Regni Ellenistici

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I. Profilo storico.

1. Alessandro Magno

Le ragioni che convinsero Alessandro a non proseguire il suo ambizioso disegno di


conquista dellIndia sono esposte con chiarezza dalle fonti antiche: Alessandro
dovette rinunciare perch ormai il suo esercito era troppo stanco e privo di mezzi per
continuare oltre in questa impresa. Curzio Rufo tratteggia con enfasi drammatica la
sensazione di incomprensione e addirittura di aperta conflittualit che si era
instaurata tra il re macedone e le truppe. Queste non osano sollevarsi apertamente a
un sovrano che temono e da cui obiettivamente avevano ottenuto favori e ricchezze:
un atteggiamento di rassegnazione pi o meno velata, incapace di esprimersi in
tutta la sua interezza, ma pericoloso, perch a lungo andare impedisce la
collaborazione tra comandante e soldati. Nella scena che si svolge al passaggio
dellIfasi (IX 2 s.) predomina la tensione e lesaltazione emotiva. Di fronte ad
Alessandro che, pi che ordinare, quasi scongiura, in nome del loro valore, i soldati di
seguirlo nella nuova impresa, non come capo ma come loro amico e commilitone (IX
2, 28), questi tacciono tenendo lo sguardo rivolto verso terra, tanto da provocare al
re una risposta che, nella deliberata accentuazione del tono patetico, sembra lontana
dal suo stile e dal suo usuale modo di esprimersi e di comportarsi (ibid. 31-34):

Cumque illi in terram demissis capitibus tacere perseverarent: Nescio quid, inquit,
in vos inprudens deliqui, quod me ne intueri quidem vultis. In solitudine mihi videor
esse. Nemo respondet, nemo saltem negat. Quos adloquor? quid autem postulo?
Vestram gloriam et magnitudinem vindicamus. Ubi sunt illi, quorum certamen paulo
ante vidi contendentium, qui potissimum vulnerati regis corpus exciperent? Desertus,
destitutus sum, hostibus deditus. (...) Mori praestat quam precario imperatorem esse.
Ite reduces domos! ite deserto rege ovantes! Ego hic aut vobis desperatae victoriae
aut honestae morti locum inveniam.

Allaccorato discorso di Ceno, che a nome dei soldati chiedeva di evitare alla truppa
stanca e provata unulteriore fatica e che aveva provocato nellassemblea una scena
quasi isterica (clamor undique cum ploratu oritur regem, patrem, dominum confusis
appellantibus vocibus ... universa contione effusius flente), Alessandro replica con
un gesto di grande irritazione: si isola nella sua tenda proibendo a chiunque di venire
a cercarlo, e solo dopo due giorni [1] abbandona il progetto di unavanzata per terra,
per accogliere lidea suggerita da Ceno di procedere verso lOceano seguendo il corso
del fiume fino alla foce dellIndo. Alla decisione di Alessandro, che sognava di
estendere il suo dominio fino agli estremi confini del mondo e di dare celebrit a
regioni finora sconosciute (Dabo nobilitatem ignobilibus locis, aperiam cunctis
gentibus terras, quas natura longe submoverat IX 6, 22), contribuiscono per anche
altri fattori. Per quanto la campagna militare allinizio non facesse presagire difficolt
insormontabili (in molti villaggi la popolazione fugge davanti a lui o esce
spontaneamente a rendergli omaggio), col procedere del tempo la resistenza delle
popolazioni locali si era fatta pi rigida, e Alessandro aveva dovuto aprirsi la strada
nella valle dellIndo con difficolt crescente. Alla fine aveva dovuto rendersi conto del
fatto che il terreno che si apriva davanti a lui era ben pi sconfinato di quanto avesse
previsto, e che molte delle supposizioni che erano alla base del suo progetto si erano
rivelate fallaci: aveva pensato [2] che procedendo per quella via sarebbe arrivato in
Africa, alle sorgenti del Nilo (tanto nel Nilo che nellIndo vivono i coccodrilli, e questo
aveva indotto a confondere tra loro i due fiumi, e oltretutto anche la vegetazione
dellIndia ricordava quella dellEgitto), e ora si accorgeva che le cose non stavano in
questi termini. La campagna aveva bisogno di una preparazione pi accurata e di un
apporto di truppe fresche: oltre tutto, cera la concreta possibilit che, approfittando
del prolungarsi della sua assenza, si verificassero moti di ribellione o di sedizione alle
sue spalle. Alessandro aveva esteso la sua conquista fino al fiume Ipasi e aveva
fondato alcune citt (tra cui Alessandria Bucefala, lodierna Jehlum nel Punjab;
Alessandria nel Caucaso, lodierna Bagram, nellHindu-Kush, e altre) e aveva lasciato
lamministrazione del territorio a Poro e Taxila. Desideroso di sapere di pi dellIndia e
della sua cultura, aveva mandato Nearco e Onesicrito a circumnavigare le coste di
quelle regioni sconosciute e altri suoi delegati a raccogliere informazioni sulla
geografia, la storia, le tradizioni dellIndia [3], e si favoleggi anche di suoi incontri e
di suoi rapporti coi sapienti dellIndia, i gimnosofisti [4], e, a detta di Strabone, questo
incontro lasci pi di una traccia sul suo pensiero [5]. La sua decisione di rinunciare
allimpresa era probabilmente solo temporanea (prima di ritirarsi aveva fatto
costruire dodici altari di pietre squadrate alte come torri, per segnare, a
testimonianza dei posteri, lestrema punta est della sua avanzata), ma nel volgere di
pochi mesi sopraggiunse improvvisa la malattia e poi la morte [6].

In quanto erede dellimpero Achemenide, Alessandro veniva a possedere anche un


lembo dellIndia nord-occidentale, assoggettata e organizzata in satrapia da Dario I
[7]. I Persiani si erano affacciati ai confini dellIndia, e si erano impadroniti di parte
dellarea del Sindh (approfittando anche delle guerre e delle divisioni dei signori della
zona) attorno al 518, in un secolo cruciale della storia e della cultura indiana, quando
fanno la loro apparizione le due grandi religioni eterodosse dellIndia, il buddhismo e
il jainismo, che iniziano a diffondersi a spese della cultura fino allora dominante,
quella che seguiva la linea tradizionale vedico-brahmanica. La conquista persiana
permetteva allIndia di aprirsi a un mondo occidentale fin allora sconosciuto. Con
lavventura di Alessandro Magno, confinanti dellIndia sono ora il mondo e la cultura
greco-ellenistica, non pi i persiani. Questa sostituzione avr riflessi importanti
dalluna come dallaltra parte della frontiera.

Indubbiamente linteresse dei Greci nei confronti dellIndia non nasce con Alessandro
Magno [8]. LIndia era per i Greci una terra posta agli estremi confini del mondo, una
terra inaccessibile e dimenticata, una terra abitata da genti di cui si sa poco o nulla (e
quel poco che si sapeva era cos straordinario da invogliare a saperne di pi), eppure
il desiderio di spingersi fino in queste zone e di esportare anche qui la cultura greca
fortemente radicato nellimmaginario collettivo dei Greci, e si esprime nel racconto
mitico di Dioniso, che avrebbe fatto irruzione fino in India sottomettendola. A questa
incursione di Dioniso in India accenna, in tono critico, Arriano [9], chiedendosi quanto
sia compatibile la raffigurazione usuale e prevalentemente pacifica di Dioniso con
questa immagine di dio guerriero, che non avrebbe sottomesso altra popolazione se
non lIndia. Durante il viaggio sia di andata sia di ritorno il dio avrebbe dovuto
affrontare pericoli e sconfiggere numerosi nemici (tra cui le Amazoni, che avevano
tentato di contrastarlo). Anche di Eracle si narrava che avesse compiuto grandi gesta
in India, e uno dei motivi che avevano indotto Alessandro a spingere il pi possibile a
oriente la sua avanzata era proprio il vanto di avere oltrepassato i limiti verso i quali
si erano avventurati personaggi grandi e prediletti come Dioniso ed Eracle.

Questi racconti mitici sintrecciano per con una precisa realt storica, la presenza di
minoranze greche in queste terre lontane anche prima della venuta di Alessandro. Se
quello di Dioniso un mito, realt storica invece lesistenza di Nisa, una citt
situata tra i fiumi Cophen e Indo e abitata da Greci. Il nome, come evidente,
allusivo al mito di Dioniso, dal momento che Nisa era il nome della nutrice del dio:
secondo gli abitanti, Dioniso stesso aveva fondato la citt, e da quel momento essa si
era mantenuta libera e ben governata, e i suoi abitanti autonomi [10]. Nonostante
qualche incertezza e contraddizione, lesistenza di questa citt non pu essere messa
in dubbio. Fondata forse da mercenari greci che avevano seguito Dario in una delle
sue spedizioni, la citt accoglie benevolmente Alessandro, che viene anche
accompagnato a visitare il territorio circostante, dove si conservavano lontani ricordi
della venuta di Dioniso [11]. Ben diverso destino era toccato a unaltra minoranza
greca, quelle dei Branchidi. Questi si vantavano di essere i discendenti di Branco, il
mitico fondatore di un tempio di Apollo nei pressi di Mileto. Al tempo della spedizione
di Serse i loro antenati avevano consegnato s stessi e il tesoro del tempio al re
persiano, rendendosi cos invisi a tutti gli altri Greci. Dopo la sconfitta di Serse, il re
persiano, mostrando una moderazione e un senso umanitario maggiore di quello
dimostrato in circostanze analoghe dagli Alleati dopo la fine della seconda guerra
mondiale, li aveva salvati da una sicura e sanguinosa vendetta portandoli con s
durante la sua ritirata e assegnando loro un villaggio in Sogdiana. Quando Alessandro
li incontr, era gi in uno stadio avanzato il processo di assimilazione ai Persiani,
anche in grazia dei molti matrimoni misti, ma non era venuta meno n la coscienza
della loro origine n la conoscenza della lingua greca. Il loro destino per fu ben
diverso da quello dei Niseni: fattosi accogliere in citt, Alessandro diede corso a una
carneficina che coinvolse praticamente tutta la popolazione, e la citt stessa fu
distrutta: un eccidio che gli valse la riprovazione anche di storici apertamente
benevoli nei suoi confronti, come Plutarco [12].

2. Il regno di Battria.

Con lintento di lasciare persone fidate alla guida delle province lontane, spesso
inquiete (Besso, dopo avere ucciso Dario III, aveva tentato di organizzare un
movimento di resistenza nazionale nella sua satrapia battriana), Alessandro aveva
lasciato la guida della Battria e della Sogdiana a un generale di provenienza
macedone, Filippo. Poco tempo dopo la sua morte, quando la spartizione dellimpero
da lui conquistato fu ratificata col Trattato di Triparadiso (321 a.C.), Filippo fu
trasferito in Partia, e signore di Battria e Sogdiana, dal momento che nessun
macedone intendeva assumere il comando delle regioni pi lontane [13], divenne
Stasanore di Soli [14], uno straniero cipriota, che per, essendo stato un fedele
seguace di Alessandro ed essendosi distinto nelle operazioni svolte in Battriana, gi
conosceva i problemi del territorio. Delle satrapie indiane furono nominati governatori
i re locali Poro e Taxile, mentre al comando delle truppe di stanza nella regione fu
nominato un generale greco di nome Eudemo. Poco sappiamo del regno di Stasanore,
che dovette comunque incontrare il favore delle popolazioni locali. Non conosciamo la
data esatta della sua morte, e forse era gi morto quando, nel 312, Seleuco Nicatore,
dopo avere riconquistato Babilonia, aveva rivendicato il possesso, in quanto
successore di Alessandro, di tutta lAsia. La sostanziale indisponibilit delle regioni
orientali a riconoscere la sovranit di Seleuco era dovuta non soltanto o non tanto a
una scarsa simpatia delle popolazioni locali, quanto soprattutto alla forte presenza
nelle colonie lasciate da Alessandro e nei quadri del governo di Greci, poco propensi a
farsi comandare da un signore macedone. Seleuco doveva procedere a una vera e
propria riconquista della regione, e la lotta fu cos dura, che egli dovette delegare a
suo figlio Antioco il compito di domare quelle terre lontane.

Mentre si svolgevano queste lotte tra i Diadochi, dallaltra parte della collina si stava
profilando un evento di portata rilevante. LIndia, divisa fin allora in una variet di
entit politiche, veniva progressivamente unificata sotto la spinta espansionistica
della dinastia Nanda, che, partendo dal Magadha (nel Nord-Est dellIndia), aveva
assoggettato buona parte dellIndia settentrionale e la governava in modo dispotico.
Nel 322, non sappiamo precisamente in quali circostanze, ma certamente in seguito
a una sollevazione, la dinastia Nanda veniva sostituita dalla dinastia Maurya. Il primo
sovrano della nuova dinastia, Candragupta ( o nelle
fonti greche) [15], un sovrano valoroso e capace, continua lopera dei Nanda, e
giunge alla quasi completa unificazione di tutta lIndia. Alle vicende che portarono
alla sostituzione dei Nanda con la nuova dinastia sembra che non siano stati del tutto
estranei anche i Greci, dal momento che le fonti indiane (e in particolare il
Mdrarkasa), nellenumerazione delle popolazioni straniere che avevano
appoggiato Candragupta, indicano anche gli yavana [16], e viene nominato, tra i
sovrani amici, anche un Parvata, che la usuale denominazione indiana di quel Poro
che era stato lasciato da Alessandro a presidiare i lembi orientali dellimpero, carica
che, a quanto sembra, gli era stata poi riconfermata dal Trattato di Triparadiso.

Sulle circostanze che portarono alla sostituzione dei Nanda coi Maurya abbiamo fonti
storiche (non sempre affidabili) soprattutto di parte greca. La principale fonte indiana
costituita dal dramma di argomento storico Mudrrkasa, del poeta Viakhadatta,
che tardo (tra il VII e il IX secolo [17]), ma pu rifarsi a racconti o tradizioni
contemporanee agli avvenimenti. Trattandosi di un dramma, e non di un resoconto
storico, difficile discernere lelemento propriamente storico dalle aggiunte
drammatiche.

