La fioritura del carattere: Guida aristotelica alla felicità
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Anteprima del libro
La fioritura del carattere - Shady Dell’Amico
i cento talleri
95
Direttori di collana
Paolo Calabrò, saggista
Mario Carparelli, Università del Salento
Diego Fusaro, IASSP Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici)
Comitato Scientifico
Giovanni Bonacina, Università di Urbino
Gaetano Chiurazzi, Università di Torino
Vincenzo Cicero, Università di Messina
Massimo Donà, Università di Milano - San Raffaele
Domenico Fazio, Università del Salento
Sebastiano Ghisu, Università di Sassari
Giuseppe Girgenti, Università di Milano - San Raffaele
Marco Ivaldo, Università di Napoli - Federico II
Roberto Mordacci, Università di Milano - San Raffaele
Vesa Oittinen, Università di Helsinki
Pier Paolo Portinaro, Università di Torino
Roberta Sala, Università di Milano - San Raffaele
Andrea Tagliapietra, Università di Milano - San Raffaele
I membri del Comitato Scientifico fungono da revisori. Ogni saggio pervenuto alla collana I Cento Talleri
, dopo una lettura preliminare da parte dei Direttori di collana, è sottoposto alla valutazione dei membri del Comitato Scientifico (due per ogni saggio).
Le proposte di pubblicazione devono essere inviate ai seguenti indirizzi: [email protected] o, in forma cartacea, Casa Editrice il Prato
, via Lombardia 41, 35020 Saonara (Padova).
RINGRAZIAMENTI
Denken ist Danken, scriveva Martin Heidegger. Pensare è ringraziare. Il mio incontro con l’etica aristotelica è avvenuto sotto la guida della Prof.ssa Alessandra Fussi, Docente di Filosofia Morale all’Università di Pisa. A lei devo il mio interesse per questi argomenti.
Ringrazio l’Editore Luca Parisato, Milena Carli e il Dott. Paolo Calabrò per l’attenzione che hanno riservato al testo. Ringrazio anche il Dott. Mauricio Sanguinetti, Direttore dell’Istituto Europeo di Psicologia Positiva, per la sua Prefazione. Infine, grazie al lettore per il suo tempo e per la sua curiosità.
Chi scrive spera sempre che i propri libri diventino un’occasione di amicizia e di scambio reciproco.
Aristotele ha scritto un manuale di psicologia
che ha intitolato, però, Etica.
Erich Fromm
Prefazione
Come evidenziato da Martin Seligman, negli ultimi cinquant’anni la psicologia è stata letteralmente sommersa
da un solo argomento: il disagio mentale. Tutto ciò ha avuto senza dubbio una grande importanza, dal momento che adesso sappiamo molto di più sui disturbi psichici – soprattutto, abbiamo imparato come alleviare la sofferenza ad essi associata. Questo interesse quasi esclusivo ha però rallentato, e non di poco, gli studi sull’incremento del benessere personale e sugli aspetti che rendono una vita davvero felice¹.
Oggi la psicologia, infatti, non può concentrarsi soltanto sulla malattia mentale. Il tema del benessere si è fatto sempre più importante. Le persone non desiderano limitarsi a intervenire sulle proprie debolezze; aspirano a un’esistenza piena di significato, non solo a sopravvivere. A questo bisogno – come sostiene Seligman – deve dunque rispondere una psicologia in grado di coltivare il potenziale umano e le virtù del carattere, indicando così la strada per quanto Aristotele chiamava vita buona
².
La Psicologia Positiva – recuperando una certa tradizione filosofica – si pone proprio in quest’ottica, fondandosi su tre principi essenziali. Il primo è lo studio dell’emozione positiva. Il secondo è l’esame delle abitudini positive, ma anche facoltà
(come l’intelligenza cognitiva o emotiva, l’atleticità, eccetera). Il terzo è l’analisi delle istituzioni positive, come la democrazia, le famiglie integrate e la libertà di ricerca, che supportano le virtù, le quali, a loro volta, in un circolo virtuoso, promuovono le emozioni positive.
