia lunghezza d'onda e frequenza.

stimolazione eiettromagnetica della osteogenesi, nei casi di pseudoartrosi e ritardi


di consolidazione di fratture [Chiabrera et al., 1984].
Non è questa la sede per una disamina dettagliata degli effetti patologici o
terapeutici dei campi elettromagnetici, campo oggi in grande sviluppo, per cui ci
si limita all'esposizione degli aspetti molecolari e cellulari di base.
Vi sono molte fonti naturali di campi elettromagnetici deboli: le fonti esterne
all'organismo sono, ad esempio, il campo magnetico terrestre (che è sfruttato da
alcuni uccelli, pesci e delfini per orientarsi), le radiazioni provenienti da stelle che
emettono radiofequenze, lo stesso sole (soprattutto in certe fasi della sua attività)
[Konig, 1989], le onde irradiate da sistemi di telecomunicazioni, radar e linee
elettriche. Le fonti interne all'organismo stesso sono molteplici e vanno dalla
attività elettrica di nervi e muscoli, ai campi elettrici generati da alcuni pesci e altri
organismi marini (usati a scopo di riconoscimento nell'oscurità e di difesa), alla
generazione di luce da parte di cellule quali quelle leucocitarie (chemiluminescen-
za).
L'elettroencefalogramma e l'elettrocardiogramma non sono altro che due
metodi di rilevazione della attività elettrica endogena del cuore e di centri nervosi.
Attività elettrica si genera anche nell'osso quando viene deformato, attività che può
essere definita piezoelettrica, e pare essere importante per dirigere la crescita delle
Il paradigma biofisico 245

trabecole di osso lungo le linee di forza.ln realtà, uno dei primi impieghi clinici dei
campi magnetici deboli è stato proprio la induzione della riparazione dell'osso
IBassett et al., 1974].
Gli organismi animali hanno sviluppato sensibilità notevolissime per le onde
elettromagnetiche. Per restare nel campo più ovvio, si può pensare alla sensibilità
dell'occhio alla luce, che lo mette in grado di segnalare pochi fotoni.
Gli esperimenti di C.W. Smith e Monro [Smith et al., 1985; Monro,1987;Smith,
1988, Smith, 1989; Smith, l992lpermettono di illustrare il concetto di "sensibilità"
a minime perturbazioni del campo elettromagnetico. Gli autori (Smith lavora al
Dipartimento di energia elettronica ed elettrica dell'Università di Salford) hanno
riportato una serie di esperienze fatte in collaborazione con allergologi del Lister
Hospital di Londra, nelle quali si riusciva ad indurre manifestazioni allergiche in
pazienti affetti da ipersensibilità immediata verso molte sostanze, semplicemente
awicinando loro sorgenti di radiazioni elettromagnetiche. Le manifestazioni
allergiche potevano comparire rapidamente a particolari bande di frequenze che
variavano, a seconda dei pazienti, da pochi mHzamolti MHz. Non era quindi tanto
importante l'intensità dell'output dell'oscillatore (pochivolts), quanto lafrequenza
e la sua coerenza.
È curioso il fatto che gli autori non solo hanno dimostrato di poter scatenare
attacchi allergici con onde elettromagnetiche, ma anche che i pazienti sensibili a
questo tipo di stimolazione producono essi stessi segnali elettromagnetici durante
gli attacchi di allergia, anche se provocati chimicamente. Simili emissioni potevano
essere documentate mediante l'interferenza con la registrazione di nastri magnetici
e persino, in alcuni casi, con effetti di disturbo sul funzionamento di apparati
elettronici quali i computers. Si tratta, secondo Smith [Smith, ] 988], di fenomeni
elettrofisiologici molto simili a quelli ben noti in molte specie di pesci.
È stato dimostrato che alcune specie di pesci sono capaci di sentire e di
rispondere a campi elettrici di intensità di 0.000001 V/m [Bullock,1977), che
corrispondono alle più marcate sensibilità trovate nei soggetti allergici. Sempre
secondo Smith, simili sensibilità potrebbero servire ai pesci per localizzare il cibo
a grandi distanze: infatti è stato visto che cellule viventi, quali ad esempio lieviti,
emettono onde elettromagnetiche nelle radiofrequenze a livelli di circa 0.1 V/m
[Smith, 1988; Pollock and Pohl, 1988]. La stessa abilità, secondo l'autore, potrebbe
essere servita all'uomo primitivo per la ricerca del cibo.
Nelle esperienze di Smith e Monro si parla anche di omeopatia e di memoria
dell'acqua. Infatti, nel corso dei tests allergometrici sulla popolazione di pazienti
iper-reattivi, i ricercatori si accorsero che reazioni allergiche scatenate dal contatto
con agenti chimici potevano essere noutralizzate trattando i malati con particolari
frequenze. Se le stesse frequenze venivano usate per trattare acqua minerale,
quest'acqua acquistava le proprietà terapeutiche neutralizzanti. Se invece l'acqua
246 Il paradigma biofisico

veniva esposta a frequenze che potevano scatenare l'attacco, essa acquistava le


proprietà di un allergene. Il trattamento dell'acqua veniva effettuato inserendo
provette di vetro contenenti l'acqua all'interno di solenoidi o di toroidi alimentati
da un oscillatore. Le modificazioni indotte nell'acqua, capaci di scatenare attacchi
allergici nei pazienti ipersensibili, persistevano per L-2 mesi. Per inciso, è interes-
sante a questo punto notare che la stabilità del rimedio omeopatico in soluzione
acquosa è per tradizione breve, dell'ordine dei mesi, mentre lo stesso Hahnemann
usò le soluzioni idro-alcooliche proprio perché molto più stabili e durature (anni).
A prescindere dal fatto che solo una minoranzadipazienti allergici aveva questa
estrema sensibilità ed era adatta all'esecuzione di tali prove, resta di grande
interesse ed importanza la dimostrazione della capacità dell'acqua di incorporare
informazioni elettromagnetiche e di trasmetterle a individui ad esse reattivi. Questa
serie di sperimentazioni andrebbero quindi ripetute da centri indipendenti e, se
confermate, potrebbero costituire un valido argomento a favore dell'effettiva
presenza di informazioni meta-molecolari in liquidi acquosi.

7.2.2. Effetti molecolari e cellulari

È ben noto che le radiazioni elettromagnetiche possono causare notevoli


cambiamenti a livello molecolare, ma la maggior parte della attenzione, fino a non
molto tempo fa, era rivolta agli effetti di radiazioni a medio-alta energia, come raggi
X, gamma, ultravioletti. Come si è detto, recentemente si è cominciato ad indagare
i meccanismi degli effetti biologici di radiazioni non ionizzanti (v. figura 27).
È noto che onde elettromagnetiche, anche di bassa energia e ampia lunghezza
d'onda, quando assorbite da materiale biologico, generano calore. La questione se
onde millimetriche causano effetti non dipendenti dall'assorbimento di calore,
cosiddetti effetti non-termici, è stata oggetto di lunghe discussioni scientifiche. Le
controversie concernenti l'esistenza di risposte cellulari a onde di bassa energia è
dovuta sia al fatto che la riproducibilità di molti esperimenti si è dimostrata difficile,
sia alle obiezioni teoriche per cui l'energia dei campi così deboli sarebbe inferiore
all'energia del "rumore di fondo" dovuto alla temperatura a cui le cellule sono
studiate ("thermal noise").
Se c'è da aspettarsi un effetto di un campo elettromagnetico applicato dall'ester-
no, bisogna che questo campo causi cambiamenti significativamente superiori a
quelli che comunque awengono casualmente nei sistemi biologici anche allo stato
di riposo (per esempio, continuo aprirsi e chiudersi di canali ionici, oscillazioni del
potenziale di membrana e di molte attività metaboliche, ecc., tutti processi che sono
comunque attivi ad una certa temperatura). Oggi però l'esistenza di effetti non-
termici di campi elettromagnetici deboli è dimostrata in molti sistemi sperimentali
Il paradigma biofisico 247

Tabella 7.
Sistemi molecolari possibilmente interagenti con campi elettromagnetici

Molecole Rif.

Fotorecettori Alberts et al., 1989

Clorofilla Alberts et al., 1989

Recettori a 7 domini trans-membrana Bistolfi, 1989

G-proteine Adey, 1988

Protein chinasi cAMP-dipendente Byus et a1.,7984

Protein chinasi C Adey, 1988

Recettori (aggregazione) Chiabrera, 1984

Cromosomi Kremer et al., 1988

Biopolimeri proteici e lipidici Hasted, 1988

Na*/K*ATPasi Lin et a1., 1990

ed ormai generalmente accettata [Kremer et al., 1988, Aldrich and Easterly,1987;


Magnavita, 1989; Tsong, 1989].
Un importante contributo a questo problema si può trovare su un recente lavoro
pubblicato su Science fWeaver and Astumian, 1990]. Gli autori propongono
modelli fisici secondo i quali le cellule sono considerate come dei rivelatori di
campi elettrici periodici molto deboli, modelli in cui vengono stabilite le relazioni
tra la grandezzadellacellula ed i cambiamenti del potenziale di membrana, dovuti
sia alle fluttuazioni indotte dalla temperatura che alla applicazione di campi
elettromagnetici. Nella versione più semplice del modello il calcolo fa stimare
attorno a 10-3 volts/cm l'intensità del minimo campo a cui le macromolecole di
membrana potrebbero essere sensibili. Tuttavia, se tra i parametri del modello
vengono considerate le "finestre" di frequenze, cioè la possibilità che certe risposte
248 Il paradigma biofisico

avvengano solo in una ristretta banda di frequenze, allora l'intensità teoricamente


necessaria risulta vari ordini di grandezza più bassa (10-6 volts/cm), approssiman-
dosi quindi ai dati derivanti da vari esperimenti su cellule e animali.
La crescita dei processi nervosi è guidata da deboli correnti elettriche [Alberts
et al., 1989]. Infatti quando un processo nervoso si allunga in coltura o anche nel
tessuto connettivo al suo apice si forma una struttura chiamata cono di crescita, che
appare come un centro di espansione di molti lunghi filamenti (filopodi) che
appaiono come digitazioni in continuo lento movimento, effettuando movimenti
ameboidi: alcuni si retraggono, altri si allungano, come esplorando il terreno. Il
movimento assomiglia a quello di un neutrofilo attratto da un fenomeno di
chemiotassi. All'interno dei filopodi si trovano moltissimi filamenti di actina. Allo
spostamento vettoriale netto del cono di crescita in una direzione segue l'allunga-
mento della fibra nervosa (si calcola ad una velocità di circa 1 mm al giorno). La
direzione del movimento dipende da vari fattori locali, come ad esempio l'orien-
tamento di fibre della matrice connettivale, lungo le quali avviene preferenzialmen-
te la crescita, e anche 1'esistenza di specifici sistemi di riconoscimento di membrana
tra cellule adiacenti. Le cellule però sono anche influenzate potentemente da campi
elettromagnetici: i coni di crescita di neuroni in coltura si orientano e si dirigono
verso un elettrodo negativo, in presenza di campi di minimo voltaggio (70 mV/cm)
Vi sono evidenze che anche la attività proliferativa cellulare sia influenzata da
campi elettromagnetici, anche di intensità molto debole [Luben et al., 1982; Conti
et al., 1983; Cadossi et al., L992).
Molti enzimi e molti recettori paiono sensibili a stimolazioni di tipo fisico, oltre
che chimico [Adey, 1988; Tsong, 1989; Popp et al., 1989]. La membrana cellulare,
grazie alle sue proprietà bioelettriche, è il sito dove più probabilmente si possono
esercitare influenze di tale tipo [Kell, 1988], anche se possibili candidati sono anche
le grandi macromolecole organizzate in unità ripetitive, c.ome gli acidi nucleici
[Popp, 1985], o le proteine del citoscheletro, in particolare i microtubuli [Hameroff,
1e881.
La base biologica dell'effetto del campo magnetico sulle cellule è molto
complessa e non può essere analizzata esaustivamente in questa sede. Una buona
rassegna sull'argomento è stata pubblicata da Le Scienze [Chiabrera et al., 1984].
La cellula costituisce un tipico sistema elettrochimico, con una differenza di
potenziale trans-membrana (esterno negativo rispetto all' interno) e numerosissime
proteine dotate di cariche elettriche di vario segno.
Secondo il modello del mosaico fluido della membrana (modello ancora valido,
almeno nelle generalità) in una ideale cellula a riposo, le proteine sono distribuite
uniformemente sulla membrana, ma, in presenza di un campo elettrico che la
attraversa, subiscono una attrazione o repulsione elettroforetica, tendendo a spo-
starsi verso i poli che la cellula presenta verso il campo elettrico. Una corrente di
Il paradigma biofisico 249

elettroni o di ioni che investe una cellula vi scorre attorno, provocando un


movimento di proteine (elettricamente cariche) in senso contrario. Il riarrangia-
mento delle posizioni delle proteine sulla superficie della membrana non è privo di
conseguenze, in quanto favorisce i contatti tra proteine vicine e rallenta quelli tra
proteine lontane. Poiché il funzionamento di recettori e sistemi di trasduzione di
membrana dipende da aggregazioni o almeno contatti di proteine, le conseguenze
del campo elettrico sulla attivazione cellulare sono facilmente immaginabili. Il
fenomeno della aggregazione si verifica normalmente in caso di segnale chimico,
perché la molecola segnale può fare un ponte tra due o più recettori, che sono mobili
nel piano della membrana.
Naturalmente, questo modello è una grande semplificazione di ciò che awiene
in realtà, dove entrano in gioco anche le cariche di ioni calcio, magnesio, sodio,
potassio, idrogeno, e anche il possibile effetto diretto del campo magnetico sulle
macromolecole enzimatiche, recettoriali e del citoscheletro (v. sotto).
Sul piano molecolare, si sa che molti elementi con funzioni recettoriali,
strutturali ed enzimatiche sono sensibili alle variazioni di campi elettromagnetici
deboli (v. tabella 7).
Attraverso il doppio strato lipidico delle membrane biologiche, spesso circa 40
À, si stabilisce un gradiente elettrico di qualche decina o centinaia di mV, che
significa qualcosa come 10s volts/cm. Questo gradiente dovrebbe teoricamente
costituire una efficace barriera elettrica nei confronti di minime perturbazioni quali
quelle date da campi elettromagnetici di bassa frequenza presenti nell'ambiente
extracellulare. In altre parole,la attività elettrica naturale della membrana costitui-
rebbe una specie di "rumore di fondo" che impedirebbe la possibilità di sentire
minime variazioni di potenziale. Tuttavia, ricerche molto recenti hanno mostrato
che campi elettromagnetici di diversi ordini di grandezza più deboli del gradiente
di potenziale trans-membrana possono modulare azioni di ormoni, anticorpi e
neurotrasmettitori a livello di recettori e di sistemi di trasduzione. Questo fatto
suggerisce che si instaurino processi altamente cooperativi, cioè che minime
variazioni ripetute cooperino a causare grandi movimenti. È un effetto analogo a
quello che si verifica quando un ponte si mette a oscillare allorché vi passi sopra un
gruppo di persone al passo di marcia, oppure quando un vetro si spezza per effetto
di una risonanza sonora.
Le sensibilità osservate in tali processibiologici di modulazione elettromagne-
tica sono dell'ordine di 10' V/cm nello spettro E.L.F. (extreme-low frequency).
(Nota ad esempio che fenomeni elettrici responsabili dell'EEG creano gradienti di
10 1-10-2 V/cm [Adey, 19BB]). Inoltre, molte di queste interazioni sono dipendenti
dalla frequenza più che dalla intensità del campo, cioè compaiono solo in determi-
nate "finestre" di frequenza, fatto che suggerisce l'esistenza di sistemi di regolazio-
ne "non lineari" e lontani dall'equilibrio [Adey, 1988; Weaver and Astumian,
250 Il paradigma biofisico

