La Retta Reale Capitulo 1
La Retta Reale Capitulo 1
La Retta Reale Capitulo 1
La retta reale
0 1 2 3 4 5 6 7 8
L’operazione di “aggiungere 1”, restando ancora all’interno dello stesso insieme è
una proprietà di N, che può essere cosı̀ generalizzata: dati due numeri naturali n ed
m qualsiasi, la loro somma n + m è ancora un numero naturale: quello ottenuto,
appunto, partendo da n ed effettuando m passi verso destra. In linguaggio matema-
tico, “l’insieme dei numeri naturali è chiuso rispetto alla somma”. Siccome partire
da n e fare m passi è la stessa cosa che partire da m e fare n passi, l’addizione è
(1)
In alcune popolazioni aborigene dell’Amazzonia, il concetto di tre (ovvero, della paternità)
non esiste.
(2)
Storicamente, il concetto di zero compare molto dopo quello di uno, due e tre.
1
1. I NUMERI NATURALI. GLI INTERI RELATIVI. 2
commutativa:
∀n , m ∈ N , n + m = m + n.
Inoltre, esiste un numero naturale “speciale”, lo zero, che gode della proprietà di
lasciare “immutato” qualsiasi numero rispetto alla somma (come è evidente: sommare
zero vuol dire fare 0 passi, cioè non muoversi):
∀n ∈ N , n + 0 = n.
Lo zero viene pertanto detto elemento neutro dell’operazione di somma. La chiusu-
ra rispetto alla somma permette di ordinare i numeri naturali: diremo che un numero
naturale n è maggiore di m se esiste un numero naturale p, diverso da zero, tale
che n = m + p. In simboli, scriveremo n > m. Data questa definizione, si può
affermare che dati due numeri naturali diversi n ed m, si ha n > m, oppure m > n
(in definitiva, uno dei due sarà a destra dell’altro sulla retta). Ammettendo che il
numero naturale p possa essere 0, viene definito il concetto di “maggiore od uguale”;
in simboli n ≥ m. La relazione di “≥” è antisimmetrica: se n ≥ m e m ≥ n, allora
n = m(3).
Infine, dato un numero naturale n, e fissato un secondo numero naturale m
che avrà la funzione di “contatore”, è possibile sommare n a sé stesso ripetendo
l’operazione m volte. Il risultato, ovvero “m volte n”, verrà indicato con
m volte
z }| {
m · n = n + n + ··· + n:
il prodotto di m con n. Il numero 1 è l’elemento neutro del prodotto, essendo
1 · n = n per ogni n in N. Le relazioni tra somma, prodotto e ordinamento sono
quelle note:
∀n , m ∈ N , m · n = n · m,
∀n , m , p ∈ N , p · (n + m) = p · n + p · m ,
∀n , m , p ∈ N , n ≥ m ⇒ p · n ≥ p · m,
∀n , m , p ∈ N , n > m , p 6= 0 ⇒ p · n > p · m .
Il prodotto di un numero naturale con sé stesso, ovvero n·n, viene convenzionalmente
indicato con n2 , il quadrato di n. Analogamente, il prodotto di n per sé stesso m
volte viene indicato con nm , la potenza m-sima di n. Ovviamente n1 = n, mentre, per
convenzione, n0 = 1 per ogni n in N. Per le potenze valgono le regole fondamentali:
∀n , m , p ∈ N , nm+p = nm · np ,
∀n , m , p ∈ N , (n · m)p = np · mp ,
∀n , m , p ∈ N , (nm )p = nm·p .
(3)Esercizio!
1. I NUMERI NATURALI. GLI INTERI RELATIVI. 3
Fino ad ora ci siamo mossi sulla retta “andando verso destra”, nella direzione
cioè della somma. Che succede se, partendo da un numero n qualsiasi, ad esempio 5,
ci muoviamo verso sinistra? Ovviamente, dopo un salto siamo atterrati su 4 (che è
caratterizzato — rispetto alla nostra operazione di salto — dall’essere l’unico numero
naturale il cui successore è 5), e se continuiamo a spostarci verso sinistra troviamo
(nell’ordine), 3, 2, 1, e 0. A questo punto l’operazione di salto verso sinistra ci
viene impedita dal fatto che “prima di zero” non c’è nulla. Non esiste alcun numero
naturale il cui successore sia zero. In altre parole, se interpretiamo l’operazione di
saltare verso sinistra come “sottrazione” (cosı̀ come avevamo interpretato l’azione
di saltare verso destra come addizione), l’insieme dei numeri naturali non è chiuso
rispetto a tale operazione: non sempre sottraendo un numero naturale da un altro
naturale si ottiene un elemento di N. A questo punto, si aprono davanti a noi due
strade: lasciare tutto cosı̀ com’è, emanare un editto che vieti la sottrazione(5), e
(4)Si noti che,per quanto E possa essere complicato (si pensi ad E6 ), è sempre possibile verificare
se un numero vi appartiene o no.
(5)Per alcuni tipi di sottrazione tale “editto” esiste già, e viene studiato in un’altra facoltà. . .
1. I NUMERI NATURALI. GLI INTERI RELATIVI. 5
proseguire a lavorare con i naturali(6), oppure decidere che una tale restrizione non
va bene, ed “aggiungere” ad N tutti i numeri mancanti.
Già, ma quanti sono? E come indicarli? Per convenzione, si decide di usare le
stesse cifre usate per i naturali, ovvero 1, 2, 3, e di farle precedere da un segno “−” (a
ricordare che sono numeri che si possono ottenere solo tramite sottrazioni, appunto).
Inoltre, si sceglie di indicare con −n il numero ottenuto facendo n passi a sinistra a
partire dallo zero (cosı̀ come n è il numero che si ottiene facendo n passi verso destra
a partire da zero). Abbiamo allora l’insieme degli interi relativi:
La definizione stessa di −n fa poi sı̀ che n − n = n + (−n) sia uguale a zero, e che
quindi −n sia l’inverso di n rispetto all’operazione di somma (e, simmetricamente,
n sia l’inverso di −n).
Come i naturali, anche gli interi sono rappresentabili su una retta. Siccome
N è contenuto in Z, conviene “prolungare” a sinistra in maniera simmetrica la
rappresentazione grafica di N, per ottenere quella di Z:
-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4
Per costruzione, l’insieme dei numeri interi relativi è chiuso sia rispetto alla somma
che alla sottrazione; tramite la sottrazione, è possibile definire la relazione di minore:
dati n ed m in Z, diciamo che n è minore di m, e scriviamo n < m, se esiste p in
N \ {0} tale che n = m − p. Se p può essere anche 0, abbiamo la relazione di
minore od uguale, che indichiamo ≤. Dal momento che se n = m − p, allora
n + p = m − p + p = m + 0 = m, ne segue che n < m (n ≤ m) se e solo se m > n
(m ≥ n). Mentre per i sottoinsiemi dei naturali non avevamo necessariamente il
numero più grande, ma avevamo il minimo (per il principio di buon ordinamento), per
Z la situazione è differente: esistono sottoinsiemi di Z che non posseggono minimo; ad
esempio, Z stesso: se supponiamo che m sia il minimo, m − 1 è un numero intero più
piccolo di m. È anche possibile definire il prodotto tra due numeri interi, e si verifica
che le proprietà di somma e prodotto (come la commutatività e la distributività)
si estendono anche a Z. Notiamo, in particolare che (−m) · (−n) = m · n; infatti,
essendo 0 = (m + (−m)) · (−n), si ha che −(m · (−n)) = (−m) · (−n). Analogamente
si prova che m · (−n) = −(m · n), da cui m · n = −(−(m · n)) = (−m) · (−n).
