Miscellanea A Cura Di M. Talbot (Studi Vivaldiani 16-2016)
Miscellanea A Cura Di M. Talbot (Studi Vivaldiani 16-2016)
Miscellanea A Cura Di M. Talbot (Studi Vivaldiani 16-2016)
1
D-Dl, mus. 2389-o-121b.
2 D-Dl, mus. 2389-o-121a.
3 I-Vc, B. 55.1. Presso la stessa biblioteca è conservata anche una copia in partitura del concerto
realizzata agli inizi del novecento da Fausto torrefranca, prendendo a modello la fonte dresdense:
I-Vc, torrefranca ms.A. 55.
4 Sulla versione trasmessa nel Fondo esposti di veda mIcHAeL tALBot, Anna Maria’s Partbook, in
Musik and den Venezianischen Ospedali/Konservatorien vom 17. bis zum frühen 19. Jahrhundert – La musica
negli ospedali/conservatori veneziani fra Seicento e inizio Ottocento («centro tedesco di Studi Veneziani,
Ricerche», 1), a cura di Helen Geyer e Wolfgang osthoff, Roma, edizioni di Storia e Letteratura, 2004,
pp. 23-79: 46.
5 Sulla vita e l’opera di carbonelli si veda mIcHAeL tALBot, From Giovanni Stefano Carbonelli to
John Stephen Carbonelli: A Violinist Turned Vintner in Handel’s London, «Göttinger Händel-Beiträge», 14,
2012, pp. 265-299.
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che un giorno sarà loro dato il rilievo che meritano attraverso un resoconto completo e dettagliato.
9 Livorno, Archivio Vescovile, Battesimi 1694-1699 n. 15.
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madre teresa (nata cocchi) era originaria di Livorno. La loro abitazione sorgeva
in Via nuova, a Livorno. Al neonato fu dato il nome dei nonni Giovanni (per
parte di padre) e Stefano (per parte di madre). La professione di Pietro carboneu
(di cui carbonelli è chiaramente il corrispettivo italianizzato) non è indicata.
marri mi ha anche comunicato che il nostro violinista è menzionato col nome
di «Gio: Stefano carbonèo» in un registro manoscritto che riporta i nomi di tutti
i musicisti forestieri assunti in occasione delle celebrazioni annuali organizzate
a Lucca durante la Festa di Santa Croce (13-14 settembre), in riferimento agli anni
1711 e 1712.10 Si tratta di un’importante precisazione, perché ora sappiamo che
all’epoca il diciassettenne carbonelli aveva già acquisito un livello tecnico tale
da potersi esibire anche al di fuori dalla città natia.11
I sei anni di vita in più ‘guadagnati’ da carbonelli prima del 1700 ampliano
il lasso di tempo in cui egli, essendo già in grado di eseguire le parti principali
di un concerto strumentale, potrebbe aver conosciuto Vivaldi. nel 1711 il Prete
rosso viaggiò a lungo in compagnia del padre, ma carbonelli non gli fu certa-
mente da meno. La cornice più probabile per un loro incontro sarebbe stata si-
curamente una delle stagioni d’opera veneziane, allorché fino a cinque diversi
teatri si contendevano i favori del pubblico lagunare con le rispettive produzioni,
per la cui realizzazione era necessario ingaggiare degli strumentisti forestieri.
Anche se la documentazione inerente a questo flusso di manodopera musicale
è assai scarsa – visto che fra le preoccupazioni degli impresari non vi era certo
quella di lasciare ai posteri gli elenchi degli orchestrali – è nondimeno logico
pensare che si trattasse di una prassi consolidata. Se carbonelli fosse giunto a
Venezia per questo scopo, fra il 1711 e il 1717, Vivaldi potrebbe benissimo aver
composto per lui un concerto, come fece del resto con Pisendel nel 1716-1717.
La copia in parti staccate di RV 366 realizzata da quest’ultimo (che, in effetti,
converte un ‘materiale d’archivio’ in un ‘materiale d’orchestra’) potrebbe essere
stata ricavata da un esemplare perduto cui egli aveva avuto accesso, oppure po-
trebbe essere stata trascritta direttamente da un originale conservato all’interno
dell’archivio personale del compositore.
Da un punto di vista stilistico, RV 366 non è molto diverso dagli altri concerti
composti da Vivaldi durante gli anni Venti del secolo (la cosiddetta ‘epoca della
produzione concertistica vivaldiana di massa’, come tendo sempre più a defi-
nirla). I soli e i tutti dei movimenti rapidi, ad esempio, sono nettamente diffe-
renziati, in quanto i cambiamenti nell’orchestrazione rispecchiano in tutto e per
tutto l’alternanza fra gli episodi solistici e i ritornelli orchestrali. L’incipit del
10
I-Li, Fondo Puccini, Autori diversi, 39, nomi, cognomi e patria dei virtuosi sì di voci che d’istrumenti
che sono intervenuti alle nostre funzioni di S. Croce (1711-99), 4 voll.
