Storia Ecclesiastica Di Taormina PDF
Storia Ecclesiastica Di Taormina PDF
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barbaro College iLtbrarg
OPERA INEDITA
Palermo
TIPOGRAFIA BARCELLONA
1870.
STORIA ECCLESIASTICA
DI TAORMINA.
3
STORIA ECCLESIASTICA
Iti TAORMINA
OPERA MEDITA
Palermo
TIPOGRAFIA BARCELLONA
via dell'Università, 44.
1870.
SEP 201915
Imprimatur
Die 1 Decembris 1810.
Cam. A. Cervello V. C.
MAY 31 !9lfi
PREFAZIONE DEL TRADUTTORE
Il Traduttore
Sac. Petronio «rima
(1) Acerbo cnim luctu doltms pater cito sibi rapii Olii
fccil imaginem : et illuin, qui tunc quasi homo mortuiis
fucral, mine tamquam Deuiu colere coepit: et constituit
iuler servos suos sacra et sacriiicia. Deinde interveniente
tempore , convalescente iniqua consuetudine , hil; crror
tamquam lex custoditus est. —Sap. XIV. 15.
u
ci attesta Plutarco (1). E senza ulteriori inda
gini, che sia certo avere i Taorminesi ammesso
quest'empio rito, così come gli altri popoli di
Sicilia, ne fa fede S. Giuseppe Innografo ne-
gl' Inni in onore di S. Pancrazio (2).
XV. Non è ben certo d' onde i Taorminesi
avessero appreso questo modo di sacrifizii : lo
appresero forse da' Sanniti, giacchè quegli fra
essi , che vennero in Taormina , secondo la
testimonianza di Alsio (3), e di Pompeo Fe-
sto (4), eran dessi proprio che dovevan essere
immolati ad Apollo. Imperocchè essendo il ter
ritorio del Sannio afflitto da una grande pesti
lenza, comandò in sogno Apollo a Stenio Me-
zio, Principe del luogo, che se volesse liberato
il popolo da quel male, dovesse far voto d'im
molare a lui tutto ciò che si sarebbe generato
nella prossima primavera . Sciolto il voto col
sacrifizio degli animali e con l'oblazione delle
biade, cessò la peste; ma dopo ventisei anni
riapparve più furiosa di prima, onde consultato
Apollo, si ebbero in risposta, che non essen
dosi immolati gli uomini, il voto non s'era in
teramente adempiuto, e che quella strage non
(1) Quippc vetustissimi Sicnlorum PalicosDcos humano
sanguine placabant. — In Parai.
(2) Purpurcam sanguino stolam sacram ciTccisti; foedum
vero Daemonum cruorom essiccasti ... ab Idolorum san-
guinumque esecrabili lustratiune populos redemisti. —
Hymn. in S. Panerai, infra edend. Stroph. i9, fi.
(3) Bell. Cartag. Lib. 1.
(4) De Lingua Latina.
15
sarebbe cessata, finchè gli uomini nati in quella
primavera non si fossero allontanati dalla pa
tria. E quegli uomini cacciati tosto dal Sannio,
passando il Faro vennero in Sicilia, e scelsero
per loro abitazione Taormina. Abbiam detto fin
qui di Falcone, diciamo ora qualche cosa di
Lissone.
XVI. Abbiam veduto di sopra , così per le
testimonianze di Cerameo, come pe' libri eccle
siastici de' Greci i quali trattano di Falcone ,
che i Taorminesi , immersi licti' empia super
stizione de' Gentili, prestarono un supremo e
divino culto al Dio Lissone. Il medesimo Ce
rameo , pigliando partito dall' etimologia del
nome, convertì ingegnosamente la storia di Lis
sone in una spiegazione simbolica diretta a for
mare i costumi del popolo; giacchè, suonando il
greco vocabolo Lyssa lo stesso che rabbia,
interpretava il Dio Lissone per quella rabbiosa
concupiscenza degli appetiti, che sono di
scordanti dalia ragione. Non così però Gre
gorio Bizantino, scrittore di quel tempo. Questi
nella orazione panegirica , che con stile non
disadorno recitò nella festa di S. Pancrazio in
Taormina, scrisse più chiaramente di quest'i
dolo, dicendo che S. Pancrazio Io gettò nel
mare insieme ad un Dragone grandissimo,
del quale a guisa di vestimento era succin
to, ed a cui parimente s'" offrivano de" sacri
fici (1).
(1) l.yssonc cum Dracone maxime-, quo instar vestimenti
16
XVII. Il Bizantino dice che questo Dragone
era grandissimo; e niuno al certo vorrà dubi
tarne, sapendosi da Dione (1), Plinio (2), Stra-
bone (3), e da altri greci scrittori, d'avere e-
sistito serpenti di meravigliosa grandezza. Narra
inoltre Gregorio, che questo Dragone consumava
le oblazioni a lui fatte, il che è certissimo che
ben si conviene a que' mostruosi tempi. Sole
vano infatti comunemente i Gentili venerare con
varie ceremonie, ed anche alimentare ne' tem
pii i serpenti : ciò attestano gli Atti di S. Ar-
sacio di Nicomedia presso Sozomcno (4), la Sto
ria di S. Ilarione presso S. Girolamo (5), la
vita di S. Donato in Epiro presso lo stesso So-
zomeno (6), la Storia di S. Teodoro presso il
Metafraste (1), la Storia di S. Crescentino Mar
tire presso l'autore della sua vita (8) , e per
non più prolungarci, gli Atti di S. Pellegrino
di Caltabellotta in Sicilia presso i Bollandisti (9).
XVIII. È incerto frattanto se Giove, Bacco,
o Esculapio sia stato venerato da' Taorminesi
sotto il nome di Lissone : nè l'istesso nome
accinctus erat cujusquc ad sacrificia sumptus faciebat in
profondimi pclagus demersit.
(1) In Aug. Lib. SO.
(2) Lib. 8. Cap. 11 et 14.
(3) Lib. 16.
(4) Histor. Eccles. Lib. S. Cap. 25.
(5) In vita S. Hilarionis.
(6) Lib. 7. Cap. 33.
(7) In ejus vita.
(8) Vita S. Crcsccntini Martyris.
(9) Acta Sanetor. in addit. ad dicra 30 Januar.
li
dell'idolo, il culto, o il tortuoso avviticchiamento
del serpe sul corpo di lui, si possono certamente
definire. Si sa da Giulio Polluce (1), che i Gen
tili solean dare il soprannome di Lissei a tutti
quegl' Iddìi, per l'ajuto de' quali eran persuasi
chc qualche male veniva da essi allontanato :
così molti esempii della veneranda antichità ,
che son chiari presso i poeti e gli storici, ci
attestano che Giove, Bacco, e tutte le altre Di
vinità, che si credeano apportatrici dì salute,
venivan significate con tal soprannome. Che poi
i dragoni, con simigliante o dispari religione,
fossero dedicati a Giove, a Bacco, ad Escula-
pio, ben chiaramente ce l'attestano le istorie.
Adriano infatti, come riferisce Dione (1), de
dicò a Giove Olimpico, e pose nel magnifico
tempio che costrusse in Atene, un dragone che
avea portato dall' India ; Plutarco narra di un
dragone dedicato a Baeco (2) ; nè mancano al
certo monumenti che ciò stesso attestano di E-
sculapio : ne han molti gli eruditi, e ne' gero
glifici degli Egiziani, e nelle iscrizioni in marmo
de' Greci, e nelle medaglie di bronzo, d'argen
to, e d'oro de' Romani.
XIX. Ciò non ostante noi portiamo opinione,
che il Lissonc de' Taorminesi non fosse Giove,
molto meno Esculapio o altra divinità benefica,
ma piuttosto Bacco : ciò rileviamo da quell' an-
(1) Onomast.
(2) In Adriano.
(3) In Pobl. Symp. Lib. 7. Cap. 10. .
18
tica medaglia di Taormina, che dopo Guglielmo
Moal, pubblicò Ottavio Gaetano (1). Nell'una parte
di essa si vede lo stesso Bacco coronato di el-
lera con la greca iscrizione —Lissone— e dal
rovescio tre Baccanti che si tengono per le ma
ni, con sotto l'iscrizione Dono di Dionisio. Che
Dionisio coronato di ellera sia lo stesso che Bac
co, chiaramente lo addimostrano Orfeo (2), Non
no (3), Ateneo(4), Marco Tullio (S), ed Omero(6);
e che quelle tre donne siano le sacerdotesse di
Bacco, niuno ne dubita, sapendosi da tutti, che
i sacerdoti di Bacco per lo più furon femmine,
le quali per la loro insania furon dette Menadi,
per 1' impeto e furore Tiadi, per la intempe
ranza e corruzione de' costumi Bacche, e per l'i
mitazione dello stesso Bacco, Mimalloni (1). Di
queste donne molte ne enumera Strabone (8);
e Pausania (9) fa menzione di un simulacro in
avorio di Lisso Bacco presso i Saraceni, intorno
al quale erano le Baccanti in candido marmo.
