Silone Fontamara

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Università degli Studi di Padova

Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari

Corso di Laurea Magistrale in Linguistica


Classe LM-39

Tesi di Laurea

IGNAZIO SILONE:
il punto di vista popolare in Fontamara.

Relatore Laureando

Prof. Guido Baldassarri Laura Bongiovanni

n° matr. 1109745 / LMLIN

Anno Accademico 2015 / 2016


Indice

INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 2

(1) LA VITA E L’INTERESSE POLITICO ............................................................................................ 5

(2) SILONE SPIA DELL’OVRA? ...................................................................................................... 30

(3) FONTAMARA: LA STORIA LE STESURE E I PERSONAGGI ........................................................ 86

(4) IL PUNTO DI VISTA POPOLARE ............................................................................................. 119

(5) LA VOCE DEGLI UMILI NEGLI ALTRI ROMANZI DI SILONE .................................................... 142

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................ 147

1
INTRODUZIONE:

La recente lettura di un testo dello storico Alberto Vacca, ha fatto si che


scegliessi di riprendere la mia passione per la scrittura di Ignazio Silone, autore
da me sempre apprezzato ma che mi aveva deluso quando avevo saputo della
collaborazione con i fascisti, dopo la lettura del testo di Vacca ho scelto di
analizzare il romanzo siloniano più famoso: Fontamara concentrandomi sullo
stile narrativo, sui personaggi e sulle modifiche apportate nelle diverse stesure.
Ho scelto di approfondire il punto di vista popolare, ovvero le tecniche
stilistiche, lessicali e narrative delle quali l’autore si serve per dare voce ai
personaggi principali del romanzo: i contadini poveri.
Nei primi due capitoli ho introdotto lo scrittore riportando gli estratti più
significativi della sua biografia e soprattutto del discusso rapporto con l’Ovra.
Per concludere ho proposto un breve parallelismo con qualche altro romanzo di
Silone.
Per prima cosa trovo opportuno chiarire alcuni termini, innanzitutto il concetto
di popolo.
Riporto la definizione del dizionario Treccani.

popolo I diversi significati assunti dalla nozione di popolo possono


essere ricondotti, con qualche approssimazione, a due accezioni
principali. Nella prima per p. si intende la totalità delle persone unite da
un vincolo di tipo giuridico-politico (il populus romanus, il p. italiano a
partire dal 1861), storico-culturale (il p. italiano prima del 1861),
etnico-geografico (il p. normanno, il p. siciliano) o religioso (il p. di
Dio, il p. dei fedeli). Nella seconda accezione per p. si intende quella
parte della società contraddistinta dall’assenza o dalla relativa scarsità
di potere e di ricchezza; come tale il p. si distingue dalle élites politiche
e sociali e spesso, sul piano politico, si contrappone a esse, dotandosi di
propri ‘partiti’ o servendosi, là dove previsto dall’ordinamento, di
specifiche istituzioni rappresentative (come nella Roma repubblicana o
nei Comuni italiani del 13° sec.). Tali accezioni, qui presentate in
termini descrittivi, si sono caricate – nelle diverse fasi storiche e nei vari
pensatori che hanno contribuito alla loro elaborazione – di giudizi di
valore positivi o negativi e, soprattutto a partire dalla Rivoluzione
francese, di potenti suggestioni emotive.1

1
http://www.treccani.it/enciclopedia/popolo_(Dizionario-di-filosofia)/

2
Tengo a sottolineare che emerge come con il termine popolo si faccia
riferimento a coloro che sono privi di potere e spesso dominati da altri, come
appunto i ‘’cafoni’’ di Silone, in questo lavoro cercherò di analizzare come,
servendosi di personaggi emblematici, e di particolari artifici narrativi Silone
faccia parlare i cafoni senza snaturarli e senza ‘’tradire la loro realtà.’, come
ripeterò più volte infatti per i cafoni l’italiano è una lingua straniera.
A questo proposito trovo utile riportare il commento di Gramsci sul Manzoni, in
riferimento alla letteratura non-popolare.

«Il carattere aristocratico del cattolicismo manzoniano appare dal


compatimento scherzoso verso le figure di uomini del popolo (ciò che
non appare in Tolstoj), come fra Galdino (in confronto di frate
Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa Lucia [...] i
popolani, per il Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno
personalità morale profonda; essi sono animali e il Manzoni è benevolo
verso di loro proprio della benevolenza di una cattolica società di
protezione di animali [...] niente dello spirito popolare di Tolstoi, cioè
dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo. L'atteggiamento del
Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa Cattolica
verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza
umana [...] vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede con
occhio severo i più di coloro che non sono popolo; egli trova
magnanimità, alti pensieri, grandi sentimenti, solo in alcuni della classe
alta, in nessuno del popolo [...] non c'è popolano che non venga preso in
giro e canzonato [...] Vita interiore hanno solo i signori: fra Cristoforo,
il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo [...] il suo
atteggiamento verso il popolo non è popolare-nazionale ma
2
aristocratico».

Se per il Manzoni gli umili sono visti come creature prive di personalità, idee e
sogni, al contrario gli umili di Silone sono animati e motivati da una enorme
voglia di riscatto, la stessa ricerca linguistica di Ignazio Silone infatti consiste
nel tentativo di immedesimarsi nella realtà di un luogo in un preciso momento
storico, politico e culturale adattandosi completamente ad essa, si parla pertanto
di metamorfosi dell’autore, che si immedesima completamente nella realtà che
descrive.

2
A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 86 e seg

3
Per usare le parole del poeta Alfonso Gatto3 si denota ‘’ l’impegno a non
tradurre una maniera di raccontare, lasciandola cioè propria e necessaria ai
fatti’’.
Il critico Goffredo Bellonci sostiene che per capire al meglio la produzione
siloniana sia necessario tenere conto delle sue origini geografiche e dell’infanzia
trascorsa in Abruzzo.
Bellonci sottolinea poi come, nelle tematiche dei romanzi di Silone siano
presenti diversi spunti: come il neorealismo, il surrealismo, la narrativa
popolare, l’arte abruzzese e la narrativa sociale.
Trovo particolarmente emblematica questa frase:

‘’ Per la prima volta il cafone era protagonista di un romanzo; e per la


prima volta Silone esprimeva in una rappresentazione oggettiva il
proprio inquieto sentimento’’.4

Riporto inoltre la definizione di ‘’cafone’’ fatta dallo stesso Silone per rendere
più chiaro il termine cosa si intende e quale sia la sua condizione sociale.

‘’La scala sociale non conosce a Fontamara che due piuoli: la


condizione dei cafoni, raso terra, e un pochino più in su, quella dei
piccoli proprietari. Su questi due piuoli si spartiscono anche gli
artigiani: un pochino più in su i meno poveri, quelli che hanno una
botteguccia e qualche rudimentale utensile; per strada, gli altri. Durante
le varie generazioni i cafoni, i braccianti, i manovali, gli artigiani poveri
si piegano a sforzi, a privazioni, a sacrifici inauditi per salire quel
gradino infimo della scala sociale; ma raramente vi riescono’’.5

Già da queste righe introduttive si nota come in una realtà di immobilità sociale,
di povertà diffusa e di mancata tutela da parte delle istituzioni i cafoni alternino
impulsi di evasione a impulsi di sottomissione e accettazione della realtà.

3
Luce d’Eramo ,Ignazio Silone, Castelvecchi,Roma, 2014 p.494
4
Ivi p.101
5
Ignazio Silone, Fontamara, Mondadori, Milano, 2011, p.5

4
(1) LA VITA E L’INTERESSE POLITICO.

-LE ORIGINI NELLA MARSICA

Secondino Tranquilli, nome reale di Ignazio Silone, nasce il primo maggio del 1900
a Pescina dei Marsi, nel cuore della Marsica, paese che all’epoca della nascita dello
scrittore non contava più di cinquemila abitanti divisi tra la parte vecchia rurale e
contadina e quella nuova, leggermente più moderna. Del costume e delle abitudini
etiche e civili Silone parlerà in questi termini:

‘’ Sono nato e cresciuto in un comune rurale dell’Abruzzo, in un’epoca in cui il fenomeno


che più mi impressionò era un contrasto stridente, incomprensibile, tra la vita privata e
familiare, ch’era, o almeno così appariva, morigerata e onesta, e i rapporti sociali rozzi
odiosi, falsi’’.6

Figlio di un piccolo proprietario-contadino e di una tessitrice, Silone ricorderà le sue


origini familiari con queste parole:

‘’ uomini di Chiesa, ma non di sacrestia; uomini d’ordine non di anticamera; allevati


nell’orgoglio del coraggio davanti a qualsiasi pericolo davanti a una bestia infuriata, a
un’alluvione, a un incendio ’’7

Nel 1915, mentre l’Italia entra in guerra, Silone perde i genitori a causa di un grave
terremoto che colpisce l’Abruzzo, scrissero a tal proposito i giornali dell’epoca:

Di Avezzano non è rimasto più nulla, non si vedono che monconi di


mura e pochissime abitazioni rimaste in piedi. Il terremoto di Messina
ha lasciato un’impressione generale meno catastrofica rispetto a quella
di Avezzano. In quella città siciliana le case apparivano aperte e
sventrate, mostravano in sezione i vari piani, spesso vi si scorgevano
ancora, ai loro rispettivi posti mobili e ninnoli. (…) Pescina ha avuto il

6
Ignazio Silone, Uscita di Sicurezza, Mondadori, Milano, 2001 P.56
7
Ivi p. 62

5
maggior numero di vittime. Era senza dubbio il più pittoresco paese
della Marsica.8

L’esperienza del terremoto lo segna molto, è la scintilla che farà scatenare


l’interesse dello scrittore per la tutela dei più deboli.

Al giovane Silone infatti accade di assistere a scene terribili come il furto del
portafoglio dal cadavere della madre ‘’credo che quella notte il mio atteggiamento
nei confronti del denaro si sia colorato di una sfumatura di profondo orrore’’ 9dirà
in seguito.

Dirà invece il critico Richard W.B. Lewis ‘’Il ricordo del terremoto erompe dalle
sue pagine con lo stesso significato che per Dostoevskij ebbe l’esperienza di
scampare all’ultimo minuto dall’esecuzione capitale’’.10

Sempre in questo periodo entra in contatto con quei personaggi che riempiranno la
narrativa delle sue pagine: i cafoni, emblema della povera gente.

‘’ Lungo la strada veniva lentamente verso di noi un uomo a cavalcioni


di un piccolo asino. Sembrava quasi ch’essi fossero portati dalla
nuvoletta bassa e densa che sollevavano da terra i piedi invisibili della
bestia. Gli corsi incontro, gli mostrai la moneta e gli proposi senz’altro
lo scambio, indicandogli mio padre con i buoi fermi a metà solco. Era
un contadino dall’aspetto molto povero; aveva indosso pochi stracci
sudici, che lasciavano vedere pezzi del corpo nudi, e calzava delle
ciabatte legate ai piedi da spago.’’11

Scriverà più avanti in Vino e Pane:

‘’Li vedeva risalire la valle stancamente, cenciosi e affamati, nella loro


mossa tipica protesa in avanti, derivante dall’uso della zappa, dall’uso
del grattare curvi sopra la terra, e, anche dall’uso dell’ininterrotta
servitù. Dal mucchio si levava un puzzo di letame e di panni sporchi, un
tanfo che stringeva alla gola. Gente sottomessa e diffidente, teste

8
Ottorino Gurgo, Francesco de Core, Silone L’avventura di un uomo libero, Marsilio, Venezia, 1988 p.23
9
Ignazio Silone, Il seme sotto la neve, Mondadori Milano 1953 p.56
10
Gurgo, de Core, Silone, Op. cit ., p.24
11
Silone, Uscita di Sicurezza p.8

6
trasognate su ceppi contorti e ritorti, teste deformate dalla fame, dalle
12
malattie, e qualche giovanotto selvatico e rissoso.’’

La prima scelta di rottura con la classe dominante si manifesta precocemente, nel


1917 quando Silone invia alcuni articoli all’’Avanti’’ per denunciare le
malversazioni della ricostruzione dopo il terremoto.

Frequenta la lega dei contadini del suo paese, viene eletto segretario regionale della
federazione dei lavoratori della terra.

In seguito viene processato per aver partecipato attivamente a una manifestazione


antibellica, poi trasferitosi a Roma diventa segretario della gioventù socialista.

Dirà lui stesso ‘’

Mi rendevo conto che l’adesione al partito della rivoluzione proletaria


non era da confondere con la semplice iscrizione a una partito politico.
Per me, era una conversione, un impegno integrale, che implicava un
certo modo di pensare e di vivere’’13.

- IN DIFESA DEGLI UMILI:

Trovo interessante riportare due episodi a cui il giovane Silone si trova ad


assistere, episodi che segnano profondamente il suo carattere e il suo rapporto
con le autorità.
Il primo riguarda l’aggressione a una sarta indifesa da parte del cane del
signorotto locale.
Scrive Silone:

‘’Ero ancora ragazzo quando una domenica, mentre attraversavo la


piazza accompagnato da mia madre, assistei allo stupito e crudele

12
Ignazio Silone, Vino e pane , Mondadori, Milano, 1980 p.176
13
Silone , Uscita di Sicurezza p.26

7
spettacolo d’un signorotto locale che aizzò un suo cagnaccio contro una
donnetta, una sarta, che usciva di chiesa.

La misera fu gettata a terra, gravemente ferita, i suoi abiti ridotti a


stracci. Nel paese l’indignazione fu tanta ma sommessa. Nessuno mai
capì come la povera donna concepisse poi l’infelice idea di sporgere
querela contro l’ignobile signorotto; poiché ne ebbe solo il prevedibile
14
risultato di aggiungere ai danni le beffe della giustizia. ’’

Come emerge chiaramente da questo episodio ci troviamo di fronte a una realtà


in cui chi è ricco, nobile e rispettato può concedersi qualsiasi prepotenza mentre
a pagare sono gli indifesi.
Nemmeno le istituzioni tutelano in alcun modo i poveri, dirà sempre Silone:

‘’Badare ai fatti propri era la condizione fondamentale del vivere onesto


e tranquillo che ci veniva ribadita in ogni occasione.’’

L’ altro episodio, utile per comprendere come l’educazione ricevuta abbia


segnato lo scrittore abruzzese, denuncia la falsità dell’insegnamento cattolico.

«Ricordo in proposito una vivace discussione sorta un giorno, nella


classe di catechismo, tra noi ragazzi e il parroco. Ne fu causa una
rappresentazione di marionette alla quale noi ragazzi, assieme al
parroco, avevamo assistito il giorno prima. Il soggetto, lo ricordo
benissimo, esponeva le drammatiche peripezie d’un bambino
perseguitato dal diavolo. A un certo punto il bambino marionetta era
apparso sul proscenio tremante di paura e per sfuggire alle ricerche del
diavolo si era nascosto sotto un lettino che occupava un angolo della
scena. Poco dopo era sopraggiunto il diavolo-marionetta e l’aveva
cercato invano.

14
Ignazio Silone, Uscita di Sicurezza p.56

8
« Eppure dev’essere qui », diceva il diavolo-marionetta, « sento il suo
odore. Adesso chiedo a questi bravi spettatori ». E rivolto a noi, aveva
chiesto:

« Cari miei ragazzi, avete forse visto nascondersi in qualche posto quel
bambinaccio che io cerco?»

« No, no, no », immediatamente gli rispondemmo in coro e con la più


grande energia.

« Dove si trova dunque? Perché non lo vedo? » - insisté il diavolo.

« E’ partito, è andato via », noi gli rispondemmo, « è andato a Lisbona


». (Nel nostro parlare e nei nostri proverbi, Lisbona è ancora oggi il
punto più lontano del globo).

Devo spiegare che nessuno di noi, andando allo spettacolo, prevedeva di


essere interpellato da un diavolo-marionetta; e il nostro comportamento
era stato pertanto del tutto istintivo e spontaneo. E suppongo che,
probabilmente, in qualsiasi altro paese del mondo, davanti all’identico
spettacolo, i bambini reagirebbero alla stessa maniera. Ma il nostro
curato, una colta e pia persona, con nostra sorpresa, non fu interamente
soddisfatto. Ce lo spiegò con rammarico nella piccola cappella di Santa
Cecilia, ove di solito egli impartiva le lezioni di catechismo. Quel luogo
a noi ragazzi era assai gradito perché la martire romana vi era
raffigurata sull’altare nelle bellissime sembianze d’una fanciulla bionda,
assorta e melanconica, e con un oggetto tra le braccia somigliante in
modo strano all’utensile domestico chiamato « chitarra », che nelle
nostre case serve a fare gli spaghetti all’uovo. L’immagine ci attirava a
tal punto che, per sottrarci a quella seduzione, almeno durante l’ora del
catechismo il curato era stato costretto a disporre i banchi di noi ragazzi
in modo da costringerci a voltare le spalle a Santa Cecilia.

« Il vostro comportamento durante la rappresentazione delle marionette


», egli ci disse dopo averci imposto di sedere, « mi è dispiaciuto ».

9
Noi avevamo detto una bugia, egli ci avvertì preoccupato. L’avevamo
detta a fin di bene, certo, ma era pur sempre una bugia. Non bisogna dir
bugie.

« Neppure al diavolo? » domandammo noi interdetti.

« Una bugia è sempre un peccato », ci rispose il curato.

« Anche davanti al pretore? » domandò uno dei ragazzi. Il parroco ci


redarguì severamente.

« Io sono qui per insegnarvi la dottrina cristiana e non per fare


pettegolezzi » ci disse. « Quello che succede fuori della chiesa non
m’interessa ».

E tornò a spiegarci la dottrina sulla verità e sulle bugie, in generale, con


bellissime e difficili parole. A noi bambini però non interessava, quel
giorno, la questione delle bugie in generale; noi volevamo sapere: «
Dovevamo rivelare al diavolo il nascondiglio del bambino, sì o no? »

« Non si tratta di questo », ci ripeteva il povero curato veramente sulle


spine. « La bugia è sempre peccato. Può essere un peccato grande, uno
medio, uno così così, e uno piccolino; ma è sempre un peccato ».

« La verità è », dicevamo noi, « che da una parte c’era il diavolo e


dall’altra c’era un bambino. Noi volevamo aiutare il bambino, quest’è la
verità ».

« Ma avete detto una bugia », ripeteva il parroco. « A fin di bene, lo


riconosco, ma una bugia ».

Per farla finita io gli mossi un’obiezione d’una perfidia inaudita e,


tenuto conto dell’età, piuttosto precoce.

« Se invece d’un bambino qualsiasi si fosse trattato di un prete » gli


chiesi « che dovevamo rispondere al diavolo? »

10
Il parroco arrossì ed evitò una risposta, imponendomi, come punizione
per la mia impertinenza, di restare tutto il resto della lezione in
ginocchio accanto a lui.

« Sei pentito? » mi chiese alla fine della lezione.

« Certo », gli risposi. « Se il diavolo mi chiede il vostro indirizzo, glielo


darò senz’altro ».15

-L’INCONTRO CON DON ORIONE:

Figura formativa e di riferimento per la personalità di un Silone ancora ragazzo è il


prete ‘’Don Orione’’, un religioso fuori dagli schemi e autentico, disponibile al
dialogo e allo scambio.

Silone conosce Don Orione, prete che si era molto speso per aiutare i terremotati,
quando orfano e sopravvissuto al terremoto viene accolto in uno dei suoi collegi.

Benché Don Orione fosse allora già inoltrato nella quarantina ed io un


ragazzo di sedici anni, a un certo momento mi avvidi di un fatto
straordinario, era scomparsa tra noi ogni differenza di età. Egli
cominciò a parlare con me di questioni gravi, non di questioni indiscrete
o personali, no, ma di questioni importanti in generale, di cui, a torto,
gli adulti non usano discutere con noi ragazzi, oppure vi accennano con
tono falso e didattico. Egli mi parlava, invece, con naturalezza e
semplicità, come non avevo ancora conosciuto l'eguale, mi poneva delle
domande, mi pregava di spiegargli certe cose e induceva anche me a
rispondergli con naturalezza e semplicità senza che mi costasse alcuno
sforzo »16

15
Ignazio Silone, Uscita di Sicurezza p.58
16
Ignazio Silone, Ivi, p. 28

11
Dalle conversazioni intrattenute emerge la figura di un religioso con la reale
intenzione di essere d’aiuto al prossimo.

‘’Impressionava il suo modo di credere in Dio, più presente delle cose


reali, e la carità che permetteva il contatto con gli interlocutori, dei
quali, in certi casi, prevedeva l’avvenire.’’17

Per diversi anni Silone intratterrà un rapporto epistolare con Don Orione.

-L’IMPEGNO POLITICO E IL SOGNO RIVOLUZIONARIO:

Dal 1921 per i dieci anni successivi Silone consuma la sua esperienza di militante
comunista, animato da interesse sociale e voglia di giustizia ‘’ Lo stato è sempre
ruberia, camorra, privilegio, e non può essere altro’’.18

Una volta aderito al PCI è costretto poi ad entrare in clandestinità per via delle
persecuzioni fasciste, in questi anni compie missioni di partito in Germania, Spagna
e Francia, per poi stabilirsi in Svizzera.

Silone è tra i delegati del partito al congresso della Terza Internazionale, a Mosca, in
tale occasione conosce Lenin, ne ricava impressioni negative di cui parlerà in questi
termini

« La prima volta che lo vidi, a Mosca nel 1921, l'apoteosi era già
cominciata. Lenin viveva, ormai, tra il mito e la realtà. Erano i giorni
del congresso Terza Internazionale. Lenin partecipava soltanto ad
alcune sedute, così come fa il Papa al Concilio. Ma quando entrava
nella sala, nasceva un'atmosfera nuova, carica di elettricità. Era un

17
Silone, intervista del 1964 durante il processo di beatificazione di Don Orione
http://www.30giorni.it/articoli_id_3594_l1.htm
18
Ignazio Silone, Ivi p.69

12
fenomeno fisico, quasi palpabile: si creava un contagio di entusiasmo,
come in San Pietro quando dai fedeli intorno alla sedia gestatoria si
diffonde un'ondata di fervore fino agli orli della basilica. »19

Silone rimane negativamente colpito anche dalla diversa accezione del concetto di
libertà per i comunisti occidentali e russi.

« Ciò che mi colpì nei comunisti russi, anche in personalità veramente


eccezionali come Lenin e Trotsky, era l'assoluta incapacità di discutere
lealmente le opinioni contrarie alle proprie. Il dissenziente, per il
semplice fatto che osava contraddire, era senz'altro un opportunista, se
non addirittura un traditore e un venduto. Un avversario in buona fede
sembrava per i comunisti russi inconcepibile. »20

Il 1931 è un anno doloroso e di svolta per Silone, deluso sfiduciato dalla politica di
Stalin, e dalla cultura russa, che aveva avuto modo di conoscere durante alcuni
viaggi, decide di uscire dal partito.

Scelta sofferta che egli stesso descrive come ‘’un grave lutto, il lutto della mia
gioventù. Di essa resta sempre qualcosa che marca il carattere per il resto della
vita; gli ex comunisti formano una categoria a parte, come gli ex preti’’.21

Ormai rattristato e abbattuto dall’andazzo della politica Silone rinuncia a difendersi


da varie accuse che gli vengono mosse, spiegando :’’

« Avrei potuto difendermi. Avrei potuto provare la mia buona fede. Avrei
potuto dimostrare la mia non appartenenza alla fazione trozkista. Avrei
potuto raccontare come si era svolta la scena della pretesa
dichiarazione da me "rilasciata" a Togliatti. Avrei potuto; ma non volli.
In un attimo ebbi la chiarissima percezione dell'inanità d'ogni furberia,
tattica, attesa, compromesso. Dopo un mese, dopo due anni, mi sarei
ritrovato daccapo. Era meglio finirla una volta per sempre. Non dovevo

19
Gurgo, de Core, Op cit, p.48
20
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, p. 78-79
21
Ivi p. 112

13
lasciarmi sfuggire quella nuova, provvidenziale occasione, quella uscita
22
di sicurezza.»

Inizia così la vita del senza partito a cui si accompagna l’attività di scrittore.

Dal 1931 al 1934 Silone compone un saggio sul fascismo che non è mai stato
pubblicato in Italia.

Tradotto in molte lingue, Silone ritenne sufficiente ciò che di quel libro inserì in La
scuola dei dittatori.

-L’ESILIO IN SVIZZERA

Nei circa quindici anni che trascorre in Svizzera (1931-1944), Silone entra in
contatto con una società più aperta, frequenta un vasto gruppo di intellettuali,
perlopiù esuli di altre nazioni; si unisce a gruppi di intellettuali antifascisti e
antimilitaristi con i quali progetta e realizza varie iniziative culturali.

Ormai non più attivo nel partito Silone sceglie di portare avanti la lotta politica
grazie alla sua attività di scrittore, raccontando a parole i soprusi che tanto lo
appassionavano e indignavano.

In questo periodo Silone è afflitto anche da alcuni problemi familiari, in particolare


dalla prigionia del fratello Romolo.

Secondo alcuni critici sarebbe in questo contesto che Silone offrì alla polizia fascista
alcune informazioni delicate per la liberazione del fratello. Nel periodo dell’esilio
Silone pubblica anche scritti di emigrati, articoli e saggi sul fascismo.

La diffusione di questo materiale scatena l’indignazione dei fascisti che chiesero


l’estradizione di Silone, non concessa però dalle autorità Svizzere.

Soprattutto durante l’esilio inizia Fontamara e poi Pane e Vino.

22
Ivi p.110

14
Egli stesso dirà riguardo a Fontamara:

‘’ mi fabbricai da me un villaggio, un antico e oscuro luogo di contadini


poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago del
Fucino, nell’interno di una valle, a mezza costa tra la collina e la
montagna’’.23

- L’INTERESSE SOCIALE

I perseguitati, gli umili, gli oppressi i ‘’cafoni’’ marsicani, così simili agli umiliati di
Dostoevskij, colpiscono in modo prepotente Silone sin dall’infanzia, tanto che
successivamente darà loro voce in diverse opere.

Sarà proprio Don Luigi Orione ad aprire gli occhi allo scrittore e a fargli capire che
l’ingiustizia non dev’essere regola di vita.

Gli umili però non subiscono e basta, è necessario sottolineare anche la loro forza di
ribellione., tematica che nei suoi romanzi Silone approfondirà molto.

A tal proposito lo scrittore ricorda la ‘’rivoluzione dei ragazzi’’ ovvero un assalto


alla caserma dei carabinieri a causa di un’ ingiustizia da loro commessa; azione
compiuta prima da parte di alcuni giovani, poi appoggiata da tutto il paese.

‘’ Gli animi umiliati e offesi erano capaci di subire senza lamentarsi i


peggiori soprusi, finchè non esplodevano in rivolte impreviste.

Simili episodi di violenza, con l’inevitabile seguito di arresti in massa,


di processi, di esorbitanti spese giudiziarie, di condanne penali

23
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, p.167

15
rafforzavano negli animi dei contadini, la sfiducia, la diffidenza, la
24
rassegnazione’’.

IL RAPPORTO CON LA RELIGIONE:

Come si era dimostrato "socialista senza partito", allo stesso modo Silone si dimostrerà
sempre ostile nei confronti della chiesa, sarà proprio lui ad autodefinirsi ‘’cristiano
senza chiesa’’.

Crede in un Cristianesimo capace di ripercorrere la sua storia per tornare alla purezza
del messaggio evangelico delle origini, una religione che protegge i cafoni, i poveri, gli
ultimi.

A tal proposito così scriveranno i critici:

«La corruzione della religione era tra le cose che più lo ferivano e lo
muovevano a sdegno»25

IL SUCCESSO LETTERARIO:

Fontamara

Fontamara è uno dei successi letterari più importanti del novecento, probabilmente
anche il romanzo italiano più tradotto in lingua straniera.

Nel 1929-30, durante il soggiorno in Svizzera , in pochi mesi Silone scrive Fontamara,
la storia di un paese immaginario della Marsica ricostruito grazie ai ricordi giovanili
dell’autore.

« ...credevo di non aver più molto da vivere e allora mi misi a scrivere


un racconto al quale posi il nome di Fontamara. Mi fabbricai da me un
villaggio, col materiale degli amari ricordi e dell'immaginazione, ed io
stesso cominciai a viverci dentro. Ne risultò un racconto abbastanza

24
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza p. 65
25
Margherita Pieracci Harwell, Un cristiano senza chiesa, Edizioni Studium, Roma, 1991 p.123

16
semplice, anzi con delle pagine francamente rozze, ma per l'intensa
nostalgia e amore che l'animava, commosse lettori di vari paesi in
misura per me inattesa. »26

Racconta la vicenda di umili contadini, i "cafoni" appunto, in rivolta contro i "potenti"


per un corso d'acqua deviato che irrigava le loro campagne. Il romanzo, che
rappresenterà uno dei casi letterari del secolo, viene pubblicato soltanto nel 1933 a
Zurigo, dove nel frattempo Silone si trasferisce, venendo a contatto con un ambiente
più aperto e ricco di spunti.

Fontamara in quanto romanzo di denuncia sociale riscuote immediatamente un


grandioso successo all’estero, il suo contenuto si rivolge a un largo pubblico, dai
democratici borghesi al proletariato contadino.

Vino e Pane

Vino e Pane è il secondo romanzo scritto durante il periodo dell’esilio.

Scritto in forma di romanzo, tratta anch’esso tematiche in parte autobiografiche e di


denuncia sociale.

Il protagonista, Pietro Spina è chiaramente autobiografico: un militante politico rientrato


clandestinamente nella sua terra di origine e perseguitato dalla polizia.

Significativi sono però anche tutti i personaggi che fanno da cornice, alcuni membri
antifascisti del clero, vari poveri ‘’cafoni’’, la descrizione della nuova classe di potere.

Per quanto riguarda lo stile linguistico rispetto a Fontamara vengono calcate la satira e
la dimensione del grottesco, del caricaturale.

La scuola dei dittatori

Pubblicato nel 1938 è un pamphlet di carattere storico- politico scritto sotto forma di
dialogo tra un aspirante dittatore e altri personaggi, dietro a uno dei quali si cela un alter
ego dello stesso Silone.

26
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, p. 172

17
Il libro si svolge come un trattato di storia e tecnica della dittatura, diviso in capitoli i
cui titoli hanno una funzione significativa.

Le tematiche trattate variano dalla nascita del fascismo sull’onda dell’insuccesso dei
partiti socialisti, la delusione delle masse, lo sfruttamento da parte fascista della
democrazia liberale, la manipolazione psicologica delle folle, l’uso della propaganda, la
violenza da parte delle istituzioni.

Il seme sotto la neve

E’ il terzo romanzo di Ignazio Silone scritto durante il suo esilio in Svizzera e


pubblicato in lingua tedesca a Zurigo nel 1941.

E’ probabilmente il romanzo in cui si nota di più lo sforzo da parte dell’autore di


esprimere idee sulla società e sulle istituzioni, a cui contrappone un modello di
‘’cristianesimo laico’’ basato sul rifiuto della ricchezza e del potere.

‘’Si potrebbe vivere così bene, in pace non sempre lieti ma almeno
sereni se i figli rimanessero a casa loro, o non molto lontani da casa
’’.27

E’ immediato il collegamento con le prime comunità monacali d’Abruzzo che


professavano un cristianesimo etico e intriso di vita quotidiana.

Sono significative anche le tematiche della famiglia e in particolar modo della madre.

Per quanto riguarda lo stile narrativo possiamo ritrovare, specialmente nella descrizione
di alcuni personaggi, lo stile grottesco e talvolta caricaturale di Vino e Pane.

Una manciata di more

E’ il primo romanzo scritto in patria da Silone, esce nel 1952 e riscontra notevole
successo anche all’estero.

Anche questo è un romanzo politico, il protagonista può essere interpretato come un


alter ego di Silone, almeno per il desiderio di una libertà interiore e di concepire i
rapporti umani serenamente e sotto il segno dell’amicizia.

27
Ignazio Silone, Il seme sotto la neve, Mondadori Milano 1967 pp. 164

18
Ci sono molteplici riferimenti e simbologie religiose al fine di decantare la moralità e
l’onestà di persone molto povere.

La trama del romanzo è al solito fitta di contrasti tra gli umili e la società, la dimensione
saggistica è assai ridotta.

Il segreto di Luca

Romanzo che esce nel 1956, procura a Silone il premio Salento 1957, qui viene
abbandonata la dimensione politica, nonostante il protagonista sia un ‘’vocato’’ ad
un’opera di redenzione umana che desidera la giustizia.

La tecnica è quella del racconto poliziesco attraverso la quale si dipana la storia d’amore
alla base del romanzo.

Importante la tematica del silenzio, in questo caso dell’impossibilità di svelare un


segreto che riflette l’omertà di parte del meridione italiano.

A questo proposito si può notare un riferimento a Pirandello specialmente nella


descrizione di una realtà provinciale, nei suoi piccoli drammi, dipanati fino a coglierne
il lato filosofico.

Anche qui rivestono una notevole importanza le figure popolari descritte nella loro
dimensione quotidiana senza alcun folklorismo.

La volpe e le camelie

Esce nella versione definitiva nel 1960, anche qui Silone accantona la tematica
prettamente politica per affrontare il tema della solitudine amorosa.

La scrittura è sottile e ricca di simbolismi e di introspezione psicologica, fanno da


protagonisti i personaggi umili e paesani.

Per capire il titolo è necessario precisare che la volpe si riferisce ‘’a quella razza che
visita i pollai dei dintorni’’, dunque un animale pericoloso mentre le camelie si

19
riferiscono alla festa dei fiori come emblema d’amore; dietro questa metafora si cela
l’idea del male subdolo che può essere in ogni caso sconfitto.

Lo scopo del romanzo è quello di negare una visione manichea dell’esistenza e di


trovare la dimensione umana anche nel nemico.

