Fondamenti Omeo
Fondamenti Omeo
Fondamenti Omeo
Andrea Signorini
FONDAMEI\TI TEORICI
E SPERIMENTALI
DELLA
MEDICII\A OMEOPATICA
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@ 7992, Nuova Ipsa Editore srl, Via G. Crispi, 50, 90145 Palermo - Tel. 091/6819025
PREFAZIONE
13 1. INTRODUZIONE
za 2. PRINCIPI FONDAMENTALI
E BREVE STORIA DELL'OMEOPATIA
3. L'OMEOPATIA È ETF.ICACBT
46 3.1. Evidenzeempiriche
49 3.2. Ricerca clinica
62 4. RICERCHE SU ANIMALI E DI LABORATORIO
274 8. PROSPETTIVE
279 BIBLIOGRAFIA
INDICE ANALITICO
Esaminate ogni cosa,
tenete ciò che vale
fenomeno, soprattutto per il fatto che spesso vengono espresse senza un approfon-
dito esame della letteratura disponibile al riguardo. Il fatto è che la letteratura del
settore è difficilmente reperibile nelle nostre biblioteche, la materia non è insegnata
nella facoltà di medicina e, inoltre, le non numerose e spesso imprecise notizie che
filtrano, soprattutto ad opera delle case farmaceutiche, tendono a perdersi nella
pletora di dati, notizie e messaggi da cui oggi sia medici che ricercatori in campo
biologico e farmaceutico sono letteralmente sommersi. Laragioneprincipale di tale
scarsezza di informazioni sull'omeopatia nel pubblico risiede però nella quasi
74 Introduzione
costruire un quadro di riferimento teorico che consenta sia di spiegare quanto già
si sa, sia di individuare nuove linee di ricerca.
Lo studio delle basi scientifiche della medicina omeopatica avrà in futuro
notevoli riflessi sullo stesso mondo dell'omeopatia, che si è diviso in varie scuole
tra loro spesso in acceso contrasto. Probabilmente, è proprio la pressoché totale
mancanza di una teoria scientifica a giustificare una tale frammentazione e
l'impossibilità di venire a capo di dispute dottrinali. Ciò non va tanto a scapito dei
risultati, ma piuttosto compromette seriamente un possibile sviluppo futuro di
questo settore della medicina, all'altezza degli standard qualitativi oggi richiesti e
delle nuove patologie emergenti. Qui non si vuole entrare nel merito di tali dispute,
che riguardano soprattutto la metodologia clinica, quanto piuttosto riesaminare in
chiave moderna i principi basilari, come quello di similitudine e quello delle
diluizioni/potentizzazioni, che sono accettati da tutte le scuole omeopatiche.
I capitoli del testo prendono in considerazione i vari aspetti del problema,
cercando di esporre i dati e le teorie già presenti nella letteratura, di vagliarli
criticamente e, dove possibile, di proporre delle sintesi e delle ipotesi di lavoro.
Poiché vengono sviluppate, in modo analitico, molte diverse problematiche tra loro
collegate, si potranno presentare, qua e là, delle ripetizioni di concetti o dati già
riferiti in altri capitoli, lasciate per cercare di raggiungere il massimo grado di
chiarezza.
La trattazione inizia con un riassunto dei principali concetti dell'omeopatia,
esaminandone i principi fondamentali e la storia dalla sua fondazione ai giorni
nostri (cap. 2). Non avendo questo lavoro la finalità di manuale pratico per
I'apprendimento dell'omeopatia, ci si è limitati alle notizie essenziali.
Nel capitolo 3 sono presentate le evidenze empiriche e cliniche che suggerisco-
no come l'omeopatia sia realmente efficace e non sia semplicemente inquadrabile
come un effetto placebo. Anche se tali evidenze sono tuttora manifestamente
povere e preliminari sia sul piano qualitativo che quantitativo, soprattutto se
giudicate con i parametri della medicina convenzionale, la spiegazione basata
unicamente sull'effetto placebo sta progressivamente perdendo la sua consistenza,
mentre nel contempo cresce la domanda di una teoria, di un modello, di una
spiegazione in termini fisiopatologici moderni. Il tentativo di costruire tale modello
si scontra con difficoltà di vario tipo, tra cui la necessità di spiegare sia le "leggi
sacre" dell'omeopatia classica, sia le varianti più recenti rappresentate dall'omo-
tossicologia (v. cap. 2.6) e dall'elettroagopuntura (v. cap.7.3).
Un problema così complesso e con molte sfaccettature non potrà certo avere
spiegazioni semplici e perciò si dovrà procedere prima analiticamente, poi cercan-
do una sintesi, o meglio si procederà come per costruire un mosaico, mettendo
progressivamente al loro posto i vari tasselli, con l'obiettivo di far risultare
un' immagine significativa.
Introduzione 17
come ogni teoria scientifica, anche le ipotesi sul meccanismo d,azione del_
l'omeopatia non possono che basarsi su sperimentazioni o altre teorie correntemen-
te accettate. Un primo gruppo di evidenze sperimentali (cap. 4) sono
state ottenute
secondo metodologie accettate e codificate dalla scienza convenzionale
e dal
ragionamento biomedico occidentale. euesto tipo di sperimentazioni non possono
perciò essere contestate in quanto non scientifiche (sarebbe un controsenso),
ed i
risultati possono essere letti, discussi ed interpretati secondo i paradigmi utiiizzati
per qualsiasi altro argomento di indagine. Certamente molti lavori finora pubblicati
possono non convincere per la loro scarsa qualità, ma fanno comunque parte
dello
stesso quadro di riferimento metodologico e concettuale della scienza moderna:
il
dibattito sulla qualità delle sperimentazioni non interessa solo la medicina omeo-
patica.
Largo spazio sarà dedicato, nel capitoro 5, ai più recenti sviluppi delle conoscen_
ze nel campo dell'infiamm azione e del cancro. Per quanto questà trattazione,
ricca
di dettagli biochimici e biologici, possa sembrare non immediatamente connessa
ai temi dell'omeopatia, si vedrà che è proprio dalle attuali conoscenze scientifiche
che comincia ad emergere la possibilità di un discorso ragionato sulle potenzialità
e i limiti dell'omeopatia stessa (come, d'altronde, di ogni metodica terapeutica).
Le ricerche scientifiche finora disponibili possono però spiegare solo in parte
quanto l'omeopatia sostiene. Si è voluto perciò andare più avanti nella costruzione
di possibili modelli esplicativi, ricorrendo all'aiuto di due potenti strumenti di
indagine: uno si riferisce allo studio della complessità e àell,integrazione in
medicina (cap' 5 e 6); l'altro allo studio della sensibilità elettromagnetica dell,or-
ganismo e della fisica dell'acqua (c ap.7).Lanecessità di nuovi punti di riferimento
concettuali e di nuovi campi di indagine sperimentale risulta evidente considerando
l'insufficienza delle spiegazioni basate sulla farmacologia ,,classica,,. I nuovi
approcci concettuali che saranno qui introdotti rappresentano una frontiera
aperta
verso il futuro della medicina e sono sostenuti più da teorie fisiche e matematiche
che da prove biologiche e farmacologiche: si entra nel campo dei modelli della
complessità, del caos e dei frattali, della fisica quantistiia, dei fenomeni di
coerenza, dei fenomeni elettromagnetici, dei rapporti tra omeopatia ed agopuntura.
Tali nuovi punti di vista con cui guardare all'omeopatia consentono di estenderne
ulteriormente Ia comprensione in termini razionali.
Sulla scorta delle sperimentazioni disponibili e con I'ausilio di questi nuovi
strumenti concettuali, saranno elaborate in forma sintetica le ipotesi esplicative
della legge di similitudine, caposaldo dell'omeopatia (capitoto e; e dell,effetto
delle alte diluizioni (capitolo 7). Non è facile prevedere quanto questo approccio
risulterà convincente, ma i molti punti ancora incerti non dovrebb".o undu.a
u
discapito dello scopo di questo testo: si cercherà, infatti, di costruire uno schema
interpretativo dell'omeopatia in forma "modulare,,, tale percui non necessariamen-
18 Introduzione
te deve essere accettato o respinto in blocco, ma può essere utilizzato anche solo in
parte per avere comunque un'immagine a senso compiuto.
Questo lavoro è rivolto all'attenzione di medici sia omeopati che non. I medici
omeopati vi troveranno stimoli ad un approfondimento delle basi biologiche del
sistema di cura da loro adottato. Lo spirito tecnologico della nostra era domanda
spiegazioni. Di questi tempi, in cui ancora spesso l'omeopatia è attaccata in quanto
"non scientifica", i dati e le teorie qui riportati possono costituire un aggiornato
strumento di documentazione e di discussione. È pure auspicio degli autori che
l'impostazione data al problema della investigazione delle basi dell'omeopatia
faccia crescere la fiducia nelle possibilità di utilizzare, anche in questo campo che
ha molti risvolti misteriosi, un approccio razionale e un metodo scientifico, che
possono contribuire a tenere questo metodo clinico-terapeutico il più lontano
possibile da strumentalizzazioni di vario genere che niente hanno a che fare con la
medicina.
I medici non omeopati potrebbero trovare utile questo testo per un primo
approccio alla problematica della omeopatia, vista sotto un'ottica non "alternativa"
ed affrontata secondo una prospettiva che, almeno per molti aspetti, risulta coerente
con la moderna biomedicina, in cui essi (come pure gli autori di questo testo) sono
stati formati e sono immersi nella pratica quotidiana. L'omeopatia è una pratica
nata e diffusasi "troppo presto" nella storia della medicina, in un periodo in cui non
era possibile darne alcuna spiegazione; essendo però una medicina empirica, non
può non contenere elementi di sostanziale aderenza alla realtà della salute e della
malattia. Si tratta quindi di un macroscopico insieme di'oosservazioni preliminari"
su cui si sono stratificati elementi di confusione interpretativa e metodologica, ma
anche di lungimiranza clinica ed accuratezza terapeutica. Rifiutare tutto in blocco,
come molti sono tentati di fare, significa gettare sia le osservazioni che le
inteqpretazioni, operazione che può essere comoda ma non è scientifica, perché le
osservazioni non spiegate sono state sempre la principale miniera di idee per la
ricerca. Per queste ragioni l'omeopatia, ed in generale una integrazione, critica-
mente vagliata, fra i vari sistemi terapeutici, saranno sempre più necessari nel
prossimo futuro della medicina, offrendo un contributo al superamento delle attuali
difficoltà di dominare problemi complessi con visioni riduzionistiche.
Questo testo propone un momento di confronto tra ricerca di base ed omeopatia,
con un'impostazione fortemente ancorata sulla moderna patologia generale. Non
poteva essere altrimenti, visto che il presente lavoro è originato dall'incontro tra un
patologo generale (P.B.) e un medico che usa l'omeopatia come principale metodo
terapeutico (A.S.). Le idee e le esperienze qui riportate costituiscono quindi un
tentativo di costruire una sintesi, o almeno un dialogo, tra sistemi medici che
vengono solitamente ritenuti alternativi. Un simile progetto si presenta estrema-
mente difficile, in relazione alla vastità del bagaglio di conoscenze costruito
Introduzione i9
la
uni*uli allo scoPo.di stimolare
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dosi di sostanze d"r;;;;-g"i.ii, tggo; ultman' L989;
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e Pasteur' 1"984; Julian
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iqq'' B'uo e Masciello"l988; arrerma di
Haffen, 1982; Bianct'!';;ti;iun"hi' i'i"'tigzl'
Questo sistema
1e82; retau, 1e8e;
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una comPlel
secondo
,,1egge dei simili".
Un esempio può illustrare il concetto della scelta del farmaco in base alla legge
di similitudine [Gibson and Gibson, 1987l.Tre pazienti con influenza sono trattati
con tre diversi rimedi: il primo presenta brividi, è ansioso, irrequieto, vuole essere
coperto e desidera acqua fresca; occhi e naso scaricano liquido mucoso irritante che
causa arrossamento del naso e del labbro superiore; presenta anche sintbmi
gastrointestinali (vomito e diarrea). Il rimedio indicato per questo paziente è
Arsenicum album. Il secondo paziente con la stessa influenza epidemica si sente
stanco e letargico, ha brividi e lamenta cefalea occipitale; egli desidera qualcosa che
lo riscaldi sulla schiena, stare fermo in letto e non fare alcuno sforzo. In questo caso
il rimedio indicato è Gelsemium. La terza persona ha febbre influenzale ed il
sintomo più eclatante è una dolorabilità diffusa in tutto il corpo, come se tutte le sue
ossa fossero state rotte. Egli riceverà come rimedio Eupatorium perfoliatum.i)lo
stesso virus influenzale che ha colpito tutti e tre i pazienti, ma le loro reazioni
individuali all'infezione sono state diverse e di conseguenza anche il trattamento
sarà differenziato.
Per il medico omeopatico un sintomo come la febbre dice poco in quanto è una
reazione molto aspecifica del processo infiammatorio, ma egli sarà molto attento
ad analizzare i tipi di febbre ed i sintomi concomitanti, per indirizzarsi alla scelta
del rimedio giusto: una febbre con senso di caldo, arrossamento cutaneo, sudora-
zione, polso molto forte, cefalea pulsante, midriasi e fotofobia indicherà che il
paziente necessita di Belladonna. Una febbre insorta improwisamente dopo un
raffreddamento, con ansietà fino alla paura di morire, arrossamento cutaneo (ma
non vi è sudorazione), polso pieno, duro, ma con miosi, con sete intensa ed
insofferenza per le coperte indicherà Aconitum come rimedio di elezione. Sono
quindi i dettagli particolari, le sottili differenze, che orientano nella scelta.
criticare quanti nella medicina si limitavano a costruire ipotesi e teorie che, mentre
si mostravano complicate e stupefacenti, erano di una assoluta inutilità pratica nel
risolvere i problemi dei malati.
Nel terzo paragrafo si legge: " Se il medico capisce la malattia, ossia sa che cosa
si deve guarire nei singoli casi di malattia (= riconoscimento della malattia); se il
medico sa chiaramente quello che nelle medicine, anziinogni singolo medicamen-
to v'è che guarisce (= conoscenza del potere dei medicamenti); se sa adattare, con
motivi fondati, il potere medicamentoso dei rimedi con quanto di sicuramente
patologico ha riconosciuto nel malato, in modo da portare la guarigione sia per
l'esattezza delf indicazione del medicamento (= scelta del medicamento più
opportuno e corrispondente al caso per il suo modo di azione), sia per 1'esattezza
della preparazione e della quantità (= dose giusta) e della sua ripetizione; se
finalmente conosce gli ostacoli alla guarigione in ogni caso e sa rimuoverli,
affinché la guarigione sia definitiva, allora egli opera utilmente e radicalmente ed
è un vero terapeuta". Nel quarto paragrafo: "Egli è pure un igienista, se conosce le
cause che disturbano la salute e determinano e mantengono le malattie e sa da esse
preservare l'uomo Sano". Queste citazioni non possono non essere oggi Sottoscritte
da qualsiasi medico ma, inserite nel quadro della medicina pre-scientifica ancora
vigente a quel tempo, rappresentano una indubbia novità di approccio. Le premesse
del ragionamento clinico di Hahnemann - e quindi dell'omeopatia - sono dichiara-
tamente razionali e logiche.
Il ragionamento dell"'Organon" procede nei paragrafi successivi con la affer-
mazione che nello stato di salute dell'uomo è fondamentalela "forzavitale" eche
la perturbazione di questo "principio dinamico intelno" è responsabile della
comparsa delle malattie, come viceversa "la restitutio ad integrum del principio
vitale presuppone necessariamente il ritorno alla salute di tutto l'organismo".
L'autore non ignorava certo l'esistenza degli agenti patogeni e conosceva bene i
lavori dei suoi contemporanei tra cui Sydenham, Jenner ed altri (par. 38), ma
poneva fortemente l'accento sui fattori legati al terreno, all'ospite, al soggetto.
Il concetto di"forzavitale" ha suscitato molte discussioni. L'autore indubbia-
mente attribuiva alla forzavitale un'essenza"immateriale" (par. 10) ed egli, molto
religioso, attribuiva questo potere di guarigione ad un dono del Creatore (par. 17).
Tuttavia, non si devono confondere le sue affermazioni con un ricorso arbitrario
alla metafisica. Parlare di forza vitale come qualcosa di misterioso era, per quei
tempi, nient'altro che prendere atto delle capacità di difesa e di guarigione
dell'organismo, senza poterne dare una spiegazione in termini di fisiologia o di
immunologia. Lo stesso autore, in una nota al par. 31, dice: "Denominando come
malattia una depressione o una perturbazione dello stato dell'uomo non intendo
affatto di dare una spiegazione metafisica della natura intima delle malattie...". La
critica al vitalismo hahnemanniano risulta quindi anacronistica e mal impostata: la
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 27
forza vitale non è altro che una metafora per indicare una capacità dinamiéa di
autoregolazione indubbiamente esistente, di cui sono dotati gli esseri viventj ai fini
di una migliore possibilità di sopravvivenza. Che tale capacità sia semplicemente
il frutto dell'evoluzione o sia considerabile come un dono del Creatore è un
problema analogo a quello riguardante le origini dell'universo e che, per le sue
implicazioni filosofiche, supera i limiti dell,indagine scientifica.
comunque, pur mantenendo ben distinte le questioni metafisiche da quelle
scientifiche, resta fuor di dubbio che l'omeopatia rappresenti, sin dalle sue orìgini,
un tipo di medicina molto aperto alle dimensioni superiori dell,uomo, che sempre
trascendono ogni conquista del sapere e della scienza.
Lo stesso Hahnemann, infatti, afferma: "Nello stato di salute dell,u omolaforza
vitale, vivificatrice e misteriosa, domina in modo assoluto e dinamico il corpo
materiale e tiene tutte le sue parti in meravigliosa vita armonica di sensi ed attiviià,
in modo che il nostrd intelletto ragionevole si possa servire liberamente di questo
strumento sano e vitale per gli scopi superiori della nostra esistenza,, (par. 9
dell'Organon).
I paragrafi 29-3L definiscono chiaramente ciò che Hahnemann intende per
malattia, e cioè "ogni malattia (non di spettanza della chirurgia) consiste in una
perturbazionepatologicadinamicadellanostraforzavitale" (par.z9),mentregli
agenti patogeni costituiscono solo una causa scatenante: "Le potenze nemiche sia
psichiche che fisiche, che si chiamano agenti patogeni, non possiedono necessaria-
mente la proprietà di rendere malato l'uomo. Noi per causa di loro ammaliamo
soltanto quando il nostro organismo ne ha la disposizione e trovasi disarmato in
modo che l'agente patogeno può intaccarlo, alterare e perturbare lo stato di salute
e determinare sentimenti e funzioni anormali. euindi gli agenti morbosi nonfanno
ammalare chiunque ad ogni tempo" (par. 31). Anche di fronte a questo passaggio
chiave della teoria omeopatica originale non resta che restare stupiti di come
concetti che solo recentemente sono stati assunti dalle moderne scienze della
patologia e dell'immunologia fossero stati così chiaramente intuiti ed espressi oltre
150 anni fa.
Nei paragrafi successivi (32-70) sono esposte le esperienze e le riflessioni che
hanno condotto I'autore a formulare la legge di similitudine, definita ,,la grande e
unica legge terapeutica della natura: guarire le malattie con rimedi determinanti
sintomi simili a loro malattie" (par.50). Tali esperienze si basano sulle attente
osservazioni del decorso di malattie naturali e delle interazioni tra malattie simili
o diverse, sull'effetto delle vaccinazioni antivaiolose, sulle sperimentazioni di
rimedi testati su sani e su malati, sulla constatazione delle deficienze dell'approccio
allopatico (par. 54-61, una vera e propria requisitoria contro la terapia basita sulla
legge di Galeno " contraria contrariis" e contro altre pratiche molto diffuse a quel
tempo quali purghe e salassi, somministrazione di bevande alcooliche e di oppio).
28 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia
primo battei questa via, con tenacia senza pari, che mi proveniva soltanto dalla
assoluta convinzione della grande verità a beneficio dell'umanità, che unicamente
con I'uso delle medicine omiopatiche è possibile la guarigione sicura delle malattie
umane" (par. 108,109).
La natura di accanito sperimentatore, e nel contempo la statura moraie dell'au-
tore dell'organon si evincono anche da quest'altro passo: "cbme certamente ogni
specie di pianta è diversa da ogni altra per aspetto esterno, per modo di vita e di
accrescimento, per sapore ed odore, come sicuramente ogni minerale, ogni sale è
diverso dagli altri per le sue qualità esterne, interne, fisiche e chimiche (che, già da
sole, avrebbero dovuto evitare ogni confusione), così certamente tutte queste
sostanze, vegetali e minerali, hanno effetti patogenetici - e quindi anche curativi -
diversi e tra loro differenti. ognuna di queste sostanze agisce in modo proprio,
diverso, ma ben determinato, che elimina qualunque confusione, e determina
alterazioni dello stato di salute e della cenestesi dell'uomo. Stando proprio così
questa chiara verità, d'ora in poi nessun medico, che non voglia passare per
ignorante e che non voglia offendere la sua buona coscienza (unica manifestazione
di vera dignità umana), potrà usare nella cura delle malattie alcun medicamento
all'infuori di quello che egli conosce esattamente e completamente nel suo vero
valore, per averne sperimentato a sufficienza l'effetto (...). I medici di tutti i secoli
passati - i posteri a pena il crederanno - si accontentavano di prescrivere ciecamente,
nellemalattie, medicine sconosciute nel loro significato, mai esaminate nei riguardi
dei loro effetti importantissimi, diversi al massimo, puri e dinamici, sullo stato di
salute dellluomo e per di più parecchie di queste medicine sconosciute e così
differenti assieme in una ricetta, e poi si affidavano al caso per quanto poteva
succedere al malato. Come un pazzo potrebbe penetrare nello studio di un artista
ed afferrare a piene mani attrezzi assai diversi ed a lui ignoti, per ritoccare nella sua
pazziaopere d'arte lì presenti. Non è il caso di dire che egli, nel suo lavoro pazzesco,
non farebbe che rovinare quelle opere e rovinarle irrimediabilmente" (par. 119).
Nel prosieguo dell' Organon vengono esposte dettagliatamente tutte Ie metodi-
che sia per l'esecuzione delle sperimentazioni su gruppi di volontari sani (provin-
gs), sia per l'impiego del metodo omeopatico nella pratica clinica. L'aspetto
pratico-applicativo non rientra nello scopo di questo lavoro, per cui si rimanda
all'opera originale, che, d'altronde, sarebbe comunque difficilmente riassumibile.
L'ultima parte del trattato descrive la preparazione del rimedio omeopatico
(triturazione, estrazione dei principi attivi, vari metodi di diluizione e dinamizza-
zione), aspetti che sono di owia rilevanza per la problematica riguardante il loro
possibile meccanismo d'azione: "L'omiopatia sviluppa, per il raggiungimento dei
propri fini, le energie terapeutiche, interne e quasi spirituali delle sostanz e grezze,
mediante un trattamento speciaie, finora non usato; e le sviluppa ad un grado
altissimo, di modo che esse diventano assai attive, giovevoli e di azione assai
30 Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia
profonda. Diventano tali perfino quelle che allo stato greggio non manfustano sul
corpo umano alcuna azione. Questa meravigliosa trasformazione delle qualità di
sostanze naturali, mediante un'azione meccanica, che agisce sulle loro particelle
più piccole arnezzo della triturazione e succussione (mentre esse con l'interposi-
zione di una sostanza indifferente rimangono separate tra loro), sviluppa energie
prima non palesi, latenti, dinamiche, che agiscono sovrattutto sul principio vitale
e sullo stato di salute della vita animale. Questo procedimento si denomina
dinamizzare, potentizzare ed i suoi prodotti dinamizzazioni o potenze nei vari
gradi. L'esaltazione e il maggior sviluppo della potenza determina trasformazioni
nello stato dell'uomo e degli animali, quando nella somministrazione le sostanze
naturali potentizzate sono portate assai vicine alla fibra vivente, sensibile o la
toccano" (par.269).
Viene preso in esame anche il problema delle vie e delle modalità di sommini-
strazione. Nel par. 2721'autore attribuisce l'effetto della medicina al contatto con
i nervi della lingua e del cavo orale, più avanti (par.284) aggiunge che oltre la
lingua, la bocca e lo stomaco, anche le vie respiratorie (inalazione) e la cute
(frizioni) sono potenziali vie di somministrazione dei medicamenti. Per quanto
riguarda le dosi, Hahnemann raccomanda di usare le dosi minime possibili, ma non
stabilisce criteri rigidi, affermando, fra l'altro, che "unicamente l'esperimento, la
diligente osservazione dell'eccitabilità di ciascun malato e l'esperienza possono
servire di guida, volta per volta, nello stabilire la dose" (par. 278).
Più importante della dose è la corretta scelta del rimedio, che deve essere il più
possibile corrispondente al quadro sintomatologico del paziente ed alla sua
particolare r"n.ibilità al farmàco: "e perché una medicin, Ù.n poi"ntizzata ed a
dose piccola diventa più efficace e giovevole, quasi fino al miracolo, quanto
maggiore è la sua omiopaticità, una medicina, la cui scelta sia omiopatica, deve
essere tanto più efficace, quanto più la sua dose si avvicina alla tenuità necessaria
più adatta per il suo effetto benefico in forma mite" (par.277).
L'analisi dei contenuti fondamentali dell'Organon riveste un suo interesse non
solo dal punto di vista storico, in quanto costituisce la pietra angolare dell'edificio
omeopatico, ma perché a tutt'oggi rimane il principale testo di riferimento per chi
voglia apprendere l'omeopatia. In realtà, nonostante ben presto (ancora con
Hahnemann vivente, come è anche accennato nelle sue opere) siano sorte diverse
scuole di pensiero e diversi indirizzi metodologici in omeopatia, l'autorità del
fondatore è rimasta sempre ad altissimo livello. Pare addirittura singolare il fatto
che i principi e le metodologie fondamentali scoperti da Hahnemann non siano stati
praticamente mai messi in discussione, le dispute rimanendo limitate all'interpre-
tazione dei suoi insegnamenti.
Nel contempo, è indicativo il fatto che nei 150 anni seguenti i seguaci
dell'omeopatia non abbiano attuato alcuna sostanziale rielaborazione in termini più
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 31,
moderni delle intuizioni e delle scoperte originali. Le ragioni di ciò sono probabil-
mente legate al fatto che l'omeopatia si è presentata dall,inizio come un metodo
efficace di cura, basato su principi molto misteriosi e quasi insondabili, quindi
sostanzialmente indiscutibili. Una metodica che afferma di funzionare, ma senza
sostanziali spiegazioni scientifiche, può solo essere accettata o rifiutata a seconda
delle esperienze personali. Pure è innegabile che il fatto che questa impostazione
terapeutica si sia sviluppata a prescindere da qualsiasi spiegazione
fisiopatologica (Hahnemann addirittura affermava che non vale la pena cercare le
"cause nascoste" delle malattie), costituisce il fondamentale ostacolo alla sua
accettazione. D'altra parte, darsi ragione del funzionamento della legge di simili-
tudine e delle microdosi è impresa ardua persino con le conoscenze e le strumen-
tazionidi oggi, ed è quindi in un certo senso giustificabile la..rinuncia,, ad una seria
ricerca scientifica attuata dal mondo omeopatico. Come si vedrà, solo recentemente
questo stato di cose comincia ad essere superato.
Kòthen, dove continuò a lavorare, a scrivere ed a seguire i suoi allievi che siavano
rapidamente aumentando di numero e diffondendosi. AIla sua morte (ig43),
l'omeopatia era conosciuta in tutti i paesi d'Europa (eccetto svezia e Norvegia),
Gran Bretagna, stati uniti, Messico, cuba e Russia e poco tempo dopo raggiunse
1'India ed il Sud America. In Italia fu introdotta nel lBZ2 grazie a G. Necker che
fondò la scuola napoletana.
Probabilmente la rapida diffusione iniziale dell'omeopatia fu dovuta da una
parte al fatto che la medicina del tempo era ancora molto arretrata e priva dimezzi
terapeutici veramente efficaci, dall'altra alla superiorità che dimostrò nel tratta-
mento delle varie epidemie di tifo, colera e febbre gialla che percorrevano a quel
tempo l'Europa e I'America. Ad esempio, nell'epidemia di colera di Londra del
1854Ia mortalità fu del53.2 Vo trai pazienti trattati negli ospedali convenzionali,
del l6.4vo tra quelli trattati nell'ospedale omeopatico. Nell'epidemia di febbre
gialla diffusasi in America nel 1878 le statistiche riportano che la mortalità nei
pazienti trattati omeopaticamente fil di un terzo rispetto a quelli sottoposti a
trattamento convenzionale [Ullman, 1989; Gibson and Gibson, 1987].
Nell'8001'omeopatia fu molto popolare negli stati uniti, dove operarono grossi
personaggi come Hering, Kent e Farrington. Nelle università di Boston, del
Michigan, del Minnesota e dello Iowa si insegnava omeopatia. Alla fine del secolo
si pubblicavano29 giornali di omeopatia. Nel 1844 fu fondato l'American Institute
of Homeopathy, che divenne la prima società medica americana. Ciononostante
ben presto si organizzò una forte reazioneda parte della medicina "ortodossa", che
vedeva questa crescita come un grosso pericolo: l'omeopatia metteva in discussio-
ne le basi filosofiche, la metodologia clinica e la farmacologia ufficiali. Il nuovo
approccio conteneva sin dall'inizio una forte carica critica verso l'uso delle
medicine convenzionali, giudicate dannose, tossiche e controproclucenti per la
pratica della omeopatia, in quanto basate tutte sulla soppressione del sintomo.
Inoltre una buona pratica omeopatica necessitava di lungo tirocinio ed individua-
lizzazione del trattamento, cose che richiedevano molto più tempo di quello che
normalmente i medici potevano mettere a disposizione dei pazienti.
Nel 1846 fu fondata la American Medical Association, che ebbe fra i suoi primi
obiettivi la lotta contro l'omeopatia: l'iscrizione fu vietata ai medici omeopati, ai
membri fu vietato, pena l'espulsione, persino di consultarsi con omeopati, fu
negato il riconoscimento legale ai diplomi rilasciati da università dove vi fossero
cattedre di omeopatia. Nel 1910 venne stilata una classifica delle scuole mediche
americane (Flexner Report), in base a criteri che davano alti punteggi alie scuole
che privilegiavano l'approccio fisico-chimico e patologico al corpo umano, Dena-
lizzando l'approccio omeopatico. ovviamente, i colleges omeopatici ottennero
bassi punteggi e poiché solo i laureati nelle scuole con alto punteggio vedevano
riconosciuto il titolo di studio, ciò rappresentò un colpo mortale all'insegnamento
Principi fondamentali e breve storia dell'omeopatia 33
attendibili era (ed è) una prospettiva troppo attraente e convincente per consentire
ancora l'esplorazione di alternative basate su antiche e misteriose teorie.
Come già accennato e come è nella logica delle cose, ai concetti e regole iniziali
sono andate via via aggiungendosi ulteriori scoperte ed applicazioni. Tra queste,
meritano particolare menzione l"'isopatia" e l'introduzione dell'impiego dei
cosiddetti "nosodi".
Una delle prime e più forti innovazioni dell'omeopatia, che ricevette poi
menzione anche nelle ultime edizioni dell'Organon, è l'isopatia. Il termine fu
coniato probabilmente dal veterinario Wilhelm Lux attorno al 1831-1833 [Lux,
1833]; dopo aver iniziato a curare i suoi animali con il metodo omeopatico, si
convinse che ogni malattia contagiosa porta in sé stessa ilmezzo per guarirla. Egli
osservò che la tecnica di diluizione e dinamizzazione di un prodotto contagioso
(batterio, virus o secrezioni e materiale organico infetti) metterebbe in grado
quest'ultimo di avere azione terapeutica sulla malattia che è risultato del contagio.
La legge di similitudine Similia similibus curentur diventa cos\: Aequalia aequa-
libus curentur o legge di identità.
In realtà, i principi che stanno alla base dell'isopatia hanno radici molto più
antiche della stessa omeopatia [Ju1ian, 1983]. Tentare di trattare una malattia per
rnezzo dell'agente che può provocarla o trasmetterla, è una delle più generali
acquisizioni della medicina empirica. Numerosi popoli primitivi si premuniscono
contro l'effetto dei veleni con inoculazioni ripetute di essi o di materiali estratti
dagli apparati veleniferi dei serpenti. In Estremo Oriente, i Cinesi praticavano la
vaiolizzazione preventiva sia indossando i vestiti provenienti da un malato in piena
fase di suppurazione, sia con delle pustole disseccate e conservate per un anno e poi
inalate. Plinio affermava che la saliva di un cane arrabbiato può preservare dalla
rabbia. Dioscoride di Anazarbo raccomandava agli idrofobi di mangiare il fegato
del cane che li aveva morsi. Aetius d'Antiochia raccomandava di mangiare la carne
della vipera che aveva appena morso. Nel XVII secolo Robert Fludd, irlandese,
curava i tisici con le diluizioni dei loro stessi sputi, dopo un'adeguata preparazione.
È solo però agli inizi del XIX secolo e con la nascita dell'omeopatia che
I'isopatia arriva al suo completo sviluppo [rassegna in Julian, 1983]. Tre autori
dominano nella storia dell'Isopatia, tutti e tre medici omeopatici: Constantin
Hering, Wilhelm Lux ed il Rev. P. Collet.
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 35
Constantin Hering nacque in Sassonia nel 1800 e divenne assistente del chirurgo
Robbi, il quale lo incaricò di scrivere per lui un libro che confutasse definitivamente
l'omeopatia, come gli era stato richiesto dall'editore Baumgartner. Hering, appro-
fondendo gli scritti di Hahnemann, non solo ne venne incuriosito, ma alla fine ne
prese anche le difese, dichiarandosi a favore del nuovo metodo. All'omeopatia
Hering ha dato moltissimo ma in particolare si deve a lui la sperimentazione di
Lachesis e la preparazione di rimedi omeopatici a partire da escrezioni e secrezioni
patologiche, che egli chiama "nosodi". All'inizio questo termine designava qual-
siasi rimedio estratto da escrezioni o secrezioni patologiche, derivate dall'uomo o
dall'animale. I veleni animali venivano compresi in questa definizione, tanto è vero
che Hering sperimentò per primo il veleno di Lachesis (primo nosode nella storia,
poi divèntato a tutti gli effetti un rimedio omeopatico) ed il "veleno" della rabbia.
Convinto che ogni malattia conterrebbe nel suo stesso germe il suo rimedio e la sua
profilassi, estese i suoi studi al "virus" della scabbia, estraendo il supposto "virus,,
a partire da vescicole di un soggetto con una scabbia ben sviluppata.
Hering sosteneva anche che prodotti del corpo umano e le varie parti dell,orga-
nismo allo stato sano hanno tutte un'azione preferenziale sulle parti malate
corrispondenti e fin dal 1834 consigliò l'fiilizzazione di organi omologhi diluiti e
dinamizzati ("iso-organoterapia"). Infine egli supponeva che gli elementi chimici
avessero un'azione particolare su quegli organi in cui si trovano principalmente
contenuti. I suoi studi e lavori sui minerali ed i sali precedettero i lavori di
Schuessler sui sali biochimici.
Il secondo grande isopata è il medico veterinario Johan Joseph wilhelm Lux
nato in Slesi anel1776. Professore di Scienze Veterinarie fin dal 1806 all'università
di Leipzig, Lux segna una data nella storia della medicina veterinaria. A partire dal
1820 conobbe gli scritti di Hahnemann ed applicò il nuovo metodo in medicina
veterinaria, divenendo un diffusore appassionato della omeopatia veterinaria.
Nel 1831 Valentin Zibrik gli chiese un rimedio omeopatico contro il cimurro ed
il carbonchio. Non conoscendo ancora rimedi omeopatici contro quelle epidemie
consigliò di rimpiazzare il "simile" omeopatico (cioè il farmaco prescritto in base
ai sintomi) con una 30'diluizione centesimale di una goccia del rnuco nasale di un
animale colpito da cimurro e una 30u diluizione centesimale di una goccia del
sangue di un animale colpito da carbonchio, e di farne prendere a tutti gli animali
affetti rispettivamente da cimurro e da carbonchio.
Egli così per primo creò il ceppo di Anthracinum. Nel 1833 Lux pubblicò i
risultati ottenuti in un piccolo opuscolo, Isopathik der Contagionen [Lux, 1833] in
cui sosteneva appunto che "tutte le malattie portano nelia loro stessa sostanza il
mezzo per guarirle". Si potevano quindi diluire e dinarnizzare non solo gli agenti
morbosi "conosciuti" ma anche qualsiasi tipo di secrezione e di escrezione umana
o animale. Inoltre Lux estese il principio anche alle sosta:rze divenute iatrogene per
36 Principi fondamenlali e breve storia dell'omeopatia
abuso, così il metodo dapprima rtilizzato solo nelle malattie contagiose, venne
applicato anche a quelle non contagiose.
Le idee di Hering e di Lux trovarono appoggio e difesa nel miglior allievo di
Hahnemann, Stapf e si diffusero in Francia e Germania. Weber, medico consigliere
alla Corte di Hesse, pubblicò nel 1836 uno studio fatto sull'iso-trattamento del
carbonchio, usando la 30" diluizione CH di succo purulento di milza in cancrena
(localizzazione specifica negli animali). Joly a Costantinopoli scrisse ad Hahne-
mann nel 1835 di aver ottenuto numerosi casi di guarigione da peste nei lebbrosari,
usando diluizioni alla 30" delle sierosità di bubboni della peste.
Qualche anno dopo J.F.Herrmann di Thalgau (Salisburgo) riprese le idee di
Hering e pubblicò nel 1848 "La vera isopatia o l'utilizzazione di organi animali sani
come rimedi per malattie analoghe nell'uomo". Le sue idee saranno riprese da
Brown-Sequard, padre dell'opoterapia moderna.