Il dramma in sette atti Mudrrkasa (Rkasa del sigillo, cio sconfitto per mezzo
del sigillo) ha una collocazione un po sui generis nel panorama del teatro indiano. Si
tratta di un dramma dargomento politico. Protagonisti sono da una parte Caakya,
labile ministro di Candragupta (che appare in alcuni passi, ma con un ruolo tutto
sommato marginale), dallaltra Rkasa, il primo ministro del re Nanda ormai
deposto, che rimasto fedele a lui e che si rifugiato allestero, presso il re straniero
Malayaketu; questi vorrebbe vendicare il padre, che stato defraudato della parte di
regno che gli era stata promessa e che stato ucciso per mezzo di una ragazza
avvelenatrice [18]. Caakya, figura pressoch leggendaria del pensiero politico
indiano ( stato trasmesso sotto il suo nome anche un trattato di politica), stato
personalmente offeso dai Nanda e ha giurato eterna inimicizia al deposto sovrano e a
tutti i suoi sostenitori: ha sciolto i capelli in segno di ira e ha promesso con s stesso
che avrebbe nuovamente legato la sua chioma solamente quando la sua collera
sarebbe stata placata dalla fine della sua vendetta. Sarebbe difficile raccontare in
modo riassuntivo i vari espedienti e stratagemmi che Caakya mette in atto per
raggiungere il suo scopo: sono al suo servizio un gran numero di spie infiltrate nel
campo di Rkasa, con una variet di tipi umani, che vanno dal mendicante jaina
allincantatore di serpenti: questi agiscono ognuno allinsaputa dellaltro, senza
conoscersi tra di loro, dando luogo a situazioni complesse, in cui non sempre
agevole per il lettore o lo spettatore seguire il filo degli avvenimenti e capire a che
cosa mira la singola azione di Caakya. Alla fine questi raggiunge il suo scopo, che
quello di creare divisione tra Rkasa e il suo alleato e di convincere lo stesso
Rkasa a cambiare campo, passando dalla parte dei Maurya. Per fare questo si
serve di un sigillo (mudr), che venuto casualmente nelle mani di una delle sue
spie: nel momento in cui aveva lasciato Paaliputra per raggiungere Malayaketu, il
ministro aveva affidato sua moglie e la sua famiglia allamico Candanadsa, potente
capo della corporazione dei gioiellieri. Il sigillo col nome del ministro era caduto a
terra dalle mani smagrite della donna ed era stato raccolto da una delle spie di
Caakya, che se ne era servito sia per fare imprigionare Candanadsa, minacciando
di condannarlo a morte per tradimento (in quanto aveva nascosto e dato rifugio alla
famiglia di un traditore), sia per scrivere una lettera contraffatta, che, letta alla
presenza di Malayaketu, faceva pensare a un raggiro che Rkasa stava ordendo ai
danni dellalleato. Alla fine del dramma il tentativo di invasione di Malayaketu viene
sventato e Rkasa, cacciato da Malayaketu e ormai sconfitto, accetta di passare
dalla parte dellavversario anche per evitare allamico Candanadsa lesecuzione
capitale che era stata ormai approntata. Il dramma di Viakhadatta, come si detto,
un prodotto anomalo: il consueto intreccio di natura amorosa sostituito da un
complesso e spesso intricato gioco di sotterfugi reciproci: a questa oscurit e
complessit si adegua anche lo stile del dramma, la cui lingua inserisce praticamente
a ogni passo allusioni sofisticate, con possibilit di duplice lettura di parole e interi
passaggi. Il lettore pu essere disorientato dalle molte sottigliezze stilistiche e
lessicali, e il continuo riferimento alle arti e alle astuzie della politica, che richiama
spesso argomenti di trattati e di dottrine ormai consolidate [19], non contribuisce
certo n a rendere pi agevole lapproccio dello spettatore comune n a risollevare il
tono complessivo del dramma. Anche lo spazio delle strofe liriche (anchesse
appesantite e rese oscure dalle allusioni e dalle duplicit di lettura di cui si detto)
nel complesso modesto, rispetto alla lunghezza delle parti prosastiche, in cui
unanalisi persino minuziosa degli avvenimenti che si stanno svolgendo e le
spiegazioni, necessariamente particolareggiate, dei fini che si intendono perseguire
spesso rallenta il procedere dellazione del dramma. Ci nonostante, non mancano
pagine di vera poesia. Molto felice la caratterizzazione sia dei due personaggi
fondamentali sia di alcuni personaggi minori, che fanno da contorno nel gioco di
raggiri in cui ciascuno agisce quasi sempre allinsaputa degli altri, e poeticamente
notevole la scena allinizio del sesto atto in cui Rkasa, ormai certo della propria
sconfitta e della necessit di venire a patti con lavversario, rientrato nella capitale di
Candragupta, si sofferma, in un lungo monologo, a meditare sulla propria infelice
vicenda, dando libero sfogo alla propria nostalgia per la vista di tante cose che gli
suscitano tristi reminiscenze di situazioni e persone che ormai non ci sono pi. Per
quanto ognuno dei due sia disponibile a qualsiasi azione, anche delittuosa, pur di
vedere sopraffatto lavversario, lazione si svolge sempre in un atteggiamento di
fondamentale moderazione: lo scopo ultimo di Caakya non leliminazione di
Rkasa, bens la possibilit di costringere il proprio avversario, di cui comunque
riconosce le capacit e la scaltrezza politica, a divenire amico di Candragupta, che
potrebbe cos acquisire un valido e capace collaboratore [20].

Secondo una tradizione riferita da Plutarco [21], Candragupta in giovent aveva visto
Alessandro, e soleva ripetere che questi era stato a un passo dal conquistare tutta
lIndia, perch la popolazione locale, odiando i Nanda, sarebbe stata volentieri dalla
sua parte. La scarsa simpatia degli Indiani per il sovrano pare fosse dovuta, oltre al
carattere brutale del suo dominio, anche al fatto che i Nanda erano di bassa
estrazione sociale: il primo sovrano della dinastia, Mahpadma, che aveva usurpato il
trono Magadha, secondo la tradizione era figlio di una madre di casta dra [22].
Tuttavia anche i Maurya (a quanto apprendiamo sia dal Mudrrkasa sia dalle fonti
occidentali [23]) dovevano essere di estrazione sociale non elevata: ladesione e il
successivo sostegno dato al buddhismo possono essere stati motivati anche dalla
necessit di trovare appoggio contro uneventuale ostilit di parte brahmanica.

Nel suo intento di riunificare lIndia, Candragupta persegu anche il disegno di


strappare ai Macedoni quei lembi di territorio al di l dellIndo che Dario I e
Alessandro si erano annessi: approfittando della confusione e delle lotte interne che
indebolivano i regni dei diadochi, Candragupta venne alle armi con le truppe greche e
sconfisse i generali Eudemo (che nel frattempo aveva rovesciato Taxile) e Pitone,
lasciando ai greci solamente lestremo lembo del Punjab settentrionale, dove regnava
Sofite.

Attorno al 305 Seleuco Nicatore rivendic la propriet dei territori indiani che erano
stati ripresi da Candragupta e oltrepass lIndo con un esercito [24]. Non ritenendosi
in grado di affrontare unavventura militare col re indiano, pens che toccasse alla
diplomazia risolvere la questione: strinse con Candragupta un trattato di alleanza col
quale riceveva, in cambio della definitiva rinuncia ai territori perduti, 500 elefanti di
guerra e stringeva un patto matrimoniale, che si inaugurava con la celebrazione delle
nozze tra la figlia di Seleuco e un figlio di Candragupta [25]. Inoltre si rafforzarono i
legami tra le due corti regali, con lo scambio di numerosi doni [26] e con linvio di
alcuni greci (tra cui Megastene) alla corte dei Maurya, perch studiassero la cultura e
il modo di vivere degli Indiani.

Verso il 250, dopo una serie di eventi abbastanza confusi, la Partia e la Battria si
proclamarono regni indipendenti. Liniziativa della ribellione contro il sovrano
seleucide Antioco II fu di un certo Diodoto (Teodoto secondo Giustino, ma la forma
Diodoto assicurata da Strabone e Trogo), che guid la rivolta della Battriana. Nel
frattempo un parto, Arsace, un uomo di incerta origine descritto come un predone,
ma valoroso e capace, approfittando delle voci che davano Antioco sconfitto in un
lontano paese occidentale, si era proclamato signore dellIrcania. Nel momento in cui
Seleuco II Callinico, il nuovo sovrano succeduto ad Antioco II, intervenne per
riprendere possesso del paese, Arsace aveva stretto alleanza con Diodoto II, figlio di
Diodoto, che nel frattempo era morto, e aveva sconfitto e costretto a ritirarsi Seleuco:
secondo alcune fonti addirittura Seleuco sarebbe stato preso prigioniero, ma lunica
cosa certa che fu costretto a sottoscrivere una pace che riconosceva la sovranit di
Arsace sulla regione. Da quellanno i Parti celebrarono con grande solennit il giorno
della ritrovata indipendenza [27]. Gli avvenimenti comunque sono confusi: Strabone
(XI 9, 2 s.) ne d una versione diversa, la stessa cronologia incerta, e secondo
alcuni studiosi moderni Giustino avrebbe confuso due serie di avvenimenti tra loro
distinte : secondo Narain [28] si deve porre attorno al 248-7 la rivolta della Partia
(the Parthian era started in 248-247 B.C.) e attorno al 238 (ma forse qualche anno
dopo) il tentativo di Seleuco II di restaurare il suo dominio sulla Partia. Lunica cosa
che ci interessa in questa sede lo stabilirsi di un regno greco-battriano per opera di
Diodoto I e poi del suo successore Diodoto II, che per primo assunse il titolo regale.
La monetazione indica chiaramente limportanza e la leadership greca su questa
regione. Attorno al 230 (secondo Polibio, o qualche anno pi tardi, secondo Strabone)
Diodoto II viene rovesciato da Eutidemo I, che consolid il suo regno, aggiungendo
probabilmente nuove province e nuovi territori a quelli gi posseduti dal suo
predecessore. I tentativi di riscossa da parte dei Seleucidi non sono per ancora
terminati: nel 208 a.C., Antioco III, dopo una lunga serie di campagne militari che gli
avevano consentito di ridurre allobbiedenza i territori occidentali del suo regno,
continuamente scossi da fremiti di rivolta e di emancipazione, compie un estremo
tentativo di riconquista del regno battriano, sconfiggendo Eutidemo presso il fiume
Ario (oggi Hari Rud) e costringendolo a ritirarsi nella citt fortificata di Bactra. Dopo
un assedio protrattosi per tre anni, i due contendenti, ormai stremati, decidono di
venire a patti: Antioco conclude una pace onorevole per entrambi i contendenti,
simpegna a riconoscere Eutidemo, stringe unalleanza con lui, e d in matrimonio a
sua figlia il figlio di Eutidemo, Demetrio.

3. Aoka.

Nel periodo che corrisponde a questi avvenimenti limpero Maurya raggiunge il suo
apice con Aoka (304-232) [29]. Questi noto soprattutto per la sua piet religiosa e
per limpegno che profuse nel diffondere il buddhismo, ma fu anche uomo dazione di
grandi capacit politiche e militari. La prima fase del suo regno, precedente la
conversione al buddhismo, contrassegnata da un atteggiamento aggressivo e
brutale sia in politica interna sia in politica estera. Aoka giunse al trono nel 272 (ma
lincoronazione vera e propria avvenne nel 268), favorito da una congiura di palazzo,
quando, al peggiorare delle condizioni di salute del padre Bindusra, alcuni ministri
ostili al legittimo erede al trono Suma si rivolsero al principe (che era al momento
lontano, impegnato a domare la sollevazione della citt greco-battriana di Takaila)
e lo convinsero a rientrare nella capitale per assumere il potere. Aoka si lasci
convincere allimpresa, che condusse in maniera spietata, uccidendo Suma e tutti i
fratellastri. Aoka continu la politica espansionistica dei Maurya, giungendo fino a
dominare quasi tutto il subcontinente indiano (con lesclusione dellestrema parte
meridionale dellIndia), gran parte del Bengala, alcune zone della Persia orientale.
Convertitosi poi al buddhismo, profuse innumerevoli energie alla diffusione della
dottrina buddhista non solo nellIndia, ma anche in paesi lontani, mandando anche
monaci buddhisti nelle terre occidentali col compito di predicarvi il dharma. La
conversione al buddhismo sarebbe stata, secondo la tradizione, conseguenza diretta
delle violenze compiute dal sovrano nel primo periodo di regno. In modo particolare
avrebbe influito sul suo animo lesito sanguinoso di un conflitto interno, a cui Aoka
era stato costretto, otto anni dopo la sua incoronazione, per aver ragione di uno dei
suoi fratellastri che si era rifugiato a Kaliga. Poich le popolazioni locali si erano
rifiutate di consegnargli il principe, Aoka decise di intraprendere una guerra e, dopo
alcuni insuccessi iniziali, dovette scendere in campo con tutto il suo esercito,
provocando un eccidio di dimensioni tragiche. Il giorno dopo la fine della guerra
Aoka, camminando tra le migliaia di cadaveri disseminati nel campo di battaglia,
sent il peso della sua colpa e matur la decisione di convertirsi al buddhismo.

Nella storia del buddhismo indiano Aoka un personaggio di grandissimo rilievo,


attorno al quale sono sorte anche leggende edificanti. La pi nota, tramandata in
quella che la fonte essenziale per seguire le vicende di Aoka, lAokvadna [30],
il cosiddetto racconto del dono di polvere. La nascita di Aoka, secondo questo
racconto, sarebbe stata profetizzata dallo stesso Buddha, quando un bambino, di
nome Jaya, un giorno al suo passaggio, per dimostrare il suo affetto, gli gett nella
ciotola del cibo la polvere con cui stava giocando, accompagnando la sua offerta con
una formula di benedizione e di augurio. Comprendendo la generosit e la
spontaneit del gesto del bambino, il Buddha riconobbe il grande destino che
avrebbe avuto in sorte il bimbo in una delle sue reincarnazioni future e cos
profetizz: Cento anni dopo la mia morte ci sar un imperatore di nome Aoka in
Paaliputra [31]: egli governer uno dei quattro continenti e adorner Jambudvipa
[32] con le mie reliquie costruendo 84.000 santuari per il benessere del popolo, e li
render onorati da di ed uomini. La sua fama si estender ovunque. Il suo dono
meritorio stato proprio questo: Jaya ha gettato un manciata di polvere nella ciotola
del Buddha [33].