L’avventura d’un povero cristiano

E’ l'ultima opera letteraria di Ignazio Silone, uscita nel 1968.

Il testo un romanzo-saggio scritto in forma teatrale ed anche come una ‘’storia


popolare’’, riprende e conclude idealmente il percorso narrativo di Silone, possiamo
ritrovare il tema fondamentale del rapporto fra l'individuo e la chiesa e quelli
dell’utopia, dell’anarchismo evangelico, del regno dell’amicizia nelle comunità povere
del medioevo abruzzese.

Lungo tutto il romanzo si dipana la rivalità continua tra due chiese storiche: quella
mondana e quella profetica.

Possiamo considerarlo sia come la falsariga di un’esperienza vissuta dallo scrittore, sia
come una riflessione storiografica, nella quale lo stesso Silone si pone come mediatore.

LE TEMATICHE:

Gli umili, i cafoni, coloro che rivendicano giustizia sociale.

I “cafoni” sono i miseri poveri contadini meridionali proprietari al massimo di un asino


o di un mulo, non hanno mezzi per difendersi e vivono in una perpetua ignoranza di cui
approfitta persino colui che è considerato “l‘amico del popolo’’.

‘’Il suo aspetto da vicino è francamente pauroso; nessun cristiano a


Trezza ha quell’aspetto selvatico; mai i suoi gesti sono di una buona
bestia domestica. Egli getta per terra il cappelluccio unto e sgualcito, dà

20
mano alla zappa e comincia a sarchiare nel punto dove la donna gli
28
aveva appena interrotto’’.

Con queste righe Silone descrive uno dei ‘’suoi’’ cafoni, i contadini poveri così presenti
in tutte le opere.

Oltre ad essi però sono frequenti altri personaggi popolari appartenenti alla sfera
religiosa o famigliare che riflettono le origini popolari dello scrittore.

Importante per Silone è dare voce agli umili, denunciare i soprusi che essi sono costretti
a subire e raccontare la loro quotidianità, come dirà lui stesso con queste parole:

« Tutto quello che m'è avvenuto di scrivere, e probabilmente tutto quello


che ancora scriverò, benché io abbia viaggiato e vissuto a lungo
all'estero, si riferisce unicamente a quella parte della contrada che con
lo sguardo si poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui. È una
contrada, come il resto d'Abruzzo, povera di storia civile, e di
formazione quasi interamente cristiana e medievale. Non ha monumenti
degni di nota che chiese e conventi. Per molti secoli non ha avuto altri
figli illustri che santi e scalpellini. La condizione dell'esistenza umana vi
è sempre stata particolarmente penosa; il dolore vi è sempre stato
considerato come la prima delle fatalità naturali; e la Croce, in tal
senso, accolta e onorata. Agli spiriti vivi le forme più accessibili di
ribellione al destino sono sempre state, nella nostra terra, il
francescanesimo e l'anarchia»29

La libertà

Oltre ai soprusi vissuti dagli umili è necessario parlare anche della lotta per la libertà,
una bella definizione di essa è quella messa in bocca a Pietro Spina in Vino e Pane.

‘‘La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo. Si può anche
vivere in un paese di dittatura ed essere liberto, a una semplice
condizione, basta lottare contro la dittatura. L'uomo che pensa con la

28
Ignazio Silone, Il seme sotto la neve p.550
29
Indro Montanelli, I protagonisti, Rizzoli Editori, Milano 1976, pp. 181-182.

21
propria testa e conserva il suo cuore incorrotto è libero. L'uomo che
lotta per ciò che egli ritiene giusto, è libero. Per contro si può vivere nel
paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi,
servili, non si è liberi; malgrado l'assenza di ogni coercizione violenta,
si è schiavi. Questo è il male, non bisogna implorare la propria libertà
dagli altri. La libertà bisogna prendersela, ognuno la porzione che
30
può.’’

Sia in Fontamara che in negli altri romanzi emerge una voglia di giustizia, una
rivendicazione di farsi valere ed essere liberi.

Scrive sempre Silone in Vino e Pane:

‘’ Un bel sogno. I lupi e gli agnelli pascoleranno assieme nello stesso


prato. I pesci grossi non mangeranno più i pesci piccoli. Una bella
31
favola. Ogni tanto se ne sente riparlare.’’

Da Berardo Viola a Pietro Spina i tanti alter ego di Silone, non sono passivi ma animati
da una voglia di giustizia e di farsi sentire.

Berardo Viola sarà consapevole dei rischi e del suo triste destino ma accetterà di morire
per essere l’emblema dei cafoni oppressi.

‘’Se io tradisco la dannazione di Fontamara sarà eterna. Se io tradisco


passeranno ancora centinaia di anni prima che una simile occasione si
ripresenti. E se io muoio? Sarò il primo cafone che non muore per sé,
ma per gli altri. Sarà qualche cosa di nuovo. Un esempio nuovo. Il
principio di qualche cosa del tutto nuova.’’32

Silone fa emergere dunque la tematica della lotta di classe come ricerca di una libertà
collettiva e individuale.

In Vino e Pane per esempio appare anche la tematica della vita cospirativa, dell’attività
clandestina, si cerca di tener vivo nel popolo lo spirito di sovversione nella probabile
speranza di un mutamento radicale.
30
Ignazio Silone, Vino e Pane, p.55
31
Ivi p.188
32
Ignazio Silone, Fontamara, p. 247

22
La prepotenza delle istituzioni.

Berardo Viola, protagonista di Fontamara verrà torturato e ucciso dai fascisti, in Pane e
Vino la violenza civile del fascismo si tramuta in imperialismo con la guerra
d’Abissinia.

Risalta in tutti i romanzi con evidenza la brutalità delle presenza in camicia nera che
mitragliano i paese, stuprano le donne, uccidono i civili.

‘In Fontamara tema chiave del romanzo è la differenza tra l’ingenuità dei contadini che
vengono sempre più privati di tutto e la violenza delle istituzioni capaci solo di reagire
con la forza.

Altro spunto di riflessione che il romanzo offre è come ci si può ribellare a un regime
totalitario? Bisogna adeguarsi o è una scelta più saggia opporsi?

Sicuramente questo problema è presente anche nella vita reale di Silone, trovo
interessanti queste parole che egli scrisse in uscita di sicurezza:

‘’E’ conformismo dichiararsi sempre con la maggioranza. Non ti pare?


Siete stati con Bucarin, finché egli era con la maggioranza; sareste
ancora con lui se egli avesse con sé la maggioranza. Ma, come potremo
33
distruggere il servilismo fascista se rinunziamo allo spirito critico?’’

Altrettanto significato e impressionante è questo passo sul terrore:

Comincia il terrore quando la lotta non esclude più alcuna specie di


violenza, non esistono più regole né leggi né costumi. Degli avversari
politici vi invadono la casa e voi non sapete cosa attendervi: l’arresto?
La fucilazione? Una semplice bastonatura? La casa incendiata? Il
sequestro della moglie e dei figli? Oppure si contenteranno di amputarvi
le braccia? Vi estrarranno gli occhi e taglieranno le orecchie? Vi
butteranno per la finestra? Voi non lo sapete, non potete saperlo. E’ la
premessa del terrore. Il terrore non ha leggi e regolamenti. E’ puro

33
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza p.235

23
arbitrio e non mira che a terrorizzare. Esso mira non tanto a distruggere
fisicamente un certo numero di avversari, quanto a distruggerne
psichicamente il più gran numero, a renderli pazzi scemi vili, a privarli
d’ogni residuo di dignità umana. Quelli stessi che ne sono gli autori e i
promotori cessano di essere uomini normali. Nel terrore le violenze le
più efficaci e frequenti sono proprio quelle che sembrerebbero le più
34
‘’inutili’’ le più superflue le più inattese’’.

La realtà del meridione

Protagonista indiscusso dei romanzi Siloniani è il paesaggio: quel mezzogiorno arido


che riflette con i suoi paesaggi secchi e arsi la povertà di chi ci vive.

Fontamara per esempio è ambientato in un paesino immaginario che potrebbe essere un


qualsiasi villaggio meridionale.

La scrittura di Silone inoltre nonostante rispetti la parlata locale non si può definire
prettamente ‘’regionale’’ anzi, da voce genericamente ai contadini meridionali.

Silone stesso afferma in merito alla questione meridionale:

La "meridionalità" aveva in Italia la triste sorte di riassumere tutte le


possibili doglianze degli uomini contro la società e contro la natura [...]
la rivincita del Sud si svolge nella sfera della immaginazione: gli artisti
e i letterati provengono in prevalenza dal Sud, mentre gl'ingegneri e
uomini di affari sono nativi nel Nord. Mi guarderò bene dal dedurre da
queste coincidenze una qualsiasi teoria; ma non è da trascurare il fatto
che un racconto abruzzese o siciliano possa essere accolto in Virginia,
in India, nell'Africa del Sud, nella Terra del Fuoco, come una storia
locale. Non è dunque esatto che l'elemento cosmopolita nella società
moderna sia un prodotto esclusivo della civiltà industriale. Vi è un
universalismo dei contadini poveri che è molto più antico. Antico almeno
quanto la povertà e l'ingiustizia. E perfino i critici letterari hanno finito

34
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza p.218

24
col capire che conveniva smetterla di classificare come regionali gli
35
scrittori del Sud.

Le tematiche affrontate da Silone sono cariche di riferimenti antropologici e spunti di


riflessione ma spesso accade che sia lo stesso scrittore a darsi una risposta da solo.

In effetti, in Silone, ‘’la visione antidilliaca del romanzo maturava in un contesto di


graduale superamento del romanzo regionalistico e municipalistico’’.36

Possiamo quindi affermare che Silone è sì scrittore del meridione, ma non scrittore
solo meridionale, né tanto meno regionale.

Il meridione ci appare come una metafora dell'esistenza.

Nucleo di questa metafora, per Silone, sono i romanzi, i ‘’veri romanzi, intesi come
rappresentazioni sociali vaste, originali, viventi, profonde’’37

‘’Ora il lavoro artistico mi appare come la sola maniera degna che sia a
mia disposizione per vivere in qualità di uomo. [...] Il bisogno di verità e
di sincerità che mi ha allontanato dalla politica dei partiti, è l'impulso
principale che mi sostiene nel lavoro letterario’’.

Ciò scriveva Silone a Rainer Biemel nel 1937.

La farsa

Situazione ricorrente nella quale si trovano incastrati i personaggi di Silone è quella


della farsa. Con questo termine si intende una burla: una situazione paradossale senza
via di scampo resa efficacemente da un intreccio narrativo.

Se sono sempre gli umili le vittime degli imbrogli possiamo notare che anche i
personaggi della classe dirigente sono connotati da caratteristiche caricaturali,
grossolanamente ironiche che ne esaltano gli aspetti vili e rozzi.

35
Silone, Nichilisti e idolatri. Dopo il neorealismo, in, Romanzi e saggi, II, a cura di B. Falcetto,
Mondadori, Milano 1999, pp. 1194-1195
36
Valeria Giannantonio, La scrittura oltre la vita. Studi su Ignazio Silone, Loffredo, Napoli 2004, p. 19.
37
Silone, Nichilisti e idolatri. Dopo il neorealismo, Op.cit., p. 1375.

25
Riporto l’episodio tratto da Fontamara che descrive la fine del banchetto
dell’Impresario:

I commensali in compagnia, cominciarono a scendere nel giardino,


secondo l’uso per orinare. Davanti a tutti scese il canonico don
Abbacchio, grasso e sbuffante, col collo gonfio di vene, il viso paonazzo,
gli occhi socchiusi in un’espressione beata. Il canonico si reggeva
appena in piedi per l’ubriachezza e si mise a far acqua contro un albero
del giardino, tenendo la testa appoggiata contro l’albero per non
cadere. Dopo scesero un avvocato, il farmacista, il collettore delle
imposte, l’ufficiale postale, il notaio e altri che noi non conoscevamo, e
andarono a fa acqua dietro un mucchio di mattoni. Dopo scese
l’avvocato don Ciccone, con un giovanotto che lo reggeva per un
braccio; egli era ubriaco fradicio e dietro il mucchio di mattoni lo
vedemmo cadere ginocchioni sulla propria umidità.38

IL RICONOSCIMENTO DALLA CRITICA:

Nel 1965 viene pubblicata ‘’Uscita di sicurezza’’ sarà questa l’opera grazie alla quale
Silone otterrà il successo.

Fontamara era stato tradotto e apprezzato all’estero, mentre la critica italiana l’aveva
etichettato in fretta come romanzo appartenente alla letteratura del "fuoriuscitismo’’,
indegno quindi di grandi giudizi.

In un primo momento diversi critici italiani, vicini al partito comunista, si scagliarono


contro la scrittura Siloniana, riporto la dura recensione di Carlo Salinari, apparsa
sull’unità:

38
Ignazio Silone, Fontamara , p.76

26
Sarà un antifascista… ma certo non è uno scrittore. Madonna santa è
solo un cattivo avvocato di provincia. Silone è pieno di fiele e di
rancore. Egli ha fallito in ogni momento della sua vita. Cosparge di
veleno e sbava tutto ciò che gli sta vicino. Forse è sconveniente ma ci è
venuta irresistibile la tentazione di rivolgere a Silone l’invito affinché
non insista a fare lo scrittore. Ma poi ci è sorto un dubbio. Politico? No.
39
Scrittore? No. E che gli facciamo fare, pover’uomo?

Uscita di sicurezza invece, scritto come diario e ricco di riferimenti politici su temi
all’epoca scottanti fa ricredere molti critici italiani, anche lo stesso Idro Montanelli
cambia radicalmente posizione

Leggendo i suoi primi romanzi, Fontamara, Pane e vino, Il seme sotto la


neve, e pur ammirandoli, ero caduto in abbaglio sull'autore. Lo avevo
preso per uno di quegl'industriali dell'antifascismo che, riparati
all'estero, avevano trovato nella universale avversione alla dittatura una
comoda scorciatoia al successo dei libri di denunzia. Lo consideravo
insomma un profittatore del regime a rovescio (come del resto ce ne
sono stati). E una conferma mi era parso di vederla nel fatto che finito,
col fascismo, l'antifascismo, parve finito anche il narratore Silone.
Poi vennero Una manciata di more, Il segreto di Luca, La volpe e le
camelie.

Ma vennero soprattutto alcuni saggi politici che mi costrinsero a


ricredermi. Ed era proprio questo che non riuscivo a perdonargli. Mi
era antipatico non per i suoi, ma per i miei errori. Più lo conoscevo
attraverso i suoi scritti, e più dovevo constatare che non solo egli non
somiglia affatto al personaggio che m'ero immaginato, ma che anzi ne
rappresenta la flagrante contraddizione. [...]
Fenomeno unico, o quasi unico, fra gli sconsacrati del comunismo che di
solito non superano mai più il trauma e trascorrono il resto della loro
vita a ritorcere l'anatema, Silone non recrimina. Egli rifiuta i grintosi e
uggiosi atteggiamenti del moralista, o meglio ne è incapace.
Domenicano con se stesso, è francescano con gli altri, e quindi restio a
coinvolgerli nella propria autocritica. Cerca di metterne al riparo

39
Dario Biocca, Silone: la doppia vita di un italiano, Milano,Rizzoli,2005.p.285

27
persino Togliatti; e se non ci riesce che in parte, non è certo colpa sua.
Qui non c'è che un accusato: Silone. E non c'è che un giudice: la sua
coscienza. »40

Sarà però nel 1968 con ‘’L’avventura di un povero Cristiano’’ che Silone vincerà a
Venezia il Super Campiello, la critica riconosce in esso il miglior romanzo Siloniano
mentre la stampa comunista continua a ignorarlo.

Si può affermare che Silone ottiene maggiori riscontri positivi all’estero, la critica
italiana cambia diverse volte opinione riguardo ai suoi romanzi.

A tale proposito possiamo distinguere tre fasi, la prima dal 1945 al 1950 di silenzio, la
seconda (1949-1952) di interrogativo, e la terza iniziata con ’’Uscita di sicurezza’’ nella
quale lo scrittore fa parlare di sé.

L’ambiente culturale italiano dell’epoca non era pronto per comprendere romanzi di
denuncia come quelli Siloniani, per questo motivo vennero ignorati.

Mentalità più aperta era invece presente all’estero, è’ lecito pensare che in Italia Silone
venisse percepito come uno scrittore legato alla sua vicenda dell’esilio e pertanto
destinato a sparire presto dal panorama italiano.

Effettivamente i critici italiani, chi per pregiudizi, chi per ostilità non si sforzarono mai
di comprendere lo scrittore abruzzese.

Riporto ciò che scrive Enrico Falqui in rapporto a Silone e alla critica italiana:

Per Bargellini (1950) Silone è (…) di quei narratori che coloriscono la


loro narrativa di tendenziosi motivi sociali. Per Russo (1951) la sua
fama di scrittore si è formata all’estero, per ragioni estranee all’arte e
alla letteratura. Né ci meraviglieremo che il Silone sia al massimo
menzionato di sfuggita nei tanti panorami e bilanci del cinquantennio e
del dopoguerra (da quello del Guarneri a quello della Sticco) se, nella
Storia del Romanzo di Raya (1950) è dato addirittura di leggere che ‘’
Esule in Svizzera esordì sì come romanziere nel 1930, ritraendo
Fontamara e i suoi cafoni marsi’’ ma ‘’ il livore politico che lo guidava

40
Indro Montanelli, I protagonisti, Rizzoli Editori, Milano 1976, pp. 180-181 e 186-187

28
e l’inesperienza letteraria insieme avvicinarono più del necessario lo
scrittore a questi ultimi’’ cioè ai cafoni. Con la giunta che ‘’tornato
vincitor, rinnovò l’espediente con maggior baldanza: Il seme sotto la
neve (1945) è un’altra storia di un villaggio abruzzese sotto il fascismo,
innaffiata, stavolta, da un inno alla povertà che muoverebbe lo stomaco
a San Francesco’’.41

Riguardo a Fontamara, nello specifico, i critici stranieri sottolineano diversi punti degni
di nota come la struttura marxista del racconto, che è storia di classi in lotta, la
prevalenza della coralità e l’incitamento alla rivolta popolare.

Come già detto infatti è importante e innovativo il fatto che i personaggi principali di
Fontamara non siano singoli individui ma un’intera classe sociale.

Dopo un’accoglienza tiepida da parte dei critici italiani, Fontamara diventa un romanzo
di grande successo, ecco cosa scrive a questo proposito il critico fiorentino Geno
Pampaloni.

Egli aveva letto Fontamara mentre combatteva in Abruzzo presso un reggimento del
corpo italiano di liberazione:

I libri (Fontamara e Pane e vino) passavano di mano in mano


febbrilmente, come una segreta anticipazione di quella libertà che
sembrava aspettarci al di là della guerra e degli Appennini, come una
prima testimonianza del nuovo mondo e della nuova poesia. Era un
modo, lo riconosco, molto impuro sebbene incredibilmente felice di
leggerlo. E tuttavia anche oggi non riesco a liberarmi delle impressioni
di allora, dalla suggestione romantica che i romanzi dell’esule
sconosciuto portavano con sé; dirò, anzi, che liberarmene mi è sembrato
42
e mi sembra impossibile.

41
Enrico Falqui, Novecento Letterario, vol III , Vallecchi, Firenze, 1955 p.522
42
Dario Biocca, Op cit, p.268

29
(2) SILONE SPIA DELL’OVRA?

Come ho scritto, la recente lettura di un testo di Aberto Vacca43 mi ha convinta a


ripercorrere la storia delle accuse a Silone di essere stato un informatore della polizia; in
particolare una frase contenuta nel testo, nello specifico nella prefazione di Aldo
Forbice, aveva destato il mio interesse:

“ rimangono sempre delle tracce …..dello scoop dei due ricercatori, che
agli occhi di tanti giornalisti, studenti, e persino scrittori diventa verità
assoluta…”44

Questa frase sembrava proprio riassumere la mia situazione, avevo letto i romanzi di
Silone e mi erano piaciuti poi però avevo saputo, forse da un insegnante, che lo
scrittore aveva fatto la spia per i fascisti; questa informazione, che avevo data per buona
e che non avevo ulteriormente approfondita, mi aveva lasciata con l’amaro in bocca e
mi aveva convinta a trascurare l’autore perché se è vero che tra la vita e l’opera
letteraria non deve necessariamente esserci assoluta coerenza, tuttavia ritenevo che non
si potesse scrivere la storia di Berardo Viola e essere al contempo pagato dagli
aguzzini descritti.

Poiché il testo di Vacca sembrerebbe (vista la situazione ritengo obbligatorio l’uso del
condizionale) essere l’atto finale di una contesa storiografica iniziata vent’anni fa e
sembrerebbe fornire le prove dell’innocenza di Silone, ho pensato di comprendere i
termini di tale contesa ripercorrendone la storia attraverso la lettura dei testi di
riferimento e concentrandomi sulle reazioni del mondo intellettuale, di studiosi e di
giornalisti alla notizia e dunque sull’eco che di questa contesa arrivava all’opinione
pubblica; devo dire che se non fossi partita dall’atto conclusivo, dopo aver letto i saggi e
i testi e tutti i commenti che sono riuscita a rintracciare, avrei avuto le idee piuttosto
confuse.

La questione sembrerebbe semplice: nell’Archivio Centrale dello Stato sono stati trovati
dei documenti che sembrano stabilire un collegamento tra lo scrittore e un funzionario

43
Vacca Alberto. , Le false accuse contro Silone, Milano, Guerini e associati, 2015.
44
Ivi p. 11

30
della polizia; in realtà la questione si rivela tutt’altro che semplice e riguarda la
datazione e l’attribuzione di tali documenti; su questa questione gruppi di storici e
studiosi non si risparmiano reciproche accuse e pur leggendo i testi alla fine ci si trova
in una situazione di imbarazzo e incertezza. Nonostante in più occasione i ricercatori
coinvolti dicano, forse con un tocco di supponenza, che basta andare all’Archivio per
verificare le ragioni, la cosa non è così semplice (Alberto Vacca andrà all’archivio tutti i
giorni per un anno e consulterà più di quattrocento fascicoli); al normale lettore non
resta che sposare il parere dell’opinionista in cui ha più fiducia.

Se si sposa la tesi “colpevolista” e si considera Silone un informatore della polizia dal


1919 si aprono tutta una serie di questioni: innanzitutto il motivo che avrebbe spinto il
giovane a fare il confidente e poi come è possibile che di questo rapporto durato più di
dieci anni e che avrebbe apportato gravi danni alla struttura clandestina del partito
Comunista non si fosse mai accorto nessuno e neppure nel dopoguerra il nome di Silone
sia mai stato rivelato; contemporaneamente e all’opposto i danni arrecati non sembrano
abbastanza gravi se derivanti dalle confidenza di uno dei massimi esponenti del partito;
perché poi quando, nel 1930, Silone decide di abbandonare la parte di confidente, non
viene ricattato come succede ad altri ex confidenti, questo atteggiamento “comprensivo”
non sembra tipico dell’Ovra. Le risposte dei “colpevolisti” a questi quesiti sono
abbastanza insoddisfacenti e in genere rimandano ad ulteriori studi ed approfondimenti
da farsi; solo la risposta al quesito fondamentale “Perché ?” genera una ridda di ipotesi
in genere di carattere psicologico, si teorizza una personalità dissociata o un rapporto
omosessuale tra il diciannovenne e il funzionario quarantottenne (che essendo scapolo e
vivendo da solo con la sorella si presta bene a questo ruolo).

C’è un’ulteriore domanda che non mi sembra di aver rintracciato nella documentazione
consultata, perché quando si viene a sapere che è stato arrestato il fratello di Silone
l’Ovra non si adopera immediatamente per farlo rilasciare e invece questi viene
mantenuto in carcere rischiando di indispettire il più prezioso dei confidenti e di
perderne la collaborazione? Certo non aveva senso far pressione su un individuo che già
collaborava spontaneamente da anni.

E’ opportuno, come premessa, richiamare la tragica storia del fratello dello scrittore,
Romolo.

31
Il 12 aprile 1928 in piazza Giulio Cesare a Milano esplode una bomba che fa strage tra
le persone in attesa del passaggio del corteo del re Vittorio Emanuele III; è un massacro
e si contano diversi morti e feriti, le indagini della polizia si concentrano subito sul
mondo antifascista particolarmente sui comunisti. Il 13 aprile viene arrestato e accusato
della strage Romolo Tranquilli, fratello di Ignazio. Romolo è in possesso di alcuni
documenti che a detta della polizia indicano il luogo dell’attentato, ha documenti falsi
(era in procinto di espatriare in Svizzera) nega di essere coinvolto nell’attentato ma
ammette anzi si vanta di essere iscritto al Partito Comunista, cosa quest’ultima che
viene negata da Silone cui forse non era nota. Subisce torture che gli producono gravi
lesioni ai polmoni e il trattamento disumano continuerà anche nelle carceri in cui verrà
in seguito trasferito. La polizia fascista ha scoperto che il giovane è il fratello di Silone e
ricostruisce una traballante versione dei fatti secondo la quale lo stesso scrittore avrebbe
ordinato al fratello di mettere l’ordigno in piazza.

Anche Ignazio è colpito, come indicato nel fascicolo del casellario politico, da mandato
di cattura per l'attentato al Re. L'Avanguardia, periodico dei gruppi giovanili
comunisti, ribadisce l'innocenza di Romolo Tranquilli in relazione al sanguinoso
attentato di Milano del 12 aprile. Romolo, presentato sulla stampa italiana come spietato
attentatore, sta per essere sommariamente condannato e fucilato quale responsabile della
strage. Silone si trova a Parigi quando apprende la brutta notizia dell’arresto del fratello,
contatta moltissime persone e riesce a far scrivere a Mussolini da eminenti personalità
del tempo. Gli interventi (sollecitati da Silone tramite il Soccorso Rosso) del Ministro
degli Esteri inglese Henderson (che comunica di avere a disposizione le prove
dell'innocenza) e di autorevoli intellettuali europei (Rolland, Barbusse) che chiedono un
processo regolare con udienze pubbliche, e gli stessi dubbi della polizia, bloccano la
giustizia sommaria. Nella primavera del 1929 la commissione istruttoria presso il
Tribunale speciale fascista ritiene che non può esservi luogo a processo penale (per
attentato e strage) per insufficienza di indizi, per tutti gli imputati, ma rinvia a giudizio
per altri reati (ricostituzione del partito comunista, ecc) Secondino e Romolo Tranquilli.
Così descrivendolo:

"Vincendo i consigli…e la sua stessa educazione cattolica...vincolò la


propria opera ... agli organizzatori del partito comunista, ed è altresì

32
certo che il suo giungere a Milano il mattino del 12 poté corrispondere
davvero con altri iscritti al partito ed estranei alla strage che vi si
consumava; tuttavia la sua fuga immediata verso il confine, la sua
estrema agitazione, il tentativo di sottrarsi alle ricerche che egli stesso
con il suo contegno provocava contro di lui, dimostrano uno stato
d'animo equivoco tra il rimorso e la paura".

Dopo un’istruttoria durata tre anni, la sentenza del Tribunale speciale condanna Romolo
Tranquilli a 12 anni.

Ecco come il Corriere riassume la vicenda in un trafiletto di cronaca:

“ Due cause … si sono svolte dinanzi al Tribunale Speciale per la difesa


dello Stato. Nella prima, tre sono gli imputati ….. i quali devono
rispondere di appartenenza al disciolto partito comunista…... Tutto ciò
dimostra che i tre avevano relazione col partito e cosi furono rinviati a
giudizio…Il P. M. ritiene che sia risultata provata solo la colpevolezza
del Caminata, per il quale chiede la condanna a 5 anni di reclusione, e
per gli altri due domanda l’assoluzione per insufficienza di prove…. il
Tribunale si ritira per la sentenza. Caminata è condannato a 4 anni di
reclusione e a 3 anni di vigilanza.... Nel secondo processo sono imputati
i due fratelli Romolo e Secondino Tranquilli di Pescina (Aquila). Il 13
aprile 1928, nel territorio di Como, fu fermato dai militi della sicurezza
nazionale e denunciato Romolo Tranquilli il quale, sotto il falso nome di
Igino Zuppi, munito di corrispondente falsa tessera di identità, dopo
essere sfuggito, mediante acrobatici salti alle ricerche dei carabinieri di
Brunate, si aggirava alla ricerca di un valico per passare il confine.
Trovato in possesso di documenti compromettenti, egli confessò di
essere comunista, descrivendo la sua vita nomade, combattuta tra gli
istinti di probità instillatigli da un’educazione cattolica e l’esempio del
fratello Secondino, noto e pericoloso comunista, propagandista
all’estero e in Italia, latitante.

Circa le cause del suo arrivo il 12 aprile a Milano da Nervi (ove


alloggiava), e circa quelle della sua fuga prima a Brunate o poi a Como,

33
nulla volle dire. In un memoriale però scrisse che era fuggito da Milano
per timore di essere ritenuto compartecipe dell’attentato del giorno 12.
Indizi sufficienti non risultarono contro Romolo Tranquilli in confronto
dei tre attentati, ma la sua capacitò a delinquere risulta dal fatto che già
nel 1922, ancora adolescente, egli fu amnistiato da procedimento penale
per apologia dell’attentato dinamitardo del Diana. Risulta ancora che
per denaro, egli vincolò la propria libertà agli organizzatori del partito
comunista.

L’arresto al confine

I due fratelli Tranquilli furono rinviati a giudizio per rispondere del


delitto di cui alla prima parte dell'articolo 3 della legge 25 novembre
1926, per avere nel febbraio e marzo 1928, in Milano, concertato, con
persone rimaste ignote, di commettere fatti diretti a fare sorgere in armi
gli abitanti del Regno, e dei delitti di cui all'articolo 4 della detta legge
per ricostituzione del disciolto partito comunista e per propaganda
sovversiva.

Su richiesta del Pubblico Ministero, il Tribunale ordina lo stralcio del


processo nei confronti dell'imputato Secondino Tranquilli. Romolo
Tranquilli è difeso dall’avv. Mario Trozzi.

Nel suo interrogatorio l’imputato confessa di essere comunista e di


avere, come tipografo, stampato manifesti sovversivi. A domanda del
presidente, egli dice che, ottenuta da un compagno di fede abruzzese una
carta d'identità falsa, lasciò Venezia per recarsi a Busto Arsizio e poi a
Milano, dove giunse la mattina del 12 aprile, quando accadde la strage
alla Fiera Campionaria. Per tema di essere arrestato, avendo delle carte
compromettenti, andò a Como e dopo un giorno a Brunate. I carabinieri
lo fermarono in un albergo, ma egli riuscì a fuggire saltando da una
finestra. Fu poi arrestato dai militi sulla montagna.

Si sentono i testi. Il milite Ottavio Lucca, inviato con altri compagni la


sera del 13 aprile 1928 a inseguire il Tranquilli, l'arrestò prima che
varcasse il confine. Al momento dell'arresto il Tranquilli esclamò: « Se

34
mi va bene sono 25 anni di galera: se mi va male sono 20 pallottole sulla
schiena>>.

Il P. M. sostiene con una breve e stringente requisitoria l'accusa e


chiede che l'imputato sia condannato a 15 anni di reclusione. Il
difensore Invoca una pena mite. Il Tribunale ha condannato il Tranquilli
a 12 anni di reclusione e 3 anni di vigilanza speciale.”45

Romolo Tranquilli muore in carcere, a Procida, il 27 ottobre 1932, a 28 anni, per le


lesioni ai polmoni in seguito alle torture, la fame, il regime di carcere duro cui era
sottoposto nelle varie prigioni in cui veniva trasferito.

Silone fu molto colpito dalla disgrazia accaduta al fratello, forse si sentiva in parte
responsabile, in quanto modello di riferimento di Romolo e quindi involontaria causa
delle scelte da questi operate e quindi del suo destino; così si spiega forse la negazione
dell’iscrizione del fratello al partito comunista.

Ecco cosa scrive Silone riguardo alla tragedia:

‘’Un particolare che dà gravità di tragedia a quel destino era che,


almeno fino a quel momento dell’arresto, mio fratello non era mai stato
membro del Partito comunista, non aveva mai chiesto di farne parte, non
vi era mai stato ammesso, non aveva mai partecipato ad alcuna sua
adunanza o attività, non ne conosceva neppure lo statuto o il
programma. Egli era un giovane vagamente antifascista, di educazione e
sentimenti cattolici. Lo sport lo interessava assai più della politica; e lo
sport aveva aggiunto alla sua naturale fierezza un particolare senso
dell’onore nella lotta’’.46

Anche parlando con la moglie Darina, emersero queste parole, che dimostrano questa
volta qualche dubbio da parte dello scrittore:

45
Altri 2 terroristi milanesi condannati dal Tribunale Speciale in “ Corriere della Sera” 7 giugno 1931
46
Silone Ignazio, Uscita di sicurezza p.54

35
‘’Dissero più tardi che alla fine si era iscritto al partito. Non so se fosse
vero. Non avevo allora la possibilità di sapere nulla di preciso. Certo
non fu mai né dirigente né attivista.’’47

In ogni caso non sono molti i commenti pubblici che Silone fece nei confronti del
fratello, nei confronti del quale manteneva sempre una particolare riservatezza; la
moglie ricorda nuovamente:

‘’A Zurigo dove lo conobbi, mi aveva raccontato un po’ alla volta la


tragica storia di suo fratello: senza dettagli e senza emozione. Dovevo
ascoltarlo in silenzio: la minima parola mia gli faceva subito cambiare
argomento ’’.48

Simili anche le dichiarazioni di un omonimo nipote, Romolo Tranquilli che ha


rintracciato importanti documenti per ricostruire la vicenda.