Tuttavia, dopo una prima espansione, il nuovo metodo andò incontro a critiche
continue e sempre più forti, tanto da portare l'isopatia in declino per parecchi anni,
all'interno degli stessi ambienti omeopatici. Solo alcuni solitari continuarono ad
usare i rimedi isopatici. Fu padre Denys Collet, nato nel 1824, medico e poi
religioso dell'Ordine Domenicano, a far rifiorire l'isopatia. Nel 1865 fu testimone
di una guarigione omeopatica, che lo convinse a dedicarsi al nuovo metodo.
Riscoprì da solo f isopatia e dopo decenni di pratica pubblicò il suo libro "Isopathie,
Méthode Pasteur par Voie Interne", all'età di settantaquattro anni. Secondo Collet
esistono tre modi di guarigione: l'allopatia,l'omeopatia e l'isopatia, tutte utili in
funzione delle indicazioni cliniche. Inoltre distingue tre specie d'isopatia:
l"'isopatia pura", che usa prodotti di secrezione di un malato per guarire la stessa
malattia; l"'isopatia organica", che cura gli organi malati con derivati dinamizzati
da organi sani; l"'isopatia sieroterapica" o "sieroterapia" (diluizione di siero
iperimmune). Nella sua opera si trovano anche 42 osservazioni personali e le regole
della farmacoprassi isopatica, punto di partenza di un notevole rinnovamento del
metodo.
Nel nostro secolo compaiono due opere dedicate interamente ai nosodi: laprima
nel 1910 di H.C. Allen, "The materia medica of the Nosodes" [Allen, 1910]. La
seconda è del francese O.A. Julian, che pubblica dapprima in tedesco la "Materia
Medica der Nosoden" nel 1960, poi rivista in due versioni francesi, nel 1,962
"Biotherapiques et Nosodes", e nel 1977 "Traité de Micro-Immunothérapie Dyna-
misée" [traduzione italiana: Julian, 1983].
Il libro sopracitato di O.A. Julian del 1960 ottenne un grande successo negli
ambienti tedeschi, rilanciando lo studio dei nosodi. In particolare R. Voll offrì un
posto centrale alla terapia con i Nosodi nella sua metodica diagnostica-terapeutica:
l'elettroagopuntura-organometria (v. cap. 7.3) e H. H. Reckeweg, fondatore
dell'omotossicologia, fece largo uso dei nosodi nella sua bioterapia (v. cap.2.6).
Principi fondamentali e breve storia dell,omeopatia 37
2.6. La omotossicologia
suo insieme, con tutti i suoi sistemi deputati alla conservazione dell'integrità
fisiologica. Per la omotossicologia, i fattori che perturbano tale integrità non sono
solo gli antigeni estranei, bensì anche le sostanze chimiche tossiche, le radiazioni,
le molecole endogene derivate dai processi infiammatori (soprattutto se questi sono
impediti farmacologicamente nella loro normale evoluzione), la alimentazione
eccessira o non equilibrata, le variazioni del pH dei tessuti connettivi, lo stress,
particolari stati psicologici, ecc.
Vengono deiinite "omotossine" tutte le molecole, endogene o esogene che
mediano un danno a cellule, tessuti ed organi' La risposta dell'organismo alla noxa
patogena coinvolge in modo altamente integrato tutto quello che viene detto
"sistema della grande difesa" e che comprende:
a) il sistema immunitario,
b) il connettivo come tessuto dove le varie sostanze tossiche sono "bruciate" dalla
reazione infiammatoria, o sono accumulate in attesa di una eliminazione,
c) il meccanismo ipotalamo-ipofisi-surrene'
d) il sistema di riflesso neurale simpatico e parasimpatico,
ej la funzione disintossicante del fegato (sistemi microsomiali, glucuronoconiu-
gazione, ecc.).
risale a metà
euesta formulazione del concetto di "sistema della grande difesa"
degli anni sessanta; oggi vi si potrebbero aggiungere altri elementi importanti (basti
p"n.ur. ai sistemi polimolecolari solubili del plasma, ai neuropeptidi, alle multifor-
mi funzioni delle prostaglandine, alle nuove funzioni delle ghiandole endocrine e
del sistema gastrointestinale, ecc.) senza che ne cambi il significato fisiopatologico
essenziale.
La attività dei sistemi di difesa è caratterizzata in circostanze normali dalla
normale funzione fisiologica, mentre nel caso di un eccesso di fattori tossici (o di
una loro permanenza nel sistema) si riscontra un livello di attività nei vari sistemi
tale da provocare dei sintomi. Se il sistema di difesa non riesce ad eliminare la noxa
patogena, o introduce esso stesso altri elementi di patogenesi, il quadro cambia e
.i Secondo la concezione omotossicologica [Reckeweg, 1981; Bianchi,
"o*pti"u.
1987; Maiwald, 1988] analizzandoi processi riscontrabili nelle malattie si possono
distinguere 6 fasi fondamentali ed in un certo senso progressive:
con attenzione ad elementi umani e psicologici che sempre più spesso vanno
perduti nella medicina super tecnologizzata; dall'altra alla consapevolezza che
molte delle sfide tuttora aperte nella Iotta contro le malattie richiedano un approccio
diverso da quello finora seguito. Infatti sta crescendo, non solo nel vasto pubblico
ma anche nella classe medica, la consapevolezza che la medicina di oggi deve
affrontare con nuovi mezzi e nuove idee problemi quali la contaminazione
dell'ambiente da agenti tossici, le sempre crescenti patologie indotte dagli stessi
farmaci sempre più potenti, le malattie degenerative cui concorrono errori dietetici
o stile di vita, le allergie, l'autoimmunità e gli immunodeficit, molte patologie
nervose e psichiatriche, i disturbi psicosomatici, i tumori.
Nonostante gli indubbi progressi registrati negli ultimi decenni in questi campi
cruciali della medicina, nonostante spesso si diffondano notizie di "grandi scoper-
te" che aprono la strada alla cura definitiva di questa o quella malattia, nonostante
le nostre conoscenze sugli intimi meccanismi delle varie patologie siano aumentati
vertiginosamente a causa delle tecniche di biologia molecolare, in realtà non si può
negare che sul piano pratico, a livello di medicina di base e della grande massa dei
malati affetti dalle patologie sopra citate, ben scarsa è stata la ricaduta di tali
conoscenze.
Chi nega che la medicina convenzionale, nella sua applicazione su larga scala,
si trovi in una specie di "impasse" chiude gli occhi alla realtà, che ci mostra
drammaticamente questo gap tra conoscenze scientifiche e risultati pratici, tra
altissime capacità diagnostiche e scarsi mezzi curativi. Non solo i medici generici,
ma anche gli specialisti di molti settori mostrano spesso una sfiducia nelle reali
capacità della medicina di "guarire" i malati [Muller, 1,992]. Sono disponibili
sofisticati sistemi per effettuare indagini, terapie, trattamenti, interventi, monito-
raggi, follow up, statistiche, ecc.; vi sono molte più difficoltà quando si tratta di
curare i malati. Considerando l'alto livello delle scuole mediche, non si può
attribuire tale impasse alla mancanza di volontà, preparazione ed impegno degli
operatori sanitari, come non si può attribuirla alla mancanza di mezzi, considerati
i bilanci che le società occidentali hanno nel settore sanitario. Evidentemente c'è
qualcosa che non va nel sistema stesso e questo qualcosa non è di tipo quantitativo
(quantità di conoscenze, quantità di risorse) ma qualitativo, riguardante l'imposta-
zione di fondo.
Queste constatazioni non portano a concludere, come spesso erroneamente si fa,
che tutto il sistema sia da rimettere in discussione, servono solo a spiegare il ricorso
alle medicine cosiddette alternative da parte di un pubblico sempre più vasto. E tra
gli obiettivi di questo lavoro cercare di dimostrare che non vi è contrasto sostanziale
tra medicina scientifica e medicine empiriche, le quali ultime rappresentano una
specie di serbatoio di esperienze, di intuizioni, di tradizioni che, una volta passate
al vaglio di uno studio rigoroso e liberate da elementi spuri possono apparire quali
Principi fondarnentali e breve storia dell'omeopatia 45
Esiste ancora molto scetticismo nel campo della medicina convenzionale sulla
reale efficacia dell'omeopatia, per lo più giudicata alla stregua di un placebo,
oppure come un trattamento che, comunque, non fa male. Tale scetticismo non è
privo di giustificazioni, essendo dovuto da una parte alla mancanza di inform azione
sul problema, come si è già detto nell'introduzione, dall'altra ad una difficoltà
"epistemologica" nei confronti della concezione filosofica e dell'impostazione
metodologica che apparentemente escono dal modo di ragionare meccanicistico e
riduzionistico su cui il pensiero medico da secoli si basa.
Non si vuole qui sostenere che non esiste un effetto placebo in omeopatia: tale
fenomeno è ben noto anche nei trattamenti convenzionali e rappresenta uno dei
maggiori problemi nelle ricerche di farmacologia clinica. Nella particolare meto-
dologia omeopatica, dove la massima attenzione è dedicata dal medico alla
sintomatologia lamentata dal paziente ed alla sua storia personale e familiare, dove
si instaura un rapporto molto profondo tra malato e terapeuta e dove giocano
numerosi fattori socio-culturali (ritrovato interesse per la salute psicofisica, per
l'ecologia, paura della tossicità delle medicine, sfiducia nel sistema sanitario, ecc.),
owiamente l'efficacia della terapia è molto influenzata da elementi soggettivi. Vi
sono, però, molte indicazioni che l'effetto placebo non sia l'unica possibile
spiegazione dell'azione del farmaco omeopatico. Tali indicazioni sono qui di
seguito illustrate, secondo due linee, una basata su evidenze empiriche (sez. 3.1),
l'altra su studi clinici eseguiti su gruppi di malati (se2.3.2).
tica,sipuòosservareunritornodivecchisintomi'comeselaterapiaconsistessein
-iìlf"r"otto
a ritroso" nella storia patologica
del paziente'
Certamentetutteleconsiderazionisoprariportatesonoinsufficientiaconvin-
statisticamente signifi-
di documentazione clinica
cere chi è abituato a fidarsi solo la
controllata' *:t1.1::']:li:::: o*tooutica
cativa, riproducibile e rigorosamente in considerazione
ricerca clinica come è intJsa dalla medicina moderna è stata presa
cieco è necessario per garantire la significa-
solo di recente. 1 ."toao J"l doppio ragioni
azioneè ritenuia impossibile per
tività dei risuttati,,,;;;.;" ta suà applic
puo tusciare senza trattamento il malato),
oppure
etico-deontologiche iri* .i importante per
difiducia tra.medico e paziente' molto
i"r"rrJ oiurug;" il,uppo'to tanto più' nella
la riuscita di ogni ttàpi"' ii" nella medicina
convenzionfe
111' possono essere
non
medicina no, medico, paziente e terapia
questo
,uiiubili indipendenti. si potrebbe superare
"orranrionale,
facilmente separati
"o*.
problema"."gu"ndolasperimentazionesenzailgruppodipazientinontrattatie la
trattati conlerapie diverse, ad esempio
confrontando due gruppi di pazienti
terapia conv"rrriorui" Iiu t".upiu
o*"opatica. Tale appioccio potrebbe dimostrarsi
le
in cui può.uc""d"r"-"he.pazienti rifiutino
vantaggioso soprattuito in qu"i campi
oàgli effetii collaterali o lasfiducianellariuscita'
terapie conv"nrioouiip", ir,i-"*
la difficoltà a trovare medici che
Tuttavia qui insorge ìn ,""ordo pioblema:
padronegginoentrambelemetodicheconunasiclrezzatalecheilloroconfronto
iia attendibile e significativo'
scarsità di ricerca clinica sinora
un,altra ,ugi"";-i;;, giustificativa) della 1o più
che essa è stata ed è praticata per
eseguita in omeopatà sta nel fatto piccoli gruppi' Oltre
ambulatorialmente da medici che lavorano singolarmente o in
alladifficoltaai,eperi',,u*"casistiche,vièilproblemachedifficilmenteun
in due gruppi omogenei per età
i suoi pazienti
medico può p"rrn.tlt"rri di dividere un altro:
il trattamenà ad un gruppo ed il placebo ad
e sesso, quindi somministrare
facilmentep",d","bb"almenolametàdeiclienti(ammettendocheiltrattamento eseguiti
quindi che trials in doppio cieco vengano
sia realment, .ri"*.ir É ,rg"r,. gruppi di molti
da programmi concordati
o tra
da grossi centri con vaste ca-sistiche
medici.
L,ostacolopiùgrossonellaricercaclinicainomeopatiaèdiordinemetodolo-
si basa fondamentalmente sulla
gico, in quanto fi-p"*ti'i"ne del.farmaco
semeiologiaindividualeemenosulladiagnosidellaformamorbosa:èmolto
probabile che pazienti con la stessa
malittia, ma. con diversa storia, diversa
reattivitàvegetativa,diversotipocostituzionale,diversa|oca|izzazionedeisinto-
50 L' omeopatia è ef{icace?
Pollinosi 5 sts
Problemi psicologici
o mentali 10 8/10
per i lavori citati e di cui qui si riferirà. Una panoramica dei campi in cui le ricerche
cliniche in omeopatia sono state condotte si ha in base a quanto riassunto nella
tabella 1, che è stata costruita in base ai dati riportati nel lavoro di Kleijnen et al.
sopra citato.
Dalla tabella 1 si ottiene anche una stima delle principali indicazioni e dei
risultati della terapia omeopatica, o almeno di quelli che sono i settori in cui gli
sperimentatori considerano più facile eseguire ricerche ed ottenere risultati signi-
ficativi.
Qui si riporteranno alcuni dettagli sui Iavori più importanti, a scopo esemplifi-
cativo più che di rassegna completa. Si riferirà anche di alcuni altri lavori non
riportati da Kleijnen e che hanno interesse storico o servono per successive
discussioni sul possibile meccanismo d' azione omeopatico.
52 L'omeopatia è efficace?
Uno dei primi studi riportati dalla letteratura omeopatica fu sponsorizzato dal
governo britannico durante la seconda guerra mondiale [Paterson, L944; Scofield,
1984]. Esso fu effettuato su volontari cui venivano provocate ustioni cutanee col
gas mostarda azotata e mostrò un significativo miglioramento nei soggetti che
iicevettero cohe profila ssi Mustard gas 30C (un esempio di trattamento isopatico),
o come terapia Rhus tox 30C e Kali bichromicum 30C' Lo studio fu condotto
indipendentemente in due diversi centri (Londra e Glasgow) con simili risultati e
fu eseguito in doppio cieco e controllato con placebo.
Un gruppo s cozzese [Gibson et al. 1980] pubblicò sul British Journal of Clinical
pharmacology un lavoro eseguito al Glasgow Homeopathic Hospital sul trattamen-
to omeopatico dell'artrite reumatoide (punteggio 40/100). Ogni paziente riceveva
ilproprio rimedio indicato, ma metà vennero trattati con placebo. I risultati
mostrarono un miglioramento dei sintomi in82Vo dei pazienti trattati, edin21.Vo di
quelli sotto placebo.I miglioramenti riguardarono dolore, indice articolare, rigidità.
Il campo delle malattie reumatiche offre l'opportunità di vedere quali tipi di
controversie possano essere sollevate dalla ricerca in omeopatia. Ad esempio, una
sperimentazione in doppio cieco fu eseguita su pazienti affetti da fibrosite [Fisher,
1-986, punteggio 38]. Il medico poteva prescrivere una medicina scelta tra le tre che
potevano essere più probabilmente attive in questa condizione (Arnica, Rhus tox e
Bryonia). Non si evidenziò nessuna differenza tra i gruppi trattati col rimedio e
quelli trattati col placebo. Tuttavia, i risultati furono esaminati da un gruppo di
medici omeopati esperti che giudicò \a correttezza della prescrizione , analizzando
la corrispon denzatra sintomatologia individuale e rimedio ricevuto. Consideran-
do, nelli casistica, solo i pazienti che avevano ricevuto il rimedio giusto secondo
le regole omeopatiche (v. cap. 2.1), questi dimostrarono un significativo migliora-
*"rio rispetto ai controlli. Una analoga sperimentazione sulla fibrosite (fibromial-
gia primaria) è stata eseguita presso il reparto di reumatologia del St. Bartolomew's
Uospital diLondra [Fisheretal., 1989-punteggio 45]e, ancheperchépubblicata dal
British Medical Journal, rappresenta un interessante tentativo di armonizzare la
necessità di un protocollo scientificamente ineccepibile con la particolare metodo-
logia omeopatica. La diagnosi era stata fatta con i criteri diagnostici convenzionali
definiti daYunus, poi i pazienti vennero sottoposti ad anamnesi omeopatica e quelli
per cui era indicato il rimedio À/r us toxicondendrum 6C furono inclusi nello studio
(tale rimedio è uno dei più frequentemente prescritti in questo tipo di malattia). Il
trial fu condotto in doppio cieco versus placebo e con controllo incrociato. Dopo
l'ammissione non vi fu alcun contatto tra omeopata e paziente. I risultati furono
positivi in favore del trattamento omeopatico, che causò riduzione della sintomato-
logia dolorosa.
Una ricerca con risultati del tutto negativi è stata eseguita [Shipley et al., 1983,
punteggio 50/100] nell'osteoartrite. Pazienti affetti da questa malattia reumatica
L'omeopatia è fficace? 53
furono divisi in tre gruppi dei quali uno ricevette Rhus tox 6x, uno fenoprofen ed
il terzo placebo. I risultati (pubblicati sul Lancet) mostrarono che solo il gruppo
sotto fenoprofen ebbe un miglioramento dei sintomi significativamente superiore
al placebo. I medici omeopatici hanno risposto a questo lavoro sostenendo che la
strategia dell'esperimento non era corretta: usare una sola medicina per una
malattia, anziché individualizzare il trattamento secondo la totalità dei sintomi, può
essere efficace solo in pochi casi e l'osteoartrite non è fra questi, anche consideran-
do che Rhus /ox è spesso prescritto nell'artrite reumatoide ma non nell'osteoartrite
[Ullman, 1989]. Un'altra obiezione riguardò il fatto che è scorretto comparare, in
un breve periodo di tempo, un farmaco ad azione rapida (l'analgesico antiinfiam-
matorio) con uno ad azione lenta (il farmaco omeopatico) [Ghosh, 1983; Scofield,
1e841.
Problemi analoghi hanno sollevato anche altri trials [Savage and Roe, 1.977 e
1978, punt.55 e 53 rispettivamente]. Gli autori testarono, in doppio cieco,l'effetto
diArnica30CedArnicaTMnel colpo apoplettico (stroke), manon trovarono alcun
beneficio significativo. Tuttavia, un'analisi dei risultati in una rassegna molto
critica ed obiettiva sulla ricerca in omeopatia [Scofield, 1984], ha mostrato che dei
40 pazienti inclusi nello studio de|1977, solo 3 avevano il tipico quadro sintoma-
tologico omeopatico di Arnica e questi 3 fecero un buon progresso durante la
terapia omeopatica. Nel trial del 1978, solo un paziente aveva i tipici sintomi di
Arnica e fu incluso nel gruppo placebo!
Uno studio in doppio cieco del trattamento di pazienti con febbre da fieno fu
pubblicato dal Lancet nel 1986 [Taylor Reilly et al., 1986] (punteggio 90/100). In
esso si comparava l'effetto di una preparazione omeopatica 30C di una miscela di
dodici pollini con un placebo. I risultati furono positivi, nel senso che i pazienti
sotto trattamento omeopatico ebbero significativamente meno sintomi e utilizza-
rono nello stesso periodo la metà di antiistaminici rispetto ai controlli. Questa
ricerca ha fatto oggetto di indagine un trattamento che è un tipico esempio di
"isopatia" (polline omeopalizzato nella pollinosi); anche per il prestigio del
giornale che la pubblicò, essa fu seguita da prevedibili polemiche.
Lo stesso gruppo, in collaborazione con statistici e medici allopatici, ha
recentemente riportato uno studio su 28 pazienti con asma atopica grave (richieden-
te somministrazione giornaliera di broncodilatatori e 27 erano sotto trattamento
steroideo) [Taylor Reilly and Taylor Reilly, 1990; Campbell et al., 1990].
Senza cambiare la terapia di base, i pazienti ricevettero per 4 settimane un
placebo, quindi furono randomizzati in due gruppi, uno dei quali continuò il
placebo, mentre l'altro fu trattato con una preparazione omeopatica del principale
allergene cui ciascun paziente si era dimostrato sensibile. I pazienti registravano
l'intensità dei sintomi giornalmente su una scala visiva analogica. Dopo altre 4
settimane furono analizzati i dati dei due gruppi, che furono in favore del
54 L'omeopatia è efficace?
intervallo, mentre trenta ricevettero un placebo. 76Vo dei pazienti trattati, contro
40% di quelli sotto placebo, sperimentarono sollievo dal dolore.
Il dolore provocato da distorsione della caviglia è significativamente mitigato
ed abbreviato dal trattamento omeopatico, effettuato con terapia di tipo omotossi-
cologico (pomataTraumeel: combinazione di 14 diverse sostanze in diluizioni D2-
D6), secondo quanto riportato lZelletal., 1988, punteggio 80/100]. Su 33 pazienti
trattati, 24 erano senza dolore al 10' giorno, mentre allo stesso giorno sui 36 che
ricevettero il placebo, solo 13 erano senza dolore. Lo stesso farmaco (Traumeel, in
altre farmacopee chiamatooggiArnicaCompositun) è stato sperimentato anche da
altri più recentemente [Thiel and Bohro, 1991]. Gli autori hanno dimostrato che
l'iniezione intraarticolare del rimedio omeopatico in pazienti con emartro trauma-
tico riduceva significativamente (rispetto al gruppo trattato con placebo) il tempo
necessario alla guarigione, valutata secondo parametri obiettivi (presenza di
sangue nel liquido sinoviale, circonferenza articolare, motilità, ecc.).
L'omeopatia è stata usata anche nella preparazione al parto in uno studio del
gruppo di Dorfman [Dorfman et al., 1987 (punteggio 80/100)]. L'associazione
Caulophyllum-Arnica-Actearacemosa -Pulsatilla -Gelsemirzm (tutti i rimedi alla
5CH, due volte al giorno per tutto il nono mese di gravidanza) è stata confrontata
con un placebo in doppio cieco. L'efficacia del trattamento omeopatico è risultata
evidente dal fatto che erano ridotte la durata del travaglio (5.1 ore rispetto a 8.5,
p<0.001) e la percentuale di distocie (1.1.3Vo rispetto a 40Vo, p<0.01).
Per quanto riguarda l'azione dell'Arnica, un rimedio molto usato in omeopatia,
esiste un altro interessante lavoro, eseguito all'Istituto di Patologia Chirurgica
dell'Universitàdi Catania, chemeritadi essere citato [Amodeo et al., 1988]. Arnica
montana 5CH veniva somministrata a pazienti sottoposti a perfusione venosa
prolungata, una condizione che facilmente provoca flebiti nelle vene utilizzate.ln
tale lavoro si dimostra, utilizzando il metodo del doppio cieco controllato con
placebo, ehe Arnica riduce la sintomatologia dolorosa, le manifestazioni infiam-
matorie (iperemia e edema) ed anche la formazione di ematomi. Inoltre, è stato
osservato, nei pazienti trattati, un miglioramento del flusso sanguigno (misurato col
Doppler) ed un lieve aumento di alcuni fattori della coagulazione e della aggrega-
zione piastrinica.
Una serie di lavori ha evidenziato un positivo effetto del trattamento omeopa-
tico, basato essenzialmente sull'uso di Opium e Raphanus sativus nell'accorciare
i tempi della ripresa del transito intestinale dopo intervento operatorio [Chevrel et
at.,t9$4;Aulagnier, 19851 (punteggi tra 50 e 751100). A seguito di tali segnalazio-
ni, fu eseguito uno studio multicentrico cui collaborarono medici omeopatici e non,
epidemiologi, chirurghi ed il Laboratoire national de la Santé francese IGRECHO,
1989, Mayaux et al. 1988] (punteggio 90/100). Questo trial, eseguito su 600 malati
diede risultati negativi e portò gli autori a concludere che la ripresa del transito
56 L'omeopatia è e{ficace?
confronto tra le variazioni dello stato clinico e dei disturbi soggettivi al 4o ed al 10o
giorno e fra la durata dei periodi di inabilità al lavoro, nei due gruppi, non ha
registrato differenze significative, portando a concludere che l'efficacia dei due
farmaci è equivalente.
Allo scopo di illustrare un tipico esempio di ragionamento della omeopatia
complessista (o della omotossicologia), si riportano le conclusioni del lavoro del
gruppo di Maiwald [Maiwald et al., 1988], nella parte in cui discutono le ragioni
che dovrebbero far preferire l'impiego di un preparato omeopatico per curare
I'influenza (dal testo sono omesse, per brevità, le citazioni): "L'efficacia dell'AAS
è dovuta all'azione sintomatico-analgesica ed antipiretica ed all'inibizione aspeci-
fica sull'infiammazione attraverso il blocco della sintesi delle prostaglandine.
L'impiego di un antipiretico nei casi di influenza può avere anche effetti negativi,
poiché l'aumento della temperatura corporea inibisce la proliferazione dei virus. A
questa terapia antagonista e soppressiva con I'AAS si contrappone la terapia
regolatoria con Grippheel che stimola i meccanismi di autoregolazione dell'orga-
nismo per normalizzarele funzioni disturbate. La premessa necessaria è dunque
una reattività intatta da parte dell'organismo. La terapia regolatoria induce, tra
l'altro, una para-immunità, cioè produce, entro poche ore un incremento delle
difese non specifiche che può durare per alcune settimane. Aumenta soprattutto
l'indice di fagocitosi. Inoltre si ha una stimolazione dei fattori umorali, degli enzimi
cellulari, del sistema linfopoietico (specie dei linfociti T), della citotossicità
mediata da cellule, dell'attività litica dei monociti, della produzione o liberazione
dell'interferone. Questa attivazione non lascia una memoria specifica quando le
funzioni fisiologiche ritornano al livello normale. L'impiego di un preparato
omeopatico, che con esigue concentrazioni di principi attivi assicura una così
ampia efficacia, è senz'altro da preferire ad un antipiretico ed ai suoi effetti
soppressivi - tanto più se gli effetti del preparato omeopatico e di quello di sintesi
nella terapia dell'influenza risultano avere una efficacia paragonabile".
Nella terapia dell'influenza si è cimentato anche il gruppo di Ferley [Ferley et
a1.,1987 (punteggio 68) e Ferley et al., 1989 (punteggio 88)1. il primo lavoro ha
valutato un trattamento basato sui metodi della farmacologia complessista a basse
diluizioni (combinazione di 10 sostanze in D1-D6). L'incidenza e la durata dei
sintomi non fu differente nel gruppo di 588 pazienti trattati col farmaco rispetto ai
594 trattati con placebo. Il secondo lavoro invece ha $ilizzato un farmaco
omeopatico del tutto particolare ma di vastissima diffusione, soprattutto in Francia:
l'Oscillococcinum, che consiste essenzialmente di una diluizione estremamente
alta (200K) di estratto di fegato e cuore diAnas barbariae (anatra). Per quanto la
cosa possa sembrare strana, lo studio dimostrò un positivo effetto del trattamento
attivo, in quanto aumentò significativamente il numero di guarigioni a 48 ore dalla
diagnosi; cosa ancora più singolare, fu pubblicato da un'importante giornale non
58 L'omeopatia è efficace?
Un lavoro pubblicato dalla rivista Thorax [Bradley and Clover, 1989] riferisce
di un paziente affetto da carcinoma polmonare a piccole cellule, un tumore
notoriamente molto aggressivo che ha una mediana di sopravvivenza di 6-17
settimane, che fu trattato con radioterapia e poi non accettò la chemioterapia,
optando per una cura omeopatica. Egli ricevette vari rimedi secondo la sintomato-
logia (purtroppo non precisati nella pubblicazione) ed estratto di Viscum album
(Iscador). Egli sopravvisse per 5 anni e 7 mesi dalla diagnosi. Gli autori sottoline-
ano la inusualmente lunga sopravvivenza e la potenziale importanza delle terapie
naturali in questi casi, pur non potendo, ovviamente, attribuire con certezzaquesto
fatto alla terapia omeopatica classica, all'lscador, o ad altre ragioni.
In conclusione, dalle ricerche cliniche sinora eseguite, si possono trarre le
seguenti indicazioni:
con metodi più aggiornati e controllatilCazin et al., 1991]; i risultati sono stati
sostanzialmente gli stessi: iniezioni intraperitoneali di arsenico (come anidride
arseniosa AsrO, oppure acido arsenioso HrAsOr) diluito e dinamizzato hanno
ridotto i livelli ematicie aumentato l'escrezione di arsenico in ratti trattati con alte
dosi (10 mg/Kg) di anidride arseniosa. In una serie di diluizioni testate (5CH,7CH,
9CH, 11CH, 13CH, 15CH, 17CH, 19CH, 21,CH, 23CH, 25CH, 27CH, 29CH,
31CH), le diluizioni più attive in senso protettivo sono state 7CH e 1,7CH e la
differenza rispetto a diluizioni di sola acqua dinamizzata eru altamente significa-
tiva. È interessante notare che I 'effetto protettivo delle alte diluizioni veniva abolito
se esse erano sottoposte a riscaldamento a 120 gradi per 30 minuti.
Basandosi sulla analogia esistente sia sul piano biologico che su quello anato-
mopatologico tra l'intossicazione da tetracloruro di carbonio e l'intossicazione con
fosforo, il gruppo di Bildet ha dimostrato l'effetto protettivo delle alte diluizioni
(7CH e 15CH) di fosforo e della diluizione 7CH del tetracloruro di carbonio (CC14)
sulla epatite tossica da CClo del ratto [Bildet et al.,797 5; Bildet et al., 1 984a; Bildet
et al., 1984b1.
L'effetto delle alte diluizioni di CCl4 confermava dati analoghi, riferiti dalla
letteratura non omeopatica, attestanti un aumento di resistenza del fegato dopo
trattamento con basse dosi di un tossico [Ugazio et a1.,7972; Pound et a1.,1973f.
È stato anche riportato che piccole dosi di cadmio riducono la tossicità renale
provocata dallo stesso metallo tossico nel ratto [Bascands et al., 1990]. Èverosimile
che in questo tipo di fenomeni entri in gioco un meccanismo di induzione della
sintesi o di incremento di attività di enzimi dei sistemi di detossificazione.
Secondo quanto riportato da un altro gruppo (sotto forma di risultati prelimina-
ri), 1a mortalità di ratti trattati con dosi letali di o,-amanitina (il veleno della amanita
falloide) è significativamente rallentata (nel senso di una protezione nei primi
giomi dopo la somministrazione del veleno) dal trattamento degli stessi ratti con
diluizioni 15CH di cr-amanitina,di Phosphorus e di rifampicina [Guillemain et al.
1987]. Secondo gli autori, l'impiego di queste sostanze nella terapia della intossi-
cazione epatica rientra nella logica omeopatica della cura mediante piccole dosi
della stessa sostanza (simillimum), come nel caso della amanitina, oppure di
sostanze con similitudine tossicologica in senso più generale: il fosforo è un noto
epatotossico ad alte dosi, mentre la rifampicina potrebbe avere una similitudine con
l'amanitina sul piano del meccanismo d'azione (inibizione di attività enzimatiche
quali la RNA polimerasi).
Recentemente sono stati comunicati, in forma preliminare, risultati attestanti uf
effetto protettivo di Phosphoras 30CH sulla fibrosi epatica provocata da sommi-
nistrazione cronica di CCl4 nei ratti [Palmerini et a1.,1992). L'efficacia del fosforo
in diluizioni omeopatiche nelle epatopatie comincia quindi ad avere nu*"roi"
conferme sperimentali
64 Ricerche su animali e di laboratorio
In un altro studio [Cambar et al, 1983, Guillemain et al., 1984] è stato ntilizzato
un modello di nefrotossicità: ratti trattati con diluizioni di Mercurius corrosivus
9CH e 15CH erano significativamente protetti, in termini di ridotta mortalità, dalla
tossicità di dosi medio-alte (5-6 mg/Kg) di mercurio.
Secondo le ricerche di Cier e collaboratori [citate in Julian, 1983, p. 87] sul topo,
lasomministrazione diAllossanaindiluizionegCHinibisceparzialmentel'effetto
diabetogeno di una dose di 40 mg/kg di allossana. L'effetto si aveva sia con
somministrazione preventiva che curativa (cioè data dopo l'iniezione diabetogena).
L'osservazione che alte diluizioni (7CH-9CH) di veleno di ape (correntemente
fiilizzatoin omeopatia per le manifestazioni cutanee con edema, eritema e prurito)
avevano un effetto protettivo e curativo di circa il50% sull'eritema da raggi X nella
cavia albina [Bastide et a1.,1975; Bildet et al., 1990; Poitevin, 1988b] sembra
confermare il principio di similarità reazionale che è alla base della omeopatia. Il
veleno d'ape, che a dosi elevate (puntura dell'insetto) provoca edema ed eritema,
può, a determinate diluizioni, guarire un edema e un eritema provocati da un altro
agente. È significativo il fatto che tali risultati sono in accordo con studi biologici
su cellule isolate, dimostranti cheApisTCHblocca la attivazione di basofili invitro
(vedi sezione 4.3).
Un'altra serie di studi concerne la azione di alte diluizioni di silice sulla
produzione di platelet activating factor (PAF) da parte di macrofagi peritoneali di
topo [Davenas et al., 1987]. Il composto è stato aggiunto all'acqua da bere alla
diluizione di 9CH (che corrispondeva alla concentrazioneteorica di 1.66 x 10-1e M)
per 25 giorni. I macrofagi peritoneali estratti dai topi così trattati mostravano una
capacità di produzione di PAF in risposta ad uno stimolo con estratti di lieviti che
era da 30 a 60% superiore a quella di macrofagi dei controlli (topi non trattati, topi
trattati con NaCl diluito alla 9CH o con un altro farmaco omeopatico, Gelsemium
9CH). Diluizioni inferiori (5CH) avevano paradossalmente minore effetto.
Diluizioni omeopatiche di silice sono largamente usate in omeopatia per il
trattamento di piaghe, ulcere croniche ed ascessi. Un modello sperimentale su
animali, basato sulla riparazione di fori provocati sull'orecchio di topi, è attualmen-
te utilizzato dal gruppo di Oberbaum e Bentwich a Rehovot (Israele): essi hanno
riportato che alte diluizioni di silice (fino a 200C), aggiunte all'acqua da bere per
4-20 giorni a seconda degli esperimenti, fanno guarire più velocemente e riducono
maggiormen tel' ampiezza della lesione rispetto a soluzioni di cloruro di sodio usate
come controllo [Oberbaum et al., 1991].
Il gruppo della Bastide [Bastide et al., 1985, Bastide et al., 1987; Doucet-
Jaboeuf et al., L982; Doucet-Jaboeuf et al., 1984; Doucet-Jaboeuf et al., 1985;
Guillemain et al., 1987; Daurat et al., 1988] ha dimostrato nei topi l'effetto
immunostimolante di composti endogeni come ormoni timici ed interferoni prepa-
rati in alte diluizioni secondo le metodiche omeopatiche. Tra i molti esperimenti
Ricerche su animali e di laboratorio 65
riportati, sono particolarmente degni di nota quelli che riportano effetti di alte
diluizioni di interferone cr,B (8-16 x 10-'0 UI i.p.) e di ormoni timici (8 x 10{ pg i.p.)
sui parametri dell'immunità umorale (n" di cellule formanti placche) e cellulare
(risposta cellulare T citotossica allospecifica). Gli autori quindi hanno suggerito
che per ottenere una buona efficacia terapeutica nei soggetti immunodepressi
questi mediatori dell'immunità potrebbero essere usati in dosi estremamente basse
[Bastide et al., 1985].
Dagli studi compiuti da questo gruppo emerge un altro risultato interessante per
illustrare uno dei problemi più significativi nella ricerca in omeopatia: lo stato
fisiopatologico dell'animale da esperimento condiziona enormemente i risultati di
uno stesso trattamento. Infatti è stato preso in considerazione l'effetto di diluizioni
omeopatiche (da 4CH a 12CH) di timo e di timulina su topi di ceppo Swiss,
considerati immunologicamente normali, e di ceppo New Zealand Black (NZB),
considerati immunologicamente depressi. Il trattamento ha provocato significativa
immunostimolazione solo nei topi NZB, mentre quelli Swiss hanno subito una
immunodepressione (particolarmente marcata con le diluizioni di timo) [Guille-
main et al., 1987; Daurat et al., 1988].
Sempre nel campo di ricerca della immunomodulazione, sono notevoli i risultati
raggiunti dal gruppo di Bentwich [Weisman et al. 1991]. Gli autori, dopo aver
precedentemente dimostrato che quantità molto basse (diluizioni 6CH e 7CH) di
antigene KLH (emocianina) sono in grado di modulare specificamente la risposta
anticorpale su animali da esperimento [Toper et al., 1990], hanno ripetuto ed
approfondito gli esperimenti mettendo in evidenza gli effetti immunomodulanti
delle diluizioni omeopatiche di antigene nei topi. Per 8 settimane gli animali sono
stati precondizionati con iniezioni i.p. di diluizioni dinamizzate di antigene KLH
(da 10-ta M a 10-36 M) e di soluzione salina (per controllo). Quindi sono stati
regolarmente immunizzati con KLH in adiuvante di Freund completo o incomple-
to. I livelli sierici di anticorpi specifici furono determinati con il metodo ELISA e
i risultati mostravano un aumento significativo della risposta IgM specifica con
tutte le diluizioni di precondizionamento, e un'aumento significativo della risposta
IgG specifica negli animali pretrattati con KLH 1,0-36 M. Gli autori concludono che
quantità estremamente basse di antigene sono sufficienti per l'immunomodulazio-
ne specifica e che in particolare "le diluizioni omeopatiche al di là del numero di
Avogadro hanno ancora qualche effetto". Tuttavia, continuano gli autori, "date le
vaste implicazioni di tali ritrovati, questi esperimenti devono essere rigorosamente
ripetuti e confermati".