Per quanto Aoka non avesse mai inteso rendere il buddhismo religione ufficiale del
suo regno, molte leggi da lui promulgate seguono i principi buddhisti, soprattutto
nellaffermare il rispetto degli anziani, il dovere dellobbedienza ai genitori, il divieto
della caccia e luso di una dieta priva di carni. Di questa legislazione che ha permesso
unampia pratica della piet nel suo regno il sovrano rende conto in una serie di
epigrafi di diversa estensione (alcune particolarmente lunghe, altre molto sintetiche)
che vengono collocate in varie regioni dellIndia. In alcuni di questi editti si ricorda
molto dettagliatamente il fatto che la pratica della piet si diffusa anche tra le
molte popolaioni stanziate entro i confini dellIndia. In un editto in particolare per si
nota con rammarico il fatto che la pratica della religione, buddhista o brahmanica, ha
scarsamente coinvolto i Greci:

Non c paese, ad eccezione dei Greci, dove non esistono queste classi, i brhmaa e
gli asceti. E non c paese in cui non esistano o si sia cessato di avere onore e
adesione a una comunit religiosa (Ed. 13, 9).
Tuttavia lo stesso re fa sapere altrove di avere contribuito a diffondere la dottrina
buddhista anche nei paesi governati dai Greci. Si legge infatti in un altro editto che il
re ha inviato in tutto il regno funzionari della legge religiosa, col compito di verificare
eventuali abusi, e tra le popolazioni coinvolte in questa politica sono esplicitamente
menzionati i Greci (5, 9). In un altro editto Aoka menziona la sua politica sanitaria,
che consistita nel fornire assistenza medica, sia per gli uomini sia per gli animali, in
tutte le parti del suo impero e anche tra i vicini, tra i quali viene ricordato il territorio
di Antioco, re dei Greci, e coloro che abitano nelle vicinanze di questo re Antioco
(2, 1). In un altro editto ancora Aoka mette in rilievo il fatto che la conoscenza della
dottrina buddhista si estesa a grandissima distanza dal suo regno, fino a seimila
yojana dal suo regno, l dove c il re dei Greci di nome Antioco, e ancora pi in l di
Antioco, dove ci sono i re di nome Tolomeo, Antigono, Magas [Magante di Cirene], e
Alessandro (13, 16).

Non solo risultano da vari documenti le iniziative di Aoka volte alla diffusione del
buddhismo in Occidente, ma si deve considerare certo che il buddhismo suscit una
discreta simpatia tra i Greci: sappiamo che nei monasteri buddhisti non mancava la
presenza di greci, e in uno dei documenti che narrano le vicende di Aoka si afferma
che venne inviato nei paesi occidentali col compito di predicare la fede un greco che
aveva assunto il nome di Dhammarakkhita [34]. Che nel mondo greco-ellenistico la
conoscenza del buddhismo si sia mantenuta anche nei secoli successivi provato in
maniera certa sia dal rinvenimento in Egitto di una pietra risalente allepoca dei
Tolomei in cui inciso il dhammacakka [35] sia dagli accenni al buddhismo che si
trovano in autori dellet imperiale, cristiani e pagani, tanto che si ammessa la
presenza di una comunit di buddhisti ad Alessandria dEgitto attorno al II sec. d.C.
Clemente Alessandrino, citando gli influssi delle antiche filosofie straniere sul
pensiero dei Greci, nomina infatti esplicitamente il buddhismo:

(precedettero i Greci...) i gimnosofisti degli Indiani e altri filosofi barbari. Duplice la


loro stirpe, gli uni sono i Sarmani [ramaa-, i monaci buddhisti [36]], gli altri
Brahmani. E quelli dei Sarmani che sono chiamati abitatori della selva n abitano in
citt n hanno case, ma si vestono di cortecce di alberi e si cibano di germogli e
bevono lacqua con le mani, non praticano n matrimonio n generazione di figli,
come quelli che ora si chiamano Temperanti. Ci sono poi alcuni Indiani che
ubbidiscono ai precetti di Butta, che onorano come dio per la grandezza sua
eccellenza [37].

Molti particolari in pi, in un contesto pi o meno simile, ma senza riferimento al


nome del Buddha [38], si ritrovano in Strabone (XV 1, 59 ss.). Entrambi gli autori
evidentemente hanno attinto alla stessa fonte, Megastene [39], esplicitamente
nominato da Strabone. La disponibilit dei Greci ad accogliere gli insegnamenti del
buddhismo non deve sorprendere, se si ricorda che le filosofie del periodo ellenistico
hanno molti tratti in comune col buddhismo, a partire dalla prevalenza delletica sulla
metafisica (che il buddhismo non solamente ignora, ma mette esplicitamente da
parte, in quanto il dibattito sullimmortalit dellanima o problemi analoghi pu
generare attaccamento, e lattaccamento distrae luomo dalla strada della salvezza),
e comune lo stesso fine a cui la dottrina indirizzata: lottenimento della felicit.
Del resto, al di l del comune sentire che poteva esistere tra buddhismo e alcune
scuole filosofiche ellenistiche su determinati problemi etici, il fascino culturale di
quelle terre lontane era percepito da secoli.

Di grande rilevanza in questo contesto pare dunque lesistenza di un editto di Aoka


redatto in greco e rinvenuto nel 1963 a Shar-i-kuna, nei pressi di Kandahar
(nellodierno Afghanistan), lantica Alexandria Arachosia. Liscrizione bilingue, e
accanto al testo greco abbiamo una versione aramaica dello stesso testo. Laramaico
era la lingua ufficiale dellimpero achemenide, e in aramaico sono redatte due altre
iscrizioni di Aoka (purtroppo molto frammentarie), venute alla luce nel 1969 in
unaltra zona dellAfghanistan (la provincia di Laghman, lantica Lampaka).
Liscrizione greco-aramaica, gi conservata nel Museo di Kabul, oggi dispersa.
Accanto a questa iscrizione (vedi Appendice) sono state scoperte, in epoca pi
recente, due altre iscrizioni frammentarie, che sono in realt traduzioni greche
parziali di editti gi noti in India (e indicati col n. 12 e 13 nelle edizioni correnti).

Nelliscrizione greco-aramaica Aoka enumera, sul modello di altre iscrizioni lasciate


in India, i benefici arrecati dai suoi dieci anni di regno e i miglioramenti prodottisi tra i
sudditi nel rispetto delle regole della piet. Non certo che questa iscrizione fosse
collocata in unarea che effettivamente ricadeva sotto la giurisdizione di Aoka, in
quanto difficile determinare in modo esatto il confine occidentale del suo regno: dal
testo delleditto non si desume in modo diretto che Aoka governasse queste terre, e
poich anche in altre epigrafi Aoka si vanta di avere promosso la diffusione del
buddhismo (anche con operazioni umanitarie) al di fuori del suo regno, non
inverisimile la collocazione di unepigrafe in un regno vicino, soprattutto se i rapporti
col re confinante erano buoni, con lo scopo di fare conoscere il miglioramento del
tenore di vita della popolazione ottenuto grazie a un indirizzo politico improntato alla
dottrina buddhista (un messaggio a scopo promozionale, diremmo oggi): possibile
insomma che larea fosse governata in quel periodo da Diodoto I [40]. Escludendo
lipotesi estremista che Aoka e Diodoto fossero la stessa persona [41], resta il fatto
piuttosto inusuale di uniscrizione in lingua greca indirizzata a una terra sulla quale
Aoka non aveva un effettivo potere. Evidentemente questo dimostra da una parte
un singolare interesse per le popolazioni di lingua greca e per la diffusione dei
precetti buddhisti nel mondo ellenistico, dallaltra la probabile presenza di consistenti
comunit di greci convertiti al buddhismo in una zona confinante, ma indipendente
dal suo impero.

4. Tra Aoka e Menandro.

Con la morte di Aoka (232) inizia la decadenza dellimpero Maurya. Lestendersi


della devozione non aveva fatto diminuire le possibilit di congiure e di complotti di
palazzo. Lerede designato di Aoka, il figlio Kunla, fu reso cieco, e quindi
impossibilitato a governare, da una delle vedove di Aoka, la regina Padmapat. Ad
Aoka succedette un altro figlio, Daaratha. Per qualche decennio salgono sul trono
figure meno rilevanti di sovrani, e anche lestensione dellimpero Maurya subisce
considerevoli riduzioni. in questo contesto di progressiva decadenza che sinserisce
il nuovo tentativo del sovrano seleucide Antioco III (223-187) di ripresentarsi con un
esercito ai confini dellIndia. Reduce dal sostanziale insuccesso contro Eutidemo,
Antioco decide di imitare le imprese del suo grande predecessore Alessandro e di
rifarne il cammino. A giudicare dal racconto di Polibio, non si tratt tanto di una
campagna militare, quanto di una manifestazione di interesse (amichevole o no), nei
confronti dellIndia, considerando che la situazione di debolezza dellimpero Maurya
consentiva una vantaggiosa ridefinizione del vecchio trattato di alleanza risalente ai
tempi di Candragupta. Secondo il racconto di Polibio infatti Antioco III lasci lIndia
con un notevole carico di ricchezze e di equipaggiamenti militari (gli elefanti):

Oltrepassato il Caucaso e disceso in India, (Antioco) rinnov lamicizia con


Sofagaseno re degli Indiani, e presi un certo numero di elefanti, cos da fare
ammontare il numero complessivo a centocinquanta, e ancora avendo provveduto di
nuovo sul posto allapprovigionamento delle truppe, ritorn con lesercito e lasci
Androstene di Cizico col compito di scortare i tesori che gli erano stati accordati dal
re. Dopo essere passato attraverso lAracosia e avere guadato il fiume Erimanto,
giunse attraverso la Draghena fino alla Carmania, dove, approssimandosi ormai
linverno, pose i quartieri invernali [42].

Pi che un re, il Sofagaseno di cui parla Polibio (Subhgasena o Subhgsena nelle


fonti indiane) presumibilmente un principe locale a servizio dei Maurya. Secondo
altri potrebbe essere identificato con Vrasena, uno dei figli di Aoka.

Il 185 vede la fine dellimpero Maurya e la scomparsa dellultimo sovrano della


dinastia, Bhadratha, deposto e ucciso nel corso di una rivolta scoppiata durante
unispezione del sovrano alle truppe reali, rivolta capeggiata da Puyamitra uga,
un brahmano a servizio dei Maurya come generale dellesercito (senapati). Il nuovo
governo presentato dalle fonti indiane come profondamente ostile al buddhismo, e
parla di persecuzioni violente che si concretizzano in distruzioni di monasteri
buddhisti con relativa uccisione di monaci, abbattimento di santuari e razzie di
reliquie [43]. Per quanto le fonti, dintonazione buddhista e quindi presumibilmente di
parte, possano avere esagerato nella descrizione dei fatti, innegabile che il
rovesciamento dellimpero Maurya corrisponde comunque a una rinnovato slancio
degli ambienti brahmanici, sempre pi insofferenti della crescente penetrazione del
credo buddhista nelle masse. Che comunque questa fosse la linea a cui voleva
inspirarsi lazione del nuovo sovrano si deduce con certezza anche dai segnali da lui
largamente disseminati di ritomo alle pratiche brahmaniche, ad esempio con la
celebrazione dellavamedha, il sacrificio del cavallo, destinato allottenimento della
fertilit e della gloria reale [44]. Si trattava di una cerimonia di ascendenza
antichissima, che poteva essere celebrata solamente da una figura regale (rj) e
che, per la sua magnificenza e dispendiosit, aveva anche un enorme valore
dimmagine, indubbiamente superiore allo stesso valore cultuale e salvifico, dal
momento che lapparato e lo sfarzo del rito manifestava ai sudditi la larghezza di
mezzi di cui disponeva il sovrano che ne ordinava la celebrazione. Proprio per i suoi
costi e la sua durata, questo rito veniva compiuto una sola volta nel corso della vita
di un sovrano. Anche in politica estera la nuova dinastia sembra volere segnare un
deciso cambiamento di indirizzo rispetto al passato: fin dai primi anni di regno
Puyamitra rivolge le proprie attenzioni contro vari territori che in un modo o
nellaltro erano venuti meno alla sua autorit: tra questi vi anche il regno greco-
battriano, il cui re Demetrio II, che era successo al padre Eutidemo attorno al 200, era
alleato di Bhadratha: questa mossa per fin per risultare tuttaltro che felice.

5. Il regno Indo-greco fino a Menandro.

La molla che spinse Demetrio II ad affrontare manu militari lIndia fu data


probabilmente non solo dallalleanza che lo legava a Bhadratha, ma anche dal
desiderio di difendere da eventuali vessazioni del sovrano uga le minoranze greche
presenti nellIndia nord-occidentale (posto che il buddhismo aveva avuto una
profonda penetrazione fra queste popolazioni, esse potevano trovarsi in un clima
quanto meno di instabilit, di fronte allirrigidirsi della politica filo-brahmanica della
nuova dinastia). Inoltre era lanche loccasione per annettere di nuovo i territori
dellimpero di Alessandro ceduti allIndia fin dai tempi di Candragupta.

Due potenti eserciti invasero lIndia, luno da Nord guidato da Apollodoto, forse
parente di Demetrio, laltro da Ovest guidato da Menandro, uno dei generali di
Demetrio. Non agevole seguire lesatto svolgersi degli avvenimenti, perch le fonti
di parte greco-romana [45] sono confuse e contraddittorie, e quelle di parte indiana
pressoch inesistenti: se si escludono allusioni isolate in opere letterarie, lunico testo
di un certo valore lo Yuga-Pura (Storia delle et), che, risalendo attorno al 250
d.C. [46], comunque lontano centinaia di anni dagli avvenimenti, che peraltro non
vengono riferiti come una narrazione storica, bens prospettati in forma di profezia
[47]. Nonostante il carattere frammentario delle narrazioni, alcuni punti possono
essere fissati con certezza.

a. Lavanzata greca ebbe allinizio pieno successo e si spinse fino a Paaliputra, la


capitale del regno dei uga. Demetrio fa anche fondare una nuova citt a cui viene
dato il nome di Demetriade. Strabone (XV 1, 27) narra genericamente di Greci che,
dopo Alessandro, si spinsero fino al Gange e a Palimbroto (il nome dato dalle fonti
greche a Paaliputra) [48]. Anche le fonti indiane parlano di unavanzata che tocca la
citt di Sketa, di Mathur (nellodierno Uttar Pradesh) e infine di Paaliputra [49].

b. Linvasione si traduce in una vera e propria occupazione del Madhyadea, la


regione centrale dellIndia. Questa occupazione provoca un completo stravolgimento
delle tradizioni e dei costumi indiani, con un sostanziale abbattimento delle
distinzioni castali. Secondo la narrazione dello Yuga Pura, Alla fine dellepoca
(yuga) ci saranno non-ari che osserveranno le pratiche religiose degli ari. I brhmaa,
gli katriya, i vaiya saranno uomini di basso valore come i dra. Certamente essi
vestiranno tutti allo stesso modo e si comporteranno tutti allo stesso modo. Alla fine
dellepoca gli uomini (che praticano lortodossia) saranno mischiati con sette
eretiche. Romperanno poi lamicizia per cause di donne. Non vi dubbio su questo.
(...) I dra diranno bho, e i brahmani proferiranno rya, e gli anziani, i pi timorosi
della morale, sfrutteranno senza paura la gente [50].

c. In grazia di questi avvenimenti, Demetrio ottiene il titolo di invincibile ()


e fa coniare monete in cui appare con una proboscide di elefante, simbolo del suo
dominio sullIndia: alcune monete sono bilingui, con scritte in greco e in pracrito. In
sostanza con Demetrio II comincia a prendere corpo lesistenza di un regno indo-
greco che non si estende solamente sulle estreme propaggini dellIndia nord-
occidentale, ma penetra in profondit nellIndia centro-settentrionale fino
allHimalaya. Nei territori controllati dai re indo-greci si insediano corpose comunit
greche, che divengono in alcuni casi vere e proprie colonie, con un governo stabile e
leggi autonome, e in sostanza con una costituzione che si ispira a quella delle poleis
greche.

d. Dopo otto anni di permanenza in India [51], nel 162 una serie di avvenimenti
obbliga i Greci ad abbandonare Paaliputra. In particolare, Demetrio costretto a
ripiegare e ad abbandonare almeno parte del terreno conquistato [52], in quanto
nella madre patria scoppiata una sollevazione guidata da Eucratide, un generale
ribelle, imparentato forse col sovrano seleucide Antioco IV. Messo sotto assedio da
Demetrio e indebolito dalla necessit di coprire il fianco sinistro dalle possibili
sollevazioni di trib confinanti e ribelli, Eucratide alla fine riesce comunque ad avere
ragione di Demetrio, assume il potere e lo sostituisce anche come re dellIndia [53].
Leffettiva ascesa di Eucratide al potere in India confermata dalla presenza di una
monetazione in cui il nome di Eucratide accompagnato dallepiteto .
Per contro, le armate di Menandro, che operano in unaltra zona dellIndia
(presumibilmente nellarea del Punjab), restano sulle loro posizioni [54].