‘’Anch’io mi domando perché Silone ha taciuto sulla militanza


comunista del fratello quando i documenti me la confermano? Perché il
PCI non ha approfondito il racconto su Romolo e ha risolto la tragedia
di Silone in un’accusa di tradimento? Probabilmente una più acuta
analisi della vicissitudine straziante di Silone al momento
dell’espulsione dal PCI, nella lotta feroce tra le diverse linee del partito,
potrà dare una risposta.’’49

Gli inquirenti quindi, dopo le indagini iniziali, si resero conto della non colpevolezza di
Tranquilli ma mantennero le accuse e lo stato di detenzione per fare pressione sul
fratello.

Scrive Silone:

‘’ I giudici non credettero mai a quell’accusa assurda, perché l’attentato


fu quasi certamente una montatura organizzata da squadristi fascisti
antimonarchici che fornì la scusa per l’arresto di moltissimi antifascisti.
Non avrebbero fucilato Romolo, non lo volevano morto ma vivo, in

47
Silone Darina, Le ultime ore di Ignazio Silone in Severina, p.172
48
Gurgo Ottorino, De Core Francesco., Silone, p. 95
49
Ibidem

36
carcere, perché parlasse sotto tortura. Coraggio a parte, Romolo non
conosceva nomi, non aveva nulla da rivelare. Rifiutò di spiegare perché
tenesse in tasca lo schizzo della piazza di Como per timore di
compromettere la persona che lì avrebbe dovuto consegnargli i
documenti falsi. Quindi tacque. Ripeteva solo di essere innocente. Se
avesse confessato subito che stava cercando di espatriare senza
passaporto, forse non lo avrebbero sottoposto a tortura, forse non
l’avrebbero condannato a dodici anni di carcere, con tre di vigilanza
speciale. Romolo potrebbe essere ancora vivo, se non fosse stato per
me.’’50

Ricorda l’allora dirigente della Questura, Camilleri:

‘’La preda era molto importante, Ignazio Silone e la sua attività politica
erano noti nel campo internazionale per cui l’arresto del fratello era un
avvenimento che avrebbe conferito una parvenza di serietà alle indagini
e per converso alle accuse a suo carico.

Ignazio Silone infatti pochi mesi prima si era recato a Mosca, per
partecipare con Palmiro Togliatti, in rappresentanza del PCI ad una
sessione straordinaria dell’Internazionale comunista, nel corso della
quale si era incontrato con Stalin, Rykov, Bucharin, Manuilsky ed altri
dirigenti sovietici. Da parte dei fascisti si dedusse che l’attentato era
stato deciso in quelle sedute a Mosca e che l’ordine di attuarlo era stato
conferito a Ignazio Silone che lo avrebbe messo in esecuzione a mezzo
del fratello Romolo al quale avrebbe dato istruzioni da Zurigo.
Montatura più assurda non poteva architettarsi. Anche a prescindere dal
carattere mite di Ignazio Silone, era universalmente noto che egli si era
messo in aperto contrasto con Stalin e con i maggiori esponenti del
Cremlino. In quell’epoca, del resto, l’attività comunista non era né
poteva essere indirizzata ad attentati terroristici o ad atti di violenza di
sorta. I comunisti avevano al contrario, la più grande preoccupazione di
mimetizzarsi e i loro sforzi erano diretti unicamente a favorire l’espatrio
di dirigenti e gregari che avrebbero potuto essere, da un momento

50
Silone Darina., Severina, p.173

37
all’altro colpiti dalle nuove leggi eccezionali varate il 5 novembre del
1926’’.51

Silone si trova a Parigi quando apprende la brutta notizia dell’arresto del fratello e,
come abbiamo visto, contatta moltissime persone e tra questi anche un funzionario della
polizia che probabilmente già aveva conosciuto in passato; in cambio di informazioni
sulle condizioni di salute del fratello e nell’intento di diminuire le pressioni cui è
sottoposto fornisce informazioni sull’attività del partito comunista. Tali informazioni
sono peraltro di scarso valore, come riconosciuto dagli stessi dirigenti della polizia:

“….fratello, che egli cercò di giovare quando tentò di prestarsi come


nostro informatore”52

Non è escluso, peraltro, che avesse informato gli altri dirigenti del partito di questa sua
iniziativa; a questo potrebbe riferirsi la testimonianza di Luce D’Eramo di un colloquio
avuto con Umberto Terracini53 e questo spiegherebbe anche il fatto che quando nel
dopoguerra gli esponenti del pci poterono visionare le carte dell’Ovra; questa
spiegazione è anche molto più semplice e lineare di quella data da Galli Della Loggia a
Montanelli sullo stesso argomento:

“Togliatti potrebbe aver avuto ottime ragioni, pur conoscendo quei


documenti, per non pubblicarli. Avrebbe dovuto ammettere, infatti, di
fronte a Stalin che a suo tempo il Pci aveva mancato gravemente ai
propri doveri di vigilanza”54.

La scoperta e la pubblicazione delle lettere intercorse tra Silone e il commissario


Bellone sono alla base del “caso Silone”; nel 1996 durante una conferenza organizzata
dalla Standford University lo storico Dario Biocca rivelò l’esistenza di queste missive,
da lui rinvenute durante ricerche tra i fascicoli dell’Archivio Centrale dello Stato.

51
Paese sera, 19 settembre 1954
52
Vacca Alberto., Le false accuse contro Silone p.22
53
Testimonianza di Luce D’Eramo in processo a Silone pp. 133-136. Anche in M.Co., Luce d'Eramo,
l'ultima difesa della spia, Corriere della sera, 8 marzo 2001.
54
Galli Della Loggia Ernesto, Lo storico? Che indaghi su tutto Corriere della sera 5 aprile 2000

38
Questa conferenza e le indiscrezioni di stampa che la precedettero, segnarono l’inizio di
un lungo confronto tra “innocentisti” capeggiati dallo storico Giuseppe Tamburrano e
colpevolisti capeggiati da altri due storici Dario Biocca e Mauro Canali (che stava
conducendo ricerche simili).

La notizia che un dirigente comunista aveva intrattenuto rapporti epistolari con un


funzionario dell’Ovra era di fatto uno scoop e i titoli dei giornali, come spesso succede,
diedero risalto al fatto anche se la lettura dei contenuti poi di fatto sgonfiava molto la
notizia.

Il 7 marzo 1996 il Corriere della sera anticipando il contenuto della relazione che si
sarebbe tenuta alla Standford University con un articolo intitolato “Silone con l’Ovra
per amore del fratello” dava la notizia dei contatti che Silone avrebbe avuto con la
polizia fascista dopo l’arresto del fratello. L’articolista nel riassumere il contenuto dei
documenti scrive:

“L’offerta di collaborazione all’Ovra da parte di Silone non andò oltre


qualche informazione generica; ma va soprattutto inserita in un
momento per lui difficilissimo, in primo luogo a causa dell’arresto,
avvenuto nell’aprile del 1928 dell’amatissimo fratello ….”55

Il Corriere della Sera del 8 marzo 1996 pubblicò le reazioni di Leo Valiani e Darina
Silone, vedova dello scrittore, che interpellati per un commento sulla notizia negarono
l’autenticità dei documenti.

Per Leo Valiani “sono infiniti gli autentici falsi dell’Ovra” ed inoltre
avendo conosciuto direttamente Silone “mi sento di escludere che egli
possa aver fatto qualsiasi rivelazione all’Ovra in cambio della salvezza
del fratello”. Per Darina Silone “ ho letto all’archivio di Stato tutti i
documenti dell’Ovra riguardanti mio marito e Romolo. Ebbene quei

55
Belardinelli Giovanni., Silone con L’Ovra per amore del fratello, Corriere della sera, 7 marzo 1996

39
documenti sono pieni di calunnie. Così come sono falsi quelli di cui ha
parlato ieri il corriere”.56

Tali reazioni, a botta calda, senza diretta conoscenza dei documenti, sono probabilmente
troppo impulsive ma rappresentano una buona testimonianza dell’atteggiamento e del
pensiero di chi conosceva direttamente lo scrittore.

Una prima osservazione è che entrambi gli esponenti dei due schieramenti accusarono
in più occasioni la stampa di dare poco credito alle proprie tesi e complementarmente
di darne troppo agli avversari.

“Alcuni quotidiani, dopo aver dedicato ampio spazio alla notizia del
ritrovamento, cambiarono opinione definendo l’anticipazione del
Corriere null’altro che un “clamoroso falso scoop” e persino “un
tentativo di assassinio morale”……Sul “Corriere della Sera e l’Unità,
sul Secolo d’Italia e Il Centro – roccaforte dei <<silonisti>>….”57

“La rivelazione fu anticipata dal corriere della Sera….in un articolo al


quale il giornale dette un titolo a sensazione….”58

“…l’Espresso montò il caso…”.59

“Fu un’orgia di demonizzazione….”60

“Fu un nuovo scoop: come nei di artificio, un botto dopo l’altro.”61

La polemica riprese nel marzo 1996 con la pubblicazione di un articolo di Dario Biocca
sulla rivista “Nuova storia Contemporanea”; a questo articolo fecero seguito, sempre
pubblicati sulla stessa rivista, un articolo di Mauro Canali e un altro di Biocca nel 1999.
62

56
Messina Dario, Valiani L’antifascista Silone vittima di un falso dell’Ovra, Corriere della sera, 8 marzo
1996
57
Biocca Dario, La fonte amara dell’Ovra, Diario della settimana, 7-13 ottobre 1998, pp. 74-6.
58
Tamburrano Giuseppe., Il caso Silone, p.15
59
Ivi pag. 16
60
Ivi. pag. 19
61
Ivi. pag. 24
62
Biocca Dario“Ignazio Silone e la polizia politica. Storia di un informatore” Nuova Storia
Contemporanea, 3, 1998, pp.67-93; Biocca Dario “ ‘Tranquilli (nell’ombra)’. Ignazio Silone in Francia”,

40
Nell’articolo del 1996 Biocca, oltre a ribadire i contatti di Silone con la polizia fascista
negli anni 1928-30, arriva a ipotizzare una collaborazione di più lunga data partendo da
una frase presente in una lettera del 1929 inviata al commissario Bellone:

“Al punto in cui sono nella mia formazione morale e intellettuale mi è


fisicamente impossibile restare con lei negli stessi rapporti di 10 anni
fa”.63

Questa frase interpretata letteralmente lascia pensare ad un rapporto tra Silone e Bellone
cominciato nel 1919 (all’epoca lo scrittore aveva 19 anni e il funzionario 48) e proprio
su questa ipotesi lavorarono i due storici cercando di trovare altri documenti che
confermassero questa collaborazione; i risultati di queste ricerche e i documenti
rintracciati furono pubblicati negli articoli del 1999 e quindi in un libro pubblicato a
quattro mani nel 2000. 64

Ovviamente la notizia che uno dei massimi dirigenti del partito comunista era un
informatore della polizia, che Silone aveva avuto rapporti con la polizia già dal 1919 e
che la sua era stata una vera e propria attività spionistica ai danni del partito di cui era
militante prima e dirigente poi, anzi che la sua attività di informatore era iniziata ancor
prima, quando era socialista, era uno scoop e i giornali ci si tuffarono chiedendo pareri e
coinvolgendo numerosi altri intellettuali.

E’ necessario precisare che la lettura dei saggi e del testo non è affatto semplice, come
riconosce lo stesso Tamburrano:

“Bisogna però anche aggiungere che l’accusa è confezionata in modo


abile e si presenta “credibile”. Prima di tutto la massa imponente di
documenti scritti con lo stile arido e noioso della polizia o dei confidenti
che solo esperti possono analizzare; poi lo stile degli autori: asettico,
piatto, non invitante, come si conviene ad una ricerca d’archivio, neutra

Nuova Storia Contemporanea, 3, 1999, pp.53-76; Canali Mauro “il fiduciario ‘Silvestri’ ”. Ignazio Silone, i
comunisti e la Polizia politica” Nuova Storia Contemporanea, 1, 1999, pp.61-86.
63
Biocca Dario, Ignazio Silone e la polizia politica. Storia di un <<informatore>>, Nuova storia
Contemporanea n. 3 19986 p.82
64
Biocca Dario, Canali Mauro, L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia.

41
e distaccata, che sembra seria anche perché – come ho notato – è
corredata di note e irta di riferimenti.”65

Dunque non può stupire che la notizia venga rilanciata come vera da gran parte dei
giornalisti, che non hanno il tempo e probabilmente neppure le competenze per
verificare le fonti, d’altra parte sappiamo che la società dell’informazione coincide
ormai con la società dello spettacolo e molti titoli di articoli sono costruiti per attirare
l’attenzione dei lettori, se poi la notizia si rivela una non notizia, perché allora ridarne
notizia? In questa logica non stupisce che le rivelazioni degli accusatori godessero di
maggiore visibilità mentre gli interventi degli innocentisti passavano un po’ sotto tono.
D’altra parte che notizia è un antifascista che non ha fatto la spia per la polizia fascista?

Stupisce un poco di più l’atteggiamento “colpevolista” di parecchi intellettuali ma


d’altra parte anche loro subiscono il peso “della massa imponente dei documenti”.

La notizia riscaldò gli animi dei componenti i due schieramenti e rinfocolò le


polemiche, i contendenti si rivolsero reciproche accuse.

“ Ed ecco le ultime notizie su Ignazio Silone. Nuovi inoppugnabili


documenti provano il suo ruolo di informatore dei servizi segreti fascisti.
Si potrà discutere sule motivazioni, sull’esattezza di certi particolari, sul
suo stato d’animo e sugli scopi che effettivamente intendesse perseguire.
Ma non si può dubitare, ormai, che l’autore di Fontamara e Uscita di
sicurezza, il militante comunista che negli anni Venti andò a Mosca per
trattare con i capi sovietici in rappresentanza dei comunisti italiani,
l’esule antifascista in terra francese e svizzera, l’intellettuale che osò
rompere con il partito sfidando Stalin e Togliatti, il letterato
anticomunista che dedicò l’ultima parte della sua vita a denunciare “il
dio che ha fallito” mantenne una corrispondenza continua con i
funzionari dei servizi segreti. E non occasionalmente, ma per un periodo
calcolabile in almeno dieci anni, dal 1919 (anno in cui venne arrestato
la prima volta con l’accusa di attività sovversiva) all’inizio del
1930….”66

65
Tamburrano Giuseppe, Processo a Silone, pp.34-35.
66
Fertilio Dario, Silone. Una spia al di sopra di ogni sospetto, Corriere della sera, 1 maggio 1998.

42
Nonostante i “documenti inoppugnabili” c’è chi non crede:

Indro Montanelli:

“Io non ho ancora letto il loro testo. Sono sicuro che la loro denunzia di
un Silone a doppia faccia di perseguitato e di spia sarà basata su
documenti all’apparenza ineccepibile. Ma alla cui veridicità non
crederei nemmeno se Silone, riemergendo dalla tomba, venisse ad
accreditarmela. Pregiudizio, il mio? No, esperienza. Ne ho letti tanti di
documenti, via via che diventavano pubblici. …Financo a riprova del
tradimento di Trotzki (di Trotzki!) si trovarono dei documenti…..Ma
sono disposto ad ammettere anche di più: che Silone avesse rivolto
qualche supplica a Mussolini per alleviare la sorte di suo fratello
Romolo da dieci anni in galera, dove di lì a poco sarebbe morto. E
infine: come mai il Pci, che subito dopo la Liberazione ebbe in mano
tutte le liste e i documenti della polizia segreta fascista, la famigerata
Ovra …..non ne trovò nessuno che inchiodasse il più celebre accreditato
dei suoi transfughi? Ecco perché non credo alla fondatezza di queste
“rivelazioni” nemmeno se venisse Silone a confermarmela…..”67

Ma le accuse si fanno più pesanti:

“….un altro ricercatore, Mauro Canali, … affonda ancor di più il bisturi


nel “caso Silone”, e porta le precedenti supposizioni alla più cruda delle
conclusioni. Silone, per gran parte della vita, informò il confidente
Guido Bellone (e per tramite suo la polizia politica del regime) su
uomini, piani e circostanze da lui direttamente osservate come dirigente
del movimento comunista internazionale. E non lo fece, come si era
creduto fino ad oggi, per proteggere il fratello Romolo…. Se i dubbi
storici sembrano cadere di fronte ai documenti elencati da Mauro
Canali, resta una perplessità di fondo sulle motivazioni di Silone: perché
avrebbe dovuto cadere dalla padella nella brace, ovvero combattere un
totalitarismo per diventare complice di un altro? Lo storico azzarda
un’ipotesi inquietante: che cioè tutto ciò faccia parte della famosa
67
Montanelli Indro., Ignazio Silone a doppia faccia? Non ci credo, Corriere della sera, 5 maggio 1998

43
“doppiezza” in cui i comunisti di quegli anni venivano allevati, una
doppiezza da funamboli nel caso di Silone, e spinta al limite estremo.
Proprio questo stato di sdoppiamento psichico e morale avrebbe
prosciugato le sue forze e minato i suoi nervi, al punto di costringerlo al
ricovero in clinica. Non si trattava soltanto di disturbi polmonari come
si era sostenuto, avverte Canali con il supporto di nuovi documenti, ma
forse della sua crescente difficoltà a venire a patti con se stesso.”68

Enzo Siciliano:

“SILONE delatore per conto del regime, Moravia fascista: nessuno si


salva, né più si salverà in futuro. Il secolo tramonta, e ci si sta
preoccupando che di una intera cultura non resti in piedi niente, che
tutto sia travolto da un fango che tracima ovunque……Ci si esercita in
archivio, con pelosa, equivoca cura, per mettere a nudo un vendicativo
moralismo. Rimane oscuro in nome di cosa questo bagno di fango venga
compiuto……Non riesco a capire però cosa abbia guadagnato lo
scrittore, il romanziere, che pure c' era in lui, dalla dittatura per conto
della quale avrebbe lavorato…..”69

Di nuovo Montanelli:

“….Sull’autenticità dei documenti addotti da Dario Biocca e sposati


dalla autorevole rivista ”storia contemporanea”, non ho dubbi. Ma mi
permetto di avanzarne qualcuno sull’equazione ”Documento uguale
verità”. Quando chiesi allo scrittore ebreo André Maurois se al tempo
della famosa affaire aveva creduto alla colpevolezza di Dreyfus, mi
rispose: “Dapprincipio, come si poteva dubitarne? C’erano i
documenti…” Emile Zola, invece, di documenti non ne aveva nessuno
quando scese in campo contro quelli del controspionaggio francese.

68
Fertilio Dario, Silone la spia che venne da Fontamara, corriere della sera, 25 gennaio 1999
69
Siciliano Enzo., Un romanzo per i revisionisti, La Repubblica, 26 gennaio 1999

44
Aveva solo l’amore della verità, basata sul fiuto e sull’istinto. E sia pure
dopo dieci anni riuscì a farla trionfare. Senza documenti…..”70

Luciano Canfora:

“sul ruolo di Silone nei lunghi anni in cui era al vertice del Pci e, al
contempo, informava la polizia italiana, non vi possono essere dubbi.
Nella disputa, che si stenta a credere che potesse sorgere, intorno
all’importanza dei documenti nella ricerca storica,….”71

Mauro Canali

….."Non si possono negare i risultati della ricerca storica", dice Mauro


Canali, uno studioso che ha familiarità con gli archivi, autore di due
importanti monografie dedicate a Cesare Rossi e Giacomo Matteotti.
Professore, lei non ha dubbi: Silone era una spia della polizia politica
fascista? "Questo l' aveva già dimostrato Biocca, pubblicando alcune
lettere e informative scritte da Silone tra il 1928 e il 1930 sull' attività
clandestina del Pcd' I". Questo sì: ma si pensava che Silone volesse
aiutare il fratello Romolo, arrestato dai fascisti proprio nel 1928.
"Questa tesi cade davanti ai documenti che ho trovato all' Archivio
Centrale dello Stato: una lettera del 1924 dimostra inequivocabilmente
che Silone collaborava con la polizia del regime molto prima dell'
arresto di suo fratello"……72

Il giorno 19 marzo 1999 la fondazione Nenni indice una conferenza stampa per
denunciare delle “incongruità “ nelle ricerche che accompagnavano i documenti:

70
Montanelli Indro, Io non ci credo, Corriere della sera, 2 febbraio 1999
71
Canfora Luciano, Tasca e Silone travolti dalla guerra civile, Corriere della sera, 15 aprile 2000
72
Fiori Simonetta, Montanelli sbagli Silone era una spia, La repubblica, 3 febbraio 1999

45
“Noi avevamo notato delle manipolazioni proprio nelle carte e
decidemmo di denunciarle in una conferenza stampae di annunciare che
avremmo sottoposto i documenti ad una attenta verifica.”73

La conferenza non suscitò grande impressione a giudicare dai resoconti dei giornali

“ I “siloniani” non negano, e questa è comumque una delle novità della


conferenza stampa tenuta ieri mattina nella sede della Fondazione
Nenni, l’autenticità delle lettere ma modificano il contestonel quale sono
state scritte…. E tamburrano va giù duro parlando di manipolazione….
Ma Biocca e Canali annunciano altri documenti. …. L’aedo dei cafoni
abruzzesi era un’anima tormentata, in anni tragici, quando la doppiezza
rappresentava un’arma di lotta politica e di sopravvivenza personale.
…”74

E anche

“ Il comunicato della Fondazione Nenni prometteva “effetti speciali”.


…..Riemerge così l’antica ipotesi – superata dalla ricerca storiografica
– secondo cui Silone avrebbe fatto la spia per amore del fratello
incarcerato….”75

La rivista “Reset” organizza il 5 marzo 1999 una tavola rotonda per parlare del caso
Silone, gli atti vengono pubblicati nel numero 54 di Maggio-Giugno 1999 insieme ad un
articolo di Argentieri Federigo “il caso Silone”; alla tavola rotonda partecipano oltre a
Dario Biocca e Mauro Canali gli storici Giovanni Sabbatucci e Luciano Zani, Romolo
Tranquilli (figlio di un cugino di Silone) e Vittoriano Esposito, studioso di critica
letteraria, entrambi membri del comitato direttivo del Centro studi Ignazio Silone.

“ …lo scrupolo professionale dei due studiosi e l’autenticità dei


documenti da essi presentati sono al di sopra di ogni sospetto,
corroborati da una serie quasi interminabile di riscontri incrociati e da
un vaglio minuzioso di tutta la letteratura esistente in materia: è dunque

73
Tamburrano Giuseppe, Il “caso” Silone, pag. 20
74
Cianca Mario, “ Lettere manipolate”: la difesa di Silone va all’attacco, Corriere della sera, 20 marzo
1999
75
Fiori Simonetta, L’ultimo atto dal caso Silone, La repubblica, 20 marzo 1999

46
fuor di dubbio che, dal 1919 al 1930 – cioè nel periodo in cui Silone fu
militante e poi dirigente dapprima del Psi, poi del Pcd’I – egli ebbe
rapporti assidui con il funzionario di polizia Guido Bellone…..Quale fu
dunque il motivo? … non è illecito avanzare qualche ipotesi…Troppo
poco, però, si è indagato su Guido Bellone, commissario di polizia
scapolo che viveva con la sorella nel quartiere Nomentano….è da
escludere l’ipotesi che un rapporto ambiguo, con una componente di
plagio da parte del più forte, si fosse venuto a creare tra il funzionario
degli interni ed il giovane inquieto?....”76

Tutto il dibattito appare “schiacciato” dalla forza dei documenti la cui attendibilità non
viene messa in dubbio, si criticano gli interventi non specialistici basati sull’intuito o
sulle sensazioni, il problema è quello eventualmente di approfondire le motivazioni o i
danni che la spia può aver arrecato. Anche i “siloniani” appaiono in difficoltà,
schiacciati anch’essi dalla forza documentale di cui si limitano a indicare qualche
lacuna, preferiscono lamentarsi dei titoli sensazionalistici dei giornali.

“ Il dibattito suscitato dai saggi di Dario Biocca e Mauro Canali mi è


sembrato molto superficiale e male impostato. Non è un caso che finora
siano intervenute in prevalenza persone che non fanno il mestiere dello
storico: soprattutto giornalisti e anche politici….Biocca e Canali non
hanno fatto degli scoop giornalistici basati su un documento dubbio
interpretato in modo maligno…..Sono intervenuti in modo argomentato e
solidamente fondato….mi sembra che ci siano pochi dubbi su quello che
i due storici sostengono. “77

“Non mi pongo sullo stesso piano di Enzo Siciliano e di Indro


Montanelli. …. Forse la mia è un’obiezione superabile, puramente
formale……Mi pare ci sia un po’ di confusione sul ruolo di Silone.
Informatore, spia, delatore?...”78

76
Argentieri Federigo, Il caso Silone, Reset, n. 54, maggio-giugno 1999, pp. 64-65.
77
Zani Luciano, ibid, p. 66
78
Vittoriano Esposito, ibid, p. 68

47
“…A questo proposito vorrei dire al professor Esposito in modo chiaro
e, se possibile, una volta per tutte, che le prove che silvestri fosse
Ignazio Silone, evidentissime, sono state discusse e verificate in ogni
dettaglio. ..”79

“ .. Un altro errore è considerare solo il Silone informatore dell’inizio


degli anni Trenta, dimenticando che la sua attività in quel periodo è il
risultato di un percorso cominciato da giovane….Voglio far notare che il
fenomeno della delazione in quegli anni è molto esteso. Siamo in
presenza di parecchi fiduciari. In genere il sovversivismo dell’epoca,
soprattutto tra i giovani, si alimenta di personaggi piuttosto sradicati,
che hanno un percorso esistenziale tortuoso…..”80

“…Silone confessa addirittura che era arrivato a dimenticare per mesi


l’esistenza di suo fratello Romolo. Ebbene, per la mia lunga
frequentazione degli archivi di polizia, non posso fare a meno di
osservare che proprio questi, di solito, sono i caratteri psicologici del
fiduciario. L’apparato repressivo recluta gli informatori tra persone che
mostrano segni di debolezza, approfittando della loro fragilità.”81

“…secondo me Silone, se da una parte ha romanzato la sua


autobiografia, per altri versi ci ha voluto dire tutto, o comunque
raccontare gran parte della sua esperienza, attraverso i romanzi che ha
scritto. Mi sembra quindi una sfida affascinante rileggere la sua opera
letteraria alla luce degli elementi nuovi che sono emersi…”82

“Se delle persone intelligenti ed esperte dicono delle evidenti


stupidaggini, allora vuol dire che c’è un problema sotto. ….Il caso
suscita amarezza perché rivela la persistenza di un’attitudine assai
criticabile. La propensione degli intellettuali a fuggire dalle questioni
imbarazzanti, anche a costo di negare l’evidenza”.83

79
Biocca Dario ibid, p. 70
80
Canali Mauro ibid, p. 72.
81
Ivi. p., 73.
82
Zani, Luciano ibid, pp. 73-74.
83
Sabbatucci, Giovanni ibid, p. 75 [Il riferimento è a Enzo Siciliano, Indro Montanelli ed Ennio Carretto
per le posizioni di incredulità da loro sostenute].

48
“…Noi abbiamo seguito la via scientifica, del rigore documentale.
Credo che abbiamo il diritto di essere indignati, di fronte alle posizioni
preconcette espresse da chi rifiuta persino di leggere i risultati del
nostro lavoro. E la cosa è particolarmente grave quando attacchi del
genere ci arrivano dalle pagine della grande stampa….”84

Il numero 55 di Reset pubblica la risposta di Tamburrano85:

“Il caso Silone non esiste. Anzi, il vero caso Silone è il caso della
stampa che lo ha montato prendendo acriticamente per buone le
rivelazioni di due ricercatori, Biocca e Canali, qualche volta trovandovi
quello che non c’é. ---Arrigo Petacco scrive, sul “resto del Carlino, che,
secondo Canali, Silone ha denunciato anche Gramsci alla polizia
fascista e Enzo Biagi riprende da Petacco la notizia e la butta giù
sull’Espresso. Ovviamente tale rivelazione non è da nessuna parte…..E
invece giornalisti, storici, uomini di cultura non si sono fatti venire
dubbi, quei dubbi che sorgono fortissimi ad una lettura attenta della
ricerca di Biocca e Canali Ignazio Silone vive la vicenda del
fratello come una colpa lacerante. Chiede a qualcuno della polizia
politica, che probabilmente conosceva, di aiutare il fratello in carcere. Il
suo corrispondente si fa sfuggire l’occasione di utilizzare un altissimo
dirigente comunista che fa parte dell’organizzazione clandestina?
Impensabile! E la polizia usa Romolo in carcere per far <<cantare>> il
fratello. Ma Silone si limita mandare dall’estero qualche informazione
generica. Ad un certo punto Silone su rende conto dell’inutilità del suo
tentativo e interrompe il rapporto nell’aprile del 1930….il caso Silone è
il caso della stampa che per pubblicare uno scoop non avverte lo
scrupolo di verificare, controllare, dubitare….il caso Silone …solleva il
problema di come sia fatta l’informazione in Italia.”86

84
Canali, Mauro ibid, p. 78.
85
Tamburrano Giuseppe “Silone, una condanna senza prove, in Reset, luglio-agosto 1999 n.55
86
Ivi pp.88-92.

49
Nel frattempo nel numero 3 della rivista “Nuova storia contemporanea” era stato
pubblicato il nuovo saggio di Biocca in cui la collaborazione di Silone con la polizia
veviva datata a partire dal 1923:

“ in ciascun caso il flusso delle informative coincideva con la presenza


di Silone nel luogo di provenienza indicato sui documenti….…In primo
luogo, come da noi già ipotizzato, l’attività informativa di Silvestri non
ebbe inizio, come alcuni hanno sostenuto, dopo l’arresto nell’aprile del
1928 di Romolo Tranquilli ….. ebbe inizio non appena Silone, nel 1923,
ebbe lasciato l’Italia. La collaborazione dunque, aveva avuto inizio
prima ancora dell’espatrio, quando Silone dirigeva la Federazione
giovanile comunista- e, forse, ancor prima ….. In secondo luogo, la
frequenza delle informative, il loro contenuto, accuratezza, sistematicità,
e franchezza, inducono a ritenere che Silvestri avesse collaborato senza
nulla tralascaire o tacere“ 87

“Mentre due lanci d' agenzia annunciano i nuovi ritrovamenti di Dario


Biocca, di imminente pubblicazione presso la rivista Nuova storia
contemporanea……Il pacchetto di carte ora reso pubblico fa parte di un'
ampia messe di materiale - "stralci, non informative complete, dunque
privi dell' identità dell' autore" - che gli studiosi Mauro Canali e Biocca
non esitano ad attribuire a Silone…..”88

“ Due nuovi saggi svelano quanto lo scrittore fu zelante nell’informare


la polizia fascista. Ecco date, viaggi, resoconti. Incontestabili. ...
raccontano in modo esauriente proprio questo “altro” Silone. Un
rivoluzionario professionale che per buona parte degli anni Venti aveva
girato per conto del komintern per le grandi capitali europee … Che era
entrato in contatto con gli uomini di punta del movimento comunista
internazionale oltre che dell’antifascismo, li aveva descritti e catalogati,
indicando pseudonimi e funzioni e consentendo così alla polizia di
tenerli sott’occhio e in certi casi anche di arrestarli. … Era già noto che

87
Biocca Dario, “Tranquilli(nell’ombra)”: Ignazio Silone in Francia, Nuova storia contemporanea, n. 3,
1999, pp. 57-58.
88
Fiori Simonetta “Silone fatto a pezzi” in “ La repubblica” 1 giugno 1999.

50
negli oltre 10 anni in cui aveva lavorato come fiduciario, cioè come
informatore poliziesco, Silone-Tranquilli …. Le informative …
corrispondono agli spostamenti di Silone per l’Europa. E sembrano la
miglior risposta agli attacchi furibondi lanciati da un ampio fronte che
va da Indro Montanelli a Enzo Siciliano allo storico Tamburrano … “89

Nel 2000 viene pubblicato il testo L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia che i
due storici Biocca e Canali scrivono a quattro mani integrando i lavori precedenti con
altri documenti che sembrano confermare l’assunto della collaborazione da lunga data.

“Per motivi sui quali è necessario oggi riflettere, molti hanno negato,
prima ancora di esaminare le carte dell’archivio e i saggi che le
accompagnavano, ogni possibile compromissione o colpa di
Silone…..Eppure sotto il profilo documentario, le carte riprodotte ….non
presentavano anomalie né peculiarità tali da far ritenere potesse
trattarsi di documenti falsi…un documento informativo che dimostrava,
ben oltre ogni ragionevole perplessità, che la corrispondenza era stata
avviata sin da almeno il 1924…..Era perciò necessario….riesaminare i
nuclei narrativi che animarono i primi romanzi svizzeri fino alle celebri
pagine autobiografiche di Uscita di sicurezza…..Qualsiasi discussione
avrebbe comportato esami archivistici accurati…sottoponiamo
all’attenzione degli studiosi e dei lettori... [il] testo delle informative
inviate alla Polizia tra il 1922 e il 1930….Autore delle relazioni, infatti,
è Ignazio Silone…Ci preme ricordare quanto la ricerca era riuscita ad
appurare:

Silone avviò il rapporto di collaborazione…nel 1919…

….