1990; Yost and Liburdy, 1.9921. Simili sensibilità sono state evidenziate in un
ampio spettro di tessuti e cellule, indicando che si tratta di una proprietà biologica
generale caratteristica delle cellule.
Il trasferimento di segnali sia chimici che elettromagnetici dalla superficie
esterna della cellula attraverso la membrana consiste nella trasmissione di variazio-
ni conformazionali e moti oscillatori delle proteine che hanno dei "domini"
(segmenti della molecola) trans-membranari. È stato sostenuto che in questo
processo di trasmissione giocano un ruolo chiave le porzioni di proteine che hanno
.trrttrr" fibrose ad elica o a foglietto pieghettato [Bistolfi, 1989]. Tali strutture
sono caratte rizzateda notevole ordine e disposizione in sequenze ripetitive, nonché
dall'esistenza di legami idrogeno tra i residui aminici di aminoacidi adiacenti e
disposti longitudinalmente lungo la fibra. Queste strutture proteiche sono caratte-
ristiche per poter risuonare secondo modi di vibr azione non lineari, per I' interazio-
ne con campi elettromagnetici.
Il prototipo di questo tipo di recettori è la batteriorodopsina, il recettore della
luce nella retina, che consiste di ben 7 a-eliche ordinatamente disposte in senso
trasversale al piano della membrana su cui è disposta. In questo tipo di recettore-
trasduttore, l'eccitazione derivante dall'assorbimento del fotone è accoppiata al
-
pompaggio di un protone e allo stabilirsi di un potenziale trans-membrana.
nirognu però notare che questa struttura a 7 cr-eliche che attraversano la
membrana la si trova anche in un'ampia famiglia di glicoproteine che sono
coinvolte nei sistemi di trasmissione cellulari accoppiati alle G-proteine: i recettori
p-adrenergici, i recettori muscarinici per l'acetilcolina, vari recettori per neuropep-
tidi, i recettori per peptiili chemiotattici nei globuli bianchi e persino dei sistemi di
mutuo riconoscimento delle cellule di lievito coinvolti nella fusione replicativa
questi caratteristici motivi strutturali
[Alberts et al., 1989]. È quindi probabile che
iendano suscettibili di modulazione elettromagnetica i sistemi di trasmissione in
cui sono presenti.
Studi eseguiti sulla modulazione elettromagnetica della produzione di collage-
ne da parte di osteoblasti sono in accordo con questa veduta. Infatti è stato
dimostiato che negli osteoblasti l'ormone paratiroideo si lega a recettori esterni e
attiva l'enzima adenilato ciclasi tramite l'intermediazione di una G-proteina' Un
campo elettromagnetico di frequenza 72Hz e gradiente elettrico di 1-3 mV/cm
inibiva per il 907o la attivazione dell'adenilato ciclasi, senza interferire né col
legame del recettore, né con l'enzima stesso. Di conseguenza, 1'effetto inibitorio è
stato attribuito al blocco della G-proteina [Adey, 1988]'
I-,AMp ciclico (cAMP) è un importante elemento del controllo della funzione
di molti enzimi, soprattutto in quanto un suo aumento intracellulare costituisce un
messaggio attivatorio per le protein-chinasi (enzimi che fosforilano le proteine). In
precisi condizioni sperimentali di frequenza e durata di esposizione, la protein
Il paradigma biofisico 251

chinasi cAMP dipendente di linfociti umani è stata inibita da onde elettromagne-


tiche (campo di 450 MHz modulato in ampiezzaal.6 Hz). Anche la protein chinasi
di tipo C, il cui coinvolgimento in importanti processi cellulari e anche nella
cancerogenesi è fuori discussione, è modulabile da onde elettromagnetiche Idati di
Byus, cit. in Adey, 1988].
Secondo Tsong e collaboratori [Tsong, 1989; Liu et al., 1990] le comunicazioni
intercellulari convenzionalmente conosciute, come l'interazione ligando-recetto-
re, sono processi lenti e a breve distanza, ma le cellule hanno bisogno anche di
comunicazioni rapide e a lunga distanza, per cui viene proposto che le varie reazioni
biochimiche, comunque necessarie, siano regolate da forze di natura fisica. Dato
che deboli campi elettromagnetici oscillanti sono in grado di stimolare o sopprime-
re molte funzioni cellulari e che da un punto di vista termodinamico ciò è possibile
solo se esistono dei meccanismi di amplificazione del segnale, viene proposto che
la membrana cellulare sia un sito di amplificazione.
Gli esperimenti eseguiti dal guppo di Tsong indicano che un debole campo
elettrico (20 V/cm), a 3.5 oC, è in grado di attivare la funzione della ATPasi Na*/
K* dipendente solo se contemporaneamente sono usate specifiche frequenze,
corrispondenti a 1 kHz per il pompaggio del K'e 1 MHz per il pompaggio del Na*.
Questi risultati hanno permesso di formulare il concetto di "accoppiamento
elettroconformazionale". Questo modello postula che una proteina enzimatica
vada incontro a cambiamenti conform azionali per un'interazione coulombiana con
un campo elettrico (oppure con ogni altro campo di forze oscillante con cui la
proteina può interagire). Quando la frequenza del campo elettrico corrisponde alla
caratteristica cinetica della reazione di trasformazione conformazionale, viene
indotta una oscillazione fenomenologica tra conformazioni differenti dell' enzima.
Alla forza di campo ottimale, Ie conformazioni così raggiunte sono funzionali e le
oscillazioni sono utilizzate per compiere ia attività richiesta, come ad esempio il
pompaggio di Na* e K*.
L'organizzazione del DNA nei cromosomi risente <ii influenze di natura
elettromagnetica, come dimostrato in una ampia serie di lavori dal gruppo di
Kremer [Kremer et al., 1988]. Gli autori hanno usato il modello fornito dai
cromosomi giganti degli insetti (per la precisione, Iarve diAcricotopus lucidus),
che sono facilmente visibili e studiabili al microscopio. È noto che quando
l'informazione deve essere trascritta dal DNA al RNA, i cromosomi (bastoncini
compatti contenenti migliaia di geni impacchettati e stabilizzati da proteine
istoniche) devono parzialmente de-condensarsi, mostrando, nel segmento interes-
sato, degli zaffi ("puffs", nella terminologia inglese) di materiale genetico che
fuoriesce dal bastoncello. Questo fenomeno è fortemente e significativamente
inibito, nel senso che gli zaffi sono molto più piccoli, dall'irradiazione del
cromosoma con frequenze attorno a 40 GHz e 80 GHz e di potenza di appena 6 mW
252 Il paradigma biofisico

cm2.La natura non-termica del fenomeno fu dimostrata da molti esperimenti di


controllo [Kremer et al., 1988].

7.3. Elettroagopuntura

Un notevole contributo alla comprensione dell'omeopatia deriva dalla tradizio-


ne agopunturistica e, in particolare, dalle esperienze dell'elettroagopuntura secon-
do Voll, per cui è utile accennarne anche in questo lavoro.
L,agopuntura è oggi più accettata, o meglio tollerata, dell'omeopatia nell'am-
biente medico. Infatti, per quanto i presupposti teorici siano per lo più costituiti dal
pensiero medico cinese, i successi terapeutici e l'inoppugnabile dimosttazione
della esistenza dei punti di agopuntura e di alcuni correlati fisiologici hanno reso
questo approccio più facilmente integrabile nella medicinaoccidentale [Di Concet-
to, 19891. Qui ci si interessa di agopuntura solo per i suoi rapporti con l'omeopatia,
soprattutto in quanto quest'ultima pare poter essere fatta oggetto di studio mediante
leiecniche della elettroagopuntura [Leonhardt, 1982; Fuller Royal, 1990; Fuller
Royal and Fuller Royal, 1991; Meletani,1.992f. L'elettroagopuntura secondo Voll
(EAV) costituisce una speciale sintesi tra pensiero medico orientale e tecnologia
occidentale. Dell'agopuntura cinese vengono usate le via di conduzione
dell"energia", come i meridiani ed i punti che giacciono sopra di essi. Delle
conoscenze e metodiche elettroniche vengono usate quelle che consentono di
misurare la resistenza cutanea sotto appropriate condizioni di voltaggio ed intensità
di corrente.

7.3.1. Punti e meridiani

Prima di trattare dell'EAV, è opportuno fare una breve premessa sull'agopun-


tura tradizionale e su alcune linee di sviluppo della stessa. I punti di agopuntura
paiono essere delle finestre che danno accesso a informazioni sullo stato di
iunzionamento di specifici organi e sistemi corporei. Le caratteristiche elettriche
dei punti di agopuntura sono rappresentate da una diminuzione della resistenza
elettrica cutanea. La resistenza elettrica cutanea su tali punti è di circa 50.000 ohms,
rispetto al resto della cute, dove è superiore a 200.000 ohms [Fuller Royal and Fuller
Royal, Lgg1,). Nello stesso tempo, sui punti, come è noto, si possono applicare
stimoli fisici (aghi, scariche elettriche, pressione, laser, ecc.) che sono trasmessi a
organi e apparati e fungono da riequilibratori.della "energia vitale" ("Ch'i",
secondo la tradizione cinese) persa o disordinata (squilibrio di Yin e Yang).
Dai punti partono i meridiani, che "connettono" la superficie corporea con
organi specifici e con una rete bioenergetica interna la cui natura resta ancora in
Il paradigma biofisico 253

gran parte sconosciuta, non coincidendo né col sistema nervoso, né con l'apparato
vascolare o linfatico. È stato dimostrato [v. rassegna in Smith, 1988] che inieitando
isotopi radioattivi in punti di agopuntura, essi viaggiano lungo i meridiani ad una
velocità di 3-5 cm/minuto e che la velocità si riduce in caso di organi malati. La
velocità di diffusione aumenta stimolando il punto di ingresso con aghi, con
corrente elettrica o con una luce prodotta da laser ad elio-neon. Iniettando l'isotopo
in altre zone della cute non coincidenti col punto, esso non si diffonde apprezzabil-
mente.
Nonostante queste e altre evidenze, non esiste a tutt'oggi una soddisfacente
teoria scientifica per l'agopuntura. Tutto comunque lascia pensare che alla basedel
funzionamento delle terapie agopunturistiche non vi sia semplicemente un riflesso
nervoso (mancano precise correlazioni anatomiche), ma una trasmissione di
energie o informazioni di natura elettromagnetica lungo reti di comunicazione di
:
diverso tipo. E stato sostenuto [Kroy, 1989] che nella filogenesi e nella ontogenesi
degli esseri viventi esiste un ordine cibernetico più ancestrale di quello basato sul
sistema nervoso o sul sistema umorale (sangue, ormoni). Tale sistema ancestrale
satebbe di natura elettromagnetica, perché la radiazione elettromagnetica è la più
fondamentale forrna di informazione presente in natura. I segnali elettromagnetici
hanno costituito (e costituiscono) sia il linguaggio di comunicazione tra atomi e
molecole, sia il mezzo con cui gli organismi primordiali ricevevano una serie di
informazioni dall'ambiente (luce solare, altre onde cosmiche). È quindi fuor di
dubbio che gli organismi viventi abbiano imparato ad usare l'elettromagnetismo
come segnale di informazione, e quindi di comunicazione fra cellule e tessuti.
Secondo i lavori del gruppo di Popp [Popp, 1985;Popp et al., 1989]molti sistemi
biologici sono capaci di produrre, ricevere e anche "immagazzinare" onde elettro-
magnetiche come la luce.
Le discussioni sull'agopuntura potrebbero allargarsi senza limite. Qualunque
sia il meccanismo d'azione dell'agopuntura, tale metodica resta una delle principali
dimostrazioni di come si possano ottenere effetti biochimici (v. ad esempio
l'aumento di endorfine, o l'attivazionedel sistema immunitario [Chou et al., 1991])
e terapeutici con stimolazioni di tipo fisico (stimolo meccanico, deboli correnti
elettriche o luce laser) e non con farmaci.

7.3.2. EAV

Come sopra accennato, 1'elettroagopuntura secondo Voll è un metodo diagno-


stico e terapeutico che unisce i fondamenti dell'agopuntura cinese alle possibilità
della moderna elettronica. Tale metodo è stato introdotto dal medico tedesco
Reinhold Voll nel 1955, tanto che va ancora sotto il nome di Elettroagopuntura sec.
Voll (EAV); successivamente è stato perfezionato ed elaborato sia nella teoria che
254 II paradigma biofisico

nelle applicazioni. Vi sono oggi molte varianti della metodica originale e molti tipi
di strumenti capaci di effettuare rilevazioni bio-elettroniche - anche di tipo
alquanto diverso da quelle dell'EAV - tanto che si configura una ampia area detta
di diagnostica funzionale bioelettronica. EAV e bioelettronica in generale sono
rnolto diffuse in Germania (la società di medicina bioelettronica conta un migliaio
di iscritti), ma iniziano ad essere conosciute anche in Italia, soprattutto ad opera di
medici naturalisti ed omeopati. Purtroppo la pressoché totaie mancanza di cono-
scenza (o di interesse?) nel mondo accademico ha come conseguenza una scarsa
ricerca scientifica in questo campo che, come si vedrà, è altamente promettente'
Non è questa la sede per una trattazione dettagliata delle tecniche e metodiche
bioelettroniche, per cui si rimanda ad altra letteratura [Voll, 1975; Leonh atdt,1982;
Kenyon, 1983]. Saranno qui schematicamente riassunti i principi e le applicazioni
fondamentali dell'EAV, soprattutto per quanto consente di capire i rapporti tra essa
e l'omeopatia.
Grazieagli studi di Voll e di altri, si sono individuati nuovi punti di misura prima
sconosciuti all'agopuntura classica, si sono individuate precise correlazioni clini-
che tra variazioni di resistenza cutanea e patologie d'organo, infine si sono
individuate le procedure per il controllo dell'efficacia di farmaci (omeopatici e
allopatici) secondo il loro effetto testato mediante EAV. Compito dell'EAV è
quinO; in primo luogo quello di costituire un ausilio alla diagnostica basato non
sulla oggettivazione di alterazioni biochimiche o anatomopatologiche, ma sulla
valutazione delle perturbazioni elettrofisiologiche connesse alle malattie'
In questo senso non vi è contrasto tra diagnostica bio-elettronica e medicina
convenzionale: come scrive il Leonhardt (p. 312), "Le opinioni di base della
medicina clinica e dell'elettroagopuntura appaiono contrapposte ad un primo
sguardo, ma si completano così tanto a vicenda; mentre i1 dominio della medicina
ciassica è la medicina curativa, per l'EAV sta in primo piano la profilassi' Prevenire
e curare, profilassi e attività curativa servono ambedue al benessere del paziente
e

ciò in miiura maggiore se tutte e due procedono d'accordo, mano nella mano, e si

completano tra di loro senza alcuna discontinuità".