6. Menandro

Al termine di questa travagliata serie di vicende, non sempre facilmente decifrabili,


emerge la figura di Menandro, il pi importante tra i re del regno indo-greco.

Dopo alcuni anni di avanzate vittoriose, le imprese di Eucratide vengono


bruscamente interrotte dalla sua morte: Eucratide viene ucciso dal figlio, che aveva
associato al regno [55]. Suoi successori sul regno di Battriana furono il figlio Eucratide
II e poi Eliocle, forse ultimo sovrano greco della regione.

Allavanzata di Eucratide si oppose Menandro, che aveva comandato le armate di


Demetrio al momento dellinvasione dellIndia. Procedendo verso Occidente
Menandro costrinse Eucratide a ripiegare e conquist e consolid un vasto regno, che
comprendeva le parti orientali (indiane) di quello che era stato il regno di Demetrio,
configurandosi cos per la prima volta come un vero e proprio regno indo-greco. Il suo
dominio si stendeva su un ampio territorio dellIndia nord-occidentale e aveva
probabilmente come capitale Sagala [56].

Il regno indo-greco di Menandro non pi lappendice orientale di un regno


ellenistico, ma una realt completamente nuova. Il sincretismo tra cultura greca e
cultura indiana giunge a livelli inattesi, come si riconosce gi dal convivere
dellimmagine di Atena Alc idemo (protettrice del popolo), raffigurata sulle monete
di Menandro (con scritte bilingui greco-pracrite), e della dottrina buddhista, alla quale
Menandro si sarebbe convertito. Va premesso innanzitutto che non abbiamo prove
concrete di questa conversione di Menandro [57]: probabile che il sovrano greco
abbia guardato con tolleranza o addirittura con simpatia il buddhismo, ma soprattutto
probabile che si fosse contrapposto alla politica filobrahmanica e antibuddhista
dellimpero uga, cos da permettere il diffondersi di voci e di tradizioni che parlano
apertamente di una sua conversione al buddhismo.

Nella tradizione buddhista Menandro nominato pi volte e sempre con molto


rispetto. Alla vicenda della sua conversione dedicata una delle pi interessanti ed
estese opere della letteratura buddhista in pli, il Milindapaha (Le domande di
Menandro) [58], la cui redazione non deve essere di molto posteriore alla morte di
Menandro. Raffigurazioni di Menandro sembra che ricorrano in santuari contenenti
reliquie buddhiste (stpa), e il suo nome si legge in uniscrizione dedicatoria scoperta
in una teca di reliquie buddhiste nel Bajaur (Pakistan), ove si accenna a un
avvenimento svoltosi in un determinato anno del regno mahrjasa minadrasa del
gran re Minadras (Menandro).

Dopo la sua morte, avvenuta, a quanto sembra dalle fonti greche, durante una
campagna militare, diversi capi si disputarono le sue ceneri, che alla fine furono
suddivise e portate in varie localit, dove furono conservate in reliquiari (stpa) e
divennero oggetto di devozione: questo episodio, narrato di passaggio anche da
Plutarco [59], ricorda lanaloga spartizione delle ceneri del Buddha, con conseguente
fondazione di stpa in diverse citt dellIndia. curioso comunque che Plutarco parli
di questo sovrano come di un tal Menandro ( ) e gli attribuisca il
governo della Battriana, quando in realt il suo regno era pi ad oriente di questa
regione: evidentemente in occidente non giungeva che una pallida eco degli
avvenimenti e dei personaggi di quei paesi lontani. Secondo il Milindapaha
Menandro sarebbe divenuto un arhat, cio un discepolo che ha raggiunto la completa
perfezione e meritato il nirva. Quel che certo che, come affermato anche da
altre fonti buddhiste oltre che dallo stesso Milindapaha, durante il regno di
Menandro si assiste a una notevole ripresa del proselitismo buddhista condotto anche
da greci. Secondo una fonte singalese, durante il regno di Menandro il monaco Yona
(Greco) [60] Mahadhammarakkhita sarebbe giunto da Alessandria del Caucaso
insieme a trentamila monaci per la cerimonia di fondazione di un santuario buddhista
[61]. Per quanto la cifra possa apparire esagerata o convenzionale, tutte queste
allusioni dnno una chiara immagine da una parte del diffondersi della dottrina
buddhista tra le minoranze greche dellIndia, dallaltra del mescolarsi sempre pi
profondo delle due tradizioni culturali.

Il Milindapaha, che considerato da alcune scuole buddhiste come una delle opere
pi autorevoli e importanti, secondo per valore solamente ai piaka [62], sembra uno
dei prodotti pi caratteristici di questa interazione tra le due culture. Si tratta di un
dialogo tra il re Menandro e un dotto e venerabile monaco buddhista, Ngasena,
reincarnazione di un altro pio e famoso monaco, Mahsena, che, ormai giunto al
termine del suo cammino di purificazione, gi si trovava nel cielo dei deva e riceve
dal capo dei deva Sakka lordine esplicito di ritornare sulla terra, perch lui soltanto
avrebbe potuto essere adatto a un compito cos impegnativo, adeguato maestro di
uno scolaro tanto illustre e tanto desideroso di apprendere: Menandro desidera
conoscere in modo pi approfondito la dottrina buddhista, e il monaco risponde in
modo circostanziato alle sue domande. Il re appare instancabile e desideroso
continuamente di approfondire, e ogni nuova domanda loccasione per chiarire e
precisare il contenuto della precedente risposta. Il contenuto dellopera
completamente pervaso dallo spirito dellIndia, ma la forma dialogica ha indotto
qualche studioso a richiamare Platone [63].

Nella sua redazione attuale il Milindapaha consta di sette libri, ma vari indizi
inducono a credere che solamente i primi tre [64] siano da considerare antichi: i libri
4-7 sembrano unaggiunta posteriore. Infatti, oltre al fatto che i libri 4-7 appaiono da
una punto di vista stilistico pi scadenti, stato notato anche che, mentre i primi libri
dibattono questioni di primaria importanza per chi vuole avvicinarsi alla dottrina,
buddhista, gli ultimi libri hanno un contenuto apologetico. significativo che le due
antiche versioni in cinese (peraltro di diversa estensione e con alcune differenze
rispetto alloriginale indiano) conoscano solamente i primi tre libri. Circa la data di
composizione, un sicuro termine ante quem il IV sec. d.C., quando il Milindapaha
citato in autorevoli testi e commenti buddhisti. Ma probabile che lopera sia stata
redatta in unepoca non molto posteriore alla morte di Menandro.

Lipotesi di un influsso dei dialoghi platonici sullopera fu avanzata gi da studiosi del


XIX secolo e poi sostanzialmente abbandonata. Ma il fatto che sia stata riproposta, a
distanza di anni, lipotesi, ancora meno verosimile, che alla base del Milindapaha
stia unopera come la Lettera dello Pseudo-Aristea a Filocrate [65] mostra che
difficile, nella lettura del Milindapaha, liberarsi dalla sensazione che sullo sfondo
dellopera vi sia stato comunque un modello greco. Si anche pensato che il
Milindapaha rifletta una specie di verbale, redatto in greco, di un dialogo
effettivamente avvenuto tra Menandro e un esponente buddhista [66], verbale
successivamente rielaborato in forma letteraria nellIndia meridionale [67] Tuttavia
non solamente lapparato dottrinale pienamente buddhista e gli aspetti correlati, ma
anche il modo dellesposizione e delle descrizioni hanno poco di greco e molto di
indiano: il Milindapaha unopera nata in India che si colloca a pieno titolo nella
tradizione letteraria indiana, e tra le fonti del testo vanno sicuramente annoverati i
dialoghi delle Upaniad (con la differenza che in questi spesso il re che esce a testa
alta dal confronto col brahmano, mentre qui, pur risultando alla fine una prevalenza
di Ngasena, entrambi gli antagonisti riconoscono in modo cavalleresco il valore
dellavversario) e in generale i testi della letteratura buddhista (si vedano gli estratti
che riportiamo nellAppendice II [68]).

7. Decadenza del regno indo-greco.

Dopo la morte di Menandro, avvenuta attorno al 130, le vicende del regno indo-greco
sono avvolte da una nebbia che non consente di discernere in modo netto personaggi
e avvenimenti. Pressoch assenti le fonti di parte greca o greco-romana (del tutto
indifferenti alle vicende di questarea remota dove pure si svolge un episodio
importante della cultura greco-ellenistica), inesistenti, come di consueto, le fonti
storiche indiane, i dati principali ci vengono o da scarni accenni delle cronache cinesi
[69] o da documenti di prima mano, ma sporadici e difficili da utilizzare, in assenza di
narrazioni dirette degli avvenimenti, come le iscrizioni e le monete. Possiamo
riassumere molto sinteticamente i dati di fatto sicuri nei seguenti punti:

a. Dopo Menandro inizia la decadenza del regno indo-greco, la cui estensione si


riduce progressivamente, sotto la pressione di popolazioni esterne quali gli Sciti e gli
Yue-zhi (provenienti dallAsia centrale, da dove erano stati cacciati dagli Unni).

b. Attorno al 125 gli Sciti prima e gli Yue-zhi poi penetrarono in Battriana e uccisero il
re Eliocle, ponendo virtualmente fine al regno greco-battriano, anche se, a quanto
sembra, un ultimo brandello di territorio nella parte meridionale rimase ancora per
qualche tempo sotto il dominio di un re Eucratide II, del quale si hanno alcune
monete con la scritta . Per contro il regno indo-greco, sia pure con
unestensione pi ridotta, frammentato tra pi sovrani e con alterne vicende di
perdite e riconquiste di territori (ad esempio, attorno al 70 a.C. con Apollodoto II la
perdita dei territori occidentali del regno sarebbe stata compensata da una
espansione in Oriente, con la conquista del Punjab orientale), resistette per pi di un
secolo, fin dopo linizio dellera cristiana. Nel frattempo Sciti e Yue-zhi allargavano i
loro domini verso Sud, fino a costituire due regni sulle coste occidentali dellIndia, e
da qui, nel corso di alcuni secoli, partono poi alla conquista dellIndia settentrionale.

c. Conosciamo i nomi di diversi sovrani (una ventina), ma anche semplicemente


sistemarli in ordine cronologico e indicare in quali territori esattamente si estendeva
il loro dominio opera controversa. Quanto viene affermato alla fine del
Milindapaha (in un libro la cui autenticit comunque sospetta) che Menandro alla
fine della sua vita, seguendo una prassi diffusa tra gli Indiani, si sarebbe ritirato in
una selva penitenziale per divenire un arhat, lasciando il regno al figlio, assai poco
probabile. Lipotesi, comunemente accolta fino a poco tempo fa, che alla morte di
Menandro il regno si sarebbe suddiviso tra la vedova Agatocleia (che avrebbe fatto
da reggente per il figlio Stratone) e Zoilo I, oggi messa in discussione, e la
cronologia di Agatocleia viene spostava a unepoca pi avanzata. Dei re che
governarono nel periodo successivo alcuni dovevano appartenere alla discendenza di
Menandro, altri presumibilmente alla discendenza di Eutidemo.

d. Zoilo I potrebbe essere stato promotore di unalleanza con gli Yue-zhi: lo


proverebbe la presenza sulle sue monete di una clava di Eracle insieme con un arco
ricurvo, simile a quelli usati nelle steppe dellAsia centrale.

e. Le monete con raffigurazioni ispirate alla cultura e alla religione greca presentano
tipi diversi. Seguendo la classificazione di Narain [70] avremmo cinque tipi
fondamentali:

Un tipo fondamentale di monete che presenta la raffigurazione di Zeus;

Monete che presentano la raffigurazione di Pallade e Apollo; in particolare, le


monete che rappresentano Atena Alkidemos sembrano collegate con sovrani
appartenenti alla famiglia di Menandro.

Monete che presentano il re su un cavallo rampante;


Monete che presentano la raffigurazione di Eracle;

Monete che presentano la raffigurazione di Artemide.

Vi sono anche monete che non rientrano nei tipi descritti: p.es. Diomede, che fu re
della Paropomaside attorno al 95-90 a.C., predilige la raffigurazione dei Dioscuri.

Accanto alle tradizionali monete rotonde di tipo greco, sono coniate anche monete
quadrate. La maggior parte delle monete presentano scritte bilingui (greco e
pracrito). Nel complesso, sembra che nel prosieguo del regno indo-greco si assista a
una progressiva indianizzazione delle monete [71].

Sulla base di questi elementi [72] gli studiosi hanno tentato di disegnare un quadro
storico, che per tutto da verificare e presenta lacune e incertezze.

f. La fine dellavventura greco-ellenistica in India si pu collocare attorno al 10 d.C.,


quando lultimo sovrano, Stratone II Sotere, che probabilmente governava insieme
col nipote Stratone III Filopatore, fu deposto, e il suo regno conquistato da Rajuvula, il
re degli Indo-Sciti.

g. Continuarono anche dopo Menandro interscambi frequenti e fruttuosi tra i sovrani


del regno indo-greco e le altre regioni dellIndia.

Con la fine del regno indo-greco non cessa n la presenza di minoranze greche in
India n la circolazione di elementi di cultura greco-ellenistica in quella lontana
regione. Le citt popolate da Greci, che si amministravano con un ordinamento simile
a quello delle poleis, preservarono almeno per qualche tempo la loro autonomia, e si
continu a parlare in greco almeno per un breve periodo [73]. Il Periplo del mar
Rosso, unopera di interesse geografico databile attorno al I sec. d.C., che

descrive luoghi che si trovano nella rotta dal mar Rosso al golfo Persico e allOceano
indiano, afferma che ai suoi tempi ancora circolavano a Barigaza [74] dracme greche,
ricordo della campagna indiana di Alessandro e poi dei re che dopo di lui avevano
regnato in India, Apollodoto e Menandro [75]. Anche le monete dei regni indiani o
indo-parti che si collocarono sui territori dello scomparso regno indo-greco
continuarono ancora per qualche tempo ad avere sulle monete scritte in greco (non
di rado con errori di grammatica) o almeno dei monogrammi greci [76].