89
Chiara Valentini, Una spia, minuto per minuto, L’Espresso, 10 giugno 1999

51
e. la attribuzione è inoltre confermata dalla presenza di Silone in
ciascun luogo di provenienza..”90

Armando Torno in L’Unità

“ La biografia di Ignazio Silone si è tinta di giallo. Anzi si è trasformata


in una storia inquietante, a puntate, con colpi di scena …. Anni di
ricerche, oltre un centinaio di pagine di documenti riportati per provare
che l’autore di Fontamara fu una importante spia all’interno
dell’organizzazione comunista. ….. con questo libro si evidenzia il
collegamento dei tasselli del mosaico. … Dall’altra parte ecco i
documenti, pesanti come macigni, usciti dall’Archivio di Stato, con
elenchi, precisazioni, confidenze dettagliate. … le tesi contenute in
questo libro … non si possono ignorare e non è il caso di continuare
come se nulla fosse successo. … “91

Susanna Nirenstein in La Repubblica

“ … fino a poco tempo fa, ai documenti pubblicati … che testimoniavano


un saldo rapporto di collaborazione … spesso si è risposto arretrando
orripilati, negando la possibilità di ogni colpa. Cosa faranno ora coloro
che definirono i due storici “sciacalli”, e le loro tesi delle “fandonie”?
… Sono documenti inquietanti. Vanno dal 1923 … al 1930. … Professor
Biocca, il libro prova definitivamente che Silone sia stato una spia? “….
Posso dire che è un personaggio che opera enigmaticamente con più
sistemi di valori: è un autentico comunista e un convinto informatore. E’
doppio. …. “92

Adriano Sofri in La Repubblica

90
Biocca Dario, Canali Mauro, L’informatore: Silone i comunisti e la polizia .pp.13-25.
91
Torno Armando “Silone, spia dei fascisti. Un giallo.” Corriere della Sera, 25 marzo 2000
92
Nirenstein Susanna, Silone la spia schiacciata dalle prove, La Repubblica, 29 marzo 2000

52
“ … il “caso Silone” è una catastrofe italiana … un doloroso cimento
della morale italiana del passato prossimo, e soprattutto del presente. …
Un rovello speciale sta nel rapporto personale e pressoché esclusivo che
il Silone “informatore” tenne con quell’alto funzionario di polizia,
Guido Bellone, difficile da spiegare solo in termini di ricatto, o di
interesse …. E tanto meno di doppiezza ideale, cioè di un’impensabile
adesione occulta di Silone , se non al fascismo, all’ordine costituito … le
rivelazioni su Silone sembrano non solo verosimili, ma quasi ovvie e
attese. Le vecchie osservazioni più penetranti dei suoi critici, riflette ora,
sembrano averne intuito quel fondo fangoso e nascosto … Si rilegge
Silone, e si pensa: ma come non essersene accorti, non ha fatto altro che
parlare di questo …”93

Enzo Bettiza in La Stampa

“Dopo aver letto attentamente capitolo per capitolo, nota per nota,
documento per documento il tedioso e spesso ambiguissimo libro
“L'informatore: Silone, i comunisti e la polizia”, compilato con
ostentata neutralità rivelatoria da Dario Biocca e Mauro Cianali, devo
dire che tutta questa loro puntigliosa caccia archivistica alla spia mi ha
lasciato quanto mai perplesso e dubbioso. Già Benedetto Croce usava
osservare che ogni ricercatore trova negli archivi soltanto quello che
desidera trovare. … Caratteristica precipua di questi «documenti» é la
loro piattezza, innocuità, genericità, pleonasticità. … Por contro le
«informative» attribuito a Silone dagli autori non sono corto all'altezza
della posiziono sempre più elevala che il giovane dirigente andava
assumendo nelle varie nomenclature comuniste del tempo … si possono
rintracciare nomi di famosi dirigenti komintemisti continuamente
trascritti in forma errata … Silone evidentemente era una curiosa spia
che sapeva bene come, quando e dove proteggere coloro che fingeva di
denunciare … Alla fine dei conti, anche ammesso e non concesso che
Silone fosse stato un informatore, quale profitto o risultato concreto egli
avrebbe mai tratto dalla sua sotterranea attività? … Non s'era ancora

93
Sofri Adriano, Il caso Silone nell’Italia dei delatori, La Repubblica, 15 aprile 2000

53
visto, nella storia dello spionaggio politico, un personaggio così
inutilmente generoso, così futile, così gratuito, e così fallimentare. In
senso tecnico, una nullità assoluta. In senso personale, un francescano
scalzo. Poteva ma essere questo il terroso romanziere di Fontamara e il
lucido memorialista dell’Uscita di sicurezza? Un grafomane svitato, un
demone meschino, intento a scriver vacue lettere anonime a una piccola
questura mediterranea? … “94

Giorgio Bocca in L’Espresso

“… Per chi è passato per un antifascismo militante, il doppio gioco di


Silone è ripugnante, inconciliabile con l’etica … Una doppiezza
inaccettabile che tradisce chi ha fiducia in te e colpisce subdolamente i
tuoi compagni … che cosa può aver spinto uomini come Silone a tradire
nella maniera più bassa della spia? I moventi … Uno è la vendetta … un
altro movente può essere una sorta di volontà di onnipotenza …. Oppure
la tentazione della doppia assicurazione …. Nel caso di Silone si
potrebbe propendere per una forma di schizofrenia comprovata dal fatto
che nell’esilio svizzero sentì il bisogno di andare in cura da Jung, segno
che si sentiva dominato da un patologico sdoppiamento …”95

Eugenio Scalfari in L’Espresso

“… si è svolto pochi giorni fa un convegno a Napoli che ha radunato il


partito degli innocentisti composto – vedi caso – dai più accesi
anticomunisti di allora e di oggi, i quali dell’innocenza di Silone fanno
una sorta di dogma nel timore (peraltro peregrino) che una sua

94
Bettiza Enzo, Silone, una spia per pettegoli, La Stampa, 15 aprile 2000
95
Bocca Giorgio, L’Espresso, 4 maggio 2000

54
colpevolezza spionistica possa indebolire “ex post” la loro sacrosanta
denuncia dei crimini del comunismo…”96

Adriano Sofri in L’Unità

“ Le osservazioni di Bettiza e Tamburrano sulle trascrizioni grossolane


di nomi nei rapporti sono fondate, ma non hanno le conseguenze che
essi ne traggono … L’argomento degli errori nei nomi (Rakoci-Rakosi
ecc.) mi pare difficile da piegare alla paternità non siloniana: se si tratta
di trascrizioni poliziesche, gli errori non sono significativi; se si tratta di
autografi siloniani, sono irrilevanti. … Silone, secondo questi
documenti, era un militante antifascista e comunista che si trascinava
dietro il peso di un precoce e torbido compromesso con la polizia. Non
era un a spia: fece la spia. Si deve tornare al movente possibile di quella
collaborazione. Il rapporto «deamicisiano» con Bellone sarebbe sì un
gran pezzo di spiegazione. Allo stato degli atti non sembra utilizzabile.
Più in generale, esplorare il movente originario del «compromesso » è
essenziale e impossibile. Si possono raccogliere indizi, n on venirne a
capo. E alla fine si dovrà ammettere che la «spiegazione» più
significativa, benchè non la «vera», è quella che Ignazio Silone ha
disseminato nelle sue opere. … Ho citato altrove «Pane e vino». … Sono
pagine decisamente dostoevskiane … Silone l’ha tenuto al di qua delle
delazioni effettivamente efficaci e gravi. Ha menato il can per l’aia. A
me pare purtroppo ch e non sia così. Silone avrà tentato di farlo. Ma le
notizie infami ed efficaci ci sono.”97

Sempre nel 2000 la rivista Liberal pubblica, a cura di Canali, un allegato contenente
una raccolta di documenti, trentasei pagine autografe contenenti trentasei distinte
informative, stese a Genova, tra il 21 e il 22 aprile del 1923, da Silone in persona, alla
presenza dello stesso Bellone, che le avrebbe poi inviate al questore di Roma, Cesare
Bertini.
96
Scalfari Eugenio, L’Espresso, 11 maggio 2000
97
Sofri Adriano, Silone confessò nei suoi romanzi, L’Unità, 15 maggio 2000

55
Armando Torno in Corriere della Sera

“I manoscritti autografi delle relazioni fiduciarie di Ignazio Silone alla


polizia fascista … sono stati ritrovati in questi mesi …. Secondo Canali,
questi documenti autografi (tali li ha riconosciuti anche il nipote dello
scrittore, Romolo Tranquilli) «chiudono la polemica e provano che
Silone ha compiuto gesti infami»98

Dario Fertilio in corriere della Sera

“ … lo storico Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione


Nenni, aiutato da due ricercatori, Giovanna Granati e Alfonso Isinelli,
non ha esitato dall’inizio a prendere le difese di Silone. Lo ammette lui
stesso; «Il libro nasce dal fatto che istintivamente, come Montanelli,
Bettiza, Bobbio o lo scomparso Herling, ho rifiutato l’accusa rivolta a
Silone, e ho ritenuto che il mio rifiuto dovesse essere corroborato dalle
prove». Va da sé che i difensori di Silone sono convinti di poter
smontare tutte le tesi probatorie dell’accusa, riabilitando pienamente la
figura dello scrittore. Non si tratta di una battaglia combattuta
esclusivamente sui documenti: Tamburrano tiene a precisare che molti
argomenti sono, squisitamente «logici» … Fra le considerazioni centrali
del libro bianco c’è poi, per esprimerci con linguaggio processuale, la
mancanza di un plausibile movente: perché Silone avrebbe dovuto
diventare spia nel 1919, quando i socialisti sembravano destinati a
conquistare il potere, e confidandosi poi a un piccolo funzionario della
Questura di Roma? Perché avrebbe dovuto restare, paradossalmente,
fedele a Mussolini nell’ottobre del 1924, quando il Partito fascista
sembrava in ginocchio dopo il delitto Matteotti? … Naturalmente,
nemmeno in calce a questo libro bianco si potrà scrivere davvero la
parola fine … “ ”99

98
Torno Armando, Ecco le prove: Silone spia della polizia fascista, Corriere della Sera, 17 giugno 2000
99
Fertilo Dario, Silone. In difesa di un povero cristiano, corriere della Sera, 2 settembre 2000

56
Susanna Nirenstein intervista Darina Silone in occasione del convegno internazionale
tenuto a l’Aquila dal 29 aprile al 1 maggio 2001.

“…per la prima volta ci saranno veramente tutti: i critici letterari, gli


studiosi di totalitarismo, gli storici Dario Biocca e Mauro Canali che
hanno scoperto come l’uomo per decenni riconosciuto un maestro di
rigore, di antifascismo e di antistatalismo sia stato dal 1919 al 1930, e
dunque anche mentre era uno dei massimi dei dirigenti del PCd’I, un
informatore della polizia del regno e poi dell’Ovra. Ci saranno infine gli
irriducibili: quelli che, contro ogni evidenza, non vogliono credere che
Ignazio Silone sia stato una spia….Ora però mi deve dire cosa pensa del
Silone informatore della polizia uscito dalla ricerca di Biocca e Canali.
--- Al principio ero inorridita, mi sembrava impossibile. Poi lentamente
ho cambiato idea. …Penso che Biocca e Canali siano due storici che
hanno trovato dei documenti importanti, e non metto in dubbio
l’autenticità dei documenti né l’impegno di ricerca degli studiosi. Credo
però che l’interpretazione delle carte sia ancora da discutere. Perché la
motivazione di Silone non mi è chiara…..Voglio dire che i documenti da
soli non spiegano…”100

Nell’aprile 2001 viene pubblicato il libro Processo a Silone. La disavventura di un


povero cristiano a cura di Giuseppe Tamburrano, Gianna Granati e Alfonso Isinelli. Gli
studiosi si propongono di smontare le tesi accusatorie verificando l’effettiva coincidenza
della presenza di Silone nei tempi e nei luoghi da cui provenivano le informative alla
polizia politica negli anni 1923-1928.

“Gli autori del libro,[il riferimento è al testo L’informatore..] invece,


sostengono che la presenza di Silone in un luogo coincide con l’arrivo di
notizie da quel luogo: ergo l’autore è Silone. … ad un attento riscontro,
risulta che le relazioni, …. Non coincidono con la presenza di Silone
nella località. … Un’altra affermazione che non trova conferma è quella

100
Nirenstein Susanna, Silone, il lato oscuro di mio marito, Repubblica, 27 aprile 2001

57
secondo la quale arrivano da Silone informative su ogni riunione alla
quale egli partecipa … “101

Il libro contiene anche i risultati di una perizia calligrafica riguardante i manoscritti


utilizzati da Canali; la perizia esclude che siano attribuibili allo scrittore abruzzese.
Nonostante le attese degli autori di un “contro-scoop”, il libro bianco non ottenne un
grosso risultato come riconosce lo stesso Tamburrano

“Il nostro «libro bianco» … è caduto quasi nel vuoto.102

Il libro Bianco che scagiona Silone in L’Unità

“….Tamburrano , insieme ad altri due studiosi, Gianna Granati e


Alfonso Isinelli, hanno condotto una ricerca tra le carte dell’Archivio
Centrale dello Stato e hanno trovato le –prove- che scagionano
completamente Silone…La ricerca è ora diventata un –libro bianco-
….Sulla base di - numerosi riscontri documentali e di perizie -, gli autori
della ricerca si sono convinti dell’innocenza dello scrittore….-confutano
una per una- tutte le accuse a Silone di essere stato, tra il 1923 e il 1930,
una spia dell’Ovra. L’unico elemento che è confermato è il tentativo di
aiutare il fratello Romolo….”103

Gaia Cesare in Il nuovo.it

“Confermo l’attribuzione a Ignazio Silone di tutti i documenti presentati


da me e da Mauro Canali. …. Il professor Tamburrano, sulla base di ciò
che ho letto, mette in evidenza alcuni punti dei documenti inviati da
Silone all’ispettore Bellone, ma non quelli che consentono di attribuire
con certezza a Silone quelle informative…….C’è la dichiarazione di un

101
Tamburrano Giuseppe, Processo a Silone, pp. 90-92
102
Tamburrano Giuseppe, Il caso Silone, pag.37
103
Il libro bianco che scagiona Silone, L'Unità, 27 aprile 2001

58
perito che io non so chi sia, ma posso assicurare che tutti i documenti
sono stati da me e dal mio collega Mauro Canali già ampiamente
controllati…”104

Silone-perizia calligrafica lo scagiona adnKronos

“Una perizia calligrafica scagiona Ignazio Silone dall’accusa di essere


stato un informatore della polizia politica fascista e
dell’Ovra….L’indagine scientifica è stata compiuta dalla dottoressa
Anna Petrecchia, consulente perito del Tribunale civile e penale di
Roma, che ha messo a confronto documenti manoscritti anonimi del
1923 attribuiti a Silone con altri scritti di pugno dallo scrittore
abruzzese….”105

Bruno Gravagnuolo in l’Unità

“….Dunque ad oggi, son tre gli schieramenti. Innanzitutto i colpevolisti,


tra cui si annoverano presenze illustri, da Scalfari a Bocca, a Sofri.
….essi hanno più o meno sottoscritto l’ipotesi dell’infiltrato Silone.
Ritratto sul filo di un movente ambiguo e scivoloso, come eroe negativo
dostoevskjano. Scisso e sospeso tra bene e male in tempi di ferro e di
fuoco e pervaso da sensi di colpa kafkiani, come trapelerebbe anche dal
personaggio del Murica…Poi ci sono i –riduzionisti- come Bobbio e lo
storico Mimmo Franzinelli…Infine i –negazionisti- : Bettiza e
Montanelli…E arriviamo alla contro-istruttoria, al volume di
Tamburrano, Granati e Isinelli….Vediamo le controprove. Prima di tutto
sostengono gli autori, manca un movente vero…..Poi non c’è traccia
documentale di un rapporto –operativo- tra il Commissario Bellone e
Silone, nei dieci anni antecedenti alla lettera del…1930….Altro
elemento: il parallelismo tra gli spostamenti di Silone e le informative

104
Gaia Cesare, Il "libro bianco" scagiona Silone, Il Nuovo.it, 28 aprile 2001
105
Silone non era una spia dell'Ovra, una perizia calligrafica lo scagiona, Adnkronos libri, 28 aprile 2001

59
giunte alla polizia: Parigi, Roma, Barcellona, Milano, Berna. Questo
parallelismo non c’é….”106

La gazzetta del Mezzogiorno

“..in occasione della presentazione del –Libro bianco- ….alla


conferenza stampa era presente anche la vedova dell’autore di
Fontamara, Darina Laracy Silone, che proprio ieri aveva rilasciato
un’intervista alla –Repubblica- in cui sosteneva l’autenticità delle carte
compromettenti sul romanziere portate alla luce in questi anni….”Per
me è innocente” si è limitata a commentare in quella sede la signora
Silone…..”107

Corriere della sera

“….La tesi innocentista … si basa su tre pilastri. Primo: la perizia di


Anna Petrecchia…-L’impostazione della scrittura, lo sviluppo del
curvilineo, le dimensioni, la pendenza assiale delle lettere, i
collegamenti tra le lettere.. Tutto è diverso dagli altri autografi di
Silone. L’uomo che scrive a Genova unisce persino le parole tra loro
con un segno. Sono due persone diverse-… Secondo punto .. Una lettera
di Paola Carucci, direttrice dell’Archivio centrale di Stato, in cui si
certifica che né lo pseudonimo usato da Silone(Silvestri) né il cognome
letterario di Silone né il vero cognome dello scrittore, Tranquilli,
risultano nella rubrica speciale dell’Ovra. Terzo punto. Tamburrano,
Granati e Isinelli accusano Biocca di aver inventato di sana pianta, in
un articolo …la parte finale della lettera del 13 aprile 1930 con cui
Silone sospese le sue –informative- alla polizia fascista.”108

Corriere della sera

106
Gravagnuolo Bruno, L'imputato Ignazio Silone è innocente, L'Unità, 28 aprile 2001
107
R.Cult., Silone delatore? Ma le lettere non le scrisse lui, La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 aprile 2001
108
P.Co., Silone spia? Il perito nega, la vedova riconosce la grafia, Corriere della sera, 28 aprile 2001

60
“Lo storico Mauro Canali arriva con nuovi documenti su Ignazio Silone.
Ma gli irriducibili difensori dello scrittore gli gridano che sono
spazzatura, cartacce senza valore….Canali… dice di aver trovato negli
Stati Uniti nuovi argomenti in grado di dimostrare la collaborazione
dell’autore di Fontamara con la polizia fascista. Alla fine della seconda
guerra mondiale, gli americani impacchettarono migliaia di documenti e
se li portarono via…c’erano i fascicoli recuperati dall’Alto
Commissario…Quei fascicoli si riferivano a 815 informatori della
polizia…Il numero 73 corrisponde al nome Silvestri, pseudonimo dietro
il quale si nascondeva Silone…La decisione di invitare al convegno
Canali e l’altro cacciatore di documenti, Dario Biocca, ha provocato
lacerazioni fra gli organizzatori….Il problema, secondo lui, (Biocca)
non è trovare una risposta al quiz –spia o non spia?- dal momento che le
carte parlano chiaramente di una forma di collaborazione con la polizia.
Lo sforzo da fare è sbirciare nell’intimo, capire i tormenti di
Silone….Ma i siloniani di ferro...non vogliono sentir ragioni. –Una
vergogna –strilla nel microfono Maria Moscardelli, pronipote di
Silone……Un altro pronipote, Pompeo Tranquilli –fremente di
indignazione- giudica un’offesa …aver invitato Biocca e
Canali….Ancora più accalorato, Francesco Sidoti, docente
universitario, irride Biocca e Canali con insulti e sarcasmi….”109

Pierluigi Battista in Panorama

“…..Dario Biocca e Mauro Canali, gli storici che con scrupolose


ricerche d’archivio hanno portato alla luce un’ingente mole
documentaria sui rapporti tra Silone e un funzionario della polizia
politica, sono stati coperti di improperi, trattati alla stregua di volgari
manipolatori e di professionisti della disinformazione, portati davanti al
tribunale dell’opinione pubblica come infangatori recidivi della
memoria di un grande scrittore e di un grande intellettuale…..è apparso
un libro … di Giuseppe Tamburrano, il direttore della Fondazione

109
Nese Marco, Silone spia? Vedi il fascicolo 73, alla voce Silvestri. Lo storico Canali torna dagli Stati Uniti
con nuove rivelazioni, gli eredi si ribellano, Corriere della sera, 3 maggio 2001

61
Nenni che sembra aver fatto della guerra ai due studiosi un punto
d’onore e che copre Biocca e Canali di improperi….Il paragone usato
da Tamburrano per definire il lavoro dei due storici è nientemeno quello
di –Vishinskij e i suoi collaboratori che sono riusciti a fabbricare da
piccole tessere il mosaico delle accuse dettagliate (ma false) contro gli
avversari politici di Stalin nei processi di Mosca…..”110

Robinio Costi in L’Opinione

“…scandalismo mirato a dipingere Silone come una spia-doppia fin da


giovane e per tutto il periodo della sua attività di comunista cospiratore.
L’accusa è, a dir poco, mostruosa….Da scoop giornalistico e di
magazine domenicale, Dario Biocca e Mauro Canali, autori delle citate
ricerche, hanno elevato la questione a livello di dignità storiografica,
basando la validità delle proprie conclusioni su una assai forzata prova
logica ricavata da documenti reperiti presso l’Archivio Centrale dello
Stato….Di contro, gli studiosi Gianna Granata e Alfonso Isinelli,
insieme al Prof. Giuseppe Tamburrano, si sono proposti di smontare una
per una tutte le accuse mosse a Silone. L’esito di tale lavoro….dimostra,
a me pare irreversibilmente, la mancanza di un benché minima prova
oggettiva a supporto dell’infamante accusa….Ora, il –caso Silone- è
purtroppo destinato a restare sconosciuto presso il grande pubblico.
Non v’è dubbio, infatti, che presso la società civile l’inchiesta Bocca-
Canali abbia prodotto delusioni profonde e acute lacerazioni,
dividendola tra innocentisti e colpevolisti, come spesso avviene per
sentenze scaturite da grandi processi….non è tollerabile che quanti,
soprattutto giovani, si troveranno in un futuro prossimo a leggere o a
studiare i libri di Silone possano essere influenzati negativamente dalle

110
Battista Pierluigi, Prove di intimidazione. Tamburrano contro Biocca e Canali. Mentre la vedova
Silone..., Panorama, 16 maggio 2001

62
accuse mossegli e non dimostrate, conservando perciò un’immagine
menomata del suo messaggio e del suo esempio di vita….”111

Francesco Sidoti su Mondo Operaio

“Il caso Silone può essere considerato sotto molti profili. Innanzitutto,
un profilo è preminente: i documenti. Quasi tutti quelli che hanno preso
per buona la ricostruzione di Biocca e Canali hanno sottolineato la
sacralità del documento, anzi il documento per eccellenza, il documento
d’archivio, vera pepita aurea, riportata eroicamente alla luce dalle
profonde e tenebrose viscere dell’oblio….Per alcuni ci sarebbero
dunque in campo due opposti schieramenti: quelli che credono nei
documenti e quelli che, -oltre a ogni ragionevolezza, sono pronti a
difendere a oltranza, come un’icona sacra, il ricordo e l’immagine di
integrità che Silone ha saputo costruire”. Il volume di
Tamburrano….sicuramente va oltre questa contrapposizione: è fondato
sui documenti….Le conclusioni di Tamburrano derivano da ricerche in
archivio, lunga ed attenta analisi….In particolare, per Tamburrano:

1. Canali e Biocca hanno in parte inventato cose che non esistono,


ad esempio manipolando o interpolando i documenti.

2. Hanno erroneamente interpretato come indizi, fatti realmente


avvenuti, ma che possono essere spiegati in molyi altri modi.

3. Ogni ricerca di riscontri indebolisce, invece che rafforzare, la


loro infondata ipotesi.

4. Esperti e testimoni in numero schiacciante offrono valutazioni


contrarie a quelle da loro sostenute.

111
Costi Robinio, Smontate una per una le accuse di collaborazionismo a Ignazio Silone, L'Opinione, 23
giugno 2001

63
5. Alcune insinuazioni mettono in grave dubbio l’imparzialità e la
lealtà della loro ricerca.

6. E’ del tutto fenomenale una ricostruzione stracolma di errori,


manipolazioni, insinuazioni, illazioni, invenzioni, divinazioni,
pseudo-indizi, contraddetta da esperti e testimoni, platealmente
inverosimile, infine, per certi aspetti, millantatrice e
sleale…..” 112

Mimmo Franzinelli in Corriere della sera

“….Giuseppe Tamburrano, chiese al sovrintendente all’Archivio


centrale dello Stato…se nome e numero risultassero nel registro,
ricevendo l’8 giugno 2000 risposta negativa…..Oggi l’analisi della
rubrica evidenzia che in essa furono inclusi i soli confidenti operativi
dalla seconda metà degli anni Trenta sino al 1944. Per il periodo
precedente esisteva una rubrica simile, distrutta contestualmente
all’approntamento del nuovo elenco. L’assenza di Silone dimostra
soltanto che, negli anni Trenta, egli non era confidente della polizia:
elemento fuori discussione, considerato che il rapporto col commissario
Bellone cessò l’aprile 1930….E’ un caso che due dirigenti comunisti di
spicco come Silone e Sachs abbiano entrambi gestito per un periodo non
breve rapporti occulti con le strutture segrete fasciste?....”113

Maria Moscardelli in Corriere della Sera

“…lo storico Mimmo Franzinelli, ritornando sul vecchio scoop Silone-


informatore della polizia fascista, afferma, invero con una terminologia
più blanda di quella cui si avevano abituato Bocca e Canali, che Silone

112
Sidoti Francesco, Un'investigazione all'italiana: il processo a Silone, Mondo Operaio, luglio 2001
113
Franzinelli Mimmo, Silone non figura nell'elenco ma c'era in un altro quaderno, Corriere della sera.
25 maggio 2002

64
aveva - gestito per un periodo non breve rapporti occulti con le strutture
segrete fasciste -. E’ di nuovo una denuncia senza prove a sostegno di
una tesi precostituita? No, Franzinelli esibisce un dato inoppugnabile:
Silone non appare nella rubrica speciale annotata dai capi della polizia
Bocchini e Senise in cui, come dice, erano inclusi solo gli informatori
operativi negli anni Trenta, perché Silone appariva nella rubrica che
annotava gli spioni del periodo precedente, rubrica distrutta…..Cioé,
siccome Silone non c’è nella rubrica che esiste, quindi c’è nella rubrica
che non esiste. E’ perciò affermato il principio per cui l’assenza da una
rubrica ….esistente dimostra in maniera apodittica la presenza in una
rubrica assente…”114

Dario Fertilio in Corriere della Sera

“Ignazio Silone, ormai, è un caso anche per l’America. Tre riviste


d’Oltreatlantico si occupano di lui…. Respingendo le accuse di chi lo
vorrebbe compromesso con la polizia di Mussolini…..Deboli le prove a
suo carico, secondo Weaver, che giudica –convincente- la tesi
innocentista di Tamburrano. Del resto né lui né altri letterati americani
che prendono posizione sull’affare Silone, danno credito alle prove di
spionaggio…..”115

Luciano Canfora in Calendario del popolo

Di questo auto-revisionismo post-comunista ha beneficiato


postumamente e imprevedibilmente Ignazio Silone. Quando, infatti, sono
diventati inoppugnabilmente chiari e univoci i documenti che

114
Moscardelli Maria, Il caso Silone, Corriere della sera, 28 maggio 2002
115
Fertilio Dario, Silone in America: come si traduce la parola "revisionista", Corriere della sera, 10 luglio
2002

65
dimostravano che Silone (Secondino Tranquilli) era stato in realtà (sin
dal 1919!) l'informatore di questura "Silvestri", la scoperta compiuta da
alcuni egregi studiosi (Canali ecc.) è stata accolta con duplice
imbarazzo: la destra cosiddetta "intelligente" si è profondamente irritata
e si è attestata sul negazionismo puro e semplice (valga per tutti
Montanelli che ha proclamato: "non ci crederò mai!") mentre i post-
comunisti non hanno neanche osato dire (forse al più mormorare) la
parola che qualunque persona dabbene si aspettava: "Ecco chi era
Silone, il nostro fustigatore "libertario" osannato ad nauseam dagli
anticomunisti di tutte le risme!".

È un caso molto istruttivo, anche perché negazionismo isterico e sordina


imbarazzata hanno dato vita ad un fenomeno assolutamente nuovo nel
panorama fino a quel momento conosciuto: quello che potrebbe definirsi
il fenomeno del revisionismo istantaneo…… La documentazione relativa
a Silone mostrava, inoltre, che dunque quella perenne opera di
infiltrazione che aveva generato l'ossessione staliniana del "tradimento"
non era poi così campata in aria, visto che uno come Silone, giunto ai
vertici dell'organizzazione comunista italiana e non solo italiana, era
stato in funzione di spia al servizio della polizia addirittura da ben
prima che il fascismo giungesse al potere e, ancor più, durante il
fascismo. Per la comprensione della storia dei partiti comunisti, del loro
operare, delle loro durezze e "ossessioni", quell'episodio aveva
un'autentica rilevanza storiografica.”116

Mauro Canali in Liberal

“La querelle su Ignazio Silone collaboratore della polizia fascista stenta


a trovare tra gli avversari di questa verità una replica di alto profilo
interpretativo. Sembra che il mediocre livello imposto al dibattito dai
«negazionisti» della «prima ora» sia riuscito a inibire o a condizionare
le successive riflessioni di una intera scuola storiografica, la cui inerzia
appare aggravata dall'abitudine a indagare la storia ricorrendo ai

116
Canfora Luciano, Revisionismo diffuso, Calendario del popolo, 2002

66
propri schemi ideologici piuttosto che alle carte. Siamo, tuttavia,
dell'opinione che vi siano cause più profonde che concorrono a ciò. Più
in generale, da diversi anni si è ristretto a sinistra lo spazio per
contributi critici alla storia del ventennio fascista e della Resistenza;
essi vengono in genere misurati in base alla loro complementarietà nei
confronti degli schemi storiografici consolidati; ed è battaglia quando si
insinua tra le anacronistiche ma ancora autorevoli vestali
dell'establishment storiografico ii sospetto che possa trattarsi di
contributi che direttamente o indirettamente servano a legittimare
ideologie avverse… Nella guardia all'ortodossia storiografica si
distingue la rete degli Istituti storici della Resistenza e le varie e
variegate Fondazioni a essi legate, meritori in passato per un'attività di
ricerca che ha dato talvolta ottimi risultati, ma da un decennio in
evidente difficoltà a rinnovare studi e compiti istituzionali. Sul «caso
Silone», mentre la storiografia di sinistra più innovativa ha taciuto, a
dare il tono alla polemica sono stati i rappresentanti dì quella sinistra
storiografica più legata al passato, con il risultato che il dibattito sul
«caso Silone» sembra destinato a rimanere prigioniero di una logica da
scontro frontale dove si tende a valutare le novità storiografiche presenti
in esso col metro della opportunità politica…. Cosa è invece avvenuto in
Italia, dopo il gran baccano sollevato dagli improvvisati difensori
silonisti, e, soprattutto, cosa hanno prodotto nel corso della querelle
quegli ambienti culturali progressisti a cui spettava il compito, per ovvi
motivi, di confrontarsi in profondità con tali novità…… si è consentito in
definitiva che una vicenda di grande rilievo per la storia della nostra
cultura politica e letteraria venisse gestita da Tamburrano, con la
facilmente prevedibile conseguenza della scivolata progressiva nel
grottesco, prima con il ricorso a una perizia calligrafica degli autografi
siloniani da noi pubblicati per liberal nel giugno del 2000, e con
l'affidamento del delicato ruolo di giudice a una tecnica di parte, sui cui
risultati abbiamo preferito tacere per tenerci lontani da un'assai
prevedibile rissa grafologica, e poi con l'entrata in campo di quel tal
Francesco Sidoti, un criminologo tanto a digiuno di storia quanto

67
agguerrito nel turpiloquio, che ha trovato persino ospitalità da parte del
direttore di Mondo Operaio…..”117

Simonetta Fiori in La Repubblica

“Ed egli si nascose è il titolo d' un lavoro teatrale scritto da Ignazio


Silone negli anni della guerra. Una storia di doppia identità - quella
narrata dall' autore - nella quale non è difficile trovare spunti
autobiografici. Come se la dimensione sotterranea ed occulta fosse per
lui una cifra irrinunciabile. Ad arricchirne la complessità - dopo le
rivelazioni sull' attività spionistica svolta fino al 1930 a vantaggio della
polizia fascista - ecco un nuovo e significativo capitolo, ambientato
proprio nella tragedia bellica. Ancora una volta Silone si nasconde
dietro una maschera, collaboratore in Svizzera tra il 1942 e il '44 dei
servizi segreti americani…..”118

Massimo Teodori in Il foglio

“ E’ divenuto uno sport “politicamente corretto” sparare su Ignazio


Silone e sui soldi americani che l’intellettuale avrebbe preso. Qualche
giorno fa Simonetta Fiori ha lanciato su la Repubblica (2 aprile 2003)
l’ultima bordata - a salve - facendo riferimento a una relazione di Paolo
Ferrari (su Silone e l’Oss) al convegno di Milano “Come conoscere il
nemico”. Non conosco la relazione ma. ho letto l’articolo della Fiori,
infarcito di luoghi comuni volti a squalificare la figura di Silone quale
presunto spione prezzolato dagli americani….”119

Fabio Sindici in La Stampa

117
Canali Mauro, I negazionisti, Liberal, marzo 2003
118
Fiori Simonetta, Così l'esule Silone riceveva i soldi dai servizi americani, la Repubblica 2 aprile 2003
119
Teodori Massimo, Non sparate su Ignazio Silone, esule simbolo dell'anti-totalitarismo, Il Foglio, 10
aprile 2003

68
“Lo facevano per soldi, per avventura, per gusto del doppio gioco.
Qualche volta per motivi ideologici; più spesso perché erano ricattati.
La figura dello scrittore prestato ai servizi segreti si muove in genere tra
le ombre della letteratura anglo- sassone, con casi esemplari come
quello di Graham Greene. Ma anche il mondo culturale italiano del
ventennio fascista rivela angoli oscuri pieni di spie, fiduciari e
confidenti. E quello che sorprende sono le dimensioni….Canali …ora sta
per consegnare al Mulino le bozze di un altro saggio…. Nel saggio ci
sono anche nuovi documenti su Silone…. Ma cosa spingeva gli
intellettuali tra le braccia dell'Ovra e delle altre polizie?.... «Silone,
direi, non era né comunista né un informatore di vocazione. Nel '19 era
stato arrestato e intimorito. Dopo le prime soffiate viene probabilmente
ricattato. Poi aveva spesso bisogno di soldi. Con l'ispettore Bellone si
creò uno strano rapporto di dipendenza, mista a rispetto, simile a quella
che poi verrà chiamata "sindrome di Stoccolma »"120.