Un altro punto interessante, che risulta dalle sperimentazioni su animali,
riguarda l'importanza del fattore cronologico: uno stesso trattamento sarà percepi-
to diversamente da un organismo in funzione dell'ora del giorno (ritmo circadiano)
o del mese dell'anno (ritmo circaannuale). Questa variabilità e le sue possibili
66 Ricerche su animali e di laboratorio
essere mediata dai centri nervosi ipotalamici, sia che il precondizionamento con
dieta ipersalina rende l'animale più sensibile al rimedio Natrum muriaticum.
Cuprum (rame) è utilizzato nella terapeutica omeopatica come antispasmodico.
un gruppo francese [santini et al., 1990] ha sviluppato un modello animale per
valutare il possibile effetto diCuprum sulla motilità digestiva. Una soluzione 4 CH
di tale rimedio (corrispondente circa a 10-10 moli/l) veniva somministrata (0.3 ml/
i.p.) a topi, i quali poi ricevevano un trattamento con neostigmina in dosi ponderali
(50 pglkg), un farmaco che accelera la motilità intestinale. Il parametro misurato
era la distanza percorsa nell'intestino dalla fenosulfonftaleina. I risultati hanno
mostrato che il trattamento omeopatico riduce significativamente l'effetto della
neostigmina, riportando la velocità di transito intestinale a valori vicini a quelli di
topi non trattati con neostigmina.
L'omeopatia va trovando applicazioni anche in medicina veterinaria. Ad
esempio, è stato riportato uno studio eseguito su bovini dove si dimostra che il
rimedio Sepia, alla diluizione di 200CH riduce significativamente alcune compli-
canze tipiche del periodo post-parto [Williamson et al., 1991] e uno studio eseguito
su suini dimostrante che varie combinazioni di Lachesisl Pulsatillalsabina, Lache-
sislEchinacealPyrogeniurn, associate aCaulophyllum (tutti in basse diiuizioni, fra
D1 e D6), hanno effetti profilattici e terapeutici sulle infezioni (metriti e mastiti)
delle scrofe e sulle diarree dei porcellini [Both, 1987].
Infine vale la pena soffermarsi su recenti lavori pubblicati dal gruppo coordinato
da Endler [Endler et al., 1991; Endler et al., 1991b]. In tali studi, due laboratori
austriaci (Graz) e uno olandese (Utrecht) hanno dimostrato che diluizioni estreme
(D30) di tiroxina (T) sono in grado di inibire significativamente (p<0.01) la
metamorfosi dei girini ed anche la spontanea tendenza delle piccole rane ad uscire
dall'acqua. Le prove sono state eseguite nel corso di decine di esperimenti in cui
erano paragonate le diluizioni di tiroxina con diluizioni del solvente (acqua) portate
avanti in parallelo. A favore della qualità di queste sperimentazioni sta il fatto che
le soluzioni utilizzate per le prove erano codificate da un ricercatore indipendente
ed i codici erano comunicati solo alla fine degli esperimenti, una procedura quindi
in "doppio cieco", che è raramente lutilizzata nelle convenzionali ricerche sugli
animali. Questo modello sperimentale si è dimostrato molto versatile, allo scopo di
trovare le condizioni ottimali di metodica, di tempi e di dosi per ottenere i migliori
risultati: tra l'altro, è stato dimostrato che effetti significativi appaiono già pochi
minuti dopo l'esposizione degli animali alla diluizione di tiroxina.
In questa sezione sono citati anche alcuni studi sperimentali eseguiti su soggetti
umani sani, non essendo essi dei trials clinici per provare l'efficacia terapeutica di
un farmaco, ma vere e proprie sperimentazioni tese a individuare il suo possibile
meccanismo d'azione. Tali sperimentazioni potrebbero essere anche inquadrate
nell'ambito del classico "proving" omeopatico, che da qualche tempo tende ad
Ricerche su animali e di laboratorio 69
Il gruppo di Aubin [Pennec and Aubin, 1984; Aubin, 1984] ha condotto studi
pionieristici sulla attività cardiotossica dell'aconitina e della veratrina, sostanze
che sono usate in omeopatia. A basse diluizioni (alte concentrazioni) (10r M)
I'aconitina provocava, sul cuore isolato e perfuso, fibrillazione, a medie diluizioni
(10r M) provocava bradicardia, ad alte diluizioni (i0-ts tU; non aveva alcun effetto
sul cuore sano, ma sul cuore pretrattato con basse diluizioni di aconitina aveva un
netto effetto protettivo e normalizzatore del ritmo e di altri segni di cardiotossicità.
Risultati analoghi sono stati ottenuti con la veratrina [Pennec et al., 1984a; Pennec
et al., 1984b]. Tali esperimenti confermerebbero l'efficacia delle alte diluizioni su
cellule e tessuti in qualche modo sensibilizzati o predispostida situazioni patolo-
giche.
Benveniste e collaboratori [Hadji et al., 1991] hanno recentemente riportato in
forma preliminare dei risultati ottenuti con un modello sperimentale costituito dal
cuore di cavia isolato e perfuso (sistema di Langendoff). II flusso coronarico di
questi cuori aumentava con l'infusione di altissime diluizioni di istamina (superiori
70 Ricerche su animali e di laboratorio
a D30) così come avviene normalmente con le normali basse diluizioni. L'infusio-
ne di solo tampone (in cieco) o di una alta diluizione dell'analogo metil-istamina
non modificava il flusso coronarico. La attività vasodilatatrice dell'istamina in
altissime diluizioni era distrutta con trattamento a 70 oC per 30 minuti o a seguito
di esposizione ad un campo magnetico di 50 Hz per 15 minuti. Gli autori hanno
concluso che I'acqua, privata del soluto mediante diluizioni seriali, trattiene una
specifica attività che può essere soppressa mediante trattamenti fisici che non hanno
effetto sul soluto di per sé.
Frammenti (coleottili) di piantine di avena durante la fase di rapida crescita sono
state messe in coltura in presenza del fattore di crescita vegetale acido indolacetico.
In queste condizioni, un pre-trattamento con diluizioni omeopatiche di caco,
(5CH) ha causato un aumento statisticamente significativo della crescita rispetto al
coleottili trattati con solo acido indolacetico [Bornoroni, 1991]. È interessante il
fatto che l'autore suggerisce un possibile meccanismo d'azione della diluizione di
CaCOr, e cioè che essa possa aumentare la concentrazione di Ca2* extracellulare e
quindi di conseguenzaagire in sinergismo con I'acido indolacetico nell'attivare la
pompa H*/K* (che provoca acidificazione cellulare ed aumento di proliferazione),
oppure favorire una migliore captazione dello ione Ca2* presente nel mezzo di
coltura e quindi aumentare la attivazione cellulare.
Il gruppo di Doutremepuich, autore delle sperimentazioni dell'aspirina in alte
diluizioni sull'uomo sano (v. sezioneprecedente) hariportato anche studi su colture
di frammenti vascolari e piastrine del sangue [Lalanne et al., 1990; Lalanne et al.,
1991,).Laaggregazione piastrinica viene rallentata come velocità e diminuita come
entità globale dalla presenza, nel mezzo di incubazione di frammenti di parete
vascolare. Questo fenomeno è ben noto ed è probabilmente dovuto alla produzione
di qualche mediatore fisiologico. Gli autori citati hanno dimostrato che alte
diluizioni di aspirina in preparazione omeopatica (5CH) reversibilizzano l'effetto
inibitorio dei frammenti vascolari, quindi, in pratica, riportano al normale una
aggregazione precedentemente inibita: il risultato costituisce una prima contropro-
vainvitro di quanto riportato sul soggetto umano sano, dove l'aspirina altamente
diluita riduce il tempo di sanguinamento.
GIi studi più significativi sono stati condotti sui basofili umani, usando il test di
degranulazione [Benveniste, 1981; sainte-Laudy,1,987; cherruault et al., 19g9].
Questo test indaga le proprietà di metacromasia di queste cellule, usando un metodo
di conta dei basofili al microscopio ottico. È stato recentemente dimostrato dal
gruppo di Benveniste che tale fenomeno è dovuto a modificazioni dei trasporti di
Ricerche su animali e di laboratorio 77
100
a
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C§
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o) 40
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.-F {--t{- - -- }-{--- {r - } 4.._ _1-_
(§
6
0
10 20 30 40 50
Anti-lgE antiserum (log dilution)
Figura l. Andamento della "degranulazione " dei basofili all'aumentare della diluizione di
anticorpo anti-IgE. Figura tratta, con autorizzazione,dal lavoro di Davenaset al.,
1988 (Copyright: Macmitlan Magazines Ltd).
I dati riportati nel citato lavoro su Nature sono criticabili sotto alcuni aspetti di
tipo procedurale, ma qualsiasi filone della ricerca scientifica ha avuto all'inizio
problemi di tipo metodologico ed anche interpretativo. Aver voluto mettere alla
berlina il gruppo di Benveniste come è stato fatto dalla redazione di Nature ha molto
della manovra politico-editoriale e poco di un vero dibattito scientifico. Che ciò sia
vero è dimostrato anche dal fatto che sugli ultimi studi di Benveniste è stato fatto
un totale silenzio da parte della comunità scientifica. Non è stata fatta nessuna seria
critica, è come se i nuovi dati non fossero stati neanche pubblicati, ed il vasto
pubblico resta dell'idea che la memoria dell'acqua sia solo una pura invenzione. Ma
questo, secondo Benveniste non è un procedere scientificamente valido: "ci sono
solo due possibilità - egli scrive in un commento - o che i dati siano sbagliati e deve
essere mostrato che lo sono, o che sono giusti, ed allora rappresentano una scoperta
fondamentale della biologia, che non solo legittima l'effetto alta diluizione/
agitazione usato in omeopatia, ma anche raggiunge il cuore di ogni processo
biologico, la comunicazione molecolare. Quindi bisogna che il problema sia
conosciuto, che si facciano più esperimenti, che si estenda la cooperazione
internazionale così che questi importanti risultati e le loro implicazioni siano
pienamente riconosciuti".
Un altro gruppo francese ha investigato l'effetto di vari farmaci omeopatici, e
soprattutto dell'istamina diluita omeopaticamente, sulla "degranulazione" (osser-
vata al microscopio) dei basofili [Cherrault et al., 1989; Boiron and Belon, 1990].
L'attività inibitoria di diluizioni centesimali progressive era evidente con picchi di
attività che si alternavano a diluizioni inefficaci. I massimi erano attorno alle
diluizioni 7CH,17CH, 28CH, 39CH e 51CH. Tutti gli esperimenti erano eseguiti
in cieco, nel senso che lo sperimentatore non sapeva con quale diluizione stava
lavorando. Un controllo era fatto con diluizioni di istidina, che si sono dimostrate
inefficaci, riducendo le possibilità che si tratti di artefatti.
Recentemente, il gruppo di Sainte-Laudy e Belon ha riportato altri dati a
conferma del fatto che alte diluizioni di istamina (cloruro di istamina puro)
inibiscono significativamente la degranulazione dei basofili (sensibilizzati con
anticorpi IgEverso il dermatofagoide) indottainvitro da estratti di dermatofagoide.
Su una serie di sedici diluizioni centesimali progressive (da 5CH a 20CH), gli autori
hanno osservato attività inibitoria dell'istamina in diluizioni attorno alla 7CH e alla
18CH.
L'aggiunta di dosi farmacologiche di cimetidina (antagonista dei recettori H2
per l'istamina) aboliva l'effetto di tutte le diluizioni attive. Gli autori quindi
propendono per il coinvolgimento dei recettori H2nellaazione delle alte diluizioni,
anche se ammettono che "è paradossale pensare in termini di biologia molecolare
quando teoricamente non vi sono molecole dell'effettore in alcune delle diluizioni
attive testate" [Sainte-Laudy et al., 1991].
Ricerche su animali e di laboratorio 75
sulla linea delle prove di tossicità eseguite su animari (v. sopra) il gruppo di
Boiron [Boiron et al., 1981] ha riportato che il mercurio (Hgclr) in minime dosi
[5CH] protegge le colture di fibroblasti dalla intossicazione di dosi elevate di
mercurio. Il parametro studiato era l'indice mitotico. Altri [Mansvelt and Van
Amons 1975] hanno osservato un effetto citotossico del HgCl, su Iinfociti di topo
in coltura a dosi da 10-s a 10-6 M, mentre un effetto inibitore della crescit a, senza
citotossicità, a dosi da 10-16 a 10-17 M. Questo effetto però non è stato ritrovato da
un altro gruppo che ha studiato l'azione di diluizioni da 10-10 a 10-18 M sullo stesso
modello [Kollerstrom, 19821.
Particolarmente interessanti appaiono due lavori che riportano l'effetto di
Phytolacca sulla blastizzazione linfocitaria [Colas et al.,197 S; Bildet et al., 19g1].
La fitolacca contiene una glicoproteina, il pokeweed mitogeno, conosciuto per
indurre la trasformazione linfoblastica in coltura dei linfociti B. Phytolacca è anche
ttilizzatada molto tempo (prima che ne fosse conosciuta la azione immunologica
invitro) empiricamente in omeopatia in numerose affezioni comportanti adenopa-
tie, come ad esempio la mononucleosi infettiva e la patologia virale in otorinola-
ringoiatria [Mossinger, 1973; Poitevin, 1988c]. su linfociti a riposo, diluizioni
5cH, 7cH e 15cH di Phytolacca non hanno nessun effetto mitogeno, ma su
linfociti stimolati con dosi ponderali di fitoemagglutinina (pHA) esercitano un
effetto inibitorio sulla mitosi dal 28 al73Vo (massimo effetto Ia 15CH in un lavoro
[Colas eta1.,1975),la7CH in un altro lavoro [Bildet et al., 1981]). In queste
sperimentazioni ancora una volta risaltano i concetti di tropismo biologico (per cui
una soluzione ultra diluita ha una attività che si indirizza sullo stesso sistema
bersaglio della sostanza non diluita) e di inversione degli effetti (per cui la soluzione
diluita inibisce l'effetto della sostanza originale o di una simile).
Uno studio sull'azione di sostanze succussate su linfociti umani stimolati con
fitoemoagglutinina (PHA) e su granulociti PMN stimolati con zimosan opsonizza-
to (za) è stato perseguito dal gruppo di olinescu di Bucharest
[Chirila et al., 1990a
e 1990b]. Da sangue periferico di pazienti allergici al veleno d'ape o immunode-
pressi (cancerosi) sono stati isolati linfociti e granulociti pMN, e si è valutato
l'indice stimolatorio in seguito a PHA (test della timidina tritiata) per i linfociti o
la produzione di o, dopo Zo (test della chemiluminescenza) per i granulociti.
Prima di essere stimolati i linfociti erano incubati in un mezzo supplementato con
varie diluizioni di veleno d'ape e i granulociti con varie diluizioni di cortisolo (2C,
7c, 14c, 30c). Per controllo alcune cellule erano supplementate con acqua
distillata succussata o non. È stato trovato che i linfociti di pazienti allergici erano
inibiti nella risposta proliferativa dalle alte diluizioni del veleno 7c, 15c,30c.
L'inibizione non era osseryata nei controlli supplementati con acqua succussata e
non. I pazienti immunodepressi avevano bassi indici stimolatori linfocitari, sia in
presenza che in assenza di diluizioni di veleno d'ape. per quanto riguarda la
76 Ricerche su animali e di laboratorio
produzionedio;deiPMNstimolaticonZainpresenzadicortisolodiluito,
vengonoriportaterispostediverserispettoaicontrolli,siastimolatoriecheinibito-
rie,maidatinoneranostatisticamentesignificativi.Secondogliautoriidati
sulle strutture
delle diluizioni succussate
ottenuti suggeriscono un possibile effetto
di membrana delle cellule'
(leucociti polimorfo-
vi sono anche altri lavori eseguiti sulle cellule fagocitarie che vengono usate
state testate Sostanze
nucleati e macrofagi)' In questo "u.o ,ono
vi infiammazione acuta con forte componente
i, o*roputi" nelleiiiuaziàni in cui è
et al., L983] un effetto inibitore di
di polimorfonucleati. É stato riportato [poitevin
Belladonna F"rru* phirpnàriru*a
diluirioni 5cH e 9CH sulla produzione di
" indotta du opsonizzato'
radicali liberi dell,os.i-grno l"t r.iluminescenza) 1T:run all,incirca
raggiungeva circa i|30 40v0,
L,inibizione era altamente significativa e
la stessa inibizione ottenutaion 10 pM desametazone e 0.1 mM indometacina'
Contemporaneamente,èstatatestataApismellifica,nontrovan.doperòvariazioni
esiste una notevole differenza di sensibi-
significative. Gli autoii fanno notare che
problema della diversa sensibilità di
lità individuale a questi farmaci. Questo
cellule isolate da diversi soggetti è stato
*"r.o in luce anche da altri [Moss et al''
1,gg27,che hanno inàuguto"i,.ffetto
di B.elladonna, Hepar sulfur, Pyrogenium,
ottenendo risultati contrastanti'
silicea e staphylocorànu* sulla chemiotassi,
Quest'ultimolavoroèstatocriticato[Poitevin'1988a]inquantolesoluzioniusate
potrebbe così spiegare la variabilità dei
nelle prove non erano sterili e quinài si
risultati.
che Bryonia 4CH e 9CH hanno
È stato anche riportato (in forma preliminare)
ossidativo dei leucociti polimorfonu-
avuto un effetto stimolanteìul metabolismo
cleati,siadirettocheindiretto(aumentandolarispostaapeptidichemiotattici)
1988]'
[Fletcher and HalPern,
Poichénelnostrolaboratorioèinusocorrenteunmetodoperlamisuradella
dei globuli
anione superossido e della aderenza)
funzionalità (come produzione di
bianchi,inparticolaredeineutrofili,èstatoseguitounapprocciosimileaquellodel
gruppodiBenveniste,cercandodiattivaretalicelluleconsoluzionidiagonistio
nostri risultati [Bellavite et al" 1991a]
antagonisti diluite col metodo omeopatico.I
sonostatisostanzialmentenegativi,nelsensocheleattivitàcellularisubivano in
range di diluizioni tra D4 e D10' quindi
un,influenza dei composti testati in un nella ricerca
simili a quelle comunemente usate
condizioni in cui le ào.i "runo che anche Benveniste ha provato
convenzionate. nisogna comunque sottolineare
a testare alte diluizioni su granulociti
neutrofili e piastrine, con risultati negativi
(comunicazione Personale)'
Unaltroapproccioallostudiodeifarmaciomeopaticisusistemicellularièstato
degli effetti di preparazioni omeopatiche
da noi perseguito mediante lavalutazione
o"i neutrofili in coltura' attivati con
in fiale iniettabili, sul metabolismo ossidati*
Ricerche su animali e di laboratorio 77
peptidi formilati [Bellavite et al., 1991b; Chirumbolo et al., 1992].I risultati di tali
ricerche, basate sulla analisi di una larga serie di composti in molteplici diluizioni,
possono essere così riassunti: a) Manganum phosphoricumD6 eD8, Magnesium
phosphoricumD6 eD8, Sulphur D6, Acidum citricum D3;' Acidum succinicum D3
e D4 hanno effetti inibitori altamente riproducibili; b) Acidum fumaricum ed
Acidummalicum(entrambe alladiluizione D4) hanno effetti lievemente potenzian-
ti sul metabolismo ossidativo; c) Phosphorus e Magnesium phosphoricumhanno
presentato spesso, nel corso delle varie sperimentazioni, degli effetti inibitori anche
a diluizioni molto elevate (superiori alla D15), ma tali effetti non comparivano
sempre nelle stesse diluizioni, rendendo così difficile una valutazione statistica del
fenomeno. Tali risultati si prestano a molteplici interpretazioni sulle possibili
ragioni degli effetti osservati dal punto divistabiochimico.Innanzitutto essi stanno
a dimostrare che le soluzioni usate hanno, a dosi medio-alte, determinati effetti sulle
cellule del sangue. Inoltre, i dati sembrano suggerire che la maggior parte dei rimedi
testati agisce in modo da interferire con sottili meccanismi regolatori della cellula,
che sono notoriamente basati su scambi ionici, processi di fosforilazione e di
ossido-riduzione. In questi meccanismi hanno, nella normale fisiologia cellulare,
una grande importanza il fosforo, lo zolfo, il magnesio, il manganese, il calcio ed
altri elementi.
Il gruppo di Wagner [Wagner, 1985; Wagner, 1988; Wagner et al., 1988;
Wagner and Kreher, 1989] ha affrontato sperimentalmente il problema dell'effetto
a livello cellulare (sui leucociti) di basse dosi di estratti vegetali usati in omeopatia
e, inoltre, dei non usuali cambiamenti di effetto osservati nelle curve dose risposta.
Tra le varie sperimentazioni, paiono particolarmente interessanti quelle che ripor-
tano che naftochinoni (plumbagina, alkannina, ecc.) ed agenti citostatici (vincristi-
na, methotrexate, fluorouracile, ecc.) ad alte concentrazioni (100 pg - 10 nglml)
inibiscono, mentre a concentrazioni molto basse (10 pg - 10 fglml) stimolano la
blastizzazione linfocitaria e la fagocitosi granulocitaria. Dosi intermedie sono
inefficaci. Gli autori hanno suggerito che alcuni effetti antitumorali di estratti
vegetali potrebbero spiegarsi anche con questo meccanismo di duplice effetto a
seconda delle dosi.
Sono stati riportati vari esperimenti eseguiti su cellule vegetali. Tra questi,
paiono particolarmente significativi quelli che dimostrano come un pre-trattamen-
to con diluizioni omeopatiche di tossici (ad esempio CuSO) protegge le cellule
vegetali dall'intossicazione con dosi medio-alte del tossico stesso [Guillemain et
a1.,1984; Guillemain et al., 1987].
78 Ricerche su animali e di laboratorio
alte diluizioni, ma che finora troppo poche ricerche sono state riprodotte da gruppi
indipendenti.
Ovviamente, scarsa attendibilità non significa falsità. Il giudizio di cautela sulla
attendibilità di ricerche non ancora riprodotte in diversi laboratori è d'obbligo in
ogni caso, ma quanto detto non vuole significare che una parte, anche consistente,
delle ricerche sin qui compiute non sia valida. Resta Ia necessità, sempre più
urgente, che le sperimentazioni vengano estese ed intensificate, soprattutto a livello
di centri di ricerca di primo piano, che vengano assegnati fondi ai gruppi interessati
e che cessi I'ostracismo a livello universitario per tutto ciò che ha a che fare con la
medicina omeopatica.
Nel complesso quindi, la sperimentazione di laboratorio che si è venuta
accumulando negli ultimi anni comincia a fornire utili informazioni che, aggiun-
gendosi a quelle più tradizionali ma più difficilmente controllabili della pratica
clinica, consentono di formulare alcune conclusioni:
La attività biologica
ed eventualmente terapeutica di farmaci in dosi basse o
bassissime potrebbe essere dovuta al fatto che Ia alterazione dei sistemi
fisiologici
durante la malattia li predispone ad una variazione della sensibilità a
livellò di
specifici recettori, fatto ben noto anche alla farmacologia classica
[Brodde and
Michel, 19891.
L'effetto del farmaco di tipo omeopatico potrebbe perciò spiegarsi (intendendo
questa spiegazione solo come una prima ipotesi di Iavoro) in due
modi: il farmaco
stimola alcuni meccanismi biologici che sono inibiti o bloccati dai fattori patoge-
netici esogeni o endogeni, oppure il farmaco inibisce un meccanismo di rispòsta
che
è attivato in modo sproporzionato o distorto clall'agente causale della malattia.
Questa discussione sarà ampiamente ripresa nel capitolo 6.
Tuttavia, molti lavorisu soluzioni altamente diluite suggeriscono che il tipo
di
informazione e di segnale veicolato da queste soluzioni differisce, alnreno
per
alcuni aspetti, da quelle conosciute dalla biologia e farmacologia classiche.
Il fatto
che molti esperimenti mostrino che l'effetto aumenta, o rimane stabile, od oscilla
tra aumento e diminuzione, durante successive diluizioni farebbe ipotizzare
che
una informazione specifica di un composto a dosi omeopatiche possa essere attivata
o amplificata dal processo di diluizione ed agitazione. Si tratterebbe quindi di
attività biologica in presenza di tracce di molecole o in loro assenza, tanto
che è stato
coniato il termine biologia metamolecolare et al., 19gg].
fDavenas
La natura precisa di questo fenomeno resta ancora ignota, ma è chiaro che
la
spiegazione vada cercata in un particolare comportamento fisico chimico
del
solvente (acqua, o acqua con varie percentuali di etanolo) durante il processo
di
diluizione ed agitazione. Le particolari caratteristiche delle soluzioni acquose
di
composti altamente diluiti saranno approfonclite nel capitolo 7.
Ricerche su animali e di laboratorio 81
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Figura 2. Schema
di un
una mara*ia.
;'3J::,Hi::fl:::;":,ffi:che rappresenra
i possibiri eventi
di
92 C omplessità, infor mazione e inte grazione
occupano quindi una posizione centrale nella dinamica evoluzione di una malattia:
un buon funzionamento conduce alla riparazione ed alla guarigione (freccia
grande), ma essi stessi possono provocare ulteriore danno, innescando una sorta di
feed-back positivo patologico. ovviamente, se il danno, diretto o indiretto, è grave
o irreversibile, si entra in un quadro di non-ritorno che può portare alla morte o alla
presenza di invalidità permanenti (stato patologico).
Gran parte dei segni e sintomidellamalattia derivano non tanto dal danno diretto
dell'agente eziologico, quanto dalle reazioni dell'organismo.
Nello schema della figura 2 è indicata un'altra possibile evoluzione del quadro
fisiopatologico-tipo: I'adattamenfo. Esso è una evoluzione in un certo senso
intermedia tra guarigione e stato patologico, in quanto rappresenta un nuovo stato
di normalità adattata alle mutate circostanze. Ad esempio, se vi è stato un danno
polmonare che ha ridotto Ia superficie di scambio alveolo-capillare, il sistema
omeostatico che controlla il livello di ossigenazione reagirà con produzione di un
maggior numero di globuli rossi (poliglobulia). La poliglobulia non è normale in
soggetti che non soggiornino in alta montagna, ma non si può neanche considerare
uno stato patologico, anche se si tratta di una modificazione "long-term". Se per
ipotesi si riuscisse a far regredire il quadro polmonare, la poliglobulia scomparireb-
be. Altri esempi di adattamenti potrebbero essere l'ipertrofia cardiaca e le modifi-
cazioni della funzionalità renale in corso di ipertensione, la linfoadenomegalia del
bambino esposto a continua stimolazione immunologica, l'iperinsulinemia nel-
l'obeso, le steatosi d gli xantomi in alcune dislipidemie, ecc.
Se la malattia è dis-informazione di sistemi complessi, per andare al cuore del
problema è necessario, ma non basta, l'approccio molecolare, che analizzasolo un
aspetto della informazione. Nuovi approcci, nuovi modelli, nuovi concetti comin-
ciano ad essere introdotti in biologia al fine di superare questo problema. Non è
sufficiente capire i singoli elementi e cercare di metterli assieme secondo un
modello "informatico" o cibernetico: nessuno crede più che sia possibile formulare
un modello preciso, predittivo, che sappia tenere conto di tutte le variabili in gioco
in una singola cellula, quindi tanto meno è possibile sperare di costruire modelli
esatti del funzionamento di organi o sistemi.
Di fronte a questo dato di fatto, si potrebbe essere tentati di concludere che non
è possibile descrivere esattamente la malattia e quindi di conseguenza non è
possibile concepire un intervento terapeutico che sia completamente razionale e
finalizzato alla guarigione della malattia stessa. Se così fosse, si dovrebbe quindi
accontentarsi di comprendere alcuni aspetti della malattia (cosa certamente oggi
possibile) e fare una terapia basata su quelli: ad esempio una terapia antiinfiamma-
toria, o analgesica, o sostitutiva, ecc. Ciò non significa che queste ultime terapie non
siano utili ed efficaci in molti casi, o che possano anche favorire i processi di
guarigione definitiva messi in atto dall'organismo stesso. Significa avere realisti-
Complessità, informazione e integrazione 93
camente coscienza del tipo di intervento che si sta facendo e quindi anche
comprendere il perché in molti casi le terapie attualinon sono sufficienti a risolvere
il problema.
Per cogliere con un'immagine il nucleo del problema della regolazione infor-
mativa dei processi vitali, e quindi anche dei suoi aspetti patologici, si potrebbe
rifarsi al modello dell'orchestra. L'orchestra è I'organismo, la musica è la sua vita.
Nell'orchestra c'è una parte materiale, "molecolare", composta da strumenti con
una loro ben precisa struttura e da suonatori con una loro capacità recettoriale,
elaborativa e motoria. Ciò che conta però è che suoni in armonia secondo un
programma costituito dallo spartito musicale e seguendo il ritmo dato dal direttore.
Un'esecuzione può riuscire male perché qualche parte materiale si rompe (ad
esempio le corde di un violino, o lo sgabello di un suonatore), ma può riuscire male
anche perché qualcosa non funziona nell'accordo tra i vari suonatori. Labontà della
musica che l'orchestra suona ha come condizioni la qualità degli strumenti, la
qualità dello spartito musicale, Ia qualità del direttore, ma soprattutto I'accordo,
l'armonia tra di essi. Se interviene un rumore di disturbo dall'esterno, o un
orchestrale è stanco o distratto, si rischia la stonatura, tanto più grave quanto meno
il direttore d'orchestra sa tenere in pugno la situazione. Se la stonatura è notevole
o il direttore debole, il difetto può coinvolgere tutta l'orchestra con grave detrimen-
to per l'opera nel suo insieme. Questo esempio ci fa capire che non è necessario che
vi sia primariamente una anomalia strutturale per avere poi un effetto anche
disastroso. Una dis-informazione in un sistema complesso può insorgere anche per
sottili e non immediatamente percepibili deviazioni dalla normalità, che vengono
poi amplificate elo stabilizzate da meccanismi di adattamento e di feed-back
positivo. Nell'organismo sano questa orchestra suona in continuazione, in modo
coordinato. È dificite dire se esiste un "direttore d'orchestra", perché tutte le parti,
compreso il cervello, funzionano influenzandosi reciprocamente. Non si può
comunque negare che esiste una gerarchia di importànza per cui alcuni sistemi
hanno maggiori funzioni di controllo e quindi possono essere considerati più
importanti sul piano regolativo.
Al di là dell'esempio fatto, esiste il modo di affrontare razionalmente il
problema della complessità? In assenza della possibilità di costruire modelli esatti
e dotati di predicibilità dei vari fenomeni, si tratta di vedere se si possono
individuare almeno alcune "regole fondamentali" di comportamento dei sistemi
complessi, in modo da sfruttarle perun eventuale intervento di modulazione. Come
si è già detto, lo studio della complessità è un campo di frontiera per Ia scienza, e
vi sono impegnati matematici, fisici e biologi. È molto probabile che da questi studi
si avranno notevoli ricadute anche nel campo biomedico. È facile intuire che questi
concetti che si riferiscono ai comportamenti dei sistemi complessi possono avere
delle notevoli correlazioni con l'interpretazione dei meccanismi con cui i sistemi
94 C omp le s s it à, infor mazio ne e inte g r azio ne
gio" che parlano i sistemi della infiammazione tende oggi a divenire coerente con
tnmodello cibernetico e contiene parole quali "segnali,',,.mediatoti,,,o,target,,
"attivazione","regolzione", "messaggio" (inter ed intra cellulare), ,,primin E,,,,de
sensibilizzazione", "memoria", ecc.
Qui si tratta piuttosto estesamente del processo infiammatorio peiché, essendo
il principale sistema di reazione e di riparazione nei confronti dei danni di qualsiasi
genere, deve necessariamente occupare una posizione centrale nel quadro di ogni
ipotesi che consideri il meccanismo d'azione dell'omeopatia. Infatti, si è visto che
tale tipo di medicina afferma, sin dalle sue origini, di mirare ad attivare Ie capacità
di reazione endogene ("forzavitale"). Alcune parti di questa sezione sono riprese
da una precedente rassegna sullo stesso tema [Bellavite, 1990b].
Si può definire f infiammazione (detta anche flogosi) una risposta integrata del
tessuto ed anche dell'intero organismo (quando il processo è sufficientemente
ampio) al danno causato da agenti esterni ed interni. Questa serie di risposte
consistono in modificazioni deivasi sanguigni, del plasmacircolante ed anche delle
cellule, soprattutto della serie bianca. Su scala generale, awengono molti altri
fenomeni causati dalle ripercussioni a distanza del processo che si è originato in
sede locale.
' L'inquadramento della reazione infiammatoria come una fase di un processo
continuo che va dal danno alla guarigione o ad un ulteriore danno è in sintonia con
quello di "vicariazione progressiva" o di "metastasi morbosa" (intesa in senso più
estensivo del concetto di metastasi della medicina convenzionale), tradizionalmen-
te formulati dalla omotossicologia e dalla omeopatia per suggerire che esiste un
legame profondo e consequenziale tta le varie fasi che fanno la "storia" delle
malattie di un paziente. Il campo dell'infiammazione rappresenta un argomento
ideale di studio per Ia omotossicologia e la medicina naturale in generale. Infatti è
proprio obiettivo di tale tipo di approccio terapeutico quello di cercare di utilizzare
sistemi di cura che cooperino col processo di guarigione naturale sfruttandone le
grandi potenzialità intrinseche.
Il territorio dove si svolge la maggior parte del processo infiammatorio è il
tessuto connettivo, composto da cellule di derivazione mesenchimale, da leucociti,
da terminazioni nervose afferenti ed efferenti, da reti vascolari ematiche e linfati-
che, da fibre e sostanza fondamentale. La rete dei capillari in un tessuto è formata
da cellule endoteliali poggianti su di una sottile membrana basale. Il flusso di
sangue nei capillari è determinato soprattutto dallo stato di apertura delle arteriole
e delle loro ultime diramazioni che sono dotate di muscolatura liscia con funzioni
96 Comp lessitò, informazione e inte grazione
a) Le cellule muscolari lisce delle ultime diramazioni arteriose, dopo una iniziale
contrazione, si rilassano, consentendo l'ingresso di molto più sangue, che
circola nella rete capillare, prima velocemente, poi sempre più lentamente,
infarcendo tutto il tessuto (da cui la antica notazione dei caratteri "rubor" e
"calor"). un importante ruolo, in questa fase, è giocato dalle stesse ceflule
endoteliali che, attivate dai cambiamenti chimico-fisici dell'ambiente circo-
stante, producono una serie di molecole mediatrici degli ulteriori eventi.
b) Le mast cellule presenti nel connettivo liberano i loro granuli contenenti
istamina ed altre sostanze, causando di conseguenza la apertura di spazi tra le
cellule dell'endotelio con fuoriuscita della parte liquida del sangue (plasma) e
formazione di essudato (l'antico "tumor", nel senso di edema, gonfiore).
c) L'essudato può diluire e portare via microbi e sostanze tossiche, per lo più
attraverso la rete linfatica, concorrendo così all'attivazione della risposta
immunitaria. L'essudato può formare una rete di fibrina, che costituisce anche
una barriera alla diffusione dei germi infettanti. Nell'essudato sono anche
presenti molte sostanze attive come mediatori dell'ulteriore sviluppo dell'in-
fiammazione e dell'amplificazione della reazione. Tra queste sostanze vi sono
fattori del complemento che stimolano le mast cellule a rilasciare l'istamina
(anafilotossine) ed altri che hanno un ruolo diretto nella uccisione dei batteri.
Alcuni dei mediatori stimolano anche le terminazioni nervose sensitive, causan-
do dolore e causando, fatto scoperto piuttosto recentemente, il rilascio da queste
terminazioni di neuropeptidi che a loro volta incrementano la risposta flogistica.
d) vi è poi l'intervento, nel focolaio flogistico, dei globuli bianchi, in primis dei
granulociti che, avvertendo le modificazioni dell'endotelio e dei liquidi tissu-
tali, escono dai vasi, richiamati da prodotti degli stessi batteri, dai detriti
cellulari, dalle endotossine, da frammenti di fibrina, dal complemento attivato
e da specifiche citochine come l'interleuchina-8.
e) Nelle fasi più tardive della reazione si troveranno anche linfociti, monociti e
macrofagi (flogosi cronica). I fibroblasti entrano in gioco, come è noto, nelle fasi
riparative e nella cicatrizzazione delle ferite. Tra le possibili conseguenze
dell'infiammazione vi è l'esito in sclerosi: basti pensare alla guarigione di ferite
per seconda intenzione, ai cheloidi, alla cirrosi epatica, alla fibrosi polmonare,
alla stessa aterosclerosi, di cui molti elementi patogenetici rappresentano una
"risposta al danno".
Complessità, informazione e integrazione 97
confronti dei radicali liberi. È però anche vero che mentre non vi sono dubbi sulla
loro funzione biochimica e fisiologica, non vi è generale accordo sulla reale
efficacia clinica di somministrazione di alte dosi di questi agenti nel prevenire o
curare le malattie nell'uomo [Southorn, 1988; Dormandy, 1983; Halliwell, 1987].
