I romanzi di Cesare Pavese: Paesi tuoi - La spiaggia - Il compagn
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Con una scrittura essenziale e poetica, Pavese riesce a creare un'atmosfera di sospensione e di attesa che rende il romanzo un'esperienza di lettura intensa e coinvolgente.
Tema centrale dell'opera è il conflitto tra il mondo rurale e quello urbano, tra l'istinto e la ragione, tra la passione e la violenza. Infatti, il romanzo, crudo e violento, mette a nudo le contraddizioni della natura umana. La bestiale violenza della passione di Talino, la violenza del linguaggio quasi dialettale, i ricorrenti riferimenti che alludono a una trasparente realtà sessuale, l'argomento dell'incesto, materia tabù a quei tempi, suscitarono forti reazioni.
Segue La spiaggia, ove il lettore che ha seguito il percorso inverso proposto da Federico Petrarca, può immediatamente riconoscere numerosi temi della narrativa pavesiana, ovvero l’amicizia, le radici, le descrizioni di paesaggi indimenticabili. Tuttavia manca uno svolgimento coerente ed alcune descrizioni, come quella del paesaggio delle Langhe, sembrano bozzetti descrittivi con accenni impressionistici tanto che lo stesso Pavese, nei suoi Saggi, lo dichiarò "romanzetto":
Il compagno è un romanzo sul quale la critica non si è soffermata sufficientemente nonostante sia un capolavoro del neorealismo italiano essendo riuscito l’autore ad esprimere intensamente la sofferenza per il disagio esistenziale di un’epoca, tra la guerra di Spagna e la Seconda guerra Mondiale, quando l’entusiasmo popolare per il regime fascista inizia a venir meno. La cospirazione politica, il mondo operaio, le aspettative del dopoguerra vengono raccontate senza retorica. Il romanzo è un'importante testimonianza del periodo storico in cui è ambientato.
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Anteprima del libro
I romanzi di Cesare Pavese - Federico Petrarca
L'autore
Federico Petrarca è lo pseudonimo scelto qui, per la prima volta, da un autore di lunga data che, accogliendo la richiesta dell'editore, ha pubblicato in tre volumi i suoi appunti sui romanzi di Cesare Pavese.
Nel primo volume introduce Il carcere, che trasfigura l'esperienza del suo confino in Calabria, e La Casa in collina, due romanzi pubblicati da Einaudi nel 1948 nella raccolta Prima che il gallo canti.
Nel secondo volume si sofferma su La bella estate, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole, raccolti da Einaudi nel trittico La bella estate che, pubblicato nel 1949, vinse il Premio Strega 1950.
In questo volume riporta:
Paesi tuoi, il primo romanzo pubblicato da Cesare Pavese;
La spiaggia, ove il lettore, avendo seguito questo percorso inverso proposto da Federico Petrarca, può immediatamente riconoscere i temi della narrativa pavesiana, ovvero l'amicizia, le radici, le descrizioni di paesaggi indimenticabili;
Il compagno, ove il protagonista, al contrario di quelli conosciuti in Prima che il gallo canti, pur soffrendo il disagio esistenziale dell'epoca fascista, spera di poter dare un valore alla propria vita attraverso la politica, mediante la lotta civile, intendendo spezzare il cerchio di solitudine e di tragicità che circondava da sempre la vita di Cesare Pavese.
Federico Petrarca
I ROMANZI DI CESARE PAVESE
Paesi tuoi
La spiaggia
Il compagno
Nel logo viene riportato il volto di Leonardo da Vinci ormai vecchio e la scritta Massaro Editore.Proprietà letteraria riservata
©2023 Massaro editore -- Fano
ISBN 9791281053151
In copertina Pablo e Gina
Opera protetta dalla legge sul diritto d'autore
è vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata
Introduzione
Nel primo volume di questa collana mi sono soffermato su Il carcere e La casa in collina. Nel primo romanzo, Cesare Pavese trasfigura l'esperienza del suo confino a Brancaleone, paesino della Calabria. Il confino non è solo fisico ma anche esistenziale tanto che lo scrittore descrive il paesino come fatto di deserto e pareti invisibili al punto che lo stesso mare rappresenterebbe una quarta parete del carcere.
I due elementi cardinali vengono accennati fin dal suo arrivo al confino: lo sfondo paesistico con i suoi «colori aspri e teneri» e lo stupore « ammaccato » del protagonista Stefano, «stupore come di mosca chiusa sotto un bicchiere »: «Ti sei guardato intorno stupito e ammaccato, e hai visto dell'aria, delle case, della spiaggia bassa, tutto a colori aspri e teneri, come il rosa su una parete scabra » (Il mestiere di Vivere, 25 febbraio 1938). D'altronde, la difficoltà del rapporto con gli altri e l'incomunicabilità da parte di intellettuali del nord è uno dei temi centrali della letteratura.
La casa in collina rappresenta la grande pagina bianca della sua vita ovvero la mancata partecipazione alla Resistenza mentre alcuni dei suoi amici più cari morivano nella lotta antifascista.
Isbn: 9791281053137
*****
Nel secondo volume ho riportato La bella estate, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole, tre romanzi inseriti da Einaudi nella collana Supercoralli, riuniti, per la loro unità dei temi, il 1961, nel trittico La bella estate. Oltre al romanzo che dà il titolo alla silloge, Einaudi aveva riportato Il diavolo sulle colline e Tra donne sole.
Mi sono soffermato sul tema predominante, ovvero il passaggio dall'adolescenza alla maturità (il passaggio di crescita), caratterizzato dall'esplorazione e dalla scoperta o dal gusto per la trasgressione che, nella maggior parte dei casi, porta alla delusione, alla crisi individuale, quindi, alla sconfitta, in alcuni casi persino al suicidio.