Che cosa poi volessero significare le quattro
lettere A. 0. n. a., che intorno a quelle donne
r
20
dalle loro medaglie pubblicate da Filippo Pa
nita (1), alle quali può aggiungersene un'altra
d'argento, e più di tutte preziosa ed eccellente,
che dall'originale esistente presso di noi, come
dall'edizione di Begero nel suo Teatro Brande-
burgico (2) riportiamo nella Tav. III. N. 3.
XXII. Nè senza un prudente consiglio giu
sta le condizioni di quei tempi, i Taorminesi
adottarono Bacco a loro Dio , giacché 1' agro
Taorminese soleva produrre uva e vino di me
ravigliosa eccellenza, come trattando di Apollo
Arcageta abbiam detto (3); e a' Romani così pia
ceva il vino di Taormina, che di esso usavano
nelle cene pubbliche e trionfali.
XXIII. Resta ora a dire del luogo in cui Lis-
sone abbia avuto la sua sede e ricevuto i sa
crifizi!. Gli Atti di S. Pancrazio manoscritti so
pracitati, di qualunque fede essi siano, nell'in
dice degli Dei, portano queste parole : Lysson
in tetraippo. Il Gaetano (4), spiega la parola
tetraippo per tempio rotondo; però chiunque
sia appena iniziato nella lingua greca, fuor di
ogni dubbio la spiegherà per Quadriga di ca
valli; e ciò dà a conoscere che forse il tem
pio di Lissone era costruito in luogo che era
adatto alle quadrighe, e che chiamavasi così,
per la stessa ragione per cui in Costantinopoli
(Il Numism. Sicil. Tab. 78.
(2) Tom. 2.
(3) Pilo. lib. U. cap. 2 et 6. Athaemeus lib. 1.
(4) Tom. I. Ss. Siculor. in vita S. Panerai, pag. 8. N. 5.
21
quella via nella quale si facevano le corse dei
cavalli era detta Ippodromo. E certo non era
insolito pressoi Gentili, come ne fa certa fede
Tertulliano (1), il farsi degli Dei tutelari, e
metterli ancora nelle stalle.
XXIV. Tra gli Dei di Taormina enumerati
dal nostro eloquentissimo e sapientissimo Ar
civescovo Cerameo , si pone in ultimo luogo
Scamandro, il cui nome spiega egli, secondo il
solito, allegoricamente per la forza irascibile^).
Ed aggiunge d' avere appreso la notizia di que-
st' idolo da quella storia di S. Pancrazio, cer
tamente allora sincera e genuina, che scrisse
Evagrio. La storia di Evagrio che oggi esiste,
piena di molti e gravissimi errori, non è al
certo di tanto peso, che su di essa possano
interamente acquietarsi gli eruditi: giova non
dimeno in mancanza d' altra scrittura più sin
cera, il riferire ciò che ne dice di questo Sca
mandro; giacchè possono ancora ne' libri apo
crifi molte cose vere rinvenirsi, delle quali non
debbonsi privare gli amatori della veneranda
antichità. Questa storia adunque , coni' è nel
Breviario Gallicano di cui per molto tempo si
servì la Sicilia, ne dice, che invitato S. Pan
ili Yos tamen non negabitis, et jumenta omnia, et to-
tos cantherios cura sua lpponu coli a vobis . . . Coeterum
et platea et forum, et balnca; et stabula, et ipsue domus
vestrae sine Idolis non sunt.—Aflolog. Cap. 16.
(2) Scamandrus vero vis irascibilis , quee voluti cavea
et lueta virilis est forlitudinis. —ltomil. in S. Panerai,
inter editas a Scorso 57.
22
crazio a tavola dal Procuratore di città , non
volle pigliar nessuno di que' cibi immondi, ma
stava fisso nella contemplazione di Gesù Cri
sto . I commensali però facevano de' balli dia
bolici e adoravano il loro idolo Scamandro.
S. Pancrazio allora col segno della Croce fece
in pezzi l'idolo, e que' profani vedendo il loro
.Dio abbattuto, presero il Santo Vescovo, lo tra
scinarono pel pavimento in una fossa, ed alcuni
.con punte di spada, altri con pietre, ed altri
con legna percuotendolo , l' uccisero , mentre
diceva le parole; In mànus tuas Domine com
mendo spiritum meum (1).
XXV. La citata storia di S. Pancrazio, che va
sotto il nome di Evagrio, nell'indice degli Dei,
riferisce che insieme a Scamandro, fu da' Taor-
minesi venerata Dia. Che i gentili abbiano a-
vuta una divinità nominata così, cel riferisce
Strabone (2); essa da Omero vien detta Ebe (3),
ma Marco Tullio (4), e Tito Livio (5) la chia
mano Gioventù, per la ragione specialmente,
che gli antichi, ingannati dalla superstizione,
attribuivano a questa divinità tanta virtù, che
non solo potesse conferire buona salute e ro
bustezza , ma rinnovare ancora e ringiovanire
l' uomo arrivato all' estrema vecchiaja . Onde
r
28
poli di Nasso questa Divinità, siccome il culto
che le si prestava, turpe e disonesto, degno
d' un tal nume. Così si apprende da un antico
adagio nell' Appendice Faticano, de' Proverbi!,
pubblicata dall'erudito Andrea Scotto, e corretta
da Filippo Cluverio (1). È incerto poi se i Taor-
minesi con l'istesso infame culto, che i popoli
di Nasso, avessero onorato questa Dea; ma ciò
sembra accennarsi in una loro antica medaglia
messa in luce da Filippo Paruta sotto il N. VIII,
da noi nella Tav. III. N. VII. e in questo senso
spiegata dall' eruditissimo Sigiberto Avercam-
po (2). Del resto a riguardo della stessa Ve
nere, v' ha una medaglia di Taormina, XIV fra
le pubblicate dal medesimo Paruta, nella quale
da un lato vedesi una testa di donna lasciva
mente acconciata, che tiene davanti a sè una
civetta, com' è nelle medaglie di Minerva, e dal
l'altro lato un Bove, che è il segno rappresen
tativo della colonia di Taormina, come rilevasi
dalla predetta Tavola IH. al N. VIII.
CAPO II.
Di S. Pancrazio primo fondatore della
Chiesa di Taormina.
(1) Ad Philipp. I. 1.
57
di Macedonia, non. fa menzione di un vescovo
soltanto ma di molti; e stando per andare in
Gerusalemme, radunando i molti vescovi pre
posti alla sola città di Efeso, così ad essi par
lò: Badate a voi e a tutta la greggia in cui
lo Spirito Santo vi pose Vescovi a reggere
la Chiesa di Dio (i). Dai quali , e da altri
monumenti della sacra antichità, affermano ciò
esser chiaro Pietro de Marca nella sua Eser
citazione sul Primato di S. Pietro (2), e Da
niele Papebrochio nel libro — Conatus Chro*
nologicus historicus ad Cathalogum Pontifi-
cum Romanorum (3).
XII. L'ordinazione adunque di Massimo, fatta
da S. Pietro mentre era in Taormina , appa
risce conforme alla disciplina che tenne la
Chiesa dei primi secoli nel consacrare i ve
scovi, nè sembra includere vernn sospetto di
falsità od incertezza. S. Pietro difatto, visitando
le Chiese da lui fondate, nelle private e nelle
pubbliche adunanze, confermava nella costanza
della fede il novello gregge di Cristo' , e ri
guardando alla di lui utilità, non contento di
un sol presbitero o vescovo , tanti altri se
condo il bisogno dei luoghi ne stabiliva, quanti
ne stimava necessarii ad evangelizzarer battez
zi Act. Apost. 20. 28.
(2) Exercit. de Primat. S. Pctri N. 18.
(3) In S. retro Dissertai. 2. IV. 9. edit. ante acta San»
ctor. Maij.