11
Poiché il registro lucchese inizia nel 1711, si potrebbe essere indotti a non escludere una pre-
cedente partecipazione di carbonelli ai medesimi festeggiamenti. In realtà, si tratta di un evento im-
probabile, poiché proprio nel 1711 fu adottato il nuovo regolamento della Festa di Santa croce, che
permetteva per la prima volta ai forestieri di prendervi parte.
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primo intervento solistico è inoltre ripreso alla fine del movimento, per rimar-
care il definitivo ritorno alla tonica. Per forma, organico e carattere, il movimento
centrale è modellato sui tempi lenti della sonata coeva. Se Vivaldi ha composto
questo brano prima di trasferirsi a mantova, è assai probabile che lo abbia fatto
proprio a ridosso della sua partenza. esistono, dunque, delle buone ragioni per
ipotizzare una datazione attorno al 1716, in concomitanza con la presenza di
Pisendel (e carbonelli?) a Venezia.
non sono molti, per converso, gli elementi di RV 366 che possono suggerire
una forma di omaggio a qualche specifica caratteristica interpretativa di
carbonelli. Se mai fosse stata nelle intenzioni di Vivaldi, questa sorta di perso-
nalizzazione avrebbe assunto una connotazione riduttiva, identificabile nella
tendenza a evitare le note più acute del Fa5: un limite all’acuto che certamente si
adatta ai concerti di corelli, ma ben al di sotto dell’estensione raggiunta in quelli
di Vivaldi o del suo allievo Pisendel.12 L’articolo che charles Burney scrisse in
tarda età, senza firmarlo, per la Cyclopædia di Abraham Rees, accenna di sfuggita
(a dispetto degli sporadici commenti contenuti nella sua precedente General
History) alle doti violinistiche di carbonelli, specificando che «la sua mano non
era brillante, ma aveva una buona intonazione e conosceva bene la musica».13
carbonelli, da parte sua, negli anni della maturità non fu del tutto immune alle
influenze dell’arte vivaldiana: l’undicesima sonata della raccolta del 1729, infatti,
tradisce delle chiare reminiscenze dei concerti RV 519 (op. III n. 5) e RV 355
(The Cuckow), mentre alla mano destra dell’esecutore è richiesto, per una volta,
di salire fino alla settima posizione (La5). Sappiamo, inoltre, che carbonelli ese-
guiva regolarmente dei concerti propri per il pubblico londinese, fra cui, nel
1733, un brano per due oboi e due corni (una delle strumentazioni preferite dagli
inglesi, dopo l’incredibile successo arriso alla Water Music di Händel nel 1717),
nessuno dei quali è però sopravvissuto. Possiamo pertanto solamente immagi-
nare l’influenza che l’arte compositiva vivaldiana potrebbe aver esercitato su
questi lavori maturi, oggi dispersi.
Le più significative pubblicazioni vivaldiane che hanno visto la luce nel 2015
e nei primi mesi del 2016 sono i due volumi inaugurali della collana online Saggi
vivaldiani.14 Il primo – lo dico non senza imbarazzo ma con una punta d’orgoglio –
è una Festschrift preparata segretamente in mio onore, il cui titolo riprende il vi-
12
che carbonelli avesse in generale poco interesse per il registro sovracuto è evidente anche
nelle sue sonate per violino op. I (1729), che sono forse l’esempio più significativo di questo genere
compositivo (comprese quelle di Handel), prodotto sul suolo britannico durante il diciottesimo secolo.
L’unica eccezione è costituita dall’undicesima sonata (che, non a caso, fu uno dei cavalli di battaglia
di Richard charke, uno dei migliori interpreti del Cuckow, RV 335), che sale fino al La5.
13
The Cyclopædia, or Universal Dictionary of Arts, Sciences and Literature, a cura di Abraham Rees,
45 voll., Londra, Longman and others, 1819-1820, vol. 6, ad vocem.
14
consultabile e scaricabile online all’indirizzo elettronico <http://www.cini.it/publication-
category/pubblicazioni-online>.