(6)
In definitiva, il teorema di matematica più famoso di tutti i tempi riguarda i numeri naturali!
2. CALCOLO COMBINATORIO. PRINCIPIO DI INDUZIONE. 6
di “54321”, cosı̀ come lo sono “13524” e “24135”, mentre (cane, gatto, topo) è una
permutazione di (topo, cane, gatto).
Esercizio 2.1. A partire da 5! = 120, n! termina con almeno uno zero. Al crescere di
n, aumenta il numero degli zeri di n!. Con quanti zeri termina 30!? Evidentemente,
di calcolare 30! non se ne parla neppure. . .
Risposta 2.1: 7. Infatti, tra i fattori di 30! ci sono 2 e 5 (uno zero), 10 (uno zero),
4 e 15 (uno zero), 20 (uno zero), 16 e 25 (due zeri) e 30 (uno zero). Per i curiosi, 30! =
265252859812191058636308480000000.
n!
(2.2) n Dm = = n · (n − 1) · (n − 2) · . . . · (n − m + 2) · (n − m + 1) .
(n − m)!
Dalla definizione stessa di combinazione, si deduce che m deve essere compreso tra 0
e n. Tenendo conto del fatto che 0! = 1, la formula per n Cm è sempre ben definita
(anche per n = 0) e — miracolosamente — restituisce sempre un numero intero. I
n
n Cm , o m , sono anche detti coefficienti binomiali(9).
n
Una delle proprietà più notevoli di m è la seguente: dati n ed m (con 0 ≤ m ≤ n),
si ha
n+1 n n
(2.4) = + .
m+1 m m+1
(8) n
m si legge “n sopra m”.
(9)Per motivi che saranno chiariti tra breve.
2. CALCOLO COMBINATORIO. PRINCIPIO DI INDUZIONE. 9
Ogni numero nel triangolo è somma dei due numeri che si trovano a sinistra e a destra
nella riga precedente, come si vede eseguendo i calcoli:
n
0 1
1 1 1
2 1 2 1
3 1 3 3 1
4 1 4 6 4 1
Affrontiamo ora un altro problema: dati due numeri, a e b, ed un naturale n,
vogliamo calcolare la potenza n-sima del binomio a + b, e trovare una formula che,
dato n, ci permetta di scrivere (a + b)n senza dover eseguire i calcoli tutte le volte.
Alcuni casi particolari sono già noti(10):
(a + b)0 = 1
(a + b)1 = a + b
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
(a + b)3 = a 3 2
+ 3a b + 3ab 2
+ b3
(a + b)4 = a4 + 4a3 b + 6a2 b2 + 4ab3 + b4
A questo punto, non v’è chi non veda la relazione strettissima che intercorre tra le
potenze di a + b e il triangolo di Tartaglia: i coefficienti delle potenze di a e b sono
gli stessi che compaiono nel triangolo di Tartaglia.
Esercizio 2.3. Prima di andare avanti, supponiamo di avere una circonferenza, e di
voler disegnare n punti su di essa in modo tale che, congiungendo i punti in tutti
i modi possibili, il cerchio risulti diviso nel maggior numero di parti. Quante sono
queste parti? Ovvero, in che modo dipendono da n? Come al solito, adottiamo
la strategia dei “numeri piccoli”; se n = 1, siccome non c’è nulla da congiungere,
abbiamo una sola parte (tutto il cerchio); il caso n = 2 è molto semplice: presi due
punti sulla circonferenza, unendoli si divide in due il cerchio (e chiaramente questo è
il massimo numero possibile di parti). Se n = 3 si ottengono 4 parti, mentre se ne
hanno 8 per 4 punti. Se i punti sono 5, ne otteniamo 16.
La formula corretta è
n4 − 6n3 + 23n2 − 18n + 24
n n
Parti(n) = = + + 1,
24 4 2
ed è evidente che il numero delle parti è molto minore di 2n−1 .
2. CALCOLO COMBINATORIO. PRINCIPIO DI INDUZIONE. 11
m=0
si legge “sommatoria per m che va da 0 ad n di. . .”, o “somme per m da 0 ad n
di. . .”. Il suo effetto è quello di generare un contatore (m) che “corre” sui naturali
muovendosi da 0 ad n (lo si può pensare come un “cronometro”, ad esempio); ad ogni
n
valore di m associamo una quantità (in questo caso il monomio m an−m bm ) che va
sommata al totale ottenuto in precedenza (il totale iniziale essendo zero).
Esercizio 2.4. Calcolare
5 5 5 5
X X
2
X
2
X 5
m, (Bernardo) , n , .
m=1 Bernardo=1 m=1 m=0
m
Risposta 2.4: 15, 55 (si noti en passant che l’indice di sommatoria è “muto”), 5n2 ,
32.
Risposta 2.6:
n n 4
X X
m
X 4
m, 2 , (m + 1) · ,
m
m=1 m=0 m=0
mentre l’ultima somma non può essere scritta in maniera compatta, a meno di non osservare
che l’n-simo addendo è 10 elevato all’(n − 1)-simo.
2. CALCOLO COMBINATORIO. PRINCIPIO DI INDUZIONE. 13
P Q
Esercizio 2.7. Sapendo che sta a (che si legge “produttoria”) come la somma
sta al prodotto, in quale modo possiamo anche scrivere i numeri
n
Y n
Y
m, e m?
m=0 m=1
Dopo aver lavorato un po’ con le sommatorie, siamo finalmente in grado di af-
frontare il problema di dimostrare la (2.5) per ogni n in N. Come abbiamo detto
(ammaestrati anche dall’Esercizio 2.3), il fatto di verificare che la (2.5) è vera per
qualche valore di n non implica in nessun modo che lo sia per tutti. Possiamo però
fare un ragionamento differente: supponiamo di aver — con lunghi e laboriosi calcoli
— dimostrato che la formula è vera per un certo valore di n, e proviamo ad usare
questo fatto per dimostrare che la formula è valida per n + 1. In altre parole, invece
di sviluppare (a + b)n+1 , e di verificare successivamente che lo sviluppo che ottenia-
mo è proprio quello dato dal secondo membro della (2.5) con n sostituito da n + 1,
proviamo ad usare l’informazione — già nota — che (a + b)n è esattamente uguale al
secondo membro della (2.5). Per utilizzare quello che già sappiamo, basta osservare
che se
n
n
X n
(a + b) = an−m bm ,
m=0
m
allora
n
n+1 n
X n
(a + b) = (a + b) (a + b) = (a + b) an−m bm .
m=0
m
Distribuendo la somma,
n n
n+1
X n n−m+1 m
X n
(a + b) = a b + an−m bm+1 .