Uno dei campi più recenti di studio della funzione dei leucociti nell'ambito dei
processi infiammatori riguarda la regolazione dei loro diversi livelli di attivazione,
che sono molteplici e vari. Ciò è stato dimostrato sia in sistemi in coltura che su
cellule ex vivo, estratte da soggetti sani e pazienti affetti da varie patologie. Questo
tipo di prove non sono semplici artefatti di laboratorio, maconsentono di riprodurre
una situazione che si verifica in vivo, cioè che le cellule in un malato che ha
manifestazioni infiammatorie sono "diverse" dalle cellule di un sano. Infatti è
anche noto che se si prelevano i leucociti da un paziente durante un'infezione
batterica di una certa entità, essi sono non solo cresciuti di numero, ma anche
funzionalmente più efficienti [Bass et al., 1986]. In altre condizioni patologiche,
come ad esempio in corso di infezioni virali o dopo gravi ustioni, i leucociti del
sangue sono in uno stato di desensibilizzazione, quindi manifestano deficit di
attività. Vi possono essere anche modificazioni funzionali dei leucociti in zone
diverse del corpo nello stesso paziente. Noi ed altri abbiamo dimostrato che i
leucociti estratti da un focolaio infiammatorio sono più attivi nelle risposte a
particolari fattori rispetto ai leucociti estratti dal sangue circolante dello stesso
soggetto [Briheim et al., 1988; Biasi et a1.,1991; Biasi et a1.,1992].Il fatto che le
condizioni di malattia causino in varie cellule del corpo delle modificazioni della
sensibilità dei recettori e dei sistemi di trasduzione è ben noto in molti campi della
medicina [Brodde and Michel, 1989].
Mentre fino a non molto tempo fa si pensava che gli stati di attivazione fossero
essenzialmente due: cellula a riposo e cellula attivata (ad esempio nel caso qui
trattato, cellula attivata a produrre radicali liberi), oggi si conoscono almeno cinque
livelli funzionali:
Cellulo
Cellulo iper-responsivo
normole
Cellulo .PRIMNE'
O
ipo-responsivo ATNVAZIONE
-4.' :\'
/- ;eèlL.,.r..,,r
27... dr1§1{ffi6
l.,r,.r
.... .9l§S7ril§È§
..:\l!...- . - .ì:l:r
\\ Ar[yAzoNE-a:
\\ _cEitutAilE l
Siimolo
X
Stimolo
X
Voie rlsposte
Stimdo biologiche
(es.: metobollsmo,
x No movimento, esoclto§)
risposte
Figura 3. Vari stati di attivazione di una cellula fagocitaria. Lo stesso stimolante nella stessa
dose (X) evoca risposte quantitativamente molto diverse in cellule trovantisi in
diverse condizioni di sensibilità.
lipidi delle membrane, che sono in continuo rimaneggiamento, ecc.(v. anche sez.
5.6.3).
La tabella 2 riporta un elenco di sostanze che hanno effetti regolativi ai livelli
sopra considerati.
La distinzione tra effetto o'positivo" (priming) ed agenti con effetto "negativo,,
(desensibilizzazione o inibizione) non è da farsi in modo troppo schematico: dagli
studi in questo campo sta infatti emergendo il concetto che i leucociti entrano nelle
reti informative cibernetiche della infiammazione in modo molto sofisticato e
complesso. L'intensità delle risposte dipende ad esempio:
Tabella 2.
Agenti che possono regolare la produzione di radicari riberi da parte
dei
granulociti neutrofili
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a
Complessitò, informazione e inte grazione 103
Dalla tabella 3, che riporta solo una piccola parte delle molecole con tali effetti,
risulta chiaramente quale ampio spettro di modificazioni siano prodotte dall'in-
fiammazione su tutto l'organismo. Bisogna inoltre ricordare il fatto che la maggior
parte delle citochine hanno effetti pleiotropici, cioé influenzano molteplici tipi di
cellule innescando svariate risposte.
L'altra direzione in cui si realizza il rapporto tra infiammazione e sistema
Figura 4. Esempio di una rete di comunicazioni tra leucociti che sta alla base della risposta
immunitaria. A seconda dei fattori genetici o ambientali che interferiscono, la
stessa rete può portare a una risposta difensiva normale o a malattie
autoimmunitarie. Linee piene: attivazione o trasformazione; linee tratteggiate:
inibizione. Ispirato a uno schema di Immunology Today (aprile 19g9), con
modifiche.
104 Complessitò, informazione e inte grazione
Tabella 3.
Alcune molecole prodotte dai leucociti che mediano gli effetti sistemici
dell'infiammazione
Interleuchina-1 Febbre
Sonno
Attivazione linfociti T
Sintesi proteine epatiche
Endorfine Analgesia
Oggi sono molto attivi gli studi sui meccanismi molecolari di regolazione
dell'infiammazione e dell'immunità. La decifrazione dei segnali che si scambiano
le cellule, e che percorrono I'interno della cellula a fini regolativi, va di pari passo
106 Complessità, informazione e integrazione
Tabella 4.
dei leucociti
io,trrol" neuroendocrine che regolano la funzione
Vasoactive-intestinal
Inibizione funzioni
peptide (VIP)
Inibizione funzioni
Endorfine
Aumento Proliferazione
Ormone della crescita
Priming
Priming
Insulin-like G.F.
Stimolazione funzioni
Sostanza P
Inibizione Proliferazione
Angiotensina 2
Inibizione funzioni
Glucocorticoidi
Inibizione crescita
Aumento metabolismo
Prolattina
conlapossibilitàdiattuareunamodulazioneditipobiologico.specifica.Ad
esempio,dopochesièchiaritol,importanteruologiocatodall,interleuchina.l
anche che esistono
si è scoperto
nell,attivare vari fenomeni d"u,infirÀmazione,
inibitoriendogenidell,interleuchina-l,iqualisonostatirecentementeproposti
principio d'azione
come una nuova Ji ug"nti antiinfiammatori, basati su un
chimici [Arend andDayer' 1990; Arend
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Figura 5. Andamento degli effetti dello stress sullo stato di salute in funzione del grado di
stimolazione. Schema tratto, con modifiche, da una recente rassegna sullo stress
[Farné, 1990].
punto di vista più ampio, globale e finalistico, capace di valutare nel suo insieme
la salute dell'individuo portatore di una determinata affezione.
A causa della sostanziale ambivalenza dei meccanismi biochimici dell'infiam-
mazione, si presenta ambivalente anche il tentativo di interferire a livello puramen-
te biochimico col sistema dell'infiammazione in modo da indirizzarlo verso
l'obiettivo desiderato, ad esempio aumentando l'attività infiammatoria nei soggetti
immunodepressi o neoplastici, riducendo la infiammazione negli individui affetti
da malattie da ipersensibilità o autoimmunitarie.
sia nel campo della immunostimolazione (specifica ed aspecifica), che nel
campo dellaimmunosoppressione, non mancanoimezzifarmacologici (l'industria
può oggi sintetizzare virtuamente ogni tipo di molecola, o produrla con le tecniche
dell'ingegneria genetica), ma manca spesso la possibilità di utilizzarliconsuccesso
nella pratica clinica. Se talvolta esistono casi "semplici" per la strategia terapeutica,
dove è abbastanza facile capire se vi è necessità di attivazione o soppressione di
determinati fenomeni (ad esempio nei casi in cui il sintomo dolore prevale, o nel
caso del rigetto di trapianti, o nel caso in cui vi sia un ben preciso deficit molecolare
che si può correggere con terapia sostitutiva, ecc.), molte altre volte i quadri
fisiopatologici sono talmente complessi che non si può affatto prevedere l'esito di
un intervento modulatore esterno. Per fare soltanto un esempio, è oggi sempre più
chiaro che nell'AIDS coesistono fenomeni di immunodeficienza (deplezione di
Iinfociti T4) con fenomeni di autoimmunità (attacco di linfociti citotossici anche
contro leucociti sani). Questa coesistenza preclude, sul piano teorico, la possibilità
diutilizzare sia immunostimolanti che immunosoppressori e spinge alla ricerca di
altre forme di modulazione che siano più specifiche.
si è ancora lontani dalla possibilità di costruire un modello "esatto" non solo per
quanto riguarda i sistemi di regolazione dell'infiammazione, ma anche solo peruna
singola cellula. Questa situazione non deve indurre ad una sorta di sfiducia nei
confronti della medicina scientifica, ma deve stimolare a costruire nuovi approcci
di indagine adeguati ai problemi con cui oggi ci si deve confrontare. c'è oggi la
convinzione che, mentre procede l'attività conoscitiva dei sistemi biologici a
livello molecolare (attività che negli ultimi due decenni ha già portato ad enormi
progressi sia teorici che pratici), si debba cominciare a considerare anche I'impor-
tanza dell'integrazione delle varie conoscenze in un quadro di insieme. ciò può
essere fatto studiando le interrelazioni, meglio gli scambi di informazioni, che
esistono tra sotto-sistemi ad uno stesso livello di complessità (es. scambi di
informazioni tra molecole, tra cellule, tra organi, tra individui) e tra sotto-sistemi
a diversi livelli (es. relazioni molecola-cellula, cellula-organo, organo-sistemi di
controllo centrali, individuo-società). In effetti, nel campo dell' infiamm azione-
immunità, mentre da una parte si assiste ad una vertiginosa serie di pubblicazioni
riguardanti le sequenze dei geni codificanti per recettori, antigeni e proteine varie
C omplessità, informazione e inte grazione 109
dei diversi tipi di leucociti, dall'altra si assiste anche alla nascita di una nuova area
disciplinare, la neuroimmunoendocrinologia, che raccoglie proprio le tendenze
all'integrazione delle conoscenze in campi precedentemente Iasciati ai vari specia-
listi. Le due tendenze, analitica e sintetica, non sono in contrasto ma sono
coessenziali alla comprensione della realtà.
Il sistema neuroimmunoendocrino è un tipico insieme di sistemi biologici
omeostatici che ai vari livelli tentano di mantenere l'equilibrio più idoneo alla
soprawivenza dell'organismo. Come per tutti i sistemi omeostatici, è noto che
ciascun sotto-sistema ha suoi propri meccanismi di feed-back. Esistono inibitori
endogeni per ogni principale sistema attivatore, dalla coagul azione, alle citochine,
ai fattori di crescita, ai controlli dei flussi ionici di membrana, ai secondi messaggeri
intracellulari, alla sensibilità dei recettori, ecc. Tali sistemi di feed-back sono uno
degli elementi decisivi nella dinamica del processo patologico.
Nelle malattie a prevalente componente infiammatoria, si genera una catena di
modificazioni e di adattamenti in cui raramente si vede con chiarezzaundifetto che
si possa dire determinante, cioè la cui correzione porterebbe la malattia a risolversi.
Il fatto è che nella maggior parte delle malattie, se si escludono i difetti da singolo
gene, la patogenesi è multifattoriale e per di più dinamica, cioè continua a cambiare
con l'evoluzione della malattia stessa. Si trovano fattori esterni ed endogeni,
equilibri spostati in senso positivamente reattivo, equilibri non spostati o adatta-
menti patologici a situazioni di anormalità. In questo quadro, se è vero che le
malattie guariscono solo quando si rimuove la causa (o si interferisce in modo
corretto con lapatogenesi), gli interventi immunostimolanti ed immunosoppressori
correnti sono ancora troppo lontani dal cogliere il livello eziologico, o comunque
il meccanismo patogenetico, limitandosi a toccare il livello effettore finale o quasi
finale.
Il fatto che il sistema tenda ad autoregolarsi e che le funzioni difensiva ed
offensiva dell'infiammazione siano difficilmente separabili rende molto arduo il
tentativo di interferire farmacologicamente. Infatti il farmaco ideale dovrebbe, in
linea teorica, contemporaneamente attivare le funzioni difensivo riparative ed
inibire quelle distruttive e dolorose. Una tale azione integrata e specifica non è
ovviamente posseduta da nessuna molecola, anche perché le varie funzioni sono
spesso attuate dagli stessi meccanismi biochimici. In questa ottica, appare ragione-
vole il dubbio che lo stesso uso degli antiinfiammatori (steroidei e non), pur ritenuto
necessario in molte situazioni per sopprimere i segni ed i sintomi clinici, sia sempre
scientificamente giustificato.
Quanto detto non significa, owiamente, che le terapie attuali nel campo
deil'infiammazione e dei radicali liberi siano prive di fondamenti o giustificazioni,
in quanto in realtà una serie vastissima di molecole hanno dimostrato "sul campo"
una certa efficacia, almeno nel risolvere i problemi sul piano sintomatico. Si vuole
110 Complessitò, informazione e inte grazione
solo sottolineare la necessità della ricerca di interventi più specifici e centrati sui
meccanismi regolatori situati a livelli più "alti"e che tengano conto della comples-
sità del sistema.
Recentemente l'ingegneria genetica ha messo a disposizione del medico grandi
quantità di citochine. Si spera naturalmente di poterle utilizzare per stimolare le
difese biologiche sia nelle sindromi di immunod eficienza,sia nella terapia immu-
nologica del cancro, cercando quindi di attivare i fagociti, le cellule NK ed i linfociti
citotossici con interferoni o con interleuchine (v. ad esempio la terapia con cellule
LAK di Rosemberg). Si è anche tentato di usare il tumor necrosis faaor (TNF)
come agente citotossico contro le cellule cancerose, o di impiegare i colony
stimulating faclors (CSFs) in quei casi in cui la produzione di globuli bianchi dal
midollo risulta deficitaria per svariate ragioni.
Senza negare l'indubbio valore e la necessità di queste ricerche, tuttavia bisogna
dire che i successi finora sono stati inferiori alle aspettative e limitati a pochi tipi
di tumori, soprattutto perché queste molecole non hanno effetto specifico sul
bersaglio che si vuole raggiungere, ma interferiscono con tutta la rete che si è
descritto. Insorgono così inevitabilmente effetti collaterali, tanto più gravi quanto
più elevate sono le dosi, quali febbre, ipotensione, oliguria, aumento di peso,
alterazioni epatiche, nausea, vomito, shock, ecc.
Chiaramente, il problema degli effetti collaterali dei farmaci non si limita a
questo settore, ma in questo caso il rapporto effetto/rischio appare molto critico.
Chi si occupa di queste cose a livello clinico sta recentemente giungendo alla
convinzione che per un più efficace impiego delle citochine si dovrà giocare sulle
dosi e gli schemi di trattamento, sfruttando con grande finezzal'effetto sinergico:
cioè ad esempio somministrare due o più diverse citochine a basse dosi che di per
sé non provocano effetti collaterali, ma che insieme su un bersaglio comune
provocano l'effetto desiderato.
In sistemi complessi come l'infiammazione e l'immunità è quindi molto
difficile trasferire sul piano terapeutico le numerose conoscenze di biologia
cellulare e molecolare riguardanti i singoli meccanismi coinvolti. Ciò è particolar-,
mente evidente nella terapia delle malattie autoimmuni ed in generale in ogni
intervento di tipo immunomodulatore [Bach, 1988; wybran, 19gg]. A frontedi
questa situazione non si vede perché non si potrebbe rivalutare, come strada aperta
ad ulteriori indagini, l'approccio empirico, che parte dall'uso tradizionale di
preparati fitoterapici, organoterapici ed anche dalla stessa esperienza omeopatica
ed omotossicologica (estratti batterici, nosodi, ecc.).
I preparati naturali complessi potrebbero dimostrarsi efficaci proprio in quanto
contenenti diversi composti biologicamente attivi che agiscono in modo coordina-
to. Lo studio clinico e laboratoristico di tali preparazioni come possibile mezzo di
modulazione dei fenomeni flogistici è problematico soprattutto per la difficoltà di
Complessità, informazione e integrazione 111
Ogni cellula nel corso della sua vita, che può essere più o meno lunga a seconda
del tipo, svolge molte attività, utili sia a se stessa che all'organismo, ma essenzial-
mente si trova di fronte ad una scelta fondamentale di comportamento: entrare in
mitosi o differenziarsi, detto in altri termini, replicarsio maturare. Schematicamen-
te, si può accettare la semplificazione che le due possibilità siano in alternativa, cioè
si escludano vicendevolmente. Tale scelta di comportamento va spesso ripetuta più
volte nel corso della vita della cellula e del clone che da essa deriva. La scelta di
replicarsi, di proliferare, è tipica delle cellule meno specializzate nella linea
evolutiva sia dell'individuo (embrione), che del tessuto (es. cellule basali dell'epi-
dermide, blasti del midollo osseo, ecc.). Quando il risultato della scelta è la
divisione, si avranno di conseguenzadue cellule figlie uguali a quella progenitrice,
cioè piuttosto immature. Quando la scelta è quella di differenziarsi, la cellula
assume progressivamente morfologia e proprietà di maggiore maturità nella linea
evolutiva di quello specifico tessuto.
In un tessuto si trovano quindi cellule in replicazione e cellule che via via
maturano, poi gradualmente invecchiano e muoiono. Come è noto, le cellule
mature di alcuni tessuti (es. muscolo striato, sistema nervoso) hanno una attività
proliferativa praticamente nulla ed irrecuperabile, mentre altre cellule la manten-
gono più o meno attiva a seconda delle esigenze funzionali e degli stimoli
ambientali. Le regolazioni della attività proliferativa sono particolarmente evidenti
nelle ghiandole e nei tessuti regolati per via endocrina. Alcuni cloni cellulari nei
tessuti a rapida proliferazione (midollo emopoietico, mucose) conservano un'altis-
sima attività proliferativa e scarsa differenziazione, rappresentando il pool germi-
nativo che rifornisce costantemente grandi quantità di cellule al pool maturativo.
Ad esempio, in una popolazione di cellule mieloidi come quelle del midollo
osseo normale, sono presenti cellule (blasti) in una fase proliferativa, assieme a
cellule in una fase differenziativa, verso i vari tipi di leucociti. Anche le cellule
molto immature ed in rapida proliferazione però sono sotto stretta sorveglianza
affinché la loro attività sia sempre in equilibrio con la velocità di scomparsa delle
cellule mature ed in generale con le necessità dell'organismo. Il controllo è operato
soprattutto da parte di altre cellule vicine o lontane (per via endocrina) mediante
fattori di crescita e fattori di differenziazione, oltre che da contatti cellula-cellula
e cellula-matrice. Tali fattori sono abbastanza specifici per ogni tessuto e spesso
sono anche prodotti dalle cellule stesse del tessuto man mano che maturano.
Nella neoplasia va perduto questo fine controllo ed è quindi a questo livello che
i biologi cellulari ed i biologi molecolari hanno iniziato a capire quali meccanismi
di controllo sono saltati. Sia lo studio del ciclo cellulare normale, che Io studio, più
recente, della genetica delle cellule neoplastiche stanno rapidamente delineando un
quadro su come la attività proliferativa sia regolata e su quali siano le differenze
fondamentali tra cellule normali e cellule cancerose. Ad esempio, in una popola-
Complessitò, informazione e integrazione 1,1,3
perché sono rapidamente degradati; a dosi intermedie hanno effetti sia genetici
(mutazioni) che epigenetici (attivazione di protein chinasi e di altri enzimi tra cui
la poli-ADP ribosil-transferasi), potendosi quindi comportare sia da cancerogeni
che da promoventi (Sekkat et al., 1988; Cerutti, 1991].
È noto infine che molti tumori hanno difetti nei sistemi di smaltimento dei
radicali liberi [Casaril et al., 1985; Bannister et al., 1986; Vo et al., 1988]: ciò
potrebbe costituire sia la base per un intervento più efficace dei sistemi citotossici
di sorveglianza contro il tumore, sia, però, anche il motivo di ulteriori danni al
patrimonio genetico della cellula neoplastica, con conseguente attivazione di altri
oncogeni ed incremento della malignità (processo di progressione del tumore).
Quindi nel focolaio infiammatorio (particolarmente in quello cronico, dove gli
eventi istogenetici e proliferativi sono più accentuati) ed anche nell'ambito delle
popolazioni macrofagiche che infiltrano il tumore, potrebbero coesistere, in
equilibrio instabile, eventi anti-tumorali ed eventi cancerogenetici. Di fatto, la
comparsa di displasie, metaplasie e neoplasie sovrapponentisi a flogosi croniche,
particolarmente a livello broncopolmonare, gastrointestinale ed epatico, siti dove
facilmente si localizzano anche agenti cancerogeni, è un fenomeno ben noto.
La modifica dell'informazione genetica, connessa al momento della trasforma-
zione del proto-oncogene in oncogene può consistere in diverse eventualità, sul
piano molecolare:
d) aumento delle copie del proto-oncogene per errata duplicazione del DNA
(amplificazione) o per inserzione di varie copie di oncogeni retrovirali (retrovi-
rus acutamente trasformanti). La amplificazione dell'oncogene myc è stata
osservata in casi sporadici di leucemia promielocitica, di cancro del polmone e
dello stomaco, mentre una variante particolare del myc, dettaN-myc si osserva
amplificatanella maggiorpartedei neuroblastomi. L'amplificazione dell'onco-
gene erb-B è stata descritta nel 10-30vo dei casi di cancro della mammella, ed
a tale caratteristica si associa una cattiva prognosi.
tiroidei. L'importanza delle protein chinasi è fortemente sostenuta anche dal fatto
che alcuni inibitori naturali di questi enzimi (come la briostatina e Ia genisteina)
possono bloccare la crescita di cellule tumorali in opportuni sistemi sperimentali
[watanabe et al., 1991; Jones et al., 1990]. L'argomento è, ovviamente, vastissimo
e le ricerche sono in continua espansione.
vi è poi una classe di oncoproteine (correlate ai geni ras) di diverso tipo, è che
hanno forte omologia con le G-proteine, che sono state sopra considerate quali
importanti intermedi nella trasmissione del segnale trans-membrana. È facile
immaginare come la presenza quantitativamente o qualitativamente abnorme di tali
proteine incorporate nella membrana di una cellula ne possa alterare il sistema
informativo a tal punto da impartire ordini proliferativi totalmente anomali.
Un ulteriore ed interessantissimo aspetto della oncogenesi è venuto in luce
quando si è visto che alcuni oncogeni producevano proteine omologhe a fattori di
crescita (ad es. il sis ha sequenze comuni con il platelet-derived growth factor,
PDGF, ed il àsr con il fibroblast growth factor, FGF). In questo caso il meccanismo
della cancerogenesi si spiega, almeno in parte, con il fenomeno della autocrinia: il
clone di cellule trasformate si rende indipendente da altri fattori di crescita esogeni
e si auto-sostiene nella crescita, anzi, più le cellule crescono e più fattore di crescita
è disponibile.
Infine, un diverso tipo di oncogeni (tipo myc, myb, fos, jun) hanno come prodotti
proteine che si localizzano nel nucleo cellulare, dove svolgono un ruolo decisivo
nel controllo della mitosi (ad esempio, I'oncogene /os codifica per il fattore
trascrizionale A.P.-l). Che ciò sia vero è dimostrato anche dal fatto che i proto-
oncogeni correlati (cioè le versioni "benigne" di questi oncogeni nucleari) sono in
grande attività nelle cellule in rapida crescita dell'embrione e nelle cellule blastiche
del midollo osseo, nonché ogni volta che una qualsiasi cellula normale riceve un
trattamento con fattori di crescita.
Dato che le ricerche sono in grande sviluppo, c'è da aspettarsi che altre proprietà
delle proteine degli oncogeni vengano rapidamente messe in luce. Ad esempio, una
recentissima scoperta indica che un oncogene implicato nei linfomi (bcl-2) codifica
per una proteina che inibisce la cosiddetta "morte cellulare programmata" (un
sistema ancestrale che limita la durata della vita cellulare): le cellule tumorali con
questo oncogene avrebbero quindi vita più lunga delle cellule normali, spiegando
anche in tal modo l'aumentato numero ed il vantaggio selettivo delle cellule
trasformate.
Riassumendo: la cellula neoplastica si caratterizza p$ avere uno o più dei
sistemi di regolazione alterato in senso qualitativo (cioè si tratta di una proteina
anomala, pur con somiglianze con Ia controparte normale) e/o quantitativo (cioè si
tratta di una proteina rappresentata in quantità esorbitante rispetto al normàle).
Tutto ciò porta ai caratteristici fenotipi delle cellule cancerose.
122 C omplessità, informazione e inte grazione
Si potrebbero quindi avere molte e svariate atipie cellulari, di cui alcuni esempi
sono i seguenti:
Nel quadro della patologia molecolare del cancro non va trascurato di menzio-
nare un altro grosso filone di ricerca che riguarda l'esistenza di geni che contrastano
lo sviluppo della neoplasia. Tali geni sono perciò detti anti-oncogeni, o geni
soppressori, od oncogeni recessivi [Friend et al., 1988; Vile, 1990]. Essi sono stati
scoperti a seguito dell'osservazione che in alcuni tumori (retinoblastoma, tumore
di Wilms, neuroblastoma, adenomatosi del colon, ma oggipare che ciò avvenga in
molti altri casi), che fra l'altro si possono presentare già nelle prime età della vita,
sono associati alla mancanza di geni, a volte visibile come vere e proprie delezioni
di parti di cromosoma.
Se la mancanza di particolari geni provoca il cancro, si è dedotto che tali geni
sono importanti nell'inibire la neoplasia. La prova diretta è stata che se mediante
ingegneria genetica (o formazione di cellule ibride tumore-sane) si re-introduce il
gene difettoso, il fenotipo neoplastico scompare. Nonostante l'importanza di questi
geni sia enorme, ancora poco si conosce della loro precisa funzione nel controllo
della crescita cellulare. È interessante il fatto che recentemente è stata segnalata la
delezione del gene per l'interferone-o, in alcune leucemie [Diaz et al., 1990], fatto
che suggerisce che tale citochina potrebbe essere il prodotto di un gene soppressore.
Sembra logico prevedere che i prodotti degli anti-oncogeni entrino nella stessa
rete informativa sopra considerata, contrastando l'effetto dei prodotti degli onco-
geni (o dei proto-oncogeni), ad esempio mediante de-fosforilazione di proteine
(fosfatasi) o degradazione di secondi messaggeri come cAMP (fosfodiesterasi).
Come si osserva in molte altre situazioni fisiopatologiche, il controllo della
Complessità, informazione e inte grazione r23
Tabella 5.
Alcuni agenti che potrebbero agire da promoventi
Sostanzevarie: lectine
esteri del forbolo
mezereina
acido okadaico
esotossine batteriche
fenolo
Ormoni: Estrogeni
Tiroidei
Insulina
Fattori di
crescita: PDGF (platelet derived g.f.)
EGF (epidermal g.f.)
IGF (insulin-like g.f.)
FGF (fibroblast g.f.)
TGF (transforming g.f.)
AIcune citochine
Neuropeptidi: Bombesina
Vasopressina
Bradichinina
VIP (vasoactive intestinal peptide)
Prostaglandina E
appositi fattori di crescita. Ciò è particolarmente vero nei casi in cui l'infiammazio-
ne non procede speditamente verso la guarigione con "restitutio ad integrum,,,
riassorbimento dell'essudato, inattivazione dei mediatori per lisi od ossidazione,
cessazione della chemiotassi leucocitaria. Nella flogosi è facile che si verifichino
sinergismi tra sostanze che hanno dimostrato attività mitogenica, come epidermal-
growth factor, insulina ed insulin-like growth factor, bradichinina, endotelina,
persino neuropeptidi, che, come è noto, vengono rilasciati nella sede di una Iesione
tissutale. Non è quindi improbabile che simili fattori di crescita fungano da
acceleratori della proliferazione non solo di cellule normali, ma anche di quelle
eventualmente formatesi per un precedente o concomitante evento di trasformazio-
ne genetico.
Fattori cancerogeni e co-cancerogeni (o promoventi) portano ad un progressivo
complicarsi della situazione biologica del tumore. Si è visto che in realtà nei tumori
sono attivati più oncogeni nella stessa cellula, e che vi è una progressione di
malignità in relazione al numero di oncogeni che sono attivati. Nuove mutazioni a
livello genetico insorgono, magari favorite da una riduzione dei sistemi di difesa
e di riparazione, nuove spinte alla disorganizzazione cellulare compaiono, magari
a seguito dell'esprimersi in maniera inappropriata anche di geni normali, o per
riduzione delle capacità delle cellule immunitarie per effetto di sostanze rilasciate
dal tumore stesso. Se si esaminano le cellule di un tumore, si riscontrano molteplici
atipie biochimiche e spesso è difficile stabilire se esse siano direttamente legate alla
trasformazione o siano alterazioni secondarie ad essa.
Nella progressione neoplastica gioca un ruolo fondamentale il fatto che i
successivi errori generano una certa eterogeneità nella popolazione di cellule
proliferanti, tale per cui alcuni cloni, con caratteristiche che permettono una
migliore resistenza ai sistemi di difesa ed ai farmaci, possono prendere via via il
sopravvento. La malignità del tumore tende quindi sempre ad aumentare.
La figura 7 riassume schematicamente la storia naturale di un tumore. La teoria
degli oncogeni consente una visione unitaria del processo della cancerogenesi,
dove agenti mutageni, virus, agenti promotori e fattori regolatori endogeni intera-
giscono a livello di recettori, di sistemi di trasduzione e di inform azione genetica.
In relazione a questo modello, la crescita della neoplasia non appare come un evento
Figura 7. Le tre principali fasi della crescita di un tumore. O = eventi a livello genetico
(modificazioni del DNA come mutazioni, inserzioni, delezioni o traslocazioni
di oncogeni); X = eventi a livello epigenetico (modificazioni biochimiche varie
che accelerano l'espressione degli oncogeni e di geni della crescita normali).
Complessità, informazione e integrazione 127
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1,28 Complessità, informazione e integrazione
patolo-
Dopo aver analizzatogli elementi fondamentali delle conoscenze sulla
gia moìecolare del cancro, ci si può chiedere se il diradarsi dell'oscurità
sulla sua
consenta di progetiare nuovi e più efficaci interventi terapeutici'
fatogenesi
^R"uiirti"u*ente,
si è ancora ben lontani da una sostanziale ricaduta di tali cono-
scenze sul piano terapeutico, anche se alcune linee di tendenza e di ricerca paiono
molto promettenti.
di fattori
L',esistenza di varie fasi legate ad eventi epigenetici ed all'intervento
esogeni ed endogeni che controllano e che favoriscono
la crescita del tumore
*oaifi"u in parte la nozione di tumore come evento casuale, soggetto alle leggi
con un
probabilisticie e ultimamente immodificabile nelle sue dinamiche, se non
uttu""o distruttivo (chirurgia e chemioterapia)'
neoplastica
La questione fondamentale è la seguente: se è vero che la malattia
possibile anche una dinamica regres-
è soggitta ad una dinamica progressiva, è
risposta patzial-
sfvitrecenti studi su qu".io problema consentono di dare una
su cellule
mente affermativa, almeno sul piano teorico e sulla base di esperimenti
in coltura. Pare infatti che la crescita della neoplasia non sia inevitabilmente
irrever-
progressiva, non sia totalmente priva di controllo, non sia necessariamente
si potrebbe
.iUif". Poco si può fare p., -oàifi"ure il gene trasformato, ma molto
poter agire
fare per bloccarne gti àffetti deleteri. La speranza sta quindi nel
ad esempio da L' Sachs: "Ie
efficacemente a livelio epigenetico, come sostenuto
possono essere by'passate ed
anomalie genetiche che àa-nno luogo alla malignità
iloro effelti annullati inducendo la dffirenziazione che blocca la moltiplicazione"
1989].
'
[Sachs,
mezzi
Alcune possibilità teoriche di indune la regressione della neoplasia con
sono le seguenti:
diversi dai convenzionali approcci chemio-radioterapici o chirurgici
causa, che andrebbero a interferire con i mRNA e quindi con la sintesi proteica
nelle cellule tumorali;
a) la terapia con citochine o con cellule LAK ha dimostrato avere spesso gravi
effetti collaterali e per di più pare efficace in una minoranza (pur non trascura-
bile) dei tumori in cui è stata sperimentata;
b) i fattori di differenzi azione e le stesse citochine potrebbero in alcune neoplasie
comportarsi da fattori mitogenici, quindi accelerando la progressione del
tumore;
c) i fattori inibitori della proliferazione difficilmente hanno specificità tale da
inibire solo il tumore, quindi potrebbero avere effetti collaterali immunosop-
pressivi (v. corticosteroidi);
d) gli oligonucleotidi antisenso (che teoricamente avrebbero l'enorme vantaggio
della selettività) funzionano su cellule in coltura, ma a dosi che difficilmente si
Comp lessità, informazione e integrazione 131
Quanto finora detto può suggerire, in linea generale, che ad una patologia
complessa, come complesso è il cancro, non può non far riscontro una impostazione
diagnostica e terapeutica fine, sofisticata e complessa. A fianco della tradizionale
strategia "d'attacco" (chirurgica, farmacologica o radiante), che, come è ben noto,
può oggi essere risolutiva in molti casi di tumore, si può ipotizzare chel'individua-
zione dei vari e molteplici fattori che concorrono allo sviluppo della neoplasia
possa consentire di applicare correttivi efficaci nell'indurre la regressione, o
almeno nel rallentare la progressione. Di fronte alla varietà dei possibili livelli di
dis-regolazione nel sistema nel suo complesso, difficilmente si può ipotizzare che
si dimostri risolutivo l'approccio riduzionista, per cui conosciuto il meccanismo
molecolare si possa poi intervenire con uno specifico farmaco, come difficilmente
(e la storia lo dimostra) sarà risolutivo l'empirismo puro, per cui provando e
riprovando si scoprirà una ricetta per la cura del cancro. È comunque l'esperienza,
scientificamente fondata e metodicamente controllata, che può dire l'ultima parola
1,32 C omplessità, informazione e integrazione
un trattamento per essere efficace deve puntare innanzitutto sul trattamento del
"terreno", cioè sul malato prima che sulla malattia. A questo proposito, val la pena
ricordare il fatto che la teoria omotossicologica [Reckeweg, 1981] inquadra la
neoplasia come un processo dinamico in un certo senso progressivo rispetto alla
infiammazione, quando quest'ultima non sia risolta in senso completo (v. anche
sez.2.6).
Sul piano terapeutico, l'omotossicologia ha anche introdotto il concetto di
"vicariazione regressiva", secondo cui lo stimolare con vari mezzi biologici il
processo di espulsione delle "omotossine" ("fase di escrezione") e I'infiamm azione
("fase di reazione") può costituire un mezzo per prevenire o contrastare il passaggio
a fasi degenerative e neoplastiche. Tali concetti, pur nella loro genericità, paiono
in coerenza con le moderne terapie con citochine le quali, pur essendo molto più
controllabili e scientificamente fondate, si basano sostanzialmente sullo stesso
principio biologico: attivare l'infiammazione e l'immunità allo scopo di utilizzare
al massimo tali sisterni per attaccare il tumore. Usare citochine purificate o miscele
di esse, come si fa oggi in alcuni protocolli anti-tumorali non è sostanzialmente
molto diverso dalla somministrazione del vecchio BCG (bacillo di Calmétte e
Guerin, una forma attenuata del bacillo di Koch) o dei nosodi omeopatici (i quali
sono essenzialmente degli estratti di tessuti con processi patologici in atto e quindi
contenenti miscele di citochine, oltre all'agente eziologico). Le citochine, infatti,
sono normalmente prodotte per via endogena ogni volta che la reazione infiamma-
toria viene attivata.
Di particolare interesse, infine, appare lo studio di alcuni farmaci di origine
vegetale come l'estratto diViscum album,che,nati dalla tradizione empirica, hanno
oggi chiaramente e sorprendentemente (se si pensa al modo con cui sono stati
scoperti) dimostrato in studi scientifici contenere principi attivi sia di tipo immu-
nostimoiante che citotossico nei confronti delle cellule tumorali [v. per rassegna
Koopman et al., 1990].
In conclusione, pur con tutte le imprecisioni legate alla scarsità di ricerca
scientifica condotta in questo campo (situazione che va oggi migliorando), l'ap-
proccio omeopatico e omotossicologico pare potersi integrare con i moderni
concetti derivati dalla cancerologia sperimentale. Ovviamente, le presenti conside-
razioni restano sul piano di speculazioni teoriche e non vogliono essere un sostegno
alla effettiva utilità, in oncologia, dei rimedi omeopatici ed omotossicologici. Tale
possibile utilità resta, a nostro avviso, tutta da dimostrare in pratica, mediante
appropriati studi clinici.
t34 C omplessità, informazione e integrazione
prece-
La complessità dei meccanismi patogenetici, evidenziata nelle sezioni
denti a riguardo delle malattie in generale e di alcuni processi patologici (infiam-
presente
mazione-e cancro) in particolare, ha un fondamento nella complessità
rendere più esplicita e documentare meglio
anche in fisiologia ed in biochimica. Per
sezioni, alcuni aspetti
tale importantJquestione, si esamineranno, nelle prossime
g.r.ruii dell'omeostasi fisiologica e degli interscambi di informazioni biologiche
per inquadra-
rhe la regolano. capire la complessità dell'omeostasi è una premessa
re correttamente la possibile azione del rimedio omeopatico.