“«…..E credo che questo metta la parola fine alla vicenda di Silone
informatore». Secondo la ricostruzione di Canali, Tranquilli cessa di
essere un confidente della polizia fascista nell'aprile del 1930, quando è
in Svizzera. Poche settimane dopo, lascia anche il Partito comunista, va
in terapia da Cari Gustav Jung per curare la sua depressione. E
scrive….Sembra diventato un personaggio di Pirandello, Ignazio Silone.
Una, nessuna, centomila identità. Con carte che continuano ad uscire
dagli archivi. Nome anagrafico Secondino Tranquilli; nome in codice
per la polizia politica, Silvestri, numero: 73. Più tardi arriva il nom de
plume di Ignazio Silone….Tornano anche le carte, messe online nel 2000
dallo storico svizzero Peter Kamber, sulla collaborazione di Silone con l'
Oss, l'Office of Strategie Services, il servizio segreto americano

120
Sindici Fabio, Con Silone, tutti all'Ovra, La Stampa, 14 aprile 2003

69
precursore della Cia. Le utilizza ampiamente Dario Biocca nella sua
nuova biografia dello scrittore….”121

Piero Craveri in Il sole 24 Ore

“Mauro Canali è studioso dotato per la ricerca storica, procede con


acribia e minuzia. Singolare è che i suoi personaggi siano sempre dei
deviatiti, o presunti tali….. Quando si è occupato di un eminente
antifascista, Ignazio Silone, ne ha fatto un fascista. L'occasione è stata
un fascio di documenti, su cui ha lavorato assieme allo studioso Dario
Biocca. Caso interessante che ha sollevato clamore Le fonti d’archivio,
a un attento esame sono state utilizzate sulla base di una parziale
ricostruzione dei fatti e confronto con altre fonti necessarie,
l’interpretazione psicologica, con riferimento a fonti letterarie, è stata
alquanto dilettantesca,. la conoscenza del contesto politico manchevole.
Non che fosse facile, ma la pratica del dubbio è essenziale nel mestiere
dello storico, e pregiudiziale alla ricerca dello scoop…. Canali replica
ora nel suo poderoso volume Le spie del regime (il Mulino, Bologna
2004, pagg. 864, € 40,00), producendo un ulteriore documento. Ma non
ne discute il contenuto, non contestualizza, non passa cioè dal punto di
vista, che gli è congeniale, di sostituto procuratore che indaga su una
Spiopoli antifascista, alla valutazione storiografica….”122

Giuseppe Tamburrano in L’Unità

“Continua l’opera di diffamazione di un grande italiano…..Canali


annunciò nuove rivelazioni. Ora le abbiamo in alcune paginette … del
volume “ Le spie del regime” (Il Mulino 2004)…Ho già notato che il
nome di Silone – Tranquilli non è stato trovato né dall’Alto Commissario
per i reati fascisti, né dalla Commissione mista dei funzionari del
Ministero dell’Interno e dell’Archivio Centrale. Ma l’ha trovato Canali.
In una lista di “Fiduciari diretti del ministero dell’Interno”. Canali ha
iscritto al numero 73… “ Tranquilli Secondino”. Da accurati controlli

121
Sindici Fabio, Le mille identità dell'informatore Tranquilli, La Stampa, 14 aprile 2003
122
Craveri Piero, L'inquisitore della Spiopoli antifascista, Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2004

70
eseguiti da più persone quel nome non c’é. Non credo che vi sia bisogno
di commenti….”123

Mimmo Franzinelli in L’Indice

“Canali ha compresso in Le spie del regime un decennio di studio dei


fondi archivistici del ministero dell’Interno e ha edificato sulle carte di
polizia un’opera imponente…. l’impostazione lascia perplessi.
L’approccio è simile a quello dell’entomologo specializzatosi nella
catalogazione di una tipologia di insetti, dominato dalla volontà di
aggiungere nuovi esemplari al novero delle specie conosciute…. Dopo
un decennio di tambureggiamento massmediatico sul “caso Silone” ci si
attendeva di apprendere finalmente motivazioni, estensione e
conseguenze del rapporto da questi intrattenuto con un dirigente della
questura romana. Nulla di tutto ciò. Veniamo solamente a conoscere lo
scarno testo di una cartolina e di un biglietto: poche righe, dalle quali -
mediante un’interpretazione estensiva, utile in campo giuridico ma
pericolosa se utilizzato dallo storico per emettere sentenze categoriche -
si ricava una serie di illazioni che comprovano il detto di Voltaire sulla
facilità di impiccare una persona a una frase…..”124

Corriere della sera

“Ora all’accusa di spionaggio si aggiungono nuovi risvolti. Ignazio


Silone… secondo Elizabeth Leake, studiosa di italianistica dell’ateneo
californiano di Berkeley, non avrebbe solo passato informazioni sul
Partito comunista, di cui era dirigente, al funzionario della polizia
fascista Guido Bellone, ma avrebbe intrattenuto con lo stesso Bellone
una relazione omosessuale, che sarebbe all’origine dell’intera vicenda.
La tesi, esposta dalla Leake nel libro The Reinvention of Ignazio Silone
(University of Toronto Press) è stata ripresa dal Times Literary

123
Tamburrano Giuseppe, Sotto l'inchiesta niente, L'Unità, 10 dicembre 2004
124
Franzinelli Mimmo, Così fan tutti, L'Indice, gennaio 2005

71
Supplement e contestata dallo storico Giuseppe Tamburrano, già più
volte intervenuto per difendere lo scrittore abruzzese dalle accuse di
delazione mossegli dagli studiosi Dario Biocca e Mauro Canali.”125

Susanna Nirenstein intervista Dario Biocca in La Repubblica

“Dario Biocca, che con Mauro Canali aveva documentato la delazione


alI’Ovra di Silone (L'informatore, Luni), pubblica ora con Rizzoli
Silone, la doppia vita di un italiano (pagg. 380, euro 21, in libreria dal 4
maggio) : un libro che cerca discoprire il mistero di un uomo bifronte,
una biografia complessa che, basandosi su nuove ricerche di archivio, i
lunghi colloqui con la moglie di Silone Darina Laracy, la rilettura dei
romanzi, affronta anche l'intricato intreccio che nella mente di Silone si
stabilì tra politica, spionaggio, sentimenti e produzione letteraria….

«Tamburrano nega ancora l’evidenza. Per molto tempo lui solo ha avuto
accesso a quelle carte, segretate e custodite presso fa Fondazione Nenni,
di cui è Presidente. Adesso però l’Archivio di Stato ha autorizzato la
loro consultazione e sappiamo che nell’elenco dei confidenti dell’ Ovra
c’è il nome di Silvestri, lo pseudonimo che Silone utilizzava nelle
corrispondenze con la polizia: sono documenti che ora ho pubblicatosi
mio libro. In quanto al Gran giurì... non ha senso: l’autenticità di quegli
scritti è già stata ampiamente dimostrata»…..

«Silone era un informatore della Polizia già quando entrò nel Partito
comunista nel l921. Fornì particolari a volte sconcertanti sui comunisti
in clandestinità mentre proseguiva la sua ascesa fino ai vertici del Pci.
Si fermò solo nel 1930, quando fu sopraffatto dal rimorso per l’arresto
del fratello….»

…«Si confessò attraverso i personaggi dei suoi romanzi…»

Ha capito perché divenne una spia?

125
L'ultima ipotesi su Silone: una relazione omosessuale, Corriere della sera, 26 aprile 2005

72
«Non ci fu un motivo. Ce ne furono molti e di natura psicologica prima
che politica. Silone era un orfano, aveva perso i suoi familiari nel
terremoto della Marsica, ed era solo….»

Lei sostiene che il rapporto tra Bellone e Silone fu fondamentale.

«Fu una relazione intensa di protezione reciproca, di complicità, ma


anche di coinvolgimento emotivo da parte di entrambi…..»

Nelle ultime pagine del libro lei sembra quasi alludere a una relazione
omosessuale.

«Dico soltanto che alcuni comportamenti sembrano ancora indecifrabili.


Forse non li comprenderemo mai….»126

Nicola Tranfaglia in L’Unità

“…Successivamente non ci sono state scoperte tali da modificare quel


giudizio anche perché si è potuto successivamente accertare che si trattò
di «rapporti generici in modo disinteressato per aiutare il fratello»
catturato dalla polizia fascista ma questo non è servito a frenare la vera
e propria campagna di stampa a livello nazionale e internazionale
alimentata in un primo tempo dal volume di Biocca e Canali su
L’Informatore: Silone, i comunisti e la polizia edito da Luni e ora
ripreso senza sostanziali modifiche dalla biografia di Biocca pubblicata
dall’editore Rizzoli,

C’è da chiedersi perché? Sulla base di quali elementi si fa di un


episodio, già noto e di per sé non tale da giustificare l’interpretazione
complessiva di uno scrittore di alto livello che fu un profondo innovatore
sul piano culturale?

126
Nirenstein Susanna, Silone il doppio, Repubblica, 29 aprile 2005

73
L’interrogativo si lega al problema che allo storico spetta non solo
ritrovare ma anche valutare i documenti di archivio e inquadrarli
all’interno del quadro complessivo che ne deriva….127

Giuseppe Tamburrano in L’Unità

“… Secondo l'autore, Silone, dopo una decina d’anni di inattività


spionistiche, riprende l’antico mestiere passando da una parte all’altra
parte, prima con la polizia politica fascista e poi con i servizi americani.
Insomma Silone che ha avuto una intensissima vita politica e letteraria
si esaurisce quasi tutto nell'attività spionistica, ora di qua, ora di
là…..Invece la nostra ricerca ha avuto un'eco modesta: niente in
confronto all’enorme scoop riservato alla «rivelazione»…..perché Silone
diventa spia?..... Recentemente è stata avanzata una ipotesi: Silone
soffriva di disturbi neuropsichici, di complessi, di tendenze anomale. Fa
capolino una ipotesi interpretativa già adombrata da una scrittrice
americana, Elizabeth Leake: un rapporto omosessuale tra Silone e
Bellone….E così avremmo la risposta all'interrogativo: diventò una spia
non per soldi e non per ragioni politiche: fu «spia per amore». Nel retro
di copertina si direbbe che l’editore ha voluto salvare capra e cavoli ed
ha scritto «La vera storia di un maestro di libertà che per anni collaborò
con la polizia di Mussolini»: cioè Silone fu maestro di libertà che ha
operato per aiutare Mussolini a sopprimere la libertà….Silone è il
bersaglio ideale per gli strali del «revisionismo»: non per nulla le
«rivelazioni» sono apparse su Nuova Storia Contemporanea…..Ed io,
inascoltato, continuo a sottoporre alla verifica di attendibilità quelle
carte (tutte inattendibili) e a chiedere che questa lapidazione
interminabile della verità e dell’onore di Silone abbia una fine, a
chiedere che sia un giurì formato da personalità di alto livello, anche
straniere, che non si sono mai pronunciate né pro né contro, ad

127
Tranfaglia Nicola, Ma un documento non spiega una vita, L'Unità, 11 maggio 2005

74
esaminare le prove e le contestazioni e a dire una parola autorevole,
chiara e definitiva.”128

Il Giornale

“Non serve un giurì d’onore su Ignazio Silone. Lo storico Dario Biocca


respinge la proposta lanciata da un altro studioso, Giuseppe
Tamburrano….Biocca sottolinea come tutti i documenti da lui esaminati
sono ora riprodotti nel suo nuovo libro: «Ciascuno potrà verificare,
riflettere e valutare….»129

Giuseppe Tamburrano in L’Unità

“…La controversia è dunque sul valore probatorio delle carte: una


controversia di carattere para-giudiziario. Io credo che un giurì di
persone indipendenti, padrone della materia storico-archivistica-
giuridica, sia in grado di pronunciarsi in modo più approfondito e
rapido di un Tribunale. Ma se Biocca preferisce la via giudiziaria si
accomodi.

Mi si consenta una replica particolare su un punto preciso che è


illuminante: là dove scrive del n. 73 e del nominativo Silvestri, Biocca
mi accusa di aver occultato («segretato», ha detto in una intervista a la
Repubblica) questa identificazione nelle liste dell’Ovra che sono alla
Fondazione Nenni (Nenni, che fu Alto Commissario, ne conservò una
parte). Quelle liste sono, in originale, depositate presso l’Archivio
Centrale dello Stato e sono liberamente consultabili dal 2002. Biocca
conosce quelle carte e dunque sa perfettamente che la sua accusa è falsa

128
Tamburrano Giuseppe, I nemici di Silone, L'Unità 11 maggio 2005
129
Biocca Dario, Nessun giurì d'onore, Il Giornale, 18 maggio 2005

75
e calunniosa. Se qualcuno se ne vuole convincere vada all’Archivio
Centrale dello Stato, chieda di consultare le carte del Fondo Nenni e tiri
le conclusioni sull’affidabilità scientifica di chi - per colpa di certa,
tanta stampa che gli ha creduto - ha infangato un grande italiano e la
verità”.130

Sebastiano Vassalli in Corriere della Sera

“… Io non ci credo, e credo che per difendere la sua memoria non ci sia
bisogno di prove. Bastano i suoi libri.”131

Bruno Bongiovanni in L’Unità

“…. Che è accaduto? Perché si è diffusa, con tanta eco sui giornali, una
storiografia che ha fatto della delazione, con compiacimento, e con
inevitabili infortuni, il proprio centro? Rispondere a queste domande, e
leggere tale storiografia come un sintomo, darebbe un contributo,
piccolo forse, ma non inutile, alla comprensione di questi ultimi anni che
abbiamo attraversato. È un tema che qualcuno dovrà pur trattare. E che
mi pare più importante del giurì d’onore proposto da Tamburrano, con i
più nobili intenti, su l’Unità. Quel che colpisce è l‘insistenza ossessiva
sulla «scientificità», termine inadatto alla ricerca storica, ivi compresa
quella fondata sul feticistico assolutismo documentolatrico. Solo nella
trouvaille archivistica, non importa se decontestualizzata, non importa
se non confrontata con altri documenti, parrebbe racchiudersi per
alcuni l ’essenza del Verstehen storiografico. Non è così. Il singolo

130
Tamburrano Giuseppe, Ma io insisto, per Silone è meglio un giurì d'onore, l'Unità, 19 maggio 2005
131
Vassalli Sebastiano, Le infamie su Silone, Corriere della Sera, 1° giugno 2005

76
documento non è mai «scienza». Ma un empirico tassello da trattare con
il massimo di acribia.”132

Massimo Teodori in Il Foglio

“E’ fragilissima, anzi inconsistente, l’accusa rivolta a Ignazio Silone


non solo di essere stato da giovane comunista una spia dell' Ovra fino al
1930 (era nato nel 1900), ma anche di avere sempre vissuto
nell’ambiguità e nella doppiezza dello spione…..”133

Pierluigi Battista in Corriere della Sera

“… Massimo Teodori non si dà per vinto e prende a bersaglio l’ultimo


libro di Biocca…. Chi stabilisce se il rinvenimento di documenti che
attestano una più che decennale collaborazione con la polizia deve
considerarsi un gesto culturalmente sconveniente e addirittura
censurabile?

È avvenuto in questi anni attorno al «caso Silone» un fenomeno del tutto


unico e inusitato. Dapprima si è cercato di screditare l’autenticità dei
documenti trovati da Biocca e Canali, poi, di fronte all’inequivocabile
univocità delle testimonianze, si è passati alla critica
dell’interpretazione che di quei documenti hanno dato ì due storici.
Infine si è passati alla pura e semplice intimazione al silenzio (mai
raggiunta, nemmeno dal detrattore massimo del lavoro di Biocca e
Canali, Giuseppe Tamburrano), alla denuncia dell’opportunità di
pubblicare quei documenti. Un accanimento singolare e inspiegabile,
che rivela, un animus censorio davvero sorprendente in chi sinora non

132
Bongiovanni Bruno, Gli archivi non bastano, L'Unità, 5 giugno 2005
133
Teodori Massimo, Chi riaccusa Silone di spionaggio fu molto ideologo e poco fantasioso, Il Foglio, 18
giugno 2005

77
ha mai manifestato ostilità nei confronti della libera ricerca storica. Il
caso Silone perde i suoi contorni specifici e diventa un banco di prova
per capire se in Italia la storiografia può fare il suo lavoro senza
imbarazzanti intimidazioni”134

Sergio Soave in L’Indice

“Pochi libri sono stati tanto attesi quanto questa biografia di Dario
Biocca su Silone….Biocca conferma tutto quanto ha sostenuto in
passato, e cioè che dal 1919 al 1930 (e non tra il ’28 e il ’30, come è
accertato) Silone sarebbe stato un informatore della polizia. E qui
nascono i primi problemi, perché in un’opera che viene annunciata
come una “biografia definitiva”, la conferma di una tesi molto discussa
dovrebbe essere accompagnata da una confutazione serrata di chi la
mette in dubbio. Invece Biocca (come già Canali) sceglie un’altra
strada, quella cioè di ignorare sostanzialmente sia le obiezioni
riguardanti la correttezza dell’attribuzione delle fonti da lui utilizzate,
sia le argomentazioni logiche contrarie alla sua ricostruzione dei fatti.
Tamburrano, Granati, Isinelli hanno analizzato tutti i documenti da lui
utilizzati e smontato, l’assunto del suo primo libro? Biocca non si
scompone e ripresenta la sua tesi tale e quale, senza aggiungere, almeno
in nota, alcuna confutazione chiara di quanto sostenuto dai suoi critici
più ostinati, i quali, per altro, sono citati una sola volta, quasi en
passant. Ora, nel lavoro storiografico, ignorare quanto su un argomento
è stato scritto da altri, specie se in polemica diretta, è sempre un errore.
Si può sostenere, cioè, ogni tipo di tesi, purché si accetti di misurarsi
con gli interlocutori che la pensano diversamente; tanto più quando non
si tratta di interpretazione dei fatti, ma della verifica della validità delle
fonti che sono alla base della ricostruzione dei fatti stessi. Purtroppo,
invece, a chi si sia sottoposto alla lettura incrociata delle due tesi (e non
è -si creda - un’operazione agevole), rimane l’impressione che l’autore

134
Battista Pierluigi, Ma i documenti inchiodano Silone, Corriere della sera, 25 giugno 2005

78
di questo ultimo volume abbia deciso di sottrarsi al confronto. E ciò,
inevitabilmente, aumenta, anziché attutire, i dubbi di chi si ponga, senza
preconcetti o pregiudizi, di fronte all’ipotesi di un Silone che per undici
anni si presta al doppio gioco a danno dei partiti (prima il Psi e poi, e
soprattutto, il PCd’I) nei quali milita….”135

Aldo Forbice in Quotidiano Nazionale

“All’Aquila al palazzo della Regione … non vi è stato un tintinnio di


spade e neanche un incrociarsi di fioretti in occasione della giornata di
stadio intitolata «Silone aveva ragione». Erano stati chiamati a consesso
per iniziativa della Fondazione Silone storici e letterati di diverse
università italiane oltre a numerosi autori di saggi sullo scrittore
abruzzese fra i più conosciuti del mondo («Fontamara» è stato tradotto
in 26 lingue).

Doveva essere anche la prima occasione per un confronto chiarificatore


anche tra i cosiddetti colpevolisti (per la verità pochissimi) e gli
innocentisti (la grande maggioranza degli storici).. Hanno vinto questi
ultimi perché i primi hanno disertato il campo …. Un intervento più
vicino alle tesi Canali-Biocca è stato quello del professor Giulio Ferroni
che si è avventurato nella difesa delle tesi accusatorie cercando di
motivare la «doppiezza» dello scrittore con l’analisi di alcuni
protagonisti dei suoi romanzi. Un metodo questo molto ardito contestato
da diversi interventi anche perché non è mai stato applicato per l’analisi
delle opere di altri scrittori ….. A conclusione dell’incontro la
Fondazione Silone ha proposto di dar vita a una «commissione della
verità» composta da storici e politologi che non si sono mai schierati
apertamente da una parte e dall’altra. E questo non tanto per
promuovere nuovi «processi» allo scrittore abruzzese ma per ristabilire
la verità più completa per prevenire ulteriori speculazioni con presunti

135
Soave Sergio, Un silenzio assordante, L'Indice, luglio agosto 2005

79
scoop politico editoriali che spesso provocano solo nuovi schizzi di
fango su grandi scrittori …. ”136

Giulio Ferroni in L’Unità

“Partecipando al convegno su Ignazio Silone tenutosi a L’Aquila lo


scorso 18 marzo ho potuto verificare la difficoltà di discutere
serenamente sulla sua vicenda politica, umana e letteraria: e
l’aggressività di coloro che tendono a ridurre al minimo e a negare i
rapporti dell’intellettuale abruzzese alla fine degli anni ’20 con la
polizia fascista, quando è ancora una delle personalità di spicco del
Partito Comunista d’Italia mi ha indotto a pensare che, contrariamente
a quanto ha affermato su l'Unità Bruno Gravagnuolo, il «caso Silone» è
tutt’altro che chiuso; che c’è bisogno di nuovi dati di conoscenza,
magari di ulteriori dati e documenti, soprattutto sugli ultimi anni della
militanza comunista dello scrittore e su ciò che c’è intorno
all’inquietante lettera all’ ispettore Guido Bellone del 3 aprile 1930. …
Ma gli storici dovrebbero anche tener conto del punto di vista della
scrittura e, poiché, lasciata la politica militante, Silone si è dato alla
letteratura (come del resto annuncia già in quella lettera a Bellone),
dovrebbero accettare di interrogare da dentro la sua opera narrativa, di
verificarne le tensioni e le contraddizioni, il rilievo che vi assumono le
figure del segreto, della colpa, del tradimento, dell’espiazione. Dietro la
sua prosa, che sembra darsi sempre in piena luce, in un dimesso
conversare con il lettore, si affacciano prospettive che fanno pensare a
Dostoevskij: nella semplicità linguistica, nel realismo talvolta quasi
dimesso, si aprono squarci di tortuosità addirittura barocca, con un
avvitarsi dei personaggi entro le loro contraddizioni, con lunghi esercizi
di simulazione e dissimulazione, con un continuo mascherarsi e

136
Forbice Aldo, Dopo tante accuse infamanti Silone "ha avuto ragione", Quotidiano Nazionale, 20
marzo 2006

80
assumere identità plurime, con un senso del teatro e della recitazione
sociale. … Avendo cercato di far capire queste cose, al convegno
dell’Aquila sono stato aggredito e accusato nello stesso tempo come
fascista e come comunista: ma continuo a credere che, di fronte alla sua
storia passata, ai drammi e agli equivoci che ha attraversato, la sinistra
dovrebbe imparare a ragionare, a guardare senza schermi le
contraddizioni dei comportamenti e la verità dei testi, a far luce sulla
penombra che abbiamo attraversato.”137

Sergio Romano in Corriere della Sera

“ … io stesso ho, su questa vicenda, idee piuttosto confuse. Il libro di


Mauro Canali e Dario Biocca, apparso nel 2000 presso l'editore Luni,
mi era parso convincente. E altrettanto convincente mi è parsa la
documentazione raccolta da Canali nei suoi lavori successivi. Ho
sperato che le risposte degli amici di Silone (fra cui quelle tenaci e
appassionate di Giuseppe Tamburrano) avrebbero, modificato le mie
impressioni, ma i dubbi rimangono. Chi difende Silone lo fa
generalmente sulla base di considerazioni intellettualmente e
moralmente ineccepibili che non sembrano tuttavia incrinare il castello
di documenti costruito dall'«accusa». … Ma soltanto Silone potrebbe
spiegarci per quali scaltrezze o quali ingenuità egli abbia deciso di
prestarsi per un lungo periodo al ruolo di confidente della polizia
politica italiana. Non lo sapremo mai, quindi. Ma non credo che
l’ignoranza giustifichi il benché minimo dubbio sulle sue virtù morali e
intellettuali.”138

137
Ferroni Giulio, Silone, l'opera letteraria come sintomo di ambivalenza tragica, L'Unità, 22 marzo 2006
138
Romano Sergio, Il misterioso caso Silone tra ingenuità e scaltrezze, Corriere della sera, 18 settembre
2008

81
Dario Fertilio in Corriere della Sera

“ … Ci risiamo con Ignazio Silone uno e due, questa volta chiamato in


causa al di là dell’Atlantico. È un ampio saggio il Bitter Spring («Fonte
amara», Farrar, Straus and Giroux, pp. 426, $ 35) dello storico italo-
americano Stanislao Pugliese; zeppo di testimonianze, documenti e, in
particolare, prodigo di interpretazioni psicologiche sull’autore de
L’avventura di un povero cristiano. Ma ora l’autore, storico alla Hofstra
University di New York, è al centro di un fuoco polemico. Molti criticano
il modo in cui ha impostato il saggio intorno alla questione più delicata,
la compromissione dello scrittore con il fascismo. Avrebbe commesso
cioè varie inesattezze cerchiobottiste, da un lato accreditando sospetti
sulla coerenza politica e umana di Silone, dall’altro riconoscendogli uno
spessore letterario paragonabile a quello di un George Orwell. …
Giuseppe Tamburrano, difensore di Silone, commenta: «Su questi
argomenti Pugliese non ha fatto nessuna ricerca, oscilla tra tesi
contrapposte, colpevolista e innocentista, salvo propendere per
quest’ultima. Se fosse andato all’Archivio centrale dello Stato, avrebbe
trovato il documento inoppugnabile dell’Ovra che avrebbe sciolto i suoi
dubbi». Lo storico «colpevolista» Dario Biocca critica Pugliese per
motivi opposti: «Trascura tutti i documenti che precedono l’arresto del
fratello di Silone, e che provano la sua collaborazione precoce con la
polizia fascista». …”139

Come abbiamo intuito anche negli anni successivi al 2000-2001 la polemica è


continuata sostanzialmente immutata. Gli studiosi dei diversi schieramenti hanno
continuato il loro lavoro fermi sulle loro posizioni.

139
Fertilio Dario, Un pò spia e un pò eroe, il Silone "cerchiobottista", Corriere della Sera, 17 novembre
2009

82
Nel 2004 Canali pubblica un volume sulla rete informativa stesa dal regime fascista e
sull’evoluzione dell’apparato poliziesco.140

“ E’ noto che Ignazio Silone, quando era un dirigente del movimento


comunista fu un informatore della POLPOL, tramite i legami stretti con
Guido Bellone … La collaborazione di Silone con Bellone prese l’avvio
non più tardi dei primi anni venti, anche se alcuni elementi ci inducono
a credere che essa iniziasse ancor prima, cioè tra il 1918 e il 1919.
…”141

Nel 2005 viene pubblicato un biografia di Silone142 ne è autore Dario Biocca. Si tratta
di un testo molto ricco di informazioni ma che ricostruisce la biografia dello scrittore
muovendosi lungo la linea dell’attività spionistica già ipotizzata nei lavori precedenti.

Nel 2006 è la volta di un testo di Tamburrano143 che ricostruisce la vicenda a partire dal
1996 ribadendo le tesi “innocentiste” e criticando la biografia pubblicata l’anno
precedente.

Nel 2007 un volume “Silone, la libertà”144 raccoglie una serie di materiali tra cui gli
interventi alla giornata di studio del 18 marzo 2006 a l’Aquila promossa dalla
Fondazione Ignazio Silone, e alcuni saggi tratti da un convegno internazionale svoltosi a
Napoli il 27-28 aprile 2000.

140
Canali Mauro, Le spie del regime, Bologna, Il Mulino, 2004
141
Ivi, pp. 409-414
142
Biocca Dario, Silone. La doppia vita di un italiano, Rizzoli, milano, 2005.
143
Tamburrano Giuseppe, Il «caso» Silone, Utet, Torino, 2006
144
Forbice Aldo (a cura di), Silone, la libertà. Un intellettuale scomodo contro tutti i totalitarismi, Guerini
e Associati, Milano, 2007

83
“… Insomma, Silone non fu mai una spia dell’Ovra, così come ci
vogliono far credere i due ricercatori …”145

Nel 2013 un nuovo testo di Canali Il tradimento146 in un capitolo intitolato


“L’informatore Silone” coinvolge Silone nell’arresto di Gramsci.

“… la polizia aveva fatto irruzione nella stanza di Gramsci


sottoponendola a una perquisizione lunga e minuziosa. A condurla era
stato Guido Bellone … Guido Bellone assunse quindi il ruolo di grande
accusatore di Antonio Gramsci. … Bellone aveva concluso la
deposizione rivelando che «i nomi forniti da me mi vennero comunicati
da persone che conoscono a fondo il movimento» … La ricerca storica
ha ormai accertato da circa una decina d’anni che l’informatore di
Bellone infiltrato nel Pcd’I era Ignazio Silone … “147

Nel 2015 la pubblicazione del testo “False accuse contro Silone”148 riapre e forse
chiude la questione. L’autore analizza le relazioni fiduciarie degli anni 1923-27
attribuite a Silone e le confronta con altre relazioni di altri fiduciari fino a riuscire a
individuarne l’autore in Alfredo Quaglino, un ingegnere che già si sapeva essere un
fiduciario. L’attribuzione è fatta attraverso un’analisi approfondita sia contenutistica che
filologica e grafologica. L’attribuzione permette anche di risolvere il problema dei
“vuoti temporali” che risultavano dalle ipotesi Biocca-Canali, se l’autore è Quaglino,
queste relazioni si inseriscono bene all’interno delle altre da lui spedite, senza soluzione
di continuità.

145
Ivi. p. 25
146
Canali Mauro, Il tradimento . Gramsci, Togliatti e la verità negata, Marsilio, Venezia, 2013
147
Ivi, pp. 55-68.
148
Vacca Alberto, Le false accuse contro Silone, Guerini e Associati, Milano 2015

84
Nell’analisi vengono rilevati anche stili grafici ( per esempio l’utilizzo dei simboli
matematici ½ come abbreviazione per la parola “mezzo” o l’utilizzo di lineette per
separare paragrafi:

“Questo documento è stato trascritto da Biocca in modo non fedele


all’originale, perché ha eliminato le numerose lineette presenti nel
manoscritto, sostituendole prevalentemente con dei punti. Le lineette gli
debbono essere parse poco corrette ed è probabilmente per questo che le
ha eliminate. Esse però sono un elemento fondamentale che, unitamente
al contenuto, ci permette di attribuire la relazione a 300HP [nome in
codice di Quaglino], poiché costituiscono una tipica caratteristica del
suo modo di scrivere. …”149

Vacca fornisce anche un’altra interpretazione della frase presente nella lettera del 1929

“Quando scriveva: « … mi è fisicamente impossibile rimanere con lei


negli stessi rapporti di 10 anni fa», intendeva probabilmente dire che
non gli era più possibile continuare la sua vita di rivoluzionario iniziata
«10 anni fa», cioè nel 1919, data dell’iscrizione del suo nome nel
CPC.”150

Quello che sembra (ritorno all’uso del condizionale) risultare da tutta la vicenda è che i
due storici si sono “innamorati” della loro ipotesi e hanno continuato a ricercare dati di
conferma invece che concentrarsi a cercare prove invalidanti per verificarne la
consistenza: a volte l’intuito, l’impressione, la sensazione vale più del documento che
va comunque sempre gestito con attenzione.

149
Ivi,p. 108
150
Ivi, p. 60

85
(3) FONTAMARA: LA STORIA LE STESURE E I PERSONAGGI

Fontamara fu scritto in italiano tra il 1930 e il 1931, nelle librerie però comparve
scritto in lingua tedesca e solo due anni più tardi; a questo proposito Silone spiegò che
gli editori non erano convinti del potenziale successo del romanzo, addirittura
Salvemini si dimostrò scettico a stampare il testo in Francia, dove la presenza di
emigrati italiani era più massiccia.

Appena comparve nelle librerie di Zurigo, contrariamente alle previsioni, Fontamara


riscontrò un notevole successo; la stampa dimostrò un parere molto positivo nei
confronti del romanzo definendolo ‘’di travolgente forza narrativa’’ e, con le parole
dello scrittore austriaco Jacob Wassermann ‘’di grandiosità omerica’’; in breve tempo
apparvero traduzioni nelle principali lingue europee.

Il dirigente comunista Giovanni Germanetto si diede da fare affinché il libro fosse


presente nelle biblioteche dell’Urss; poco dopo Fontamara comparve a puntate su
diversi quotidiani in svariati paesi europei, si dice che lo stesso Mussolini volle leggere
il libro.

In pochi anni Silone fu travolto dalla fama e da una nuova identità, nel pubblico e nel
privato.

Fontamara fu stampato, la prima volta a Sciaffusa, presso una cooperativa socialista, la


diffusione del libro però avvenne grazie alla collaborazione di alcuni conoscenti di
Silone; dopo il successo del romanzo Silone ebbe varie collaborazioni con una casa
editrice più importante e famosa, la Europa Verlag.

In seguito al successo Silone si dedicò anche con passione ad attività pubblicistiche a


tema antifascista.

86
Struttura della narrazione

Silone scrive Fontamara con l’idea di un romanzo raccontato da più voci; oltre allo
scrittore esule, che rammenta con nostalgia un tipico villaggio marsicano triste come
‘’un ergastolano’’ appaiono nel racconto tre contadini, arrivati a casa sua dopo un lungo
viaggio dall’Abruzzo, uno alla volta essi raccontano alcune esperienze che hanno
vissuto in ruolo di testimoni.

Silone descrive con una prosa scarna e priva di ornamenti retorici la storia di un
villaggio abruzzese vessato dalla persecuzione fascista., utilizzando uno stile narrativo
ricco di espressione gergali e dialettali; per i cafoni infatti l’italiano ‘’è una lingua
straniera ’’.