Vi sono punti {i misura per tutti i grandi organi, per i vari sistemi tissutali, per
il sistema o.u"o, articolare, vasale, nervoso e linfatico, come anche punti specifici
per manifest azionidegenerative. Il fatto forse più interessante è che molte malattie
iniziano a manifestare disturbi misurabili con l'EAV prima di dare altre manifesta-
zioni cliniche [Leonhardt, 1982, p. 5].
Il sistema di misura dell'EAV è costituito essenzialmente (Figura 28) da uno
strumento che applica una corrente continua di circa 8 pAmpere e una differenza
di potenziale di circa 1 Volt ai punti di agopuntura. La corrente è inviata lungo un
circuito fatto da un cavo che termina in un elettrodo a puntale che viene usato
dall'operatore per testare i vari punti, poi dal paziente che tiene nella mano
Il paradigma biofisico 255

Misurolore Generotore
di congntg dl corrente

ii..:i,#.:.§...i.l.JZ,.,,.'.
ii'i'r$;5!.:.iV€rlt§

Corrente

Figura 28. Schema semplificato di un circuito per la rilevazione elettronica della


conduttanzadei punti di agopuntura [adattato, con modifiche, daKroy, 19g9].

controlaterale un elettrodo cilindrico da cui si diparte un cavo che ritorna ad un


misuratore di corrente e quindi al generatore. Collegato col cavo che va alpaziente,
si diparte un altro cavo che va verso un porta-fiale di metallo, usato per Ie misure
di interferenza dei farmaci o di altre soluzioni da testare (vedi sotto). Questo porta-
fiale in alcuni apparecchi si trova nella stessa macchina misuratrice.
Se la reazione del corpo o dell'organo corrispondente al punto testato è normale,
la forza elettromotrice misurata dovrebbe essere circa 0.8 volts. In pratica, la
tensione viene impostata in modo che l'ohmetro registri "50", su una scala
arbitraria di 100 unità. L'intensità di corrente in queste condizioni va dai 5 agli 11
pAmpere.
In caso di patologie a carico degli organi in relazione col punto testato, si può
misurare un aumento della resistenza elettrica cutanea, quindi un calo della
conducibilità. Bisogna comunque precisare che non in tutte le malattie si riscontra
un abbassamento della conducibilità elettrica; in caso di patologie con prevalenti
fenomeni infiammatori si può avere un aumento di conducibilità.
A queste caratteristiche variazioni degli indici bioelettrici, di per sé di interesse
diagnostico non indifferente, si aggiunge un'altra proprietà del sistema EAV: In
presenza di un abbassamento dell'indice di conducibilità, se si inserisce nel circuito
256 il paradigma biofisico

elettrico, in una apposita vaschetta collegata con un cavo all'elettrodo, una fiala di
un farmaco con effetto positivo sull'equilibrio energetico-informazionale del
paziente, il punto recupera la conducibilità, l'indice ritorna al livello normale.
Viceversa, se si sta testando un soggetto sano (o anche un punto normale di un
soggetto con altre patologie) e si inserisce nel circuito una sostanza tossica o con
cui il soggetto reagisce in modo patologico (vedi ad esempio gli allergeni o sostanze
tossiche), un indice precedentemente normale si abbassa a livelli patologici.
Si stabilirebbe quindi un qualche tipo di interazione tra il composto inserito nella
vaschetta porta-fiale e un apparato (probabilmente rappresentato dal sistema dei
punti e meridiani considerato dall'agopuntura) che controlla la conducibilità
elettrica cutanea nell'organismo. Non v'è dubbio che una simile affermazione,
prima di poter essere accettata nel quadro delle attuali conoscenze fisiologiche e
fisiopatologiche, richieda ulteriori prove e consistenti documentazioni'
La ricerca in questo campo è oggi orientata a ottimizzare Ie metodiche per
raggiungere la massima riproducibilità delle misurazioni, dall'altra a svelare i
meccanismi attraverso cui insorgono le variazioni di conduttanza a seguito di
malattie o di farmaci e sostanze tossiche.
Data l'importanzache la EAV può avere sia per la comprensione dei meccani-
smi d'azione dei farmaci omeopatici, sia in generale nella medicina in futuro, è
opportuno, anche in questo campo, riferirsi ad alcune (sono scarse) sperimentazioni
oggettive e controllabili. Uno dei centri più avanzati in questi studi è presso il
dipartimento di Biologia Molecolare e cellulare dell'Università di Utrecht [van
Wijk andWiegant, 1989; van Wijk and van der Molen, 1990; Van Wijk, 1991a; Van
Wijk, 1991b]. Questi ricercatori hanno verificato che il parametro che più si presta
a misurazioni obiettive di modifiche di conduttanza elettrica sui punti di agopun-
tura non è la conduttanza in assoluto (molto variabile da soggetto a soggetto, anche
influenzato dallo stato di umidità della cute o cose simili), bensì il fenomeno della
perdita di conduttanza: dopo aver applicato il puntale su un punto di agopuntura e
mantenendo costante la pressione si osserva in pochi secondi un calo della
conduttanza, come se si avesse un "caricamento" della resistenza del punto, un
"blocco" del flusso di cariche elettriche. Questo calo è facilmente registrabile su
carta, così da poter costruire dei grafici interpretabili sia in senso qualitativo che
quantitativo.
La perdita di conduttanza è un fenomeno che si verifica sernpre, ma in presenza
di una perturbazione patologica del sistema (organo ammalato, intossicazione...),
è molto più rapida. La cosa più interessante però riguarda il fatto che se in un porta-
fiale coilegato mediante un filo elettrico al sistema (v. figura 28) si aggiungono
delle soluzioni di particolari composti con cui il soggetto reagisce, il fenomeno
della perdita di conduttanza è modificato, nel senso che esso può aumentare o
diminuire. In modo schematicamente semplicistico, risulterebbe che se il composto
Il paradigma biofisico 257

è tossico, provoca una caduta dell'indice su un punto precedentemente normale


come conduttar.za, se il composto è terapeutico, provoca una ripresa dell'indice su
un punto precedentemente patologico. In ogni caso, una simile prova rappresente-
rebbe una forte indicazione che la soluzione posta in serie nel circuito macchina
EAV-paziente-tester-macchina EAV "interferisce" con la trasmissione della cor-
rente elettrica nel circuito stesso.
Van Wijk sta conducendo studi per ottimizzare il sistema EAV e soprattutto per
distinguere i fattori soggettivi (es. abilità o "sensibilità" bio-magnetica dell'opera-
tore) da quelli oggettivi [van Wijk, 1991b]. In una serie di sperimentazioni egli ha
fatto degli studi che qui sono brevemente riassunti. L'operatore fa delle letture
preliminari su punti cutanei per individuare il punto o i punti che mostrano una
adatta risposta elettrica (perdita di conduttanza) e una buona risposta (recupero
della conduttanza) ad una serie di farmaci testati dall'operatore stesso mediante
posizionamento nel portafiale. Una volta individuato il punto ottimale, il soggetto
ingerisce 1 ml di liquido contenente 0.1 mcg di difenile. Questa sostanza è tossica,
ma assunta in piccole quantità non provoca particolari danni all'organismo. Dopo
alcuni minuti dall'ingestione del difenile si verifica sui punti già localizzati un
aumento della velocità di perdita di conduttanza, che viene registrata su un tracciato
con tre successive letture. L'uso del difenile sul soggetto sano è quindi un buon
metodo per ottenere delle variazioni ripetibili e che non siano soggette alla
variabilità che si riscontra nei pazienti affetti da malattie spontanee, variabilità che
in un metodo come questo impedisce la valutazione statistica dei risultati raggiunti.
In una serie di sperimentazioni gli autori hanno dimostrato che questo calo della
conduttanza era reversibilizzato quando nel porta-fiale era inserita una fiala
contenente una diluizione omeopatica di zolfo (Sulphur D12). Da notare che
diluizioni maggiori o minori non avevano effetto e che l'effetto era riportato solo
se lo zolfo era preparato mediante diluizione e succussione e non mediante
diluizione semplice. GIi autori hanno spiegato il fenomeno in base alle leggi di
analogia dell'omeopatia, in quanto i sintomi dell'intossicazione da difenile sono
simili a quelli dell'intossicazione da zolfo. Chiaramente, questa è una spiegazione
di tipo analogico e non scientifica, ma l'esperimento riportato resta a documentare
una interferenza specificatraSulphur D12 e difenile sul sistema elettrofisiologico
del corpo umano, quale è valutato dall'EAV.
In una successiva comunicazione, van Wijk ha riportato che il test EAV
funziona anche in doppio cieco, sebbene con minore efficienza che "open" (cioè
quando l'operatore conosce il tipo di fiala inserita) [van Wijk, 1991b]. Dopo la
registrazione del calo di conduttanza dovuto al difenile, fiale sigillate di Sulphur
D12 venivano inserite nel porta-fiale e si registrava un altra serie di tre tracciati.
Fiale di placebo (diluizioni di alcool) erano quindi inserite nel porta-fiale e si
registrava di nuovo la velocità del calo di conduttanza. L'operazione veniva
258 Il paradigma biofisico

Tabella 8.
Effetto di Placebo e sulphur D12 sulla perdita di conduttività indotta da difenite
in una serie di test in doppio cieco

Placebo Sulphur D12

Nessun effetto 35 test 32 test

Effetto (blocco della


perdita di conduttanza 13 test 39 test

Differenza statistica: p<0.005

ripetuta molte volte, prima "open" poi "in cieco", nel senso che un osservatore
indipendente inseriva le fiale nel portafiale senza dirlo né all'operatore né al
paziente. Alla fine si sono elaborati i tracciati come velocità di perdita di condut-
tanza(in pAlsec) e si sono confrontati con il "verum" (in questo caso SulphurDlZ)
col placebo.
Da queste sperimentazioni è emerso che il sulphur causa una ripresa della
conduttanza (cioè previene la perdita di conduttanza nei primi secondi dopo
l'applicazione del puntale) indotra dal difenile molto di più di quanto faccia il
placebo. Negli esperimenti "open" la differenza è clamorosa: con Sulphur nel
portafiale la perdita di conduttanzaè di0-0.25 pAlsec, mentre col placebo è di 1-
1.75 trtAlsec. Negli esperimenti in doppio cieco la differenza è stata meno marcata,
in quanto si sono verificate parecchie prove "false positive" (cioè il placebo ha
avuto effetto e parecchie "false negative" (cioè il Sulphur non ha avuto effetto), ma
nell'insieme la differenza è stata altamente significativa (v. tabella 8).
L'uso dell'EAV e di apparecchiature simili nella evidenziazione di allergie è
stato descritto anche da altri [vedi rassegna di Fuller Royal, 1991).I dati ottenuti
mediante l'elettrodiagnosi di allergie alimentari si sono dimostrati correlati con
quelli ottenuti con metodi più noti come il RAST, i test cutanei, i test di provoca-
zione alimentare. Altri studi, condotti in doppio cieco [Ali, 1989]hanno mostrato
che in soggetti affetti da allergie il testelettrodiagnostico correlaalT3%ocon il livelli
di anticorpi IgE specifici perpollini e polveri.Il test EAV sembrafunzionare siacon
medicinali omeopatici che allopatici essendo stato utilizzato, ad esempio, per
Il paradigma biofisico 259

valutare il grado di danno pancreatico nei pazienti diabetici e per stabilire un


corretto dosaggio dell'insulina [Tsuei et al., 1989; Lam et al., 1990]. Una cosa è
certa: se le cose stessero veramente così, si tratterebbe di un argomento importante
da sviluppare anche in ambito allopatico, considerando anche il fatto che le
apparecchiature richieste per simili indagini sono estrememente semplici e relati-
vamente poco costose.
Il meccanismo con cui si verifica questo fenomeno di interferenza è ancora
oscuro, in quanto è stata svolta ancora poca ricerca in questo campo. In ogni caso,
non può sfuggire I'importanza del fenomeno descritto, che, una volta confermato
e accettato, porterebbe a conclusioni quali:

a) l'organismo presenta una aumentata conduttanza elettrica cutanea sui punti di


agopuntura;
b) questa conduttanza non è stabile ma è influen zata dallo stato di salute o malattia
del soggetto nel suo insieme e degli organi che, secondo la concezione
agopunturistica, sono a ciascun punto collegati;
c) la conduttanza elettrica può essere alterata (sia in senso positivo che negativo)
dalla introduzione di sostanze tossiche o farmaci;
d) le alterazioni della conduttanza elettrica possono essere indotte non solo dalla
introduzione delle sostanze stesse, ma anche dal posizionamento di fiale
contenenti soluzioni delle sostanze stesse in un porta-fiale collegato con un filo
al sistema;
e) le alterazioni della conduttanza da parte di soluzioni poste in collegamento
elettrico col sistema sono di natura da determinare, ma possiedono un carattere
di specificità che fa pensare a fenomeni di risonanza elettromagnetica;
f) il sistema EAV permette di dimostrare che le molecole in una soluzione hanno
la proprietà di interazione a lungo raggio con frequenze elettromagnetiche;
g) sia farmaci omeopatici che allopatici possono essere testati per la loro reattività
col paziente, così come anche la allergia a particolari sostanze può essere dalla
EAV evidenziata.