58
zare, e spiegare le Scritture. E così il mede
simo Principe degli Apostoli, come dice S. Gio
vanni Grisostomo (1), si regolava nella Chiesa
di Dio siccome sogliono i Capitani nell' eser
cito, e provvedendo alla salute di tutti, si stu
diava di considerar sollecitamente qual parte
di popolo dovesse aiutarsi, quale confermarsi,
e quale avesse bisogno di un capo.
XIII. Nè alla sola Taormina , ma ad altre
città ancora dicesi aver provveduto in quel
tempo S. Pietro; avendo, oltre Massimo, con
sacrato Vescovi Berillo, Libertino, e Filippo: il
primo de' quali mandò in Catania, come dopo
Ottavio Gaetano (2), Giovanni Bollando (3), e
Filippo Ferrari (4) scrisse Vito Maria Amico
Catanese diligentissimo investigatore delle cose
della sua patria (5); il secondo spedì ad Agri
gento , giusta la testimonianza del medesimo
Gaetano (6), ed il terzo a Palermo, come rac
conta Giovanni Maria Amato nella sua storia
del Duomo di questa città (1). Forse in quel
tempo fu dato a Siracusa Marciano, il quale ,
secondo ciò che scrivemmo nel Codice Diplo
matico di Sicilia, e nella Storia degli Ebrei di
(1) Homilia 21 in acta Apostol. Cap. 9.
(2) Tom. 1. Ss. Sicul. toin. 1. in vita S. Bcrylli.
(:») Act. Ss. die 21 Mari, de S. Beryllo.
(4) In suo Sanct. Catalogo die 21 Martii.
(5) Catana lllustr. p. 1. lib. 3. Cap. 1. X. 3, e 4.
(6) Loc. cit. in vita S. Libertini.
(7) Lib. 2. cap. 3.
:>9
quest' isola, siam convinti d' appartenere ai
tempi degli Apostoli, checchè ne dicano, i Bol-
landisti (1); i quali ascrivendo a' tempi poste
riori l'ordinazione del medesimo Marciano e di
altri Vescovi , affermano non esservi stato in
Sicilia ne' primi tre secoli altro Vescovo allo
infuori di quello di Taormina. Noi alieni da
ogni studio di parte non neghiamo la loro glo
ria alle altre città, siccome gli altri sinceris-
simi scrittori non isdegnano di concedere ben
volentieri alla nostra patria il dovuto onore ,
riconoscendo per primo fra tutti i Vescovi Si
ciliani S. Pancrazio.
XIV. S. Pancrazio adunque non fu l' unico
ma il primo autore della fede predicata in Si
cilia; ed in questo senso devono intendersi gli
scrittori stranieri, molti di numero e gravi per
autorità , i quali a S. Pancrazio ascrivono la
gloria della conversione de' Siciliani alla verità
del Vangelo. Tra i quali stanno in prima fila
Francesco Maria Fiorentino (2) , Pietro Galc-
sino (3), e Domenico Georgio (4). E per ta
CAPO IV.
CAPO V.
CAPO VI.
CAPO VII.
r
92
essendo sul puntò di partire per la guerra in
Oriente, li rimandò per essere esaminati a Li
cinio Valeriano. Trovati da questo costanti nella
fede, furono mandati sotto la scorta di Silvano
a Tertullo Prefetto di Sicilia, che era succeduto
a Quinziano , e che in quel tempo tiranneg
giava Taormina. Tertullo esaminò la loro fede,
e non potendoli vincere con lusinghiere per
suasioni, fatta rader ad essi la testa, untili di
pece e di piombo liquefatti, e caricatili di pe
santi catene , li mandò in Leonzio , in quel
tempo celebre e grande città della Sicilia, dove
egli fra breve dovea condursi. E qui all'arrivo
del Principe, questi santi fratelli, per la con
fessione della Fede Cattolica vessati con molti
e replicati tormenti, in freschissima età rice
vettero la corona d'un illustre martirio.
X. Abbiamo attinte queste notizie dal Menolo-
gio dei greci, dal Metafraste, e dagli Atti dei
medesimi Santi Martiri , giusta il più sincero
riassunto, di cui si e servita la Sacra Congre
gazione dei Riti nel disporre l'ecclesiastico uf
ficio degli stessi santi. Noi non neghiamo che
gli Atti di questi Santi Martiri, trovati nel Co
dice manoscritto di Grotta Ferrata nell'Agro
Tusculano , siano antichissimi ; essendo scritti
dal monaco Basilio , nel mese di Dicembre ,
Ind. VilI. Ciclo della Luna XIII. 1' anno del
mondo 6il3: cioè l'anno di Cristo 919, giu
sta il periodo Greco-Uomano che segui Fau
93
toro scrivendo nell' Agro Tusculano. Però non
possiamo nè anco negare che questi Atti sicno
pieni di tali e tanti errori che bisogna esser
greco o ignaro della sacra erudizione chi vo
glia aflidarsi intieramente ad essi.
CAPO Vili.
CAPO IX.
-, X
101
beni della Chiesa una Decretale, da valere per
ogni tempo e da osservarsi senza alcuna ecce
zione.
II. Graziano inserì nella sua collezione que
sta lettera tanlo vantaggiosa alla ecclesiastica
indennità, riportandola sotto il nome di Leone
Papa , ma omessa la voce Primo . E certo a
ragione, poichè fu Gerardo Vossio che attribuì
quell'epistola a S. Leone Papa 1°; mentre dallo
stile rilevasi che debba piuttosto appartenere
al secondo Leone , o al terzo , o forse anche
ad altro posteriore anzichè al primo, come av
verte Pasquale Quesnel nella sua accuratissima
edizione delle opere di S. Leone Magno. E noi
parimente abbiamo ciò notato nel Codice Di
plomatico di Sicilia , togliendo questa lettera
dalla prima classe di monumenti affatto genuini
e non sospetti, e riportandola nell'Appendice.
III. Però comunque vada la cosa , cerio è
che Taormina è una di quelle città di Sicilia,
che ai tempi di Leone Papa 1° erano vescovili;
e le quali mandavano ogni anno al 29 Settem
bre tre dei loro Vescovi a Roma per celebrare
il concilio , siccome pienamente si rileva da
un'altra lettera del medesimo S. Leone Magno
a tutti i Vescovi di Sicilia (1). E certo per an
tica consuetudine della Chiesa , i Vescovi di
Sicilia, i quali erano soggetti al Romano Pon
di Epist. 16, alias i.
402
tefice, non solo come a primo e universale Pa
triarca di tutto l'orbe cristiano, ma ancora come
ad immediato Metropolitano della provincia, e-
rano tenuti a portarsi due volte all' anno in
Roma per celebrare il concilio provinciale . E
compatendo S. Leone il loro disagio, modificò
la consuetudine fino allora osservata, ordinando
per via di dispensa, che non più due ma solo
una volta all'anno , e soltanto tre Vescovi al
ternativamente vi andassero. E questa forse è
la ragione per cui leggesi che nel Concilio III0
Romano, sotto Simmaco Papa, tre Vescovi di
Sicilia soltanto v' intervennero : quelli cioè di
Taormina, di Messina e di Tindari.
CAPO XI.
Di Vittorino Vescovo.
CAPO XIII.
Di Secondino Vescovo.
CAPO XIV.
Di Giusto Vescovo.
CAPO XV.
Di Pietro Vescovo.
CAPO XVI
Dì Giovanni Vescovo.
r
126
XII. Nella quarta sessione si leggono le te
stimonianze della Sacra Scrittura e degli anti
chi Padri che mostrano legittimo e religioso
l'uso delle Sante Immagini. Vengono scomu
nicati gì' Iconoclasti e si presenta la profes
sione della fede cattolica , che dopo i legati
della Sede Apostolica, dopo il Patriarca Tara-
sio, dopo i legati dei Vescovi Orientali, vien
sottoscritta da Giovanni di Taormina con tutti
gli altri vescovi in questo modo : Giovanni
indegno vescovo di Taormina seguendo con
cordemente in tulio la dottrina dei Santi
Padri e le loro testimonianze già lette , mi
sono sottoscritto (1). ,
XIII. Nella quinta sessione si producano il
Dialogo del Beato Giovanni Vescovo di Tessa-
lonica, che riporta la disputa con un certo gen
tile nemico delle Sante Immagini, ed altri li
bri, dai quali chiaramente si dimostra d'avere
gl'Iconoclasti attinta la loro eresia dai Giudei,
dai Saraceni, dai Gentili, dai Samaritani, e dai
Manichei. E questa sessione non fu chiusa con
capo xvir.