m=0
m m=0
m
Ricordando che l’indice di sommatoria è “muto” (si veda l’Esercizio 2.4), possiamo
riscrivere la formula precedente scrivendo m al posto di p(13), ottenendo
n n
X n n−m m+1
X n
a b = an−m+1 bm + bn+1 .
m=0
m m=1
m − 1
In definitiva, abbiamo
n n
n+1
X n n−m+1 m
X n
(a + b) = a b + an−m bm+1
m=0
m m=0
m
n
X n
= an+1 + an−m+1 bm
m=1
m
n
X n
+ an−m+1 bm + bn+1
m=1
m − 1
n
n+1
X n n
= a + + an−m+1 bm + bn+1 .
m=1
m m−1
n+1
Grazie alla formula (2.4), il contenuto delle parentesi quadre non è altro che m
,e
quindi
n
n+1 n+1
X n + 1 n−m+1 m
(a + b) =a + a b + bn+1 .
m=1
m
Dal momento che i coefficienti di an+1 e bn+1 si possono scrivere rispettivamente come
n+1
e come n+1
0 n+1
, possiamo raccogliere tutto insieme ed affermare — non senza un
(13)Questa operazione di “cambio di indici” è abbastanza frequente, per cui cercate di capire
bene cosa sta succedendo!
2. CALCOLO COMBINATORIO. PRINCIPIO DI INDUZIONE. 15
1.3) esso ammette minimo. Esiste cioè m in F tale che m è più piccolo di tutti gli
elementi di F . Dal momento che m appartiene ad F ,
P(m) è falsa.
Inoltre, m non è zero (perché, per la i), 0 non appartiene ad F ). Ne segue che m − 1
è un numero naturale (perché m è almeno 1), e che P(m − 1) è vera (dal momento
che m − 1 non appartiene ad F ). Ma allora, per la ii),
Siamo cosı̀ arrivati ad un assurdo, generato dall’ipotesi che F non sia vuoto.
Teorema 2.9 (Disuguaglianza di Bernoulli). Sia h ≥ −1. Dimostrare che per ogni
n in N si ha
(2.6) (1 + h)n ≥ 1 + n h .
(2.7) (1 + h)n ≥ 1 + n h .
Prima di procedere, cerchiamo di capire che cosa stiamo facendo: è chiaro che si
potrebbe dire che la (2.7) è “esattamente” la (2.6), e che quindi stiamo usando la
tesi per dimostrare la tesi(15). In realtà, non c’è alcuna contraddizione: non stiamo
usando la (2.7) per dimostrare la (2.6), ma la stiamo supponendo vera, e la useremo
per dimostrare la (2.6) per n + 1. In altre parole, non stiamo dimostrando che “(2.6)
è vera”, ma che “se (2.7) è vera per un certo valore di n, allora è vera anche per il
Dell’induzione matematica si può dare una forma più debole (di dimostrazione
analoga), che risponde alla necessità di verificare che una determinata proprietà valga
per ogni n maggiore di un certo n0 fissato.
Teorema 2.13. Sia P(n) una proprietà, dipendente da un indice naturale n, tale
che esiste n0 in N per cui
2. CALCOLO COMBINATORIO. PRINCIPIO DI INDUZIONE. 18
i) P(n0 ) è vera;
ii) se n ≥ n0 , e se P(n) è vera, allora P(n + 1) è vera.
Allora P(n) è vera per ogni n in N, con n ≥ n0 .
Esercizio 2.14. Si dimostri, per induzione, che
n
X n2 n
m= + , ∀n ∈ N ,
m=0
2 2
n
X n3 n2 n
m2 = + + , ∀n ∈ N ,
m=0
3 2 6
n
X n4 n3 n2
m3 = + + , ∀n ∈ N ,
m=0
4 2 4
Xn Xn 2
m3 = m , ∀n ∈ N ,
m=0 m=0
n
X 1 − q n+1
se q 6= 1, qk = , ∀n ∈ N .
m=0
1−q
n n
Essendo 0 = 1, e 1 = n, ed essendo tutti i termini della sommatoria non negativi, si ha
3. I razionali.
Come abbiamo visto, i numeri interi vengono introdotti per poter ben definire
la sottrazione tra due numeri naturali. Una volta introdotti, ad ogni numero intero
n viene associato un inverso (−n), con la proprietà che n + (−n) = 0, l’elemento
neutro dell’addizione. Ora, tra numeri interi abbiamo definito un’altra operazione, il
prodotto, che ha come elemento neutro il numero 1. Dato un numero intero n, esiste
un numero intero m che ne sia l’inverso rispetto al prodotto, cioè tale che n · m = 1?
A meno che il numero n non sia ±1, la risposta è no. Se, ad esempio, n = 2, non
esiste alcun numero intero m tale che 2 · m = 1. Ed infatti, se m fosse positivo,
sarebbe 2 · m ≥ 2 > 1, se m fosse negativo, allora 2 · m ≤ −2 < 1, mentre se m = 0 si
ha 2 · m = 0 < 1. Lo stesso ragionamento si può ripetere per n qualsiasi (diverso da
±1). In altre parole, l’operazione di inversione rispetto al prodotto non è ben definita
all’interno di Z.
A questo punto, scartata l’idea di lasciare tutto cosı̀ com’è, anche perché alle volte
è necessario “dividere” (ovvero “fare le parti”), ragioniamo come abbiamo fatto nel
passaggio da N a Z: aggiungiamo tutte le quantità mancanti. Quello che otteniamo
è l’insieme dei numeri razionali:
p
(3.1) Q= , p ∈ Z , q ∈ N\{0} .
q
D’accordo, adesso abbiamo definito Q, ma cosa vuol dire pq ? Che “numero” è? Per
capirlo, torniamo alla rappresentazione di N sulla retta. Se, per il momento, sup-
poniamo p ≥ 1, possiamo rappresentare p come un punto sulla retta, a distanza p
dall’origine (nel senso che per trovare p dobbiamo effettuare p salti partendo da 0).
Analogamente, q è un altro punto sulla retta. Per comodità, lo rappresentiamo su
una seconda retta, sghemba rispetto alla prima, con l’origine in comune. Congiun-
giamo ora il punto p con il punto q, e tracciamo, dal punto 1 sulla retta che contiene
il punto q, la parallela alla retta che congiunge p con q. Questa retta taglierà la retta
che contiene p in un punto, che per noi è pq . D’ora in poi il numero razionale pq sarà
il punto cosı̀ costruito sulla retta.
3. I RAZIONALI. 20
0 4/7 1 2 3 4 5
p = 4 e q = 7.
Lo stesso ragionamento si può ripetere nel caso in cui p sia negativo.
Ricordando il Teorema di Talete(16) è facile verificare (ad esempio dalla figura) che
sommando q volte pq (ovvero, facendo q salti sulla retta di lunghezza pq ) si ottiene p.
Come conseguenza, se n ≥ 1, moltiplicando n per n1 si ottiene 1, e quindi n1 è l’inverso
moltiplicativo di n, mentre l’inverso moltiplicativo di −n è −1 n
(per mantenere la
convenzione che vuole denominatori non negativi). Un modo alternativo di indicare
1
n
è scrivere n−1 . In questo modo si conserva la regola dei prodotti di potenze con la
stessa base: n1 · n−1 = n1−1 = n0 = 1. Analogamente, n−m è l’inverso moltiplicativo
di nm , ovvero n1m (ovviamente, deve essere n 6= 0).