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goroso verso latino «Fulgeat sol frontis decorae» (le parole di incoraggiamento
che Abra rivolge alla propria padrona nella Juditha triumphans).15
Il volume ospita una ventina di contributi, che spaziano dalle cosiddette
laudationes (inerenti più alla mia persona che a Vivaldi) ai saggi propriamente
detti, incentrati sulla figura del nostro compositore. Anche se non intendo elen-
care in questa sede titoli e autori di ciascun contributo (uno dei vantaggi mag-
giori di una pubblicazione online è che questo tipo di informazioni può essere
ottenuto semplicemente con un paio di click), vorrei nondimeno menzionarne
due che, a mio parere, si distinguono rispetto a tutti gli altri: il primo, di Paul
everett, formula nuove ipotesi sulla natura, lo scopo e le circostanze materiali
da cui ebbe origine il corpus delle cantate vivaldiane custodite a Dresda (preci-
sando alcune delle conclusioni cui ero giunto nella mia monografia sulle cantate
da camera di Vivaldi, già oggetto di studio e di riflessione negli apporti suc-
cessivi di Jóhannes Ágústsson);16 l’altro contributo, di Roger-claude travers,
ricostruisce la cronologia e interpreta assai intelligentemente la storia delle
registrazioni vivaldiane realizzate fra il 1948 e il 1959, la cosiddetta epoca
‘monoaurale’, colmando una lacuna che si era trascinata fin troppo a lungo.17
15 Fulgeat sol frontis decorae. Studi in onore di Michael Talbot («Saggi vivaldiani», 1), a cura di
Alessandro Borin e Jasmin melissa cameron, Venezia, Fondazione Giorgio cini, 2016.
16 PAUL eVeRett, Vivaldi at Work: The Late Cantatas and the Consignment for Dresden, in Fulgeat sol
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Fra le altre pubblicazioni degne di nota ve n’è una che non ho ancora avuto
il piacere di leggere, ma che, per la grande stima che nutro verso il lavoro del-
l’autrice, promette di essere molto interessante. Ruth tatlow (di nazionalità bri-
tannica, ma residente in Svezia), è esperta in un particolare aspetto della tecnica
compositiva di J. S. Bach, vale a dire la sua attenzione quasi maniacale per le
proporzioni numeriche – un interesse che non ha solamente un valore ermeneu-
tico, ma che esprime, in termini religiosi, la sua ricerca della perfezione e del-
l’armonia delle sfere celesti. mentre Vivaldi trova diletto nell’asimmetria e nella
spontaneità, Bach si compiace della simmetria e dei calcoli di piani costruttivi
predeterminati. La tatlow ha da poco pubblicato un poderoso volume che rap-
presenta la summa delle sue ricerche in questo campo – Bach’s Numbers:
Compositional Proportion and Significance – un capitolo del quale è dedicato
ai concerti Brandeburghesi e alle dodici trascrizioni per tastiera di concerti com-
posti da Vivaldi e da altri autori.19
19
RUtH tAtLoW, Bach’s numbers: Compositional Proportion and Significance, cambridge, cambridge
University Press, 2015, pp. 255-274.
20
FRAnceS JoneS, The Influence of the Christmas Pastorella on Beethoven’s ‘Pastoral’ Symphony, «the
consort», 72, estate 2016, pp. 90-107.
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risce al canto popolare e non a una pastorella in carne ed ossa). Infine, vengono
individuate alcune citazioni di pastorali e pastorelle nelle parti de Il pastor fido,
RV Anh. 95, interamente composte da chédeville.
21
Un mio articolo, intitolato Certainly Milanese, Possibly Swiss: the Violinist and Composer Johann
Friedrich Schreivogel (fl. 1707-1749), dovrebbe apparire a breve nello «Schweizer Jahrbuch für
musikwissenschaft». In questo articolo si evidenzia come Schreivogel abbia quasi imitato lo stile vi-
valdiano nei suoi concerti della seconda decade del Settecento.
22
Music in Dresden in the Times of Augustus II the Strong (2012: Dux 0968).
23
esiste, tuttavia, un’altra possibile spiegazione per questo particolare errore, poiché anche l’edi-
zione originale di Giuseppe Sala della sonata a tre op. I n. 9 di Antonio Vivaldi, riporta, nella parte
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del Violino primo, la bizzarra indicazione metrica di «8/9». non si può dunque escludere che nel caso
della sonata RV 15 Pisendel abbia copiato acriticamente l’indicazione metrica direttamente da un ori-
ginale vivaldiano!
24
Launton (Regno Unito), edition HH, 2016. Un esempio di questo tipo di errore consiste nello
scrivere la cifra 6/5 nella parte del basso continuo come un 5 seguito da un 6, per effetto di una rota-
zione di 90 gradi dei due simboli.
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