Il concetto di omeostasi, introdotto dal fisiologo w. cannon nel 1929, si
entro
riferisce a tutte quelle attività che tendono a conservare costanti, o meglio
limiti accettabili, le variabili di un sistema vitale. Può essere utile approfondire il
quale quello
concetto di sistema omeostatico, ricorrendo ad un modello schematico
riportato in figura 8.
da un
Un sistema omeostatico, nella sua costituzione essenziale,è rappresentato
insieme di elementi anatomici, biochimici e funzionali atti a mantenere una
una
variabile fisiologica entro limiti minimi e massimi di oscillazione' Si consideri
equilibrio ed in condizioni di reversibilità per la
variabile A-A', che si trova in un
azionedi due meccanismi operatori, o effettori,che possono
portareA al livello o
senza
allo stato A ' e viceversa. Il sistema, però, non può funzionare correttamente
un controllo, che è attuato da tn centro regolatore che riceve
informazioni da A'
un prodotto di una
sotto forma d iun segnale "a "' associato al suo stato (ad esempio
reazione enzimatica, proporzionale a quantoA'è presente o a quantoA'funziona)'
sistema di
oltre a ricevere ,rgnuti i' 1p", i quali ha specifici sistemi recettoriali), il
questi segnali convnamemoria in cui è stabilito
controllo in qualche modo
"o*putu e produce
il valore ottim ale di a'. superato tale valore, il sistema regolatore si attiva
il segnaler, che va a inibire il meccanismo A- >A' e/o ad attivare il meccanismo
A' - >A. Di solito, questi meccanismi effettori (enzimi, pompe e canali di membra-
considerati)
na, ma anche anticorpi o cellule di vario tipo a seconda dei sistemi
hanno incorporato siii recettoriali per segnali regolatori' Il sistema
omeostatico
quindi è rappresentato da un anello di retroazione (feed-back negativo),
in cui
o di una oscillazione di attività
liinformaziàne sul risultato di una trasformazione
vengono rimandate, rivedute e corrette, all'ingresso del ciclo'
òwiamente, lo schema sopra riportato è limitato all'essenziale, dovendosi
contemplare, se si voless. più completi, numerose varianti ed aggiunte' Ad
".r"i. negativi (che
esempiò, si deve sapere che non esistono solo anelli di retroazione
guruntir"ono la stabilità;, ma anche anelli positivi, in cui il prodotto della reazione
durante
contribuisce ad accelerare la trasformazione' Questo è il caso che si verifica
la crescita di un tessuto o quando si devono mettere in moto rapide ed intense
C omplessità, informazione e integrazione 135
Altri sistemi
{
Segnob fl
*o:Segnole
SISTEMA
REGOLATORE
Segnole
Recetlore
\
tri sistemi
dell'organismo dalle ghiandole endocrine, dalle pareti dei vasi, dalla massa
delle cellule di un certo tessuto, ecc.
b) Molecole segnale che mettono in comunicazione strutture vicine e lontane:
neurotrasmettitori, ormoni, mediatori chimici locali, citochine, inibitori ed
antagonisti fisiologici, ecc.. Una particolare caratteristica di complessità delle
molecole segnale è che il loro messaggio non è mai totalmente specifico: le
stesse molecole possono essere utilizzate, per comunicare, da sistemi diversi. La
stessa molecola può essere prodotta da molti tipi diversi di cellule. La stessa
molecola può legarsi a diversi recettori presenti su cellule in diversi tessuti ed
organi. Vi è quindi un notevole grado di "ridondanza" dell'informazione
biologica, che permette al sistema un notevole grado di flessibilità e di plasticità,
ma nello stesso tempo rende difficile una schematizzazione rigida degli eventi
che succedono alla produzione, in determinate condizioni fisiopatologiche, di
un certo mediatore.
c) Recettorl per molecole segnale o per gli altri tipi di messaggeri, dotati di affinità
specifica e capaci di trasmettere il segnale ad altri elementi del sistema di
regolazione. Vi sono recettori di membrana e recettori intracellulari e persino
intra-nucleari. Da notare che i recettori sono molto "plastici": le cellule sono
capaci di aumentare (ipersensibilità, priming) o diminuire (desensibilizzazione,
tolleranza, adattamento, down-regulation) il numero di recettori a seconda delle
necessità, nonché di regolarne la attività modificando la affinità per la molecola
segnale. A volte le cellule presentano più di un recettore per la stessa molecola,
ma con diverse affinità e con diversi effetti intracellulari. Alcune proprietà dei
recettori saranno approfondite nella sezione 5.6.3.
d) Sistemi di trasduzione: accoppiamento tra attivazione del recettore e Ia produ-
zione di segnali o la attivazione di meccanismi effettori; variazioni dei "secondi
messaggeri" intracellulari, modificazioni covalenti e non covalenti di proteine
e di lipidi di membrana, apertura di canali ionici. Le multiformi caratteristiche
dei sistemi di trasduzione rappresentano un argomento troppo vasto per poter
essere trattato in questa sede. È certo comunque che il livello di responsività di
un certo sistema (di controllo o effettore) è controllato nella cellula anche da tali
sistemi, che essi sono anche modificati in corso di malattia [Brodde and Michel,
1989] e che sono suscettibili di influenze farmacologiche.
e) Elementi responsabili del deposito dell'informazione per un determinato tem-
po: quando un sistema subisce una modificazione, questa può essere rapidamen-
te e totalmente reversibile (ad esempio la contrazione di un muscolo), ma può
anche rappresentare un fenomeno che lascia una traccia più o meno permanente.
Di solito, ma non sempre, le modificazioni di maggiore durata sono quelle che
in qualche modo interessano il codice genetico delle cellule.
Complessità, informazione e integrazione 1,37
interazioni tra segnali e recettori, tra recettori e proteine del sistema di trasduzione,
tra canali ionici variazioni di potenziale,ecc. Nasce però nel contempo la necessità
e
di una integrazione "verticale", che consiste nel raggruppare molecole e neuroni in
"centri" nervosi, in cui le varie cellule e molecole sono deputate allo svolgimento
di una o più funzioni. Il centro nervoso ha una sua architettura e un suo "linguag-
gio", che è fatto di singoli eventi molecolari o elettrici, ma che assume un significato
solo nel suo insieme. Molti centri sono integrati "orizzontalmente" a costituire
un'area cerebrale, o una sequenza di centri che danno unità ad una funzione più
complessa, come può essere quella di una percezione visiva o uditiva. I centri
nervosi però si integrano anche "verticalmente" in un emisfero cerebrale, in quanto
particolari funzioni sono raccordate ad altre aree che aggiungono alla percezione
altre "proprietà", quali quelle della coscienza, dellamemoria, della emotività, ecc.
A questo livello di analisi si possono spiegare quindi delle funzioni che non
appartengono ai Iivelli precedenti, anche se li presuppongono come elementi
necessari. L'organo dell'udito ed i suoi centri nervosi possono percepire una
sequenza di suoni, ma perché questi possano essere percepiti come musica bisogna
che si attui un processo integrativo superiore. Se volessimo definire delle differenze
essenziali tra una accozzaglia di note musicali e una musica, inutilmente andremmo
a cercare nel tipo di enzimi fosforilanti le proteine delle cellule della coclea, o nel
tipo di neurotrasmettitori delle vie uditive, o nel numero di cellule implicate
nell'area cerebrale uditiva.
Per procedere in questa analisi, non si deve trascurare che gli emisferi sono tra
loro integrati"orizzontalmente" attraverso la commissura cerebrale, mentre "ver-
ticalmente" con tutto il resto dell'encefalo (dove ad esempio risieclono molte
funzioni vegetative) e poi con l'organismo intero. È quindi essenziale considerare
i diversi Iivelli di integrazione cui corrispondono funzioni differenti.
Mentre la complessità del sistema nervoso è fuori discussione, meno evidente,
forse, è la complessità a livello cellulare. Per quanto la cellula sia ritenuta l'unità
fondamentale dell'organismo vivente, è facilmente intuibile che la sua organizza-
zione sia estremamente complessa, a causa della molteplicità di recettori, vie di
trasduzione, sistemi effettori, geni, tutti elementi tra loro reciprocamente influen-
zantisi. Se a ciò si aggiunge il fatto che molti elementi (soprattutto le macromole-
cole) sono perennemente soggetti a dinamiche oscillatorie di attivazione-assem-
blaggio e disattivazione-disassemblaggio, si capisce come una descrizione precisa
di ciò che awiene nell'insieme di una cellula sia praticamente impossibile. Poiché
però la teoria cellulare ha dominato Ia patologia per molto tempo, ancor oggi vi è
chi non accetta una simile conclusione, che viene vista, a torto, in contraddizione
con il punto di vista molecolare.
Altri, invece, sottolineano con forza la necessità di sviluppare uno studio della
cellula su basi non solamente molecolari [Albrecht-Buehler, 1990]: la principale
C omp lessità, informazione e inte grazione 139
argomentazione a sostegno di questa tesi è il fatto che nella cellula sono concentrate
ed organizzate molte strutture e sistemi in attività, le cui proprietà non possono
essere desunte solo da studi su molecole purificate e studiate fuori dal contesto.
Infatti, i rapporti di vicinanza si possono tramutare in comportamenti collettivi
delle molecole (incluse quelle di acqua), moti coerenti, fenomeni di risonanza,
interazioni a lungo raggio. In altre parole, è proprio la complessilà dei sistemi in cui
molte molecole interagiscono ad ostacolare una descrizione esaustiva delle funzio-
ni cellulari su base puramente molecolare.
È stata anche sottolineata l'importanza di prendere in considerazione, nei
modelli cellulari,leforze fisiche generate dalla "tensione" delle fibre del citosche-
letro e dei sistemi di ancoraggio delle cellule alla matrice del tessuto. Tali forze
paiono avere un contenuto informativo, in quanto regolano funzioni quali il
trasporto di ioni, le sintesi proteiche e l'espressione di specifici geni IIngber,1991].
5.5. L'informazione
+ Nota: Il diavoletto supposto da Maxwell voleva violare la seconda legge della termodinamica
portando ordine in un gas, separando le molecole in due camere semplicemente aprendo e chiudendo
una porticina (microscopica e priva di attrito) allorché una molecola si avvicinava alla apertura di
comunicazione delle due camere. Dopo un po' di tempo, pensava il diavoletto, senza far nessuna fatica
avrò intrappolato molte molecole in una camera, quindi avrò una pressione da sfruttare per compiere
un lavoro. Egli però non teneva conto del fatto che, per poter operare il suo trucchetto, necessitava di
informazione al riguardo della posizione e movimento delle mole cole che voleva catturare. È possibile
calcolare che per acquisire tali informazioni il diavoletto doveva consumare più energia di quella che
avrebbe potuto recuperare dalla pressione prodotta dal gas [v. Harold, 1986, p. 18-19].
140 C omplessità, informazione e integrazione
| = logrllp
dove p è la probabilità che il sistema sia in questo stato (o che l'evento accada)
per caso. Quindi l'informazione è inversamente proporzionale al caso. Più grande
è il numero di scelte possibili, più difficile è che un evento accada per caso, o che
un certo sistema si trovi in una certa forma per caso.
Si può stimare il grado di ordine di un dato sistema calcolando quante scelte
binarie devono essere fatte per specificare la sua struttura. Ad esempio, durante la
sintesi di una proteina, la scelta di un aminoacido su 20 possibili richiede logr20,
o 4.3 bits. Tutta una proteina di 300 aminoacidi richiede 3001ogr 20, cioè 1300 bits.,
mentre la corrispondente sequenza di DNA (che è, semplificando, di 300 triplette
di nucleotidi) richiede 900logr 4, cioè 1800 bits di informazione [Harold, 1986, p.
20]. n genoma di una cellula umana ha circa 3 miliardi di basi, che corrisponde a
circa 6 x 10e bits/cellula, mentre se si considera tutta l'organizzazione di un
individuo adulto si arriva alla cifra astronomica di 1028 bits.
Acquistare informazione ha un costo in termini di energia (a27'C un bit è
equivalente a 3 x 10-21 joules [Harold, 1986]). Per cornprendere quanto costi
produrre informazione in fisiologia, si può ad esempio considerare la formazione
e l'azione di tipici segnali, gli ormoni. Tali molecole, prodotte con consumo di
energia dalla cellula endocrina, raggiungono i recettori (anche prodotti con
consumo di energia), da cui poi parte un messaggio in forma di aumento di calcio
C omplessità, informazione e integrazione 14'l
che viene rilasciato da depositi intracellulari, dissipando il gradiente che era stato
creato consumando energia (Ca2' ATPasi). I segnali quindi in un certo senso
convogliano l'energia della cellula che viene dissipata, cioè attuano un controllo
sulla dissipazione di gradienti termodinamici. Owiamente questa dissipazione è di
breve durata, seguita da un nuovo accumulo di gradiente termodinamico (a spese
però di un consumo di energia di altro tipo, ad es. metabolica). Nel conto del costo
energetico dei processi bio-informativi si deve anche mettere labiosintesi di DNA,
RNA, ecc.
Il fatto che l'informazione possa essere in qualche modo misurata in bit non
risolve totalmente la complessità del problema, perché la quantità non comprende
di per sé il "significato" dell'informazione. Il significato dell'informazione sta
nell'interazione dell' informazione stessa con il sistema ricevente e nel risultato che
da questa interazione si produce. Due sequenze di DNA, di cui una "normale" e
un'altra "patologica" (ad esempio codificante per un carattere che provoca malat-
tia), possono contenere la stessa quantità di informazione, ma il risultato è ben
diverso. Così uno spartito di buona musica può contenere la stessa quantità di
informazioni (sotto forma di note musicali) di uno spartito di pessima musica.
Quindi nell'informazione vi è necessariamente un elemento qualitativo che non è
quantizzabile.
Nel mondo biologico, come già in precedenza sottolineato, la comunicazione
dell'informazione è essenziale alla vita: a livello molecolare, l'ordine è espresso
nella determinata e precisa associazione di atomi in molecole (aminoacidi, prote-
ine, lipidi, acidi nucleici); a livello cellulare l'ordine è espresso nella regolarità e
riproducibilità della organizzazione cellulare, dei processi biosintetici, di trasporto,
di movimento. Per imporre l'ordine, cioè per ridurre l'entropia della materia
vivente, è necessaria informazione. Si potrebbe quindi definire l'informazione
come la capacità di stabilire ordin e [Harold, 1986] oppure, secondo la famosa frase
di Jacob, "the power to direct what is done" (il potere di dirigere ciò che è fatto)
[Jacob, 19731.
Il DNA, quale principale banca-dati della cellula, ha la capacità di "dirigere" lo
sviluppo cellulare, e nello stesso tempo di incorporare e ricordare le informazioni:
nel DNA si sono depositate informazioni di tutta la storia evolutiva della specie cui
l'individuo appartiene. Naturalmente, il DNA è solo un.importante materiale
informativo, ma non è l'unico: informazione è contenutain ogni struttura organiz-
zata,in ogni evento spazio-temporale che non sia casuale. Mentre il linguaggio del
gene è piuttosto semplice, in quanto scritto con pochi sirnboli in un modo lineare,
molti segnali usano linguaggi più complessi e simboli di vario tipo. Eventi quali la
variazione di potenziale elettrico trans-membrana, il cambiamento dei rapporti
delle varie specie di fosfolipidi, la alcalinizzazione del citoplasma, l'aumento di
AMP ciclico, un rialzo di temperatura corporea, Ia pressione del sangue, la
742 Complessità, informazione e integrazione
eccellenza sono gli acidi nucleici, perché sono caratterizzati da un grande ordine
(vedi la disposizione dei nucleotidi in lunghissime sequenze), una grande comples-
sità (vedi tutti i meccanismi che controllano la espressione del codice genetico ed
anche la sua continua trasformazione) e una grande stabilità chimico-fisica (data la
particolare struttura a doppia elica, il DNA è tra le molecole più resistenti, ed inoltre
vi sono molti sistemi di riparazione di eventuali errori). Molte altre molecole, però,
contengono e trasmettono informazione: proteine, peptidi, zuccheri, lipidi, persino
sali minerali e protoni (H*) servono alla natura per trasmettere informazioni e
regolare quindi i sistemi biologici. Uscendo dal campo molecolare, si trovano
informazioni che si trasmettono mediante frequenze, come le onde sonore o
elettromagnetiche e gli eventi chimici ritmici, oscillanti. Tanto più un sistema è
complesso, tanto più ha reso complessa la rete informazionale, che può essere fatta
di molti elementi disposti in sequenze ed in reti.
Il problema dell'informazione è strettamente connesso con il meccanismo
d'azione del rimedio omeopatico. Come si vedrà anche in seguito (cap. 6), il
"Segreto" dell'omeopatia, nella sua forma classica, sta proprio nella meticolosissi-
ma raccolta di informazioni relative da una parte al rimedio (vedi prove su soggetti
sani), dall'altra al paziente: ogni sintomo fisico o psichico viene valutato nella sua
entità, varianti circadiane, localizzazione, modalità di comparsa, durata, associa-
zione con altri sintomi e caratteristiche costituzionali, ecc..
Si potrebbe dire che il massimo sforzo che si compie nel metodo omeopatico sta
proprio nella raccolta e "repertorizzazione" (cioè confronto tra sintomi del malato
e sintomi provocati dai rimedi così come segnalati dalle Materie Mediche). Non per
niente, un grande contributo a questo lavoro di analisi e comparazione di dati viene
oggi dai sistemi di repertorizzazione computerizzati [v. ad esempio Van Haselen
and Fisher, 1990].
diverso: 1, ,u""inuri;;t
avere anche effetto curativo ilffi;;
[Beardsrey, lggl].si può ipotizzare che questo nuovo
approccio alla terapia, mediante ,rucòinarioni
giustificabile razionalmente sulla base ltuttora in fasasperimentale) sia
delle particorarità di funzionamento della
risposta immunitaria.
Una prima spiegazione sta nel fatto che la
vaccinazione può essere fatta con
antigeni. in forma leggermente diversa
dal|antigene naturaÈ, aJ esempio sotto
forma di proteina ricombinante o come
complesso con altri ir*rrog.ni: quindi
l'antigene sarebbe riconosciuto dal sistema
in modo diverso ed innescherebbe una
tirp::11. diversa, magari più efficace, ail'agente
infettivo originario. un,artra
possibilità si basa sul fatto che è possib
ileutilizzarediverse vie diintroduzione
del
Complessitò, informazione e inte grazione 147
rende i fagociti più efficienti nella uccisione dei batteri e i linfociti più efficienti
nella produzione di anticorpi. Quindi, lo stesso mediatore causa dolore e fa guarire
[Skerret, 1990].
E stato riportato, tra l'altro, che l'onicolisi scompare durante il trattamento con
benoxaprofene, quando il benoxaprofene ha tra i suoi possibili effetti collaterali
proprio la onicolisi [cit. da Taylor Reilly et al., 1986].
E noto che uno dei mediatori della comparsa di cefalea ed emicrania potrebbe
essere la serotonina, in quanto tale molecola provoca in certi casi vasodilatazione.
D'altra parte, recentemente sono stati introdotti farmaci, efficaci nell'emicrania,
che sono molecole analoghe (cioè "simili") alla serotonina ed pgiscono non come
antagoniste, bensì come un agoniste, cioè hanno la stessa azione della molecola
endogena. Perché una molecola simile al mediatore che causa dolore ha un effetto
antidolorifico? Qui la risposta va cercata nella complessità dei recettori: esistono
almeno tre tipi di recettori per la serotonina, e l'analogo va a stimolare solo un tipo,
quello che, evidentemente, serve dafeed-backnegativo sugli effetti dolorifici della
serotonina stessa.
L'aspirina, ad alte dosi, può provocare una ipertermia [Goodman Gilman et al.,
7992), effetto evidentemente paradossale rispetto alla sua principale indicazione.
Passando ad un altro campo di ricerca, si vede che da studi in coltura su cellule
tumorali sono emersi risultati apparentemente paradossali, ma molto indicativi. La
differenziazione di cellule leucemiche verso forme più mature e quindi meno
maligne è ottenibile, in coltura, non solo con gli specifici fattori di differenzi azione
(questo però solo in alcune linee cellulari, evidentemente dotate di recettori), bensì
anche con agenti quali le lectine, o i classici tumor promoters come il rpA, o basse
dosi di agenti citostatici, o basse dosi di radiazioni [sachs, 19g6; sachs, 19g9].
Evidentemente gli effetti promovente la proliferazione o promovente la maturazio-
ne e quindi l'arresto della proliferazione non sono proprietà legate solo alla
molecola usata, ma dipendono dalle dosi, dalla sensibilità dei recettori, dal tipo di
oncogeni attivi in una certa linea cellulare, dal sinergismo o antagonismo con altri
fattori del mezzo di coltura o prodotti dalle stesse cellule, dal metabolismo che la
sostanza subisce dentro la cellula, ecc.
Data la complessità dei meccanismi in causa nel controllo della proliferazione
cellulare (vedi anche se2.5.3.1), è comprensibile come un trattamento che secondo
i concetti tradizionali dovrebbe essere pro-cancerogeno si riveli poi, sperimental-
mente, anti-cancerogeno cambiando le dosi o il protocollo sperimentale. Molti
agenti mitogeni, ad esempio, se somministrati alle cellule in piccole dosi e per
lunghi periodi, le desensibil izzano,quasi sempre in modo omologo (cioè verso essi
stessi), ma talvolta anche in modo eterologo (cioè verso altri agenti con azione
simile a livello del meccanismo di trasduzione) [Rozengurt, 1991]. vi sono anche
modelli sperimentali su animali che mostrano come un cancerogeno in basse dosi
C omplessità, informazione e integrazione t49
possa contrastare la comparsa del cancro stesso [De Gerlache and Lans, 1991].
All'opposto, è stato riportato davari autori [rassegna in Stebbing, 1.982), che la
crescita cellulare (non solo di cellule tumorali, ma anche di cellule normali e
vegetali) può essere stimolata da basse dosi di agenti inibitori.
Quelle qui riportate sono indicazioni suggestive di come l'effetto nocivo di
sostanze velenose o tossiche possa cambiare specularmente in effetto terapeutico
(o viceversa l'effetto terapeutico in effetto nocivo) al variare delle dosi, delle
modalità di somministrazione e della sensibilità del sistema trattato. Ciò ha grande
rilevanza per la comprensione del possibile meccanismo d'azione dei rimedi
omeopatici. Owiamente, bisogna sottolineare, soprattutto in campi come quello
oncologico, che i modelli sperimentali possono illustrare alcuni fenomeni biologici
indubbiamente esistenti, ma che, rappresentando spesso dei casi particolari nel-
l' ambito della complessità biologica, non possono essere considerati prove dell'ef-
ficacia terapeutica nell'uomo di determinati trattamenti.
5.6.2. Le dosi
In questa sezione si prende in considerazione il fatto che non sempre gli effetti
di un determinato trattamento, volto a modulare un determinato sistema biologico,
sono proporzionali alle dosi impiegate. In chimica, biologia ed in farmacologia
l'analisi delle curve dose-risposta è fondamentale per studiare le caratteristiche ed
il meccanismo di azione di qualsiasi composto attivo. Tale analisi dà molte
informazioni sui meccanismi responsabili di una certa reazione. Ad esempio, in
biochimica si può valutare l'affinità di un enzima per il substrato o il tipo di
inibizione della reazione (competitiva, non competitiva) da parte di un certo
composto. In biologia, si può con simili curve misurare numero ed affinità dei
recettori per un certo ormone, o risposte attive cellulari quali la contrazione di
cellule muscolari o la secrezione di enzimi, ecc.. Data la versatilità degli studi ln
vitro, si possono misurare gli effetti di varie dosi di una certa sostanza tossica sul
rilascio di enzimi citoplasmatici come indice di mortalità cellulare, o l'aumento di
numero delle cellule come indice della attività proliferativa.
In farmacologia, la produzione di curve dose-effetti prima su animali, poi
sull'uomo, è d'obbligo per stabilire il corretto dosaggio del farmaco ed il cosiddetto
intervallo terapeutico (la differenza tra le dosi tossiche e le dosi terapeutiche).
Una convinzione comune tra i non esperti è che quanto più cresce la dose, tanto
più cresce l'effetto. Questa convinzione è owiamente non corretta, in quanto è noto
che di solito gli effetti di una certa sostanza attiva su un certo parametro non sono
direttamente proporzionali alla dose. Nelle curve dose-risposta classiche (figura 9)
si ha una prima zona di non-effetto (dosi sotto la soglia di sensibilità del sistema
r50 Complessità, informazione e integrazione
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non avevano ricevuto nessun trattamento. Come si vede dalle curve, in questi casi
i concetti di proporzionalità fra dose ed effetto devono subire evidenti correttivi.
Le ragioni di tali comportamenti dei sistemi biologici sono complesse, riguar-
dando i modi con cui cellule, tessuti e organi regolano il grado di sensibilità a livello
recettoriale, biochimico e genetico. In sintesi, si potrebbero riprendere i concetti di
"priming" e di "desensibilizzazione" (o adattamento), già esposti a proposito della
regol azione del l' infiam m azione (sez. 5.2.1).
Per priming si intende uno stato di iper-attivabilità nei confronti di un determi-
nato stimolante, stato che caratterizzauna cellula dopo che ha ricevuto un pre-
trattamento con dosi basse dello stesso stimolante (priming omologo) o di altri
stimolanti di diverso tipo (priming eterologo). Ir priming è dovuto alla esposizione
di nuovi recettori, alla attivazione dei recettori stessi e/o ad alcune modificazioni
dei sistemi intracellulari di comunicazione o enzimatici.
Per"desensibilizzazione" si intende uno stato di mancata responsività cellulare
nei confronti di un determinato stimolo dopo che la cellula ha ricevuto un pre-
trattamento con dosi basse, medie o alte dello stesso stimolante (desensibiliz zazio-
ne omologa) o di stimolanti diversi (desensibilizzazione eterologa). In genere, la
desensibilizzazione (sia omologa che eterologa) può essere dovuta a molti mecca-
nismi, tra cui consumo o inattivazione dei recettori, dis-accoppiamento dei recettori
dai sistemi di trasduzione, de-attivazione dei sistemi effettori cellulari.
Nella figura 11 si osservano curve di dose-risposta che documentano il fenome-
no del priming, cui si è già fatto cenno nel capitolo sulla modulazione delle funzioni
delle celiule infiammatorie (sez. 5.2.1). Tale evento può manifestarsi o come una
aumentata sensibilità alle piccole dosi (spostamento a sinistra della curva dose-
risposta) (figura 11 B), o come un aumento dell'effetto massimo a parità di dose
(figura 11A).
Nella figura 12 si documenta un altro fenomeno importante che ha certamente
un ruolo nel priming ed in genere nella regolazione delle risposte ad agenti
farmacologici. Applicando alle cellule dosi crescenti di uno stimolante, si possono
registrare degli effetti di un tipo (ad esempio aumento di calcio intracellulare) con
dosi molto basse, mentre effetti di un altro tipo (ad esempio innesco del metaboli-
smo ossidativo) possono essere ottenuti solo con dosi molto più alte dello stesso
stimolante. Ciò dipende dal fatto che per il primo tipo di risposta è sufficiente
l'impegno di un numero ridottissimo di recettori rispetto a quello necessario per
scatenare il secondo tipo di risposta. Un'altra possibilità è che le cellule presentino
più tipi di recettori per lo stesso composto, tipi di recettori con diversa affinità
(intensità di legame al variare della concentrazione) e mediatori di diverse risposte.
In generale (che significa che ogni regola in questo campo ha eccezioni), le basse
dosi sono in grado di attuare sottili modificazioni della biologia cellulare, quali
assemblaggio delle proteine colloidali del citoscheletro, apertura di canali ionici,
C omplessità, informazione e inte grazione 153
Cellule
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Cellule normoli
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Figura 12. Curve dose-risposta che riportano il variare della attività di due parametri
funzionali delle stesse cellule al crescere delle dosi di uno stimolante. La curva
A (linea tratteggiata) riporta l'aumento dello ione calcio nel citoplasma di
leucociti attivati; la curva B (linea continua) riporta l'aumento del
metabolismo ossidativo nelle stesse cellule trattate con le stesse dosi di
attivatore (in questo esempio, peptidi batterici). si nota che l'aumento del
calcio ione scatta a dosi molto più basse di stimolante di quelle necessarie per
attivare il metabolismo ossidativo. Ciò può indicare o che esistono due tipi di
recettori (un tipo ad alta affinità che regola il flusso di calcio e uno a bassa
affinità che regola il metabolismo), o che esiste un solo tipo di recettori, ma
è sufficiente un impegno di un minimo numero di essi per far scattare il flusso
di calcio.
a) uno stesso agente può indurre effetti opposti se usato in dosi diverse;
b) due agenti diversi possono provocare lo stesso effetto sul sistema bersaglio;
156 Complessità, informazione e integrazione
alcuni che non sono attivati da molecole segnale, ma da variazioni del potenziale
elettrico della membrana. Il segnale, in questo caso, sono elettroni o campi
elettromagnetici. Ciò è facilmente spiegabile, se si pensa che quasi tutte le proteine
hanno almeno qualche porzione elettricamente carica.
Altri tipi di recettori sono accoppiati a protein chinasi, cioè a proteine che
operano una fosforilazione di altre proteine, con dispendio di energia ma anche con
conseguenze molto significative sulla biologia della cellula. Infatti, la fosforilazio-
ne rappresenta un cambiamento spesso drammatico nelle proprietà fisico-chimiche
della proteina, per cui ne consegue un cambiamento della funzione (attivazione o
disattivazione di enzimi o degli stessi recettori).
La attivazione delle protein chinasi può avvenire come evento direttamente
legato al recettore (v. schema 2 nella figura 13) o con una serie di passaggi intermedi
collegati alla entrata in funzione di altri enzimi quali adenilato ciclasi, fosfolipasi,
pompe ioniche varie (schema 3 nella figura 13). Nel gioco di segnalazione che
forma i secondi messaggeri, pare che abbiano grande importanza le proteine G (dal
termine GTP-binding proteins), le quali rappresentano una specie di navetta che va
dal recettore attivato all'altro enzima che deve essere a sua volta reclutato nel
sistema di trasmissione. Le proteine G sono particolarmente importanti nel deter-
minare l'esito di un certo segnale che raggiunga la cellula. Esistono, in vari sistemi
recettoriali, proteine G stimolatorie e proteine G inibitorie. A seconda che entrino
in gioco le une o le altre, uno stesso segnale potrebbe avere effetti anche opposti.
Tipico, a questo riguardo, è il sistema della adenilato ciclasi che è accoppiato
attraverso le proteine G ai recettori alfa2 e beta adrenergici [v. ad esempio Alberts
et al., 19891.
La figura 13 non contempla, per ragioni di semplicità, un altro importante
meccanismo di attivazione recettoriale, che consiste nell'aggregazione di vari
recettori sul piano della rnembrana ad opera di segnali costituiti da macromolecole
con molteplici siti di aggancio. Tale aggregazione può avvenire, come si vedrà
anche nel capitolo 7, ad opera di correnti elettromagnetiche anche molto deboli che
attraversano la cellula.
I sistemi di ricezione e di elaborazione dei segnali extracellulari sono molto
sofisticati e flessibili, nonché collegati strettamente tra loro avari livelli da relazioni
a feed-back. I trasduttori del segnale consentono di amplificare enormemente la
azione di ogni singolo recettore, ma sono possibili anche effetti di retroazione
inibitori. Un esempio di come sia complicata la rete degli eventi che seguono al
legame tra molecola segnale e recettore è riportato in figura 14. Si vede che, quando
un segnale arriva al recettore, direttamente o indirettamente si attivano enzimi di
tipo protein-chinasi che, tramite la fosforilazione di proteine, innescano una serie
di funzioni. Nello stesso tempo, però, la attività protein chinasica non trascura di
attaccare anche lo stesso recettore da cui era partito il segnale: il recettore viene
158 C omplessità, informazione e inte grazione
Figura 13. Tre principali modi di funzionamento dei recettori di membrana. l- recettori
=
direttamente associati a un canale ionico, che viene aperto (o chiuso) allorché
awiene l'interazione con una molecola segnale o al variare del potenziale di
membrana; 2 = recettori direttamente associati a un enzima con attività
catalitica protein-chinasica (esistono anche quelli con attività protein-
fosfatasica), che viene attivata dal segnale; 3 = recettori che, una volta legata
Ia molecola segnale, trasmettono a loro volta il segnale - tramite le protàine
leganti il GTP - ad altri sistemi qualigli enzimi adenilato ciclasi o fosfolipasi;
questi ultimi enzimi, a loro volta, producono altri segnali biochimici
intracellulari.
C omplessitò, informazione e integrazione 759
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160 C omplessità, informazione e inte grazione
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t62 Complessità, informazione e inte grazione
In tempi piuttosto recenti, nelle teorie esplicative delle dinamiche dei sistemi
complessi ha fatto la sua comparsa un nuovo protagonista: il caos.
L'esistenza di fenomeni casuali accanto a fenomeni strettamente deterministici
e prevedibili è sempre stata riconosciuta, ma fino a tempi molto recenti l'attenzione
degli scienziati era rivolta solo verso questi ultimi. Le leggi della fisica classica
sono infatti deterministiche: se si conosce lo stato di un sistema in un certo istante
e le leggi che ne regolano le modificazioni, si è in grado di prevederne il
comportamento futuro.
sulla base delle leggi di gravitazione classiche, ad esempio, è possibile preve-
dere le eclissi, o la traiettoria di un satellite, il moto di un pendolo. Sulla base delle
leggi genetiche mendeliane, è possibile prevedere i caratteri di una pianta derivante
Complessitò, informazione e integrazione 1,63
dall'unione di due gameti di piante a caratteri noti. Altri fenomeni naturali, però,
non sono altrettanto prevedibili: il moto dell'atmosfera, la densità di popolazione
animale in un certo ambiente, la forma delle impronte digitali, la turbolenza di un
liquido che scorre in una tubazione, sfuggono alla nostÀ capacità di previsione.
Nella visione classica, una possibile soluzione, che salva il determinismo, era
quella di imputare I'insuccesso alla scarsità di informazioni, per cui basterebbe
raccogliere ed elaborare un numero maggiore di informazioni sul sistema oggetto
di studio per awicinarsi progressivamente alla descrizione esatta. Come sosteneva
il matematico f,aplace, le leggi della natura implicano un rigido determinismo e una
predicibilità totale, benché I'incompletezza e le imperfezioni delle osservazioni
rendano necessario ricorrere alla teoria delle probabilità. Con I 'ausilio di tale teoria,
l'esplorazione del mondo fisico non dovrebbe avere problemi a svilupparsi in modo
progressivo e lineare.
Questa opinione "ottimistica" sulle possibilità della scienza tradizionale è stata
modificata, nel corso del novecento, da due fondamentali ragioni: la prima è lo
sviluppo della meccanica quantistica ed in particolare la scoperta del principio di
indeterminazione di Heisenberg, per cui vi è una limitazione insuperabile nella
precisione con cui si può determinare simultaneamente la posizione e la velocità
delle particelle elementari.
La seconda ragione, più strettamente legata al discorso sul caos, è la scoperta che
sistemi costituiti da tre o più corpi possono presentare un comportamento aleatorio.
Tale aleatorietà non scompare con la raccolta di ulteriori inforrnazioni sul sistema
stesso.
L'esempio che viene fatto a questo riguardo è quello di un sistema di sfere dure
(biliardo), che rappresenta, in modo semplificato,l'interazione tra atomi o mole-
cole in un gas. Lanciando una palla da biliardo contro altre palle, non si può
prevedere il percorso che seguirà la palla dopo pochi urti. La non prevedibilità si
mantiene anche se si assume che le superfici delle palle siano perfettamente lisce
e le traiettorie siano perfettamente rettilinee.
La ragione di tale imprevedibilità in un sistema così semplice sta nella sua
estrema dipendenza dalle condizioni iniziali. II fenomeno è infatti noto come
"sensibilità alle condizioni iniziali". Una minima variazione della direzione di
incidenza del primo urto viene amplificata dalla superficie curva della palla, per cui
"
la traiettoria dopo il primo urto sarà più sensibilmente divergente da quella prevista,
e così via negli urti successivi. Dopo diversi urti, i percorsi saranno imprevedibili.
Non esiste nessuno strumento che possa lanciare la palla senza la minima imper-
fezione (sarebbe uno strumento perfetto, ma la perfezione assoluta non esiste nel
mondo fisico: vi sarà sempre una minima perturbazione, o fluttuazione nello stato
di un sistema fisico, anche se macroscopicamente tale imperfezione può non
apparire). Per questo il sistema apparentemente "semplice", descritto dal modello
164 C omplessità, informazione e integrazione
Pn*r=Pn + p"k(p."*-p")
dove pn*, è la popolazione dell'anno n+1 che può essere calcolata in base alla
popolazione dell'anno precedente, o popolazione iniziale (p,) sommata della
crescita annuale che è uguale a p, moltiplicata per un coefficiente di crescita k e di
un fattore dato dalla differenza tra la popolazione massima possibile (p,"_) e p".
La crescita additiva annuale sarà perciò dipendente linearmente dalla popola-
zione preesistente, ma è limitata dal fatto che c'è un massimo raggiungibile.
Ponendo il valore del coefficiente di k tra 0.3 e 1.5 e sviluppando i calcoli iterativi
di anno in anno, si otterranno le seguenti soluzioni: se pn è molto più basso del
massimo, la crescita è effettivamente lineare. Quando però la popolazione cresce,
p- r max,la differenza p
I n si avvicina a p_.., , -p
FmAx ---_- azero e Ia crescita si ferma. Ponendo
rn tende
sull'asse delle ascisse il numero delle iterazioni (anni successivi) e sull'asse delle
ordinate la popolazione, si ha una curva di crescita che raggiunge asintoticamente
il massimo (Figura 16 A). Fin qui non vi è niente di strano. Se però nella funzione
si inserisce un coefficiente di crescita tra 1.5 e 2, si ha una curva qualitativamente
diversa: all'inizio si supera il valore di p.u*, poi iterazioni successive portano a
valori leggermente oscillanti in più ed in meno rispetto a p,"*, poi la curva di crescita
si assesta sul valore massimo senza più modificarsi (figura 16 B). Per coefficienti
di crescita tra2 e2.45, avviene un fenomeno strano ed imprevisto cui si dà il nome
di "biforcazione": la funzione oscilla tra due valori fissi che si ripetono in anni
alternati (figura 16 C). Per valori immediatamente più grandi di 2.45 awiene
Compless ità, informazione e integrazione 165
t.02
.937
.857
.717
.697
15.0 25.0 35.0 4
Figura 16. Iterazioni di Verhulst [dal lavoro di Garner and Hock, 199L, con
attorizzazione]. I riquadri riportano i grafici dell'andamento della
popolazione in anni successivi, risultante dalla iterazione dell'equazione pn*,
= pn * pn k (p-u*-pn), cambiando il fattore k (velocità
di crescita annuale della
popolazione). A: È k
= 0.3;B: = 1.5; C:k=2.1;D'.k=2.5; E: k = 2.9' Con
quest'ultimo valore, risulta un andamento caotico.