Di Zaccaria Vescovo.
*
i
l32
e tanta empietà in questi uomini perduti, l'anno
854 depose dalle loro sedi i detti tre Vescovi
Gregorio, Pietro, ed Eulampio : (1) e ciò l'eco
non solo di propria autorità, ma col consenso
ancora del Sinodo provinciale , riservandone
però, secondo la disciplina di quel tempo, la
conferma alla Sede Apostolica (2) . Mandò S.
Ignazio questa decisione a Roma ond' essere
di dritto confermata dal Sommo Pontefice. Ma
essendo anche quì deposto Gregorio , mandò
egli come suoi legati i predetti due vescovi
Zaccaria e Teofilo, i quali parie colle preghie
re, parte con ragioni che allegavano, impetra
rono da Leone IV e dal di lui successore Be
nedetto IH che si sospendesse la sentenza .
Però siccome a Roma erano precorse delle ac
cuse contro lo stesso Zaccaria, anche lui il Santo
Pontefice sospese dall'esercizio dell'episcopato,
finchè non venisse nuovamente a Roma con
Gregorio di Siracusa in una a' suoi complici ,
o per difendersi dai delitti imputati, o per su
bire la necessaria sentenza di condanna.
V. Gregorio di Siracusa, informato dal me
desimo Zaccaria di Taormina, che la Sede A-
postolica non avea consentito alla sua deposi
zione , in nulla migliorò la sua condotta, ma
(I1 S. Stylianus Ep. Ncocsesar. in Epist. ad Stefanum TI.
Ponti f.
(2) Nicolaus Pap. V. in Epist. ad Michaelcm Imperat.
in nostro Codice Uiplom. toro. I. Dipi. CCLXXXIV,
133
fatlo più arrogante, abusò nella sua superbia
della benignità e della pazienza della madre
Chiesa; e rinnovando la sua irriverenza e l'em
pietà, tanto si spinse contro il medesimo Pa
triarca S. Ignazio, che questi discacciato dalla
Sede Patriarcale da un conciliabolo Costantino
politano, che fu detto il Foziano I, venne man
dato in esilio, e il laico Fozio, capo della schiera
scismatica, nell'anno 858, occupò col favore di
Michele imperatore la cattedra di Costantinopoli.
Il che diede motivo a Nicolò Papa I, che era
succeduto a Benedetto, di scrivere al medesimo
Imperatore in questo modo (1) :
» Giudicate voi, o mansuetissimo Imperato-
» re, a chi debba piuttosto obbedirsi, se a Dio,
» o agli uomini : giudicate voi a qual potestà
» si debba piuttosto resistere, se a quella che
» Dio onnipotente ordinò in Pietro e che pre-
» pose a tutta la Chiesa, ovvero all'ordinazione
» di Gregorio Siracusano, a cui debbe dirsi:
» Guai a queil' uomo per cui tanti- scandali son
» venuti nella Chiesa di Gesù Cristo; ed il quale
» una volta, come voi sapete, fu deposto dal
» nostro fratello e comministro Ignazio, e dal
» Sinodo a cui egli presiedeva : e questa Sede
» Apostolica fu pregata dall' istesso nostro con-
» fratello allineile confermasse la di lui condan-
» na : ma i miei predecessori di felice me
li) Cori. Dipi. Sicil. Tom. I Dipi. CCLVXXIV. png. 325.
m
» moria, Leone e Benedetto, usando la mode
rirazione della Sede Apostolica , non vollero
» ascoltare così una sola parte , che all' altra
aninna difesa si riservasse : poichè non vi ha
),)
mediatore che pieghi per una parte soltanto;
V)per la qual cosa la deposizione di lui non
» confermata dalla Sede Apostolica restò senza
» vigore. Ma avendo saputo il medesimo Gre-
r,gorio per mezzo del suo rappresentante di
» nome Zaccaria, che la Sede Apostolica non
» avea consentito alla sua deposizione, non rese
» grazie, nè si astenne dalle contumelie con le
» quali avea di già vessato il detto nostro fra-
» tello : ma abusando nella sua superbia della
n bontà di Dio e della pazienza della Sede A-
» postolica, avanzò con sì grande irriverenza la
» sua empietà contro l'istesso Patriarca igna-
» zio, che, vivente lui, consacrò un ncoiìto nella
» Chiesa Costantinopolitana. »
E nell'epistola scritta all' istesso Fozio scrive
di più Nicolò Papa (1): « Primamente, giac-
» chè quando Zaccaria il quale pretendeva es-
» ser vescovo, si presentò per parte di Gre-
» gorio di Si acusa e dei suoi colleghi , alla
» Sede Apostolica, domandando che fosse rifor-
» mato il giudizio, diceva di avere tanto lui,
» che quelli da cui era stato mandato, seguito
» nell'appello questi Canoni. »
(1) Cod. Diplom. Sicil. Tom. \. Dipi. CCLXXXYI.
133
VI. Nella citata epistola accennava il Santo
Pontefice che il nostro Zaccaria era privo del
l'episcopato. E ben a ragione; imperocchè come
attcsta, ragionando di sè stesso il medesimo
Zaccaria, in un'allocuzione diretta ai Padri del
l'ottavo Concilio Generale alla sessione IV, fu
egli da Benedetto Papa 111 sospeso dall' uso
dei Pontificali, fintantochè non venisse nuova
mente a Roma insieme con Gregorio di Sira
cusa e con gli altri compagni di scisma: e però
non avendo eseguito quanto venivagli imposto,
avea subito la sentenza di condanna.
VII. Però vedendo l' intruso Fozio come la
maggior parte dei vescovi di sana mente e gli
uomini pii parteggiavano per l'espulso S. Igna
zio, persuase all'Imperatore Michele di radunare
un nuovo sinodo dei vescovi del suo partito,
aflìn di condannare il medesimo S. Ignazio, e
così distogliere i prelati ed il popolo dall' a-
more dell' esule Palriarca; ed in questo conci
liabolo, che fu il Foziano il celebrato l'anno
859 (1), l'istesso Fozio, fatlosi accusatore e
giudice, insieme coi vescovi partigiani della sua
iniquità, dichiarò l'istesso S. Ignazio assente
deposto di dritto e di fatlo, e scomunicato : e
per mostrare che ciò faceva per zelo di reli
gione , condannò di anatema tutti coloro che
seguivano l' eresia degl' Iconoclasti.
(1) Lablió Tom. !). Conni, ail ann. SSO. ci Mcotas in
vita S. Ignulii.
136
VIII. Fozio poscia, temendo che il Romano
Pontefice annullasse e condannasse ciò che si
era fatto nei conciliaboli Costantinopolitani ,
mandò Legati a Roma presso Nicole Pontefice
con una epistola pseudo-Sinodica, nella quale
mentendo asseriva, che egli suo malgrado era
stato eletto patriarca invece di S. Ignazio ca
nonicamente deposto. Persuase ancora all'im
peratore Michele ed al Cesare Barda, che man
dassero anch' essi degli ambasciatori con vari»
doni al Romano Pontefice, onde ottenere la con
ferma della Sede Apostolica, o almeno l'invio
di suoi Legati. Fra quelli che furono incaricati
di questa legazione si annovera il nostro Zac
caria, il quale aderiva a Fozio e faceva parte
degli scismatici, siccome attesta Anastasio scrit
tore di quel tempo (I).
IX. Questa legazione avvenne nel medesimo
anno 859, solto Nicolò I Pontefice , il quale
non concesse a Zaccaria di Taormina e agli al
tri legati scismatici 1' udienza propria dei Ve
scovi, ma come laici li ricevette per mezzo della
presentazione di un libello nella Chiesa di Santa
Maria al Presepe, come attesta Marino Diacono
della Chiesa Romana, che fu presente a tutto,
vide tutto coi proprii occhi, e fu Legato all'i-
stesso Sinodo Costantinopolitano (2).
(1) In vita Nicolai Papa; I et in marginai. Schol. Concil.
Gener. Vili. Act. II.
f2) Concil. General. Vili. Act. IV.
m
\. Fu lungamente disputato ira l'istesso Ma
rino Diacono e il nostro Zaccaria nella sessio
ne IV di questo Concilio, se mai un solo libello
si fosse presentato dal medesimo Zaccaria prima
di essere ricevuto da Nicolò Papa, ovvero due:
asserendo Zaccaria di aver presentato soltanto
il libello della professione della fede; e dicendo
al contrario Marino di aver lui presentato an
cora un altro libello, in cui protestava di voler
seguire i decreti della Sede Apostolica. E che
certamente presentò Zaccaria in quel ponto
due libelli, ne fa espressa testimonianza Ana
stasio (1).