In questo libro, La fioritura del carattere, ritrovo tantissimi punti in comune con i costrutti e i paradigmi propri della scienza del benessere. Soprattutto nel concetto delle attività Eudaimoniche che, in fondo, sono ciò in cui è possibile coltivare quotidianamente la propria autentica felicità.
Io, per esempio, ho scoperto la mia Eudaimonia nello sport, nell’aver cura, giorno per giorno, delle mie potenzialità, sempre mantenendo viva l’attenzione per il momento presente. Questo approccio al qui e ora
mi ha concesso di sperimentare tanti momenti di flow, o di flusso di coscienza, dove farmi trasportare dalle attività per puro piacere e senza costringermi necessariamente a un risultato.
La fioritura del carattere ci insegna proprio questo, ovvero come possiamo concentrarci sullo sviluppo delle nostre disposizioni così da metterle al servizio della comunità. Idea che già Aristotele, nella sua Etica Nicomachea, aveva espresso alla perfezione. Possiamo pertanto sostenere, senza ombra di dubbio, che la Psicologia Positiva affonda le sue radici epistemologiche nel pensiero illuminante del filosofo greco.
Non ci rimane quindi che immergerci in questo libro affascinante, che integra passato e presente con l’occhio rivolto a un futuro migliore e, soprattutto, più felice.
Buona lettura!
Dott. Mauricio Sanguinetti
Psicologo, Direttore Istituto Europeo
di Psicologia Positiva
¹ Vedi M.E.P. Seligman, La costruzione della felicità, p. XII.
² Ibidem.
Introduzione
Un tale disse a Diogene:
Non sono fatto per la filosofia
.
Diogene rispose: "E allora perché vivi,
se non ti importa di vivere bene?".
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 6,65
Questo libro vuole essere un’esposizione divulgativa, semplificata e attualizzata, di un’opera esoterica: l’Etica Nicomachea di Aristotele, filosofo greco vissuto nel quarto secolo avanti Cristo. Diversamente da altre filosofie morali che hanno attraversato la storia dell’Occidente, l’etica aristotelica non riguarda né l’utile, né il dovere, né, tanto meno, una cieca obbedienza all’autorità di un magistero. L’etica di Aristotele è un’etica laica, fondata razionalmente, che ha un solo obiettivo: la piena realizzazione del carattere e la felicità dell’uomo*.
Una simile trattazione domanda, però, un breve chiarimento «a mo’ di proemio, sul pubblico, su come si devono recepire i nostri discorsi, e su ciò che ci proponiamo»¹. Questo chiarimento lo si può sviluppare riferendosi alla dinamica efficacemente descritta in Sogni e delitti, il cui titolo originale è Cassandra’s Dream, una delle poche pellicole drammatiche del regista newyorkese Woody Allen (2007).
Colin Farrell e Ewan McGregon interpretano due fratelli con problemi finanziari che vengono ingaggiati come sicari da un ricco zio con la promessa di una considerevole ricompensa. A omicidio compiuto, però, i due protagonisti reagiscono in modi molto diversi. Se il primo, infatti, è divorato dai rimorsi e decide di costituirsi, il secondo mostra una concezione di giustizia incentrata sull’utile del più forte. A suo avviso, una volta sospesa la paura per le conseguenze, non vi è niente di migliore per l’uomo che soddisfare quanto possibile i propri bisogni:
«Tu credi che noi due abbiamo fatto chissà quale azione innaturale, ma non è così; alla fine tutta la vita umana è fatta di violenza! Viviamo in un mondo crudele. Tu sei scosso perché ti sei trovato, all’improvviso, faccia a faccia con la natura umana».
La storia del pensiero moderno ha visto trionfare questo antico punto di vista². Il progressivo imporsi della soggettività, del culto dell’Io inflazionato, ha messo in discussione il modello tradizionale di concepire le forme e i modi dell’agire. Lo ha fatto al punto di teorizzare la positività del vizio, la necessità dell’egoismo e l’esigenza della competizione fra individui. La morale – intesa come governo del desiderio – ha finito per essere disconosciuta e ripudiata, considerata una sorta di favola bella, una filastrocca per ingenui. Un catechismo per bambini.