Molto recentemente, il gruppo di van Wijk ha unito gli sforzi con quelli del
gruppo di Endler e Haidvogel, gli studiosi che hanno eseguito le sperimentazioni
sull'effetto delle alte diluizioni di tiroxina sulla metamorfosi delle rane, studi di cui
si ò fatta menzione nel capitolo 4.1. In quest'ultima serie di prove, gli autori [Endler
et a1.,1992) hanno preparato alte diluizioni di tiroxina (T4 D30) e, come controllo,
alte diluizioni di acqua (HrO D30), secondo le regole omeopatiche. Le diluizioni
furono chiuse in ampolle di vetro e alle fiale furono applicati dei codici da
ricercatori indipendenti dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Graz, così che
le prove furono eseguite in cieco. Le fiale, ovviamente chiuse, vennero immerse in
260 Il paradigma biofisico

diversi recipienti in cui venivano allevati gli animali, ad uno stadio di sviluppo ben
preciso (subito dopo la comparsa completa dei quattro arti posteriori, prima della
perdita della coda).
L'esperimento consisteva nel contare il numero di piccole rane che risaliva le
pareti dei recipienti di allevamento, portandosi fuori dall'acqua. I risultati (ripro-
dotti da cinque diversi ricercatori per un totale di oltre 3000 osservazioni)
mostrarono che le rane del bacino in cui era stata immersa la fiala To D30 uscivano
dall'acqua con frequenza significativamente aumentata rispetto alle rane trattate
con la fiala HrO D30. Dosaggi degli ormoni tiroidei e di iodio sulle fiale e sul liquido
di lavaggio delle fiale hanno escluso la presenza di contaminazioni accidentali delle
fiale utilizzate per il test. Per quanto incredibili possano sembrare questi risultati,
quivengono riportati sia per illustrare le problematiche su cui si stanno cimentando
i ricercatori nel campo dell'omeopatia, sia per le loro suggestive analogie con i
risultati sopra riportati a proposito delle prove eseguite con l'elettroagopuntura di
Voll.
Altre esperienze clinico-terapeutiche che sono derivate da applicazioni partico-
lari e varianti dell'EAV riguardano l'uso di apparecchiature quali il MORA (dalle
iniziali degli inventori, il dr. Morell e I'ing. Rasche), per i quali, però si rimanda ad
altri testi più specifici [Meletani, 1990; Morell, 1990].
Tutte queste osservazioni, se confermate e consolidate da ulteriori prove e
controlli, indicherebbero che:

a) una informazione di natura non molecolare resta impressa nell'acqua nel


processo di diluizione e dinamizzazione;
b) tale informazione può passare da una fiala all'organismo mediante contatto
diretto o indiretto, attraverso l'acqua dei liquidi biologici;
c) in opportune condizioni sperimentali, tale informazione può determinare un
certo effetto che pare in qualche rapporto (similitudine o antagonismo) con
l'effetto della sostanza di partenza con cui si è preparata la diluizione.

Almeno per quanto riguarda l'aspetto diagnostico, non si vede come l'elettro-
agopuntura non possa integrarsi con la diagnostica convenzionale, potendo forse
rappresentareur,mezzo in più per avere informazioni sulla funzionalità "bioener-
getica" di organi o tessuti, su infezioni in atto o pregresse (immunità), su allergie o
intolleranze alimentari, sulla particolare reattività di un paziente a farmaci poten-
zialmente pericolosi in caso di idiosincrasia. Gli $ilizzatori di tali metodiche
mettono in evidenza il concetto di "diagnostica funzionale", intendendo con questo
la possibilità di segnalare alterazioni omeostatiche precocemente rispetto alle
alterazioni anatomopatologiche [Leonhardt, lg9z]. se ciò fosse vero, I,EAV
potrebbe complementare Ia diagnostica tradizionale e, adeguatamente controllata
Il paradigma biofisico 261

e verificata, potrebbe essere di ausilio al medico per indirizzarsi a cercare di


localizzare ed identificare patologie in stadi pre-clinici. Avere un dato in più, anche
se di non totale affidabilità, non obbliga, di per sé, a ritenerlo determinante, ma può
in alcuni casi servire per conferma diagnostica o per orientare la terapia.

7.4. Alte diluizioni, caos e frattali

Dopo quanto si è detto a proposito del caos (se2.5.7) e dopo aver riportato teorie
ed esperienze a favore dell'esistenza di fenomeni biofisici meta-molecolari, in
questa sezione si tenta una breve sintesi.
Innanzitutto si deve richiamare quanto detto a proposito della instabilità dei
sistemi dinamici dell'organismo. L'esistenza del caos e delle geometrie frattali ha
notevole importanza anche per quanto riguarda l'omeopatia. Infatti, l'ipotesi che
va prendendo forma in questo testo vorrebbe sostenere che il rimedio omeopatico,
contenente una serie di informazioni specifiche per un determinato paziente, possa
agire come un "attrattore" in una situazione fisiopatologica con una tendenza al
caos, alla disorganizzazione (malattia). Quando un sistema si trova in un dis-
equilibrio controllato da molti fattori, cioè manifesta un comportamento che ha le
note della complessità e della caoticità, dovrebbe essere sufficiente wa piccola
energia per farlo spostare da una parte all'altra. Quanto più si è vicini al punto di
biforcazione, quanto più alta è la libertà di scelta, tanto più bassa sarà l'energia
necessaria per spostare il sistema da una parte o dall'altra.
In sintesi, si potrebbe ipotizzare che il farmaco omeopatico, contenente poca
materia del soluto originale (o nessuna, a seconda della diluizione), possegga un
alto "contenuto informazionale" per il caso specifico, grazie alla corrispondenza
dei sintomi ascritti al farmaco stesso con quelli del paziente (legge dei simili). Tale
contenuto informazionale sarà capace di costituire in condizioni critiche di sensi-
bilità del sistema, un orientamento verso un determinato comportamento, qualcosa
come un "catalizzatore di ordine" o un "segnapassi".
L'informazione, ricevuta, amplificata ed elaborata da uno o più sistemi di
regolazione, potrebbe contrastare l'effetto del disordine indotto dal fattore patolo-
gico che ha perturbato la normale omeostasi dell'organismo. Se ci si riferisce al
campo delle alte diluizioni, è chiaro che una simile informazione "attrattiva" deve
basarsi sullapermanenzadell'immaginedel composto originale, o diunaimmagine
ad esso correlata, nel solvente sottoposto a successive diluizioni e dinamizzazionl
Per "immagine" qui non si intende solo una geometria spaziale, ma potenzialmente
anche un ordine spazio-temporale, sotto forma (forma = informazione e memoria)
di una certa frequenza di oscillazione dei dipoli molecolari o degli scambi protonici
a livello di legami idrogeno.
a

262 Il paradigma biofisico

si è visto, in precedenti sezioni di questo capitolo, che tale "permanenza


dell'informazione" è ancora più un'ipotesi che una certezzascientifica e che anche
la sua base fisica resta ancora molto incerta. Ciononostante, si è anche dimostrato
che un simile fenomeno non è assurdo in via di principio e che vari modelli sono
stati proposti anche da studiosi competenti in materia.
Qui val la pena riprendere, in particolare, il problema dell'informazione meta-
molecolare dal punto di vista del caos e dei frattali. La relazione tra queste nuove
teorie (ed esperienze) matematiche ed omeopatia non può non essere molto stretta
sia perché la comunicazione dell'informazione dal soluto al solvente non sarebbe
altro che una transizione dell'acqua dal caos all'ordine, sia perché le diluizioni/
dinamizzazioni potrebbero essere assimilate a dinamiche frattali. Quanto segue
non ha, comunque, la pretesa di rappresentare una vera e propria ipotesi scientifica,
bensì solo una discussione piuttosto speculativa. In essa si fa ampio uso del
ragionamento analogico, che risulta di particolare utilità in campi così incerti e
complessi.

7.4.1. Trqnsizione dal caos all'ordine

sciogliendo un determinato composto in acqua, esso "informa" la collettività di


molecole d'acqua ad esso vicine, organizzandole in modo che esse, nel loro
insieme, assumano una configurazione che rispecchia quella del composto stesso.
Ciò è ben noto alla chimica, essendo dovuto essenzialmente alle forze deboli di
attrazione e repulsione di cariche ed idrofobiche. Si è anche visto che le molecole
d'acqua più vicine, così riorganizzate, comunicano a loro volta, tramite legami
idrogeno e probabilmente anche vibrazioni elettromagnetiche legate al moto
coerente dei dipoli, con altre molecole vicine e così via fino ad una certa distanza.
Tali modificazioni dell'acqua rappresentano comunque un grado di "trasferi-
mento di forma", senza necessariamente che ciò comporti una modificazione
chimica delle molecole d'acqua di per sé (almeno per quanto riguarda le molecole
non immediatamente a contatto col composto in soluzione), consistendo solo in una
"riorganizzazione" ad ampio raggio. Nella visione convenzionale, successive
diluizioni comportano progressiva riduzione del numero di molecole del soluto,
fino alla sua scomparsa e contemporanea scomparsa della forma di riorganizzazio-
ne dell'acqua già conseguita.
Nella teoria omeopatica invece, il soluto, grazie alla succussione nel momento
della diluizione, comunicherebbe all'acqua una informazione "sovrabbondante,,
rispetto a quella legata alla concentrazione molecolare del soluto stesso. La
riorganizzazione dei rapporti molecolari assumerebbe un andamento simile a
quello considerato a proposito delle celle di Bénard (sez. 5.8.1): sottoposte ad un
Il paradigma biofisico 263

determinato flusso di energia, le molecole d'acqua assumono comportamenti


collettivi, in altri termini, si instaurerebbe un regime di coerenza in grandi domini
di molecole d'acqua. Ovviamente, tali comportamenti collettivi non consistereb-
bero in movimenti macroscopici di masse d'acqua, ma in vibrazioni coerenti dei
dipoli magnetici molecolari o dei protoni coinvolti nei legami idrogeno tra
numerose molecole d'acqua o etanolo adiacenti. Come poi questo regime possa
essere mantenuto nel tempo riguarda la possibilità che i moti collettivi siano in
qualche modo isolati dal caos molecolare circostante. Come sopra illustrato, non
esiste ancora una teoria univoca su questo punto, ma le ipotesi presentate in sezioni
precedenti di questo capitolo (superradianza, NMR) paiono suggestive.

7.4.2. Dinamiche frattali

Vari esperimenti hanno suggerito che la attività biologica delle diluizioni


omeopatiche, al crescere della diluizione, non diminuisca o non aumenti in modo
regolare, bensì segua un andamento "pseudosinusoidale", con picchi di attività e
zone di inattività. L'esempio più evidente si ha nella figura 1 (pag. 72), ripresa dal
famoso esperimento fatto dal gruppo di Benveniste [Davenas et al., 1988], ma
simili andamenti sono stati riportati anche da altri [Poitevin et al., 1985; Davenas
et al.,19871' Boiron and Belon, 1990; Poitevin, 1990; Garner and Hock, 1991]. Si
vede come la attività causante la degranulazione dei basofili è presente alla
diluizione 9 (corrispondente più o meno alla D9 omeopatica), poi cala fino alla 11",
poi riprende a salire fino ad un massimo alla 15'per poi ridiscendere, ecc. Si nota
che la ricorrenza dei picchi non è regolare ma caotica, imprevedibile, e nello stesso
tempo però si deve constatare che la ricorrenza esiste, che cioè la informazione
efficace si ripresenta dopo alcune diluizioni. Nella logica chimica corrente, un
simile andamento pare totalmente ed inappellabilmente assurdo.
Se si vuole credere a tali risultati paradossali, nasce inevitabile la questione:
come fa un'informazione a sparire e poi a ricomparire? Dove è andata l'informa-
zione nel frattempo, mentre si facevano le diluizioni inattive, tra un picco e 1'altro?
Per rispondere a tale questione può tornare utile il "ragionamento" frattale. Infatti,
se si vuol dar credito alle sperimentazioni, si deve ammettere che l'informazione
del composto sciolto non sia completamente "dissipata" nel corso di successive
diluizioni, nemmeno là dove le diluizioni sono inattive. Evidentemente esiste un
meccanismo di trasmissione e conservazione dell'informazione nel corso delle
diluizioni tale per cui una diluizione successiva a quella attiva può dar luogo ad una
forma (o ad una frequenza vibrazionale) diversa da quella precedente (e per questo
inattiva), ma capace, dopo qualche passaggio di ulteriore diversificazione, di far
"ricomparire" l'informazione originale (attiva). Le diluizioni quindi non produr-
264 Il paradigma biofisico

rebbero perdita dell'informazione (aumento di entropia), ma solo cambiamento e


varietà di forme, le quali a loro volta rigenererebbero laforma di partenza. Un simile
comportamento è reminiscente di quanto visto a proposito delle iterazioni matema-
tiche che generano i frattali (v. sez.5.7 e figure 16 a pag. 165 e 17 a pag. i69).
Le onde ripetitive di comparsa e scomparsa delle attività potrebbero quindi
rappresentare oscillazioni caotiche del risultato di un processo di trasferimento
dell'informazione da una diluizione alla successiva. Si tratterebbe quindi di un
fenomeno analogo alla "regolarità ricorsiva" tipica dei sistemi caotici e dei frattali
(v. sezione 5.7).
Se le cose stessero in questi termini, si potrebbe inquadrare meglio anche il
problema della scarsa riproducibilità dei risultati, spesso evidenziata nelle speri-
mentazioni in questo campo. La poca riproducibilità può dipendere da molti fattori
legati ai materiali e ai metodi impiegati, ma è evidente che se si postula l'esistenza
di meccanismi intrinsecamente caotici nel processo di trasferimento dell'informa-
zione, la non-riproducibilità va vista sotto nuova luce. Infatti, là dove caos e
complessità giocano un ruolo significativo, c'è da aspettarsi che minimevariazioni
delle condizioni iniziali dell'esperimento si traducano in notevoli variazioni dei
risultati (v. anche quanto discusso nel capitolo 5.8).
Ad esempio, chi volesse ripetere un esperimento come quello del gruppo di
Benveniste (v. figura 1) non potrebbe assolutamente aspettarsi di ritrovare gli stessi
picchi di attività e inattività localizzati nelle stesse diluizioni e neppure di osservare
il fenomeno stesso in tutti gli esperimenti fatti. D'altra parte, un certo tipo di
riproducibilità nella ricerca scientifica "deve" esistere (ad esempio, la comparsa di
picchi in qualche diluizione, almeno in un numero significativo di casi e la non-
comparsa di alcun picco in esperimenti di controllo con acqua non trattata). Ciò è
stato confermato da E. Davenas (comunicazione personale) e da altri esperimenti
riportati nel capitolo 4 e nelle prove di EAV.
È stata anche avanzata l'ipotesi [Gardner and Hock, 1991] che le successive
diluizioni e dinamizzazioni che vengono eseguite nella preparazione del rimedio
omeopatico introducano un elemento di guadagno di informazione, analogamente
a quanto si osserva nell'insieme di Mandelbrot con successive iterazioni (v. figura
17). Viene suggerito che le basse diiuizioni (poche iterazioni) hanno scarsa
definizione dei dettagli, portano informazioni grezze ed imprecise, mentre le alte
diluizioni (molte iterazioni) sono caratterizzate da una migliore definizione dei
particolari, come si può osservare nei contorni dell'insieme di Mandelbrot. Se le
diluizioni-iterazioni sono poche, l'immagine è "sfuocata", se esse si ripetono
molteplici volte, l'immagine si precisa e, fatto sorprendente, "ricompare", è
riprodotta nei dettagli in sotto-insiemi e in sotto-sotto-insiemi. L'immagine di una
certa struttura (nel caso omeopatico, la "tintura madre") ricompare in forma
"simile" in diluizioni successive, praticamente all'infinito.
Il paradigma biofisico 265