Nel periodo successivo i rapporti tra India e mondo occidentale sicuramente si


diradarono, ma non cessarono del tutto. Accenni, pi o meno velati, a personaggi
greci continuano a trovarsi nelle opere della letteratura indiana [77]. Continuarono, e
in alcune epoche prosperarono, i commerci, prevalentemente via mare, e sappiamo
che delegazioni e ambascerie di Indiani giunsero a Roma allepoca di Augusto e poi di
Antonino Pio. Laccenno allordine di battaglia di Cesare in unopera buddhista [78]
e i copiosi ritrovamenti di monete romane in India (insieme col prestito del termine
dnra moneta soprattutto doro da lat. dnrius, importato in India attorno allet di
Augusto) mostrano che il filo che legava lIndia al mondo classico divenne forse pi
tenue, ma non si spezz del tutto.
A questepoca risalgono iscrizioni con dediche buddhiste scritte da Greci in India: ad
es. un certo Teodoro, che ricopriva la carica di meridarca (cio governatore di una
provincia), scrive la seguente dedica su un vaso contenente reliquie del Buddha e
rinvenuto in un santuario buddhista nella regione di Swt [79]:

Dal meridarca Teodoro stata stabilita questa reliquia del beato akyamuni per il
benessere del popolo [80].

La migliore testimonianza di questi reciproci rapporti data per dal cosiddetto


Pilastro di Eliodoro. Nella citt di Besnagar o Vidia conservato un pilastro con una
scritta in pracrito da cui si desume che esso fu eretto da un greco, di nome Eliodoro
figlio di Dione, che era stato inviato alla corte del re uga Bhgabhadra per conto
del re indo-greco Antalcida (110-100 a.C. circa) [81]. La cosa pi interessante che il
pilastro, che, a quanto risulta dalliscrizione, doveva essere sormontato da un Garua
[82], in onore di Vsudeva (Viu) e che Eliodoro definisce s stesso come un
Bhgavata, vale a dire come appartenente a un movimento religioso di intonazione
viuita che pone come principio essenziale della vita religiosa la bhakti, cio la
devozione personale a una divinit. Il movimento si andava sviluppando proprio
allora (anche se gli aderenti amavano retrodatare di circa tre secoli lorigine della
dottrina) ed ebbe influssi anche sul buddhismo, in parallelo con la tendenza sempre
pi vigorosa nel buddhismo dellepoca a fare del Buddha una vera e propria divinit.
Ci dimostra che, per quanto le fonti parlino prevalentemente di greci sensibili al
fascino del buddhismo, non mancarono comunque adesioni anche alla linea religiosa
brahmanico-induista [83].

Con lavvento del Cristianesimo possibile che sia iniziata una nuova epoca di
rapporti tra il mondo occidentale e lIndia. Una diffusa tradizione parla
dellevangelizzazione dellIndia da parte dellapostolo Tommaso: in realt n le fonti
neotestamentarie n le fonti storiche immediatamente successive dnno indicazioni
che possano in qualche modo confermare questa notizia. Secondo Eusebio (Hist.
eccles. III 1, 1) Tommaso predic il Vangelo in Siria e in Persia, ma non vi sono notizie
circa una sua predicazione in zone pi orientali. per probabile che fossero sorte
comunit cristiane in India, grazie allattivit evangelizzatrice dei cristiani presenti in
medio Oriente e nellarea dellimpero persiano, come mostrerebbero alcune antiche
iscrizioni in pahlavi ritrovate in India [84]. La predicazione di Tommaso in India
narrata da un libro apocrifo, pervenutoci in una redazione greca e in una siriaca, gli
Acta Thomae, un testo di origine gnostica: bench lammassarsi di elementi
fantastici, come in tutti gli apocrifi, rendano ogni parola del libro sospetta e
inutilizzabile per la ricostruzione storica, la narrazione propone una buona
conoscenza di luoghi e di personaggu, cos da rendere proponibile lipotesi che nei
primi secoli dellera cristiana vi fosse una presenza, pi o meno estesa, di comunit
cristiane nellIndia settentrionale. A questa origine difficilmente pu essere riportata
la cosiddetta Chiesa di Malabar [85] (nonostante il titolo di Figli di San Tommaso
con cui gli amano chiamarsi i cristiani nella zona che va dallIraq allIndia), perch di
fatto la sua origine non sembra anteriore al VI secolo.

Gli Acta Thomae sono, nella redazione greca, una narrazione di non grande
estensione (171 capitoli): la sua redazione pu essere collocata, secondo gli studiosi,
in Siria attorno al 220 d.C.: alcuni (Harnack) fanno anche il nome preciso di
Bardesane come autore del testo. Il libro comincia con la narrazione dellestrazione a
sorte con cui gli Apostoli si erano suddivisi le zone del mondo in cui portare la
predicazione del Vangelo. A Tommaso era toccata lIndia, ma lapostolo dichiara la
sua inferiorit rispetto a un simile compito e rinuncia ad andare, nonostante che la
notte seguente gli fosse apparso in sogno Ges stesso che lo invitava ad andare in
India. Nel frattempo per si trovava in Gerusalemme un certo Abbane, inviato del re
Gundaforo (in realt Gondophares o forse Gundophernes [86], il primo re della
dinastia indo-partica che regn su un vasto territorio dellIndia settentrionale,
dallHimalaya fino al Balucistan e al Sindh, in un periodo circa dal 21 al 47 d.C.), che
era stato inviato per procurare un falegname. Mentre si trovava nella piazza della
citt allora del mezzogiorno il Signore si avvicin a lui e, indicandogli Tommaso che si
trovava poco discosto, stabil con lui un contratto che poneva Tommaso al suo
servizio [87]. I due partono alla volta dellIndia e giungono ad Andrapoli, dove stanno
svolgendosi le nozze della figlia del re: ma in conseguenza di una serie di
avvenimenti Tommaso alla fine esorta la figlia del re a rimanere vergine. In sguito
Tommaso giunge da Gundaphoros e attende alla costruzione del palazzo regale, ma
usa il denaro datogli dal re per aiutare i poveri. Il re lo fa imprigionare, ma Tommaso
fugge miracolosamente, e gli avvenimenti che si susseguono sono talmente
prodigiosi, che il re decide di convertirsi al Cristianesimo. Nella parte successiva del
testo Tommaso si reca nella citt del re Misdai e ne converte la moglie Terza, poi il
racconto prosegue con un dispiegamento di fatti soprannaturali e di creature
romanzesche (draghi e asini selvatici), fino alla conclusione in cui lapostolo subisce il
martirio.

II. Rapporti culturali

1. Le arti figurative.

Nelle arti figurative gli influssi culturali sono numerosi e agiscono in entrambe le
direzioni: vi sono monete greche in cui compaiono in modo sempre pi palese influssi
indiani (generalmente buddhisti) e vi sono opere darte indiane in cui compaiono
influssi greci o addirittura sono raffigurate divinit o personaggi mitici della Grecia. Si
tratta di fatti ben noti, sui quali lindagine degli studiosi occidentali si esercitata in
profondit fin dalla fine del XIX secolo e sui quali esiste una bibliografia abbondante.
Non entreremo dunque nel merito del discorso, accontentandoci di qualche scarna
indicazione.

a. Influssi buddhisti nelle monete dei re indo-greci. Si accennato prima alla


raffigurazione di divinit del pantheon greco nelle monete dei re indo-greci. Non
mancano per monete con motivi pi o meno direttamente tratti dalla tradizione
indiaba. Agatocle, uno dei successori di Demetrio, fa coniare monete di forma
quadrata in cui appaiono su uno dei lati il leone (simbolo buddhista) e sullaltro la dea
indiana Lakm. Il cakravarta o ruota della legge compare in monete dellet di
Menandro. E sempre a partire da Menandro appare anche sulle monete la
denominazione del sovrano come dharmika seguace del dharma, intesa come
equivalente della titolatura greca : infatti in una moneta di Menandro la scritta
in pracrito Mahrjasa dhramikasa Menadrasa la versione indiana della scritta
greca che compare sullaltra faccia .

b. Influssi greci. Le prime statue del Buddha non sono anteriori al II-I sec. a.C. (in
precedenza larte buddhista si limitava a rappresentazioni simboliche e non
antropomorfe), e vari indizi fanno pensare alla presenza di influs si della statuaria
greco-ellenistica. Una tradizione buddhistica cinese afferma che la prima statua del
Buddha venne creata nel 43 a.C. a Paaliputra per iniziativa di Ngasena: si tratta del
famoso Buddha di smeraldo oggi conservato a Bangkok [88]. Poich Ngasena
presentato come il maestro che convert Menandro al buddhismo nel Milindapaha,
abbastanza facile concludere che nellambito del regno indo-greco si dovette
sviluppare una tendenza artistica che spinse a rappresentare il Buddha secondo gli
stilemi propri della cultura ellenistica. Secondo V. Pisani, che aveva proposto di
vedere in rappresentazioni indiane di Apsaras (le ninfe celesti della religione
brahmanica), un adattamento o una continuazione del Ganimede di Leocare, la
regione indiana del Gandhra offre lo spettacolo di una scultura ellenistica soltanto
lievemente indianizzata [89]. Come conferma Tarn [90], il Gandhra a kind of
new Hellas [91].

2. Scienze.

Il peso dellinflusso greco nellambito scientifico (e in modo particolare


nellastronomia) rilevante e riconosciuto dalla stessa tradizione indiana. Bench
non mancassero, fin dai testi vedici pi antichi, prove dellinteresse degli Indiani per
losservazione e la descrizione dei fenomeni celesti, il primo trattato sistematico
sullargomento unopera la cui ascendenza greca rivelata gi dal titolo di
Yavanajtaka (I detti dei Greci); si tratta della ripresa di unopera greca scritta in
Egitto attorno alla fine del II sec. a.C. e tradotta attorno al 150 d.C. da un personaggio
dal nome trasparente di Yavanevara (signore dei Greci). Successivamente il
materiale fu rielaborato e ridotto in versi. Altre opere di astronomia e astrologia
riconducibili a modelli greci sono la Paulisa Siddhnta (Dottrina di Paolo), traduzione
in sanscrito dellopera astronomica di Paolo di Alessandria (IV sec. d.C.) e la Romka
Siddhnta (Dottrina dei Romani) unopera di astronomia basata su trattati
occidentali (Romani). Queste opere ebbero un influsso importante sullo sviluppo di
un pensiero scientifico locale che a sua volta diede poi luogo, attraverso la
mediazione araba, a influenze anche importanti sulla scienza occidentale. Non si
dimentichi che siamo debitori alla scienza indiana delle cifre che usiamo oggi
abitualmente, perch quelle che chiamiamo cifre arabe in realt furono inventate
dagli Indiani, e da qui passate nel mondo occidentale attraverso la mediazione araba.

Secondo la prassi corrente di mitizzare lorigine dei fatti umani, si disse che la scienza
astronomica fu rivelata dal Sole stesso agli Yavana (...), quando questo dio, esule del
cielo, sera rifugiato in Romakaputra la citt dei Romani [92]. Come si vede, anche
la mitizzazione della vicenda non esclude comunque una priorit dei Greci
nellinvenzione di questa scienza.

3. Letteratura

Se il debito dellIndia nei confronti del mondo occidentale facile da definire quando
si parla dellarte e delle osservazioni scientifiche, assai pi problematico da precisare
linflusso che le lettere greche possono avere avuto sullo sviluppo della letteratura
indiana.

E stato notato [93] che alcuni termini indicanti il materiale scrittorio sono prestiti
greci (mala inchiostro < gr. , kalama penna < gr. canna), il che
starebbe a indicare un prestigio della lingua greca (e quindi della cultura greca) in
questo particolare settore del lessico.

Ma, pi che questi aspetti, importanti, ma pur sempre esterni rispetto alle vicende
dello sviluppo culturale di una nazione, degno di considerazione il momento storico
in cui i rapporti tra Grecia e India si fecero pi stretti e sistematici. Attorno al IV
secolo la cultura indiana si sta preparando a un cambiamento significativo, col
passaggio dalla fase vedica alla fase classica. un passaggio che non coinvolge
solamente la lingua, ma va alle radici stesse della letteratura indiana. Non esiste una
discontinuit assoluta tra questi due momenti: in India tutto pu cambiare, ma non si
hanno mai (o quasi mai) momenti di rottura brusca tra due fasi: nella religione si
arriva dal Veda al brahmanesimo e poi allinduismo senza che vi siano stati mai n
stacchi traumatici n una sconfessione aperta della fase precedente. Come da un
punto di vista linguistico il sanscrito non la continuazione diretta del vedico, ma non
potrebbe esistere senza il vedico, cos la letteratura sanscrita classica qualcosa di
profondamente diverso dalla letteratura vedica per la sua variet e per la sua
ricchezza, ma non potrebbe neppure concepirsi senza questultima. La differenza
fondamentale tra i due momenti costituita principalmente dal fatto che la
tradizione letteraria vedica presenta esclusivamente testi di interesse religioso: o i
testi sacri nel senso stretto del termine (i Veda, che costituiscono la ruti o
rivelazione [94]) o testi che servono comunque di accompagnamento a questi: opere
che hanno finalit didattiche o pratiche, o riflessioni teologiche o filosofico-teologiche
che simpegnano nellapprofondimento di contenuti e dottrine dei testi vedici,
immancabilmente considerati base imprescindibile della vita brahmanica. La
letteratura dellIndia classica invece una letteratura esuberante e dai mille aspetti,
nella quale fiorisce ogni genere letterario con una grandissima quantit di testi
profani. La crisi e lesaurimento della letteratura post-vedica coincide, nel VI sec. a.C.,
col rapido diffondersi tra le masse delle due religioni eterodosse (buddhismo e
jainismo). Parallelamente al propagarsi delle nuove fedi si assiste alliniziarsi di una
nuova tradizione letteraria, che di preferenza fa uso delle lingue pracrite, sia pure in
una forma colta e adattata alluso letterario: il pli la lingua fondamentale del
canone buddhista, lardhamgadh (o una lingua ibrida e artificiale a cui dato il
nome di ara la lingua dei veggenti [i]) la lingua del canone jainista. La scelta di
valorizzare non pi la lingua della tradizione post-vedica, bens la lingua (o le lingue)
delluso corrente dovuta anche alla volont di permettere una pi vasta diffusione
nelle masse dei testi delle nuove dottrine: una scelta che ha pi di unanalogia con
quanto avvenne nel Cristianesimo primitivo, che non si avvalse (almeno allinizio) del
latino ciceroniano, ma utilizz una lingua pi vicina a quella delluso corrente, con
lintroduzione di fatti volgari (soprattutto nel lessico), in misura proporzionale non
solo alla cultura di chi scriveva (le prime versioni della Bibbia, opere spesso
pioneristiche di persone che avevano una conoscenza appena superficiale del latino,
contengono un numero impressionante di volgarismi a ogni livello della lingua,
fonetica, morfologia e sintassi), ma anche alle precise scelte stilistiche dello scrivente
(un personaggio di cultura immensa come Agostino utilizza nei suoi Sermones forme
del latino volgare, per rendere pi diretta e naturale la sua comunicazione col popolo
cristiano).