Date queste premesse è difficile non essere fraintesi quando si parla di morale. La discussione sull’etica, come già sosteneva Aristotele, non è infatti pura argomentazione logica. Essa necessita di un che
(to oti), cioè di un’apertura pregressa alla discussione, a principio di ogni ricerca del perché
(to dioti)³. Il filosofo torna più volte su questo punto:
«Chi vive secondo passione non ascolterà, e non comprenderà nemmeno, un discorso tendente a distoglierlo: e chi vive in questo modo come potrà mai essere in grado di migliorarsi? In generale la passione, a quanto pare, non si lascia domare dal ragionamento, ma dalla forza. Quindi deve già essere presente un carattere in qualche modo predisposto alla virtù, che ama il bello e disprezza il turpe»⁴.
Ogni argomentazione in campo etico richiede, in altre parole, una certa sensibilità per essere accolta. Un particolare sentire che faccia da sfondo a ogni attività intellettuale. L’impressione, cioè, che godere di tutto e possedere tutto non sia la felicità dell’uomo. Senza questo presupposto psicologico, dato per esperienza o per grazia, le emozioni non possono essere fertilizzate dal ragionamento «come fa la terra fecondata dal seme»⁵.
Chi scrive ha pertanto in mente un lettore con quel che
di cui parla Aristotele. Un lettore filosofo
nello sguardo ancora prima che nelle idee⁶.
Il fine dell’etica è l’eudaimonia. Ma questa non si raggiunge attraverso il molto sapere, che non sazia e soddisfa l’anima. Si scopre, piuttosto, nell’attuazione delle proprie facoltà potenziali, nella vita fiduciosa e indipendente. Nel far fiorire l’intelligenza delle proprie emozioni. Nell’avere un buon demone.
Shady Dell’Amico
* Di seguito utilizzerò il maschile generico pur riferendomi, sempre, tanto all’uomo quanto alla donna. La scelta è dunque dovuta alla volontà di non appesantire la lettura alternando costantemente il maschile al femminile.
¹ Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1095a, p. 7.
² La prima formulazione di questa prospettiva risale al sofista Trasimaco, secondo quanto riportato da Platone nel primo libro della Repubblica (338c). L’etica occidentale nasce proprio dal confronto con questa posizione, nichilista e bestiale, che fa del monopolio della forza l’equivalente della giustizia.
³ Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1095b, p. 9. Cfr. idem, L’anima, II, 413a, p. 121. Sulla questione si faccia riferimento ad M.F. Burnyeat, Aristotle on Learning to Be Good, in: A.O. Rorty (a cura di), Essays on Aristotle’s Ethics, pp. 69-92.
⁴ Aristotele, Etica Nicomachea, X, 1179b, p. 441. Corsivo mio.
⁵ Ibidem.
⁶ Secondo la tradizione, il termine filosofo
(dal greco philosophos, amico della sapienza
) indica anzitutto un profilo psicologico. Pitagora – si racconta – ha coniato questa parola distinguendo tre modi con cui le persone interagiscono con il mondo e con gli altri. La realtà non è la stessa per chi ha una vocazione commerciale, per chi ha fame di successo e per chi è philo-sophos, attratto dalle questioni di senso (cfr. Cicerone, Tusculanae Disputationes, V, 3, 8-9).
I
Tradizione e felicità
È vana la parola della filosofia se non è capace
di curare alcuna passione umana. Come l’arte medica
è inutile se non guarisce i mali, così la filosofia
se non libera l’anima dalle sue passioni.