Un simile fenomeno potrebbe stare alla base del fatto che nell'omeopatia
classica le alte diluizioni sono considerate più specifiche, più precise e profonde
nell'effetto terapeutico se vi è una perfetta corrispondenza di sintomi tra rimedio
e paziente, cioè se i "dettagli" della analogia sono emersi chiaramente dalla
anamnesi omeopatica. In pratica, quanti meno sintomi sono presenti in comune tra
il malato e il rimedio, tanto più basse saranno le diluizioni usate; quantipiù sintomi
comuni saranno presenti, tanto più alte le diluizioni prescritte.
Quanto sopra riportato può sembrare, e forse lo è, piuttosto vago e speculativo.
Le analogie tra frattali ed omeopatia sono concetti recentissimi e da precisare. Si
è voluto accennare anche a questi aspetti per sottolineare come un approccio
scientifico all'omeopatia richiederà, in futuro, il concorso di molte discipline, tra
cui matematica, geometria ed informatica.
Su un piano più generale, i suggerimenti qui riportati sottolineano come chi si
voglia awicinare allo studio dei problemi aperti e complessi della biologia e della
fisica (incluso lo studio delle alte diluizioni omeopatiche) deve cominciare ad
introdurre nel proprio armamentario concettuale e, possibilmente, sperimentale
anche le dimensioni del caos e dei frattali. Oggi il caos dovrebbe "far meno paura"
agli scienziati di quanto facesse in passato perché, grazie anche alla scoperta delle
geometrie frattali, si comincia a coglierne alcune regole di comportamento che
consentono un certo grado di prevedibilità.

7.5. Discussione sull'omeopatia delle alte diluizioni

Si cercherà qui di riassumere i principali punti trattati, al fine di costruire alcune


ipotesi che costituiscano il quadro di riferimento per un inquadramento razionale
e sperimentalmente percorribile della omeopatia ed in particolare di quella parte
dell'omeopatia che riguarda I'uso di alte diluizioni (meta-molecolari). Le ipotesi
sono necessarie all'evoluzione delle conoscenze. Naturalmente bisogna guardarsi
dal presentarle come certezze. Solo un lavoro paziente e multidisciplinare contri-
buirà a chiarire, almeno in parte, i misteri dell'infinitamente piccolo. Le ipotesi qui
esposte fanno riferimento anche ad altre teorie precedentemente riportate da altri
autori [Rubik, 1990;Popp, 1990a; Popp, 1990b; Vithoulkas, 1980; Ullman, 1989;
Callinan, 1986; Tetau, 1985].
La principale difficoltà dell'omeopatia che $ilizza diluizioni che entrano nel
campo "meta-molecolare" è costituita dal fatto che essa apparentemente contrad-
dice il modello biomedico dominante, che è quello biochimico-molecolare. In una
preparazione omeopatica, poche o nessuna molecola di farmaco sono presenti, e
quindi non si riesce a spiegare, con le conoscenze farmacologiche attuali, come una
tale preparazione possa avere effetto.
266 Il paradigma biofisico

dalla fisica
Tuttavia, sta emergendo dalle frontiere della scienza, soprattutto
una nuova
quantistica e da teorie e ricerche matematiche ancora non sistematizzate,
possibile "modus operandi"
ui.ion. della materia e della vita, più compatibile col
altamente regolati
dell'omeopatia. Gli organismi sono visti come sistemi dinamici
attorno a certi livelli
e complessi, che most-rano una caratteristica meta-stabilità
oscillazioni, ritmi, networks'
omeostatici. Tale meta-stabilità è fatta da continue
"sospesi" tra ordine e
amplificazioni e cicli di retroazione. I sistemi viventi sono
materia e le
caÀ, partecipano di queste due fondamentali caratteristiche della
Ordine e caos si
sfrutiano in modo finaìisticamente orientato alla soprawivenza'
alla psiche' Non si vede
ritrovano a tutti i livelli dell'omeostasi, dalle moiecole
peso anche nei nuovi orienta-
come tali nuove prospettive non possano avere un
della medicina sono
menti della medicina. La teoria, limetodologia e la tecnologia
connesse alle teorie scientifiche generali ed alle situazio-
sempre state strettamente
ni socio-economiche del temPo.
L'omeopatia torna a rivivere nell,epoca attuale, che vede un
vertiginoso
dalla consapevolezza di ]una
aumento di conoscenze scientifiche, accompagnate
tezza delreale. Ciò non equivale, come molti sono portati
sostanziale indetermina
a credere, al ricorso a paradigmi meta-fisici
o esoterici per sfuggire all'angoscia del

caos ed alla sfiducia nel sisìema sanitario moderno.


È inrece più verosimile che
proprio dai suoi antichi presup-
buona parte del successo dell'omeopatia dipenda
posti,chesonoinsiemerealisticinellateoriaedempiricineicontenuti.
ciò fu espresso dallo
Realismo in questo caso coincide con umiltà e concretezza;
stesso Hahnemann quando diceva, non senza una
vena di paradosso (che gli costò
medicina teorica
molto caro): "Di queste fantasticherie erudite - che si chiamano
e che ha peifino alcune cattedre - ne abbiamo
pur troppe ed è tempo di smettere con
ed invece incominciare
la medicina che inganna con chiacchiere la povera umanità
dell'organon). certamente oggi
realmente ad agire, aiutare e guarire" (nota al par. 1

non si può tali affermazioni (altrimenti non avremmo neanche dovuto


"ondiroid.r. argomentazioni qui
cimentarci a scrivere questo testo). È anche vero, però, che le
discusse e documentate sembrano sostenere quanto sia
sostanzialmente valida la
della complessità
posizione hahnemanniana, che tiene conto metodologicamente
dell'essere umano e delle sue patologie'

7.5. 1. O scillazioni lontane dall' equilibria

sono sistemi aperti'


Si è già ampiamente illustrato il fatto che gli esseri viventi
-clall,equilibrio,
lontani soggetti ad apparati di regolazione non necessariamente
rappresentabili con lineari, quindi capaci di sentire minime perturbazio-
"quuri*i proprio dal
ni, soprattutto quandoa tale sensibilità sono predisposti, eventualmente
Il paradigma biofisico 267

processo patologico. Nuove evidenze da studi sull'elettromagnetismo sostengono


la possibilità che i sistemi viventi rispondano a campi magnetici estremamente
deboli, soprattutto a certe frequenze specifiche. Nello stesio tempo, studi sulla
fisica dell'acqua suggeriscono, o quanto meno non escludono, che l,acqua stessa
possa essere deposito e veicolo di oscillazioni elettromagnetiche. La tradizione e
le nuove evidenze sperimentali derivate dalla agopuntura e tecniche correlate
dimostrano che un individuo con un disordine molecolare o funzionale presenta
uno sbilanciamento della omeostasi elettromagnetica, sbilanciamento che pare
sfruttabile a scopo diagnostico e che pare reversibile se trattato con specifica
stimolazione.
La malattia potrebbe quindi essere vista non solo come anomalia funzionale o
strutturale-molecolare come nella visione classica, ma anche (e non in contrasto)
come un disturbo di tutta una rete di comunicazioni elettromagnetiche basate su
interazioni "long-range" tra elementi (molecole, centri nervosi, organi, ecc.) che
oscillano a frequenze coerenti e specifiche e quindi capaci di risonanza. si
tratterebbe diun disturbo degli oscillatori interni e delle loro comunicazioni.Non
esistono ancora sufficienti conoscenze per dire se tali oscillatori si identificano con
alcuni centri nervosi in particolare (è tipico, ma non esclusivo dei centri nervosi la
capacità di oscillare a frequenze caratteristiche) o col comportamento collettivo di
centri nervosi e/o altri tessuti o cellule.
un disturbo della oscillazione e della comunicazione ad essa collegata può
essere riportato all'equilibrio mediante "sintonizzazione", cioè mediante il cam-
biamento dellafrequenza imposto dall'interazione con un altro oscillatore.Secon-
do questa idea, il rimedio omeopatico potrebbe agire nel malato come una
frequenza-guida esterna.
Un farmaco omeopatico dinamizzato e potentizzato potrebbe essere visto come
una piccola quantità di materia contenente elementi oscillanti in fase (coerentemen-
te), capaci di trasmettere con un processo di risonanza tali frequenze oscillatorie ai
liquidi biologici (a loro volta fatti per la maggior parte di acqua), ma anche a
strutture "metastabili" capaci a loro volta di oscillare (macromolecole, alfa-eliche,
membrane, strutture filamentose, recettori). vi sarebbe quindi una possibilità di
accoppiamento tra frequenze del farmaco ed oscillatori presenti nell'organismo
vivente perturbato dalla malattia.
segnali anche estremamente piccoli, ma dotati di informazione altamente
specifica e capace di risuonare col sistema ricevente, potrebbero agire da regolatori,
se si ammette che il sistema, o i sistemi, dis-regolati siano in uno stato di precario
equilibrio, vicino alla"bifurcazione",là dove Ia scelta se spostarsi da una parte o
dall'altra è legata a fluttuazioni minime, alla frontiera tra ordine e caos. I nuovi
concetti emergenti dagli studi sul caos ci dicono che tale "frontiera" manifesta il
fenomeno della" dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali,, (se2.5.g.2). In altri
268 Il paradigma biofisico

termini, è possibile che a questo livello minime variazioni delle condizioni del
sistema (quali quelle indotte da una risonanza oscillatoria anche molto piccola)
abbiano un ruolo determinante sulla successiva evoluzione del sistema stesso.

7.5.2- Bifurcazioni

Dove stanno le "biforcazioni", sensibili alle minime dosi e, forse, alle informa-
zioni meta-molecolari? Come si è già precedentemente illustrato (sez. 5.1 e6.2.4),
la storia e l'intima natura di un processo patologico hanno varie fasi, vari aspetti che
si integrano in sequenze nel tempo e nello spazio. Se ci si riferisce alle malattie su
base non esclusivamente genetica (e sono di gran lunga la maggior parte), quella
che di solito appare come una "malattia" secondo il criterio diagnostico tradizionale
è l'ultima fase, fatta da precise alterazioni biochimiche ed anatomiche. Prima di
questa, però, esistono almeno altre tre fasi:

a) Dalla salute all'iniziale disordine

Partendo da un ideale stato di salute, si ha un primissimo stadio in cui un iniziale


disordine, per lo più non apparente ad eccezione di sintomi molto sfumati o
variazioni di parametri molto fini, rende l'organismo più suscettibile a
perturbazioni indotte da agenti esterni. Il soggetto non è definibile come malato, ma
è più predisposto ad ammalarsi rispetto al normale, ha una tendenza ad ammalarsi.
In questo stadio si potrebbe, ad esempio, inserire chi è sottoposto a super-lavoro
(stress) o ad alimentazione non equilibrata, chi fuma, chi è esposto a basse dosi di
radiazioni non ionizzanti, o è dotato di particolari caratteri genetici statisticamente
"a rischio" (eterozigoti portatori di malattie autosomiche recessive, alcuni gruppi
HLA,razza, ecc.).
Quanto questo disordine sia "normale", nel senso di una semplice oscillazione
reversibile di uno stato di equilibrio e quanto sia "patologico", nel senso di generare
patologia in presenza di altri fattori perturbanti, è questione estrememente sottile,
sfumata, tanto che spesso le stesse situazioni, anche pesanti, sono sopportate come
normale retaggio della vita da alcuni, mentre sono considerate malattie serie da altri
(spesso definiti malati immaginari, o psicosomatici). È chiaro che a questo livello,
l'equilibrio tra normale e patologico è estremamente precario, e l'evoluzione
successiva può essere spostata da una parte o dall 'altra a seconda dello spostamento
di piccoli fattori.
Si è detto (sez. 5.8) che l'organismo può essere visto come un sistema di flusso
e che nel dominio della complessità, il variare del flusso di energia può indurre
turbolenze:
Il paradigma biofisico 269

Complessità + flusso di energia -> turbolenza

Le malattie, al loro inizio, potrebbero essere viste come turbolenze nell'equili-


brio meta-stabile che chiamiamo salute. Cambia l'ordine del sistema, non necessa-
riamente cambiano i parametri, la materia o I'energia di cui è fatto. È stato proposto
[Vithoulkas, 1980] che la malattia abbia una componente legata a squilibri della
omeostasi elettromagnetica dell'organismo, omeostasi basata sulle comunicazioni
o sulle regolazioni mediate da segnali frequenziali e vibrazionali. In questa ottica,
il farmaco omeopatico, ricco di informazione, pur povero di materia, potrebbe agire
in funzione di "attrattore caotico" verso un nuovo o preesistente pattern di ordine
vibrazionale.

b) La fase reattiva

Una seconda biforcazione si trova nella fase delle reazioni dei sistemi biologici
omeostatici. Come ampiamente documentato in precedenza, tali sistemi, soprattut-
to quello infiammatorio ed immunitario, ma anche i sistemi di detossificazione del
fegato ed il sistema emostatico, ecc., hanno una "doppia faccia", fanno guarire ma
anche provocano danno.
Quanto, in ogni singolo caso, prevalga il danno o prevalga la reintegrazione
dello stato di salute, dipende da fini variazioni nel comportamento del sistema
omeostatico stesso. In particolare, il destino della reazione dipende dalla "scelta"
che il sistema deve fare trailprezzo da pagare, in termini di tossicità e di sofferenza,
ele garanzie di riuscita dell'operazione in termini di sopravvivenza dell'organi-
smo. Ad esempio, in presenza di una lesione della superficie del vaso sanguigno,
i sistemi emostatici entrano in azione per bloccare il rischio di emorragia e per
iniziare la riparazione (coagulazione, aggregazione piastrinica, aumento del con-
nettivo e muscolatura vasale). Tuttavia, mediante gli stessi meccanismi effettori
può verificarsi un evento patologico: il sistema emostatico blocca interamente la
circolazione nel vaso sanguigno (trombosi, aterosclerosi)'
Cosa fa "pendere la bilancia" verso l'azione finalisticamente positiva rispetto a
quella non necessaria e francamente patologica? È la complessità dei molteplici
meccanismi in gioco. Una simile "scelta" infatti dipende sia dai singoli elementi in
gioco (recettori, concentrazione di mediatori, presenza di sostanze chimiche
esogene), sia dal tipo di coordinamento esistente, da un controllo "centralizzato"
che valuta le informazioni provenienti dai vari distretti e dai vari elementi in gioco,
regolando di conseguenza l'intensità delle varie risposte.
Quindi, a livello di una tale biforcazione, l'esito della reazione può dipendere
da una informazione che sia significativa sul piano del coordinamento del o dei
sistemi di reazione. Poiché un simile coordinamento è garantito, dalle reti ciberne-
270 Il paradigma biofisico

tiche quali i sistemi nervoso ed emato-ormonale, ma anche dal sistema di regola-


zione dell'agopuntura e forse da altre reti informa zionali ancora non identificabili
(scambi di frequenze tramite acqua o biopolimeri, v. Bistolfi, 19g9), ne deriva che
una informazione meta-molecolare che raggiunga e venga de-codificata da tali
sistemi potrebbe essere utile nella "scelta" ottimale della reazione al danno.

c) Adattamento?