166 Complessità, informazione e integrazione
a lungo termine di alcuni sistemi dinamici. In altri termini, un attrattore è ciò verso
cui si stabilizza, o è attratto, il comportamento di un sistema. Esso possiede quindi
un'importante proprietà: la stabilità. In un sistema sottoposto a perturbazioni, il
movimento tende a tornare verso I'attrattore.
L'attrattore può essere un singolo punto, come ad esempio nella traiettoria del
pendolo quando esso raggiunge lo stato stazionario, oppure un numero finito di
punti che riflette un comportamento di tipo periodico, oppure un sistema infinito
di punti che genera una figura in forma di orbita che non si ripete mai uguale, come
può avvenire nei sistemi caotici ("attrattori strani"). È difticlte immaginare un
"attrattore strano" a livello geometrico, perché le sue caratteristiche implicano che
una tale orbita debba avere una lun ghezzainfinita contenuta in una superficie finita
(l'area d'attrazione). Si tratta quindi di oggetti "di dimensione non intera', o
"frattali" (v. sotto) [Ruelle, 1991].
Anche i sistemi caotici presentano delle regolarità. Ad esempio, le equazioni
descritte in precedenza, pur dando, a determinati valori del coefficiente, risultati
imprevedibili, non danno soluzioni infinite: la ampiezza delle oscillazioni rimane
in un certo ambito. Inoltre si è visto che, continuando le iterazioni di simili
equazioni e crescendo ulteriormente il valore dei coefficienti, dopo periodi di caos,
possono ricomparire periodi di ordine, seguiti da nuove zone di caos e poi di ordine.
Vi è quindi una "regolarità ricorsiva'l [Hofstadter ,1.991] in generazioni successive
di transizioni da caos a ordine, con la ricomparsa di soluzioni uniche o regolari
oscillazioni che si sdoppiano a cascata al crescere del valore del coefficiente. Tale
regolarità ricorsiva crea figure con lfbande" di regolarità e di irregolarità che si
ripetono e si assomigliano, con uno schema di tipo frattale.
Lo studio del comportamento di sistemi matematici e fisici con transizioni tra
ordine e caos ha tratto grande impulso dalla analisi delle dinamiche di formazione
di oggetti frattali. La geometria frattale è infatti la più adeguata a descrivere caos
e complessità [Jurgens et al., 1990].
Il termine frattale fu coniato nel1975 da B.B. Mandelbrot ed acquisì ampia
notorietà nel mondo scientifico a partire dai primi anni '80 [Mandelbrot,lgBZT.
Con esso si vuole intendere quelle entità matematiche o geometriche che sono
dotate di dimensione frazionaria (dal latino fractus, rotto). Molte figure frattali
hanno una configurazione ripetitiva al cambiamento di scala, una sorta di autoso-
miglianza nei dettagli rispetto allo schema generale.
Le forme frattali possono essere generate al calcolatore con algoritmi (elenchi
di istruzioni che specificano Ie operazioni da svolgere per risolvere un determinato
problema) a partire da funzioni matematiche che vengono opportunamente iterate,
cioè ripetute in modo che il risultato,della precedente entri come fattore nella
successiva. Mediante questgoperazioni, appaiono figure con le seguenti caratteri-
stiche:
168 Complessitò, infor mazione e integrazione
Figura 17. Insieme di Mandelbrot [adattato dal lavoro di Garner and Hock, 1991, con
autorizzazione]. L'immagine è prodotta al calcolatore iterando nel campo
complesso la formula Xn*, = Xn'+ c. Ogni punto della figura 17 A risulta da
200 iterazioni della formula calcolata con numerosi valori di c. X e c
nell'insieme di Mandelbrot sono numeri complessi. Se con un certo valore di
c I'iterazione identifica un'orbita critica che non tende all'infinito il punto
appartiene all'insierne di Mandelbrot e il computer segna un punto nero, se
l'orbita tende all'infinito, il computer segna un punto bianco. I confini
dell'insieme di Mandelbrot presentano dettagli straordinariamente fini e dalle
forme più varie [v. anche Dewdney, 1991]. In 17 B è riportato un
ingrandimento, ottenuto con ulteriori 1,2 itcrazioni per ciascun punto, del
particolare indicato dalla freccia in 17 A. In 17 C l'ingrandimento dello stesso
particolare è fatto con 24 iteruzioni per punto; in 17 D con 30 iterazioni per
punto e in 17 E con 200 iterazioni per punto. Nel dcttaglio si ritrova una figura
molto somigliante all'intero insieme di Mandelbrot.
t70 Complessità, informazione e integrazione
Figura 18. Un fiore (celosia) con struttura a frattale. Lo ste sso schema del fiore intero (A)
si vede in un particolare e nelle sue ulteriori suddivisioni (B).
fondamentale nella nascita della vita sulla terra lo ha continuamente nei processi
e
biologici. La aggregazione per diffusione dipende dal moto casuale delle particelle
disperse e dalla "atttazione", o "condizionamento" dati dal primo microaggregato,
o dalle superfici del contenitore, o dal moto del fluido, ecc.La aggregazione per
diffusione produce strutture frattali, forme geometriche affascinanti in cui determi-
nismo e casualità, ordine e diversificazione coesistono. La geometria frattale si
riferisce quindi ad una "casualità vincolata", tanto che alcuni parlano di un
determinismo del caos (caos deterministico).
Si sta quindi indagando un campo di frontiera per la scienza: individuare le
"leggi del disordine",che sono alcune regole fondamentali di comportamento dei
sistemi complessi, regole che rivelano il modo con cui il sistema caotico si può
organizzare in ordine ad ampio raggio, pur mantenendo sempre un certo grado di
aleatorietà. Tale aleatorietà, scoperta di recente persino dentro l'atomo [Gutzwiller,
1992), resta come un fattore ineliminabile nell'evoluzione ontogenetica e filoge-
netica, come un fattore che, accoppiato all'informazione capace di generare ordine,
costituisce un mezzo per poter generare continuamente nuove forme, nuove
diversità.
Complessità, informazione e integrazione t71
Vi è già chi inizia ad applicare questi nuovi concetti allo studio della fisiologia
e della patologia umane. Ad esempio, è stato riportato [Goldberger et al., 1991] che
la frequenza cardiaca di un individuo sano varia nel tempo con periodicità
intrinsecamente caotica e non, come si riteneva finora, secondo un normale ritmo
sinusale influenzato solo dai sistemi omeostatici. Osservando tali variazioni
secondo scale temporali diverse (minuti, decine di minuti e ore) si vedono
fluttuazioni simili, che ricordano un comportamento frattale, nel dominio del
tempo anziché in quello dello spazio. Non si tratta, ovviamente, di aritmia, ma di
oscillazioni del ritmo normale. Anche I'elettroencefalogramma rivela simili cao-
ticità come aspetti normali del suo funzionamento [Freeman, 1991]. Analizzando
variazioni temporali del livello ormonale in soggetti sani, sono state trovate
situazioni caotiche.
Gli autori sopra citati sostengono che i sistemi fisiologici con dinamiche
intrinsecamente caotiche hanno vantaggi funzionali, in quanto sono più flessibili
ed adattabili al variare delle condizioni e delle richieste da parte di un ambiente in
continua modificazione. In altre parole, si potrebbe dire che un sistema caotico può
esserepiùfacilmente modulato diun sistema giàfortemente ordinato. Acontropro-
va di tale teoria, viene riferita una osserv azione paradossale: molti elettrocardio-
grammi di pazienti con gravi patologie cardiache rivelano la scomparsa delle
fluttuazioni caotiche, come se la patologia fosse la stabilità. Anche il sistema
nervoso può mostrare perdita di variabilità ed insorgenza di periodicità patologiche
in disordini quali l'epilessia, il morbo di Parkinson, la sindrome maniaco-depressiva.
Freeman, professore di neurobiologia all'Università della California a Berke-
ley, riferisce: "I nostri studi ci hanno fatto anche scoprire un'attività cerebrale
caotica, un comportamento complesso che sembra casuale, ma che in realtà
possiede un ordine nascosto. Tale attività è evidente nella tendenza di ampi gruppi
di neuroni a passare bruscamente e simultaneamente da un quadro complesso di
attività ad un altro in risposta al più piccolo degli stimoli. euesta capacità è una
caratteristica primaria di molti sistemi caotici. Essa non danneggia il cervello: anzi,
secondo noi, sarebbe proprio la chiave della percezione. Avanziamo anche l'ipotesi
che essa sia alla base della capacità del cervello di rispondere in modo flessibile alle
sollecitazioni del mondo esterno e di generare nuovi tipi di attività, compreso il
concepire idee nuove" [Freeman, 1991].
Anche nel sistema immunitario il caos potrebbe avere un ruolo molto importan-
te, soprattutto perché tale sistema deve continuamente generare nuove forme di
recettori, che possano confrontarsi con tutti ipossibili antigeni che il mondo esterno
ed interno al corpo possono presentare. La "fantasia" è quindi una fondamentale
proprietà del sistema immunitario, senza la quale mancherebbe la adattabilità ad un
mondo in continuo cambiamento e la capacità di difendersi da potenziali aggres-
sori. Caos e frattali sono essenziali nelle dinamiche delle reti idiotipiche, come
172 Complessità, informazione e integrazione
delle componenti ad una data scala può provocare su scala più vasta un comporta-
mento globale complesso che in generale non può essere ricavato dalla conoscenza
delle singole componenti.
Spesso il caos è visto in termini delle limitazioni che comporta, come la
mancanza di prevedibilità. Ma accade che la natura sfrutti il caos in modo
costruttivo. Grazie alla amplificazione delle piccole fluttuazioni, esso può con-
sentire ai sistemi naturali di accedere alla novità. Una preda che sfugga all'attacco
di un predatore potrebbe usare un controllo caotico del volo come un elemento di
sorpresa per sfuggire alla cattura. L'evoluzione biologica richiede la variabilità
genetica, ed il caos offre un mezzo per la strutiurazione delle variazioni aleatorie,
fornendo così la possibilità di porre la variabilità sotto il controllo dell'evoluzione.
Anche il progresso intellettuale è basato sull'introduzione di idee nuove e su
nuove connessioni fra idee vecchie. La creatività innata potrebbe essere basata su
un processo caotico, che amplifica selettivamente piccole fluttuazioni e le foggia
in stati mentali macroscopici coerenti che vengono esperiti come pensieri. In certi
casi i pensieri possono essere decisioni o essere percepiti come un esercizio della
volontà. Sotto questa specie, il caos fornisce un meccanismo che spiega il libero
arbitrio nell'ambito di un mondo retto da leggi deterministiche".
Energio
Moterio
XI A a-----, A, | *'
__________> , '^X|igii"
lnformozione
I I /nformazione
ds/dt > 0
dS/dt=d,S/dt+d"S/dt
Mentre la legge fisica impone d S > 0, non esiste legge che impone il segno di
d"S, in quanto il flusso di entropia di un sistema può essere positivo o negativo, a
sèconda del sistema considerato. È dunque possibile che d"S diventi, in qualche
176 Complessità, informazione e integrazione
ds/dt < 0
una situazione per cui il disordine diminuisce ed il sistema aumenta il proprio grado
di organizzazione. Questo sarebbe in fondo il meccanismo fondamentale di
diminuzione del disordine nel corso dell'evoluzione. Dall'ambiente il sistema
prende o riceve energia, materia ed informazione, all'ambiente il sistema aperto
fornisce in altra forma energia, materia ed informazione. Nell'interno del sistema
l'entropia diminuisce, mentre quella totale dell'universo continua ad aumentare,
salvando così la validità generale della seconda legge.
La situazione reale dei sistemi fisici e dei sistemi biologici non è tuttavia
riconducibile ad un simile schematismo, in quanto parrebbe che allo stesso interno
del sistema le interazioni spaziali su larga scala dei vari elementi possono in qualche
modo sfuggire "spontaneamente" al disordine e generare forme ordinate
tamenti complessi [Nicolis and prigogine,1991]. Trattare questi problemi " "ò*po.-
ad un
livello più approfondito esulerebbe dagli scopi di questo lavoro, che intende offrire
solo una panoramica dei problemi oggi ancora aperti nel campo della complessità.
Un efficace esempio di cosa significhi complessità in un sistema fisico potrebbe
essere quello dei fenomeni di convezione termica. Se si prende un recipiente e lo
si riempie di acqua, lasciandolo a se stesso (sistema "chiuso") dopo poco tempo le
turbolenze del liquido che si avevano durante il riempimento spariranrà, l"
bollicine d'aria verranno a galla e si avrà un liquido omogeneo in cui tutte le parti
sono identiche, omogenee ed aventi la stessa temperatura. Le molecole d,acqua si
muovono nel massimo disordine (figura 20 A).
La tendenza del sistema all'equilibrio è piuttosto forte: se si applica una
perturbazione, per esempio rimescolando (energia cinetica) o immergendo un dito
(energia termica), dopo poco tempo l'acqua ritornerà ferma e disperderà l,energia
termica: non resterà traccia di questa perturbazione. Se però si sottopone questo
sistema adunflusso dienergia (vincolo), ad esempio applicando un calore stabile
che viene da sotto il recipiente e si disperde sopra (assumendo che le pareti laterali
non influiscano) si potranno verificare due diverse situazioni: fino ad un certo punto
il sistema trasferisce I'energia dall'acqua calda (sotto) a quella fredda (sopra),
secondo una "semplics" convezione termica, si avrà cioè un nuovo equilibrio, con
molecole che si muovono caoticamente più veloci negli strati bassi, caoticamente
più lente negli strati più alti (figura z0B).Anche in questo nuovo equilibrio, però,
le molecole si muovono disordinatamente, a velocità maggiore o minore a seconda
della temperatura. Ad un certo punto, detto punto critico, nel liquido si cominciano
a manifestare movimenti massicci, collettivi, dell,acqua. La continuità
del gradien-
Complessità, informazione e integrazionè 177
(c A L o R E)
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CALORE
Figura 20. Formazione delle celle di Bénard. Sono schematicamente raffigurati i
movimenti vettoriali di molecole d'acqua in un recipiente chiuso tra due
pareti, superiore e inferiore, sufficientemente ampie per cui le pareti laterali
sono ininfluenti. Per semplicità, è rappresentata solo la sezione del recipiente.
A: situazione in equilibrio; B: nuovo equilibrio, determinato dal flusso di
energia termica; C: rottura dell'equilibrio, con comparsa di un
comportamento complesso (celle di Bénard).
178 C omplessità, informazione e integrazione
Senza voler owiamente esaurire in questa sede una problematica così ampia e
difficile, si possono riassumere quelle che sono le caratteristiche, le proprietà
peculiari, i modi di funzionamento dei sistemi complessi così come molte discipli-
ne stanno oggi rivelando:
a) Un sistema complesso presenta proprietà che sono superiori alla somma delle
sue componenti.
Dalle interrelazioni dei sotto-sistemi si generano nuove funzioni, come ad
esempio nel campo della fisiologia i potenziali elettrici di membrana a livello
cellulare, o il controllo della pressione arteriosa a livello del sistema vascolare,
o il pensiero e le emozioni a livello del sistema nervoso centrale. Le nuove
funzioni non sono deducibili dall'analisi delle sub-componenti, anche se sono
condizionate e determinate da esse.
c) Un sistema che segue le leggi della complessità non sempre si comporta in modo
lineare, cioè gli effetti non sono sempre proporzionali alle dosi di un certo
fattore che modifica l'equilibrio.
Le conseguenze di tale fattore possono teoricamente essere molto varie. Ad
esempio, si può dare il caso che una perturbazione venga "assorbita" senza
lasciare traccia, cioè che provochi una modificazione in un parametro, subito
seguita da un ritorno allo stato iniziale (feed-back negativo).
È possibile anche che la reazione del sistema sia tale che si abbiano oscillazioni
dei parametri, anche in senso opposto alla perturbazione iniziale (quello che in
farmacologia si potrebbe definire un effetto rebound). D'altra parte, è possibile
che minime variazioni delle condizioni iniziali o minime perturbazioni possano
attivare dei cicli di auto-catalisi (feed-back "positivo"), o adatti sistemi a cascata
di amplificazione tra loro concatenati, con grandi effetti risultanti: è il cosiddetto
"effetto farfalla", per cui tipico è il detto che il battito d'ali di una farialla in
Brasile può scatenare, o fermare, un uragano in Texas! lLorcnz,1979; v. anche
Nicolis e Prigogine, 1.991, pag. 1.44).
Infatti il campo della meteorologia è uno di quelli in cui il problema della
complessità e del caos è stato compreso in modo molto sistematico, per la ben
nota difficoltà nella previsione del tempo. Sistemi di amplificazione sono però
presenti a tutti i livelli degli apparati di ricezione di stimoli esterni da parte di
un sistema complesso. La"dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali" è una
proprietà fondamentale dei sistemi complessi che giustifica la comparsa di
dinamiche caotiche, l'imprevedibilità e la non linearità delle risposte [Ruelle,
1,ee1l.
produzione edi utilizzo dell'energia, per cui è sufficiente fornire al sistema una
informazione in modo che sia recepita ed elaborata così da evocare risposte a
cascata che possono essere anche enormemente superiori, come quantità di
energia e di informazioni, allo stimolo iniziale che l'ha messa in moto.
Un riferimento all'esperienza comune potrebbe rendere I'idea di questo impor-
tante principio. si immagini di avere un grosso peso, come una damigiana sul
pavimento e di volerla mettere su un tavolo. Per sollevarla di un metro da terra,
si impiegherebbe una energia di 100 Joules, ovvero24 calorie. vi è però un'altra
possibilità per sollevare il peso senza consumare tanta energia: chiamare un
amico robusto e dirgli "solleva il peso, per favore, che poi ti offro un bicchiere
di vino". Egli recepisce il messaggio, lo valuta e decide di soilevare ra
damigiana. si ottiene 1'effetto consumando molta meno energia, cioè quella
necessaria per pronunciare un paio di frasi, forse 1 o 2 Joules. Si sarebbe potuto,
forse, consumarne ancora meno usando solo uno sguardo di intesa, come
awiene tra amici. L'energia di 100 Joules l'ha trovata l'amico nei suoi muscoli.
L'amico è un sistema complesso, dotato di recettori (orecchie od occhi), di
trasduttori (cervello), di sorgenti di energia (metabolismo), di sistemi effettori
(muscoli ed ossa). La cosa importante, per ottenere l'effetto desiderato, è stato
dare l'informazione giusta nel momento giusto alla persona capace.
Gli esempi si potrebbero allargare a volontà, fino a mostrare come la conoscen-
za, la trasmissione o la manipolazione di informazioni, informazioni cruciali in
momenti particolari, possano cambiare la storia di persone e di popoli. euanto
più un sistema è complesso e "flessibile", tanto più "sottili" possono essere le
energie capaci di alterarne il comportamento.
h) Nella descrizione e nella comprensione dei sistemi complessi è molto utile, forse
indispensabile, fare uso di archetipi e di analogie.
ciò è stato messo in luce molto bene da Nicolis e prigogine [Nicolis e prigogine,
1991]. Per analogia si intende quella somiglianza tra due sistemi distinti, che
può servire a comprendere meglio l'uno sulla base delle conoscenze già
raggiunte sull'altro. Tramite l'uso della analogia è quindi possibile costruire
modelli più avanzati rispetto a quelli attuali e fare previsioni su sistemi ignoti
a partire da sistemi noti (di solito chimico-fisici, o matematici) che fungono da
"archetipo", cioè da riferimento.
Scrivono gli autori citati: "I sistemi fisico-chimici che danno origine a fenomeni
di transizione, all'ordine a lungo raggio, ed alla rottura della simmetria lontano
dall'equilibrio possono servire come un archetipo per capire altri tipi di sistemi
che mostrano un comportamento complesso, per i quali le leggi di evoluzione
delle variabili coinvolte non sono note ad alcun livello confrontabile di
dettaglio. (...) L'analisi procede in due passi. primo, vengono tratte certe
Complessità, informazione
e integrazione
1g5
analogie fra Ie oss"^ tq>i^^: _ .,
.ir.,i,Irrtol..;H*:L,ir,rT,i,l,ilT"lramento di sistemi risico-chimici ,,di
adeguata rappresenrazion";.;'r;ffi che è probab,rr.;;"i;'
Io stadio delle sr
Xt,I:0""" p,.;
Aftivozione del
sisfemo regolotore
'Ptmlng'omologo
ed eterologo
Aumento
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@@@
+ 7\ Altrl sistemi
Compenso
o reozione
Segnl, siptqmi,.
e vonozoru ol /
indici biochimici
Figura 21. Schema delle modificazioni indotte da una perturbazione esterna in un sistema
omeostatico. La situazione di partenza ("disequilibrio controllato") è quella
descritta in figura 8. La condizone perturbante è ipotizzata essere quella che
incide sul sistema effettore A->A'o direttamente su A', portando ad un
aumento eccessivo di tale parametro. All'aumento del segnale a', il sistema
regolatore viene attivato e reagisce tentando di reintegrare l'equilibrio
perduto. Per le dinamiche recettoriali presentate in questo modello, vedi anche
il testo.
Omeostasi, complessità e omeopatia: la
"Legge di Similitudine» 189
DerenslbillzoXone
omologo verso (o')
Aumenlo
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verso oltrl segnoll
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-60
"*,LX:ss,em
compenso
:"W,i:i;gl3{i'é;"P|j /
Ridttzione effelti di (r')
i sistemi effettori (nel nostro caso, produzione di r). In generale, questo fenomeno
è specifico a livello recettoriale: sono cioè i recettori occupati che spariscono,
mentre gli altri rimangono, o addirittura aumentano. In altre parole, la desensibi-
lizzazione tende ad essere agonista-specifica (anche se, ovviamente, solo possibili
eccezioni e varianti che riguardano associazioni tra gruppi di recettori diversi, stati
cellulari di esaurimento globale di tutte le attività, ecc..).
Facendo riferimento a questo schema fondamentale e per forza di cose sempli-
ficato, è quindi possibile ipotizzare il modo d'azione del farmaco omeopatico
(figura 23). Esso attiva il sistema di controllo attraverso altri recettori, diversi da
quelli per a', ma che ottengono lo stesso effetto: far riprendere Ia produzione di
segnale r e quindi far attivare il meccanismo di compenso A'- >A. Il farmaco
omeopatico agirebbe quindi in sostituzione di a', per il quale il sistema non è più
sensibile in quanto adattato.
Su cosa si basa tale ipotesi? Essa si fonda sul fatto che il farmaco omeopatico
deve necessariamente interagire col sistema regolatore in oggetto, perché è stato
individuato proprio in base alla sua capacità di provocare sintomi simili alla
malattia, cioè sintomi simili a quelli provocati dal mediatore a' tramite la
attivazione del sistema regolatore. È chiaro che, se è vero che la maggior parte dei
sintomi in una condizione patologica sono dovuti alla attivazione dei sistemi di
reazione omeostatici, dovrebbe essere possibile in qualche modo "riprodurre" la
attivazione degli stessi sistemi omeostatici somministrando un composto che
"riproduce" i sintomi della malattia. Teoricamente, nel sistema sano, non perturba-
to, i sintomi della malattia potrebbero essere prodotti dallà somministrazione di a'
e di r, oppure di una sostanza che attiva il sistema regolatore attraverso recettori
diversi da quelli per a'. Nel sistema malato, a' è già presente in gran quantità e
provoca effettivamente i sintomi, ma, se scatta il meccanismo dell'adattamento
recettoriale, si può entrare in una situazione in cui i sistemi di regolazione "si
paralizzano", sono inefficienti, squilibrati essi stessi. Poiché però il sistema di
regolazione nella malattia conserva altre sensibilità, anzi probabilmente le accen-
tua, se si impegnano tali sensibilità con altri segnali, è possibile riattivarlo.
Applicando al sistema regolatore un segnale " simile" ad a' (nel senso che provoca
sintomi simili), si evoca la risposta r e quindi il ritorno alla normale omeostasi.
Lasimilitudine è quindi tra i sintomi provocati dalla attivazione dei meccanismi
reattivi da parte del processo patologico nel paziente e i sintomi provocati dalla
attivazione degli stessi meccanismi reattivi in un soggetto sano da parte di un agente
esterno biologicamente significativo (in questo caso, il farmaco omeopatico).
L'ipotesi qui esposta si basa, in sintesi, sui seguenti punti:
Rimedio
omeopotico
I
--E:
{>
@ REGOI.AIORE
{>
@
Figura 23. Rappresentazione schematica e molto semplificata del possibile modo con cui
un farmaco con modo d'azione "omeopatico" (o) potrebbe ri-attivare il
sistema regolatore ed il circuito omeostatico.
Non si può non citare a questo punto quanto scriveva Hahnemann, che per primo
intuì questo approccio terapeutico (perdonandogli, ovviamente, le esagerazioni):
"Il potere di guarigione delle medicine si basa quindi sui loro sintomi (*) di forza
superiore simili a quelli della malattia, cosicché ogni singolo caso di malattia viene
rimosso e distrutto nel modo più sicuro, più radicale, più rapido e più duraturo
soltanto da un medicamento che sia capace di produrre nell'organismo umano la
totalità dei sintomi nel modo più simile e più completo e nel medesimo tempo superi
in forza la malattia. Poiché questa legge salutare di natura si manifesta in tutte le
prove pure (* *) e in tutti gli esperimenti puri del mondo, è dimostrato che il fatto
esiste; poco importa sapere scientificamente il perché questo avvenga ed io ci tengo
poco a tentarne la spiegazione. Pur tuttavia la seguente ipotesi è la più probabile,
perché si basa su chiare premesse sperimentali. Poiché ogni malattia (non di
spettanza della chirurgia) consiste in una perturbazione patologica dinamica della
nostra forza vitale (principio vitale), il principio vitale, perturbato dinamicamente
dalla malattia naturale, nella cura omiopatica viene attaccato da una affezione più
forte, simile, artificiale, determinata dalla somministrazione di una medicina
potentizzata e scelta esattamente per la somiglianza dei sintomi" (par.27 ,28 e 29
dell'Organon).
Quanto qui presentato ha lo scopo di costruire, a livello di biologia cellulare e
molecolare, un modello che rende conto dell'effetto del farmaco omeopatico. Tale
teoria è basata su uno schema estremamente semplificato, forse semplicistico, ma
ciò è necessario per enucleare con chiarezza il concetto centrale, attorno a cui
individuare svariati altri problemi, che saranno qui di seguito discussi.
Le teorie ed i modelli esposti nella sezione precedente non hanno la pretesa cli
rappresentare l'unica spiegazione della azione del farmaco omeopatico, ma solo un
primo abbozzo di un'ipotesi che certamente andrà modificata ed integrata da nuove
acquisizioni e nuovi concetti. La teoria sopra esposta offre un quadro di riferimento
attorno a cui si devono fare varie precisazioni e di cui si devono discutere alcuni
corollari, estensioni e varianti.
6.2.1 . L'aggravamento
La specificità non si basa però solo sulla natura del farmaco, perché in omeopatia
vengono usate sostanze apparentemente molto semplici (sali minerali, metalli), ma
è garantita soprattutto dalla particolare metodica di individu alizzazione sulla base
dei sintomi. Infatti tale metodica consente di :'identificare" il rimedio giusto per il
maggior numero di sintomi presenti, e quindi per il maggior numero di sistemi
omeostatici alterati.
Il farmaco omeopatico agisce tanto meglio quanto più il sistema è complesso e
sottoposto a dinamiche di regolazione fini. Non si può concepire un uso del farmaco
come un inibitore enzimatico, e chi ha provato a sperimentarlo come tale ha avuto
risultati negativi [Petit et al., 1989] o scarsi ed incerti [Harisch and Kreshmer,
19881. Le sperimentazioni riportate nel cap. 4 indicano che la ricerca sta mostrando
come sia più facile (o meglio, meno difficile) ottenere risultati positivi di diluizioni
omeopatiche quando i sistemi sperimentali sono costituiti da animali od organi
isolati piuttosto che cellule o enzimi.
L'omeopatia ha una farmacopea fatta da molte sostanze derivate dal regno
animale, vegetale e minerale. La maggior parte di queste sostanze (prescindendo
ancora dal discorso sulle alte diluizioni) sono estratti di materiali grezzi, non
molecole purificate o sintetiche. Ciò aggiunge un ulteriore grado di complessità sia
alla interpretazione del loro effetto che alla ricerca in questo campo. D'altra parte,
nella "logica" omeopatica non potrebbe essere diversamente. Se è vero che le
malattie hanno dinamiche complesse, l'intervento riequilibratore non potrebbe
essere fatto se non con un approccio complesso. Nella terapia ottimale, devono
essere raggiunti, in modo dinamico e mirato, molti diversi recettori simultaneamen-
te, di cui alcuni attivatori, altri regolatori, sia nella sfera psichica che nella sfera
fisiologica. La farmacopea omeopatica offre una vastissima scelta di rimedi con
caratteristiche diverse. L'unico, o quanto meno il prevalente, filo conduttore che
orienta in tale complessità è la similitudine dei sintomi tra paziente e rimedio.
Desta meraviglia constatare come l'organismo animale presenti multiformi
recettori capaci di ricevere informazioni da molteplici elementi presenti in altri
organismi animali, in fiori, radici di piante, una varietà di minerali. Spesso, tali
elementi sono dei veleni se usati alle alte dosi, fatto che indica la loro alta reattività
con i sistemi biologici.
che senso ha questa "corrispondenza" di informazioni tra il mondo esterno e
l'interno dell'organismo, corrispondenza che risulta in effetto dannoso o terapeu-
tico a seconda delle dosi? Le ragioni si possono ritrovare nell'evoluzione degli
esseri viventi: i veleni sono comparsi come prodotti di piante ed animali che li
utilizzavano vantaggiosamente a scopo difensivo ed offensivo;per sortire tali scopi
dovevano in qualche modo "mimare" sostanze presenti all'interno dell'organismo
bersaglio, altrimenti non vi sarebbe stata interazione specifica e quindi il danno
biologico cercato. Quindi, veleni e tossine, proprio in quanto tali, sono dei "simili"
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine, 797
6.2.4. Le dosi
a) che il rimedio usato possa avere effetti tossici, visto che molte sostanze usate in
omeopatia sono dei veri e propri veleni quando usati alle alte dosi;
b) che i recettori per il farmaco omeopatico sul sistema di regolazione risultino essi
stessi saturati e quindi se ne perda l'efficacia, per le ragioni in precedenza
esposte a proposito delle dinamiche recettoriali (sez. 5.6.3).
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «I-egge di Similitudine" 199
Nell'ambito della complessità, il problema delle dosi acquista ancora più senso
ed interesse di quanto ne abbia solo alla luce delle dinamiche recettoriali in senso
classico. Infatti la sensibilità a piccole dosi di farmaco non si spiega solo sul piano
dell'aumento di recettori, come potrebbe apparire da unavisione semplificata quale
quella proposta negli schemi delle figure 22-24. Se è vero che i sistemi omeostatici
seguono le "leggi" della complessità, dove insorgono facilmente dinamiche caoti-
che, dove ordine (informazione) e disordine (entropia) convivono in disequilibrio
controllato, anche una loro manipolazione farmacologica ubbidisce alle leggi di
non-linearità. Quando un sistema omeostatico oscilla tra ordine e disordine, tra
finalismo positivo ed autolesionismo, tra la scelta di aggredire la malattia e quella
di salvare la tranquillità, esso è in una situazione di grande "precarietà", di
"iicettezza", per quanto riguarda le possibili soluzioni che vengono adottate. È il
punto che in termini matematici è detto "di biforcazione", o "rottura di simmetria"
[Nicolis and Prigogin e, 1991., pag. 84-88].
Il confine tra ciò che è considerato difesa e ciò che è considerato offesa
rappresenta un crinale lungo il quale l'organismo nelle fasi critiche si trova
"indeciso". A questo punto la più piccola informazione "esogena", se ben indiriz-
zataeben intesa, rappresenta per il sistema ciò che indirizza la scelta tra due opposti
atteggiamenti (nel nostro caso, semplificando, adattamento o reazione, espressione
di recettori o loro down-regulation, immunità o tolleranza, coagulazione o fibrino-
lisi, ecc.). Si potrebbe ipotizzare che, per produrre un effetto regolativo, le dosi
necessarie di un farmaco siano tanto più basse quanto più delicata e sottile è la scelta
che il sistema deve compiere. In altre parole, in un sistema che può assumere diverse
configurazioni o diversi livelli di attività, l'intensità dello stimolo esogeno che ne
determina la scelta è tanto più bassa quanto maggiore è la "libertà" del sistema
stesso.
Si intende qui per libertà la possibilità di assumere diverse configurazioni
alternative. Ad un estremo vi è la massima libertà, come nel caso di un sistema che
oscilla per fluttuazioni spontanee e caotiche, all'altro estremo vi è un sistema
totalmente deterministico e rigidamente soggetto a precisi controlli. Come si è
visto, i sistemi biologici e I'organismo umano come loro massima espressione,
hanno in sé entrambi i caratteri (il caos e l'ordine deterministico) e perciò possono
essere regolati sia da interventi "drastici" (farmaci ad alte dosi, inibitori enzimatici,
radiazioni ionizzanti ed eccitanti, interventi chirurgici, ecc.), sia da interventi
"sottili" (omeopatia, agopuntura, fattori psicologici e culturali, campi elettroma-
gnetici di bassa frequenza, ecc.).
Secondo questa ipotesi, sarebbe del tutto improponibile che un rimedio omeo-
patico agisca a liveilo atomico o su molecole semplici. Se si vuole spaccare il nucleo
di un atomo (sistema relativamente semplice ed altamente - se non totalmente -
deterministico), si deve usare un'altissima energia, fornita solo da particolari
200 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»
acceleratori di particelle, e non lo si può fare con nessuna sostanza chimica, per
quanto potente e concentrata. Se si vuole spaccare una cellula, si devono usare
radiazioni abbastanza forti, ma bastano quelle di un comune tubo a raggi catodici,
e lo si può fare con acidi, alcali, tossine in adeguate concentrazioni. se si vuole
uccidere un uomo, lo si può fare con minime dosi di un veleno che interessi una
minima parte del corpo, ad esempio il sistema di conduzione del cuore, o il centro
del respiro. Un uomo lo si potrebbe uccidere - e succede - anche con una notizia
sconvolgente (minima energia in termini fisici, massimo significato informaziona-
le). In conclusione: tanto più è complesso il sistema, tanto meno energia serve per
alterarne il comportamento e la strutturs. Questo punto sarà ripreso a proposito
dell'omeopatia delle alte diluizioni (sez. 7.5.2).
lgiene
Dieio Omeopotio
Prevenlone
Antimicrobici
SISTEN4I
\/ REGOLATORI
aJ nlioliae
ronespecifico
fr.l§,i, \ @
,-l /
Teropiesoslitutive I /
odi supporio ___-L--_/
'/--" Anolgesici
t Anlipiretici
es: insulino I / Antinfiommotori
i§fll""
teofillino
,1, /
oigiiote
immunoglobuline
Segni e
SintOmi
come
Anche alcuni trattamenti di tipo non farmacologico potrebbero agire
viene
attivatori del sistema regolatore: ad esempio, l'ossigenoterapia iperbarica
È verosimile
utilizzataper la terapia À ulcere cutanee che non riescono a guarire.
ai tessuti (ciò awiene solo per
che tale teiapia non funzioni solo perché dà ossigeno
alla produzione di
il breve tempo del trattamento), ma perché riaccende, grazie
al meccanismo
radicali liberi dell'ossigeno, il processo infiammatorio che serve
potrebbero agire terapie fisiche
riparativo epiteliale e òonnettivale. Similmente
medicina convenzionale
càme la maiconiterapia o la magneto-terapia (usata nella
soprattutto in ortopedia, v. sez.7 .2).
con altre forme
La terapia omeopatica non è, in linea di principio, in contrasto
di terapia, *u, un)i, potrebbe essere con esse integrata. Questo è un punto
storia dell'omeopatia
particolarmente imporiante, su cui si è giocato molto della
ai suoi tempi, in
come medicina alternativa. Si può forse capire che Hahnemann,
proponesse la propria
cui la medicina non aveva praticamente nulla di scientifico,
(v. esempio note alpar.22e25
impostazione come l'unica razionale ed efficace ad
e micidiale con
d"ll'organon, dove definisce l'allopatia un "gioco irresponsabile
1a vita Àl malato"). Oggi però un simile atteggiamento
pare' ovviamente' anacro-
patet fiilizzare tutti gli
nistico, in quanto *r pi*o terapeutico sarebbe auspicabile
è evidente che la
interventi che concorrono a ristabilire la salute. Ad esempio,
fattori
riattivazione del sistema regolatore ben si accompagna alla rimozione dei
di sostanze
eziologici (prevenzione ambientale, dieta, abolizione dell'introduzione
non si vede perché non si
tossiche, allergogene, cancerogene, ecc')' Così anche
In
possa associaie l'omeopatia agli antibiotici in caso di malattie batteriche'
parte i problemi già noti
quest,ultimo caso I'unica obiezione che si potrebbe fare (a
all,allopatia) è che, se si somministrano antibiotici quando non è strettamente
di funzionare
necessario, non viene data la possibilità al sistema di regolazione
successiva'
naturalmente e quindi di sensibilizzarsi per una migliore risposta
omeopatia e farmaci che agiscono a
Più difficile è il discorso sul rapporto tra
associazione non dovrebbe
livello di soppre.r.ione di sintomi. In teoria una tale
essere controindicata, tranne, ovviamente, nel caso
in cui i farmaci soppressori
stesso sistema su cui punta
siano usati a dosi che bloccano il funzionamento dello
il farmaco omeopatico. Il problema è che effettivamente la maggior parte dei
sintomi sono prodotti dai sistemi regolatori (vedi figure 2 e 2l) e che la maggior
parte dei farmaci che sopprimono iiintomi (ad es. analgesici,
antiinfiammatori,
non sono molto specifici sul piano biochimico
àntispastici, broncodilatatori, ecc.)
l'azione regolativa del farmaco
e bioiogico. Di conseguenza,la interferenza con
omeopatico è molto Probabile.
un altro problema riguarda il fatto che la soppressione dei sintomi, pur
problemi sul
desiderabile sul piano delia soggettività del paziente, può provocare
piano della metidologia omeopatica, perché rende molto più difficile al medico
Omeostasi, complessità
e omeopatia: la oLsggs
di Similitudine,
205
l":,::::ìff :,11iffi='ilr.'jlij.ilr,:ffi
ilconcettoch I"1i
j:ilj;:ll"*'di'ipome,odo.
earcu.n.isintomi(aJ...rrr",,o","i.i*'.'."#:::J:i,.;:::Tffl?[
ne restano altri, u^t1l_izzlbili
per I,inquJOrurento
per quanto ,iguaàa omeopatico.
val,I.nfine,
i ,ar]*, tra omeopatia ed altre
la pena ai ,o,,otir.i;;;;;.:i,".tto forme di rerapia,
trascurabile. La disponif nza banate,
;1;
anribiotici nerre inrezioni,
ii
oir.rr]|i,11-":: .ma
non per quesro
ur,ili,r,i;T:,#Li,::;:l§.T1,".,i:, .::ì0i",
sed ariv i I' !:g
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o.r ,"ai"" ,.r*r,9:.;;;;;;;Hnti
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cause e gri interventi
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IÈ*i, :,Iiil"ii,:iti;:j#.{H.x,;m**;r.*ffi
scarso uso.
ci efficaci quando
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questo probrema, perché
presenta Ia necess'ità,
se ne
poo.ui, .r.-...i, uirto ad l:
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ne dalla mala,ia alla persona fr.""a. r;".r;;;;;, i,org.." ra attenzio_
soggette spesso .O
o;;;il, è noro.,r. ..,.,ri"
._llr-:1,,rfettivi, ,oj*,ir,,o o.rron. che vanno
piccoli raffreddamenti,
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"iiri,i"rr., .rr.rr, "àrir; ."*lii;;J,.ff1[,r;
iy o"li,:;:::l:::Tl$::*/','.'fr:, ."" r É,,"r,.;;;;", ne,,amaggior
aumento di suscettibirirà
af infezione. In llilL.'?':"!'T:" o genetica ai rr'iui.