Epicuro, fr. 221, Usener
1. La Scuola di Atene
Chi ha visitato i Musei Vaticani si sarà senz’altro fermato a osservare il celebre affresco di Raffaello Sanzio, la Scuola di Atene, posto nella Stanza della Segnatura. I suoi occhi si saranno trattenuti per qualche minuto sui particolari di questo capolavoro del Rinascimento, concentrandosi probabilmente sulle figure di Platone e di Aristotele.
Collocati al centro di una simbolica gerarchia, col cielo azzurro che brilla alle loro spalle, questi due pensatori attirano subito l’attenzione. Platone, rappresentato con i tratti di Leonardo da Vinci, ha il dito indice della mano destra rivolto verso l’alto, in direzione delle Idee, del mondo degli archetipi eterni. Con la sinistra, invece, stringe il Timeo, l’opera dedicata all’origine del cosmo, in cui si presenta la figura di un Dio artigiano che «costruì l’universo per realizzare un’opera che fosse per natura quanto più bella e migliore possibile»⁷.
A fianco vi è Aristotele. Il volto è più giovane, gli occhi sono fissi su quelli del maestro. Ha il braccio destro teso a mezz’aria, la mano aperta con il palmo rovesciato verso il basso. È chiara l’implicazione teorica di questo gesto: Aristotele è il filosofo dell’esperienza, è l’allievo ribelle, contrario alle facili evanescenze dello spirito. Con la mano sinistra regge un libro che condensa l’idea di una vita interamente retta dalla ragione, da una saggezza pratica e fondamentalmente laica. L’Etica Nicomachea.
Di questo libro, evidentemente così importante per Raffaello, parleremo nei prossimi capitoli. Per ora partiamo dagli inizi e chiediamoci intanto: che testo è l’Etica Nicomachea?
2. Una lunga storia
L’Etica Nicomachea appartiene alle cosiddette opere esoteriche, ossia agli appunti presi da Aristotele per le lezioni all’interno del Liceo, la sua scuola, fra il 335 e il 323 avanti Cristo. Il nome del testo rimanda a Nicomaco, figlio di Aristotele, a cui – secondo la tradizione – il filosofo avrebbe dedicato i suoi scritti più importanti sulla felicità.
In realtà, oltre l’Etica Nicomachea, esistono altre due opere dello Stagirita sull’argomento: l’Etica Eudemia, intitolata al discepolo Eudemio Rodio, e la Grande Etica, giudicata spuria dagli studiosi⁸. Questi tre libri sono di difficile lettura, avendo di fatto un carattere tecnico e accademico che sembra ben rispecchiare la personalità di Aristotele. Così Bertrand Russell, ad esempio, descrive il filosofo di Stagira:
«Aristotele, come filosofo, è per molti aspetti assai diverso da tutti i suoi predecessori. È il primo a scrivere come un professore: i suoi trattati sono sistematici, le sue discussioni divise in capitoli; è un insegnante professionale, non un profeta ispirato»⁹.
Non bisogna credere, però, che il filosofo intendesse riservare il suo insegnamento esclusivamente agli studenti del Liceo. Oltre ai testi esoterici, infatti, Aristotele era autore di un gruppo di opere essoteriche, cioè divulgative e meno specialistiche, che purtroppo sono andate perdute. Pare fossero così belle da leggere che lo stesso Cicerone ebbe a definirle un «fiume dorato di stile» (Academica, II, 119).
La sorte ci ha lasciato solo gli scritti tecnici, le lezioni del Liceo, che tuttavia si sono affermati in Occidente solo con grande difficoltà. A seguito della morte del filosofo, i testi esoterici furono trasportati in Asia Minore e nascosti per lungo tempo (persino in una cantina) prima di essere riscoperti e infine pubblicati, fra il 40 e il 20 avanti Cristo, da Andronico di Rodi. Dopo circa cinquecento anni, nel VI secolo dell’era cristiana, Severino Boezio ne tradusse la parte logica, l’Organon, della quale circolarono solo i primi due trattati¹⁰. Durante il Medioevo, dunque, di nuovo si perse contatto diretto con buona parte delle opere originali.