Una terza fase del processo patologico, in cui si verifica un altro momento
"decisionale" molto critico, è quando i sistemi reattivi non riescono a venire a capo
della situazione e a ripristinare rapidamente lo stato originario. A questo punto può
instaurarsi l'adattamento, una modificazione semi-permanente che, se dauna parte
riduce la sintomatologia, può comportare varie consegnenze, tra cui: deposito di
tossine, iperplasie, spostamento delle soglie di sensibilità recettoriali e modifica-
zioni biochimiche e anatomiche che "rimandano il problema,, a tempi lunghi o
spostano le conseguenze patologiche da un organo ad un altro. A ciò si è già fatto
cenno nel capitolo sulla complessità delle malattie (sez. 5.1). L,adattamento
consente di convivere con Ia malattia, ma rappresenta, in un certo senso, una
rinuncia alla guarigione completa. Anche a questo punto l,omeopatia e l,omotos-
sicologia, come terapie volte a "risvegliare" la capacità reattiva, possono avere
un'importanza decisiva.

L'omeopatia dovrebbe agire quindi sui primi livelli ,,decisionali,, dei sistemi
riparativi e difensivi. Quando si arriva ad uno stadio in cui sono presenti grossolane
conseguenze biochimiche ed anatomiche del processo patologico, si entra in un
campo dove maggiormente pare indicato l'impiego di terapie forti, basate sulla
chirurgia, sulla terapia sostitutiva, sull'uso di farmaci in alte dosi, pur non
escludendo un possibile contributo dell'omeopatia (sempreché almeno alcuni dei
controlli omeostatici possano intervenire).
Anche riferendosi al piano diagnostico, è chiaro che quanto più la malattia sarà
considerata sul piano della alterazione biochimica ed anatomica, tanto più si
ricorrerà, logicamente, alle indagini di laboratorio ed alla diagnostica per immagi-
ni, mentre poco senso avrebbe una "diagnostica" omeopatica tesa a cogliere le fini
differenze di personalità e di sintomatologia tra un malato e l,altro. D,altra parte,
imezzidiagnostici convenzionali poco riescono a fare nell'ambito delle iniziali fini
variazioni dei complessi equilibri omeostatici, oppure, se riescono ad evidenziare
singole variazioni di parametri biochimici o funzionali, non danno criteri per
"ricostruire" il quadro d'insieme e quindi attuare una terapia completa.
Quindi, in conclusione, l'omeopatia non contrasta con l,approccio convenzio-
nale neanche in questo ordine di considerazioni: l'omeopatia .i o""upu dei livelli
Il paradigma bioftsico 271

precoci e sottili del processo patologico, la medicina convenzionale interviene sui


livelli più di tipo anatomico e biochimico. A seconda del livello di cui ci si occupa,
si usano differenti metodologie, sia di tipo diagnostico che terapeutico, che
dovrebbero poter essere integrate, nell'interesse primario del malato.

7.5.3. Approccio integrato e specificità

Nessuno oggi, neppure sul fronte allopatico, nega il fatto che quando si cura una
malattia si deve prima di tutto inquadrare la realtà di tutto il paziente. Questo
enunciato è senza dubbio accettato teoricamente da ogni tipo di approccio terapeu-
tico, convenzionale e non, ma poi nella pratica è difficile da applicare nel caso
concreto. Nonostante le buone intenzioni, il medico è costretto quindi nell'atto
diagnostico e terapeutico a scindere il processo patologico attuale dall'organismo
ospite ed a concentrare tutta la attenzione e la terapia sull'organo, sulla cellula o
sulla molecola. Anche se questo in molti casi si rivela immediatamente efficace, in
altri casi non è risolutivo e soprattutto non attua una terapia completa, perché non
riesce a influire su tutti i livelli del disequilibrio che ha portato alla malattia e ne
modula l'evoluzione. Per raggiungere questo scopo ideale, quasi utopistico,
attualmente mancano sia i mezzi "diagnostici" che quelli terapeutici.
A questo proposito è suggestiva la strada tracciata dal metodo omeopatico, per
la sua tendenza a considerare non solo i dettagli, ma anche il "nucleo centrale" della
alterazione del paziente, così come può essere percepita dal medico in base allo
studio particolareggiato della "storia" del paziente, alla analisi della tipologia
costituzionale, alla attenzione ai sintomi neurologici ed anche psicologici, alla
considerazione delle particolarità fisiologiche (gusti ed awersioni alimentari,
funzioni neurovegetative, ecc.) e della reattività agli stimoli ambientali (caldo,
freddo, variazioni meteorologiche e stagionali ecc.).
Pur con tutti i limiti legati alla difficile oggettivazione di tale approccio, è
evidente che con esso si cerca di "esplorare" anamnesticamente la situazione del
paziente a livello di sistema neuroendocrino e quindi di calibrare anche su questo
livello un intervento terapeutico. L'omeopatia e la omotossicologia considerano
l'infiammazione "sintomo" (cioè segnale, messaggio) e non "malattia", e conside-
rano questo sintomo come l'espressione di una alterazione del rapporto tra soggetto
ed ambiente elo tra i sistemi dello stesso soggetto. Alla luce di quanto detto sulla
complessità del sistema vivente, questi concetti paiono di grande attualità, anche
al di là delle stesse difficoltà dirazionalizzare e forse anche di dimostrare tutto ciò
che la omeopatia afferma.
L'omeopatia usata con farmaci ultra-diluiti rappresenta quindi un tentativo di
approccio alla regolazione bio-energetica dell'organismo umano, utilizzando una
272 Il paradigma biofisico

interfaccia fisico-biochimica dovuta alla estrema sensibilità dei sistemi biologici a


questo tipo di regolazioni. Il punto forte del metodo consiste nel fatto che si cerca
di raggiungere il massimo grado di specificità dell'intervento regolatore esogeno.
Come già precedentemerrte avanzato, le dosi efficaci sono tanto più basse quanto
più specifico è uno stimolo e quanto più sensibile è il sistema in oggetto.
Ammettendo che una informazione sia contenuta in forma meta-molecolare nel
rimedio omeopatico, tale informazione potrebbe agire in modo meta-molecolare
anche sul sistema bioenergetico in oggetto.
come si raggiunge la massima specificità dell'informazione, conoscendo
ancora così poco di tali sistemi bioenergeti ci? Larisposta è semplice: attraverso la
applicazione del principio di similitudine. Tale principio fondamentale, essendo
basatoessenzialmentesullaosservazione dieffetti(sullacomparazionedeglieffetti
del farmaco con quelli della malattia di un certo individuo), in un certo senso
prescinde dalla conoscenza del meccanismo che li provoca e quindi si applica anche
a livello meta-molecolare, una volta che di tale livello sia ammessa l'esistenza. Il
ragionamento omeopatico si basa più sulla analogia che sulla induzione. L'uso
della analogia (l'individuazione della similitudine) si giustifica sul piano teorico in
base al fatto che i vari elementi della realtà sono tra loro collegati, perché derivati
tutti dallo stesso processo evolutivo: nella natura si riscontra il risultato di un
crescere di informazioni che si sono sempre tenute "in contatto" (v. frattali).
L'animale ha sempre vissuto in contatto con il vegetale e con il minerale: è per
questo che le molecole contenute in un fiore possono essere "simili" a molecole
contenute nell'animale e quindi può esservi un trasferimento di informazione.
L'informazione si trasferisce solo tra simili, o tra opposti, comunque tra
elementi che possono interagire per affinità di struttura o di frequenze vibrazionali
(armonia, risonanza, coerenza). L'analogia consiste nel cogliere questo principio
di fondo. La realtà è cresciuta come un frattale, è come una olografia, nel complesso
è contenuto il semplice e nel semplice c'è il programma del complesso.
Il "segreto" dell'omeopatia sta nella meticolosissima raccolta di informazioni,
sia nella fase del proving che nella fase della anamnesi omeopatica. Tali informa-
zioni possono provenire dai livelli più reconditi del sistema regolatore omeostatico
oggetto di indagine, ma sono comunque informazioni. Esse vengonoutilizzate,nel
metodo omeopatico, direttamente per l'intervento terapeutico, confidando nel fatto
che l'organismo sappia cogliere, decodificare eutilizzaretale input informazionale
a scopo di reintegrazione dell' equilibrio perduto.
Il passaggio dalla raccolta di informazioni alla terapia, prescindendo dalla
diagnosi in senso classico, potrebbe sembrare un salto nel buio, una rinuncia alla
tazionalizzazione del quadro fisiopatologico. In realtà, il salto nel buio è tale solo
per chi applica l'omeopatia come una alternativa al ragionamento clinico rigoroso
e scientifico, alternativa comprensibile un tempo quando tale ragionamento era
Il paradigma biofisico 273

praticamente impossibile. Oggi non è più così: il ragionamento omeopatico può e


deve integrarsi col ragionamento sui meccanismi conosciuti delle malattie, perché,
come si è visto, la similitudine può essere razionalizzata e compresa anche a livelli
più precisi e profondi di quelli relativi ai sintomi.
Non vi è alcun valido motivo di escludere dalla raccolta di sintomi anche le
indagini laboratoristiche e la diagnostica per immagini, anzi, ci sono tutti i motivi
per usarle, dato che ogni aumento di informazione non fa altro che migliorare
"l'immagine" della malattia e così facilitare le decisioni terapeutiche. Piuttosto, il
problema è di ordine pratico: si dovrebbe intraprendere una revisione dei quadri
patogenetici classici dei vari rimedi omeopatici, integrandoli con le conoscenze più
moderne. Ciò comportalaripetizione di grandi sperimentazioni su sani e di trials
clinici
su gruppi di malati o la messa in cantiere di sperimentazioni nuove, fatte con
composti di nuova individuazione.
Un altro "segreto" dell'omeopatia è che essa si rivolge a tutto l'essere umano,
prendendo in considerazione massima i sintomi di tipo psicologico e quelli
peculiari di ogni individuo (individualizzazione). Facendo così, essa raggiunge un
alto livello di specificità, perché è ormai noto a tutti che la risposta ai farmaci può
variare in base alle caratteristiche dell'individuo stesso.
Se a tali considerazioni si aggiunge il fatto che si sta assistendo ad una
convergenza dell'approccio omeopatico con quello agopunturistico (soprattutto
per quanto riguarda la EAV, ma anche per altri aspetti non marginali, quali i
bioritmi, l'analisi dei sintomi, l'eziologia, le diete, ecc.), si comprende come la
capacità di cogliere l'informazione si sta arricchendo anche sul piano tecnologico.
Se fosse vero, come i lavori sopra presentati sembrano suggerire, che si può
evidenziare, mediante la misura delle correnti che passano lungo i meridiani, una
"reattività" di un certo paziente con un certo composto, si avrebbe in mano un'altra
chiave per penetrare nel santuario dell'informazione biologica e patologica.
Cogliere informazioni, come ad esempio sapere se un certo paziente è allergico o
intollerante ad un certo composto, o sapere se un certo farmaco lo riequilibra o lo
dis-equilibra sul piano elettrico, sarebbe un progresso assolutamente innegabile sul
piano diagnostico e terapeutico.
Una interpretazione dell'omeopatia come quella qui presentata concilia la
visione "integrata", dove si considera la complessità dell'essere umano in tutte le
sue componenti, con quella "riduzionistica", dove si considera il singolo organo,
cellula, molecola. Infatti non vi può essere contrasto tra il tutto ed il frammento che
questo tutto va a costituire. Su queste basi, paiono alquanto anacronistiche le
controversie tra omeopatia ed allopatia, come se solo quest'ultima fosse "scienti-
fica". Come si è visto in altre sezioni del testo (6.2.6,6.2.7), omeopatia e allopatia
hanno diverse e specifiche indicazioni, pur potendosi, in molti casi, utilmente
associare.
8. PROSPETTIVE