Come sottolinea Dario Biocca in ‘’ Silone, la doppia vita di un italiano’’, sono i cafoni i
protagonisti del romanzo, e in un’ ottica più ampia essi possono essere paragonati ai
fellahin, ai peones, insomma a tutti i poveri della terra.

La vita dei cafoni è scandita dallo scorrere delle stagioni, dai debiti, dai soprusi
dell’Impresario, dalla sicurezza che il loro paesino rimarrà sempre uguale, dalla certezza
che tutto rimarrà identico, come da sempre, ad un tratto però tutto cambia.

La famiglia narrante racconta allo scrittore la tragica sorte del villaggio, vogliono
rendere pubblica una vicenda di tale portata.

Il romanzo è formato dall’intreccio di due storie che si intersecano fino a sovrapporsi: la


prima riguarda la descrizione del villaggio, le credenze e le abitudini dei cafoni, Silone
insiste molto sul fatto che tutti i cafoni sembrano uguali ma nella realtà dei fatti ognuno
ha il suo carattere, i suoi sogni e la sua individualità, tutti però sono accomunati da un
sogno impossibile: la speranza di migliorare la loro condizione di vita; lontani dal
comprendere le leggi del paese e dall’essere in grado di difendersi i cafoni subiscono
privazioni, inganni, tasse spropositate e ogni genere di prepotenza; il regime
affermatosi, quello ‘’degli uomini neri travestiti da morti’,’ ufficialmente vorrebbe
cambiare ogni cosa, ma nella realtà dei fatti non fa altro che arricchire i potenti e
rendere i cafoni ancora più poveri.

87
La seconda storia narrata è quella di un imbroglio: i contadini vengono infatti privati ,
senza un motivo preciso, dell’acqua che utilizzano per irrigare i campi, loro unica fonte
di sostentamento; le colture crescono sempre più deboli e la terra si secca ‘’ fino a
morire’’.

Il solo a trarre vantaggio dalla truffa è un affarista senza morale che si arricchisce
sfruttando l’ingenuità dei poveri cafoni; alcuni tra i Fontamaresi più coraggiosi provano
a chiedere consiglio alle figure che percepiscono come riferimenti: preti, avvocati,
generali ma non raggiungono nulla se non l’essere ulteriormente beffati e presi di mira;
in un crescendo di imbrogli i contadini firmano anche un accordo che prevede che nulla
sia modificato per cinque lustri.

I Fontamaresi si condannano così, per colpa della loro ignoranza.

In questo contesto si inserisce la vicenda personale di Berardo Viola, un giovane


carismatico e visto come riferimento da tutto il paese, egli in un primo momento riesce
a farsi assegnare un piccolo terreno e lavora sodo per coltivare del grano, il suo progetto
è quello di sposare Elvira, la giovane più bella del villaggio, però un’improvvisa
alluvione distrugge il raccolto di Berardo, il giovane si trova così vittima del destino
avverso, poiché non avendo prodotti da vendere non può migliorare la propria
condizione economica; Berardo diventa cupo e violento, promette vendette e incita i
giovani compaesani alla rivolta, decide così di tentare la fortuna emigrando, lascia
Fontamara per cercare lavoro in città, il suo scopo infatti è lavorare ‘’come una bestia’’
pur di sposare l’ amata Elvira.

Giunto a Roma però Berardo non trova lavoro, viene nuovamente truffato con la scusa
di assunzioni varie. Egli si sforza in ogni modo di darsi da fare, ma poi torna impulsivo
e ribelle, quando gli giunge la notizia da Fontamara di essere un pericoloso sovversivo
senza diritto a un impiego.

Berardo comprende così che il suo destino infausto non gli promette nulla di buono.

Un giorno incontra un cordiale Avezzanese, quest’ultimo gli rivela che la polizia sta
dando la caccia a un tale ‘’Solito Sconosciuto’’ che compie attentati in diverse città,
Berardo viene quindi arrestato da un gruppo di poliziotti che lo accusano di divulgare

88
volantini sovversivi; nonostante le torture e le privazioni che subisce in prigione,
Berardo continua a dichiararsi innocente.

Venuto a sapere della morte dell’amata Elvira, preso dallo sconforto ammette di essere
il Solito Sconosciuto.

Viene sottoposto a nuove torture che lo portano alla morte.

In seguito tutto il paese di Fontamara, individuato come covo di ribelli venne distrutto
dalla milizia fascista.

Sul frontespizio di Fontamara Silone volle scrivere una dedica al fratello Romolo.

Le due stesure

Nel 1949 a quasi vent’anni di distanza dalla prima edizione del 1930 Silone apportò
delle modifiche all’opera, infatti a causa del tema sgradito al regime fascista, Fontamara
non fu pubblicato in Italia fino al 1945; la prima edizione uscì in Svizzera in tedesco,
nel 1932, la prima edizione in italiano apparve nel 1934, pubblicata a spese dell'autore a
Parigi.

Solo nel 1945 il romanzo fu pubblicato in Italia dapprima a puntate, con parecchi errori,
su una rivista; Silone continuò a operare grosse modifiche finché nel 1947 uscì, con
altre importanti correzioni, la prima edizione in volume, presso l’ Editore Faro di
Roma., ancora insoddisfatto del testo, alla fine Silone si rivolse a Mondadori, che
stampò il libro con ulteriori correzioni.

Questa travagliata gestazione fu il motivo per cui i lettori italiani accedettero a un testo
pesantemente diverso rispetto alla prima edizione.

Lo stesso Silone nella prefazione all’edizione inglese del 1958 spiega le motivazioni di
tali rifacimenti:

‘’ Per chiarire l’origine e il significato dei cambiamenti da me apportati


in Fontamara, in occasione della sua prima stampa in Italia dopo la

89
caduta del fascismo, devo dire qualcosa delle relazioni tra me e i miei
libri.

Io mi riconosco interamente nell’affermazione di Hofmannsthal secondo


cui gli scrittori sono una categoria di uomini per i quali lo scrivere è più
difficile che a tutti gli altri.

La causa di ciò mi diventa palese ogni volta che sono sul punto di finire
un libro.

Finirlo mi pare un atto arbitrario, penoso almeno contro la mia natura.


Sentendomi dunque legato nel più intimo alla materia del libro, accade
che io insista a pensarvi su e a fantasticare, e che in tal modo il libro
continui a vivere e a crescere in me e a modificarsi, anche quando esso è
già nelle vetrine dei librai. A questa naturale disposizione dell’animo, si
è aggiunta, per Fontamara, una circostanza aggravante. Come è
indicato in calce all’introduzione, io scrissi questo libro nel 1930,
trovandomi rifugiato in Svizzera, a Davos (…). Poiché ero li solo
sconosciuto con falso nome scrivere divenne per me l’unico mezzo di
difesa contro il terrore dell’abbandono; e poiché il tempo probabile che
mi restava da vivere non pareva lungo, scrivevo in fretta, con indicibile
affanno e ansia, per fabbricarmi alla meglio quel villaggio, in cui
mettevo la quintessenza di me e della mia contrada nativa, in modo da
morire almeno fra i miei.

(…)

Allorché, dunque, alcuni anni più tardi potei tornare nel mio Paese e
dovetti occuparmi della prima stampa di Fontamara presso un editore
italiano, non fu poca la mia sorpresa nel rileggerne il testo.

Contrariamente a quello che si può credere, il mio imbarazzo non


nasceva affatto da un confronto tra il libro e la realtà che avevo davanti
ai miei occhi, ma tra il racconto del 1930 e gli sviluppi che esso aveva
subito in me, durante tutti quegli anni in cui avevo continuato a viverci
dentro.

90
Per riprendere l’immagine del pittore, ridipinsi il quadro da cima a
151
fondo, utilizzando la vecchia tela e cornice.’’

Sullo stesso argomento è anche interessante confrontare quanto scritto in questo passo
di ‘’Vino e Pane’’:

‘’Nessuna vanità può trattenermi dall’ammettere di avere fatto


un’esperienza la quale conferma l’analogia tra lo scrivere e le altre arti,
nel senso che anch’esso si impara e si perfeziona con l’esercizio. In
proposito ho anche avuto occasione di confessare che, se dipendesse da
me, passerei volentieri la mia vita a scrivere e riscrivere lo stesso libro:
quell’unico libro che ogni scrittore porta in sé, immagine della propria
anima, e di cui le opere pubblicate non sono che frammenti più o meno
152
approssimativi’’.

L’edizione attuale di Fontamara è frutto di un grande ‘’labor limae’’.

Vediamo in dettaglio le differenze presenti nel corso del tempo.

Le differenze:

Nell’edizione del 1930 un intero capitolo è dedicato alla storia di un giovane detto
‘’Eroe di Porta Pia’’, un cafone Fontamarese emigrato a Roma, che si trova arruolato in
una squadra fascista operante una spedizione punitiva a Porta Pia ( da qui il nome),
caduto il regime il giovane viene rimpatriato a Fontamara, dove però nessuno si ricorda
di lui e dei suoi momenti di gloria passata.

Nell’edizione attuale questa vicenda è stata omessa perché a detta di Silone, durante
un’intervista con alcune studentesse americane e l’insegnate Michele Cantarella,153
avrebbe rotto l’unità e il ritmo del racconto proprio nel momento più drammatico.

Oltre a questa differenza contenutistica sono presenti correzioni come sostituzioni di


parole, abbreviazioni di frasi e scomposizione di periodi, a questo proposito l’autore

151
Luce d’Eramo, Op. cit., pp.66 e seguenti
152
Ignazio Silone, Vino e pane p. 21
153
Luce d’Eramo, Op. cit., p.68

91
spiega che correzioni grammaticali di questo genere sono presenti solo nei suoi romanzi
scritti prima della guerra, essi, una volta riletti, gli sembravano troppo ricchi di termini
non più attuali e talvolta addirittura dialettali o comunque sorpassati; caratteristiche non
presenti nei testi scritti dopo la guerra.

Riporto le differenze strettamente testuali che mi sembrano sostanziali.

Edizione 1930 Edizione 1949

Capitolo IV: Capitolo IV:

L’episodio sulla questione del Fucino è Prosa sintetica e rapida.


trattato in modo molto più ampio

Capitolo V: Capitolo V:
La parte sugli stupri commessi dai fascisti E’ riportata solo la triste vicenda toccata
è più ampia. in sorte a Maria Grazia.

Capitolo VI:
Capitolo VI:
Digressioni varie sui cafoni senza terra,
sull’emigrazione, sui partiti e la politica Non risulta nulla di tutto ciò.
locale.

E’ presente un racconto all’inizio del E’ stato ridotto il pettegolezzo della


capitolo sulla malattia di Elvira. vecchia e alcune maldicenze (quella sulla
miopia di Baldissera) sono state eliminate.

92
Un secondo racconto narra la vicenda Sono anche ridimensionate alcune
dell’Eroe di Porta Pia. opinioni sociali e politiche, dette sempre
dalla vecchia.

Capitolo IX: Capitolo IX:

Il racconto del giovane è abbastanza lungo Sono riportate solamente alcune frasi
e articolato. sull’unità dei cafoni.

Manca la madre di Berardo.

Differenze nella descrizione dei personaggi:

Mentre nel testo del 1930 la moglie della famiglia narrante, Matalè, interviene solo due
volte, nella seconda edizione riveste un ruolo più significativo.

Considerato che, Matalè riporta i pensieri e le preoccupazioni delle Fontamaresi, che dà


voce alle donne del paese, assegnarle un ruolo più decisivo significa di conseguenza
dare più voce alla presenza femminile.

93
Troviamo nel capitolo II:

‘’Matalè vacci mi disse Elvira non possiamo fare brutta figura.

Corremmo perciò a parlare con Lisabetta Limona e Maria Grazia e le


convincemmo a venire con noi, nel capoluogo. Maria Grazia si tirò
dietro la Ciammaruga, che si tirò dietro la figlia di Cannarozzo, che si
tirò dietro Filomena e la Quaterna.’154

Poi ancora:

‘’Siamo forse venute per il divertimento? Rispondevo io. Siamo venute


per la famiglia, per la terra.’’155

Anche Elvira nella seconda edizione è dotata di una personalità più spiccata, è più
decisa nel manifestare i suoi sentimenti per Berardo e discute addirittura con la madre di
lui.

Nella prima edizione del ’30 la madre di Berardo non era citata, nella seconda edizione
riveste un ruolo drammatico e apprensivo:

‘’E la povera Maria Rosa, sua madre, per salvarlo fece recitare di
nascosto una novena a San Giuseppe da Copertino e vendette due
lenzuola per accendere alcune candele davanti al santo affinché salvasse
suo figlio.’’156

Poi ancora:

‘’Così parlava la vecchia Maria Rosa, che passava la maggior parte


della sua giornata, e durante l’estate anche la notte, su una pietra
davanti all’entrata della sua abitazione (…)

Innanzi alla grotta, Maria Rosa filava e cuciva, o aspettava il ritorno del
figlio ch’essa ammirava e vantava con parole poco abituali alle madri.

154
Ignazio Silone, Fontamara , p..27
155
Ivi P.37
156
Ivi P.57

94
Non potendo primeggiare sulla ricchezza, Maria Rosa trovava
157
inevitabile e meritato ch’egli eccellesse almeno nella sventura.’’

Inoltre nell’edizione del 1949 vediamo Elvira che tiene testa anche allo stesso Berardo:

Ma dopo che Scarpone e Baldissera furono partiti, essa non potè


trattenersi dal dire a Berardo, in tono di rimprovero:

‘’Se è per me che tu ti comporti in quel modo, ricordati che io cominciai


a volerti bene quando mi raccontarono che ragionavi nel modo
contrario.’’

Nel sentire che anche Elvira gli dava torto, Berardo non seppe frenare
un gesto di stizza e stava per dire qualche grosso improperio, ma preferì
andarsene senza neppure salutare.158

Nel complesso rispetto alla prima edizione il sentimento di Berardo per Elvira risulta
rafforzato nonostante egli scelga comunque di emigrare in città, contrariamente alla
volontà della ragazza.

Come osserva Luce d’Eramo159 nei romanzi dell’esilio Silone ha potenziato il ruolo dei
personaggi femminili, se nei primi scritti esse erano totalmente subordinate agli uomini
ora risulta più evidente la loro volontà e spesso il loro ruolo di ‘’stimolatrici’’.

La scelta dei personaggi

Come già detto la narrazione ruota attorno ai Fontamaresi, sono loro, i poveri braccianti
i personaggi principali il desiderio che anima queste sventurate persone è il bisogno di
rispetto, coloro che capiscono questa necessità li imbrogliano senza scrupoli; altra
caratteristica dei Fontamaresi è inoltre il credere una grande prova di coraggio

157
Ivi P.63
158
Ivi p. 132
159
Op. cit.

95
rispondere ai padroni, peccato che raramente qualcuno trovi il coraggio per farlo e il più
delle volte il popolo offeso si guarda in silenzio, subendo ogni genere di sopruso.

Spesso inoltre i Fontamaresi litigano e discutono tra loro.

Per esempio nel capitolo II:

‘’Tutta la colpa è tua! Maledetta! Maledetta!’’ cominciò a inveire la


Limona contro Marietta.

Fu il segnale d’una scena assai penosa. Si formarono tanti gruppetti di


due o tre persone, l’una contro l’altra. La moglie di Ponzio se la prese
perfino contro di me.

‘’Tu mi hai trascinata qui’’ gridava. ‘’Io non volevo venire, io avevo da
fare a casa, io non ho tempo da perdere fuori casa, a me non piace di far
la bella per le strade del capoluogo’’.

‘’Stai impazzendo?’’ le risposi. ‘’Si vede che il sole ti ha intorbidato il


cervello’’.

Giuditta e la figlia di Cannarozzo si presero per i capelli e andarono a


finire per terra.

Maria Grazia intervenne in aiuto della Cannarozzo, ma la Ricciuta le si


buttò sopra e finirono tutte e quattro per terra, in una nuvola di
polverone. 160

Trovo questo passaggio significativo per dimostrare che l’ignoranza e la mancanza della
coscienza di classe porta a individuare l’avversario nel proprio simile.

Nel romanzo di Silone appare chiaro come ai contadini non pesi tanto la miseria in cui
sono nati e alla quale sono abituati, ma soffrono di più per il disprezzo che suscitano nei
potenti dei quali disprezzano ma al contempo invidiano l’abilità retorica.

Il loro desiderio di intelligenza e chiarezza è ormai ossessione.

160
Ignazio Silone, Fontamara, P.37

96
Troviamo un’ intero villaggio descritto nella sua quotidianità e con una cornice di
personaggi secondari.

La figura di Berardo Viola.

Il personaggio maschile più significativo dell’opera è sicuramente Berardo Viola.

Lo descrivo con le stesse parole di Silone:

‘’A Berardo però in fondo gli volevamo tutti bene. Aveva anche lui i suoi
difetti, specialmente da ubriaco, ma era leale e sincero ed era stato assai
sfortunato, e per questo, di buon cuore, gli auguravamo che potesse
161
rifarsi la terra.’’

Berardo è tenuto in considerazione e ammirato da tutti i suoi compaesani:

‘’Per i giovanotti di Fontamara, Berardo era un dio. Sotto la guida di


Berardo, essi sarebbero corsi a farsi ammazzare. Senza di lui, era facile
prevedere che neanche gli altri avrebbero osato di tentare qualche
cosa’’.162

Poi ancora:

‘’Tutti i cafoni devono avere fiducia in lui. Devi dirlo a Fontamara: tutti
i cafoni devono avere fiducia in lui. E’ un uomo straordinario. Quello
che gli è successo doveva succedergli. Forse un cafone come lui non
esiste oggi in tutta l’Italia. Devi ripetere queste mie parole a Fontamara.
Dovete fare quello che Berardo vi dirà.’’163

Di Berardo Viola vengono esaltate la lealtà e la fierezza:

‘’La sua perdizione, la sua rovina, come si è già accennato erano gli
amici; per aiutare un amico egli avrebbe impegnato anche la
camicia’’.164

161
Ivi P.58
162
Ivi, p..132
163
Ivi, p..152
164
Ivi, p.59

97
Anche durante la drammatica prigionia, egli continua a rimanere fedele alle proprie
idee:

‘’Il commissario voleva sapere molte cose da Berardo, voleva sapere


dove fosse la tipografia clandestina, chi fosse il tipografo, e se vi fossero
altri complici. Ma Berardo non rispondeva. Berardo rientrava le labbra
tra i denti e le mordeva fino al sangue, per mostrare al commissario la
sua inflessibile volontà di tacere’’.165

Trovo che sia egli il personaggio che più da voce agli umili, a questo proposito è
significativa la frase con cui ne parla sua madre Maria Rosa ‘’Se deve morire impiccato,
non sarà certo per il denaro, ma per l’amicizia’’.166

La sua sete di giustizia è tanta da portarlo più di qualche volta ad avere problemi con la
legge:

‘’Egli non lasciava impunita nessuna ingiustizia che ci venisse dal


capoluogo.’’ 167

Silone insiste molto anche sulla descrizione fisica e sul passato quasi leggendario della
sua famiglia:

‘’Dal nonno secondo la testimonianza dei più vecchi che lo ricordano


ancora, egli aveva certamente ereditato la potenza fisica: un’alta
statura, tarchiato come il tronco di una quercia, il collo breve e taurino,
la testa quadra; ma aveva gli occhi buoni: aveva conservato da adulto
gli occhi che aveva da ragazzo. Era incomprensibile, e persino ridicolo,
che un uomo di quella forza potesse avere gli occhi e il sorriso di un
fanciullo’’.168

Berardo ha tutte le caratteristiche per essere il classico ‘’eroe’’ la forza fisica, la bontà,
la generosità, la volontà di difendere la sua donna dai rivali:

165
Ivi, p.154
166
Ibidem,.59
167
Ivi, p.60
168
Ivi, p.59

98
‘’Quella sera, dopo una lunga assenza, egli rifece anche una breve
apparizione nella cantina di Marietta; ma sfortunatamente vi arrivò
mentre Americo parlava di Elvira, non certo per dirne male, ma,
insomma, ne parlava. Berardo gentilmente, come se si ricordasse di un
affare da regolare, chiamò Americo dentro la cantina, nell’orto; e poco
dopo lo ricondusse dentro che gli sanguinavano un orecchio e la
169
bocca’’.

Il giovane ha tuttavia un passato tragico, che come sottolinea più volte Silone, per i
popolani è presagio di un destino avverso.

Berardo, descritto come un personaggio duro e determinato, è anche connotato da un


certo ottimismo:

‘’ Nonostante tutto Berardo era un uomo facile a illudersi e lo vedemmo


170
di nuovo sorridere e scherzare.’’

Interessante come venga descritta la storia quasi mitica della famiglia Viola:

‘’Quelli che non conoscono o hanno dimenticato questi fatti, ora sono
facilmente ingiusti verso Berardo e preferiscono spiegare il suo destino
rifacendosi alla fine del nonno, il famoso brigante Viola, l’ultimo
171
brigante delle nostre parti giustiziato dai Piemontesi’’.

Emerge quindi questo passato mitico che poi Silone rimarca con l’amara frase:

‘’Ma si può vincere contro il destino?’’172

La stessa madre di Berardo per descriverlo dice

‘’ Non c’è femmina che possa domarlo. Io lo conosco; sono io che l’ho
fatto. Non è uomo da femmina.’’173

169
Ivi, p..113
170
Ivi, p.113
171
Ivi, p.59
172
Ibidem,p..59
173
Ivi, p..63

99
Nel corso della vicenda Berardo cambia progetti: se un primo momento è determinato a
rimanere a Fontamara, lavorare duramente, farsi giustizia e costruirsi un avvenire poi,
sempre più demoralizzato dall’andazzo delle cose vede nell’emigrazione l’unica via di
riscatto.

‘’ A osservarlo, capivo che Berardo era disposto a tutto, pur di riuscire.


Nessuno scrupolo l’avrebbe trattenuto. Egli non avrebbe esitato a
buttarmi fuori dal finestrino, se avesse pensato che questo potesse
essergli utile. A guardare le sue mascelle, mi veniva paura.’’174

Una volta giunto a Roma, Berardo è spaesato, non è più l’eroe senza paura che era a
Fontamara; in una realtà più grande e sconosciuta egli si sente quasi fuori posto:

‘’A Berardo piaceva molto di sedersi sui banchi dei viali dei giardini
pubblici. ‘’Siediti’’ diceva anche a me.’’ Sembra incredibile ma è
gratis.’’ Egli aveva l’abitudine di seguire attentamente i discorsi degli
sconosciuti seduti sul nostro stesso banco o su un banco vicino.
‘’Potrebbe darsi’’ egli mi confidò ‘’ che ad un certo momento sentiamo
da qualcuno dire ‘’Cerco dappertutto un buon terrazziere, robusto,
fidato possibilmente della montagna abruzzese, insomma non uno
175
scansafatiche.’’

Quasi ingenuamente Berardo spera che la fortuna lo aiuti.

Speranza che emerge anche quando Berardo e l’amico si recano all’ufficio di


collocamento e poi dal cavaliere don Pazienza:

‘’Non potreste farvi venire da Fontamara altra moneta?’’

‘’Certamente’’ rispose subito Berardo pur essendo convinto del


contrario.

‘’E qualche gallina insignificante? E un po’ di formaggio? E un po’ di


miele?’’ aggiunse il cavaliere.

174
Ivi, p.136
175
Ivi, p.139

100
‘’Certamente’’ si affrettò a rispondere Berardo che non aveva mai
176
assaporato miele in tutta la sua vita.

Fino al tragico epilogo della vicenda Berardo si comporta da eroe dimostrando fierezza
e lealtà:

‘’La stessa sera Berardo ebbe una nuova chiamata speciale. Le


chiamate speciali di Berardo avevano qualche cosa di atroce. Berardo si
difendeva. Berardo non poteva ricevere un colpo senza renderlo. Per
legargli le mani e i piedi ci volevano otto o nove poliziotti. Quella sera
egli aveva finto di essersi rassegnato a farsi torturare senza reagire, ma,
mentre un agente gli stava legando una corda attorno ai ginocchi, gli
cadde sopra e con i denti l’afferrò alla nuca, tenendolo così fortemente,
che gli altri poliziotti dovettero dargli delle martellate alle mascelle per
fargli lasciar la presa. E alla fine lo ricondussero in cella, tirandolo per
le gambe e le spalle, come Cristo, quando fu deposto dalla croce.’’177

Interessante anche notare la contrapposizione del lessico usato per la descrizione di


Berardo e del generale Baldissera; il primo ha ‘’un’amara parlantina’’ il secondo, ricco
e potente, è descritto come ‘’dai principi opposti e, per sua natura, avido di chiacchiere
inutili’’, nella figura di Berardo contrapposta a Baldissera, Silone ha incarnato
l’opposizione tra la coscienza, la morale e l’opportunismo.

Berardo è talmente carismatico da cambiare ‘’con i suoi discorsi stravaganti, e ancora


più con il suo esempio’’ il modo di ragionare di tutti i giovani Fontamaresi.

Come sostiene Aliberti nel testo ‘’Come leggere Fontamara di Ignazio Silone’’
possiamo anche paragonare Berardo a una specie di ‘’Cristo’’ che si sacrifica per i diritti
del popolo, per la libertà.

Atteggiamento condiviso anche dal personaggio di Vino e Pane, Luigi Murica:

‘’ Luigi aveva scritto su un pezzo di carta – La verità e la fraternità


regneranno tra gli uomini al posto della menzogna e dell’odio; il lavoro
regnerà al posto del denaro. Quando l’hanno arrestato gli hanno trovato

176
Ivi, p.142
177
Ivi, p.156

101
quel biglietto che egli non ha rinnegato. Nel cortile della caserma della
milizia di Fossa gli hanno perciò messo in testa un vaso da notte in
luogo di corona. Gli hanno messo una scopa nella mano destra in luogo
di scettro. Quest’è la fraternità gli hanno detto. Gli hanno poi avvolto il
capo in un tappeto rosso raccolto da terra, l’hanno bendato e i militi se
lo spinto a pugni e a calci tra di loro. Quest’è il regno del lavoro gli
hanno detto. Quando è caduto per terra gli hanno camminato di sopra,
pestando coi talloni ferrati. Dopo questo inizio d’istruttoria egli è
vissuto ancora un giorno.’’178

Per le torture, le umiliazioni e il sacrificio è possibile notare delle somiglianze con


Berardo Viola.

In Fontamara, nel corso della narrazione tutti i ‘cafoni’’ che nei primi capitoli erano
presentati come diversi individui, alla fine sono un unico personaggio: la massa
contadina.

Interessante a questo proposito anche il commento di Claudio Marabini:

‘’Dall’umanità dei cafoni esce Berardo Viola, il rivoluzionario capo dei


giovani, qualcosa come una piccola luce di speranza, e una bandiera.
Ma è una bandiera che non ha possibilità di operare e finirà in carcere,
sceglierà anzi il carcere assumendosi colpe non sue, estrema libertà e
rivendicazione della dignità dell’uomo nell’atto supremo di morte. I
motivi appaiono evidenti: da un lato lo schiacciamento dell’uomo,
dall’altro la sua rivolta; e le forze dirette contro l’uomo, antiche come il
mondo; la rivolta, suggellantesi nel vicolo cieco del carcere,
l’isolamento monastico, scelta quasi religiosa, l’unica concessa dato il
muro insuperabile di quelle forze’’.179

Le vicende individuali si uniscono alla fine in una voce collettiva che esprime
all’unisono l’interesse di tutti.

Anche i nomi dei personaggi rappresentano in modo significativo le caratteristiche dei


medesimi, troviamo richiami a descrizioni fisiche come la Rizzuta o nomignoli come

178
Ignazio Silone, Vino e Pane p. 376
179
Claudio Marabini, Gli anni Sessanta: narrativa e storia, Milano; Rizzoli, 1969 pp. 264-265

102
Giuvà e Matalè , mentre i ricchi sono appellati con riferimenti alla loro professione
(l’Impresario) o al comportamento ambiguo Don Circostanza o Don Carlo Magna.

‘’Quante volte don Circostanza ci aveva già ingannati.

Ma come potevamo vivere senza di lui?

E d’altra parte egli aveva sempre avuto un modo di fare bonaccione e


cordiale, ci dava la mano a tutti e quando era ubriaco perfino ci
chiedeva perdono e noi gli avevamo sempre perdonato. Il trucco però
dei tre quarti e tre quarti e quello dei dieci lustri ci avevano troppo
avviliti.’’180

Berardo nelle due edizioni

Nel testo del 1949 la figura di Berardo diventa più complessa articolata e meglio
descritta, appare passionale, forte ma anche per certi versi infantile, come per esempio
nel primo capitolo quando lancia sassi contro i lampioni, viene descritto in modo più
approfondito il suo sentimento per Elvira e il suo modo cavalleresco di amarla.

Nell’edizione del 1930 invece non erano chiari i rapporti che legavano i due giovani,
nella revisione Silone preferisce approfondire la ‘’storia nella storia’’ ovvero la vicenda
amorosa di Berardo e Elvira.

Troviamo per esempio:

‘’Berardo impallidiva e tratteneva il respiro nel vederla e la seguiva con


lo sguardo in modo da non lasciar dubbi sul suo sentimento.

(….)

180
Ignazio Silone, Fontamara, p..126

103
Tra i due non c’era stato altro ma i fontamaresi li consideravano
promessi, e trovavano il fatto assai naturale, poiché Berardo era il
giovane più forte della contrada e Elvira la ragazza più bella. ‘’181

Significativo anche il modo di renderle omaggio:

‘’Un giorno Berardo acquistò da un rivenditore ambulante uno scialle


colorato, un pettine e un fermaglio per capelli. ‘’Li manderò a Elvira
alla prima occasione’’ mi disse facendo uno sforzo per pronunciare quel
nome.182’’

Berardo quindi seppure distante, a Roma, e perlopiù contro il volere di lei pensa ancora
alla sua donna.

E poi ancora emerge l’orgoglio di Berardo e la voglia di raggiungere i suoi scopi:

‘’Un giorno però che si sparse la notizia che questa era stata chiesta in
moglie dal cantoniere Filippo il Bello, Berardo ebbe un’uscita da toro
infuriato. Corse nella casa di lui, ma non c’era; avuto sentore che
doveva trovarsi nella cava di pietre, vi si recò in tutta fretta e lo sorprese
mentre misurava alcuni mucchi di ghiaia; senza chiedergli neppure
conferma della richiesta presentata ad Elvira, lo prese per il petto e lo
sbatacchiò una decina di volte sul mucchio di ghiaia, come uno straccio
finchè non accorsero altri operai.183

Così Silone modifica la descrizione di Berardo dalla prima alla seconda edizione.

Edizione del 1930 Edizione del 1949

Dura e quadrata come un’incudine, due Quadra, ma aveva gli occhi buoni: aveva
occhiaie enormi come uno spiritato, conservato da adulto gli occhi che aveva
spavaldo, temerario ,impulsivo, manesco, da ragazzo. Era incomprensibile, e persino

181
Ivi, p.64
182
Ivi, p.138
183
Ivi, p..65

104
senza rispetto di Dio, amante del vino, ridicolo, che un uomo di quella forza
prodigo, generoso con gli amici, ma, potesse avere gli occhi e il sorriso di un
volentieri, anche prepotente. fanciullo.
La sua perdizione, la sua rovina, come già
si è accennato, erano gli amici; per aiutare
un amico, egli avrebbe impegnato anche la
camicia.

Dopo che ricevette la comunicazione


definitiva che non doveva partire per Ma più spesso la sua forza serviva per
l’America, le viti di un’intera vigna di don scopi meno allegri. Quando si sentiva
Carlo Magna furono trovate segate. raccontare di qualche nuovo atto di
violenza, se era veramente di Berardo, lo si
riconosceva da sé.

Nella prima edizione possiamo notare un ritratto più denso di aggettivazione, di Berardo
vengono esaltate la temerarietà ma anche la violenza.

Nel testo del 49 invece la descrizione risulta un po’ moderata, talvolta quasi idealizzata,
come se Silone, consapevole degli sviluppi della vicenda volesse serbarne una gloriosa
memoria.

Nel primo testo sembra più spesso la spavalderia a rendere famoso Berardo,
nell’edizione definitiva invece Silone si concentra di più sulla maturazione del
personaggio ( che nei primi capitoli troviamo intento a dar prove della sua forza ma più
avanti a prevalere è solo la sua sete di giustizia).

Nel testo del 49 c’è anche maggiore introspezione psicologica sui sentimenti di Berardo
per Elvira, aspetto nemmeno citato nel testo del 30.

Per quanto riguarda le similitudini rimane uguale il rapporto tra Berardo e Fontamara: il
villaggio rimane il vero protagonista della vicenda, la storia di Berardo non lo fa passare
in secondo piano ma anzi lo centralizza e rende più compatto.

105
Una volta che paesani apprendono la morte di Berardo si fanno più uniti e capiscono la
necessità di rendere pubblico il sopruso da loro subito.

‘’ Mai dimenticherò il suo sguardo, la sua voce in quelle ultime parole.


‘’Sarà’’ egli disse ‘’qualche cosa di nuovo. Un esempio nuovo. Il
principio di qualche cosa del tutto nuova.’’ Poi aggiunse , ricordandosi
all’improvviso di un fatto assai importante: ‘’Fin da ragazzo mi era
stato predetto che sarei morto in carcere. (…..)

A sentire che Berardo Viola era stato ammazzato, mi misi a


184
piangere.’’

La figura di Elvira

Se Berardo è l’uomo più forte e robusto del paese, Elvira primeggia tra le donne del
paese per la sua bellezza.

‘’Elvira era la ragazza più bella. Più che bella, bisogna dire che’era
185
gentile e delicata, di statura media, col viso dolce e quieto.’’