XI. Nondimeno, essendo Zaccaria dotato di
grande ingegno, indusse Nicolò Papa a sospen
dere la decisione sulla vertenza di Fozio, fin
tantochè mandati suoi Legati in Costantinopoli,
ne fosse meglio informato . Furono adunque
l'anno seguente 860 il giorno 25 di Settem
bre mandati Radoaldo Vescovo Portuense e Zac
caria di Anagni a Michele Imperatore ed allo
intruso Fozio con lettore del medesimo Nicolò,
che furono poi trascritte nella quarta sessione
del medesimo concilio . E questi Legati non
tanto corrotti dai doni , quanto atterriti dalle
minacce imperiali , malamente eseguirono la
loro incumbenza; giacchè oltrepassando le ri
cevute facoltà, celebrato nell' anno 861 un altro
r
J
141
ira contesa suscitossi , pretendendo Baune co
gli altri magistrati, che essendo stati Zaccaria
e Teofilo consacrati non da Fozio, ma da S.
Metodio, non solo si avessero il loro grado in
seno al Sinodo , ma si ammettessero ancora
alla professione della forinola Romana, ond' es
sere così rcdintegrati nelle loro sedi. Ma tan
tosto questa difficoltà scomparve i poiché am
messi alfine quei due Vescovi nel Sinodo , e
per la protezione del patrizio Baane più tenaci
nello scisma, risposero protervi che nulla udir
volevano di ritrattazione, e che non erano quivi
venuti spontaneamente, ma per ordine dell'Im
peratore , che avea loro imposto di ritrovarsi
in quell' adunanza.
XIX. Nè paghi ancora di sì grande temerità,
cominciarono a mentire senza alcun ritegno
in pieno Sinodo, protestando che inviati come
legati da Fozio al Papa Nicolò, questi li avea
riconosciuti, ed onorati quali Vescovi , e che
essi a vicenda con tal carattere aveano trattato
col Romano Pontefice; chiamando a testimone
dell'impudente menzogna Marino Diacono della
chiesa Romana , e come legato ivi presente .
Ma dalla relazione di lui, che abbiamo più a-
vanti prodotta, e dalle lettere dell' istesso Ni
colò dirette all' Imperatore Michele, ed all' i-
stesso Fozio, furono convinti dell'evidente men
zogna, restandone già del tutto, e pubblicamente
persuasi sì Baane che gli altri l'atrizii.
145
XX. All' udire queste aperte menzogne di
Teofilo e di Zaccaria , Teodoro Vescovo di
Stauropoli, si ricredette di quel che avea pri
ma sentito intorno al Pontefice Nicolò , quasi
che avesse cioè prima approvato, ed indi con
dannato Fozio. Ma non per questo si mostraro
no pentiti Zaccaria e Teofilo, anzi perdurarono
nello scisma. Teofilo infatti con giuramento as
seriva di essere stato in vera comunione con
Ricolò anche nelle sacre funzioni : che più? pro
pugnava per legittima l'ordinazione di Fuzio,
che diceva approvata non solo dal Papa , ma
ben anco dalle chiese di Antiochia, e di Ge
rusalemme; però attestando l'opposti i legati
di quelle sedi Patriarcali, fu un'altra volta con
vinto di menzogna manifesta in una al suo col
lega.
XXL Ciò non pertanto Baane e gli altri uf
ficiali dell' Imperatore tentarono di richiamare
a più sani consigli quei due pervicaci per al
tra via. Interrogarono i Legati della Sede Apo
stolica, se mai quei due Vescovi deposti pria
di essere ricevuti in comunione dal Papa aves
sero professato la formola della Fede Romana;
opinando quei distintissimi magistrati, che si
renderebbe per tal mezzo evidente la loro con
tumacia, sicchè rigettando ulteriori cavilli, ^i po
tessero ridurre a pentimento. Alla risposta dei
Legati, che affermavano di essersi firmato il lim
bello , comprendendo Zaccaria e Teofilo dove
io
andava a parare quella proposta, subito l' in
terruppero dicendo : ne sottoscrivemmo un
solo, ovvero due? a cui i Legati : due ne sot
toscriveste : e tosto essi risposero che non e-
rano stati due, e quindi asserivano non doversi
alcun riguardo alla loro testimonianza, poichè
in quell' epoca non eransi trovati in Roma. Ma
di novella menzogna li convince una nota mar
ginale di Anastasio scrittore di quei tempi, più
avanti riferito. Quindi i Legati Romani ordina
rono che fossero giudicati come spergiuri e
ricaduti nello scisma, proponendo al consesso
che s' interrogassero quei due vescovi preva
ricatori , se volevano sottoscrivere la forinola
romana, o pur no : e di ciò richiesti, con ar
roganza ed ostinazione non dubitarono di ri
spondere, che non volevano sapere di alcuna
professione. Quindi come incorreggibili ven
nero cacciati dal Sinodo, confessando l'istesso
Baane che indarno erasi loro accordata udien
za e luogo di difesa. Alla loro partenza disse
Baane intorno a Zaccaria, il quale vantavasi di
essere stato ammesso nella comunione del Papa
Nicolò, mentre già avea confessato di essere sta
to sospeso dal di lui predecessore Benedetto III
dall' ufficio vescovile, che per non lasciare in
decise queste due contradittorie asserzioni, si
esaminasse ancor più diligentemente la sua cau
sa. Al che i Legati Apostolici risposero , chc
poichè Zaccaria non era seco stesso coerente,
14"!
dovea confondersi con coloro che non comuni
cano colla Chiesa, e ritenersi come fautore di
coloro che fecero delle ree macchinazioni con
tro la Chiesa di Costantinopoli ed il suo santo
Patriarca Ignazio; nonpertanto potersi di nuovo
udire in altra sessione.
XXII. Poscia tenutasi la quinta sessione il
giorno 20 di Ottobre , nuovamente comparve
il già Vescovo di Taormina, perchè si sentis
sero le sue contradittorie asserzioni; e nel prin
cipio di quella Paolo Cartofilace della Chiesa
Costantinopolitana disse ai Padri del Concilio,
che come giusta le ordinazioni del Sinodo, nella
precedente Sessione erasi presentato Zaccaria,
così anche Fozio vi era stato invitato dall'Im
peratore. Al sentire quei Padri trovarsi ivi l'i-
stesso autore dello scisma, poco curando l' ul
teriore esame di Zaccaria, già abbastanza in
teso e condannato, si rivolsero a Fozio, che
andava per ogni dove schiamazzando di essere
stato dalla Chiesa di Roma punito senza prima
essere ascoltato, per confonderlo in pieno Con
cilio, e convincerlo in faccia a tutta la chiesa
militante. Ritrovato quindi allora, e nella set
tima sessione tuttora pertinace nella sua em
pietà, di nuovo anatema fu colpito per unanime
consenso del santo Concilio, insieme a tutti i
suoi seguaci e fautori , tra cui Gregorio già
Arcivescovo di Siracusa.
XXIII. Si fu questa la fine della luttuosa tra
148
gedia di Zaccaria, che indegno di più reggere
la santa Chiesa di Taormina, deposto dal suo
grado, troppo sciaguratamente vide in sè com
piersi quella proletica minaccia : Attri occu
perà il suo saggio vescovile (1) . Che cosa
indi sia addivenuto di lui , cioè se sia rima
sto pervicacemente nell'errore sino alla morte,
o se piuttosto rinsavito avesse abiurato lo sci
sma non osiamo asserirlo, mancandoci i docu
menti dell'antichità. Tuttavolta ci piace opinare
che alla fine cessata la sua contumacia, e con
dannato Fozio , fosse ritornato all' unità della
Chiesa: poichè nelP anno 819 sotto il Papa Gio
vanni Vili fu celebrato il falso Sinodo Ecume
nico Costantinopolitano Vili, nel quale venne
restituito Fozio nella Sede di Costantinopoli ,
vacante allora per la morte del Patriarca Igna
zio, si rescissero temerariamente gli atti del
vero Vili Concilio Ecumenico , e si cancellò
dal Simbolo la voce Filioque. A questo Concilia
bolo, che l'u di recente pubblicato nell'ultima
edizione di Filippo Labbè (2), intervennero quasi
tutti i vescovi aderenti a Fozio, in numero di
383, i di cui nomi si trovano descritti sul prin
cipio di esso. Ma però non troviamo fra i Ve
scovi che sottoscrissero, il nostro Zaccaria.