Le cose andarono diversamente nel mondo islamico. Nella prima metà del IX secolo fu aperta, a Baghdad, capitale dell’attuale Iraq, una scuola di traduttori dal greco delle opere di Aristotele. L’Europa cristiana ha dovuto attendere il XII secolo per avere una traduzione in latino di buona parte del corpus aristotelico; l’Etica Nicomachea, addirittura, la prima metà del Duecento. Anche in questo caso, però, l’ingresso di Aristotele in Occidente non fu privo di problemi e di resistenze. Dal 1210, infatti, gli scritti di fisica, metafisica e cosmologia furono proibiti dalla Chiesa a Parigi. Ma, come ricorda Giovanni Reale,
«le proibizioni furono vane e quelle opere di Aristotele vennero vieppiù affermandosi. […] In realtà, dalla seconda metà del XIII secolo Aristotele era divenuto il filosofo le cui opere costituivano, nelle università, i libri di testo per l’insegnamento della filosofia nelle facoltà delle arti»¹¹.
Sono infatti del Duecento i primi tentativi di conciliare la dottrina cristiana con l’aristotelismo. In questo periodo fiorirono alcuni ampi commentari dell’opera di Aristotele, Etica compresa, fra i quali il più celebre è senz’altro quello di Tommaso d’Aquino. Per avere un’idea dell’importanza della filosofia di Aristotele nella cultura del tempo basta ricordare il suo contributo nella realizzazione dell’opera più importante della letteratura italiana, la Divina Commedia. Dante, che incontra Aristotele nel Limbo, lo definisce il «maestro di color che sanno» (Inferno, IV, v. 131).
Solo in età moderna, dopo un’ultima valorizzazione umanistico-rinascimentale, la filosofia prese un’altra strada. Con la rivoluzione scientifica, Aristotele non ebbe più un ruolo da protagonista nella storia del pensiero, venendo ridotto, con episodiche riconsiderazioni, a una collocazione nel complesso marginale. Anche l’etica aristotelica rimase un fatto pressoché specialistico, estraneo ai grandi interessi culturali della modernità. L’Etica Nicomachea tornò così a essere, a tutti gli effetti, un sapere esoterico.
3. Attualità dell’etica aristotelica
Questa lunga storia, che sembrava ormai conclusa, ha avuto un improvviso sviluppo nella Germania del secolo scorso, dove si è assistito a una «riabilitazione (o rinascita) della filosofia pratica» nella forma di un neo-aristotelismo¹². Il movimento, di cui Hans-Georg Gadamer fu l’iniziatore, ha avuto un certo seguito nel corso degli anni Settanta, pur rimanendo ancora circoscritto al mondo delle universit๳.
In realtà il fenomeno della filosofia pratica era presto destinato ad assumere il volto di un vero e proprio invito alla pratica filosofica, di carattere essoterico – dunque rivolto ai non filosofi, agli esterni delle accademie¹⁴. La forte trasformazione sociale e culturale dell’Occidente negli ultimi decenni, dettata anche dal progresso tecnologico, ha comportato un cambio di paradigma
nell’ambito della filosofia morale, determinando la nascita delle cosiddette etiche applicate¹⁵. Oggigiorno non è raro sentir parlare del rapporto fra l’etica delle virtù, della quale tratteremo, e i contesti apparentemente più lontani dalla filosofia, come il mondo aziendale¹⁶.
Questo processo ha recentemente coinvolto anche la psicologia, dimostrando la straordinaria fecondità del sapere antico. Con la pubblicazione dell’articolo di Martin Seligman e di Mihály Csíkszentmihályi (Positive Psychology: an Introduction), si è infatti aperto un filone di ricerca interessato a studiare «le forze temperamentali e le virtù capaci di dare alla vita più valore, più significato»¹⁷. Negli ultimi cinquant’anni, scrive Seligman,
«la psicologia si è dedicata interamente a un unico argomento – la malattia mentale – e senza dubbio ha assolto questo suo compito piuttosto bene […]. Questo progresso, tuttavia, ha comportato costi molto elevati. Il compito di alleviare gli stati che rendono la vita infelice ha reso prioritario un altro obiettivo: quello di incrementare gli stati che rendono la vita degna di essere vissuta […]. Ormai il tempo è maturo per una scienza che cerchi di comprendere le emozioni positive, di incrementare potenzialità e virtù e di fornire linee di condotta per raggiungere quello che Aristotele definiva il ben-essere
, la felicit໹⁸.