Tra il IV e il II sec. a.C. il sanscrito tende a riaffermarsi come lingua della cultura e
della letteratura. Questa ripresa del sanscrito (Sanskrit-Renaissance la chiamarono
gli studiosi tedeschi del XIX secolo) contemporanea al rinvigorirsi della linea
tradizionale vedico-brahmanica. Il recupero e il rinnovato slancio di questa anche
dovuto allevidente impossibilit del buddhismo di adattarsi ad alcuni dei fondamenti
indiscussi dellorganizzazione sociale dellIndia: c uninsanabile discrasia tra
buddhismo e organizzazione castale della societ, e poich questultima permea in
modo profondo la coscienza stessa dellIndia, alla fine limpossibilit di addivenire a
una sintesi tra buddhismo e caste finisce per frenare la diffusione del buddhismo
nella societ stessa. La contemporaneit tra ripresa del sanscrito e ripresa del
brahmanesimo dunque non casuale. Labbattimento dellimpero Maurya e la sua
sostituzione con una dinastia che favorisce la religione brahmanica indizio di questo
diverso orientamento che la societ indiana sta assumendo.

La nascita di una letteratura profana in sanscrito forse preceduta da una breve


fioritura di una letteratura profana in lingue volgari, rappresentata soprattutto dalla
poesia lirica, e favorita dal fatto che buddhismo e jainismo avevano permesso la
circolazione dei pracriti: Hla attorno al II sec. d.C. raccoglie unantologia di brevi
componimenti lirici (in tutto settecento), sintesi della produzione accumulatasi nei
secoli precedenti. Esauritasi questa breve esperienza, il sanscrito ridiventa la lingua
comune della cultura dellIndia, una lingua che non destinata solamente alla poesia
e alla prosa artistica, perch, presentandosi come il raggiungimento della perfezione
[95], diventa anche simbolo di unit culturale e di prestigio sociale nel medesimo
tempo (non per nulla nel dramma il sanscrito la lingua degli uomini delle caste
superiori e delle divinit maschili, mentre in pracrito parlano gli uomini delle caste
inferiori e gli esseri di sesso femminile, donne e dee): una lingua standardizzata con
un rigore crescente, che mostra ricchezze di forma, duttilit nella sintassi e
potenzialit espressive pressoch inesauribili, e che trae il suo prestigio anche dal
fatto di essere la lingua della tradizione religiosa.
La normalizzazione del sanscrito opera di una tradizione grammaticale che ha il suo
massimo rappresentante in Pini, il quale riassume i precetti fondamentali della
lingua in una poderosa opera di otto libri (Adhyy Il testo delle otto lezioni)
scritta in uno stile che nella sua brevit e formalizzazione rasenta lesoterico. Pini
vive attorno al IV secolo a.C., e il suo insegnamento ripreso e reso definitivo dai
grammatici delle generazioni successive. A questepoca i Greci hanno fatto la loro
comparsa ben oltre i confini dellIndia, e Pini ne conosce la scrittura, e forse
addirittura la usa [96]. Quanto possa aver influito sulla nascita di una fiorente
letteratura profana e sullaffermarsi di una lingua nazionale il loro modello,
domanda destinata a non avere risposta, o quanto meno a non avere una risposta
certa ed univoca. Certo molti parallelismi dovrebbero far pensare (e cio sembra
francamente semplicistica la risposta sbrigativamente negativa di quanti vedono
nello svolgimento della letteratura e del pensiero indiano il risultato di unevoluzione
avvenuta tutta allinterno, senza influssi stranieri). Anche nellEllenismo si era
imposta una lingua nazionale, comune a tutto il vasto territorio che Alessandro aveva
acquisito alla Grecit, anche nellEllenismo questa lingua nazionale aveva
soppiantato nel giro di pochi secoli una serie di parlate locali fortemente differenziate
fra loro e aveva assunto un carattere di fissit pressoch assoluta, nel quale vengono
dissimulati gli inevitabili cambiamenti che si producono nella variet parlata; anche
nellEllenismo si hanno interessi grammaticali e filologici che spingono a uno studio in
profondit delle strutture grammaticali. Certo lEllenismo poteva mostrare alla
letteratura dellIndia, la cui creativit era rimasta fin allora ristretta, come detto,
allambito di testi didascalici al servizio della tradizione sacra, una tradizione
letteraria in cui una molteplicit di generi letterari si accordava con una variet
pressoch sconfinata di toni e di argomenti.

Il primo grande poema epico della tradizione indiana il Rmyaa Il viaggio di


Rma, un lungo poema che nella sua redazione attuale consta di sette libri per un
totale di 24.000 loka (strofe) (ma linserzione di materiale non autentico, e in
particolare laggiunta dei libri iniziale e finale, pu essere data per certa). Il poema
opera del poeta-veggente (i) Vlmki, e la data della sua composizione potrebbe
essere, con oscillazioni e incertezze, quella del IV sec. a.C. Per quanto il poema sia
completamente immerso nel quadro della tradizione culturale indiana e contenga
elementi impensabili nella tradizione omerica (p.es la costante e insistita presenza di
animali antropomorfi, in rapporti ora di collaborazione ora di ostilit nei confronti dei
protagonisti umani dellopera), ci si chiesti se la spinta alla composizione del poema
non sia giunta dalla conoscenza della tradizione epica greca: se certe scelte
stilistiche (per esempio i lunghi colloqui tra personaggi) sono aspetti comuni che
potrebbero anche non essere legati a una conoscenza diretta del testo omerico, in
quanto elementi innati e caratteristici di tutte le tradizioni epiche, assai pi
interessante il ricorrere in Vlmki di aggettivi ricorrenti stabilmente legati a
determinati sostantivi e spesso collocati in posizioni fisse del verso. La notizia, fornita
da Dione Crisostomo, che i poemi omerici avessero avuto circolazione in India,
cosicch gli abitanti di quelle lontane regioni non potevano vedere lOrsa maggiore,
ma potevano conoscere le vicende di Priamo e di Andromaca, potr essere esagerata
in alcuni particolarei, ma difficilmente pu essere liquidata come pura e semplice
fantasia senza alcun fondamento [97].

Neppure il buddhismo si sottrasse al fascino dellepica. La pi antica biografia del


Buddha narrata in un poema epico (il Buddhacarita Le gesta del Buddha di
Avaghoa) o piuttosto epico-lirico. Il poeta, che pure un devoto della dottrina
buddhista, racconta le vicende della vita del Buddha in modo intenso e poeticamente
vivace (al di l delle difficolt linguistiche e stilistiche che rendono estremamente
ardua la lettura dellopera), senza alcun impaccio o appesantimento di natura
didascalica, esaltando anzi certe scene in cui prevale il tono lirico e non disdegnando
neppure qualche spunto erotico. La data della composizione del Buddhacarita
difficile da stabilire, ma sicuramente posteriore alla composizione del Rmyaa.

Ma non soltanto la grande epica mostra convergenze coi modelli greci. Uno sguardo
alla letteratura dei secoli seguenti ci pone di fronte altre possibilit di contatto. Se
leggendo certe espressioni della lirica indiana (per esempio la Centuria di Amaru o
lantologia di Hla) difficile resistere alla tentazione di richiamare la poesia
epigrammistica del periodo ellenistico, di fronte a certi gioielli di poemetti artistici di
argomento mitologico (il Meghadta o Nuvolo messaggero di Klidsa, per dirne uno)
doveroso chiederci se il genere dellepillio non abbia fatto una sua comparsa in
India.

Per ci che concerne la prosa, i rapporti tra la narrativa indiana e il tipo della fabula
Milesia e poi del romanzo sono stati indagati in profondit, con risultati che hanno
portato in entrambe le direzioni. Secondo lipotesi che uno studioso francese, Flix
Lacte, avanz allinizio del XX secolo, la narrativa come genere letterario autonomo
nacque e si svilupp in Grecia sotto linflusso della narrativa indiana. Purtroppo il
nostro giudizio gravemente limitato dalla perdita delloriginale di quello che
dovrebbe essere considerato larchetipo e il modello per il successivo sviluppo della
narrativa indiana, cio la Bhatkath (Grande racconto) di Guahya [98], della
quale possiamo conoscere a grandi linee il contenuto solamente attraverso
successive rielaborazioni. Il romanzo doveva contenere le vicende del re dei Vatsa
Udayana e dei suoi matrimoni con Vsavadatt e Padmavat: ma nel racconto
principale, riferito in prima persona da un testimone oculare degli eventi, si
inserivano una quantit di episodi e di narrazioni, in parte anche raccontate dai vari
personaggi, cos che il racconto principale finisce per divenire spesso un racconto
cornice, sovrastato dalla crescente esuberanza dei racconti secondari: una tecnica
che conosciamo bene da opere come le Metamorfosi di Apuleio e altri romanzi della
tradizione greca. Questa tecnica divenne poi usuale nella narrativa indiana, al punto
che il racconto principale fin per avere un carattere sempre pi esile e ad essere
relegato sempre pi sullo sfondo, divenendo un semplice pretesto narrativo, mentre
lattenzione del lettore era focalizzata soprattutto sul susseguirsi delle varie
narrazioni (cos nella favolistica, p.es. il Pacatantra, o nella novellistica, p.es. il
Kathsaritsgara Oceano dei fiumi di racconti). Se il Lacte cerc di dimostrare
lesistenza di una filiazione dallIndia alla Grecia in questo particolare settore
dellattivit letteraria, altri puntarono piuttosto a dimostrare che era stata la Grecia a
fare da modello allIndia [99].

Ma nel teatro che alcuni hanno pensato di potere percepire in modo pi consistente
il modello greco. Se ci furono insediamenti Greci in India, ci furono anche
rappresentazioni di drammi greci in India. Non pensabile che, tra tutti i Greci, solo i
Greci che abitavano in India rinunciassero alle rappresentazioni di drammi o ai
festival drammatici [100]. Del resto, i drammi greci erano rappresentati anche al di
fuori dellambito culturale greco se, come ci attesta Plutarco [101], la testa di Crasso
dopo la battaglia di Carre pot essere usata a Susa come appropriato attrezzo
scenico per una rappresentazione delle Baccanti di Euripide. Siamo alla corte regale
dei Parti, non siamo nel mondo greco, ma anche qui la produzione teatrale greca
evidentemente conosciuta e viene apprezzata. Del fatto che il teatro greco, e in
particolare le tragedie di Sofocle, fosse noto in India abbiamo la certezza
documentaria: a Peshawar stato trovato un frammento di vaso (oggi conservato nel
museo di Lahore) fabbricato in loco sul quale rappresentata una scena
dellAntigone (Emone che prega Creonte di non condannare a morte Antigone).
Secondo quanto notava Weber, nellesercito di Alessandro cerano mimi, giocolieri,
artisti da circo, che Alessandro intendeva usare come mezzo per lellenizzazione
dellOriente [102]. Tra dramma indiano e commedia nuova sembrano sussistere dei
legami. Non solamente la presenza delle yavan, le raffinate danzatrici greche (o
forse rinomate etere, da cui le colleghe indiana, a quanto pare, avrebbero avuto
molto da imparare) che nei drammi di Klidsa fan sempre parte del sguito del re, o
il fatto che yavanik greca sia il nome dato al tendaggio che fa da sfondo alla scena,
a motivare questa impressione. Sta di fatto che sia la nea sia il dramma indiano
hanno una consonanza singolare nella formulazione degli intrecci: le vicende
amorose di una coppia, che per una qualunque motivo si separa, le peripezie che
portano allo scioglimento dellazione e al ritrovarsi dei due amanti, e soprattutto,
spesso il riconoscimento dellidentit dellaltro per mezzo di un oggetto che era stato
smarrito. Anche la presenza di personaggi fissi che presentano caratteristiche
somiglianti (p.es. lo schiavo della commedia greco-romana e il vidaka, un
brahmano compagno di sollazzi, e soprattutto di pranzi, del protagonista) unaltra
coincidenza importante [103]. Nella akuntal riconosciuta di Klidsa, per citare il
pi apprezzato esempio di dramma indiano e il pi noto anche nella tradizione
occidentale, loggetto indispensabile per il riconoscimento lanello che il re
Duyanta aveva lasciato alla donna nel momento di allontanarsi da lei e che viene
perso durante unabluzione rituale, cos che la donna non pu opporre allamante,
immemore di lei per le conseguenze di una maledizione, lo strumento che farebbe
cadere il velo doblio che gli offusca la memoria: lanello ricomparir in sguito,
pescato nel ventre di un pesce, e la sua vista riporter alla memoria del re lepisodio
della donna che ha colpevolmente abbandonato insieme col bambino che aveva in
seno. La conclusione positiva (dal momento che il dramma indiano presuppone
sempre una conclusione positiva e aborrisce qualunque situazione violenta o
sanguinosa) avverr in questo caso per altra via. Ma si visto che anche nel
Mudrrakasa, che pure ha una posizione anomala nella storia del teatro indiano,
lanello col sigillo del ministro, perso dalla sua consorte, a costituire il fulcro
essenziale della trama. Sarebbe indubbiamente semplicistico e riduttivo attribuire
semplicemente allimitazione del teatro greco la nascita di una tradizione teatrale in
India [104]. Altre ipotesi sono state fatte: dal progressivo sviluppo di situazioni
dialogate quali si hanno fin daglinni vedici, alla crescente popolarit di un teatro di
ombre o di un teatro di marionette che si svolge sulle pubbliche piazze, alle
rappresentazioni di mimi. Senza pervenire a conclusioni eccessive, si pu benissimo
pensare a unazione catalizzatrice che il dramma greco pot avere sul nascente
teatro indiano. Tra i pi antichi autori di drammi si annoverano il gi citato Avaghoa
e Bha: autore di drammi apprezzati e citati nel periodo antico (Klidsa lo nomina
espressamente come uno dei suoi predecessori), questultimo ha conosciuto un lungo
periodo doblio, e solamente allinizio del XX secolo sono tornati alla luce alcuni dei
suoi drammi. Purtroppo limpossibilit di determinare delle coordinate cronologiche
precise (per Bha si suppone unepoca che va dal II sec. a.C. al II sec. d.C.) non
consente neppure di stabilire se tra la definitiva maturazione del teatro indiano e la
presenza dei Greci in India c o meno un rapporto cronologico. Lipotesi dellinflusso
greco fu formulata fin dalle prime stampe occidentali della akuntal di Klidsa:
Weber nel 1851, poi Windisch nel Congresso degli Orientalisti tenutosi a Berlino nel
1881, poi altri studiosi avevano osservato alcune coincidenze tra dramma indiano e
la commedia nuova; lipotesi poi trov sempre meno consenso tra gli studiosi [105].
Se si potesse in qualche modo avvalorare la tesi di Lvi, secondo cui la forma
definitiva del dramma indiano sarebbe stata fissata a Mathur nel I sec. a.C. [106],
lipotesi di un influsso greco sulla nascita del teatro indiano farebbe un grosso balzo
in avanti. Purtroppo questa ipotesi, bench affascinante, ha poche probabilit di
essere provata in modo definitivo, e cos il problema del possibile rapporto greco
continua ad essere, per chi si pone nella prospettiva dellIndia, nientaltro che una
questione irritante [107].