Esperimenti, risultati, teorie e speculazioni riportati in questo libro non si


prestano a facili conclusioni. D'altra parte, nella scienza bisogna essere molto cauti
a trarre delle conclusioni. L'obiettivo degli autori potrebbe dirsi raggiunto se
quanto qui scritto avesse portato alla luce una serie di nuove informazioni ed avesse
sollevato interesse sull' argomento.
Lapratica dell'omeopatiavadiffondendosi e lentamente, maprogressivamente,
va ampliandosi la base teorica e sperimentale su cui tale pratica non può non fare
fondamento. Allo stato attuale delle conoscenze, non è più possibile liquidare il
problema omeopatia come se si trattasse di un fossile - ingombrante - della
medicina. Una gran mole di evidenze sperimentali, problematiche e discutibili
come lo sono quelle di tutti i nuovi campi di ricerca, sta mostrando con crescente
consistenza che gli antichi principi dell'omeopatia convergono con le nuove
acquisizioni della immunologia, della biologia, della fisica.
La scienza moderna sta sempre più orientandosi ad affrontare i temi della
complessità della natura e la medicina non può eludere tale evoluzione. Analisi
molecolare e integrazione dei sistemi devono andare di pari passo per non rischiare
di cadere in un riduzionismo fine a se stesso. L'omeopatia, forte di una secolare
tradizione empirica e, nello stesso tempo, campo di ricerca d'avanguardia, avrà
certamente un futuro in questo contesto. Infatti questo metodo terapettico pare
adeguato a confrontarsi con la complessità delle malattie, essendo nato ed
essendosi sviluppato proprio allo scopo di cercare mezzi terapeutici in virtuale
assenza di cefiezze sull"'intima natura" delle malattie.
Pochi principi teorici di riferimento, molto realismo e molta esperienza(pur con
tutti i limiti metodologici che si sono qui evidenziati), hanno consentito all'ome-
opatia di soprawivere ai margini della medicina scientifica e di presentarsi di
nuovo oggi come valido interlocutore.
Da quanto detto emerge, comunque, una considerazione improntata alla massi-
ma prudenza. L'omeopatia classica è semplice nei suoi principi tradizionali, ma
difficile nelle sue applicazioni, soprattutto per la gran varietà - e complessità - delle
malattie e degli esseri umani. Sostenere che le questioni sollevate dall'omeopatia
Prospettive 275

siano chiarite, sarebbe una conclusione non obiettiva e, soprattutto, pericolosa se


applicata indiscriminatamente sul piano clinico-pratico. Un conto sono Ie teorie, Ie
ipotesi, i risultati su modelli sperimentali, un altro il loro trasferimento all'uomo.
Laapplicazione pratica dell'omeopatia, così come viene spesso attuata a livello
di medicina di massa, non ha molto a che fare con quanto in questo testo si è
presentato e discusso. Vi è la tendenza a trasformare l'omeopatia in una specie di
rimedio universale per tutti i casi in cui la medicina convenzionale fallisce, oppure
a considerare l'omeopatia con "simpatia" in quanto vi si recupera il rapporto
medico-paziente. La prima tendenza è fuorviante ed errata, la seconda è limitativa,
ma entrambe hanno valide ragioni - commerciali e socio-culturali - per essere
favorite e perseguite. Se l'omeopatia restasse confinata tra queste due posizioni,
tradirebbe la sua origine ed il suo scopo.
Le medicine cosiddette "alternative" contengono una notevole dose di incertez-
ze metodologiche e per questo possono essere utilizzate, con facilità, al di fuori di
qualsiasi logica scientifica. Nel gran mare della attuale ignoranza sulle cause e la
terapia di molte malattie, è facile che trovino alimento approcci empirici ed
intuitivi, che nessuno può facilmente dimostrare né validi, né inutili o dannosi.
Quanto emerso da questo lavoro suggerisce che l'omeopatia può essere affrontata
su basi razionali, oggettive e sperimentali o, almeno, che si possa delimitare ciò che
di tale metodo clinico-terapeutico appartiene alla scienza da ciò che appartiene alla
fantascienza.
La ricerca di una spiegazione scientifica dell'omeopatia sta dimostrando con
sufficiente grado di definizione e di attendibilità la validità sost anziale del principio
di similitudine, mentre altri aspetti relativi alle alte diluizioni possono solo essere
considerati argomenti di discussione, riflessione e, forse, ipotesi di lavoro. Come
di solito accade nella ricerca scientifica, il chiarimento di alcuni quesiti ne ha
sollevato altri di nuovi, precedentemente neppure pensabili.
L'affronto del problema omeopatia da molti punti di vista ha messo in luce come
sia possibile, oggi più che un tempo, ulilizzare le conoscenze e le metodologie della
medicina convenzionale e della ricerca biomedica moderna anche per investigare
questa discussa disciplina. La ricerca scientifica può avere, in questo campo, un
ruolo fondamentale per discriminarc cefiezze da ipotesi, oggettivare e misurare
quanto è possibile, razionalizzare i concetti, stabilire i limiti di applicabilità,
affinare i materiali e le metodologie, controllare la qualità delle sperimentazioni e
dei prodotti.
I principali filoni di ricerca da cui ci si aspettano futuri sviluppi delle teorie
scientifiche qui delineate sono i seguenti:

a) Ricerche sulle proprietà fisico-chimiche dell'acqua e di soluzioni idroalcooli-


che: In particolare sarebbe importante consolidare le evidenze NMR (e altre
276 Prospettive

metodiche fisiche spettroscopiche come u.v., infrarosso, Raman-laser) al fine


di poter disporre di metodi per evidenziare il possibile cambiamento che si
produce nel solvente mediante diluizione e dinamizzazione. Ciò consentirebbe
innanzitutto di disporre di metodi di "analisi" per oggettivare il trasferimento di
informazione e studiarne stabilità, meccanismi e variazioni in modo scientifico.
b) Messa a punto di modelli sperimentali su cellule, organi isolati ed animali per
studiare in modo rigoroso, riproducibile e standardizzabile i possibili effetti
biologici delle diluizioni omeopatiche (alle varie diluizioni). La standardizza-
zione delle metodiche di preparazione dei reattivi e la ripetizione dei risultati,
finora ottenuti, in laboratori diversi dovrebbe essere uno dei primi obiettivi da
raggiungere nel prossimo futuro.
c) Studi farmacologici e biochimici sui principi attivi trtilizzati in omeopatia, al
fine di individuarne i possibili bersagli nell'organismo del malato, a livello
molecolare, cellulare o ad altro livello. A prescindere dalle alte diluizioni,
sarebbe già importante effettuare il percorso che va dall'individuazione empi-
rica dei rimedi (così come dalla tradizione omeopatica) alla definizione del
meccanismo d'azione su base fisiopatologica e farmacologica.
d) sperimentazione clinica controllata, aspetto decisivo anche in omeopatia.
Adeguando le metodologie alle particolari esigenze del metodo omeopatico,
non è impossibile arrivare a conclusioni attendibili sull'efficacia di un rimedio
o di una serie di rimedi nella cura di una malattia o di una serie di malattie. Inutile
dire che da ricerche come queste non ci si deve aspettare una "conferma" o una
"condanna" dell'omeopatia in quanto tale, ma un'ampia serie di risultati con
vario grado di attendibilità e con esiti positivi e negativi, come in tutte le branche
della medicina moderna. Da tali risultati, conseguiti pazientemente e metodica-
mente da vari gruppi di ricerca, ci si può aspettare una migliore definizione dei
campi di applicazione dell'omeopatia, una più razionale scelta dei rimedi e dei
dosaggi, una più chiara conoscenza delle interferenze o dei sinergisrni tra
metodo omeopatico e medicina convenzionale.
e) Sperimentazioneomeopaticaclassica.L'edificiodell'omeopatiasecondoisuoi
canoni classici non può ritenersi mai completato. Nuove sostanze, naturali e di
sintesi, possono essere continuamente introdotte nella farmacopea omeopatica,
dopo essere state provate su sani (proving) e su malati (conferma clinica). Le
Materie Mediche e i repertori possono e debbono venir aggiornati, emendati da
eventuali errori, resi più agili e facilmente utilizzabili. Data la vastità del
materiale accumulato nel tempo dalla tradizione omeopatica, non v'è dubbio
che in questo lavoro di implementazione e di revisione un contributo fondamen-
tale verrà dalla diffusione di sistemi informatici concordati o comunque
collegati a livello internazionale.
Prospeltive 277

Come si vede, i campi aperti alla ricerca sono molteplici e vastissimi. Bisogne-
rebbe che le autorità competenti si rendessero conto di ciò e promuovessero
adeguati progetti di ricerca su questi temi, con maggiore convinzione ed impegno
di quanto sia stato fatto finora. Se la ricerca in questo campo è opportuna, di
conseguenza è necessario ed urgente dedicarvi adeguate risorse.
Sarebbe anche auspicabile che gli ambienti accademici, pur senza rinunciare a
una giusta dose di prudenza e gradualità negli interventi, abbandonassero quello
scetticismo, che a volte si volge in ostilità, che ha finora caratterizzato il loro
atteggiamento nei confronti dell'omeopatia. Se questa materia venisse in qualche
modo inserita tra gli insegnamenti universitari, si potrebbero raggiungere due
importanti obbiettivi: innanzitutto i nuovi medici verrebbero ad essere maggior-
mente informati su possibili indicazioni e controindicazioni delle cure omeopati-
che, che spesso i pazienti si auto-somministrano; è innegabile che conoscere
l'omeopatia sarebbe utile anche ai medici che non ritengono di utilizzarla nel loro
specifico settore. Inoltre, i giovani ricercatori sarebbero incentivati ad intraprende-
re ricerche in questo campo, che oggi invece potrebbero sembrare inutili o
addirittura controproducenti ai fini della carriera universitaria. Uno dei meccanismi
che favoriscono la ricerca è, infatti, la valutazione dei titoli scientifici ai fini
concorsuali; se l'omeopatia nell'università "non esiste", ben difficilmente si
svilupperà la ricerca in questo ambito a un livello almeno pari a quello raggiunto
oggi dalle altre discipline.
Le implicazioni di una ricerca in omeopatia sono molto ampie. Da un punto di
vista generale, la stessa comprensione della realtà biologica e fisiologica ne può
venire grandemente ampliata. Il fenomeno degli effetti di microdosi preparate
secondo le metodologie omeopatiche potrebbe avere applicazioni anche in botani-
ca, veterinaria e negli studi sugli ecosistemi. In medicina, l'uso specifico e
razionalizzato di piccole dosi (o di alte diluizioni) di specifiche sostanze per
stimolare o riequilibrare i sistemi endogeni di difesa e di riparazione dell'organi-
smo può complementare, aumentare e anche in taluni casi sostituire l'approccio
tecnologico attuale. Pare sempre più necessario che i problemi posti dalle moderne
patologie ricevano risposte di alto livello tecnologico e scientifico, ma anche
risposte basate su una nuova coscienza del complesso rapporto tra I'uomo e
l'ambiente e di un razionale uso delle sue risorse.
Una teoria omeopatica che volesse diventare anche scientifica in senso moder-
no, pur senza rinunciare ai suoi principi, dovrebbe incorporare nel suo corpo
dottrinale le problematiche contenute nelle nuove frontiere che in questo testo si è
cercato di presentare e discutere. Data la molteplicità dei fattori implicati in un
simile processo di aggiornamento - svolgimento delle ricerche e loro risultati,
condizionamenti socio-economici, evoluzione dei paradigmi scientifici - non è
facile prevedere con quale rapidità e in che misura esso potrà verificarsi. Pare
278 Prospettive

comunque chiaro che da un maggiore dialogo tra omeopatia e scienza biomedica


moderna trarrebbe vantaggio non una parte o l'altra, ma la medicina stessa, il cui
unico e vero scopo è, ed è sempre stato, "di rendere sani i malati ossia, come si dice,
di guarirli" (Organon, par. 1).
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t.

INDICE ANALITICO

(In grassetto sono'le pagine dove viene svolta o iniziata una trattazione più approfondita)

Acidum citricum, 77 ,216 ATP, 1 14


Acidum succinicum, '77, 56 ATPasi, 141,247,251
Aconitum,22, 197 Attivazione (dell'acqua), 236,238,241
Acqua,23, 72,80,1'16,228,240,262,267 Attrattori, 164,167,261,269
55,214
Actea racemosa, Autoemoterapia, 219
190,270
Adattamento,92,152, Autoimmunità, 103, 108, 146,221
Aethusa qtnapium,213 Autosomiglianza, 167,168, 180, 185
Affinità(recettoriale),149,153,190 Avogadro(numerodi),33,65,79
Agaricus muscarius, 67
Aggravamento(omeopatico),21,48,194 Basofili,T0-72,209,225,263
Aggregazione (dei recettori), 157,247,249 $e\\adonna,22,54,76,197,211,218
Aggregazione per diffusione , 168, 170 Bellis perennis,214
Agopuntura, 42,252,270 Biforcazione, 164-166,183,261,268
.108,
A:-' 225 Biologia metamolecolare,80,86,246,27A,272
Algoritmo, 167 Biologiamolecolare,44,74,83,107,737,237
Aflergia, 77,75,223,245,258 Ùil,140,141
Allopatia, 27 , 147 , 204,273 Bryonia, 52, 56, 76
Amanita, 63
Ambra grisea,2l.4 Cadmio, 63
AMP ciclico, 115, 122, 125,217,250 Calcolatore (computer), 167,245
Analgesici, 157,204 Campo magnetico,239,248,249
Analogia,184, I93, 195,265,272 Cancro,59, lll,119,206,243
Anamirta cocculus,214 Cannabis indica, 67
Antagonisti, lA0, D9, 136,200,217 Caos, 162, 174,181.261
Antibiotici, 42,2O4,205,218 Carcinosinum,38
Anticorpi, 37,71, 151,220,258 Cassia angustifolia, 216
Antidepressivi, 144 Castoreum,214
Antigene, 146,151,155,220 Catalessi, 67
Antiinfiammatori (farmaci), 97,100,106, 109, Caulophyllum, 55, 68
204 Cavia,64,69
Antiistaminici, 53,203,205 Ceanothus,6A
Apis, 64, 71, 76 Celle di convezione, 177, 178, 180, 262
Archetipo, 184 Celluia, 97,1"12, 134, 140,246
Arnica,24,53,55,60,21.4 Cephaelis ipecacuanha (v. Ipeca)
Arsenico,62,63,209 Cervello, 171
Arsenicum album,Z2 Ch'i,252
Artemisia cina,2l4 Chinoni, 41,77
Artemisia vulgaris, 273 Chirurgia, 27,33, 129, 193,270
Artrite, 52,'.105,146, 147 Cibernerica,95, 116
Aspirina, 15,69,7A,148, 198 Ciclo di Krebs,41, 116
Aterosclerosi, 41 , 90,96,206 Cicuta virosa, 213
Indice analitico 303