La psicologia positiva – che non va confusa con registri motivazionali – ha così recuperato alcune idee fondamentali dell’etica aristotelica, inaugurando sintesi interessanti con la filosofia pratica.
In ogni caso un’idea accomuna questi diversi movimenti della cultura. La persuasione, cioè, che la tradizione sia capace di aiutare l’uomo e la donna di oggi a orientarsi nella società dominata dalla tecnica, dalla liquidità dei rapporti, dal bisogno di senso. E che una bussola per volgersi sulla giusta strada sia costituita proprio dal libro che Raffaello ha posto sotto il braccio di Aristotele, nel cuore del Vaticano: l’Etica Nicomachea.
⁷ Platone, Timeo, 30b, p. 187.
⁸ Etica Nicomachea ed Etica Eudemia condividono, inoltre, alcuni libri: il quinto, il sesto e il settimo libro della prima corrispondono al quarto, quinto e sesto della seconda, infatti omessi nelle traduzioni moderne dell’Etica Eudemia.
⁹ B. Russell, Storia della filosofia occidentale, p. 173.
¹⁰ Come ricorda Giovanni Reale, «il mondo latino […] dal VI al XII secolo di fatto conobbe e studiò, di Aristotele, solamente i primi due trattati dell’Organon»: G. Reale, Introduzione ad Aristotele, pp. 177-178.
¹¹ Ivi, p. 181.
¹² E. Berti, Nuovi studi aristotelici – Filosofia pratica, p. 7.
¹³ Cfr. ibidem.
¹⁴ Del resto non solo in senso strettamente aristotelico. È del 1982 la fondazione, da parte Gerd B. Achenbach, della prima associazione mondiale per la consulenza filosofica (Gesellschaft fur die Philosophische Praxis): cfr. G.B. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita.
¹⁵ Cfr. la Premessa di Adriano Fabris al volume da lui curato: A. Fabris (a cura di), Etiche applicate, pp. 11-18.
¹⁶ Cfr. R. Audi, L’etica delle virtù come risorsa nel mondo degli affari, in: ivi, pp. 209-239. Del resto però, a questo riguardo, conviene ricordare come per Aristotele «chi crede che si debbano possedere le virtù in vista dei beni esteriori compie ciò che è accidentalmente bello»: Aristotele, Etica Eudemia, VIII, 1249a, p. 759.
¹⁷ L. Samaso, Virtù e forza del carattere. La psicologia positiva
ci porterà verso un paradigma dialogico?, pp. 159-165. Cfr. M.E.P. Seligman, M. Csíkszentmihályi, Positive Psychology: an Introduction, pp. 5-14.
¹⁸ M.E.P. Seligman, La costruzione della felicità, p. XII.
II
La felicità come fine
Tutti gli uomini, Gallione, fratello mio,
vogliono vivere felici, ma quando si tratta
di discernere con chiarezza che cosa renda
una vita felice, brancolano nel buio.
Seneca, La vita felice, 1.
1. Il sommo bene
«Ogni arte e ogni indagine, come pure ogni azione e scelta, a quanto si crede persegue qualche bene»¹⁹. Così Aristotele introduce la prima delle sue lezioni sull’etica. Tutto ciò che facciamo – dice il filosofo – ha l’obiettivo di farci conseguire uno scopo. Questo scopo è un bene, e questo bene può essere ottenuto per sé o con il fine di realizzare qualcosa d’altro, da noi giudicato ancora più importante.
Sembra tutto molto astratto, e conviene utilizzare subito degli esempi. Mario si è iscritto a un corso di informatica.