Dati due numeri razionali pq e rs (e ricordando che i denominatori sono per con-
venzione positivi), si può stabilire sempre se uno dei due è maggiore dell’altro:
p r
≥ ⇐⇒ p · s ≥ r · q .
q s
Dati due numeri razionali, sono ben definiti sia la somma, che il prodotto:
p r p·s+r·q p r p·r
+ = , · = .
q s qs q s q·s
(16)Unfascio di rette parallele tagliato da due trasversali stacca su di esse segmenti a due a due
proporzionali.
3. I RAZIONALI. 21
L’inverso additivo di pq è −p
q
, mentre l’inverso moltiplicativo di pq (con p 6= 0) è pq (se
−q
p > 0), oppure −p (se p < 0).
L’insieme degli interi Z è un sottoinsieme di Q; infatti, se m è un intero, allora
è facile vedere che la costruzione geometrica precedente restituisce m se si calcola il
numero razionale m1 .
Abbiamo dunque definito i razionali rifacendoci alla loro rappresentazione sulla
retta; una tale definizione, anche se ci permette di “misurare” i razionali, è però
molto poco pratica per lavorare: non è immaginabile dover prendere una riga ed un
compasso tutte le volte che è necessario fare un’addizione. In altre parole, vogliamo
un modo più comodo, possibilmente svincolato dalla rappresentazione geometrica
dei razionali, per “scrivere” pq . Tale modo è — ovviamente — la rappresentazione
decimale.
Come possiamo scrivere la rappresentazione decimale di pq , partendo da p e q?
Iniziamo a trattare il caso p ≥ 0. Innanzitutto, è sempre possibile scrivere p come
p = m · q + r1 con m in N, r1 in N e 0 ≤ r1 ≤ q − 1. Ad esempio,
10 = 3 · 3 + 1 , 23 = 0 · 43 + 23 , 31 = 5 · 6 + 1 .
Il numero intero m viene detto parte intera di pq , e viene di solito indicato nel
seguente modo:
p
m= .
q
Dividendo la relazione p = m · q + r1 per q si ottiene pq = m + rq1 . Essendo 0 ≤ rq1 < 1,
ne segue che m è il più grande intero minore di pq . Esaminiamo ora la frazione rq1 ;
se r1 = 0, abbiamo finito: pq = m è già un numero intero, e con gli interi sappiamo
lavorare. Se r1 > 0, consideriamo il numero intero 10 · r1 (17), e scriviamo anch’esso
nella forma 10 · r1 = d1 · q + r2 , con d1 e r2 in N, e 0 ≤ r2 ≤ q − 1. Essendo
0 < 10 · r1 ≤ 10 · (q − 1) < 10 · q, d1 sarà un numero compreso tra 0 e 9: ovvero, una
cifra decimale. Se r2 = 0, ci fermiamo, mentre se r2 > 0 andiamo avanti, scriviamo
10·r2 = d2 ·q+r3 , ed otteniamo una seconda cifra compresa tra 0 e 9, d2 . Proseguendo,
a meno di non trovare uno degli ri = 0, otteniamo d3 , d4 , d5 e cosı̀ via.
E cosı̀ via. . . Se cosı̀ fosse, avremmo peggiorato la situazione: se nessuno degli ri
è zero, staremmo associando ad un numero razionale pq un numero intero m, e poi
“infinite” cifre d1 , d2 , d3 , . . ., tutte comprese tra 0 e 9. Il che vuol dire che, invece di
portarci appresso una riga ed un compasso, dovremmo portarci appresso molta, molta
carta per scrivere tutte le cifre di (18). Fortunatamente, non c’è bisogno di calcolare
(17)La scelta di 10 · r1 ci porta ai numeri decimali. Se avessimo scelto 2 · r1 avremmo avuto la
rappresentazione binaria, eccetera.
(18)Per non parlare del tempo necessario a calcolare la somma di due razionali. . .
3. I RAZIONALI. 22
Definizione 3.1. Dati due numeri razionali non negativi pq e rs con rappresentazione
decimale
p r
= m, d1 d2 d3 . . . dn . . . , = m0 , d01 d02 d03 . . . d0n . . . ,
q s
diremo che pq > rs se m > m0 , oppure se m = m0 ed esiste j ≥ 1 tale che di = d0i
per ogni i < j ma dj > d0j . Se pq > 0 e rs < 0, allora sarà pq > rs (indipendentemente
dalla rappresentazione decimale: è il “segno” a decidere l’ordine). Se sia pq che rs sono
negativi, avremo
p r
= −m, d1 d2 d3 . . . dn . . . , = −m0 , d01 d02 d03 . . . d0n . . . ,
q s
e diremo che pq > rs se m < m0 , oppure se m = m0 ed esiste j ≥ 1 tale che di = d0i per
ogni i < j ma dj < d0j .
Ad esempio, 1, 23456 > 1, 2345 e −1, 2345 > −1, 23456. L’ordinamento cosı̀
definito è compatibile sia con l’ordinamento definito precedentemente, sia con l’ordi-
namento stabilito dalla rappresentazione dei razionali come punti sulla retta.
Supponiamo ora di aver preso un razionale pq , di aver eseguito il procedimento
precedente, e di aver ottenuto la rappresentazione decimale pq = 0, 9. È possibile
arrivare ad una rappresentazione siffatta, o abbiamo commesso un errore? Se abbiamo
ottenuto 0 come parte intera, questo vuol dire che p = 0 · q + r1 , e quindi r1 = p.
Siccome la prima cifra decimale è 9, allora 10 · p = 9 · q + r2 ; essendo anche la seconda
cifra decimale 9, abbiamo 10 · r2 = 9 · q + r3 , e quindi
100 · p = 90 · q + 10 · r2 = 90 · q + 9 · q + r3 = 99 · q + r3 .
Continuando, troviamo
1000 · p = 999 · q + r4 , 10000 · p = 9999 · q + r5 ,
e, in generale,
(3.2) 10n · p = (10n − 1) · q + rn+1 , ∀n ≥ 1 .
rn+1 q
−1 < n
− n < 1.
10 10
Essendo però p − q = r10 q
n − 10n un numero intero, l’unica possibilità è p − q = 0,
n+1
come si verifica facilmente. Questo vuol dire che se tentassimo una rappresentazione
grafica dei razionali come abbiamo fatto con gli interi, dovremmo avere a disposizione
un computer (o un pittore) in grado di disegnare linee estremamente sottili: tali che,
tra due di esse, se ne deve poter mettere sempre un’altra. In altre parole, continuando
ad ingrandire la nostra rappresentazione, non arriveremo mai ad una situazione simile
a quella dei naturali, con dei “salti” discreti.
A questo punto, ci poniamo una domanda: prendiamo, su una retta sulla quale
siano stati fissati 0 ed 1, un punto qualsiasi: esistono p e q tali che la procedura
geometrica spiegata in precedenza “costruisca” questo punto? Altrimenti detto: presa
una lunghezza qualsiasi sulla retta, questa lunghezza è rappresentata da un razionale?