/
158
per lungo tempo Teofane. Resta ora ad esa
minare in qual tempo precisamente siano vis
suti l'uno e l'altro Cerameo ed abbiano gover
nato la Chiesa di Taormina. E riservandoci a
suo luogo ed al proprio tempo la discussione
sull' epoca e sulF Episcopato di Teofane , sti
miamo opportuna cosa il ragionare qui soltanto
di Gregorio.
• XI. Che Gregorio non sia stato Vescovo di
Taormina prima dell'anno 842, sembra certo
dall'Omelia recitata nella festa della restituzione
delle Sante Immagini , chc è la vigesima fra
le pubblicate dallo Scorso ; e la quale giusta
la testimonianza del citato Combefis, è una di
quelle che appartengono veramente a Gregorio,
e non già a Teofane. Una tal sollennità infatti
fu istituita nel sudetto anno 842 alla Domenica
prima di quadragesima, detta altrimenti la Do
menica deW Ortodossia delle sante Immagi
ni (1). E ciò avvenne, quando celebrato il Con
cilio Costantinopolitano fu condannata l'eresia
degl'Iconoclasti, che potente e furibonda avea
travagliato per centoventi anni la Chiesa, e fu
restituito con solenne pompa il pubblico culto
delle Sante Immagini, intervenendo alla sacra
funzione nel tempio l' Imperatore Michele , il
Senato, il Clero e tutto quanto il popolo, in
sieme con S. Metodio costantissimo difensore
(1) Baron. ad ann. dir. 8*2.
139
della Fede Ortodossa, e che avca succeduto
nella sede Patriarcale all'eretico Giovanni dig-
già discacciato.
XII. È chiaro adunque che prima del citato
anno 842 non può dirsi aver fiorito Gregorio,
come nè anche immediatamente dopo la isti
tuzione della festa delle Sante Immagini; im
perocchè da S. Metodio , che appena quattro
anni occupò il Patriarcato, fu consacrato Zac
caria, il quale tenne la Cattedra di Taormina
sino all'anno 869, quando riconosciuto perti
nace nello scisma di Fozio, per unanime con
denso de' Padri del Concilio Generale ViII e
Costantinopolitano IV fu deposto. Ciò possiam
dire intorno al principio dell'Episcopato di Gre
gorio, parliamo ora della fine del suo governo.
XIII. Da ciò che sopra abbiam detto chiaro
si dimostra che Gregorio visse prima che Taor
mina fosse presa da' Saraceni : imperocchè es
sendo certissimo che all' anno vigesimoquarto
dell'Impero di Leone e d'Alessandro, cioè l'anno
di Cristo 910, i Saraceni s' impadronirono dopo
lungo assedio di Taormina, ed essendo ancor
certo dalla storia di questa invasione scritta da
Giovanni Diacono della Chiesa Napolitano, che
alla espugnazione di Taormina fatta da' Sara
ceni trovavasi Vescovo di quella Chiesa S. Pro-
copio, siegue che Gregorio fiorì prima della ca
duta di Taormina, e che il di lui Episcopato
non può affatto estendersi ne prima dell'anno
809 nè dopo il 910.
160
CAPO XIX.
r
\n
te a più sani consigli. « Certamente, diceva,
» può avvenire, o fratelli, cbe per mezzo della
» penitenza delle pie orazioni evitiamo i mali
y> che sovrastano; a ciò volgiamo tutti quanti
» siamo, e giovani e vecchi, ogni nostro stu-
» dio. Io veggo in questa città un grande cu-
» mulo di peccati, nè alcun genere di vizii e
» di scelleraggini che qui impunemente non
» domini; cose tutte le quali certamente abbi
li sognano di molta correzione ed emenda. Che
» se voi trascurate e disprezzate le mie paro-
» le, io certo mi asterrò volentieri dall' annun-
» ziarvi i mali che vi sovrastano, ma voi però
» cogli occhi vostri sventuratamente li vedre-
» te.' (1)
X. Era in quel tempo governata Taormina da
Costantino Patrizio, il quale affin di difendere
la città contro le forze de' Saraceni, costrusse
a capo di essa una fortezza, a cui oggi si dà
il nome di Mola. Così rilevasi da una lapide,
che sino a giorni nostri, si conserva affissa alla
parete della Chiesa primaria, la quale in greco
ed in latino fu pubblicata dall'eruditissimo An
tonio Muratori (2), e che noi abbiamo ripor
tato nel primo volume del nostro Codice Diplo
matico della Sicilia (3) . La iscrizione tradotta
(1) In vit. S. Elise Enncns. apud Cujet. Tom. 2 Ss. Sicul.
pag. 73 col. 2.
(2) Thesaur. vcter. inscript, tnm. 4 col. 2013 N. 11.
(3) Dissert. 7. Cap. 13 pag. i7.'5.
115
dal greco dice così : Conditum est hoc Ca
ttirum sub Constantino Patriei- A questo Co
stantino sembra ancora appartenere quell'antico
suggello di piombo, ossia medaglia, che trovato
in Taormina, abbiamo in nostro potere, e che è
segnato di queste lettere— Constantini Patri
ei Siciliae, e della quale abbiamo fatto men
zione nel detto nostro Codice Diplomatico al
luogo citato. Posciachè adunque S. Elia aveva
ammollito il popolo, rivolgendosi al medesimo
Costantino diceva : « Perchè tu, o Prefetto, non
) allontani i popoli alla tua cura allietali dalle
» opere turpissime? Perchè non ti sforzi a tut-
;) t' uomo che si astengano dal recare oltraggi,
« dagli adulterii, dalle uccisioni, da' postriboli?
)) Chi apparecchiasi alla guerra, deve con più
» ragione serbare una singolare continenza : poi-
» che quul cosa è più vile e più abbietta che
)) il peccato? Qual cosa così forte e generosa
)) come la temperanza? Sia di vostra vergogna,
» o Cristiani, la filosofia dei Gentili. Epaminon-
» da, quel celeberrimo condottiere, si astenne
» severamente dalla intemperanza, da ogni li-
» bidine, e da ogni allettamento di piacere. Così
» ancora Scipione, duce dei Komani, fu valoroso
» per quella medesima continenza per cui lo
» fu Epaminonda : e per tai ragione riportarono
» un'insigne vittoria quegli sopra gli Spartani,
> questi sopra i Cartaginesi, ed eressero am-
vi bidue immortali trofei . Se dunque anche i
m
yi Gentili, i quali erano travolti dalle malnate
y> cupidigie, tanto apprezzavano la temperanza,
y> quanto non dobbiamo apprezzarla noi che ci
» chiamiamo Cristiani, che siamo rischiarati dal
» lume del Vangelo, istruiti dalla dottrina de-
» gli Apostoli, ed informati dai precetti dei Santi
» Padri? con quanta accuratezza non dobbiamo
v> detestare la iniquità e l'avarizia, quando mas-
» simamente tanto cumolo di mali c'incalza e
» ci sovrasta? tu però, o Prefetto, se allonta-
» nerai questi vizii dal popolo , sperimenterai
» propizio l' ottimo Iddio, e proverai quanta è
» la sua bontà e la sua misericordia per gli
» uomini. Io in quanto è da me, vi ho chiara-
» mente predetto tutto ciò che mi è stato di-
» vinamente rivelato; voi però se crederete alle
ti mie parole , sappiate che siccome partecipi
y> della penitenza coi Nini viti, lo sarete ancora
« della misericordia; se però disprezzate que-
» ste ammonizioni , legati e prigionieri sarete
» ridotti in durissima schiavitù. « (1)
XI. Gravissime erano in verità queste paro
le, ma lievissime in confronto alle scellerag-
gini ed alla perversità de' popoli . Laonde fi
dati nella loro audacia e nella munizione dei
luoghi, stimavano impossibile, che la città, la
quale avea sin allora reso vani tutti gli sforzi
de' nemici, fosse ad un nuovo impeto espugna
r
188
l'anno di Cristo 910; perocchè sebbene il corpo
di questo Santo sia stato traslatato non una ma
per ben tre volte , pure la traslazione di cui
parla Giovanni Diacono non è la prima, nè la
seconda ma l'ultima, la quale accadde nel pre
detto anno 910. Così spiegano la testimonianza
di questo scrittore gli eruditissimi Giovanni Bol
lando (1), e Giovanni Mabillon (2).