Conclusione.

La vicenda del regno indo-greco relativamente breve, in rapporto ai tempi e alla


scansione della storia (soprattutto di una storia millenaria come quella dellIndia), ma
fu unoccasione importante per permettere una conoscenza e un incontro pi intenso
e potenzialmente fruttuoso tra due delle pi grandi civilt che lumanit abbia avuto.
Il regno indo-greco in sostanza un episodio assolutamente unico nel pur variegata e
composita storia della cultura ellenistica. un capitolo di grande interesse, sia dal
punto di vista greco sia dal punto di vista indiano: fu un momento in cui si stabilirono
in modo diretto contatti organici tra due tradizioni culturali che avevano alle spalle
secoli di riflessione e di saggezza. Il sincretismo che si viene a determinare d luogo
a risultati in buona parte sorprendenti. Purtroppo le nostre conoscenze di questo
episodio sono scarse, sia per la difficolt di relazione e di comunicazione che
caratterizzano lepoca antica sia perch la curiosit e il fascino che molti autori greci
mostrano nei confronti delle culture orientali non si traduce poi in una sistematica
acquisizione di notizie e pubblicazione di dati. Delle vicende del regno indo-greco,
come abbiamo visto, non si hanno che pochi e imprecisi echi nella storiografia e nella
pubblicistica greca o greco-latina [108]. Misurare dal punto di vista indiano il peso e
limportanza che la conoscenza dellelemento greco pu avere avuto difficile. Il
fatto che il momento storico in cui questincontro tra due grandi culture si verific pi
o meno coincida con una fase di grande trasformazione della cultura indiana certo
significativo, anche se la semplice coincidenza cronologica non autorizza certo, in
mancanza di dati concreti, a conclusioni eccessivamente impegnative. Certo il regno
indo-greco si colloca in una fase di trasformazione tra due epoche della cultura
indiana fra le quali intercorrono tratti di notevole diversit culturale e linguistica
(segnata questultima dalla diversit vedico ~ sanscrito classico, due fasi che si
pongono in una curiosa linea di continuit ~ diversit). impossibile dire quanto
possa avere pesato linflusso straniero. Anche gli studiosi di linguistica storica,
quando si trovano di fronte a cambiamenti e trasformazioni di un sistema, si ritrovano
nellincertezza, dovendo decidere se i cambiamenti sono una semplice evoluzione
che avviene sotto la spinta di forze tutte interne al sistema o sono stati favoriti
dallintervento di modelli stranieri. Qui il discorso ancora pi complicato, perch
non solo la valutazione, ma la semplice elencazione dei fatti presenta incertezze e
lacune non facili da colmare.

Appendice. Liscrizione di Kandahar

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[1] biduum irae datum est (Curt. Ruf. IX 3, 19).

[2] Arriano, Anabasis VI 1, 4.

[3] Plutarco, Alex. 65.

[4] P.es. Plutarco, Alex. 64; Hist. Alex. Magni, rec. A, I 3, 5.

[5] Strabo XV 1, 65.

[6] Il nome di Alessandro non viene ricordato in India in nessuna fonte antica;
solamente in fonti tarde e medievali se ne trova traccia. I tentativi di trovarne
qualche traccia (cfr. Weber, pp. 6 ss) sono in genere poco persuasivi.

[7] Nella grande iscrizione di Behistun (l. 16), e anche altrove, facendo lelenco delle
sue province, Dario nomina anche il Gandhra (la zona nella valle del Cophen, un
affluente dellIndo), insieme allAracosia (odierna regione di Kandahr
nellAfghanistan) e ad altre satrapie collocate allestremo oriente del suo impero. Il
possesso della valle del Cophen ha unimportanza strategica, perch permette anche
il controllo dellalta valle dellIndo. Abbiamo anche notizia di una visita al fatta da
Dario nella primavera del 515 a Taxila, che si trovava ad Est dellIndo, in territorio
quindi che non pi Persia, bens India.

[8] Per le fonti greco-romane sullIndia precedenti il periodo di Alessandro cfr. Renou-
Filliozat, vol. I, pp. 144 ss.

[9] Anabasis V 1, 2; cfr. anche ps.-Apoll. III 2 (ma il breve passaggio che accenna alla
spedizione di Dioniso in India da ritenere interpolato) e Tzetzes, Chiliades VIII 582
ss.

[10] Anabasis V 1, 6.

[11] nec non et Nysam urbem plerique Indiae adscribunt montemque Merum, Libero
Patri sacrum, unde origo fabulae, Iovis femine editum (Plin., Nat. Hist. VI 79).
[12] Plut., De sera numinis vindicta 557 B. Sulla vicenda dei Branchidi cfr. anche
Strabone XIV 1, 5; Curt. Ruf. VII 5, 28 ss., ecc..

[13] nullo Macedonum dignante (Giustino 41, 4, 1).

[14] Diodoro Siculo, XVIII 39, 6. Staganore il nome del personaggio secondo
Giustino (loc. cit.).

[15] Candragupta significa propriamente luna velata (candra- luna, corradicale del
lat. candre e candidus, e gupta-, participio passato passivo di gup- nascondere,
celare). Nel dramma di Viakhadatta in pi occasioni si hanno giochi di parole e
allusioni al significato del nome del sovrano.

[16] Yavana il nome con cui sono chiamati in India i Greci. Si tratta della trascrizione
indiana di *iones, iwones. Anche in altre lingue orientali (armeno, ebraico, p.es.) il
nome degli Ioni divenuto il nome per antonomasia di tutti i Greci, sia per il maggior
prestigio culturale degli Ioni rispetto alle altre stirpi greche sia perch le colonie
ioniche dAsia minore erano le pi facilmente accessibili per le popolazioni stanziate a
oriente. Il nome yavana attestato per la prima volta nellopera del grammatico
Pini (IV-III sec. a.C.), che accenna alla yavann lipi, la scrittura greca (IV 1, 49).

[17] Potr sembrare strano, agli specialisti di mondo classico, che ci siano oscillazioni
cos forti nelle indicazioni delle date di una dramma. La realt che la tradizione
indiana non ha un concetto di storia equivalente a quello che si venuto formando
nel mondo greco, e quindi lindicazione delle date, sia degli avvenimenti storici sia
(soprattutto) degli avvenimenti collegati con fatti letterari (vita degli autori, date
delle composizioni) manca in modo pressoch totale: per datare unopera letteraria o
la vita di un autore si deve ricorrere a termini ante e post quem collegati a fatti
esterni al mondo indiano (invasioni, ecc.): quando questi mancano, si deve ricorrere a
congetture basate su fattori stilistici o simili, che portano spesso a conclusioni vaghe
e puramente indicative.

[18] Le ragazze avvelenatrici sono prostitute che, secondo una credenza indiana,
hanno imbevuto il corpo di potenti veleni (rispetto ai quali sono mitridatizzate) e li
trasmettono ai loro amanti attraverso il rapporto sessuale.

[19] La tradizione indiana ha grande considerazione per la politica, in quanto parte


dellartha (la ricerca del benessere, che costituisce, insieme col kma il piacere e il
dharma il rispetto della legge morale, uno dei tre scopi [trivarga] delluomo indiano,
scopi da realizzare ciascuno senza pregiudizio degli altri due e in epoche diverse
dellesistenza). Un importante trattato di politica, lArthastra, ci giunto sotto il
nome di Kauilya (altro nome del Caakya protagonista del nostro dramma), ma si
tratta di opera redatta in epoca sicuramente posteriore a quella in cui vissuto
questo personaggio (circa IV sec. d.C.); alle arti della politica sono dedicati molti testi
della tradizione favolistica (a partire dal Pacatantra) e vari passaggi in opere della
tradizione epica, quali il Mahbhrata.

[20] Del dramma esiste unottima traduzione italiana di M. Vallauri, che si pu


leggere nel volume (da lui curato) Teatro indiano.
[21] Vita Alexandri 62.

[22] Gli dra costituivano la casta pi bassa della popolazione indiana: erano
probabilmente discendenti delle popolazioni indigene incontrate e sottomesse dagli
Ari quando erano giunti nel subcontinente indiano da Nord-Ovest e avevano esteso il
loro dominio man mano verso sud. Le altre tre caste erano costituite dai brhmaa-
(la casta sacerdotale), dagli katriya- (la casta guerriera, dal cui seno aveva
normalmente origine il re) e dai vaiya- (la gente del villaggio, i borghesi). Come si
vede, le tre caste (in sanscrito vara- colore) corrispondono alle tre funzioni di
Dumzil. In sguito, anche come conseguenza dei numerosi matrimoni intercastali e
di unaccentuata specializzazione in base al mestiere esercitato, lorganizzazione
castale divenne pi complessa e regolata da norme sempre pi meticolose.

[23] Humili genere natus definito da Giustino XV 4, 15.

[24] Sic adquisito regno Sandrocottus ea tempestate, qua Seleucus futurae


magnitudinis fundamenta iaciebat, Indiam possidebat, cum quo facta pactione
Seleucus conpositisque in Oriente rebus in bellum Antigoni descendit (Iust. XV 4, 20
s.)

[25] Strab. XV 2, 9: Gli Indiani occupano parte delle terre oltre lIndo che
precedentemente appartenenvano ai Persiani: Alessandro le aveva sottratte agli Arii
e vi aveva posto delle colonie. Ma Seleuco Nicatore le diede a Sandrocotto,
stabilendo un trattato matrimoniale e ricevendone cinquecento elefanti ( '
,
,
,
).

[26] Tra cui alcuni potenti afrodisiaci precedentemente ignoti ai Greci, secondo
Ateneo, Deipnos. I 32.

[27] (Arsaces) cum filio eius, et ipso Theodoto, foedus ac pacem fecit, nec multo
post cum Seleuco rege ad defectores persequendos veniente congressus victor fuit;
quem diem Parthi exinde sollemnem velut initium libertatis observant (Iustin. XLI 9
s.).

[28] Pag. 13.

[29] Il nome del sovrano significa letteralmente senza dolore (da a- prefisso
negativo e oka dolore).

[30] Aokvadna significa propr. narrazione di Aoka. Si tratta di un testo del II


secolo il cui valore storico effettivo molto discutibile e discusso. Altre fonti che
descrivono la vita di Aoka sono il Divyvadna (Narrazione divina), e un testo
singalese, il Mahvasa (Grande cronaca).

[31] Paaliputra la capitale del regno di Aoka.

[32] E il nome del continente del mondo terrestre.


[33] Aokvadna 1.

[34] Mahvasa, 12. Dhammarakkhita ovviamente non nome greco: il personaggio


insieme con la conversione al buddhismo ha assunto un nome nuovo che indicava in
modo trasparente la sua scelta religiosa (dhammarakkhita fide protectus da
dhamma e rakkhita difeso, protetto).

[35] Il dhammacakka (sanscrito dharmacakra, da dharma legge morale e religiosa e


cakra ruota) un comune simbolo buddhista costituito da una ruota di carro con
otto raggi, rappresentanti appunto le otto vie della legge.

[36] La parola designa i monaci vaganti del buddhismo, ma anche gli asceti jaina o
brahmanici. Aind. ramaa-, pracrito samaa, deriva da rama- fatica, sforzo,
mortificazione fisica, a sua volta dal verbo ram- stancarsi o essere stanco; la
parola passata al tocario ma, che, attraverso il tunguso aman, stata ripresa
dal russo aman, da cui la parola it. sciamano (e suoi corrispondenti nelle varie lingue
europee).

[37] ( ...) , .
, , .

,
, , ,
. .
. (Clemente, Stromata, I 15, 72).

[38] E con qualche incertezza: ad esempio la distinzione tra i brhmaa ()


e i (sic!) descritta in modo meno nitido, con la premessa che i contenuti
delle dottrine delle due scuole differiscono poco tra di loro.

[39] Megastene (ca. 350-290), nativo della Ionia, amico di Alessandro e diplomatico
al servizio prima del re Macedone poi dei Seleucidi, intrattenne rapporti con
Candragupta, fu pi volte in India e acquis una conoscenza di prima mano della
cultura indiana, che riassunse poi nei quattro libri di Indica, utilizzati come fonte da
Strabone e da Arriano. Ledizione dei FHG di Mller riporta una quarantina di
frammenti di questa opera perduta.

[40] Cfr. W.W. Tarn, p. 100. Contra, Sircar, p. 64.

[41] lipotesi di Ranajit Pal, op. cit. comunque singolare che Diodoto abbia
prodotto unabbondante monetazione, ma non si abbia di lui nessuna iscrizione,
mentre Aoka ci ha lasciato numerose iscrizioni, ma nessuna moneta.

[42] ,
,
, ',
, ,

.
, ,
. (Polyb. XI 34, 11-13).

[43] Secondo una tradizione raccolta nellAokavadna, Puyamitra intendeva


distruggere lo stesso numero di santuari che Aoka aveva edificati
(ottantaquattromila), ma gli fu impedito di portare a termine questo empio progetto
da parte di due yakkha (sansc. yaka, spiriti benevoli che abitano nella profondit
della terra): in questi yakkha si potrebbe anche vedere la rappresentazione di
Apollodoto e Menandro I.

[44] Notiamo per incidens che quella di Puyamitra la prima celebrazione di questo
tipo di sacrificio di cui si abbia notizia in epoca storica.

[45] Soprattutto Strabone e Giustino. Completamente perdute le opere di storici


ellenistici che si erano occupati di queste vicende (qualcosa delle loro narrazioni
sopravissuto nel gi citato Strabone e nelle poche allusioni di autori classici e cristiani
ai re indo-greci), anche le opere dellet successiva si presentano lacunose: ad
esempio, del XLI libro di Pompeo Trogo, che esplicitamente era dedicato alle vicende
di Apollodoto e Menandro, non resta che il titolo.