Esercizio 3.3. Prima di andare avanti, provate a rispondere alla domanda preceden-
te, ragionando non sui razionali come “punti sulla retta”, ma come sviluppi decimali:
quale numero razionale (se ne esiste uno) corrisponde allo sviluppo
n zeri n + 1 zeri
z }| { z }| {
0, 10100100010000 . . . 1 0 . . . 0 1 0 . . . 0 1 . . . ,
o allo sviluppo
Risposta 3.3: Dato che ogni razionale dà luogo ad uno sviluppo decimale periodico, e
non essendo i due sviluppi precedenti periodici, se ne deduce che nessun razionale li genera.
Cosa sono, allora?
0 1 ?
Quanto è lunga la diagonale? Usando il teorema di Pitagora, sappiamo che il
quadrato costruito sulla diagonale ha come area la somma delle aree dei quadrati
costruiti sui due lati del quadrato. Essendo il quadrato unitario, il quadrato costruito
sulla diagonale ha area 2. Pertanto, la lunghezza della diagonale è tale che, elevata
al quadrato, vale 2. Supponiamo ora che tale lunghezza sia un numero razionale pq .
2
Pertanto, pq2 = 2, da cui segue che p2 = 2q 2 , ovvero che p2 è pari. Dal momento che il
prodotto tra due numeri dispari è sempre un numero dispari, dall’essere p2 pari segue
che anche p è pari, e quindi p = 2p1 , con p1 un numero intero strettamente minore
di p. Sostituendo nella relazione p2 = 2q 2 , si ottiene 4p21 = 2q 2 e, dividendo per 2,
q 2 = 2p21 . Ripetendo il ragionamento precedente, se ne deduce che q è pari, e quindi
q = 2q1 , con q1 numero intero strettamente minore di q. Ri-sostituendo, otteniamo
p2
(dopo aver diviso per due) che p21 = 2q12 , ovvero che q21 = 2. Ricapitolando, dati p e
1
p2 p2
q interi e tali cheq2
= 2, abbiamo trovato 1 ≤ p1 < p e q1 < q tali che q21 = 2. È
1
evidente che possiamo allora ripetere il ragionamento precedente, e determinare altri
p2
due numeri interi 1 ≤ p2 < p1 e q2 < q1 tali che q22 = 2, e poi 1 ≤ p3 < p2 e q3 < q2
2
p23
tali che = 2 e cosı̀ via. Il difetto del ragionamento consiste nel fatto che di numeri
q32
naturali pi che verificano la disuguaglianza 1 ≤ pi < p ne esistono esattamente p − 1,
e che quindi non è possibile continuare a far decrescere indefinitamente i numeratori
pi : ad un certo punto uno dei pi non può esistere. Il fatto che non esista discende
2
dall’aver supposto che esistano p e q tali che pq2 = 2, ovvero che la lunghezza della
diagonale del quadrato di lato 1 sia un numero razionale.
Esercizio 4.1. Sia m un numero naturale che non sia un quadrato perfetto (ovvero
tale che non esista n in N per il quale n2 = m). Dimostrare che non esistono p e q in
2
N tali che pq2 = m (se m = n2 è un quadrato perfetto, è sufficiente scegliere p = n e
q = 1). Suggerimento: fattorizzare m, ed osservare che esiste almeno uno dei fattori
primi di m che compare con un esponente dispari; dimostrare successivamente che p
è multiplo di questo fattore, da cui. . .
5. I NUMERI REALI. 28
Risposta 4.1: Scriviamo m = m0 ·mr00 ·mr11 ·. . .·mrkk , con mi primo per ogni i, mi 6= mj
per i 6= j, r0 pari e gli ri interi qualsiasi. Dimostriamo che p è divisibile per m0 . Scriviamo
p = km0 +r, con 0 ≤ r ≤ m0 −1. Allora p2 = k 2 m20 +2km0 r +r2 = m0 ·mr00 ·mr11 ·. . .·mrkk q 2 ,
da cui segue che
m0 (k 2 m0 + 2kr − mr00 · mr11 · . . . · mrkk q 2 ) + r2 = 0 .
Dividendo per m0 , e cambiando segno si ottiene
r2
= mr00 · mr11 · . . . · mrkk q 2 − k 2 m0 − 2kr ,
m0
r2
e quindi m 0
è un intero. Ne segue che m0 divide r2 , ed essendo m0 primo, m0 divide r, il
che è possibile, essendo m0 > r, se e solo se r = 0. Ma allora p = km0 . Sostituendo, si
trova
k 2 m20 = m0 · mr00 · mr11 · . . . · mrkk q 2 .
Osservando che k 2 ha solo potenze pari di m0 (o non ne ha nessuna), e a destra essendo
presente una potenza dispari di m0 , si ottiene
mr11 · . . . · mrkk q 2 = m0 ms00 k12 ,
da cui segue (analogamente a prima, ed usando il fatto che gli mi sono a due a due distinti),
che anche q deve essere un multiplo di m0 .
Pertanto, non tutto quello che possiamo “costruire” può essere misurato con i
numeri razionali: alcune quantità, come la lunghezza della diagonale di un quadrato
di lato 1, non possono essere rappresentate mediante un numero razionale.
Dal momento, poi, che ogni razionale della forma pq genera una rappresentazione
decimale periodica, è chiaro che se vogliamo rappresentare come numero la lunghezza
della diagonale del quadrato di lato 1, dovremo ricorrere ad una lista di decimali che
“non si ripetono”; ad esempio, a qualcosa del tipo
1, 41421356237309504880168872420969807856967187537694 . . .
Vedremo nel prossimo paragrafo come risolvere il problema.
Esercizio 4.2. Sapendo che la diagonale del cubo è un numero il cui quadrato è 3,
quale diagonale ha una lunghezza il cui quadrato è n?
Risposta 4.2: Quella del cubo n dimensionale, qualsiasi cosa esso sia. . .
5. I numeri reali.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la lunghezza “fisica” della diagona-
le del quadrato di lato 1 non è rappresentabile sulla retta con un numero razionale. In
altre parole, ci troviamo nella stessa situazione nella quale eravamo capitati quando
avevamo provato a definire la sottrazione nei naturali, e la divisione negli interi. Però,
mentre se prima potevamo “mettere da parte” il problema, e continuare a lavorare
5. I NUMERI REALI. 29
esistono, punto e basta. Li si possono vedere come punti su una retta o, in maniera
equivalente, come rappresentazioni decimali “ben formate”; si può lavorare con essi
con operazioni algebriche come la somma, il prodotto, ed interpretare il risultato di
conseguenza: la somma di due numeri reali (due punti) è il punto sulla retta che si
ottiene mettendosi sul primo e spostandosi (in un verso opportuno) di una lunghezza
pari alla distanza del secondo punto dall’origine, oppure la rappresentazione deci-
male che si ottiene sommando le due rappresentazioni decimali; il prodotto di due
numeri reali è l’area (presa con il segno giusto) del rettangolo che ha per lati i due
segmenti di estremi i due numeri reali, oppure la rappresentazione decimale ottenuta
moltiplicando (in maniera complicatissima) le due rappresentazioni decimali.