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termine irrisor to o ,r..irrJ"',iirobrema
affidato ad ;;; ilili",rrrir,"r" a lungo
rur.dl'ilppro""io ilil;i
zione ar "terreno" in gere' a*en_
questi
"u.i più logico e "or
preventivo.
opzionale in altri, come inutile e, forse, persino dannoso in altri ancora. pur
ammettendo che, trattandosi di un approccio ,,globale,, (v. dopo) qualche effetto
si
possa sempre ottenere, il nostro modello esclude che l,omeopatia possa
essere
risolutiva in casi come i seguenti:
In particolare, vale la pena tornare sul problema della terapia dei tumori: come
si è anticipato nella sezione 5.3, allo stato attuale delle conoscenze, laterapia
omeopatica nei tumori non può agire in modo diretto e risolutivo. Nelle neoplaiie,
soprattutto se in stadi avanzati,le alterazioni molecolari, cellulari e sistemiche sono
così avanzate e gravi che il paziente presenta un quadro di sintomatologia che
non
può trovare corrispettivo in un "proving" omeopatico. In altre parole, poiché la
individuazione di adatti rimedi si basa sulla sperimentazione di tall rimedinel sano,
dove dovrebbero provocare sintomi simili a quelli della malattia, non è pensabile
che tale sperimentazione possa essere fatta in modo da provocare tumori nel
soggetto sano. A ciò si potrebbe obiettare che è comunque possibile effettuare
una
terapia omeopatica non direttamente mirata alla neoplasia, ma all,insieme delle
caratteristiche neuroimmunoendocrine del soggetto, allo scopo di cercare di
riequilibrarle. ciò è certamente vero, ma restano comunque due grossi problemi:
a) come tali caratteristiche possano essere individuate in un quadrò
in cui il tumore
ha sconvolto in modo grave e profondo |organismo del paiiente; b) come possa
agire un trattamento orientato alla "fine" manipolazione dell,omeostasi nell,ambi-
to di un quadro clinico e biochimico così fortemente degenerato e progressivo.
La legge di similitudine, almeno nella sua forma .,classica,,, trova difficile
applicazione in casi in cui grossolane alterazioni anatomichelocalizzate, quali
sono
le crescite neoplastiche, sfuggono al controllo del sistema omeostatico generale
e
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine" zo7
Ciò però non deve far ritenere che sia impossibile cercare una spiegazione
dell'azione del farmaco omeopatico sulla base di sue specifiche proprietf di tipo
farmacologico dirette su determinati meccanismi fisiopatologici. Dato un rimedio
individuato empiricamente in base all'approccio globale proposto dall,omeopatia
(ossia l'insieme dei sintomi del rimedio), è sempre possibile fare il p"."or.o
inverso, dalla sintesi alla analisi, cercando di scomporre il problema del meccani-
smo d'azione considerando da una parte i principi attivi del farmaco omeopatico e,
dall'altra, specifici disordini informazionali e regolativi dei probabili sistemi-
bersaglio nell' organismo.
Molti rimedi omeopatici sono stati inizialmente proposti e studiati in totale
assenza di cognizioni sui possibili principi attivi che gli estratti e le prime diluizioni
contengono e, per di più, in totale assenza di cognizioni sui possibili disordini
molecolari, cellulari e fisiopatologici che tali rimedi dovevano curare. oggi la
situazione è ben diversa e si è in grado, sulla base delle conoscenze scientifiche
attuali, di fare molti collegamenti precedentemente impensabili. Da tali collega-
menti risulta un fatto sorprendente: almeno alcune delle azioni dei farmaci
omeopatici su organi e sistemi si possono spiegare sulla base dei loro principi attivi.
Tale fatto è sorprendente perché documenta "a posteriori" la validità delle speri-
mentazioni eseguite dalle scuole omeopatiche in era pre-scientifica, almeno per
quanto attiene all'individuazione dei rimedi. In questa sezione si vuole solo offrire
alcune esemplificazioni di tali concetti , senza poter e voler affrontare in modo
sistematico un argomento di così vasta portata.
La legge di similitudine, così come fu formulata inizialmente da Hahnemann,
si basava sulla somiglianza dei sintomi e quanto illustrato nella sezione precedente
sta a dimostrarne la sostanziale validità. Tuttavia, proprio da quanto si è detto,
risulta che la necessità di ricorrere alla analisi dei sintomi è legata essenzialmente
allaignoranza degli intimi meccanismi fisiopatologici coinvolti nellamalattia. Tale
ignoranza non sarà mai definitivamente colmata, a causa della natura complessa del
fenomeno patologico nella maggior parte dei casi, soprattutto se ci si riferisce
all'analisi completa del singolo paziente. Tuttavia, nella logica dei modelli qui
esposti, si deve assumere che, qualora il meccanismo o i meccanismi della malattia
fossero noti, per un intervento regolatore efficace non sarebbe necessario, anzi
sarebbe insufficiente, ricorrere all'analisi dei sintomi, essendo molto più affidabile
e precisa scientificamente la conoscenza dei parametri biochimici, laboratoristici,
molecolari e cellulari alterati e la conoscenza delle cause che li determinano.
Assumendo che una simile serie di conoscenze venisse raggiunta nel singolo
caso, a questo punto l'approccio Hahnemanniano basato sui sintomi sarebbe
integrato da una omeopatia pienamente ed inequivocabilmente scientifica. Ciò è
propriamente quanto sta avvenendo nel campo delle immunoterapie, dell,uso dei
cosiddetti Biological Response Modifiers, delle vaccinazioni, delle terapie desen-
Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine» 209
sibilizzanti della
stessa omotossicologia. Si usa un fattore che attiva Ia funzione del
sistema omeostatico ad un livello molecolare abbastanza ben conosciut o. È quindi
facilmente prevedibile che i principi dell'omeopatia, anche se non riconosciuti
come tali, pervaderanno sempre più la medicina scientifica, in concomitanza con
I'aumento delle conoscenze scientifiche sui sistemi regolatori endogeni.
Ciò non deve far temere agli affezionati omeopati un totale "assorbimento" della
classica omeopatia nella medicina scientifica, perché molti aspetti delle malattie,
là dove predomina la complessità, sfuggiranno per forza di cose ad una descrizione
in termini molecolari. In questo senso, è anche probabile che l'omeopatia possa
rappresentare una sorta di avanguardia, di esperienza-pilota, per la ricerca in
medicina. Infatti l'omeopatia rappresenta pur sempre un enorme serbatoio di
osservazioni empiriche, di casi clinici, di speculazioni teoriche raccoltosi per ormai
due secoli. Tali conoscenze sperimentali e cliniche potrebbero aprire e suggerire,
ad un osservatore attento, nuove linee di studio di quei meccanismi regolatori
complessi che si vanno via via comprendendo nelle loro dinamiche.
Anche nell'ambito del mondo omeopatico, comunque, si riscontrano tendenze
arazionalizzaree la legge dei simili secondo i punti di vista della scienza contem-
poranea, trovandone applicazioni a livello cellulare e molecolare [v. ad es. Boiron
and Belon, 1990]. Così, ad esempio, si è sviluppato l'approccio isoterapico, dove
si usa l'agente eziologico in preparazione omeopatica: diluizioni di Herpes virus
per trattare l'Herpes, diluizioni di Pollen per trattare la febbre da fieno, ecc.. Si è
visto anche che animali intossicati da arsenico sono stati trattati con diluizioni di
arsenico [Cazin et al., 1987], fatto che indica che la similitudine è stata cercata e
trovata a livello di agente eziologico. Ad un altro livello, la similitudine si può
trovare a livello di organo o cellula: vedi gli effetti protettivi del fosforo sul danno
epatico, o gli effetti della fitolacca sui linfociti e dell'istamina sui basofili, descritti
nel capitolo 4.
Vi è chi propone, almeno come ipotesi di lavoro, un uso "omeopatico" dei
farmaci allopatici [Dawey, 1988]. Il razionale di ciò, almeno dal punto di vista
omeopatico, sta nel fatto che per la maggior parte dei farmaci moderni oggi in uso
sono state eseguite delle precise e dettagliate prove tossicologiche, cioè, in pratica,
se ne conoscono gli effetti da sovradosaggio. Tali effetti potrebbero essere
assimilati ad un "proving" omeopatico. Quindi, nella logica omeopatica, dovrebbe
essere possibile ottenere dei risultati terapeutici utilizzando preparazioni diluite e
dinamizzate degli stessi farmaci allopatici in due situazioni: in malati con sintomi
simili a quelli notoriamente provocati dal farmaco in soggetti sani ed in malati che
presentassero tali sintomi come effetto indesiderato del farmaco somministrato in
alte dosi. Si tratta, in pratica, di una versione moderna della isopatia, comunque di
un approccio che andrebbe perseguito con attenzione, anche alla luce della larga
diffusione delle malattie iatrogene.
zto Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»
Per illustrare il rapporto, anche nel corso della storia della medicina, tra
omeopatia ed allopatia, è interessante la storia della nitroglicerina, che fu studiata,
come agente potenzialmente terapeutico, da un medico omeopata, C. Hering
[Goodman Gilman et al., 1980; Fye, 1986].
Hering sperimentò su se stesso e su amici questa sostanza (da non molto
sintetizzata per tutt'altri scopi) negli anni 1840-1850. Si era nel periodo della
nascita delle grandi Materie Mediche, in cui finivano sperimentazioni di un'infinità
di sostanze minerali, vegetali ed animali. Hering evidenziò che gli effetti principali
dell'ingestione di nitroglicerina (chiamata dagli omeopati "glonoina") erano
cefalea, tachicardia e senso di oppressione precordiale, oltre ad un pessimo gusto.
Tuttavia egli non diede troppa importanza ai sintomi cardiovascolari e non incluse
la nitroglicerina tra i rimedi per il dolore toracico, lasciandola prevalentemente
come rimedio per le cefalee [Hering, 1849]. Forse tale "svista" fu dovuta al fatto
che l'angina pectoris costituiva una malattia piuttosto rara o comunque raramente
riconosciuta a quel tempo [Fye, 1986]. Questi primi studi costituirono comunque
la base per molte altre successive sperimentazioni, fatte sia da medici omeopati che
non, che condussero nel 1879 alla scoperta dell'efficacia della nitroglicerina
nell'angina pectoris.
Questo esempio sta a dimostrare che l'approfondimento del meccanismo
d'azione del farmaco omeopatico può portare la stessa omeopatia ad avvicinarsi
alla medicina scientifica, mentre quest'ultima può trovare alimento nelle scoperte
empiriche dell'omeopatia.
Altri esempi che illustrano come i due approcci non siano fondamentalmente in
contrasto possono essere tratti dalla considerazione di quelli che sono i principi
attivi, in senso farmacologico classico, delle preparazioni omeopatiche. come si
vedrà dagli esempi seguenti, 1a considerazione di tali principi attivi dimostra come
nell'uso di questi rimedi vi sia una logica biochimicache, quanto meno, suggerisce
le ragioni per cui certi farmaci debbano avere certi effetti su precisi bersagli
("tropismo biologico").
Omeostasi, complessità e omeopatia: la di Similitudine» 211
"Legge
Infine vanno segnalate quelle piante con derivati a funzione carbonilica diversi
dalle cumarine: Strichnos nuxvomica e Strichnos ignatii(stricnina e brucina, degli
alcaloidi indolici), Moschus moschiferus (muscone, un chetone aromatico), Aia-
mirta cocculas (picrotossina, un sesquiterpene molto ossigenato con più gruppi
chetonici), Crocus sativus (olio essenziale con derivati carbonilici derivati àal
safranal e dall'isoforone), castoreum (acetofenone, un chetone), Ambra grisea
(diidro-'y-ionone, un composto volatile con funzione chetone), Vai.leriana
fficina-
/ls (pirril-a-metilchetone ed il dipiridilmetilchetone, un alcaloide detto',piincipa-
le"), oenanthe crocata (crocatone, un chetone policiclico), Actea racemosa
(carbonile della funzione estere dell'acteina), Sepia officinalis (doppio carbonile
della sepiamelanina I e II, un pigmento nero),Artemisia cina(santonina, un lattone
sesquiterpenico), Gambogia o Garcinia hanburyi (numerosi composti a funzione
carboniletracuiilbenzofenone), Cephaelisipecacuanha(carbonilidell'ipecoside,
un eteroside azotato), e sicuramente altri.
Tutte queste piante, quando vengono djluite e dinamizzate e quindi sommini-
strate all'uomo sano nelle cosidette patogenesi omeopatiche, evidenziano dei
sintomi legati a spasmi delle fibre muscolari lisce o striate (in distretti molto diversi
del corpo) ed in molti di essi la presenza di tali sintomi è essenziale per Ia
prescrizione del rimedio (ad es. Nax vomica o Ignatia o Moschus),mentre per altri
è secondaria (ad es. sepia). Tra questi un buon numero (Ignatia, Moschus,
castoreum, Ambra grisea, Actea racemosa, valeriana)sono indicati a soggetti con
temperamento isterico che hanno manifestazioni di variabilità dell'umore, loqua-
cità, paradossalità e frequenti svenimenti.
II fatto che più piante siano accomunate dall'avere simili componenti quali i
gruppi carbonilici ed acetilenici e che siano queste componenti a spiegare, almeno
in parte, l'effetto farmacologico, suggerisce fortemente l,esistenza di una base
biochimica e farmacologica non casuale per l'effetto del farmaco omeopatico.
6.3.7. Coffea
Tabella 6.
Relazioni tra alcuni principi attivi di rimedi
omeopatici e
pos s ibile effe tto farma c o lo gic o
Quelli quisopra riportati sono soro alcuni esempi di come sia possibire
percorrere, a partire dall'empirismo omeopatico, una linea
di studio affine alla
Iogica farmaceutica moderna. Naturarmente, sarebbe necessario
un più ampio
lavoro di analisi e di sperimentazione per documentare questi concetti
in modo
sistematico.
La tabella 6 riassume in forma schematica la possibile relazione esistente
fra
principi attivi della preparazione, effetto ..omeopatico', ed azione biologica
e
biochimica del principio attivo stesso.
Ne risulta una significativa dimostrazione di come, una volta ammessa
Ia
possibilità di effetti inversi, l'effetto omeopatico sia logicamente inquadrabile
in
una azione farmacologicamente mirata ad uno o più sistemi fisiologici:
l,effetto
biologico del principio attivo è " simile" alle indicazioni omeopatiche
del rimedio
.s/es.§o. Considerando il fatto che molti rimedi omeopatici
sono stati individuati ed
applicati empiricamente molto tempo prima che ie ne potesse comprendere
il
bersaglio a livello fisiopatologico, le relazioni qui illustrate costituiscono
sorpren-
denti evidenze "a posteriori" della validità della tradizione empirica
omeopatica.
owiamente, quelle qui riportate sono solo una piccola parte, esemplificativà, di
un
campo estrememente vasto e complesso, in quanto, trattandosi spesso
di farmaci di
origine vegetale, i rimedi omeopatici contengono una moltepliciià di principi
attivi.
Regione di legome
oll'idiotipo
Regbne dl legome
oll'ontlgene
(ldlotlpo) Abl
Y Ab3
Qui vengono considerate delle ipotesi sul possibile meccanismo che sta alla
base della metodica di terapia detta autoemoterapia, in particolare quando questa
è applicata al trattamento delle allergie. Il meccanismo d'azione dell'autoemotera-
pia potrebbe essere interpretato alla luce delle più recenti conoscenze sui sistemi
omeostatici immunologici ed in particolare nell'ambito delle teoria sul "network"
idiotipico.
Fino a metà degli anni sessanta le reazioni del sistema immunitario erano viste
in termini di capacità di riconoscere ed eliminare, tramite la risposta anticorpale
(linfociti B) o cellulare (linfociti T), antigeni non-self per lo più di origine esterna
all'individuo, o antigeni derivati da modificazioni abnormi di sostanze endogene.
A seguito della scoperta di anticorpi diretti contro anticorpi, si è capito che la
interazione lra antigeni, anticorpi e cellule del sistema immunitario è molto più
complessa. È merito soprattutto di Jerne, premio Nobel per la medicina 1984, l'aver
costruito un modello (idiotype network, rete idiotipica) per spiegare queste
interazioni. secondo questa teoria, oggi accettata da tutti, fJerne, 197 4;Male et al.,
1988; Golub,1984; Blaser and Weck, 1982; Perelson, 1989], gli anticorpi, in
quanto proteine, sono essi stessi antigeni e quindi un anticorpo (antibody-1, o
"abl"), diretto specificamente verso un certo antigene estraneo (nel nostro caso ad
Omeostasi, complessità e omeopatia: la "Legge di Similitudine" 221
esempio un allergene), presenta nella sua parte variabile detta Fab (Fragment
,-Antigen Binding) una struttura particolare (idiotipo) che può evocare la formazione
di specifici anticorpi (antiidiotipo , o "abZ") (figura 25)'
Tali anticorpi antiidiotipo a loro volta evocano la formazione di anticorpi anti-
antiidiotipo, o "ab3". Ab1,abZ, ab3, e forse ab4 ed ab5..., sono prodotti, in quantità
diverse (decrescenti), nel corso di una normale risposta immunitaria.
Su queste basi, sono stati sviluppati vari modelli matematici per poter fare
previsioni quantitative sul comportamento dei cloni linfocitari durante la risposta
immunitaria [Perelson, i989]. Analizzando le dinamiche immunitarie (ad esempio
l'andamento della produzione di un certo anticorpo) con questi mezzi, si è visto che
esse presentano sempre delle oscillazioni in cui si vedono le concentrazioni di
anticorpi idiotipici ed antiidiotipici fluttuare inversamente con picchi ricorrenti
ogni circa 80 giorni. Se però si cambiano, anche di poco, alcuni parametri del
sistema-modello (come ad esempio la velocità di formazione di nuove cellule B nel
midollo), le fluttuazioni divengono irregolari o persino aperiodiche (caotiche). È
interessante il fatto che simili oscillazioni, alquanto irregolari, sono state ritrovate
anche sperimentalmente in immunizzazioni sperimentali nel ratto [rassegna in
Perelson, 1989].
Poiché gli antiidiotipo riconoscono e si legano all'ab1, essi hanno una struttura
chimico-fisica "simile" all'allergene, che pure si lega all'ab1, ne rappresentano per
così dire l"'immagine interna", prodotta dall'organismo (vedi figlura25).
Il fatto che l'anti-idiotipo (ab2) sia per molti aspetti simile all ' antigene originale
è già stato sfruttato dagli immunologi per produrre dei vaccini che vengano
la somministrazione dell'antigene originale non è consigliabile
'rtilizzati quando
per ragioni di sicurezza (ad esempio virus particolarmente pericolosi). In questo
caso il paziente che riceve un anticorpo somigliante all'antigene patologico,
produrrà anticorpi anti anti-idiotipo (ab3) che saranno simili all'abl e quindi
daranno una certa protezioneverso l'antigene verso cui si vuole indurre l'immuni-
tà. Un'altra possibile applicazione, ancora però a livello sperimentale, è l'uso di
anticorpi antiidiotipo nelle malattie autoimmunitarie [v. ad es. Verschuuren et al.,
1ee1l.
Tutta questa serie di interazioni non ha il significato patologico dei già noti
anticorpi anti-anticorpo presenti nelle malattie autoimmuni, bensì pare svolga
importanti funzioni di regolazione. Infatti il legame di un anticorpo all'idiotipo di
un altro anticorpo può avere alcune importanti conseguenze, e cioè:
a) laneutralizzazionedellepossibilitàdilegarel'antigene(oallergene)"naturale",
per mascheramento del sito di riconoscimento;
b) la eliminazione da parte del sistema dei fagociti del complesso aggregato
anticorpale;
222 Omeostasi, complessità e omeopatia: la oLegge di Similitudine»
c) il blocco dei recettori per l'antigene sui linfociti B, recettori che notoriamente
presentano lo stesso idiotipo dell'anticorpo che la cellula produrrà; quindi
si
blocca anche la blastlzzazione, clonazione e maturazione della Iinea B-plasma-
cellula specifica per quell'anticorpo;
d) non si può escludere che una forte risposta antiidiotipo possa portare anche alla
eliminazione, per citolisi, dei cloni linfocitari interessati, prospettandosi quindi
uno stato di desensibilizzazione permanente.
HLA. In altre parole, questi meccanismi funzionano solo tra cellule dello stesso
gruppo HLA.
Quanto detto sopra si riferisce a studi fatti sulla normale risposta immunitaria
IgG. Vi sono evidenze che il network idiotipico gioca un ruolo anche nella
regolazione della risposta IgE, che è quella più importante (pur non essendo
l'unica) nella patogenesi delle manifestazioni allergiche. In termini sintetici e per
forza di cose semplificati, il principale movente patogenetico della allergia, o
ipersensibilità immediata di tipo I, è l'eccessiva produzione di immunoglobuline
IgE in soggetti particolarmente sensibili verso determinati allergeni. Tali anticorpi
vanno quindi a legarsi con il loro Fc (Frammento Costante) sulla membrana dei
basofili circolanti e delle mastcellule nei tessuti connettivi per lo più sottoepiteliali.
Quando il soggetto allergico (sensibilizzato) viene di nuovo a contatto con
l'allergene, questo si lega alla parte Fab delle IgE cellulari e scatena la liberazione
di istamina e di altre sostanze pro infiammatorie. A seconda del distretto dove la
reazione è massima,si hanno le varie manifestazioni quali orticaria, rinite, congiun-
tivite, edema della glottide, asma, diarrea, fino allo shock anafilattico se la reazione
è generalizzata. secondo alcuni [Katz et a|.,1,979],la formazione di IgE è minima
nei soggetti normali e mantenuta a bassi livelli da un meccanismo di spegnimento
costituito dalle cellule T suppressor e dai loro fattori solubili. Depressione o
malfunzionamento di questo meccanismo di spegnimento potrebbero iniziare la
sensibilizzazione, mentre la stimolazione di IgE-T suppressors potrebbe restaurare
lo stato di salute. Nelle reazioni allergiche sono sicuramente coinvolti anche
meccanismi neuroendocrini, se si pensa ad esempio che il cortisone ha un potente
effetto depressore sulle risposte linfocitarie e che alcuni terminali nervosi nei
tessuti connettivi possono liberare neuropeptidi (sostanza P) che sono in grado di
per sé di stimolare le mastcellule a secernere istamina.
È quindi possibile ipotizzareche per rnezzo della autoemoterapia si intervenga
nel delicato equilibrio che regola la risposta IgE e quindi la allergia. Introducendo
sangue dello stesso paziente per via intramuscolare o sottocutanea si introducono
come fattori critici, vettori di informazioni specifiche, anticorpi, immunocomplessi
e linfociti (soprattutto T, che sono i più rappresentati nel sangue circolante) recanti
particolari idiotipi. Adiuvati dalla reazione infiammatoria causata dal sangue in
sede extravascolare e, forse, dalla gran quantità di materiale lipidico fornito dalle
membrane dei globuli rossi, questi fattori andranno a stimolare la produzione di
anticorpi (IgG o IgM) capaci di neutralizzare le IgE, o andranno a stimolare la
produzione di linfociti T idiotipo-specifici capaci di sopprimere i corrispettivi B
produttori di IgE.
La via di somministrazione ha una notevole importanza. Infatti una possibile
obiezione all'ipotesi qui riportata potrebbe basarsi sul fatto che attraverso la
autoemoterapia si somministra sangue dello stesso soggetto, quindi qualcosa che
224 Omeostasi, complessità e omeopatia: la «Legge di Similitudine»
notevole efficacia nella regolazione delle risposte non specifiche. A simili effetti
potrebbe forse essere dovuta l'inibizione della degranulazione dei basofili invitro
da parte di diluizioni di sangue [Sainte Laudy et al., 1986].
Nonostante le considerazioni sopra riportate possano indicare suggestive pos-
sibilità di intervento, deve essere ben chiaro che, a causa della complessità del
sistema immunitario,non è possibile a tutt'oggi costruire un modello che consenta
con cefiezza cosa avvenga a seguito dell'introduzione di sangue
di stabilire
omologo secondo la metodica dell'autoemoterapia. Non è facile prevedere la
risposta nel singolo paziente e neppure sapere se questa metodica, che sicurarnente
costituisce una "perturbazione" di un fine equilibrio di molte componenti, possa
comportare dei rischi di peggioramento del quadro immunologico.
Ad un esame critico del problema non può non apparire di grande interesse il
fatto che l'evidenza clinica è in favore aila autoemoterapia in quanto dimostra il
verificarsi di un significativo numero di guarigioni o miglioramenti di pazienti
allergici. Inoltre non sono segnalati effetti secondari gravi, se si esclude l'insorgen-
za di sindromi febbrili. Poiché però la letteratura su questo argomento è frammenta-
ria e per buona parte non rintracciabile su testi di immunologia correnti, si rendono
necessarie ulteriori e più approfondite ricerche. Soprattutto nel trattamento di
patologie gravi del sistema immunitario come l'AIDS, dove pure è stato proposto
e sperimentato (pare senza successo) l'uso della autoemoterapia [Garber et al.,
1.991), è assolutamente necessario procedere con prudenza e con metodiche sicure
di accertamento dell'efficacia e della innocuità di simili procedure.
In conclusione, sarebbe auspicabile che venissero chiarite le basi biologiche di
un metodo che potrebbe, se ben conosciuto e rigorosamente controllato, costituire
un valido approccio al controllo di vari disordini del sistema immunitario e
dell'infiammazione. Le possibili linee di ricerca potrebbero essere sostanzialmente
due:
a) Attuare ampi trials clinici rigorosamente controllati per stabilire la validità della
metodica ed i suoi possibili effetti collaterali negativi. In questi trials clinici si
dovrebbe prendere in esame non solo l'aspetto sintomatologico soggettivo, ma
anche quello strumentale (ad es. spirometria nelle forme asmatiche) e soprattut-
to laboratoristico (dosaggi di anticorpi, linfociti delle varie sottoclassi, tutti i test
di allergia).
b) Intensificare Ie ricerche sulle basi biologiche della autoemoterapia, provando ad
esempio se l'effetto dipende dalla somministrazione di anticorpi, o di linfociti,
o di altre componenti del sangue (citochine, immunocomplessi). Inoltre si
potrebbero sviluppare modelli in animali (soprattutto topi), molto più facilmen-
te manipolabili sul piano sperimentale. Infatti la maggior parte degli studi sul
network idiotipico sono stati condotti su topi, tanto che molti aspetti di questa
teoria nell'uomo sono puramente ipotetici.
7. IL PARADIGMA BIOFISICO
La ricerca delle basi scientifiche su cui fondare una ipotesi sul meccanismo
d'azione dell'omeopatia ha condotto il discorso sul tema della complessità, entro
cui è stata fondamentalmente inserita la spiegazione razionale della "legge di
similitudine" e del possibile effetto di piccole e piccolissime dosi di composti
naturali e di estratti derivati da processi patologici. Si è già sottolineato come questa
sia la principale acquisizione della omeopatia e che questo approccio possa
consentire di integrare con relativa facilità il farmaco omeopatico nell'ambito della
farmacologia scientificam ente ortodossa.
Si deve ora proseguire il discorso sul problema delle dosi ultra-basse (dette più
precisamente "alte diluizioni", o "alte potenze" secondo la dizione Omeopatica
classica), quelle che non hanno virtualmente molecole di composto attivo. Non v'è
dubbio che il salto concettuale sia enorme e che quanto si va a trattare appaia
talmente fanta-scientifico da far apparire folle chiunque sostenga la possibilità di
indagare scientificamente simili problemi. Di fronte a simili argomentazioni, che
chi scrive ha avuto varie volte occasione di sentirsi proporre, non disponendo di
"prove schiaccianti" (si è visto che le prove cliniche e biologiche non offrono
ancora certezze definitive e molti risultati apparentemente eclatanti aspettano di
essere ripetuti), non resta che riferirsi a quanto scritto da più autorevoli personaggi
a proposito degli studi nei campi di frontiera della scienza.
Dice il noto filosofo della scienza Karl Popper: "Quello che possiamo chiamare
il metodo della scienza consiste nell'imparare sistematicamente dai nostri errori, in
primo luogo osando cornmetterli - cioè proponendo arditamente teorie nuove - e,
in secondo luogo, andando sistematicamente alla ricerca degli errori che abbiamo
commesso" [Popper, 1969].
Fa eco Claude Bernard, che potrebbe essere definito il padre del metodo
sperimentale in medicina: "Coloro che hanno condannato l'uso delle ipotesi e delle
idee preconcette nel metodo sperimentale hanno commesso l'errore di scambiare
l'ideazione dell'esperimento con l'accertamento dei risuitati. È giusto dire che
bisogna accertare i risultati dell'esperimento con la mente sgombra di ipotesi e di
idee preconcette, ma non si deve assolutamente impedire di fare delle ipotesi
Il paradigma biofisico 227
A nessuno può sfuggire che solo se tali domande avranno una risposta convin-
cente, si potrà affermare l'esistenza di basi scientifiche dell'omeopatia delle alte
diluizioni.
Legome
idrogeno
sulla superficie delle proteine filamentose. Tale acqua ordinata potrebbe accoppiar-
si alle dinamiche coerenti delle proteine (che, come è noto, sono fatte dall'assem-
blaggio di tante sub-unità identiche), opponendosi alla dissipazione termica
dell'energia di oscillazione delle proteine. In altre parole, le proteine filamentose
potrebbero essere dei conduttori di segnali vibrazionali e l'acqua vicina potrebbe
essere una specie di isolante che favorisce la conduzione.
7. 1.2. La superradianza
Dopo aver delineato alcuni dei problemi tuttora aperti nello studio delle
proprietà dell'acqua in fase liquida, è possibile affrontare le questioni più stretta-
mente correlate al problema dell'omeopatia. Esse riguardano modelli teorici ed
esperienze empiriche che suggeriscono l'esistenza di realibasi fisiche del fenome-
no omeopatico.
Un gruppo di fisici dell'Istituto di Fisica Nucleare di Milano (E. Del Giudice,
G. Preparata e collaboratori) sta portando avanti da diversi anni Ia formulazione di
un modello descrittivo della fisica dell'acqua allo stato liquido, che potrebbe
contribuire non poco a sciogliere l'enigma dei fenomeni omeopatici, o, quanto
meno, potrebbe servire da supporto a quanti considerano "non teoricamente
impossibile" una attività biologica delle soluzioni ultra-diluite.
Qui si cercherà di offrire una sintesi dei lavori di detto gruppo [Del Giudice et
al., 1988a; Del Giudice et al., 1988b; Del Giudice, 1990], trascurando numerosi
dettagli tecnici e formulazioni matematiche, che potranno essere trovati nei lavori
citati.
Gli autori partono da una critica alla teoria dell'acqua allo stato liquido che
contempli solo l'interazione mediante il legame idrogeno tra molecola e molecola.
Secondo i loro calcoli, quando il vapore d'acqua liquefa, il cambiamento di fase
gas-liquido, che coinvolge qualcosa come 1023 molecole/litro, è troppo rapido e
massivo (tenendo conto anche che avviene a 100 'C, sotto una fortissima agitazione
termica che contrastala attrazione elettrostatica) per essere spiegato solo da un
modello basato sull'esistenza del legame idrogeno che unisce due molecole vicine.
Un modello più soddisfacente dovrebbe includere un altro ingrediente, mancante
nei modelli precedenti: il campo elettromagnetico radiante, cioè un messaggero a
lungo raggio che porta ordine nel moto vibratorio delle molecole.
Si è visto che le molecole d'acqua sono dei dipoli elettrici. Il contributo di questo
piccolo campo elettromagnetico alle dinamiche dell'acqua è trascurabile in termini
quantitativi se la interazione tra molecole è vista come una somma di interazioni
binarie molecola-molecola. Tuttavia, quando un gran numero di elementi (moleco-
le) interagisce attraverso il campo elettromagnetico, oltre una certa densità il cui
234 Il paradigma biofisico
modo in comunicazione con altri sistemi chimici, fisici o biologici. Questa ipotetica
proprietà dell'acqua è sostenuta dal modello secondo cui essa è assimilabile ad un
laser a dipoli elettrici liberi. In tale tipo di laser, un campo ondulatorio induce in un
fascio di elettroni liberi un dipolo elettrico oscillante, trasversale al loro movimen-
to, che si accoppia alla radiazione elettromagnetica vibrando coerentemente ad essa
[Del Giudice et al., 1988a]. Partendo dal dato di fatto che le molecole d'acqua
possiedono un considerevole momento di dipolo, gli autori hanno svolto la
dimostrazione teorica che esse possono interagire coerentemente con una adatta
radiazione elettromagnetica. Dato il fenomeno della interazione collettiva, non è
necessario postulare un campo elettrico molto forte, in quanto sarebbe sufficiente
la piccola perturbazione elettrica attorno ad una macromolecola con momento
dipolare, o il campo presente sulla superficie di un aggregato colloidale. Attorno a
simili "impurità" presenti nell'acqua, si potrebbe quindi generare un dominio
macroscopico, dell 'ordine di qualche centinaio di pm, formato dalla superra dianza
dell'acqua. Poiché distanze di quest'ordine potrebbero coinvolgere decine o
centinaia di cellule in un tessuto di un organismo, è immediato capire quale
potrebbe essere l'importanza di simili fenomeni nell'organizzazione biologica.
Per tornare ai discorso riguardante l'omeopatia, secondo Del Giudice la
particolare preparazione del farmaco omeopatico consente di ipotizzare che la
succussione che si accompagna alla diluizione produca un regime di turbolenza tale
che il guscio di legami idrogeno dei domini di coerenza per qualche momento si
rilassi, lasciando quindi la possibilità ad un campo elettrico esterno (quale quello
generato dal materiale disciolto) di comunicare con il campo di polarizzazione
dell'acqua ed attribuirgli le nuove frequenze vibratorie. Alla fine della agitazione,
il guscio si riformerebbe, proteggendo le nuove frequenze da disturbi esterni.
Secondo questo modello, la presenza di altre molecole sciolte nell'acqua (come
ovviamente avviene quando il farmaco è assunto dal paziente) non causa problemi
alle frequenze così stabilitesi, sia perché il soluto sta nella fase fluttuante e non
interagisce con la fase coerente, sia perché le frequenze delle molecole in soluzione
sono molto superiori a quelle delle macromolecole e dei grani in dispersione semi-
solida con cui i farmaci omeopatici normalmente vengono preparati (v. processo di
triturazione) [Del Giudice, 1990].
Per quanto sia a questo punto opportuno ricordare che allo stato attuale delle
conoscenze le teorie su esposte sono ancora in attesa di una convincente conferma
sperimentale (ad esempio che dimostri con mezzi chimici o fisici l'esistenza dei
postulati domini di superradianza), non si può non sottolineare come la moderna
fisica quantistica non esclude che 1'acqua abbia proprietà finora sconosciute e che
sono in qualche modo compatibili con le osservazioni empiriche dell'omeopatia.
Chi accusa gli omeopati di inconsistenza scientifica dovrebbe forse prima farsi una
cultura sulla fisica dell'acqua in fase liquida, in modo da opporre obiezioni che non
236 Il paradigma biofisico
siano basate solo sul "senso comune", secondo cui alcune teorie sarebbero di per
sé assurde o certi fenomeni sarebbero impossibili. Giudicare la realtà naturale sulla
base del senso comune, o addirittura di un pregiudizio, ha spesso rappresentato una
notevole fonte di errore, ma ciò è tanto più vero quando si entra nei campi della
fisica quantistica.