XXIV. A questi argomenti ben concorda .
come sopra abbiam detto, l'epoca di Gregorio
Console Napolitano, che giusta la testimonianza
di Leone Ostiense (3), iiorì l'anno di Cristo 910
e susseguenti. Da tutto ciò si raccoglie, che
Giovanni Diacono, riportando l'eccidio di Taor
mina all'anno XXIV di Leone e d'Alessandro,
non enumera questi anni dalla loro coronazio
ne, ma dalla morte del loro padre Basilio; e
che perciò la caduta di Taormina deve riporsi
circa l'anno 910. Ciò ancora sembra confermarsi
dall'Anonimo Arabo, scrittore della Cronologia
delle cose Arabo-Sicule (4), il quale ad una data
non lontana dal 910 assegna la caduta della
nostra città, accennando ancora il mese ed il
giorno in cui avvenne . Ecco le sue parole :
L'anno 908, del mondo 64-16, renne, l'Emi
ro, ossia Gran Condoltiero, dall''africa, nel
(1) Ad. SS. Januar. die 8 et in append. ad di cluin dicm.
(2) Annal. Beoedict. T. 3 pag. 331.
(3) Chron. Casin. ad ann. Christi 910.
(4) Ad ann. Orhis Conditi GilG.
189
mese di Maggio , e raccolse un esercito di
Siciliani ed Africani e prese Tabermin il
giorno primo del mese di Agosto che fa di
Domenica, o piuttosto di Lunedì, chè tale fu il
primo giorno di Agosto dell'anno 908. Siam
debitori di questa cronaca all'esimio cultore
della veneranda antichità Giovan Battista Ca
ruso, il quale la pubblicò in Arabico ed in La
tino da un antico Codice di Cambridge (1); e
quindi così per questo, come per gli altri mo
numenti di sacra erudizione , non è affatto a
dubitare, che la spiegazione di Giovanni Dia
cono sopra esposta sia la più cordata e la più
vera. (2)
XXV. Se dunque Taormina non fu sottopo
sta al giogo de' Saraceni prima dell'anno 910
in circa, ne siegue che per ben 90 anni dopo
la venuta di que' barbari in Sicilia, questa città
fortemente e costantemente resistette alla loro
tirannide: circaad anni 60 di unita alla città
di Siracusa, e per altri 30 unica e sola. E que
sto memorando eccidio di Taormina, fu la sven
turata cagione per cui lbrahim, che prima di
sdegnava d'essere chiamato He di Sicilia, potè
gloriarsi d'essere divenuto e nominarsi vero
padrone dell' Isola. Fu per esso estinta la do
minazione de' Greci in Sicilia, e si rassodò quella
CAPO XXI.
/
192
stantino, col patto che nò i\ Saraceni contro i
Taorminesi, ne questi contro quelli portassero
le armi . Di questo trattato di pace parlano
Giorgio Cedreno, e Giovanni Curopolata nella
vita di Nieeforo Foca Imperatore.
II. Dopo qualche tempo fecero i Calabresi
una pace somigliantissima a questa , dandosi
per l'uno e per l'altro popolo degli ostaggi,
cioè Leone Vescovo di Sicilia pe' Taorminesi,
e il Prefetto di Calabria pe' popoli alla sua cura
affidati; siccome attesta l'Anonimo Arabo nella
cronaca Saraceno-Sicola, giusta il Codice ma
noscritto di Cambridge pubblicato dall'eruditis
simo Giovan Battista Caruso (1); alla diligenza
del quale siamo debitori che la Storia de' Sa
raceni, d'altronde oscurissima, si rendesse chia
ra e manifesta. In questa Cronaca all'anno di
Cristo 919 si legge così : Verso la fine di gue
st' anno fu fatta tregua fra Selimo Emiro di
Sicilia ed il popolo di Tabermin con le altre
castella . E poco dopo : // medesimo venne
al luogo detto Vrah e lo prese, e stabilì fa
tregua co' Calabresi ricevendo da loro degli
ostaggi cioè Leone Vescovo di Sicilia ed il
Prefetto di Calabria. Che per la voce Taber
min si debba intendere Taormina, ce lo addi
mostra il citato Caruso nelle noie alla detta
CAPO XXH.
r
202
stigio di calce maestrevolmente commesse, ed
avendo un solo altare che è il massimo, e la
porta che guarda la parte occidentale, giusta la
antica architettura ed usanza, mostra nella sua
forma di essere un antichissimo tempio, e la*
voro de' Greci . E se per la grandissima sì ,
ma imprudente pietà de' nostri maggiori , la
forma della Chiesa è mutata, non è però tale
la mutazione che non possa anche oggi fard-
mente comprendersi qual ne sia stata l'antica
struttura. E pare che questa sia quella mede
sima Chiesa, nella quale circa il IX secolo si
conservava con debito onore il corpo del me
desimo S. Pancrazio, e nella quale in occasione
della festa di esso Santo recitò 1' Omelia (I)
quel Gregorio Cerameo nostro Arcivescovo, del
quale abbiamo più sopra ragionato.
III. Di questo genere si è la Chiesa di S.
Lorenzo, di cui parla Gregorio Bizantino, scrit
tore di quel tempo, nella Orazione panegirica
di S. Pancrazio detta in Taormina e da noi più
volte citata; la qual chiesa, come insigne vesti
gio della remota antichità veneriamo oggi gioì*
no (2) a destra della Chiesa di S. Maria di Gesù
dell' Ordine de' Minori Osservanti di S< Fran
cesco.
/
212
dic discacciarono le navi dui maro di Taormi
na. Al quale avvenimento facendo allusione il
Malatcrra sopracitato cantò, clic coloro elio da
Ruggiero erano invitati, venivano allontanati da
Corea, ed il vento s'interpose perchè non fosse
dato ciò che da Ruggiero si prometteva (1).
Vili. Finalmente i Saraceni, i quali avevano
concepito all'arrivo delle navi la speranza d'un
aiuto opportuno, veggendosi defraudati da que
sta lusinghiera fidanza, e non potendo più so
stenere la fame che li avea ridotti agli estre
mi, consegnarono a Ruggiero quella città che
per 109 anni dall'ultima invasione aveano oc
cupato . E così Taormina dopo selte mesi di
durissimo assedio, cioè nel mese di Agosto del
l' anno 1078 venne in potere de' Normanni (2).
IX. Fallosi Ruggiero padrone di Taormina
rese schiavi tulli i Saraceni che in essa trovò:
e di questi, dopo la di lui morte, la Conlessa
Adelasia, vedova del Conte, donò alquanti al Iteal
Monastero di S. Maria della Gala di Messina,
come apparisce da un Diploma che contiene
l'atto di donazione, fatto l'anno del mondo Otii 3
e di disio 110") (3).
X. Finalmente diciamo, che mentre i Sara-
CAPO XXV.
CAPO XXVI.
'
238
1611. La Chiesa di questo Convento è Parroc
chiale , ed una volta era tempio grandissimo
sotto il titolo dell'Assunzione della B. Maria
Vergine, e fu concesso, come sopra abbiamo
dimostrato, sotto alcune condizioni l'anno 1611
a' medesimi Padri per costruirvi il nuovo Con
vento. Finalmente l'anno 1621 celebrandosi in
Palermo il Capitolo Generale, si fé' istanza al
Re perchè fosse data qualche elemosina al Con
vento de' Minimi di Taormina, ed il Re accon
senti alla dimanda, ordinando, con lettere date
in Madrid il 29 Febbraro 1628, che si dessero
a' medesimi Padri ottocento fiorini sul fondo
degli Spogli e Sedi vacanti (1).
XVII. Erano dippiù in Taormina tre altri Con
venti di Regolari, che oggi più non esistono. Di
questi il più antico era quello de' Conventuali
di S. Francesco d'Assisi sotto il titolo di S.
Maria del Soccorso, fondato l'anno 1512 al con
fine della città, e presso la Chiesa di S. Pan
crazio (2). Questo Convento perchè non aveva
il numero di Frati necessario ad osservare la
regolare disciplina, restò soppresso ed estin
to, secondo la Bolla d'Innocenzo Papa X che
comincia Instaurandi, data in Roma il giorno
11 del mese di Ottobre 1652, ed esecutoriata
'
242
destinandosi parte a celebrazione di Messe ,
parte alla istruzione della gioventù, parte alle
suppellettili della stessa Chiesa, parte a man
tenere il culto delle Reliquie esistenti nella Chie
sa medesima, parte alla fabbrica del Venera
bile Monastero di donne della medesima città
sotto il titolo di S. Maria di Valverde, e parte
analmente ad accrescere le prebende e le di
stribuzioni quotidiane de' medesimi Canonici .