L’unica cosa importante è che qualsiasi operazione — somme, moltiplicazioni,
divisioni — si faccia con questi numeri, il risultato sarà sempre un altro numero
reale (la cui interpretazione è libera); inoltre, è possibile leggere le proprietà del
numero ottenuto in maniera indipendente, ma coerente, sia dalla sua rappresentazione
“grafica” che dalla rappresentazione decimale.
Due paragrafi fa, avevamo detto che i razionali sono molto “fitti” sulla retta: dati
due razionali diversi, esiste un terzo razionale compreso tra i due. Siccome è evidente
che tra due reali distinti ne esiste sempre un terzo (basta prendere il punto medio
del segmento di estremi i due numeri reali), ci chiediamo ora se — per caso, o per
fortuna — tra due reali distinti esista sempre un numero razionale. È chiaro che la
risposta è positiva nel caso in cui i due reali siano anche razionali, ma che succede se
uno dei due (o entrambi) non lo sono? La risposta è, ancora una volta, positiva.
Teorema 5.1. Dati x e y numeri reali, con x > y, esiste un numero razionale q in Q
tale che x > q > y.
Dimostrazione. Suppponiamo y ≥ 0 (se y < 0 il ragionamento è analogo, a patto
di fare attenzione ai segni). Consideriamo le rappresentazioni decimali ben formate
di x e y:
x = a, b1 b2 b3 . . . bn . . . , y = c, d1 d2 d3 . . . dn . . . .
Se a > c, dal momento che esiste almeno un indice j tale che dj 6= 9 (perché i di non
possono essere tutti 9), sia q = c, d1 d2 . . . dj−1 (dj + 1). Evidentemente q < x, dato
che la parte intera di q è c, mentre la parte intera di x è a; inoltre q e y hanno le
stesse cifre decimali fino alla (j − 1)-esima, mentre la j-sima di q è maggiore della
corrispondente di y (per costruzione). Siccome q ha uno sviluppo decimale finito, q
è un razionale.
Supponiamo ora a = c; siccome x > y, esiste un indice j tale che bi = di per ogni
i < j, e bj > dj . Se esiste h > j tale che bh 6= 0, sia q = a, b1 b2 . . . bj−1 bj ; altrimenti,
se bh = 0 per ogni h > j (vale a dire, se bj è l’ultima cifra decimale di x), sia k > j
6. PROPRIETÀ DI R. 31
tale che dk 6= 9 (un tale k esiste perché i di non possono essere uguali a 9 da un certo
punto in poi), e sia q = a, b1 b2 . . . bj−1 dj . . . dk−1 (dk + 1). In entrambi i casi abbiamo
un numero razionale (dato che lo sviluppo decimale è finito) compreso tra x e y, come
si verifica facilmente.
Ad esempio, se
x = 2, 00012151 . . . , y = 1, 999234234 . . . ⇒ q = 2 ,
x = 2, 718281828 . . . , y = 2, 718281815 . . . ⇒ q = 2, 71828182 ,
x = 3, 1415 , y = 3, 14149999928 . . . ⇒ q = 3, 1414999993 .
La proprietà enunciata dal Teorema 5.1 è detta densità dei razionali nei reali;
un altro modo di esprimerla è il seguente: dato un numero reale qualsiasi x, ed un
secondo numero reale ε > 0, esiste sempre un numero razionale qε tale che x <
qε < x + ε. Se interpretiamo ε come “errore” nella stima di x, il Teorema 5.1 ci
dice che ogni numero reale x può essere approssimato a meno di un errore che
possiamo rendere arbitrariamente piccolo da numeri razionali. In definitiva,
nella lunghissima rappresentazione decimale di un qualsiasi numero reale x possiamo
“lasciar cadere” le cifre decimali da un certo punto in poi, e ritrovarci a lavorare con un
numero razionale, sapendo sı̀ di aver commesso un errore, ma contemporaneamente
essendo in grado di misurare e valutare la portata del nostro errore. Siccome la
quantità di informazione necessaria per “registrare” un numero razionale è finita (il
segno, la parte intera, l’antiperiodo ed il periodo), cosı̀ come ad esempio la memoria
di un computer(21), la densità di Q in R è la proprietà chiave sulla quale si basano i
calcoli numerici e le simulazioni al calcolatore(22).
6. Proprietà di R.
Una delle propretà fondamentali dell’insieme dei numeri reali è l’ordinamento:
dati due reali distinti x e y, si ha sempre che x < y, oppure y < x. Questo fatto è
molto utile quando, invece di considerare numeri reali singoli, si lavora con insiemi
di numeri reali. Le proprietà degli insiemi di numeri reali che andremo a “scoprire”
sono, in un certo senso, caratterizzanti di R, nel senso che vedremo che non sono
valide — ad esempio — per Q.
Tale insieme è non vuoto (abbiamo già detto che contiene −1, − 21 e 0), e può essere
cosı̀ caratterizzato:
m(E) = {x ∈ R : x ≤ 0} .
Infatti, se x ≤ 0, e se y è in E, allora x ≤ 0 < y e quindi x è in m(E); viceversa, se
x è in m(E), allora x deve essere minore od uguale a zero: se fosse maggiore di zero,
x
2
sarebbe contemporaneamente minore di x e appartenente ad E. Tutti gli elementi
di m(E) sono “candidati minimo” per E, dato che ognuno di essi soddisfa la 3); tra
tutti, ne esiste uno che è “migliore” di tutti gli altri? Uno che è più “vicino” ad E
degli altri? Uno per il quale non esiste un altro numero in m(E) più grande di lui?
Evidentemente, sı̀: il numero reale 0 — il massimo di m(E) — è, tra tutti i numeri
in m(E), il migliore; ovvero, non appena ci si sposta un po’ verso destra, anche di
pochissimo, si trovano elementi di E (quelli, cioè, che soddisfano la 4), e per i quali
la 3) non vale).
Ricapitolando: l’insieme E = {x ∈ R : 0 < x ≤ 1} non ha minimo; abbiamo però
identificato un numero reale, 0, il massimo di m(E), che è quanto di più “vicino” al
minimo sia possibile ottenere. Ovviamente, siamo riusciti ad identificarlo in questo
caso: dal momento che abbiamo trovato dei sottoinsiemi di R che non ammetto-
no massimo, potrebbe essere senza speranza fare affermazioni del tipo: “D’accordo,
l’insieme non ha minimo, ma si può considerare al suo posto il massimo di m(E)”
perché non è detto che tale massimo esista. Prima di proseguire, definiamo in maniera
precisa gli insiemi come m(E).
e che quindi sia m(E) che M (E) sono vuoti, come si verifica facilmente. Essendo
vuoti, m(E) non ha massimo e M (E) non ha minimo, e quindi non possiamo più af-
fermare che, qualsiasi sia il sottoinsieme E di R, esistono sia il massimo dei minoranti
che il minimo dei maggioranti. Quello che possiamo fare è modificare l’affermazione
“m(E) ammette massimo per ogni sottoinsieme E di R” nell’affermazione (comunque
tutta da provare) “m(E) ammette massimo per ogni sottoinsieme E di R tale che
m(E) non sia vuoto”.