Lungi dall'aver chiarito o dimostrato inequivocabilmente la base fisica del-
l'omeopatia, le teorie fisiche come quella della "superradianza" consentono già di
smentire coloro che, all'oscuro delle possibilità di interazioni a lungo raggio
mediate dall'acqua, considerano teoricamente impossibile che una molecola tra-
smetta informazioni in modo indipendente dal contatto diretto con un'altra molecola.
b) le stesse bande non si presentano in soluzioni diluite alla 30D ma non dinamiz-
zate;
c) una diluizione dinamizzata alla 30D perde la proprietà di produrre bande allo
spettro LR. se sottoposta ad ebollizione;
d) le bande di assorbirnento decrescono in forma alternante e non uniformemente:
la massima attività corrisponde alle diluizioni 6,9,12,14,18,21,,28,30 decimali,
e Ia minore alle 7,L0,1,3,16 decimali.
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Rodiofrequenze lnfrorosso Roggi X e y
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3OO Km 30 cm pm Lunghezzo
3OO pm 3OO d'ondo
trabecole di osso lungo le linee di forza.ln realtà, uno dei primi impieghi clinici dei
campi magnetici deboli è stato proprio la induzione della riparazione dell'osso
IBassett et al., 1974].
Gli organismi animali hanno sviluppato sensibilità notevolissime per le onde
elettromagnetiche. Per restare nel campo più ovvio, si può pensare alla sensibilità
dell'occhio alla luce, che lo mette in grado di segnalare pochi fotoni.
Gli esperimenti di C.W. Smith e Monro [Smith et al., 1985; Monro,1987;Smith,
1988, Smith, 1989; Smith, l992lpermettono di illustrare il concetto di "sensibilità"
a minime perturbazioni del campo elettromagnetico. Gli autori (Smith lavora al
Dipartimento di energia elettronica ed elettrica dell'Università di Salford) hanno
riportato una serie di esperienze fatte in collaborazione con allergologi del Lister
Hospital di Londra, nelle quali si riusciva ad indurre manifestazioni allergiche in
pazienti affetti da ipersensibilità immediata verso molte sostanze, semplicemente
awicinando loro sorgenti di radiazioni elettromagnetiche. Le manifestazioni
allergiche potevano comparire rapidamente a particolari bande di frequenze che
variavano, a seconda dei pazienti, da pochi mHzamolti MHz. Non era quindi tanto
importante l'intensità dell'output dell'oscillatore (pochivolts), quanto lafrequenza
e la sua coerenza.
È curioso il fatto che gli autori non solo hanno dimostrato di poter scatenare
attacchi allergici con onde elettromagnetiche, ma anche che i pazienti sensibili a
questo tipo di stimolazione producono essi stessi segnali elettromagnetici durante
gli attacchi di allergia, anche se provocati chimicamente. Simili emissioni potevano
essere documentate mediante l'interferenza con la registrazione di nastri magnetici
e persino, in alcuni casi, con effetti di disturbo sul funzionamento di apparati
elettronici quali i computers. Si tratta, secondo Smith [Smith, ] 988], di fenomeni
elettrofisiologici molto simili a quelli ben noti in molte specie di pesci.
È stato dimostrato che alcune specie di pesci sono capaci di sentire e di
rispondere a campi elettrici di intensità di 0.000001 V/m [Bullock,1977), che
corrispondono alle più marcate sensibilità trovate nei soggetti allergici. Sempre
secondo Smith, simili sensibilità potrebbero servire ai pesci per localizzare il cibo
a grandi distanze: infatti è stato visto che cellule viventi, quali ad esempio lieviti,
emettono onde elettromagnetiche nelle radiofrequenze a livelli di circa 0.1 V/m
[Smith, 1988; Pollock and Pohl, 1988]. La stessa abilità, secondo l'autore, potrebbe
essere servita all'uomo primitivo per la ricerca del cibo.
Nelle esperienze di Smith e Monro si parla anche di omeopatia e di memoria
dell'acqua. Infatti, nel corso dei tests allergometrici sulla popolazione di pazienti
iper-reattivi, i ricercatori si accorsero che reazioni allergiche scatenate dal contatto
con agenti chimici potevano essere noutralizzate trattando i malati con particolari
frequenze. Se le stesse frequenze venivano usate per trattare acqua minerale,
quest'acqua acquistava le proprietà terapeutiche neutralizzanti. Se invece l'acqua
246 Il paradigma biofisico
Tabella 7.
Sistemi molecolari possibilmente interagenti con campi elettromagnetici
Molecole Rif.
1990; Yost and Liburdy, 1.9921. Simili sensibilità sono state evidenziate in un
ampio spettro di tessuti e cellule, indicando che si tratta di una proprietà biologica
generale caratteristica delle cellule.
Il trasferimento di segnali sia chimici che elettromagnetici dalla superficie
esterna della cellula attraverso la membrana consiste nella trasmissione di variazio-
ni conformazionali e moti oscillatori delle proteine che hanno dei "domini"
(segmenti della molecola) trans-membranari. È stato sostenuto che in questo
processo di trasmissione giocano un ruolo chiave le porzioni di proteine che hanno
.trrttrr" fibrose ad elica o a foglietto pieghettato [Bistolfi, 1989]. Tali strutture
sono caratte rizzateda notevole ordine e disposizione in sequenze ripetitive, nonché
dall'esistenza di legami idrogeno tra i residui aminici di aminoacidi adiacenti e
disposti longitudinalmente lungo la fibra. Queste strutture proteiche sono caratte-
ristiche per poter risuonare secondo modi di vibr azione non lineari, per I' interazio-
ne con campi elettromagnetici.
Il prototipo di questo tipo di recettori è la batteriorodopsina, il recettore della
luce nella retina, che consiste di ben 7 a-eliche ordinatamente disposte in senso
trasversale al piano della membrana su cui è disposta. In questo tipo di recettore-
trasduttore, l'eccitazione derivante dall'assorbimento del fotone è accoppiata al
-
pompaggio di un protone e allo stabilirsi di un potenziale trans-membrana.
nirognu però notare che questa struttura a 7 cr-eliche che attraversano la
membrana la si trova anche in un'ampia famiglia di glicoproteine che sono
coinvolte nei sistemi di trasmissione cellulari accoppiati alle G-proteine: i recettori
p-adrenergici, i recettori muscarinici per l'acetilcolina, vari recettori per neuropep-
tidi, i recettori per peptiili chemiotattici nei globuli bianchi e persino dei sistemi di
mutuo riconoscimento delle cellule di lievito coinvolti nella fusione replicativa
questi caratteristici motivi strutturali
[Alberts et al., 1989]. È quindi probabile che
iendano suscettibili di modulazione elettromagnetica i sistemi di trasmissione in
cui sono presenti.
Studi eseguiti sulla modulazione elettromagnetica della produzione di collage-
ne da parte di osteoblasti sono in accordo con questa veduta. Infatti è stato
dimostiato che negli osteoblasti l'ormone paratiroideo si lega a recettori esterni e
attiva l'enzima adenilato ciclasi tramite l'intermediazione di una G-proteina' Un
campo elettromagnetico di frequenza 72Hz e gradiente elettrico di 1-3 mV/cm
inibiva per il 907o la attivazione dell'adenilato ciclasi, senza interferire né col
legame del recettore, né con l'enzima stesso. Di conseguenza, 1'effetto inibitorio è
stato attribuito al blocco della G-proteina [Adey, 1988]'
I-,AMp ciclico (cAMP) è un importante elemento del controllo della funzione
di molti enzimi, soprattutto in quanto un suo aumento intracellulare costituisce un
messaggio attivatorio per le protein-chinasi (enzimi che fosforilano le proteine). In
precisi condizioni sperimentali di frequenza e durata di esposizione, la protein
Il paradigma biofisico 251
7.3. Elettroagopuntura
gran parte sconosciuta, non coincidendo né col sistema nervoso, né con l'apparato
vascolare o linfatico. È stato dimostrato [v. rassegna in Smith, 1988] che inieitando
isotopi radioattivi in punti di agopuntura, essi viaggiano lungo i meridiani ad una
velocità di 3-5 cm/minuto e che la velocità si riduce in caso di organi malati. La
velocità di diffusione aumenta stimolando il punto di ingresso con aghi, con
corrente elettrica o con una luce prodotta da laser ad elio-neon. Iniettando l'isotopo
in altre zone della cute non coincidenti col punto, esso non si diffonde apprezzabil-
mente.
Nonostante queste e altre evidenze, non esiste a tutt'oggi una soddisfacente
teoria scientifica per l'agopuntura. Tutto comunque lascia pensare che alla basedel
funzionamento delle terapie agopunturistiche non vi sia semplicemente un riflesso
nervoso (mancano precise correlazioni anatomiche), ma una trasmissione di
energie o informazioni di natura elettromagnetica lungo reti di comunicazione di
:
diverso tipo. E stato sostenuto [Kroy, 1989] che nella filogenesi e nella ontogenesi
degli esseri viventi esiste un ordine cibernetico più ancestrale di quello basato sul
sistema nervoso o sul sistema umorale (sangue, ormoni). Tale sistema ancestrale
satebbe di natura elettromagnetica, perché la radiazione elettromagnetica è la più
fondamentale forrna di informazione presente in natura. I segnali elettromagnetici
hanno costituito (e costituiscono) sia il linguaggio di comunicazione tra atomi e
molecole, sia il mezzo con cui gli organismi primordiali ricevevano una serie di
informazioni dall'ambiente (luce solare, altre onde cosmiche). È quindi fuor di
dubbio che gli organismi viventi abbiano imparato ad usare l'elettromagnetismo
come segnale di informazione, e quindi di comunicazione fra cellule e tessuti.
Secondo i lavori del gruppo di Popp [Popp, 1985;Popp et al., 1989]molti sistemi
biologici sono capaci di produrre, ricevere e anche "immagazzinare" onde elettro-
magnetiche come la luce.
Le discussioni sull'agopuntura potrebbero allargarsi senza limite. Qualunque
sia il meccanismo d'azione dell'agopuntura, tale metodica resta una delle principali
dimostrazioni di come si possano ottenere effetti biochimici (v. ad esempio
l'aumento di endorfine, o l'attivazionedel sistema immunitario [Chou et al., 1991])
e terapeutici con stimolazioni di tipo fisico (stimolo meccanico, deboli correnti
elettriche o luce laser) e non con farmaci.
7.3.2. EAV
nelle applicazioni. Vi sono oggi molte varianti della metodica originale e molti tipi
di strumenti capaci di effettuare rilevazioni bio-elettroniche - anche di tipo
alquanto diverso da quelle dell'EAV - tanto che si configura una ampia area detta
di diagnostica funzionale bioelettronica. EAV e bioelettronica in generale sono
rnolto diffuse in Germania (la società di medicina bioelettronica conta un migliaio
di iscritti), ma iniziano ad essere conosciute anche in Italia, soprattutto ad opera di
medici naturalisti ed omeopati. Purtroppo la pressoché totaie mancanza di cono-
scenza (o di interesse?) nel mondo accademico ha come conseguenza una scarsa
ricerca scientifica in questo campo che, come si vedrà, è altamente promettente'
Non è questa la sede per una trattazione dettagliata delle tecniche e metodiche
bioelettroniche, per cui si rimanda ad altra letteratura [Voll, 1975; Leonh atdt,1982;
Kenyon, 1983]. Saranno qui schematicamente riassunti i principi e le applicazioni
fondamentali dell'EAV, soprattutto per quanto consente di capire i rapporti tra essa
e l'omeopatia.
Grazieagli studi di Voll e di altri, si sono individuati nuovi punti di misura prima
sconosciuti all'agopuntura classica, si sono individuate precise correlazioni clini-
che tra variazioni di resistenza cutanea e patologie d'organo, infine si sono
individuate le procedure per il controllo dell'efficacia di farmaci (omeopatici e
allopatici) secondo il loro effetto testato mediante EAV. Compito dell'EAV è
quinO; in primo luogo quello di costituire un ausilio alla diagnostica basato non
sulla oggettivazione di alterazioni biochimiche o anatomopatologiche, ma sulla
valutazione delle perturbazioni elettrofisiologiche connesse alle malattie'
In questo senso non vi è contrasto tra diagnostica bio-elettronica e medicina
convenzionale: come scrive il Leonhardt (p. 312), "Le opinioni di base della
medicina clinica e dell'elettroagopuntura appaiono contrapposte ad un primo
sguardo, ma si completano così tanto a vicenda; mentre i1 dominio della medicina
ciassica è la medicina curativa, per l'EAV sta in primo piano la profilassi' Prevenire
e curare, profilassi e attività curativa servono ambedue al benessere del paziente
e
ciò in miiura maggiore se tutte e due procedono d'accordo, mano nella mano, e si
Misurolore Generotore
di congntg dl corrente
ii..:i,#.:.§...i.l.JZ,.,,.'.
ii'i'r$;5!.:.iV€rlt§
Corrente
elettrico, in una apposita vaschetta collegata con un cavo all'elettrodo, una fiala di
un farmaco con effetto positivo sull'equilibrio energetico-informazionale del
paziente, il punto recupera la conducibilità, l'indice ritorna al livello normale.
Viceversa, se si sta testando un soggetto sano (o anche un punto normale di un
soggetto con altre patologie) e si inserisce nel circuito una sostanza tossica o con
cui il soggetto reagisce in modo patologico (vedi ad esempio gli allergeni o sostanze
tossiche), un indice precedentemente normale si abbassa a livelli patologici.
Si stabilirebbe quindi un qualche tipo di interazione tra il composto inserito nella
vaschetta porta-fiale e un apparato (probabilmente rappresentato dal sistema dei
punti e meridiani considerato dall'agopuntura) che controlla la conducibilità
elettrica cutanea nell'organismo. Non v'è dubbio che una simile affermazione,
prima di poter essere accettata nel quadro delle attuali conoscenze fisiologiche e
fisiopatologiche, richieda ulteriori prove e consistenti documentazioni'
La ricerca in questo campo è oggi orientata a ottimizzare Ie metodiche per
raggiungere la massima riproducibilità delle misurazioni, dall'altra a svelare i
meccanismi attraverso cui insorgono le variazioni di conduttanza a seguito di
malattie o di farmaci e sostanze tossiche.
Data l'importanzache la EAV può avere sia per la comprensione dei meccani-
smi d'azione dei farmaci omeopatici, sia in generale nella medicina in futuro, è
opportuno, anche in questo campo, riferirsi ad alcune (sono scarse) sperimentazioni
oggettive e controllabili. Uno dei centri più avanzati in questi studi è presso il
dipartimento di Biologia Molecolare e cellulare dell'Università di Utrecht [van
Wijk andWiegant, 1989; van Wijk and van der Molen, 1990; Van Wijk, 1991a; Van
Wijk, 1991b]. Questi ricercatori hanno verificato che il parametro che più si presta
a misurazioni obiettive di modifiche di conduttanza elettrica sui punti di agopun-
tura non è la conduttanza in assoluto (molto variabile da soggetto a soggetto, anche
influenzato dallo stato di umidità della cute o cose simili), bensì il fenomeno della
perdita di conduttanza: dopo aver applicato il puntale su un punto di agopuntura e
mantenendo costante la pressione si osserva in pochi secondi un calo della
conduttanza, come se si avesse un "caricamento" della resistenza del punto, un
"blocco" del flusso di cariche elettriche. Questo calo è facilmente registrabile su
carta, così da poter costruire dei grafici interpretabili sia in senso qualitativo che
quantitativo.
La perdita di conduttanza è un fenomeno che si verifica sernpre, ma in presenza
di una perturbazione patologica del sistema (organo ammalato, intossicazione...),
è molto più rapida. La cosa più interessante però riguarda il fatto che se in un porta-
fiale coilegato mediante un filo elettrico al sistema (v. figura 28) si aggiungono
delle soluzioni di particolari composti con cui il soggetto reagisce, il fenomeno
della perdita di conduttanza è modificato, nel senso che esso può aumentare o
diminuire. In modo schematicamente semplicistico, risulterebbe che se il composto
Il paradigma biofisico 257
Tabella 8.
Effetto di Placebo e sulphur D12 sulla perdita di conduttività indotta da difenite
in una serie di test in doppio cieco
ripetuta molte volte, prima "open" poi "in cieco", nel senso che un osservatore
indipendente inseriva le fiale nel portafiale senza dirlo né all'operatore né al
paziente. Alla fine si sono elaborati i tracciati come velocità di perdita di condut-
tanza(in pAlsec) e si sono confrontati con il "verum" (in questo caso SulphurDlZ)
col placebo.
Da queste sperimentazioni è emerso che il sulphur causa una ripresa della
conduttanza (cioè previene la perdita di conduttanza nei primi secondi dopo
l'applicazione del puntale) indotra dal difenile molto di più di quanto faccia il
placebo. Negli esperimenti "open" la differenza è clamorosa: con Sulphur nel
portafiale la perdita di conduttanzaè di0-0.25 pAlsec, mentre col placebo è di 1-
1.75 trtAlsec. Negli esperimenti in doppio cieco la differenza è stata meno marcata,
in quanto si sono verificate parecchie prove "false positive" (cioè il placebo ha
avuto effetto e parecchie "false negative" (cioè il Sulphur non ha avuto effetto), ma
nell'insieme la differenza è stata altamente significativa (v. tabella 8).
L'uso dell'EAV e di apparecchiature simili nella evidenziazione di allergie è
stato descritto anche da altri [vedi rassegna di Fuller Royal, 1991).I dati ottenuti
mediante l'elettrodiagnosi di allergie alimentari si sono dimostrati correlati con
quelli ottenuti con metodi più noti come il RAST, i test cutanei, i test di provoca-
zione alimentare. Altri studi, condotti in doppio cieco [Ali, 1989]hanno mostrato
che in soggetti affetti da allergie il testelettrodiagnostico correlaalT3%ocon il livelli
di anticorpi IgE specifici perpollini e polveri.Il test EAV sembrafunzionare siacon
medicinali omeopatici che allopatici essendo stato utilizzato, ad esempio, per
Il paradigma biofisico 259
Molto recentemente, il gruppo di van Wijk ha unito gli sforzi con quelli del
gruppo di Endler e Haidvogel, gli studiosi che hanno eseguito le sperimentazioni
sull'effetto delle alte diluizioni di tiroxina sulla metamorfosi delle rane, studi di cui
si ò fatta menzione nel capitolo 4.1. In quest'ultima serie di prove, gli autori [Endler
et a1.,1992) hanno preparato alte diluizioni di tiroxina (T4 D30) e, come controllo,
alte diluizioni di acqua (HrO D30), secondo le regole omeopatiche. Le diluizioni
furono chiuse in ampolle di vetro e alle fiale furono applicati dei codici da
ricercatori indipendenti dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Graz, così che
le prove furono eseguite in cieco. Le fiale, ovviamente chiuse, vennero immerse in
260 Il paradigma biofisico
diversi recipienti in cui venivano allevati gli animali, ad uno stadio di sviluppo ben
preciso (subito dopo la comparsa completa dei quattro arti posteriori, prima della
perdita della coda).
L'esperimento consisteva nel contare il numero di piccole rane che risaliva le
pareti dei recipienti di allevamento, portandosi fuori dall'acqua. I risultati (ripro-
dotti da cinque diversi ricercatori per un totale di oltre 3000 osservazioni)
mostrarono che le rane del bacino in cui era stata immersa la fiala To D30 uscivano
dall'acqua con frequenza significativamente aumentata rispetto alle rane trattate
con la fiala HrO D30. Dosaggi degli ormoni tiroidei e di iodio sulle fiale e sul liquido
di lavaggio delle fiale hanno escluso la presenza di contaminazioni accidentali delle
fiale utilizzate per il test. Per quanto incredibili possano sembrare questi risultati,
quivengono riportati sia per illustrare le problematiche su cui si stanno cimentando
i ricercatori nel campo dell'omeopatia, sia per le loro suggestive analogie con i
risultati sopra riportati a proposito delle prove eseguite con l'elettroagopuntura di
Voll.
Altre esperienze clinico-terapeutiche che sono derivate da applicazioni partico-
lari e varianti dell'EAV riguardano l'uso di apparecchiature quali il MORA (dalle
iniziali degli inventori, il dr. Morell e I'ing. Rasche), per i quali, però si rimanda ad
altri testi più specifici [Meletani, 1990; Morell, 1990].
Tutte queste osservazioni, se confermate e consolidate da ulteriori prove e
controlli, indicherebbero che:
Almeno per quanto riguarda l'aspetto diagnostico, non si vede come l'elettro-
agopuntura non possa integrarsi con la diagnostica convenzionale, potendo forse
rappresentareur,mezzo in più per avere informazioni sulla funzionalità "bioener-
getica" di organi o tessuti, su infezioni in atto o pregresse (immunità), su allergie o
intolleranze alimentari, sulla particolare reattività di un paziente a farmaci poten-
zialmente pericolosi in caso di idiosincrasia. Gli $ilizzatori di tali metodiche
mettono in evidenza il concetto di "diagnostica funzionale", intendendo con questo
la possibilità di segnalare alterazioni omeostatiche precocemente rispetto alle
alterazioni anatomopatologiche [Leonhardt, lg9z]. se ciò fosse vero, I,EAV
potrebbe complementare Ia diagnostica tradizionale e, adeguatamente controllata
Il paradigma biofisico 261
Dopo quanto si è detto a proposito del caos (se2.5.7) e dopo aver riportato teorie
ed esperienze a favore dell'esistenza di fenomeni biofisici meta-molecolari, in
questa sezione si tenta una breve sintesi.
Innanzitutto si deve richiamare quanto detto a proposito della instabilità dei
sistemi dinamici dell'organismo. L'esistenza del caos e delle geometrie frattali ha
notevole importanza anche per quanto riguarda l'omeopatia. Infatti, l'ipotesi che
va prendendo forma in questo testo vorrebbe sostenere che il rimedio omeopatico,
contenente una serie di informazioni specifiche per un determinato paziente, possa
agire come un "attrattore" in una situazione fisiopatologica con una tendenza al
caos, alla disorganizzazione (malattia). Quando un sistema si trova in un dis-
equilibrio controllato da molti fattori, cioè manifesta un comportamento che ha le
note della complessità e della caoticità, dovrebbe essere sufficiente wa piccola
energia per farlo spostare da una parte all'altra. Quanto più si è vicini al punto di
biforcazione, quanto più alta è la libertà di scelta, tanto più bassa sarà l'energia
necessaria per spostare il sistema da una parte o dall'altra.
In sintesi, si potrebbe ipotizzare che il farmaco omeopatico, contenente poca
materia del soluto originale (o nessuna, a seconda della diluizione), possegga un
alto "contenuto informazionale" per il caso specifico, grazie alla corrispondenza
dei sintomi ascritti al farmaco stesso con quelli del paziente (legge dei simili). Tale
contenuto informazionale sarà capace di costituire in condizioni critiche di sensi-
bilità del sistema, un orientamento verso un determinato comportamento, qualcosa
come un "catalizzatore di ordine" o un "segnapassi".
L'informazione, ricevuta, amplificata ed elaborata da uno o più sistemi di
regolazione, potrebbe contrastare l'effetto del disordine indotto dal fattore patolo-
gico che ha perturbato la normale omeostasi dell'organismo. Se ci si riferisce al
campo delle alte diluizioni, è chiaro che una simile informazione "attrattiva" deve
basarsi sullapermanenzadell'immaginedel composto originale, o diunaimmagine
ad esso correlata, nel solvente sottoposto a successive diluizioni e dinamizzazionl
Per "immagine" qui non si intende solo una geometria spaziale, ma potenzialmente
anche un ordine spazio-temporale, sotto forma (forma = informazione e memoria)
di una certa frequenza di oscillazione dei dipoli molecolari o degli scambi protonici
a livello di legami idrogeno.
a
Un simile fenomeno potrebbe stare alla base del fatto che nell'omeopatia
classica le alte diluizioni sono considerate più specifiche, più precise e profonde
nell'effetto terapeutico se vi è una perfetta corrispondenza di sintomi tra rimedio
e paziente, cioè se i "dettagli" della analogia sono emersi chiaramente dalla
anamnesi omeopatica. In pratica, quanti meno sintomi sono presenti in comune tra
il malato e il rimedio, tanto più basse saranno le diluizioni usate; quantipiù sintomi
comuni saranno presenti, tanto più alte le diluizioni prescritte.
Quanto sopra riportato può sembrare, e forse lo è, piuttosto vago e speculativo.
Le analogie tra frattali ed omeopatia sono concetti recentissimi e da precisare. Si
è voluto accennare anche a questi aspetti per sottolineare come un approccio
scientifico all'omeopatia richiederà, in futuro, il concorso di molte discipline, tra
cui matematica, geometria ed informatica.
Su un piano più generale, i suggerimenti qui riportati sottolineano come chi si
voglia awicinare allo studio dei problemi aperti e complessi della biologia e della
fisica (incluso lo studio delle alte diluizioni omeopatiche) deve cominciare ad
introdurre nel proprio armamentario concettuale e, possibilmente, sperimentale
anche le dimensioni del caos e dei frattali. Oggi il caos dovrebbe "far meno paura"
agli scienziati di quanto facesse in passato perché, grazie anche alla scoperta delle
geometrie frattali, si comincia a coglierne alcune regole di comportamento che
consentono un certo grado di prevedibilità.
dalla fisica
Tuttavia, sta emergendo dalle frontiere della scienza, soprattutto
una nuova
quantistica e da teorie e ricerche matematiche ancora non sistematizzate,
possibile "modus operandi"
ui.ion. della materia e della vita, più compatibile col
altamente regolati
dell'omeopatia. Gli organismi sono visti come sistemi dinamici
attorno a certi livelli
e complessi, che most-rano una caratteristica meta-stabilità
oscillazioni, ritmi, networks'
omeostatici. Tale meta-stabilità è fatta da continue
"sospesi" tra ordine e
amplificazioni e cicli di retroazione. I sistemi viventi sono
materia e le
caÀ, partecipano di queste due fondamentali caratteristiche della
Ordine e caos si
sfrutiano in modo finaìisticamente orientato alla soprawivenza'
alla psiche' Non si vede
ritrovano a tutti i livelli dell'omeostasi, dalle moiecole
peso anche nei nuovi orienta-
come tali nuove prospettive non possano avere un
della medicina sono
menti della medicina. La teoria, limetodologia e la tecnologia
connesse alle teorie scientifiche generali ed alle situazio-
sempre state strettamente
ni socio-economiche del temPo.
L'omeopatia torna a rivivere nell,epoca attuale, che vede un
vertiginoso
dalla consapevolezza di ]una
aumento di conoscenze scientifiche, accompagnate
tezza delreale. Ciò non equivale, come molti sono portati
sostanziale indetermina
a credere, al ricorso a paradigmi meta-fisici
o esoterici per sfuggire all'angoscia del
termini, è possibile che a questo livello minime variazioni delle condizioni del
sistema (quali quelle indotte da una risonanza oscillatoria anche molto piccola)
abbiano un ruolo determinante sulla successiva evoluzione del sistema stesso.
7.5.2- Bifurcazioni
Dove stanno le "biforcazioni", sensibili alle minime dosi e, forse, alle informa-
zioni meta-molecolari? Come si è già precedentemente illustrato (sez. 5.1 e6.2.4),
la storia e l'intima natura di un processo patologico hanno varie fasi, vari aspetti che
si integrano in sequenze nel tempo e nello spazio. Se ci si riferisce alle malattie su
base non esclusivamente genetica (e sono di gran lunga la maggior parte), quella
che di solito appare come una "malattia" secondo il criterio diagnostico tradizionale
è l'ultima fase, fatta da precise alterazioni biochimiche ed anatomiche. Prima di
questa, però, esistono almeno altre tre fasi:
b) La fase reattiva
Una seconda biforcazione si trova nella fase delle reazioni dei sistemi biologici
omeostatici. Come ampiamente documentato in precedenza, tali sistemi, soprattut-
to quello infiammatorio ed immunitario, ma anche i sistemi di detossificazione del
fegato ed il sistema emostatico, ecc., hanno una "doppia faccia", fanno guarire ma
anche provocano danno.
Quanto, in ogni singolo caso, prevalga il danno o prevalga la reintegrazione
dello stato di salute, dipende da fini variazioni nel comportamento del sistema
omeostatico stesso. In particolare, il destino della reazione dipende dalla "scelta"
che il sistema deve fare trailprezzo da pagare, in termini di tossicità e di sofferenza,
ele garanzie di riuscita dell'operazione in termini di sopravvivenza dell'organi-
smo. Ad esempio, in presenza di una lesione della superficie del vaso sanguigno,
i sistemi emostatici entrano in azione per bloccare il rischio di emorragia e per
iniziare la riparazione (coagulazione, aggregazione piastrinica, aumento del con-
nettivo e muscolatura vasale). Tuttavia, mediante gli stessi meccanismi effettori
può verificarsi un evento patologico: il sistema emostatico blocca interamente la
circolazione nel vaso sanguigno (trombosi, aterosclerosi)'
Cosa fa "pendere la bilancia" verso l'azione finalisticamente positiva rispetto a
quella non necessaria e francamente patologica? È la complessità dei molteplici
meccanismi in gioco. Una simile "scelta" infatti dipende sia dai singoli elementi in
gioco (recettori, concentrazione di mediatori, presenza di sostanze chimiche
esogene), sia dal tipo di coordinamento esistente, da un controllo "centralizzato"
che valuta le informazioni provenienti dai vari distretti e dai vari elementi in gioco,
regolando di conseguenza l'intensità delle varie risposte.
Quindi, a livello di una tale biforcazione, l'esito della reazione può dipendere
da una informazione che sia significativa sul piano del coordinamento del o dei
sistemi di reazione. Poiché un simile coordinamento è garantito, dalle reti ciberne-
270 Il paradigma biofisico
c) Adattamento?
Una terza fase del processo patologico, in cui si verifica un altro momento
"decisionale" molto critico, è quando i sistemi reattivi non riescono a venire a capo
della situazione e a ripristinare rapidamente lo stato originario. A questo punto può
instaurarsi l'adattamento, una modificazione semi-permanente che, se dauna parte
riduce la sintomatologia, può comportare varie consegnenze, tra cui: deposito di
tossine, iperplasie, spostamento delle soglie di sensibilità recettoriali e modifica-
zioni biochimiche e anatomiche che "rimandano il problema,, a tempi lunghi o
spostano le conseguenze patologiche da un organo ad un altro. A ciò si è già fatto
cenno nel capitolo sulla complessità delle malattie (sez. 5.1). L,adattamento
consente di convivere con Ia malattia, ma rappresenta, in un certo senso, una
rinuncia alla guarigione completa. Anche a questo punto l,omeopatia e l,omotos-
sicologia, come terapie volte a "risvegliare" la capacità reattiva, possono avere
un'importanza decisiva.
L'omeopatia dovrebbe agire quindi sui primi livelli ,,decisionali,, dei sistemi
riparativi e difensivi. Quando si arriva ad uno stadio in cui sono presenti grossolane
conseguenze biochimiche ed anatomiche del processo patologico, si entra in un
campo dove maggiormente pare indicato l'impiego di terapie forti, basate sulla
chirurgia, sulla terapia sostitutiva, sull'uso di farmaci in alte dosi, pur non
escludendo un possibile contributo dell'omeopatia (sempreché almeno alcuni dei
controlli omeostatici possano intervenire).
Anche riferendosi al piano diagnostico, è chiaro che quanto più la malattia sarà
considerata sul piano della alterazione biochimica ed anatomica, tanto più si
ricorrerà, logicamente, alle indagini di laboratorio ed alla diagnostica per immagi-
ni, mentre poco senso avrebbe una "diagnostica" omeopatica tesa a cogliere le fini
differenze di personalità e di sintomatologia tra un malato e l,altro. D,altra parte,
imezzidiagnostici convenzionali poco riescono a fare nell'ambito delle iniziali fini
variazioni dei complessi equilibri omeostatici, oppure, se riescono ad evidenziare
singole variazioni di parametri biochimici o funzionali, non danno criteri per
"ricostruire" il quadro d'insieme e quindi attuare una terapia completa.
Quindi, in conclusione, l'omeopatia non contrasta con l,approccio convenzio-
nale neanche in questo ordine di considerazioni: l'omeopatia .i o""upu dei livelli
Il paradigma bioftsico 271
Nessuno oggi, neppure sul fronte allopatico, nega il fatto che quando si cura una
malattia si deve prima di tutto inquadrare la realtà di tutto il paziente. Questo
enunciato è senza dubbio accettato teoricamente da ogni tipo di approccio terapeu-
tico, convenzionale e non, ma poi nella pratica è difficile da applicare nel caso
concreto. Nonostante le buone intenzioni, il medico è costretto quindi nell'atto
diagnostico e terapeutico a scindere il processo patologico attuale dall'organismo
ospite ed a concentrare tutta la attenzione e la terapia sull'organo, sulla cellula o
sulla molecola. Anche se questo in molti casi si rivela immediatamente efficace, in
altri casi non è risolutivo e soprattutto non attua una terapia completa, perché non
riesce a influire su tutti i livelli del disequilibrio che ha portato alla malattia e ne
modula l'evoluzione. Per raggiungere questo scopo ideale, quasi utopistico,
attualmente mancano sia i mezzi "diagnostici" che quelli terapeutici.
A questo proposito è suggestiva la strada tracciata dal metodo omeopatico, per
la sua tendenza a considerare non solo i dettagli, ma anche il "nucleo centrale" della
alterazione del paziente, così come può essere percepita dal medico in base allo
studio particolareggiato della "storia" del paziente, alla analisi della tipologia
costituzionale, alla attenzione ai sintomi neurologici ed anche psicologici, alla
considerazione delle particolarità fisiologiche (gusti ed awersioni alimentari,
funzioni neurovegetative, ecc.) e della reattività agli stimoli ambientali (caldo,
freddo, variazioni meteorologiche e stagionali ecc.).
Pur con tutti i limiti legati alla difficile oggettivazione di tale approccio, è
evidente che con esso si cerca di "esplorare" anamnesticamente la situazione del
paziente a livello di sistema neuroendocrino e quindi di calibrare anche su questo
livello un intervento terapeutico. L'omeopatia e la omotossicologia considerano
l'infiammazione "sintomo" (cioè segnale, messaggio) e non "malattia", e conside-
rano questo sintomo come l'espressione di una alterazione del rapporto tra soggetto
ed ambiente elo tra i sistemi dello stesso soggetto. Alla luce di quanto detto sulla
complessità del sistema vivente, questi concetti paiono di grande attualità, anche
al di là delle stesse difficoltà dirazionalizzare e forse anche di dimostrare tutto ciò
che la omeopatia afferma.
L'omeopatia usata con farmaci ultra-diluiti rappresenta quindi un tentativo di
approccio alla regolazione bio-energetica dell'organismo umano, utilizzando una
272 Il paradigma biofisico
Come si vede, i campi aperti alla ricerca sono molteplici e vastissimi. Bisogne-
rebbe che le autorità competenti si rendessero conto di ciò e promuovessero
adeguati progetti di ricerca su questi temi, con maggiore convinzione ed impegno
di quanto sia stato fatto finora. Se la ricerca in questo campo è opportuna, di
conseguenza è necessario ed urgente dedicarvi adeguate risorse.
Sarebbe anche auspicabile che gli ambienti accademici, pur senza rinunciare a
una giusta dose di prudenza e gradualità negli interventi, abbandonassero quello
scetticismo, che a volte si volge in ostilità, che ha finora caratterizzato il loro
atteggiamento nei confronti dell'omeopatia. Se questa materia venisse in qualche
modo inserita tra gli insegnamenti universitari, si potrebbero raggiungere due
importanti obbiettivi: innanzitutto i nuovi medici verrebbero ad essere maggior-
mente informati su possibili indicazioni e controindicazioni delle cure omeopati-
che, che spesso i pazienti si auto-somministrano; è innegabile che conoscere
l'omeopatia sarebbe utile anche ai medici che non ritengono di utilizzarla nel loro
specifico settore. Inoltre, i giovani ricercatori sarebbero incentivati ad intraprende-
re ricerche in questo campo, che oggi invece potrebbero sembrare inutili o
addirittura controproducenti ai fini della carriera universitaria. Uno dei meccanismi
che favoriscono la ricerca è, infatti, la valutazione dei titoli scientifici ai fini
concorsuali; se l'omeopatia nell'università "non esiste", ben difficilmente si
svilupperà la ricerca in questo ambito a un livello almeno pari a quello raggiunto
oggi dalle altre discipline.
Le implicazioni di una ricerca in omeopatia sono molto ampie. Da un punto di
vista generale, la stessa comprensione della realtà biologica e fisiologica ne può
venire grandemente ampliata. Il fenomeno degli effetti di microdosi preparate
secondo le metodologie omeopatiche potrebbe avere applicazioni anche in botani-
ca, veterinaria e negli studi sugli ecosistemi. In medicina, l'uso specifico e
razionalizzato di piccole dosi (o di alte diluizioni) di specifiche sostanze per
stimolare o riequilibrare i sistemi endogeni di difesa e di riparazione dell'organi-
smo può complementare, aumentare e anche in taluni casi sostituire l'approccio
tecnologico attuale. Pare sempre più necessario che i problemi posti dalle moderne
patologie ricevano risposte di alto livello tecnologico e scientifico, ma anche
risposte basate su una nuova coscienza del complesso rapporto tra I'uomo e
l'ambiente e di un razionale uso delle sue risorse.
Una teoria omeopatica che volesse diventare anche scientifica in senso moder-
no, pur senza rinunciare ai suoi principi, dovrebbe incorporare nel suo corpo
dottrinale le problematiche contenute nelle nuove frontiere che in questo testo si è
cercato di presentare e discutere. Data la molteplicità dei fattori implicati in un
simile processo di aggiornamento - svolgimento delle ricerche e loro risultati,
condizionamenti socio-economici, evoluzione dei paradigmi scientifici - non è
facile prevedere con quale rapidità e in che misura esso potrà verificarsi. Pare
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t.
INDICE ANALITICO
(In grassetto sono'le pagine dove viene svolta o iniziata una trattazione più approfondita)