XX. Il Monastero di donne di S. Maria di
Valverde, oggi dell'Ordine de' Carmelitani, fu
eretto l'anno 1215 (1). Era in quel luogo della
città che chiamano sobborgo, l' antica Chiesa
l'arrocchiale di S. Maria detta di Goffredo, la
quale da una nobile donna di nome Nicolia mo
glie del fu illustre Errico Paternò, perchè già
edificata e riccamente dotata da' suoi maggiori
con l'annuenza di Rinaldo Arcivescovo di Mes
sina, ampliandosene il fabbricato fu convertita
in Monastero di Suore Penitenziali Canonisse
della Congregazione di Valverde, ed assogget
tata al Monastero di Messina fondato secondo
la stessa regola sul principio del medesimo se
colo. La superiora di questo Monastero prese-
dera a tutte le case della stessa Congregazione
esistenti in Sicilia, nella Calabria e nella Puglia,
(1) Sylvester Maurolycus in Ocean. Relig. lib. 1 Gabriel
rumiorus Histor. Canon. Rcgul. e. 29 Placidus Sninpcri
Messun. Illnstrat. t. 2 J. 6 n. 71 et in sua Iconolog. ìi.
M. V. lib. 3 cap. 24.
243
ed esercitando l'officio, come la dicevano, di
Provincialessa, visitava i medesimi monasteri,
che erano esenti da qualunque altra giurisdizio
ne, ed ogni cosa in essi disponeva che sembras
se necessaria ed opportuna all'osservanza esatta
della monastica disciplina. Vestivano un tempo
le suore una tunica di lana bianca con un roc
chetto di bianco lino; oggi però soltanto nel
l'atto della solenne professione assumono la
veste bianca, e poi deponendola, prendono un
abito di color nero, e di esso usano per tutta
la vita; e così ancora tralasciata l'antica forma
di governo , vivono sotto l' ordinaria giurisdi
zione dell'Arcivescovo di Messina.
XXI. Ma poichè abbiam detto , che la spi
rituale giurisdizione dell' Arcipretura di Taor
mina si estende ancora sulle terre adiacenti,
stimiamo pregio dell' opera il parlare anche di
esse un po' più diffusamente. Ed in prima trat
teremo di Mola che è fra tutte la più vicina a
Taormina , poscia di Gallidoro , di Gaggi , di
Mongiuffi e di Melia, e per ultimo di Graniti.
XXII. Mola è castello, ossia una delle due
fortezze di Taormina . ll suo nome è recente
ma l' origine è antica, poichè di esso fa men
zione Diodoro Sicolo (1) descrivendo la guerra
che in Taormina, e per cagion di Taormina si
combattè fra i Siciliani abitanti di questi luo-
/"
250
medesimo Ruggiero in un Diploma dell'anno
4145 (1) enumerando i luoghi soggetti all' i-
stesso Monastero del SS. Salvatore di Messina,
vi annovera le Chiese di S. Giovanni e di S.
Maria di Fiumefreddo. Sino all'anno 1351 re
stò questo Feudo in possessione del predetto
Real Monastero del Salvatore; passò poscia nel
dominio del nobil uomo Pietro Parisi, mediante
una permuta (2) co' beni del medesimo Parisi
esistenti tra il Fiume del Campo e l'altro di
Mandanice; essendo tal permutazione confermata
dal Ue Lodovico, e consentita dall' Arcivescovo
di Messina Pietro Porta, il quale annuì che fos
sero commutati i suoi dritti Episcopali, e di
chiarò il già esente feudo di Fiumefreddo sog
getto alla sua giurisdizione, ed esente la pos
sessione de' fiumi del Campo e di Mandanice che
prima erano a lui soggetti.
XXX. La terra di Calatabiano, compresa una
volta nel territorio di Taormina, è antichissi
ma, e sembra essere quella stessa che il Com-
pendiatore di Stefano chiama Castello di Oidio,
diverso dall'altro del medesimo nome che era
sito nella Diocesi di Siracusa. Così esso dicer
yi è nel territorio di Taormina un altro
Castello di nome Bidio di Calatabiano^ ; il
qual nome alcuni dicono essere Saracenico ,
I.
1/ Arciprctura.
r
256
lenze che in quell'anno stesso si svolsero ia
Roma, e che produssero la prigionia del Som
mo Pontefice Pio VI (I), ripigliò l'Arcivescovo
di Messina il dritto di collazione sull'Arcipre-
tura di Taormina, e così avvenne che da que
sto Arcivescovo ne fu investito il Calabro.
Fu ancora il Calabro un pastore che seppe
con zelo e dottrina sostenere la cura delle a-
nime , difendere e mantenere la integrità dei
dritti parrocchiali e capitolari, ed amantissimo
della sua chiesa, fornirla a dovizia di sacri ar
redi. Morì il giorno 11 Maggio dell'anno 1812.
Continuando però , anzi infierendo sempre
più quelle tristi vicende nelle quali fu travolto
il Supremo Pontificato sul finire del secolo
passato, e nel principio del presente, e forse
ancora per effetto del Regio Decreto del 1111,
vacata nuovamente nel 1812, per la morte del
Calabrò, l'Arci pretura di Taormina, fu di nuovo
conferita dall'Arcivescovo di Messina in persona
di Rosario Castorina. E poichè, cessate già le
turbolenze politiche, nel Concordato del 1818,
conchiuso tra il Re Ferdinando 1° ed il Sommo
Pontefice Pio VII, si riconobbero bensì le ri
serve in riguardo a' Canonicati di libera colla
rone con V alternativa de' mesi , ma si rila
nciarono alla collazione de' Vescovi le Chiese
Parrocchiali, così l'elezione dell' Arcipretura di
IL
JLa Collegiata.
III.
lo Case Religioso.
IV.
Chiese e Congregazioni di spirito.
Conehiusienc.
FINE
BOLU
del Pontefice Benedetto XIV per la quale
si dà all'Arcivescovo Domenico Rosso, ed
agli Arcivescovi prò tempore il privilegio di
conferire i gradi accademici e la laurea
dottorale in Saera 'reologia agli studenti
nel Seminario Arcivescovile di Palermo »
per le istanze e dietro le riforme introdotte
in esso Seminario dal Rettore Canonico Gio
vanni Di Giovanni da Taormina. (1)
/'
'214
opus sit, Seminarli Archiepiscopali s aliarumque
Ecclesiarum et Beneficiorum hujusmodi etiam
juramento, confirmatione Apostolica, vel quavis
firmitate alia roboratis statutis, et consuetudi-
nibus , Privilegiis quoque Indultis , et literis
Apostolicis in contrariuin praemissorum quomo-
dolibet concessis, confirmatis, et innovatis, qui-
bus omnibus et singulis, illorum tenores prae-
sentibus prò piene et sufficienter expressis ac
de verbo ad verbum insertis habentes, illis a-
lias in suo robore permansuris, ad praemisso
rum effectum hac vice dumtaxat specialiter et
expresse derogamus, caeterisque contrariis qui-
buscumque. Datum Romae apud Sanctam Mariam
Majorem sub annulo Piscatoris die XXX Apri-
lis MDGGXLY Pontilìcatus nostri anno quinto.
loco Sigilli
D. Cardinali* Passioneus
INDICE
'
-4
necessità delle opere buone per salvarsi— Palermo,
Tippgrafia Cesare Volpes, 1865.
Inno in onore della B. Marglierita M. Alacoque, can
tato con musica del Maestro Locasto nella Chiesa del
Monastero di Sales , e programma delle feste per la
solenne beatificazione—Palermo, Stabilimento tipogra
fico di Francesco Lao, 1863.
Inno in onore della B. Maria degli Angeli , cantato
con musica del Maestro Bertini nella Chiesa del Mo
nastero di S. Teresa, e programma delle feste per la
solenne beatificazione — Palermo, Tipografia di Pietro
Pensante, 1865.
Vita del Sac. Gaetano Speciale già Canonico della
Cattedrale di Fticosia — Palermo , Stabilimento tipo
grafico di Francesco Lao, 1869.
In corso di stampa
I trionfi della Croce — Orazione recitata nel Gesù di
Palermo 1" 8 Giugno 1870. .
Al Ire pubblicazioni del Traduttore.