Cosa vuol dire che m(E) non è vuoto? Vuol dire che esiste almeno un minorante
di E, ovvero un numero reale x tale che x ≤ y per ogni y di E. Se rappresentiamo E
sulla retta, questo vuol dire che x è una sorta di “barriera”, di “limitazione” per E:
l’insieme E si trova tutto a destra di x; analogamente, se M (E) è non vuoto, esiste z
in M (E) e quindi (essendo z più grande di tutti gli elementi di E), E si trova tutto a
sinistra di z. Viceversa, se E ammette una “barriera” a destra (o a sinistra), M (E)
(o m(E)) non sarà vuoto.
In altre parole, il fatto — evidente dagli esempi — che per i sottoinsiemi infe-
riormente limitati esista il massimo dei minoranti non è dimostrabile: è una verita
“evidente”, che viene accettata senza dimostrazione(26).
Una conseguenza dell’assioma precedente è la seguente definizione.
(26)Questa è la prima volta che un assioma viene enunciato in queste note; a ben vedere, di
assiomi ne abbiamo usati parecchi in precedenza. Ad esempio, che si può contare. . .
6. PROPRIETÀ DI R. 36
ε > 0 esiste un numero naturale n tale che ε > n1 ; come prima, si può scegliere n =
1
ε + 1.
Come esercizio aggiuntivo, verificare che E = {x ∈ R : 0 < x < 1}.
Definizione 6.16. Dati due numeri reali a e b, con a < b, definiamo intervallo di
estremi a e b l’insieme dei numeri reali x compresi tra a e b. Dato che non abbiamo
specificato se “compresi” voglia dire maggiori, o maggiori o uguali, di a e minori, o
minori o uguali, di b, abbiamo quattro possibilità, che indichiamo come segue:
[a, b] = {x ∈ R : a ≤ x ≤ b} ,
[a, b) = {x ∈ R : a ≤ x < b} ,
(a, b] = {x ∈ R : a < x ≤ b} ,
(a, b) = {x ∈ R : a < x < b} .
Il primo si dice intervallo chiuso di estemi a e b, mentre l’ultimo si dice intervallo
aperto di estremi a e b; il secondo ed il terzo intervallo si dicono semiaperti o
semichiusi, a seconda dei “gusti”.
Esercizio 6.17. Calcolare estremo superiore ed inferiore di ognuno dei quattro tipi
di intervalli.
Risposta 6.17: a e b.
Abbiamo detto all’inizio del paragrafo che avremmo enunciato delle proprietà
“caratterizzanti” l’insieme dei numeri reali. In effetti, il concetto di insieme dei mag-
gioranti e dei minoranti può essere definito anche sui razionali: se E è un sottoinsieme
dei razionali, allora MQ (E) = {q ∈ Q : y ≤ q per ogni y in E} (analogamente per
mQ (E)), e può avere ancora senso chiedersi se esista il minimo di MQ (E) per ogni
sottoinsieme di Q limitato superiormente.
Ebbene, una tale proprietà non è vera: in altre parole, pur essendo i razionali
“fitti”, e densi in R, non sono abbastanza per garantire che ogni sottoinsieme dei ra-
zionali limitato superiormente ammetta estremo superiore in Q(28). Il controesempio
è costruito a partire dall’unico (o quasi) numero che sappiamo non essere razionale,
e dalla proprietà che lo definisce. Sia
E = {q ∈ Q : q ≥ 0 e q 2 ≤ 2} .
Innanzitutto, dal momento che se q è in E, si ha q ≤ 2 (se fosse q > 2, allora q 2 > 2),
E è limitato superiormente. Sia allora
MQ (E) = {p ∈ Q : q ≤ p per ogni q in E} = {p ∈ Q : p ≥ 0 e p2 ≥ 2} ,
e dimostriamo per assurdo che MQ (E) non ammette minimo. Supponiamo cioè che
esista il minimo di MQ (E); sia esso p, un numero razionale tale che p2 ≥ 2. Siccome
non può essere p2 = 2, perché già sappiamo che non esistono numeri razionali (come
p) il cui quadrato vale 2, deve essere p2 > 2. Ma allora, se x è il numero reale
positivo il cui quadrato vale 2, si ha p > x. Sia ora ε un numero razionale tale che
(28)Che ammetta estremo superiore reale, già lo “sappiamo”.
6. PROPRIETÀ DI R. 40
0 < ε < p − x (tale numero esiste perché i razionali sono densi nei reali, si veda il
Teorema 5.1), ovvero tale che p − ε > x > 0. Ma allora (p − ε)2 > x2 = 2. Pertanto,
p − ε appartiene a MQ (E), ma è minore di p (che quindi non può essere il minimo di
MQ (E)).
L’esempio precedente mostra la differenza fondamentale tra Q e R: pur essendo
denso in R, Q è “bucato”, nel senso che non esiste un numero razionale che separa
l’insieme E dall’insieme dei suoi maggioranti, mentre in R tale numero esiste, ed è
x (il numero il cui quadrato è 2); per rendersene conto, basti osservare che abbiamo
appena dimostrato che I, l’estremo superiore di E, che deve verificare I 2 ≥ 2, non può
essere tale che I 2 > 2. In altre parole, R è “continuo” (come del resto è “continua”
la retta reale).
Consideriamo ora l’insieme
E = {x ∈ R : x ≥ 0} .
È facile vedere che E è limitato inferiormente e che il suo estremo inferiore è 0 (che è
anche minimo); è altrettanto facile rendersi conto che M (E) = ∅: se supponiamo che
x sia un maggiorante di E (fatto questo che implica x ≥ 0, dato che 0 appartiene ad
E), possiamo subito costruire x + 1 che appartiene ancora ad E, ma è più grande di
x. In altre parole, E non è limitato superiormente.
Definizione 6.18. Sia E un sottoinsieme di R. E si dice illimitato superiormente
se M (E) è vuoto. E si dice illimitato inferiormente se m(E) è vuoto. E si dice
illimitato se è sia illimitato superiormente che inferiormente.
Equivalentemente:
i) E è illimitato superiormente se e solo se per ogni M > 0 esiste x in E
(eventualmente dipendente da M ) tale che x > M ;
ii) E è illimitato inferiormente se e solo se per ogni M < 0 esiste x in E
(eventualmente dipendente da M ) tale che x < M .
Infatti, la i) afferma che nessun numero positivo M appartiene ad M (E) (il che
implica automaticamente che nessun numero negativo vi può appartenere), mentre
la ii) afferma che nessun numero negativo M appartiene ad m(E) (cosicché nessun
numero positivo vi può appartenere).
Come trattare (dal punto di vista di estremo superiore ed inferiore) gli insiemi
illimitati? Il risultato chiave è il Teorema 6.13. In altre parole, vogliamo “assegnare”
un estremo superiore ad un insieme illimitato superiormente, facendoci guidare dalla
monotonia: se F è un qualsiasi sottoinsieme di E limitato superiormente, mentre
E non lo è, l’estremo superiore di E (da definire) deve essere maggiore dell’estremo
superiore di F . Per capire come fare, riprendiamo l’insieme E = {x ∈ R : x ≥ 0},
6. PROPRIETÀ DI R. 41
Definizione 6.21. L’insieme dei numeri reali x maggiori (maggiori o uguali) o minori
(minori o uguali) di un fissato numero reale a vengono anch’essi detti intervalli, ma
illimitati (superiormente o inferioremente a seconda dei casi). Come per gli intervalli
limitati, se a è un fissato numero reale abbiamo le seguenti notazioni:
[a, +∞) = {x ∈ R : x ≥ a} ,
(a, +∞) = {x ∈ R : x > a} ,
(−∞, a] = {x ∈ R : x ≤ a} ,
(−∞, a) = {x ∈ R : x < a} .