[46] In realt sono state proposte date che vanno dal I sec. a.C. al III-IV sec. d.C.

[47] Questo testo, che costituisce l'ultimo capitolo (113) di un'inedita opera
astrologica intitolata Vddhagrgasahit, si inserisce nella tradizione letteraria dei
Pura, testi della tradizione post-vedica destinati alla narrazione delle et del
mondo. Si tratta in realt di una storia, sia pure narrata in forma particolare,
dellimpero Magadha. Sui gravi problemi di natura testuale e interpretativa posti dal
testo rinviamo per pi ampie informazioni a Narain, pp. 174 ss., Tarn, pp. 452-456, e
soprattutto a L. Rocher, pp. 253 s. Il testo che ci pervenuto talmente corrotto che
stata proposta lipotesi che si tratti della redazione sanscrita di unopera scritta
originariamente in pracrito o in una lingua ibrida sanscrito-pracrita.

[48] ,
, '
(queste notizie riguardanti le parti
orientali dellIndia, al di l del fiume Ipani, divennero note, quando scrissero qualche
rendiconto coloro che si erano spinti oltre lIpani fino al Gange e a Palimbroto). Cfr.
anche Strabone XI 11, 1, che, facendo riferimento ai perduti Parthica di Apollodoro
Artemisio (FHG fr. 5), nomina esplicitamente le imprese di Apollodoto e di Menandro
in India.

[49] Y-P 47 s. (Gli Yavana comanderanno). La notizia delloccupazione di Sketa e di


Mathur ha riscontro anche in altre opere indiane (p.es. in accenni di Patajali e di
Klidsa). Il grammatico Patajali, che fu contemporaneo agli avvenimenti, essendo
vissuto attorno alla met del II sec. a.C., nel suo Mahbhya (ad P. 3, 2, 111: ed.
Kielhorn II, p. 118) utilizza le frasi yavano ruat Sketa (Il [principe] greco
assediava Sketa) e yavano ruan Mdhyamik (Il [principe] greco assediava la
Terra di centro) come esempi delluso sanscrito dellimperfetto (aruad) per indicare
unazione che si svolta da poco tempo. Klidsa nel V atto del dramma
Mlavikgnimitra ricorda un combattimento sulle rive del Sindhu, nel quale le forze
dei Greci vennero debellate dallesercito di Puyamitra. Lepisodio si sarebbe
verificato proprio mentre stava transitando il cavallo che era stato scelto per
lavamedha. Su tutto ci cfr. anche Weber, p. 12; Narain, p. 82 e ss.; Tarn, pp. 145
ss.

[50] Y-P 55. Ind. rya signore, uomo degno di rispetto un modo formale di
rivolgersi a persone di riguardo o di casta superiore, bho un modo meno formale di
salutarsi tra persone di basso rango. Con ari si intendono gli appartenenti alle tre
caste superiori, con esclusione quindi dei udra.

[51] Cos risulta anche dalla documentazione epigrafica locale (nelliscriz. di


Hatigumpha, fatta redigere nel 157 dal re Kharavela di Kalinga, nella parte orientale
dellIndia, si afferma che questo re obblig le armate di Demetrio, demoralizzate e
prive di trasporti, a ritirarsi a Mathur: liscrizione di Hatigumpha pubblicata nel vol.
XX [1929-30] di Epigraphia Indica).

[52] Y-P 56 s.: Gli Yavana, infatuati della guerra, non resteranno nel Madhyadea. Ci
sar un accordo tra loro per andarsene, a causa dello scoppio di una terribile e
terrificante guerra nel loro reame.

[53] Multa tamen Eucratides bella magna virtute gessit, quibus adtritus cum
obsidionem Demetrii, regis Indorum, pateretur, cum CCC militibus LX milia hostium
adsiduis eruptionibus vicit. Quinto itaque mense liberatus Indiam in potestatem
redegit. (Iustin. XLI 6, 4)

[54] Tarn, p. 143; Renou-Filliozat, vol. I, p. 225.

[55] Unde cum se reciperet, a filio, quem socium regni fecerat, in itinere interficitur,
qui non dissimulato parricidio, velut hostem, non patrem interfecisset, et per
sanguinem eius currum egit et corpus abici insepultum iussit (Iustin. XLI 6, 5).

[56] Pali Sgala, sanscrito Skala, la di Tolomeo (Geogr. VII


1, 46) forse lodierna Sialkot, in Pakistan.

[57] Cfr. anche Tarn, pp. 268 e ss.

[58] Milinda una delle forme assunta in India dal nome di Menandro (sulle monete si
legge Menadra) i paha la forma pli della parola che in sanscrito appare come
prana- domanda (formata da una produttiva radice indeuropea che si ritrova nel
lat. poscere e nel ted. forschen cercare).

[59] Praecepta gerendae reipublicae, 821 D: Quando un certo Menandro, che aveva
governato con benevolenza in Battria, mor in un accampamento, le citt celebrarono
tutte insieme il resto del funerale, poi venute in contrasto per i suoi resti a stento si
accordarono che si distribuissero una parte uguale delle sue ceneri e diventassero
per tutti un monumento di quelluomo (
,
,
, ,
).

[60] Yona la forma pli di sanscrito yavana (aind. ava > pracrito o).
[61] Mahvasa 29.

[62] I piaka (canestri) costituiscono il canone dei libri sacri (in lingua pli) del
buddhismo. Il Milindapaha gode di notevole prestigio presso i Theravdin, la scuola
buddhista che si attenne in modo rigoroso allinsegnamento del Buddha (Theravda
insegnamento [vda] degli anziani [thera, sanscrito sthavira stabile, solido,
vigoroso), del quale si ritengono i fedeli garanti.

[63] Cfr. Weber, p. 12; Winternitz, v. II, p. 141; Tarn., pp. 414 ss., Boccali-Piano-Sani,
pp. 99 s., e Fal, Introduzione allediz. italiana citata.

[64] In realt anche per il primo libro si sospetta che alcune parti siano frutto di
aggiunte posteriori.

[65] Si tratta dellopera in cui riportato il dialogo tra il sovrano ellenistico Tolomeo II
Filadelfo (283-146) e i settantadue sapienti giudei che avrebbero tradotto in greco
lAntico Testamento.

[66] Cos W.W. Tarn, pp. 414-436.

[67] Cfr. Renou-Filliozat, vol. II, p. 352 per ulteriori informazioni sullargomento.

[68] Da Milindapaha. Le domande del re Milinda, a cura di M. A. Fal, Roma,


Ubaldini, 1982.

[69] Sulle fonti cinesi cfr. Tarn, pp. 513 e s.

[70] Narain, op. cit., pag. 103.

[71] Renou-Filliozat, vol. I, p. 227.

[72] Alle opere finora citate si aggiunga la dettagliata monografia di Osmund


Bopearachchi (v. Bibliografia)..

[73] Tarn, pp. 353-4.

[74] Barygaza lodierna Bharuch, importante porto nello stato di Gujarat, India
occidentale.

[75] ,

.

[76] Su tutto questo argomento cfr. Tarn, pp. 353.

[77] Weber, pp. 12 ss.

[78] kesar nma sagrama (disposizione di nome cesariana)


nellAvadnaataka (Centuria di fatti), uno scritto di scuola buddhista che narra fatti
delle vita del Buddha e di Aoka. Cfr. anche Weber, p. 13.

[79] Tarn, pag. 391.


[80] Per la precisione, il testo (in lingua gndhr e scrittura kharoh) il seguente:
Theudorena meridarkhena pratithavida ime sarira sakamunisa bhagavato
bahujanastitiye.

[81] Il testo delle due iscrizioni della colonna (generalmente molto chiaro, solamente
un paio di punti dnno adito a piccoli problemi di lettura e di interpretazione) il
seguente:

(I) Questo pilastro con Garua dedicato a Vsudeva dio tra gli di fu eretto da
Eliodoro, un bhgavata, figlio di Dione, di Taxila, giunto da parte del grande re greco
Antalcida come ambasciatore dal re Kosiputra Bhgabhadra il saggio nel
quattordicesimo anno del suo prospero regno. (II) Tre immortali precetti se ben
applicati portano al cielo: temperanza, carit, coscienza.

[82] una delle divinit minori dellinduismo, unaquila con piume doro propriet di
Viu.

[83] Per un greco la conversione all'Induismo era difficile a causa del rapporto
reciproco tra la religione e il sistema castale. Un gruppo numeroso di non ind poteva
essere gradualmente assimilato soltanto diventando una sotto-casta, mentre la
conversione di un singolo creava il problema di fornirlo di una casta appropriata,
poich quella dipendeva dalla nascita. Era quindi pi semplice per dei greci diventare
buddhisti, come molti fecero. Poich il buddhismo a quell'epoca era in fase
ascendente, il suo prestigio rese l'inserimento dei nuovi convertiti molto pi facile.
(Fal, pag. 11, n. 6).

[84] Weber, p. 35.

[85] La cosiddetta Chiesa di Malabar o di Kerala (sulle coste nord-occidentali


dellIndia) o siro-malabarica (perch il siriaco una delle lingue liturgiche) conta oggi
quattro milioni di fedeli. La storia delle comunit cristiane presenti fin da epoca molto
antica sulla costa occidentale dellIndia molto complessa. La Chiesa di Malabar
una comunit cristiana che per secoli vissuta isolata, prima della riscoperta
portoghese del XVI sec.

[86] Probabilmente corruzione di un nome antico-iranico Vindafarna acquista gloria,


da cui gr. ; secondo alcuni il nome sarebbe stato ripreso dalle lingue
occidentali attraverso lulteriore corruzione armena Gaspart, da cui il nome di
Gaspare (uno dei magi)!

[87] Precisamente: Io Ges figlio di Giuseppe il falegname concedo di acquistare il


mio servo di nome Giuda a te Abbane inviato da Gundaforo re degli Indiani (Act.
Thom. 2).

[88] Attorno a questa statua (che in realt una statua di giada, e non di smeraldo,
dellaltezza di cm. 75 e della larghezza di cm. 45) circolano racconti leggendari: dopo
essere rimasta per tre secoli nella sua sede originaria dove era stata creata, la statua
venne inviata a Ceylon per proteggerla da una guerra civile; alcuni secoli dopo un re
straniero (birmano) chiese agli abitanti dellisola la consegna dei libri canonici e di
questa statua per potere diffondere il buddhismo nel suo paese. La nave che
trasportava la statua perse la rotta e approd in Cambogia; da qui la statua sub
complicate e non sempre chiare peripezie, fino a giungere alla sua attuale
sistemazione nella Cappella del Buddha di smeraldo, nei sotterranei del Palazzo Reale
di Bangkok.

[89] Pag. 66.

[90] P. 135.

[91] Cfr. anche Weber, pp. 16 ss.

[92] Pisani, pag. 68.

[93] Pisani, p. 68.

[94] Aind. ruti- una derivazione (col suffisso -ti formatore di nomi dazione) dal
verbo ru- udire, ascoltare (gr. - ascoltai, lat. cluns), quindi il complesso di
ci che stato udito, e si oppone a smti-, che la tradizione (radice verbale sm-
ricordare, la stessa che ritroviamo nel gr. parte, destino, ecc.).

[95] Sanscrito significa propriamente perfetto (da sam- insieme + kta-, participio
passato passivo di k- fare: quindi qualcosa come confectus, pienamente
realizzato).

[96] Cfr. Weber, pp. 11 s.

[97] Dicono che anche presso gli Indiani fosse cantata la poesia di Omero, avendola
essi tradotta nella loro lingua: cosicch anche gli Indiani non sono in grado di vedere
molte delle stelle che vediamo noi dicono infatti che le Orse non si vedano nelle loro
terre , ma delle sofferenze di Priamo e dei lamenti e dei dolori di Andromaca e di
Ecuba e del valore di Achille e di Ettore non sono inesperti: tale forza ha larte di un
uomo! ( ,
.


.
, Dio Chrys., orat. 53, 8)

[98] Bench la sua opera sia andata perduta e sia difficile precisare persino la lingua
in cui era scritta (presumibilmente una variet di pracrito che ebbe scarsa diffusione
e una vita breve, la paiac), Guhavya un personaggio pressoch leggendario in
India, e in Nepal addirittura oggetto di venerazione. Una tradizione affermava che si
sarebbe trattato di un genio celeste entrato in conflitto con iva perch avrebbe
ascoltato di nascosto i racconti che questi raccontava alla moglie Prvat e ridotto
alla condizione di essere umano.

[99] Weber, pp. 21 ss.; Pisani, p. 107.

[100] Per usare le parole di Tarn (p. 34), i Greci dIndia erano just Greeks, with all
that that implies, e (p. 382) una citt greca of any pretensions without a theater is
unthinkable. Non quindi obiezione fondata il fatto che non si siano trovate tracce
di anfiteatri o notizie di rappresentazioni nelle citt dellIndia abitate da Greci.

[101] Vita Crassi 33.

[102] Weber, p. 24 (riprendendo O. Ludwig, Dionysische Knstler, 1873, p. 104).

[103] Weber, p. 25.

[104] Secondo Hermann Reich, I ii, p. 694, il teatro indiano si svilupp sotto linflusso
del teatro greco, ma fu il mimo, e non la commedia nuova ellenistica, a determinarne
la fioritura; cfr. anche Winternitz, vol. III, p. 175.

[105] Per uninformazione generale sulla questione si veda, oltre ai testi fin qui citati,
Barriedale Keith, pp. 57 ss. (con copiosa bibliografia); in generale cfr. Winternitz, vol.
III, pp. 160-180 (pp. 174 ss. sullipotesi dellinflusso greco).

[106] une question irritante: Renou-Filliozat, vol. II, p. 261.

[107] Renou-Fillozat, vol. II, p. 259. Anche Tarn (pp. 383 ss.) valuta piuttosto
negativamente lipotesi che il teatro indiano abbia preso le mosse dal teatro greco:
pur non negando lesistenza di contatti tra teatro greco e teatro indiano, afferma che
contatto non significa influenza. Indubbiamente, se sbrigativo, a nostro parere,
negare un qualunque influsso del teatro greco sullo sviluppo del dramma indiano,
altrettanto semplicistico sarebbe affermare che il teatro greco ebbe un peso
determinante o comunque di rilievo nello sviluppo del teatro indiano. Forze endogene
ed esogene possono ben coesistere: vi sono elementi chimici che generano una
reazione, ma la presenza di un catalizzatore pu accelerare un processo che
comunque destinato ad avvenire. Il problema allora quello di misurare e valutare
il peso e limportanza delle forze esogene rispetto a quelle endogene: ed lavoro di
non facile soluzione!

[108] Questo disinteresse non soltanto della storiografia antica, se Tarn poteva
scrivere nel 1950, allinizio del suo libro che No Greek historian has yet attempted to
handle this subject as a connected whole or to put it in its right place as a lost
chapter of Hellenistic history (p. xiv).

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