Ne viene descritto però anche il carattere umile e onesto:

‘’ Era di una modestia e riservatezza straordinarie, era come una


madonnina. Al suo avvicinarsi nessuno osava bestemmiare o
pronunziare parole sconce’’.186

Possiamo trovare delle somiglianze tra Elvira e Cristina, ragazza protagonista di Vino e
Pane che viene descritta con queste parole:

‘’Una creatura piena di grazia: viso affilato e emaciato, ma di forma


perfetta, su una figura alta e slanciata; portava un grembiule nero,
chiuso al collo e ai polsi, come una collegiale. Quell’impressione era

184
Ignazio Silone, Fontamara, p.158
185
Ivi, p..64
186
Ibidem, p.64

106
accentuata dalla pettinatura dei capelli nerissimi, spartiti a metà testa,
leggermente ondulati sulle tempie e raccolti sulla nuca in un largo nodo
di minute trecciuole. Il suo viso le sue mani avevano il pallore delle rose
bianche, ma per la luce dei suoi occhi e la grazia del suo sorriso non vi
erano similitudini della natura’’.187

I personaggi Siloniani femminili connotati in modo positivo si distinguono per grazia e


umiltà, opponendosi a quelli forti e decisi maschili.

In Fontamara emerge molto chiaramente come Elvira si distacchi dalla massa rumorosa
delle altre donne ponendosi in un ruolo a loro superiore per doti innate.

Il generale Baldissera e i potenti

Dal punto di vista lessicale troviamo una tipizzazione ironica dei personaggi, volta a
esaltare i loro difetti.

Don Abbacchio, grasso e sbuffante, col collo gonfio di vene, il viso


188
paonazzo, un’espressione beata.

Egli (Don Abbacchio) non era un uomo malvagio, ma fiacco, timoroso, e


nelle questioni serie non di fidarsi.189

Del prete del paese, Don Abbacchio, come anche dei fascisti e dei potenti Silone
sottolinea più volte la codardia, la mancanza d’iniziativa, l’adeguarsi a fare ciò che si
deve fare senza porsi alcun problema:

‘’Nel mezzo del quadrato scorgemmo con nostra sorpresa Baldissera,


Teofilo il sacrestano, Cipolla, il vecchio Braciola, Anacleto il sartore e

187
Ignazio Silone, Vino e Pane, p.30
188
Ignazio Silone, Fontamara, p..54
189
Ivi,.p.116

107
qualche altro, di quelli che non erano andati in campagna, muti,
190
immobili, pallidi, rassegnati, come prigionieri di guerra.’’

Figura altrettanto caricaturale è l’avvocato abruzzese don Pazienza:

‘’Trovammo don Achille Pazienza interamente disteso sul letto; egli era
un povero vecchietto catarroso, con una barba di una decina di giorni,
un vestito giallo, delle scarpe di tela bianca, un cappello di paglia sulla
testa, una medaglia di bronzo sul petto e uno stecchino di legno in
bocca, ed in questi paramenti egli si era messo per riceverci. Sotto il
letto si vedeva un vaso pieno di orina. Sulla parete più buia un ritratto
fosforescente, giallo verde, di una testa impressionante sotto la quale
era scritto duce.’’191

Questo ritratto così grottesco e tristemente comico è da interpretare come una forte
critica alla società benestante, che si prende gioco dei poveri, degli umili, di coloro che
non hanno nessuna voce in capitolo e ancora fiduciosi nelle istituzioni sono in cerca di
aiuto da parte di esse.

Le figure femminili

Come già detto il personaggio narrante di Matalè è colei che da voce alle donne di
Fontamara.

Le donne sono descritte spesso in gruppo, come una cornice, non sono però personaggi
marginali, anzi, nel secondo capitolo sono proprio loro a recarsi nel capoluogo per
chiedere spiegazioni.

Rispetto al testo del 1930 compare Maria Rosa, la madre di Berardo, e anche ad Elvira è
assegnato un ruolo più decisivo.

Alla madre di Berardo è assegnato un ruolo particolarmente drammatico, dato che ella si
dimostra sin da principio a conoscenza di quello che sarà il tragico destino del figlio:

190
Ivi,p..96
191
Ivi, p.141

108
‘’ Per la vecchia Maria Rosa la notizia era stata terribile, ma come
prevista. Durante tutta la notte Fontamara risuonò dei suoi lamenti.
‘’Povero figlio mio’’ gridava; ‘’perdonai se ti misi al mondo con un
destino così duro. E che la povera sposa tua mi perdoni, se facendoti la
promessa, decise anche la propria rovina.’’192

E poi nuovamente Maria Rosa si rifà alla tragica vicenda familiare dei Viola:

‘’ E Berardo si è salvato?’’ mormorò una donna. ‘’Forse’’ rispose la


vecchia Maria Rosa.’’ Nessuno può sapere’’. ‘’Strana salvezza morire in
carcere’’ disse l’altra sottovoce.

(…)

‘’Forse la salvezza di Berardo è stata di essere restituito al suo destino.


La salvezza dei Viola non è mai stata della stessa specie degli altri
cristiani. I Viola non muoiono come gli altri. Essi non muoiono di tosse
o di febbre, col vaso pieno di piscio sotto il letto. Essi non sanno stare a
letto. I vostri vecchi non vi hanno mai raccontato come morì suo nonno?
193
E del padre nessuno ha mai saputo come sia morto.’’

Nel corso di tutte le situazioni, inspiegabili ai cafoni, che accadono durante la vicenda
Silone descrive spesso le discussioni che le donne hanno tra loro a causa del nervoso,
della sete o degli stenti.

Potrei affermare che le usa come ‘’specchio’’ per riflettere la realtà sociale:

‘’A Fontamara non c’erano più due famiglie che si parlassero in pace.
Bastavano i pretesti più futili per scatenare violente liti. Le liti
cominciavano durante il giorno tra le donne e i ragazzi e si
riaccendevano alla sera, al ritorno degli uomini.’’194

192
Ivi, p.160
193
Ivi, p.162
194
Ivi,p.117

109
La famiglia narrante

Le straordinarie vicende svoltesi a Fontamara sono narrate da tre voci, tre cafoni
emigrati a Parigi per sfuggire alla dittatura fascista.

I genitori vengono presentati con nomignoli: Giuvà, Matalè che sembrano quasi
esplicitare un rapporto di amicizia e vicinanza.

Le differenze tra le tre voci non sono sempre chiare, ma ciò contribuisce a dare realismo
all’opera; dietro a questa finzione letteraria si cela, da parte di un Silone esiliato in
Svizzera, la volontà di testimoniare la barbarie fascista e di riconfermare il proprio
impegno politico.

Non si può dimenticare però che dietro al pretesto della famiglia narrante, i veri
protagonisti dell’opera sono i ‘’cafoni’’.

Riporto a questo proposito un commento di Barberi Squarotti:

‘’Storia degli inganni, delle oppressioni, delle ingiustizie subite dai


contadini e dai braccianti meridionali da parte della collusione del
fascismo e i padroni che ripete la tradizionale alleanza dello stato con i
detentori del potere economico. E’ un’opera di grande probità morale e
letteraria, come, del resto, tutti gli scritti di Silone: la parte del
‘’positivo’’ vi è rappresentata dallo sforzo ancora limitato di prendere
coscienza, da parte di pochi, della situazione, di lottare politicamente
contro lo stato delle cose, ma il senso autentico dell’opera sono la
protesta contadina, la denuncia dello sfruttamento, dell’oppressione,
proprio come nel realismo dell’800, con l’uguale convinzione
nell’efficacia, come risoluzione del problema, della letteratura che
rivela gli inganni, si fa voce di chi soffre ed è calpestato, ma con in più
rispetto alla tradizione populista a cui si riattacca, un’inquietudine
novecentesca di ricerca di fedi politiche e di amarezza di disinganni, e
una vena di misticismo che esattamente consuona anche con le memorie
ancestrali della vita contadina, delle leggende della terra’’.195

195
Giorgio Barberi Squarotti, La narrativa italiana del dopoguerra, Bologna Cappelli 1965 p.113

110
I fascisti

Silone insiste parecchio nella connotazione negativa dei fascisti che distruggono,
rovinano e oltraggiano.

Da un punto di vista visivo appaiono vestiti di nero, come una presenza infausta che si
scaglia sulla valle dipingendola di un colore cupo.

Silone li descrive con ricchezza di aggettivi, sottolinea molto anche il loro carattere vile
contrapposto a quello ‘’dell’eroe buono’’ Berardo.

I fascisti inoltre appaiono compiere azioni si crudeli ma senza saperne bene essi stessi il
motivo.

‘’Questi uomini in camicia nera, d’altronde li conoscevamo. Per farsi


coraggio essi avevano bisogno di venire di notte. La maggior parte
puzzavano di vino, eppure a guardarli da vicino, negli occhi, non
osavano sostenere lo sguardo. Anche loro erano povera gente. Ma una
categoria speciale di povera gente, senza terra, senza mestiere, o con
molti mestieri, che è lo stesso, ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e
vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano servirli per
ottenere il permesso di rubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i
fittavoli, i piccoli proprietari.

Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di


notte e in gruppo cattivi, malvagi, traditori. Sempre essi erano stati al
servizio di chi comanda e sempre lo saranno’’.196

Importante anche la volontà punitiva dei fascisti, soprattutto contro i deboli e gli
indifesi.

I militi erano venuti a Fontamara e avevano oltraggiato varie donne,


questa era una prepotenza odiosa, però in sé assai comprensibile. Ma

196
Ignazio Silone, Fontamara p. 98

111
l’avevano fatta in nome della legge e alla presenza di un commissario di
197
polizia, e questo non era comprensibile.

Se i Fontamaresi in un primo momento appaiono pieni di fiducia nei confronti delle


autorità che dovrebbero difendere i loro diritti e proteggerli, nel corso della vicenda
diventano sempre più afflitti e sfiduciati a causa anche della barbarie fascista.

‘’I cosiddetti fascisti, a varie riprese, come si udiva raccontare, avevano


bastonato, ferito e anche ucciso persone contro le quali la giustizia non
aveva nulla da dire e solo perché davano noia all’Impresario, e questo
poteva anche sembrare naturale. Ma i feritori e gli assassini erano stati
premiati dalle autorità e questo era inspiegabile’’.198

Il linguaggio

‘’La ricerca linguistica di Silone consiste nello sforzo, da parte di chi sa,
d’esprimere il proprio passaggio dall’ignoranza alla comprensione.

Chi sa non racconta ‘’come se non sapesse’’, secondo l’erronea


formulazione di Bonfanti, ma racconta invece ‘’come non sapeva’’, cioè
in che modo ignorava la propria realtà. Per Silone, solo dopo che si è
capito una realtà, si percepisce cos’ era di essa che prima non lo si
capiva; solo dopo che si è preso coscienza d’una storia, si può
raccontare come si sono svolti i fatti, allorchè non si sapeva cosa ne
sarebbe derivato, e attraverso quali errori e sofferenze ci si è resi conto
a poco a poco di ciò che stava succedendo’’.199

Più volte Silone afferma che per gli abitanti di Fontamara l’italiano è una lingua
straniera.

197
Ivi, p.106
198
Ivi, p.107
199
Luce d’Eramo, Op. cit., p.45

112
Il critico Giosuè Bonfanti sostiene che tradurre in italiano corretto il linguaggio dei
‘’cafoni’’ sarebbe uno sradicare, un far mancare di autenticità la realtà del luogo e dei
personaggi.

Il cafone, in quanto contadino, umile e non istruito parla in modo colorito e talvolta
dialettale, ciò rappresenta un’innovazione all’epoca di Silone nella quale veniva
apprezzato ciò che era stilisticamente ricercato e semplice da tradurre in altre lingue .

‘’ Nell’usare la lingua italiana che è estranea allo spirito dei cafoni si


comincia a tradire una realtà, quella che poteva nascere e non il mezzo
che si impiega.

Raccontata dagli interessati, la storia perde in plausibilità perché


l’esposizione guida in sostanza lo svolgersi e il coordinarsi dei fatti
secondo il già compiuto giudizio dell’autore.

Rivela quindi una coscienza delle cose; apre, sia pur tardi, degli scenari,
mostra dei meccanismi perfidi o ingenui. Ma questa coscienza non è il
tema del racconto, non include il suo dramma, la fase di conquista dei
dati del mondo e delle cose avverse nella conoscenza dei ‘’cafoni’’.
Donde viene, questa coscienza di fatti raccontati che non dovrebbe
diradare l’ignoranza? E che difatti non la dirada in una lotta aspra e
sorda, non delinea le posizioni reciproche in tutta la loro ostilità e nelle
loro stessa unilateralità e insufficienza, perché gli interessati, pur
raccontando e sapendo, per la struttura del racconto è come se non
sapessero; hanno quindi in prestito la coscienza dell’autore, che in loro
diventa inverosimile. ‘’200

Nel 1949 Giacomo Devoto confrontò tale stile con quello del Manzoni che invece
faceva parlare in italiano letterario i popolani.

Manzoni facendo parlare il popolo umile in lingua letteraria, realizzava un miracolo


stilistico perché riusciva a ‘’ evocare il mondo e il linguaggio del popolo attraverso

200
Ivi, p.492

113
strutture linguistiche che erano del tutto estranee al popolo e che ciononostante egli
sottoponeva a un processo accuratissimo e riuscito di costrizione’’.201

E’ anche interessante notare come Silone si serva di metafore e lessemi


appartenenti alla tradizione del mondo contadino, troviamo per
esempio:

L’abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile un pastore.


(p.4)

Sembrava un galletto inferocito. (p.22)

Una boccuccia rosea come un gatto. (p.15)

Andavamo avanti come un branco di pecore con la lingua fuori. (p.29)

Alla sera mi sentivo perciò stanco e avvilito come una bestia. (p.54)

E così Berardo dovè rimanere a Fontamara come un cane sciolto dalla


catena. (p.56)

E noi eravamo violentemente sballottati l’uno contro l’altro come un


branco di vitelli. (p.80)

Rimanemmo accanto alla porta della rimessa come un branco di pecore


senza cane. (p.86)

Maria Grazia, sotto di noi urlava come un animale che sta per essere
sgozzato. (p.95)

Indifeso, sperduto, come un verme sulla faccia della terra.(p.125)

Berardo aveva ormai una sola idea: emigrare, andare via, lavorare
come una bestia. (p.127)

Un povero cafone si sentiva come una pecora senza padrone. (p.125)

Non era certamente un pastore capace di rischiare la vita per difendere


le sue pecore contro i lupi. (p.116)

201
Ivi, p.493

114
Berardo passeggiava in su e in giù per la cella, come un leone in una
gabbia, con passi enormi. (p.152)

A ogni fontana Berardo si fermava per bere, come i nostri asini al


mattino camminando verso il fucino. (p.138)

Sono poi presenti anche diversi paragoni che si rifanno alla realtà dei fenomeni fisico-
naturali, ciò aumenta l’accezione realistica del romanzo, in questo caso troviamo diversi
termini che si rifanno a un crudo realismo per esempio:

Una povera polla d’acqua simile a una pozzanghera (p.24)

Sulla strada del piano il caldo era come in una fornace. (p.28)

Il polverone della strada ci aveva imbiancate come se fossimo state al


molino.(p.29)

Quando si descrive la triste sorte di Berardo possiamo notare espressioni che si rifanno
a una tradizione religiosa:

La madre gli stava aggrappata a una spalla (..) aggrappata come Maria
al calvario (p.59)

E alla fine lo ricondussero in cella come Cristo quando fu deposto dalla


croce (….) era ridotto a un povero ecce homo. (p.156)

Per quanto riguarda invece la descrizione fisica di Fontamara, la scarsezza di aggettivi


rispecchia la povertà dell’ambiente troviamo infatti:

Un centinaio di casucce irregolari, informi, annerite dal tempo,


sgretolate dal vento coi tetti malcoperti da tegole (p.4)

E a Fontamara non c’è bosco: la montagna è arida, brulla, come la


maggior parte dell’Appennino. Gli uccelli sono pochi e paurosi per la

115
caccia spietata che si fa ad essi. Non c’è usignolo, nel dialetto non c’è
neppure la parola per designarlo. (p 9)

Si piegavano a sforzi, privazioni, sacrifici. (p 5)

La valle sottostante a Fontamara appariva deserta e silenziosa. (p.90)

La via che dal piano saliva su a Fontamara facendo larghi giri sul dorso
della collina, era anch’essa deserta e silenziosa. (p.90)

Ai piedi della collina, i campi, e gli orti, abbandonati dal ruscello,


assumevano ogni giorno un aspetto più desolante. (p.124)

Quest’aridità sia paesaggistica sia intesa come aridità sociale e della vita, a mio avviso
descrive con maggiore completezza la durezza della realtà protagonista.

In contrapposizione a questo troviamo anche una ricchezza di aggettivi usati per narrare
l’immobilismo sociale del paese e la geografia della miseria.

Per vent’anni il solito cielo, circoscritto dall’anfiteatro delle montagne


che serrano il Feudo come una barriera senza uscita; per vent’anni la
solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite feste, i
soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la solita miseria: la miseria
ricevuta dai padri che l’avevano ereditata dai nonni, e contro la quale il
lavoro onesto non è mai servito a niente.202

Anche in questo caso possiamo notare una similitudine con Pietrasacca, la cittadina in
cui è ambientato Vino e Pane.

Essa viene descritta i questo modo:

Una sessantina di casette affumicate e screpolate, di cui una parte


avevano le porte e le finestrelle chiuse, essendo probabilmente deserte.
Il villaggio appariva costruito in una specie di imbuto, incavato nella
chiusura della valle. Non si scorgevano che due sole case civili.203

Oppure ecco anche come viene descritta Orta, citata ne Il seme sotto la neve.

202
Ignazio Silone, Fontamara, p.4
203
Ignazio Silone, Vino e Pane, p.104

116
All’entrata del paese anche il fango diventa domestico e umano. Il
vicoletto è fiancheggiato da stalle fetide e casucce imputridite, contro le
quali sono addossate mucchi di letame e resti di cucina, spazzatura,
cocci altri rottami, mentre nel mezzo della via, che è costruita a forma di
basto rovesciato, scola un rigagnolo nerastro che trasporta con sé detriti
e disfacimento.204

Il problema della traduzione:

Parallelamente all’affermazione dello stesso Silone che per i suoi cafoni l’italiano è una
lingua straniera, alcuni critici hanno studiato il suo linguaggio in rapporto alla
traduzione in lingue straniere.

In un primo momento tradurre la produzione Siloniana sembra impossibile, ecco cosa


scrive nel 1931 Salvemini in una lettera indirizzata ad un’amica :

Tradurlo mi pare impossibile. E’ stato già necessario tradurre i fatti in


italiano. Come ritradurli dall’italiano in francese e in inglese? Il
racconto è così aderente ai fatti, e i fatti sono così lontani
dall’esperienza di chi non è italiano, e anche di molti italiani, che una
traduzione è impossibile.

Come tradurre per esempio i nomi propri e i soprannomi? Bisognerebbe


pubblicare il racconto in italiano. Ma dove trovare un editore? Le case
editrici italiane che stanno all’estero e che pubblicherebbero quel lavoro
sono tutte poverissime. Se domani cadesse il fascismo, si troverebbero in
Italia dieci editori che pubblicherebbero e pagherebbero bene quel
racconto. Ma oggi all’estero chi avrebbe denaro da rischiare in un libro
che si venderebbe pochissimo, perché gli italiani leggono poco, anche
meno che in Italia?’’205

204
Ignazio Silone, Il seme sotto la neve, p.17
205
Luce d’Eramo, Op. cit., p.623

117
Accadde poi che durante l’esilio in Svizzera Silone conobbe persone che conoscevano
l’italiano e apprezzarono Fontamara, tra queste ricordiamo la traduttrice bavarese
Nettrie Sutro che di propria iniziativa decise di tradurre il romanzo in tedesco.

Ecco cosa scrisse a questo proposito Silone:

Fu inizialmente un atto di pura generosità anche l’interesse che Nettie


portò ad un mio manoscritto, che poi lei tradusse in tedesco. Nessuno
allora poteva prevedere, né l’autore né la traduttrice, che quel lavoro
con il titolo di Fontamara avrebbe fatto, qualche anno più tardi il giro
del mondo. Penso che Nettie fosse soprattutto impietosita dalla sorte del
lavoro: scritto a Davos era rimasto in pegno, assieme ad alcuni capi di
vestiario, presso la pensione che aspettava il saldo del mio debito. Nettie
non aveva mai tradotto altri libri (il solo lavoro letterario a cui si fosse
in precedenza applicata era consistito in ricerche d’archivio per Emil
Ludwig) e pertanto fu un’esperienza non facile a cui si espose con
Fontamara. Ma l’assolvette con pazienza e bravura.206

206
Ivi,p.59

118
(4) IL PUNTO DI VISTA POPOLARE
I protagonisti di Fontamara sono i poveri, i cafoni, i contadini, e con essi è protagonista
il loro modo di comunicare e di rivendicare i propri diritti, di consultarsi e discutere;
Silone compie la scelta innovativa di inserire nelle sue opere termini gergali o errori
grammaticali per rendere più autentica la parlata popolare, ovvero lo stile comunicativo,
quella parola che i personaggi usano prima per litigare tra loro, poi per farsi forza e
infine per difendersi.

Scrive Giosuè Bonfanti:

(…) Il romanziere neppure si riserva, come orizzonte proprio o


intenzione inespressa e conclusiva, il rapporto continuo fra ciò che
costituisce la realtà complessiva, i fatti minori in cui gli interessati si
muovono e il modo in cui li vedono. E’ vero che sembra un po’ il loro
destino e il loro compito, quello di agire in maniera da prestarsi più
facilmente alle sopraffazioni e di non riuscire neanche a contrastare ai
pericoli che in qualche modo intuiscono tramati ai loro danni; ma nel
complesso del libro, ciò non giunge ad essere motivo, spunto di sviluppo,
dimensione di estrema verità.207

Lo stile narrativo è semplice e talvolta gergale, non dimentichiamo che per i cafoni
l’italiano è una lingua straniera . Silone avrebbe desiderato scrivere il racconto nel
dialetto del luogo, in modo da renderlo ancora più realistico, ma affinché esso potesse
essere capito da tutti i lettori, è costretto a servirsi dell’italiano, senza ricorrere ad
espressioni troppo tipiche, se non nei nomi propri. La scrittura è costruita su periodi
semplici, priva di riflessioni psicologiche o di accurate descrizioni, che spesso non
vengono espresse con discorsi teorici, ma portando un esempio concreto, proprio come
in una conversazione reale.

‘’Un essere irragionevole non ammette il digiuno. Dice: se mangio


lavoro, se non mangio non lavoro ‘’ continuò Berardo. ‘’O meglio,

207
Luce d’Eramo , Op. cit., p.492

119
neppure lo dice, perché allora ragionerebbe, ma per naturalezza così
208
agisce.’’

Altro elemento caratterizzante del linguaggio parlato sono le iperboli e le esagerazioni


popolaresche, che spesso compaiono nel racconto; Silone per rendere più autentica la
realtà descritta si anche sofferma sulle credenze e le superstizioni.

‘’ Damià’’ gli gridò Maria Rosa dopo averlo osservato con aperto
disgusto ‘’chi ti ha gettato il malocchio?’’209

‘’La Quaterna, la Ricchiuta, la figlia di Cannarozzo, Giuditta, la


Limona, Marietta e le altre donne si inginocchiarono per terra e si
misero a urlare le maledizioni più terribili che venissero loro in mente,
con i pugni rivolti contro il cielo.‘’ Possano perdere tanto sangue
quanta acqua vogliono rubarci.’’210

Lo scrittore si concentra molto sullo sforzo che i contadini compiono per capire e farsi
capire; il testo di Fontamara è ricchissimo di allusioni al tema dell’equivoco da un punto
di vista sia lessicale sia tematico.

Il generale Baldissera era assai povero, forse il più misero di tutti i


Fontamaresi, ma soffriva che si risapesse e ricorreva a piccoli raggiri
per nascondere la fame che da molti anni lo divorava. Fra l’altro egli
coglieva i pretesti più bizzarri per allontanarsi la domenica da
Fontamara e tornarvi verso sera, in realtà più che mai digiuno e sobrio,
ma con uno stecchino tra i denti e traballante, come uno che avesse
mangiato carne e bevuto fino all’ubriachezza, per apparire un uomo in
grado di spendere.211

E’ descritto accuratamente anche il modo di pensare dei contadini, lo sforzo che


compiono per essere aiutati, il modo in cui essi sono visti da chi è esterno alla loro
realtà, l’ intero romanzo è permeato delle dinamiche comunicative della povera gente,

208
Ignazio Silone, Fontamara, p.74
209
Ivi, p.65
210
Ivi, p.121
211
Ivi, p..53

120
come ho detto più volte i contadini ci appaiono come una massa unica, accomunata
dalla medesima situazione economica e sociale.

Noi eravamo tutti nella stessa piazzetta ed eravamo nati tutti a


Fontamara; ecco cosa c’era di comune tra noi cafoni.212

Ma che dinamiche segue il linguaggio del popolo ? Quali regole? E come sono
considerati essi da chi li vede dal di fuori?

A Fontamara e nei paesi vicini la maggior parte dei cafoni sono piccoli
proprietari o fittavoli o anche le due cose assieme. Il numero dei
senzaterra è scarso. Il cafone senza terra è disprezzato e malvisto da
tutti; perché grazie al basso prezzo della terra, il bracciante che una
volta rimaneva senza terra, veniva giudicato un uomo fiacco stupido e
passivi (…) Se però i tempi erano mutati, il modo di sentire era rimasto
l’antico, e il cafone senza terra era assai disprezzato.213

Ci troviamo di fronte a una situazione di immobilismo sociale e storico, che vede ‘’il
cafone’’ come l’ultimo della terra, ultimo al quale Silone cerca di dare voce, riporto a
questo proposito il commento di Francesco Flora:

Con una fantasia carica di umana sofferenza e di intesa religione


sociale, principalmente verso gli umili, sotto lo stimolo pungente, che fu
la ragione stessa del suo esilio, dell’avversione a un regime di falsità;
ma con la malinconia affettuosa di ogni esilio e la lontananza che gli
governa il ricordo, e una certe letizia ironica che allenta le tensioni,
Silone rappresenta la vita dei cafoni nella terra arida e brulla, ove non
c’è bosco e non c’è usignolo e racconta il rapporto o forse l’urto tra la
tradizione campagnola e l’arbitrio del regime, con le sue gerarchie e le
sue condanne all’entusiasmo. Nell’ultima letteratura italiana quest’arte,
che a noi giunse clandestina, è un po’ spaesata. Ma essa guadagna per
la chiarezza del quadro quel che sembra perdere per altri rapporti di
elaborazione artistica. E infine se egli non è narratore nato, non so più

212
Ivi, p.98
213
Ivi, p..106.

121
che cosa possano essere romanzi e racconti, spontaneamente ordinati
dalla virtù dell’arte.214

In secondo luogo è necessario precisare che come sottolineato da Luce D’Eramo 215, il
romanzo ruota attorno a tre importanti nuclei tematici: la nozione di parola, il capire e il
parlare.

La parola è un’arma, prima in mano ai potenti, poi al servizio degli umili per
rivendicare giustizia sociale, quando il Solito Sconosciuto suggerisce ai cafoni la stesura
del giornalino, il regime rade al suolo Fontamara, basta una debole protesta da parte di
un paesino di provincia per spaventare ‘’i briganti neri’’, i cafoni perlopiù analfabeti
non sarebbero stati in grado da soli, di reagire in modo così sofisticato, essi però
comprendono grazie alla triste sorte di Berardo che la forza fisica non è il modo che
serve loro per farsi rispettare.

‘’ La prima discussione l’avemmo sul titolo da dare al giornale.


Baldissera voleva un titolo di quelli come si usano in città: Il
messaggero, La tribuna, o qualcosa di simile. Ma Scarpone, che aveva
ereditato le maniere di Berardo gli impose di tacere. Michele propose un
buon titolo: La verità che voleva dir molto. Ma Scarpone arricciò il
naso: ‘’la verità’’ disse ‘’chi conosce la verità?’’ (…) ‘’Che fare?’’
disse Scarpone. Ci guardammo in faccia sorpresi. (..) Scarpone
s’infuriò. Il giornale doveva essere un giornale di cafoni, il primo
giornale dei cafoni.’’ 216

Tutti i rapporti tra i personaggi si giocano sul binomio della spiegazione, e della
comprensione, i cafoni, sono consapevoli della loro ignoranza, il detto ‘’questo ognuno
lo sa’’ nel corso del romanzo è quasi un intercalare.

Essi sono abituati ai soprusi dei potenti e ad essere imbrogliati, tanto da confondere
l’essere istruiti con l’essere intelligenti, ammirano chi possiede una notevole o discreta

214
Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, Mondadori Milano 1949 p. 633
215
Luce d’Eramo Ignazio Silone
216
Ignazio Silone, Fontamara , p.163

122
abilità retorica, sono fragili di fronte alla battute e ai motti di spirito, si vergognano
dell’ignoranza che li contraddistingue.

‘’Una volta, quando avevano diritto di voto solo quelli che sapevano
leggere e scrivere, egli (Circostanza) mandò a Fontamara un maestro
che insegnò ai cafoni a scrivere il nome e il cognome di don
Circostanza. I Fontamaresi votavano dunque sempre unanimi per lui,
d’altra parte, anche volendo, essi non avrebbero potuto votare per altri,
perché sapevano scrivere solo quel nome’’.217

A un certo punto del romanzo vediamo il personaggio di Don Abbacchio che si cava
d’impaccio con una battuta.

‘’ Se tu ti fossi fatto frate, saresti diventato un buon predicatore’ ’rispose


don Abbacchio a Berardo in tutta serietà. E con quella frase volse il riso
dalla sua parte e si salvò.’’218

Quello che pretendono i cafoni è il vedere la propria dignità riconosciuta, o meglio, non
essere calpestati tanto da essere privati del proprio stato di essere umani, non essere
derisi o manovrati dalle istituzioni; essi non si fanno un cruccio della loro povertà ma
piuttosto del disprezzo che essa produce, chi è interessato a manovrarli farà leva su
questo per ingraziarseli; nel corso del testo spesso i cafoni si deridono l’un l’altro
accusandosi di ignoranza. L’autore sottolinea come la povertà intellettuale e l’ingenuità
dei Fontamaresi giochi a loro svantaggio, vengono imbrogliati e non possiedono i mezzi
per difendersi.

Litigano l’uno contro l’altro in una infinita guerra tra poveri.

‘’La nostra scarsa istruzione ci impediva di capire come l’acqua potesse


essere divisa in porzioni di due quarti ciascuna. (…) E noi eravamo
troppo ignoranti per capirlo. Così invece di litigare col demonio,
ognuno di noi pensava di accaparrarsi, a danno degli altri paesani, i
migliori turni della poca acqua rimasta’’.219

217
Ivi, p..44
218
Ivi, p.117
219
Ivi, p.54

123
Percepiscono come una gran prova di coraggio e di personalità il replicare ai signori, il
farsi valere davanti a chi è socialmente più elevato, ma poiché molte volte non ne hanno
il coraggio tacciono e si chiudono in un silenzio di difficile interpretazione.

‘’Noi cessammo di parlare. Era evidente che quel fringuellino era


arrivato con l’avviso di una nuova tassa’’.220

Nucleo tematico dell’opera è la comprensione, nel binomio si di spiegarsi sia di essere


compresi.

Da un punto di vista puramente stilistico salta all’occhio un lessico molto curato


seppure semplice, giocato sul ripetersi dei temi di ignoranza-comprensione; la parola in
tutto il romanzo è un’arma più pericolosa di una spada: nella prima parte è l’arma con
cui i vari personaggi colti e ricchi ingannano i ‘’cafoni’’ nella seconda parte invece sarà
il mezzo che useranno i contadini stessi per rivendicare i loro diritti.

Riporto, capitolo per capitolo, i dialoghi o le frasi che mi sembrano più significativi per
comprendere sia l’artificio letterario dell’autore, sia il punto di vista popolare dei
personaggi, il loro modo di percepire la realtà e lo sforzo che essi fanno per farsi capire.

CAPITOLO I:

‘’Capimmo subito che era uno di città. Rare parole capivamo di tutto
quello che diceva’’.

A parlare sono gli uomini di legge, mentre i cafoni tacciono e ascoltano sorpresi, non
sono infatti abituati a ricevere visite importanti.

Già da questo incipit emerge la distinzione tra chi è contadino e chi è di grado più
elevato.

Infatti come spiegato da Silone già nelle prime pagine:

‘’La scala sociale a Fontamara non conosce che due piuoli: la


condizione dei cafoni, raso terra (…) un po più su i meno poveri.’’ (p.5)

220
Ivi, p.16

124
‘’Ma non riuscivamo a capire di che cosa si trattasse.(….) Di tutta la
sua filastrocca non avevo capito dieci parole. Io lo guardai con
indifferenza e neppure gli risposi’’.

Emerge la differenza sociale e intellettuale tra i più potenti che spiegano e i poveri che
non sono nemmeno in grado di capire e si chiudono nel silenzio.

‘’Nessuno fiatò: Ma se neppure sapevamo di che si trattasse, perché


dovevamo firmare? Noi stavamo dunque a guardare senza fiatare e
quello andò su tutte le furie’’.

‘’Gli feci dunque capire che non eravamo idioti. Gli feci capire che
avevamo compreso’’

‘’Parliamo e non ci capiamo’’ egli disse scoraggiato ‘’ Parliamo la


stessa lingua, ma non parliamo la stessa lingua’’.

‘’Ma noi eravamo cafoni. Non capivamo tutto da cafoni, cioè a modo
nostro.’’

‘’Capite? Ci spiegò è finito il tempo in cui i cafoni erano ignoranti e


disprezzati’’

‘’Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi nulla. Poi ancora
nulla, Poi ancora nulla. Poi vengono i cafoni’’.221

Lungo tutto il romanzo la parola esprime un ruolo molto importante, prima è l’arma dei
ricchi, dei padroni, dei potenti, di coloro che vengono dalla città, poi diventerà anche il
mezzo di ribellione dei poveri.