Cimetidina, 7 4, 2A1, 203 Effetto inverso.2l9


Cinnabaris, 58 Elfetto placebo, 13, 16,46, 48
Citochine. 4 1, 96, l l0, 129. 203 Elesoidina, 66
Clatrati, 239 Elettroagopuntur a. 36, 252
Coagulazione, 104, 142, 199, 269 Emetina,215,218
Coerenza, 1 79, 234, 240, 263, 267 Emicrania, 54, 148
Coffea,216 Empirismo, 22, 46, 207, 219, 27 4
Colloidi, 236 Endorfine, 103, 106, 218, 253
Colony-stimulating factors, 104, 1.10, 120 Energia, 88, I 39, 11 4, 17 6, 184, 200, 231, 246,
Complessità, 86, 134, 173, 179, 180, 194 26t
Comunicazion e, lO2, 1 42, 182, 251, 262 Entropia, 94, 1 41, 11 5, 199, 234
Conduttanza, 256, 259 Epatite, 63
Coniwn maculatum,2l3 Epidemie, 32,42,48
Convulsioni, 211,213 Equilibrio, 28, 88, 1 00, 1 15, 123, 131, l7 4, 201,
Crotalus horridus, 60 266
Cristalli, I78 Eritema,2l,64
Crocus sativus,2l4 Edema, essudato, 55, 64, 96, 126, 223
Cromosomi, 247,251 e rfo I iatum, 22, 64
E up ato r ium p
.l
Croton tiglium, 123 Evotruzione, 170, 174, 181, 95
Cuore, 69, 1,15
Cuprum, 68 Fasi (delle malatiie), 40, 41,95,127, 129, 199
Curve dose-risposta, 71, 144, 149, 263 Fasi (fisiche), 182, 234, 236, 237, 244
Cyclamen, 54 Fattori di crescira, 109, 1 12, I 13, 120, 121, 124,
172
Denti, -54 Febbre, 22, 24, 104, 197, 213
Dermatofagoide, 74 Feed-back, 92, 109,134,157, I66, 181
Desensibilizzazione, 98, l0l, 152, 191, 222 F errum p lrcsphor icum, 7 6
Determinismo, 163, 166, 170, 181 Fisica, 1 62, 173, 179, 228, 266
Diabete, 42, 105 Flogosi (v. Infiammazione)
Diagnosi, 49, 85, 254, 260, 270 Fluttuazioni. 1 63, 173, 183, 199, 247
Diarrea. 22,215,223 Forza virale, 2 l. 26. 38. 59, 95, I 93
Diavoletto di Maxwell, 139 Fosforilazione, 99, 1 15, 122,'157
Digirale, 145 Fosforo, 63,77,209
Diluizione, 23, 81, 1 86, 226,234,261,265 Frarrale, 1 62, 167, 185, 261, 272
Dinamizz-azione, 22, 30, 240, 260, 27 6 Frequenza, 124, 143, 240, 244, 250, 25 1
Disordine, 89, 170, 189, 199, 261
Distorsione (articolare). 55 Galphimia glauca,54
DNA, 1 16, r41, 143,251 Gambogia,214
Dolore,54,147 Garcinia hanburyi (v. Gambogia)
Doppio cieco, 45, 49, 68 Gelsemium, 22, 54, 55,64,67
Dosi, 80, 99, 118, 143, 149, 198, 226 Genetica, 89, 118, 132,162
Dose-risposta, 114, 119 Genoma, 11'1, 140
Dorvn-regulation, 99, 158 Ginseng, 67
Drosera, 58 Girini, 68
G-proteine, 1 1 5, 1 2 l, 145, 24'l ,250
EAV (v. Elettroagopuntura) Granulociti, 75, 96, 101, 151
Echirrucea, 68,214 Graphites, 67
Efletti non termici, 246 Crindelia,2l3
Effetto farfalla, I81
Indice analitico

Hepar suffur,'76 Luce, 1 42, 197, 236, 244, 250, 253


l{yosciamus, 211,212 Luffa operculata, 58
I[ypericunr, 54
Macrofagi, 64,76,96, 119, 147
Idiotipo, 146, 220, 221 Malattia (generalità), 20, 39, 86
Idrogeno, 229,240,249 Malattie cardiovascolari, 51, 155
IgE, 73, 74,223,258 Malattie gastrointestinali, 5.l
IgG, 65, 66 Malattie reumatiche, 51, 52
IgM,65 M a gnesium phosphor icum, 7 7
Ignaria, 54,60,214 M anganum pho spltoricum, 7 7
Immunologia, 38, 172, 219, 225, 27 4 Mastcellule, 66, 73, 96, 223
Immunosoppressione, 108, 109, 130, 146 Materia Medica, 21, 24, 36, 47 , 143, 210. 211 .
Immunostimolanti, 4l, 64, 108, 129, 147, 203 27',|
Indeterminazione, 163 M alr icar ia chamomilla, 213
Indolacetico (acido), 70 Melittina, 71,218
Induzione (di attività), 63,89, 1.37,203,222 Membrana cell ulare, 7 1, 7 6, 1 13, 136, 156. 246.
Infezioni, 5 l, 56, 68, 98, 147, 205, 260 217
Infiammazione, 41, 89, 91, 126, 133,147,271 Memoria, 39, 73, 86, 134, 160, 179, 183, 261
lnf1rcn2a,22,56 Memoria dell' acqua, 7 2, 86, 186, 228, 239, 245
Informazione, 80, 85, I 19, 132, 137 , 139, 156, Mercurio, 64,75,238
170, 179, 183, l9s, 277, 241, 253, 260 Mercurius corrosivus, 64
Ingegneria genetica, 110, 1'13, 122 M er curitts cya natus, 60
Insieme di Mandelbrot, 169, 264 Metatora,27,72
Insonnia, 28, 216, 217 ,218 Metodo omeopatico, 50, 7 6, 1 43, 207, 27 l, 27 4
Interazione, 103, 128, 141 , 172, 236 Metodo scientifico o sperimentale, 18, 84, 226,
Interferone, 57, 64, 110, 129, 187, 203 238
Integrazione, 1 8, 108, 137 , 138, 274 Modello, 62, 92, 180, 194, 233, 239
Interleuchine, 96, 104, 106, 1 30, 187 , 224 Moschus moschiferus, 21 4
In vitro (studi), 70 Mustard gas, 52
Iodum,218 Mutazione, 1 18, 1 19, 207
Ipeca, 214,215,218
Iperestesia, 211 , 213, 216 Natrum muriaticum, 54, 60, 67
Ipertiroidismo, 105, 145 Network idiotipico, 220
Ipotalamo, 40, 67 Neurone, 67 , 137 , 17 1, 217
Irreversibilità, 183, 192 Nitroglicerina, 15, 155, 210
Isopatia, 34, 53, 209 NMR (risonanza magnetica nucleare), 85,241,
Isoproterenolo, 66 275
Istamina, 66, 7 l, 7 4. 96, 223 Nosodi,35,37,66,133
Nucleo cellulare, 116, 12'l
Kali bichromicum, 52 Nux vomica,214,218

Lachcsis,35, 54, 56, 68 Oen an I lrc crocata, 213, 21 4


Laser, 235, 239,253 Olografia,272
Legame idrogeno, 1 78, 229, 233, 240, 250, 261 Omeostasi, 134, 186, 197, 261, 266
Leucociti, 76, 94, 98, 104, 1 1 8, 1 54, 1 90 Omotossicologia, 38, 95, 133,271
Libertà, 173, 199,261 Omotossine,39, 133
Linfociti, 75, 96. 108, 154, 203, 220, 222, 251 Oncogeni, 117 , 130, 207
Linguaggio, 82, 89, 94, 138, I4I, 253 Onde elettromagnetiche, 142, 238, 243, 245.
Livello (d'azione), 98, 107, 127,137,202 251
Indice analitico 305

Oppioidi, 28, 101, 155,201,217 Raphanus satit,us, 55, 56


Opium, 55, 56,218 Ratti, 62, 63, 64. 66, 67, 221
Ordine, 86, 139, 167,179,199,262 Realismo, 195,266,274
Organismo, 88, 92, 1 03, 187 , 195, 243 Recettori, 98, 1 I3, , 120, 136, 148,155,162,
Or ganizzazione, 1 7 6, I 7 8 187, 191,201,247,249
Organo,135,137 Regressione, 129, 133, 194
Organon (opera di Hahnemann), 24,193,204, Repertorizzazione, 21,'l 43,'195
228,278 Reti, 94, 1 00, 1 1 6, 137, 17 1, 182, 194,220,239,
Ormoni, 65, 103, I i3, i45 269
Oro colloidale, 236, 238, 239 Reumatismo (v. Malattie reumatiche)
Orologi chimici o biologici, 142, 179 Ricerca scientifica, 18, 31, 74, 133, 254, 264,
Oscillazioni, 134, 142, 167, 178,221,234, 266 275
Oscillococcinum, 57 Riduzionismo, 18, 46, 89, 131, 172, 273, 274
Ossido d'azoto, 15, 155 Ripetibilità, riproducibilità , 56, 62, 72,78, 81,
Ossigeno, 96, 97, 122, 1 43, 204, 229 180.207, 257.261,276
Risonanza, 139, 240, 249, 259, 267, 27 2
Paradigmi, 62, 81, 173, 186, 226, 277 Risonanza magnetica nucleare (v. NMR)
Paradossi, 58, 64, 69, 74, 107, 144, 171,, 201., Rheum officinalis,276
266 Rhus toxicodendron, 52, 53
Perturbazione, 27, 90, 167, 181, I 88, 245 RNA, 63, 114,116
Phosphorus, 56,63,77 Rumex crispus,216
Phytolacca, 75,218 Ruta graveolens, 67
Piastrine, 69,70,90
Picric acid, 60 Sabina, 68
Piombo,62 Sanguinamento, emorragia, 69, 21 4, 269
Placebo (v. Effetto p.) Scientificità (dell'omeopatia), 1 5, 38, 207, 21,0
Pollini, pollinosi, 51. 53, 54, 258 Scienza (temi e metodi), 15, 81, E2, 163,179,
Pompe ioniche , 70, 734, 157 , 232,250,251 226,227,274
P oLentizzazione (v. Di nam izzazione) Sclerosi, fibrosi, 63, 96, 146, 206
Priming, 95, 99, 10l, 136, 152, 158, 187, 190 Sensibilità, 56, 80, 99, 147 , 152,1 58, 1 90, 1 99,
Principio di similitudine (v. Simili) 215,249
Processo patologico, 90, 192, 207 ,268, 271 Sepia, 68,214
Progressione, 41, 119, 126 Sequenza (genetica), 89, 108, 71,6,120,156
Progresso (della medicina), 42,84, 117,195 Serotonina, 125, 148, 216
Proliferazione cellulare, 60,70,75, 104, I 13, Silicea, 54,76
126, 118,222,248 Simili, Similitudine (principio), 20, 27, 63, 79,
Promoventi, 119, 123, 129, 148 147 , 186, 207 ,272
Protein chinasi, 115, 121, 157, 250 Sinapsi, 88, 137, 217, 218
Proteine, 87, 100, 1 13, 122, 1 57, 220, 233, 249 Sinergismo, 59, 100, 110, 126, 160, 203, 276
Proto-oncogeni, 11.7, 123 Sintomi, 20, 92, 143, 190, 195, 265, 271
Protoni, 1 43, 229, 237, 240, 241, 263 Sistema aperto, 88, 174,778,266
Provings, 21, 29, 47, 68, 206, 209, 272 Sistema della grande difesa, 40
Psiche, 2i,40,51, 83, 105, 128, 141,266,273 Sistema endocrino, 83, 137, 145
Pulsatilla, 55,68 Sistema immun ita'jo, 37, 39, 41, 102, 105, 146,
Pyrogenium, 68,73 151,171,181,220,269
Sistema neuroendocrin o, 105, 109, 27 1
Radicali liberi,76,97, 100, 109, 118,242 Sistema nervoso, 105, 128, 137,144,171,186,
Radiazioni, radioattività, 64, 67, 1 18, 1 48, 200, 21't,216,253
246,253 Sistemi biologici omeostatici (v. omeostasi)
306 Indice analitico

Solenoide, 246 Tossicologia, 62, 63, 209, 21,1,


Sostanza P, 106, 147,223 Tossine, 96, 101, 1,29,196
Spasmi, 68, 1 55, 212,213,214,218 Trasduzione, 98, 1 i 6, 125, 136, 145, 152, 155,
Specificità, 62, 7 1, 190, 195,'196, 239, 259, 27 | 249
Staphylococcinum, 7 6 Traumeel, 55
Storia della medicina, 18,31, 35, 83,210 Trials clinici, 14,49
Storia della omeopatia, 24, 31, 34, 42 Tubercolinum,3S
Stramonium,2ll Tularemia, 66
Stress, 40, 105, 128, 205, 268 Tumori, 41,44, 60,1 10, 11 l, 206,243
Strichnos ignatii, 214, 218 Tumor Necrosis Factor, 104, 110, 130
Sulphur, 54,77,257 Turbolenza, 163, 235, 269
Superradianza, 233
Università, 32,43,277
Temperatura (corporea), 56, 57, 141., 198 Uomo, 27, 36, 70, 79, 89, i05, 131, 149, 214,
Temperatura (parametro fisico), 73, 178, 181, 275
229,231,234
Terreno, 42, 90, 125, 133, 205 Vaccinazione, 39, 42, 146
Tessuto connettivo, 40, 95, 96, 128 Valeriana officinalis, 214
Thuja,60 Veterinaria, 35, 48, 68,277
Timulina, 65 Vicariazione regressiva, 1 33
Tintura Madre, 23, 7 8, 213, 264 Vincoli, 174,178
Tiroide, 1,04, 113, 1'l5,121,156, 195,2'|'8 Yirus,22, 37 , 57 , 11.7 , 120, 1.26, 162, 190

Tiroxina, 68, 145,259 Viscum album, 60, 61,, 733


Tolleranza (immunitaria), 1,36, 151, 154, 199, yita, 27, 88, 121, 1,70, 197
203,224 Vitamine, 33, 41, 130, 197
Topi,64,68,75 Vomito, 215,217,21,8
Toroidi, 246
Tosse, 58, 215 Zinco, Zincum, 60,66
306 Indice analitico

Solenoide, 246 Tossicologia, 62, 63, 209, 211


Sostanza P, 106, 147, 223 Tossine, 96, 101, 129,196
Spasmi, 68, 155, 212, 213, 214, 218 Trasduzione, 98, 1 1 6, 125, 136, 145, 152, 155,
Specificità, 62, 7 l, 190, 195, 196, 239, 259, 27 | 249
Staphylococcinum, 76 Traumeel, 55
Storia della medicina, 18,31, 35, 83,210 Trials clinici, 14,49
Storia della omeopatia, 24,31,34, 42 Tubercolinum,3S
Stramonium,21.1 Tularemia, 66
Stress,40, 105, 128, 205,268 Tumori, 41, 44, 60,1 10, 111, 206,243
S tr ichnos ig natii, 27 4, 21.8 Tumor Necrosis Factor, 104, 1 1 0, 130
Sulphur, 54,77,257 Turbofenza, 763, 235, 269
Superradianza, 233
Università, 32, 43,277
Temperatura (corporea), 56, 57, 141, 198 Uomo, 27, 36, 70, 79, 89, 105, L31, 149, 214,
Temperatura (parametro fisico), 73, 178, 181, 275
229,231,234
Terreno, 42, 90, 125, 133, 205 Vaccinazione, 39, 42, 146
Tessuto connettivo, 40, 95, 96, 128 Valeriana officinalis, 214
Thuja,60 Veterinaria, 35, 48, 68, 277
Timulina, 65 Vicariazione regressiva, 133
Tintura Madre, 23, 7 8, 213, 264 Vincoli, 174, 178
Tiroide, 1.04, 113, 1 1 5, 124, 156, 195, 218 Yirus,22, 37 , 57 , 117 , 120, 126, 162, ].90
Tiroxina, 68, 1.45,259 Viscum album,60, 61, 133
Tolleranza (immunitaria), 136, 151, 154, I99, Yita, 27 , 88, 1,21, 170, 797
203,224 Vitamine, 33, 41, 130, 197
Top|64,68,75 Vomiro,2'15,217,218
Toroidi, 246
Tosse,58,215 Zinco, Zincum, 60,66

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