Si noti che il “lato” infinito è sempre aperto, coerentemente con il fatto che +∞ e
−∞ non sono numeri reali. In particolare,
R = (−∞, +∞) .
Esercizio 7.1. Sia y ≥ 0 e sia E = {x ∈ [0, +∞) : x2 ≤ y}. Dimostrare che E non
è vuoto, che ammette estremo superiore S e che S 2 = y.
√
Definiamo y l’unico numero reale positivo il cui quadrato è y. Che cosa abbiamo
ottenuto? Abbiamo ottenuto una funzione: vale a dire una legge che, ad ogni numero
(29)Come?
7. RADICI, POTENZE. FUNZIONI ELEMENTARI. 43
2 f (x) = x
0 1 2
f (x) = x
√
Nel caso della funzione f (x) = x, il dominio è A = [0, +∞), mentre l’immagine
è f (A) = [0, +∞); il grafico è il seguente, assieme al grafico della funzione g(x) = x2 ,
definita su tutto l’asse reale, e a valori in [0, +∞).
g(x) = x2
√
f (x) = x
√
Esercizio 7.3. Sia x un numero reale qualsiasi: quanto vale x2 ?
Svolto l’esercizio precedente? Quale è la risposta? Chi ha risposto ±x? Avendo
appena detto che una funzione (come lo è la radice quadrata) associa uno ed un
solo numero reale al proprio argomento, è chiaro che ±x è la risposta sbagliata. Chi
ha risposto x? Dal momento che la funzione radice quadrata ha come immagine
l’intervallo [0, +∞), è chiaro che la risposta è sbagliata
√ nel caso
√ in cui, ad esempio,
2 2
x = −1. In questo caso, infatti, x vale 1, e quindi x = 1 = 1, dal momento
7. RADICI, POTENZE. FUNZIONI ELEMENTARI. 45
che 1 è l’unico numero reale positivo il cui quadrato vale 1. Se facciamo altri esempi,
arriviamo al seguente risultato(31):
√
x se x ≥ 0,
2
x =
−x se x < 0.
(32)
Per aiutare
√ i matematici, è stata inventata una notazione apposita per indicare la
2
funzione x . Il valore assoluto, o modulo, indicato con | · |, è la funzione da R
in R definita da
x se x ≥ 0,
(7.1) |x| =
−x se x < 0.
Come si vede abbastanza facilmente, il dominio di | · | è tutto R, mentre l’immagine è
[0, +∞). Avvertenza: il lettore è fortemente invitato a non pensare al modulo di x
come “x privato del segno”. Il valore assoluto è definito in (7.1), ed è la funzione che
lascia invariato x se x è non negativo, mentre gli associa il valore −x se x è negativo.
Per rendersi conto del perché la frase “x privato del segno” sia sbagliata, osserviamo
che se non diciamo quanto vale x non ha senso parlare del suo segno: quale è il segno
di −x se x vale −2? In altre parole, se il valore assoluto di x fosse veramente “x
privato del segno”, allora | − x| sarebbe x, il che è falso se ad esempio x = −1. Il
grafico della funzione modulo è il seguente:
f (x) = |x|
Siamo ora pronti a fare il passo successivo: dato x numero reale non negativo (per
il momento maggiore di 1), e dato y reale (per il momento√ positivo), in che√modo
definire xy ? Ad esempio, quanto vale (o, meglio, cosa è) 2 2 ? Non essendo 2 un
numero razionale, non possiamo più passare per le radici n-sime, come abbiamo fatto
per la potenza ad esponente razionale, ma possiamo usare il fatto che i razionali sono
densi
√ in R. Siccome
√ per ogni√ ε > 0 esistono due numeri razionali αε e βε tali che
2 − ε < αε < 2 < βε < 2 + ε, se vogliamo che la monotonia si conservi anche
per la potenza ad esponente reale, dovrà essere
√
2αε < 2 2
< 2βε .
Siccome αε e βε sono arbitrariamente vicini, lo saranno anche 2αε e 2βε (35), che,
in qualche modo,√“stringono” tra di loro un unico numero reale, che è quello che
definiamo come 2 2 .
Questo procedimento, che può essere reso rigoroso, si può estendere a qualsiasi
numero reale x ≥ 0 ed a qualsiasi numero reale y: l’idea è proprio quella di usare
da un lato la monotonia della potenza ad esponente razionale (che garantisce il fatto
che, avvicinandosi ad y reale con dei razionali i risultati non “oscillino” troppo), e
dall’altro la densità dei razionali nei reali (che permette di approssimare bene quanto
si vuole y con dei razionali).
(35)Perché?
7. RADICI, POTENZE. FUNZIONI ELEMENTARI. 49
√
Una maniera alternativa, ma equivalente, di definire 2 2 è quella di usare in
maniera diversa la monotonia e la densità dei razionali: detto
√
E = {x ∈ R : x = 2q con q razionale e q ≤ 2} ,
è facile vedere che E è limitato superiormente (ad esempio ogni x di E è minore di
4). Definiamo allora √
2 2 = sup E .
Con lo stesso procedimento, fissato x ≥ 0 e y reale è possibile definire xy (sempre
con l’avvertenza che se x = 0, allora y deve essere non
negativo). La prossima figura
x 1 x
mostra il grafico di 2 (la curva crescente) e di 3 (la curva decrescente). Le due
curve si incrociano nel punto x = 0 e y = 1 (dal momento che z 0 = 1 per ogni z).
Il grafico che segue rappresenta le curve log2 (x) (la curva crescente) e log 1 (x) (la
3
curva decrescente).
7. RADICI, POTENZE. FUNZIONI ELEMENTARI. 51
1 radiante
(37)E non le somme in prodotti, come talvolta si legge nei compiti scritti. Per esercizio, dimo-
strare che se il logaritmo della somma fosse il prodotto dei logaritmi, la funzione logaritmo sarebbe
identicamente nulla. . .
7. RADICI, POTENZE. FUNZIONI ELEMENTARI. 52
α
O H A
|sen(α)| ≤ 1 , | cos(α)| ≤ 1 ,
Queste proprietà si esprimono dicendo che le funzioni seno, coseno e tangente sono
periodiche di periodo 2π. Pertanto, le funzioni seno e coseno si possono considerare
definite su tutto R (sempre con la stessa immagine), mentre la tangente è definita su
R privato dei multipli dispari di π2 . Una volta estese ai reali, le funzioni seno e coseno
soddisfano le relazioni, dette formule di addizione,
Partendo da queste formule, e dalla relazione fondamentale tra seno, coseno e tan-
gente, è facile vedere che
(38)Allettore decidere quali delle due curve è il grafico di sen(x), quale di cos(x), sapendo che
la prima verticale è x = 0.
7. RADICI, POTENZE. FUNZIONI ELEMENTARI. 54