CAPITOLO II:

Silone descrive le due protagoniste fontamaresi che si recano al capoluogo per


reclamare l’acqua.

221
Ignazio Silone, Fontamara p.17 e seguenti

125
‘’Siamo poveri ma conosciamo le convenienze (…) Come ognuno
capisce’’ (p.25)

Parla Marietta ‘’perché lei sapeva come si parla con le autorità. (p.27)

E’ evidente il tema della disparità sociale, con le autorità si parla in modo diverso da
quello che si usa nel quotidiano.

‘’Non possiamo fare brutta figura’’.(p.27)

‘’Ma quella non mi capì. Ad ogni modo non sapevamo più che fare (..) si
guardavano tra loro sbalorditi. (p.30)

‘’La gente istruita è sofistica e si arrabbia per le parole’’. (p.32)

Questa frase è particolarmente significativa: i colti hanno i mezzi e le possibilità di


arrabbiarsi per un discorso, i poveri invece devono per forza non farci caso.

‘’<voi siete cafone> ci rispose quello <Carne abituata a soffrire>’’.


(p.33)

I cafoni, ultimo gradino della scala sociale, costretti a torti e privazioni.

‘’Così’ Marietta ripeteva le frasi già imparate frequentando le


autorità’’. (p.35)

‘’E’ l’autorità’’ gridava Marietta’’ solo l’autorità può decidere’’. (p.37)

Ancora presente il tema della diversa scala sociale tra l’autorità che decide e il povero
contadino sottomesso.

Emerge nuovamente il tema dell’incomprensione e dell’incapacità di spiegarsi.

‘’..Non devi credere che siamo poveri perché siamo sfaticati’’. (p.43)

‘’Non so se voi donne potete capire certe cose’’. (p.48)

‘’Nessuna di noi aveva capito in cosa consistesse quell’accordo’’.


(p.50)

126
CAPITOLO III:

In questo capitolo viene presentato il personaggio di Berardo e Silone fa notare come le


‘’promesse’’ dei padroni servano solo a confondere maggiormente le idee dei cafoni.

‘’La nostra scarsa istruzione ci impediva di capire..’’ (p.51)

‘’Nessuno di noi aveva sufficiente istruzione per sciogliere


quell’imbroglio (….) ma diffidavamo dal ricorrere a qualche persona
istruita, per non aggiungere altre spese all’inganno.’’ (p.52)

‘’Voi siete troppo ignoranti per capire questi misteri’’. (p 53)

‘’E noi eravamo troppo ignoranti per capirlo. ‘’ (p. 54)

I contadini vengono più volte beffati, giocando sulla loro incapacità di comprendere le
sottigliezze a cui sono sottoposti.

‘’Egli poteva fare da paciere (…) non aveva interessi da spartire con
gli altri cafoni’’. (p.55)

Berardo, il giovane più forte del paese, è l’unico che rifiuta la propria condizione di
cafone. In un primo momento egli cerca in ogni modo la giustizia sociale, in seguito
decide di emigrare.

Emerge ancora in modo prepotente il tema della comprensione e del farsi capire.

‘’L’avvocato dovè capire che la sua vita era legata ad un filo, eppure
cercò di sorridere.’’ (p.57)

Oltre al solito nucleo tematico del capire, emerge ancora come l’avvocato, quindi una
persona con un ruolo sociale più elevato seppur spaventato da Berardo Viola abbia i
mezzi e l’istruzione per togliersi d’impaccio da una situazione sgradevole.

‘’Fontamara era avvolta da un nuvolone nero che non lasciava capire


nulla.’’ (p.59)

127
La metafora della comprensione viene usata anche per una descrizione paesaggistica.

‘’Quelli che non conoscono o hanno dimenticato questi fatti, ora sono
facilmente ingiusti verso Berardo e preferiscono spiegare il suo destino
rifacendosi alla fine del nonno, il famoso brigante Viola (p.59)’’.

Immobilismo sociale e creazione di figure mitiche.

‘’Non si discute con le autorità’’. (p.60)

Come può un contadino avere ragione? ( p.60)

‘’Un padrone non si fa mai commuovere dai ragionamenti. Un padrone


si regola secondo l’interesse. (p.60)

Riconoscimento della parola come arma, in questo caso vana di fronte all’interesse
economico dei padroni.

Questa era l’amara parlantina di Berardo Viola (p.61)

Così ogni volta che egli si intrometteva nei nostri argomenti, la


confusione aumentava, nessun anziano gli dava ascolto, neppure per
contraddirlo; (…) e per sua natura, avido di chiacchiere inutili. Ma con
i suoi discorsi stravaganti e con il suo esempio, Berardo aveva cambiato
il ragionamento di tutta la gioventù di Fontamara. (p.61)

Nella descrizione del protagonista, Silone attribuisce una notevole importanza al suo
saper essere carismatico e convincete, dote che oltre a quelle fisiche, lo rende l’uomo
più rispettato del paese.

‘’Come puoi pensare che io mi sposi una ragazza con la dote ed io senza
terra?’’ (p.64)

Emerge l’importanza di possedere qualcosa, seppure poveri.

‘’Il padre di Berardo è morto in Brasile. E come sia morto, non si è


risaputo. Ogni mese spediva qualche soldo perché lo mettessi da parte,
fino a formare una certa somma, per comprare una certa terra.’’ (p.66)

128
Emerge la tematica dell’emigrazione e dell’importanza di avere un possedimento.

Interessante anche notare come le vicende personali della famiglia Viola, vengano
narrate in modo quasi leggendario.

‘’Cosa ne sai tu? Cosa ne sai tu se siamo in pace o in guerra?’’ (p.69)

Cosa ne vuoi sapere tu, cafone ignorante e senza terra? La guerra sono i
cafoni che la combattono ma sono le autorità che la dichiarano. Quando
scoppiò l’ultima guerra a Fontamara sapeva qualcuno contro chi fosse?
(p.70)

Emerge sempre la tematica della difficoltà di comprendersi e si può notare come i


cafoni siano sfruttati per combattere una guerra che neppure comprendono.

‘’Ma ci sono state guerre che nessuno ha mai capito contro chi fossero.
Una guerra è talmente complicata che un cafone non potrà mai
capirla.’’ (p.70)

Emerge la scarsa considerazione nei confronti del popolo.

‘’Nonostante il diverso modo di esprimerci ,si può dire, dunque, che in


fondo eravamo pienamente d’accordo.’’ (p.70)

Emerge un tentativo di comprendersi.

‘’E nessuno sapeva risponderle. Seduto davanti alla cantina di Marietta


il generale Baldissera rispondeva, con pazienza, a tutti quelli che si
recavano a chiedere informazioni da lui.’’ (p.70)

Si denota come i contadini si rivolgano all’unica persona che sembra loro in grado di
comprendere la situazione.

‘’Nemmeno io lo so, nel foglio non è spiegato’’ (p.70)

‘’Senza dubbio egli ha mal capito i vostri discorsi, senza dubbio ‘’(p.71)

‘’ <Voi non mi avete capito > disse < oppure scusate fingete di non
avermi capito>.’’ (p72)

129
‘’Ma a Fontamara nessuno sa neppure cosa sia la politica’’ (p.73)

Emerge la bassa considerazione che gli abitanti hanno di essi stessi.

‘’Dunque non bisogna più ragionare concluse Berardo.’’ (p.73)

‘’Non bisogna più ragionare, bisogna farla finita con i ragionamenti. E


poi siamo sinceri a che servono i ragionamenti? Se uno ha fame, può
nutrirsi di ragionamenti?’’ (p.73)

Emerge la necessità di sostentamento contrapposta all’arte retorica.

‘’Coi padroni non si ragiona. Tutti i guai dei cafoni vengono dai
ragionamenti. Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è
cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano (o,
almeno, fingono di non ragionare)’’ (p.74)

Parla sempre Berardo Viola, possiamo notare come sia chiara la consapevolezza di
essere stati imbrogliati con le parole dai potenti.

‘’L’asino irragionevole porta 70, 90, 100 chili di peso; oltre non ne
porta. (…) Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove.
Ma il cafone invece ragiona, il cafone può essere persuaso.’’( p.74)

‘’< Perché il podestà ha deciso di proibire tutti i ragionamenti?>’’


(p.75)

Grazie a questo paragone con la vita contadina Berardo con un ragionamento sottile ma
semplice cerca di risvegliare la consapevolezza dell’imbroglio tra la sua gente.

CAPITOLO IV:

‘’E chi non lo sapeva? Ma sapevamo anche che ai fontamaresi..’’ (p. 77)

Emerge ancora una volta il binomio sapere- ignorare.

130
‘’< E il gagliardetto?> domandammo noi. <Ogni gruppo di contadini
deve assolutamente portare il gagliardetto, dicono le istruzioni da me
ricevute> aggiunse il conducente.

< Ma scusate, cos’è il gagliardetto?> domandammo noi imbarazzati.

<Il gagliardetto è la bandiera> spiegò ridendo il conducente’’ (p.79)

I contadini ignorano cosa sia il gagliardetto e provano vergogna nel vedere la loro
ignoranza così evidente.

‘’Sono le anime comprate dal governo ’’ Spiegò Berardo. (p.81)

Berardo che cerca di rendere chiara la situazione alla sua gente.

Però noi non potevamo ripartire senza aver nulla concluso e senza aver
nulla capito di ciò che era successo (p.83)

‘’Tutto è chiaro rispondemmo noi’’(p.85)

Emerge la paura dei contadini di farsi valere e il timore di non essere ascoltati o capiti.

‘’Siete troppo stupidi ‘’ ci dissero ‘’Non siete per nulla divertenti’’


(p.86)

I Fontamaresi vengono disprezzati anche dalla gioventù di città che festeggia.

‘’E cominciò ad ingiuriarci, trattandoci da stupidi ed arroganti nello


stesso tempo. (p.86)

‘’Il malcontento dei cafoni è al colmo. Ma voi siete ignoranti. Voi avete
bisogno di una persona istruita per guidarvi. ‘’(p.87)

‘’Io vi capisco mi basta guardarvi negli occhi e vi capisco’’.

‘’Veramente noi non capivamo (..) Lui faceva le domande e lui le


risposte.’’ (p.87)

Ancora una volta i cafoni vengono fatti sentire inadeguati per farsi voce e far valere i
loro diritti.

131
CAPITOLO V:

‘’Ma le discussioni non cessarono’’ (p.90)

Emerge sempre come i Fontamaresi siano pronti a litigare tra loro di fronte ad
avvenimenti estranei per i quali non sanno darsi una risposta.

Nessuno poteva figurarsi quello che stava per accadere e ci dicevamo le


cose che si dicono ogni giorno.(p.90)

‘’Ognuno spiegava in modo diverso ’’ (p.91)

Ci troviamo nuovamente davanti al tema dell’affanno per trovare una spiegazione.

‘’Tutto quello che succedeva era privo di senso’’ (p.92)

‘’Non potevamo sapere nulla’’ (p.96)

‘’Nemmeno essi lo sapevano’’(p.96)

‘’E’ una cosa mai vista’’ (p.97)

Con queste scelte lessicali Silone evidenzia come la povera gente non comprende un
avvenimento nuovo ( la mancanza dell’acqua e l’avvento dei fascisti) e cerca di darsi
una risposta.

‘’Per la prima volta egli (Baldissera) ci confessava di non capire’’(p.97)

Nemmeno uno dei più colti riesce a spiegare l’avvenimento, in questo istante più che
mai appare vicino ai contadini.

‘’Nessuno capiva nulla di quello che succedeva. Nessuno parlava.


Ognuno guardava l’altro. Ognuno capiva che si aveva a che fare con
l’autorità per un motivo ancora sconosciuto’’ (p.97)

Tema della complicità tra i paesani che cercano di costruire un legame tra loro.

‘’Questi uomini in camicia nera d’altronde li conoscevamo’’(p.97)

132
In questo caso i fascisti sono descritti tramite il colore che li contraddistingue, colore
che va ad incupire la brulla vallata, come un’ombra scura.

‘’Nessuno di noi sapeva cosa significasse refrattario’’ (p.99)

Per imbrogliare i Fontamaresi i potenti li confondono usando termini sofisticati, ignorati


da loro che per comunicare si servono del dialetto.

‘’Per conto mio cercai di avvicinarmi a Baldissera che di noi era la


persona più istruita e conosceva le cerimonie, per essere consigliato da
lui sulla risposta; ma lui mi guardò con un sorriso di compassione, come
di chi la sa lunga, però solo sul suo conto ’’ (p.99)

Se prima Baldissera poteva essersi reso complice con i Fontamaresi adesso vediamo che
riprende subito il suo antico ruolo.

‘’Avvenimenti inesplicabili’’ (p.100)

‘’Spiegò l’omino’’(p.100)

‘’Ma la cosa veramente importante che rimaneva oscura era se.’’


(p.101)

‘’Sapete cosa han fatto?’’ (p.101)

‘’Forse Scarpone sa perché si sono fermati’’ (p.102)

‘’Berardo capì subito o almeno crede di capire’’ (p.102)

Berardo viene sempre citato come la figura di maggiore iniziativa, che fa da guida per
gli altri.

CAPITOLO VI:

‘’Tu sai che non è vero, tu sai che non ho affatto avuto la vita facile’’
(p.105)

133
Parla Berardo; è afflitto e abbattuto per tutte le sventure successe, ma ancora
intenzionato a fare giustizia.

‘’Tu dovresti saperlo hai già tentato un paio di volte e non t’è riuscito’’
(p.105)

Emerge nuovamente come la sorte si accanisca contro Berardo o, più genericamente,


verso tutti gli umili.

Siamo a metà della vicenda, da questo momento in poi i ‘’cafoni’’ perdono sempre più
le loro connotazioni individuali per diventare un’unica ‘’fascia sociale’’ alla ricerca di
giustizia.

‘’Per una persona istruita come Circostanza il conto non era difficile’’
(p.108)

Don Circostanza, essendo un religioso dovrebbe avere a cuore gli interessi dei
contadini, invece di natura vile e interessata, approfitta del loro non saper contare,
imbrogliandoli piuttosto che soccorrendoli.

‘’Fatti pazzeschi del tutto incomprensibili’’ (p.106)

‘’Una prepotenza odiosa, però in sé assai comprensibile’’ (p.106)

‘’Non vorrei essermi spiegato male ‘’ balbettò l’avvocato ‘’ anche la


mia vita è difficile’’. (p110)

Emerge la viltà del potente che cerca una qualsiasi giustificazione.

‘’<Non è strano? Non è terribile?> (..) L’inganno era evidente.’’


(p.109)

Siamo di fronte a un nuovo, legale, tentativo di ingannare i Fontamaresi, ormai sempre


più afflitti e abbattuti da tutte le disgrazie subite.

‘’Sapete voi quali pene rischia colui che trasgredisce simili leggi? Voi
non lo sapete, voi siete ignoranti, ma io lo so. ‘’(p.110)

Ancora una volta emerge la contrapposizione tra l’ignoranza e il sapere.

134
‘’Ogni parola di loro signori, ogni gesto, puzzava di inganno.’’(p122)

I contadini hanno la percezione di essere imbrogliati, Silone sottolinea efficacemente


come essi fiutino l’inganno ma non siano in grado di difendersi; ritorna notare il
concetto chiave di ‘’parola’’ in questa occasione portatrice di inganni.

‘’Ma nessuno di noi sapeva quanti mesi o quanti anni facessero dieci
lustri’’ (p.123)

Per l’ennesima volta i potenti si prendono gioco dell’ignoranza dei cafoni


imbrogliandoli anche sulla nozione di tempo.

CAPITOLO VII:

‘’Non è facile spiegare quello che ciò significava per noi .’’ (p.125)

Da questa frase risulta chiara l’impossibilità da parte dei cafoni di spiegare le loro
sensazioni.

‘’Noi non potevamo contare su nessuno. ‘’(p.125)

Emerge la solitudine dei contadini abbandonati a sè stessi che si ritrovano privi di


qualsiasi figura di riferimento.

‘’Nessuno poteva rassegnarsi alla perdita dell’acqua, cioè, alla morte di


fame, nessuno conosceva la via per recuperarla.’’ (p.126)

La lotta per la sopravvivenza è l’istinto che spinge i cafoni a dar voce alla loro sete di
giustizia.

Non possono accettare di non aver più nulla per sopravvivere.

‘’Chi vuol capire capisca ‘’(p.127)

‘’Ho capito che è sant’Antonio che ti manda.’’ (p.129)

‘’Non conosci tutti i torti che l’impresario ci ha fatto? Non vedi che non
ci resta altra via per faci giustizia? Non sai che a Fontamara il prossimo
inverno non avremo da mangiare che i sassi? ‘’(p.131)

135
E’ Scarpone che parla a Berardo. Il giovane però ormai è demotivato e vuole solo
andarsene, non crede più nella possibilità di una giustizia sociale, di una rivincita da
parte di tutti, ora vuole pensare a sè stesso.

‘’Berardo ascoltava scuotendo la testa. Tutti quegli argomenti, egli li


conosceva. Egli li aveva difesi in centinaia di discussioni con gli altri
cafoni. Ma egli non era più un ragazzo, egli non poteva più rischiare
spensieratamente la vita e la libertà personale, perché ora, egli non era
più solo. Egli era costretto a pensare in modo diverso. Egli pensava in
modo diverso. Quando l’intero paese aveva finito per pensare come lui,
Berardo aveva cambiato modo di pensare.’’(p.131)

Berardo ha cambiato idea e vuole cercare la fortuna altrove.

Fontamara si ritrova così priva di quel punto di riferimento che aveva sempre trovato in
lui.

‘’<Sentite> egli disse spiegandosi ancora meglio con un tono di voce da


non lasciare dubbi. <Io non ho nessuna voglia di andare in galera per la
vostra acqua e per la vostra terra. Io devo occuparmi dei fatti miei.>’’
(p.132)

Sicuro della sua decisione, Berardo ha maturato la sua scelta.

CAPITOLO VIII:

‘’Molta gente passava ma nessuno si occupava di noi. ‘’(p.137)

Nell’ufficio pubblico dove si trovano i due contadini sono tenuti in scarsa


considerazione e non vengono rispettati.

‘’Capii che Berardo era in vena di riprendere la discussione avuta con


Scarpone alla vigilia della partenza e che internamente gli bruciava, ma
con me aveva poco da discutere.’’ (p.139)

136
Emerge ancora una volta il carattere deciso e forte di Berardo, ora egli è animato dalla
volontà di trovare un lavoro e si sforza di mettersi in gioco.

‘’Non è questione di coraggio capisci? Come può Scarpone credere che


io abbia paura? ‘’(p.139)

Berardo, consapevole di essere il giovane più rispettato del paese non accetta che
qualcuno possa sfidarlo.

‘’L’impiegato scoppiò a ridere. Comunicò la nostra domanda agli altri


impiegati e l’ilarità si propagò in tutto l’ufficio. Quando tornò la calma
e l’impiegato si ebbe asciugato gli occhi bagnati per il troppo ridere, ci
spiegò.’’ (p.140)

I cafoni sono derisi per la loro ignoranza e addirittura l’impiegato invece che aiutarli si
prende gioco di loro, aumentando di conseguenza il loro disagio.

‘’Berardo spiegò il motivo della nostra venuta a Roma.’’ (p.142)

Ancora una volta, dopo aver girato di ufficio in ufficio, Berardo deve spiegarsi per non
essere frainteso. Ancora una volta non sarà aiutato.

‘’<Cosa faremo?> Domandavo io. <Non possiamo eternamente restare


senza mangiare>’’. (p.144)

I due Fontamaresi sono stati derubati e ora si ritrovano affamati e beffati, in una
drammatica situazione.

‘’Berardo non mi rispose, anzi certamente neppure mi udì. La sua faccia


assunse un aspetto terrificante e il bianco dei suoi occhi si era di colpo
intorpidito e iniettato di sangue.’’ (p.146)

Questa è la reazione di Berardo quando scopre la morte di Elvira. Certamente non


poteva essere stato suo padre, morto da vent’anni, a mandargli un telegramma.

‘’<Che dobbiamo fare?> domandai a Berardo. ‘’(p.146)

I due sventurati devono anche lasciare l’alloggio. Sono senza soldi e senza lavoro.

137
Il protagonista tuttavia vede sempre in Berardo qualcuno in grado di fornirgli delle
risposte.

‘’Continua la caccia al solito Sconosciuto spiegò sottovoce l’Avezzanese


a Berardo. ‘’(p.149)

Inizia ufficialmente la ‘’fine’’ di Berardo, nel momento del suo arresto.

‘’Io non capisco, tornava a ripetere Berardo ‘’non capisco perché i


cittadini abbiano potuto fare un giornale da distribuire gratuitamente ai
cafoni.’’(p.150)

Quando la parola diventa un’arma di difesa, gli stessi cafoni non sono in grado di
comprenderne la portata.

‘’Dal modo come i due si parlavano e sorridevano, capii che Berardo


aveva stretto amicizia con lo sconosciuto; e poiché sapevo che cosa
potesse significare per Berardo l’amicizia, ebbi subito un’oscura
impressione ch’egli fosse perduto.’’ (p.152)

Silone ribadisce sempre la lealtà di Berardo, il narratore in questo caso ha una


‘’premonizione’’ riguardo alla sorte dell’amico che prende una strada rischiosa.

CAPITOLO IX:

‘’Ma il cafone? Chi conosce il cafone? C’è mai stato un governo che
abbia conosciuto il cafone? E chi potrà mai tesserare, catalogare,
timbrare, sorvegliare, conoscere tutti i cafoni?’’ (p.154)

La polizia cerca il ‘’Solito Sconosciuto’’ un rivoluzionario sovversivo, che poi Berardo


Viola ammetterà disperato di essere.

Ancora una volta appare chiaro come i cafoni siano talmente poco considerati da essere
emarginati e invisibili agli occhi delle istituzioni.

138
‘’Berardo ogni tanto veniva tratto fuori dalla cella per essere mostrato a
qualche nuovo funzionario che voleva interrogare, o semplicemente
vedere con i propri occhi il cafone, il Solito Sconosciuto.’’ (p.154)

Berardo ha deciso di impersonare questo proverbiale personaggio del Solito


Sconosciuto e si sacrifica così.

‘’<Sputa la verità> mi ordinò il commissario. <Dissi la verità ma non


mi credette.>’’ (p.155)

Anche il figlio, narratore di questo capitolo, viene picchiato dalla polizia perché non
viene creduto.

Emerge ancora una volta la violenza gratuita da parte delle istituzioni a spese degli
innocenti.

‘’<Parlate dunque> insisté il commissario. <Impossibile, signor


commissario> gli rispose Berardo preso da una strana commozione.
<Adesso piuttosto preferisco morire>’’. (p.157)

Berardo in drammatiche circostanze ha maturato la sua decisione.

Egli sarà il cafone che ‘’spingerà’’ tutti gli altri a reagire, grazie al suo sacrificio.

CAPITOLO X:

‘’Quante volte era stato avvertito? Fin da ragazzo gli era stato detto’’
(p.160)

La madre di Berardo si lamenta per la morte del figlio. Crede che il destino tragico che
non ha risparmiato nessun membro della famiglia sia rimasto tale anche per lui.

Più volte nel corso della narrazione emerge il tema del fatalismo e dell’impossibilità di
sottrarsi al proprio destino.

‘’Essi non sanno stare sulle sedie. Nessuno ha mai saputo perché’’
(p.160)

139
Si parla sempre della famiglia di Berardo. La loro intraprendenza in molti casi è causa
della loro rovina.

‘’In principio nessuno aveva potuto capire per quale colpa Elvira avesse
voluto prendere parte a un faticoso pellegrinaggio di penitenza assieme
a Maria Grazia. ‘’(p.161)

Nella seconda edizione del romanzo viene descritta più in dettaglio la personalità di
Elvira, il suo amore per Berardo e le decisioni che compie.

In questo caso partecipa al pellegrinaggio per tentare di salvare Berardo.

‘’<La verità?>’’ disse ‘’<Chi conosce la verità?>’’ ‘’<Non la


conosciamo ma vogliamo conoscerla>’’ (p.162)

Credo che questo sia uno dei passaggi più significativi del romanzo. I cafoni si
apprestano a scrivere il giornalino che narra le loro sventure.

Ora hanno compreso che la parola può essere un’arma molto potente.

‘’Un’altra piccola discussione ebbe luogo sul nome di Berardo.


Baldissera pretendeva che si dovesse scrivere Viola con due elle, mentre
Michele riteneva che una dovesse bastare’’. (p.164)

Silone si sofferma su questa comica discussione tra i contadini, che, non conoscendo la
grammatica discutono tra loro anche per questo motivo.

‘’<E gli altri cosa fanno?> Domandai’’ (p.166)

Il narratore è venuto a conoscenza del fatto che Fontamara è stata rasa al suolo e chiede
informazioni sul destino degli abitanti.

‘’Dopo tante pene e tanti lutti, tante lacrime e tante piaghe, tanto odio,
tante ingiustizie e tanta disperazione, che fare?’’ (p.166)

Il racconto si conclude con questa frase; ‘’che fare?’’ è anche il titolo del giornale dei
cafoni.

140
‘’Che fare?’’ è una domanda rivolta al futuro prossimo ma forse Silone, considerata la
sua situazione negli anni in cui scrive il romanzo, pensa anche al celebre scritto di Lenin
in cui il famoso rivoluzionario delineava la sua teoria sull’organizzazione del partito
della rivoluzione.

141
(5) LA VOCE DEGLI UMILI NEGLI ALTRI ROMANZI DI SILONE

Per comprendere in pieno come Silone dia voce ai suoi umili è necessario precisare che
in alcuni casi lo scrittore prende spunto da fatti realmente accaduti o addirittura dalla
sua stessa esperienza di vita, uno dei punti più controversi dalla critica di vari paese su
Silone, riguarda appunto il giudizio sui contadini, ecco cosa scrive Petrocchi in merito:

‘’Gli stessi contadini rozzi, goffi, impacciati, inquieti di Fontamara, di


Pane e Vino e di Il seme sotto la neve, dal modo approssimativo e
irrisoluto di pensare e di discorrere, dall’aspetto fisico raramente
precisato e disegnato a tutto tondo; prototipi piuttosto ( e forse anche un
po’ autonomi) del contadino abruzzese, con le sue sofferenze e i suoi
bisogni di liberazione, anziché personaggi liberati di una loro radice
umana per effigiarsi solo poeticamente, quindi figure e sfaccettature del
contadino, non caleidoscopio di contadini diversi o pure creazione
poetiche.’’222

Ma se ci caliamo più profondamente nella psicologia dei personaggi, il critico Gustav


Herling denota una somiglianza tra Luca Sabatini, protagonista del Segreto di Luca e lo
stesso scrittore, afferma egli:

223
‘’Silone era veramente un uomo che manteneva i segreti e non parlava troppo’’ proprio
come Luca.

L’eroismo dei personaggi di bassa estrazione sociale non ha nulla di meraviglioso, lo


scrittore tiene molto a ribadire che essi sono semplicemente in cerca di una giustizia o di
vedere i loro diritti rispettati, ecco per esempio come descrive Lazzaro, protagonista di
Una manciata di more.

Lazzaro è rimasto un uomo qualsiasi, un uomo di fatica e compagnia.


Gli piace bere e mangiare. Ha i suoi difetti. Ma alla vista di certi fatti,

222
Luce d’ Eram, Op cit, p.241
223
G. Herling, Op cit, p.11

142
anche se non lo riguardano personalmente, si sconvolge. Nessuno riesce
allora a tenerlo. Non conosce prudenza.224

Il critico Jacques Sorel studia approfonditamente la figura di Pietro Spina, come altri
studiosi, egli vede in Pietro Spina il nuovo idiota di Dostevskij del XX secolo , ma in
più gli trova una sicurezza di scelta nella pazzia, nell’accezione di Erasmo da
Rotterdam, che rende tragico il suo destino. Scrive a questo proposito.

Se è folle rischiare i beni, la salute e la vita, sacrificare le comodità, la


sicurezza materiale e ciò cui si è attaccati per salvare l’anima, allora è
lecito optare per la follia. Per ‘’riuscire’’ nella vita, gli esseri gregari
sono entrati nella via dei compromessi con la loro coscienza, ma il
compromesso paga male.

Gli eroi di Silone sono inadattabili alla società corrotta in cui sono
costretti a vivere. Essi rifiutano di piegarsi a una realtà che riprovano,
d’agire in disaccordo con la loro coscienza. Che importa se il loro
atteggiamento è tacciato di follia, dal momento che si giustifica ai loro
occhi. Tale è la disposizione di Pietro Spina, la figura più
indimenticabile dell’opera di Silone. Pietro Spina è il pazzo per
eccellenza. Malato, fuorilegge, braccato dalla polizia fascista,
abbandonato da tutti, s’adoprerà instancabilmente in Pane e Vino per
svegliare lo spirito di resistenza alla dittatura nell’Abruzzo natale.
Fallito in questa temeraria impresa, nondimeno continuerà la lotta
clandestina, questa volta non più in nome d’un partito politico ma
insegnando con l’esempio della propria vita i sentimenti di solidarietà e
di fraternità a dei miserabili cafoni. Quest’apostolato Spina lo adempirà
fino alla consumazione finale, fino al sacrificio di sé per amore del
prossimo. La follia si confonde qui con la redenzione.225

224
Ignazio Silone, Una manciata di more, p.136
225
Luce d’Eramo, Op. cit., p.228

143
Come Fontamara, anche il ‘’ Segreto di Luca’’ è un romanzo ‘’sulla complessità del
semplice’’, i protagonisti sono persone che potrebbero essere realmente esistite, alla
ricerca di un proprio riscatto proprio come i cafoni fontamaresi.

Anche nella Volpe e le Camelie emerge, seppure in modo meno evidente, il tema della
ricerca della giustizia, in questo romanzo però troviamo tutti i personaggi che si battono
per la verità, mentre in Fontamara il romanzo ruota attorno alla figura di Berardo, qui la
voglia di riscatto appartiene a diverse personalità, è propria dell'antifascista svizzero
Daniele, del fascista ferito Cefalù e della stessa Silvia, figlia di Daniele, tutti quanti, con
i loro mezzi cercano di ricostruire la verità, anche in questo romanzo però si
sovrappongono storie diverse, troviamo la storia d’amore di Silvia e Cefalù ma anche
diversi intrighi politici, di sfondo sempre la ricerca di una giustizia che gli umili
protagonisti devono cercare per indizi.

Destino simile a Berardo e Elvira è quello di Cefalù e Ortensia, il primo muore la


seconda finisce in convento, possiamo ipotizzare che Silone abbia voluto rendere i suoi
quattro personaggi simili per colpa di un destino avverso?

Alcune tematiche, si ripetono nei vari romanzi per esempio sia nel Segreto di Luca che
in Fontamara e nella Volpe e le Camelie è importante il tema della lotta dell'individuo
contro gli ingranaggi del potere, tema che in parte riappare anche ne L'avventura di un
povero cristiano.

Possiamo intendere il carattere autobiografico del Segreto di Luca con due accezioni: è
possibile scorgervi un’autobiografia ‘’storica’’ e una strettamente personale.

L’autobiografia storica si collega all'esperienza dello stesso Silone ancora ragazzo,


quando nel 1908 assunse l'incarico di scrivere a un ergastolano ingiustamente
condannato, Francesco Zauri, per conto della madre analfabeta, per quanto riguarda
quella personale invece è possibile trovare delle somiglianze tra la vicenda del romanzo
e la sorte del fratello Romolo.

Secondo il primo tipo di autobiografia, Silone indossa, nel romanzo, i panni del giovane
Andrea Cipriani, invece il critico Herling riconosce Silone nei panni dell'ergastolano

144
ingiustamente punito, Luca Sabatini, secondo me è più probabile identificare il fratello
nel personaggio di Luca.

Le pagine del romanzo sono percorse da questa duplice identificazione Silone-Andrea e


Silone-Luca, come un sottile gioco di specchi il cui esito sarà la conoscenza di Luca da
parte di Andrea e così, tenendo fede al gioco delle parti, di Silone da parte dello stesso
scrittore.

La caparbietà di Luca nel mantenere tale il suo segreto, lontano da amici e compaesani
riflette la stessa impenetrabilità dell'autore intesa come riserbo e tendenza e tenere per
sé pensieri e sofferenze.

Riserbo che lo stesso Silone afferma di aver mantenuto nel romanzo autobiografico
Uscita di sicurezza.

Lo scrivere non è stato, e non poteva essere, per me, salvo in qualche
raro momento di grazia, un sereno godimento estetico, ma la penosa
continuazione di una lotta, dopo essermi separato da compagni assai
cari. E le difficoltà con cui sono talvolta alle prese nell'esprimermi, non
provengono certo dall'inosservanza delle famose regole del bello
scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare alcune nascoste
ferite, forse inguaribili, e che tuttavia, ostinatamente, esige la propria
integrità. Poiché per essere veri non basta evidentemente essere sinceri.
226

Luca dunque da voce all’io dell’autore, sincero e riservato, in questa chiave


autobiografica si capisce ancora meglio il motivo della coralità di Fontamara.

Una differenza però è la rappresentazione della condizione dei contadini, la povertà


della vita dei campi e l’ignoranza non hanno più un ruolo primario, fanno largo alla
ricerca esistenziale e di giustizia, condivisa da tutti, al contrario dei contadini di
Fontamara, nel Segreto di Luca le classi rurali della Marsica hanno forte connotazione
negativa, almeno per la sfera etica; alla complicità paesana qui l'autore oppone un
insieme omogeneo, e nello stesso tempo confuso, di pregiudizi e false credenze che

226
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, p.54

145
danno risalto alla nobiltà di Luca Sabatini, il cui valore si misura proprio in relazione
alla paura e codardia dei suoi compaesani.

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