Isbn: 9791281053144
*****
In questo volume riporto Paesi tuoi, La spiaggia, Il compagno. Il testo è ripreso dalle edizioni Einaudi curate dallo stesso autore.
Tra città e campagna vi è sempre la classica contrapposizione che si evidenzia quando i protagonisti, per accedere al mondo adulto, devono abbandonare la tranquillità e le certezze del microcosmo rurale per introdursi nelle contraddizioni e ipocrisie della vita urbana.
A differenza di altre opere di questo periodo come Paesi tuoi, Il carcere o La casa in collina, il paesaggio è prevalentemente urbano, i personaggi vengono descritti dall'esterno, si nota subito che lo scrittore presta minore attenzione all'ambiente.
***
Paesi tuoi, il primo romanzo pubblicato da Cesare Pavese nel 1941, è un'opera fondamentale della letteratura italiana avendo contribuito a definire il neorealismo.
Con la sua scrittura essenziale e poetica, Pavese riesce a creare un'atmosfera di sospensione e di attesa che rende il romanzo un'esperienza di lettura intensa e coinvolgente.
Il romanzo è ambientato nella Langa piemontese, in un piccolo paese della campagna. Il protagonista, Berto, un meccanico torinese, dopo aver scontato una pena in carcere, decide di seguire il suo amico Talino, un contadino, nella sua terra d'origine.
Berto è un uomo inquieto e solitario che cerca di trovare un senso alla propria vita. In campagna, inizialmente, si sente estraneo e disorientato, il mondo rurale, con le sue tradizioni arcaiche e la sua natura selvaggia, lo affascina e lo spaventa allo stesso tempo.
A poco a poco, Berto comincia a integrarsi nella vita della famiglia di Talino. Conosce le sue sorelle, in particolare Gisella, una ragazza bella e sensuale, che lo attrae profondamente.
Tuttavia, la relazione tra Berto e Gisella è destinata a finire tragicamente. Talino, infatti, è profondamente innamorato della sorella e non accetta la sua relazione con l'uomo di città.
Un giorno, in un raptus di gelosia, Talino uccide Gisella. Berto, sconvolto e distrutto, decide di tornare a Torino.
Tema centrale dell'opera è il conflitto tra il mondo rurale e quello urbano, tra l'istinto e la ragione, tra la passione e la violenza. Infatti, il romanzo, crudo e violento, mette a nudo le contraddizioni della natura umana. La bestiale violenza della passione di Talino, la violenza del linguaggio quasi dialettale, i ricorrenti riferimenti che alludono a una trasparente realtà sessuale, l'argomento dell'incesto, materia tabù a quei tempi, suscitarono forti reazioni.
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Segue La spiaggia, ove il lettore che ha seguito il percorso inverso da me proposto, può immediatamente riconoscere numerosi temi della narrativa pavesiana, ovvero l'amicizia, le radici, le descrizioni di paesaggi indimenticabili. Tuttavia manca uno svolgimento coerente ed alcune descrizioni, come quella del paesaggio delle Langhe, sembrano bozzetti descrittivi con accenni impressionistici tanto che lo stesso Pavese, nei suoi Saggi, lo dichiarò romanzetto
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La spiaggia, invece, il mio romanzetto non brutale, non proletario e non americano - che pochi per fortuna hanno letto - non è scheggia del monolito. Rappresenta una mia distrazione, anche umana, e insomma, se valesse la pena, me ne vergognerei. È quella che si chiama una franca ricerca di stile.
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Il compagno è un romanzo sul quale la critica non si è soffermata sufficientemente nonostante sia un capolavoro del neorealismo italiano essendo riuscito l'autore ad esprimere intensamente la sofferenza per il disagio esistenziale di un'epoca, tra la guerra di Spagna e la Seconda guerra Mondiale, quando l'entusiasmo popolare per il regime fascista inizia a venir meno. La cospirazione politica, il mondo operaio, le aspettative del dopoguerra vengono raccontate senza retorica. Il compagno è un'importante testimonianza del periodo storico in cui è ambientato.
Il romanzo è diviso in due parti: la prima, ambientata a Torino, è incentrata sulla storia d'amore tra Pablo e Linda. La seconda, ambientata a Roma, è incentrata sulla storia d'amore tra Pablo e Gina e sulla sua maturazione politica.
È un romanzo di formazione che racconta il passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Pablo, il protagonista, è un personaggio in cerca di un senso alla propria vita e, nel corso del romanzo, trova la sua vocazione nella politica e nell'amore.
È anche un documento storico sulla situazione politica italiana alla fine degli anni '30. Pavese descrive con realismo la repressione del regime fascista e la lotta dei comunisti per la libertà.
Pablo, il protagonista, Pablo, è un giovane di estrazione piccolo-borghese che vive a Torino alla fine degli anni '30. Indeciso e insoddisfatto, non sa cosa fare della sua vita. Passa le giornate senza fare niente, la sera si ritrova con gli amici a suonare la chitarra, e ogni tanto si innamora di una ragazza, ma le sue relazioni finiscono sempre male.
Al contrario dei protagonisti conosciuti in Prima che il gallo canti, pur soffrendo il disagio esistenziale dell'epoca fascista, dopo una delusione amorosa, spera di poter dare un valore alla propria vita attraverso la politica, mediante la lotta civile. L'impegno politico di Pablo è un modo di trovare un senso alla sua vita, lo fa sentire parte di qualcosa di più grande di lui, gli dà la forza di combattere per i suoi ideali.
Ancora una volta il protagonista fa da paravento al cerchio di solitudine e di tragicità che circondava da sempre la vita di Cesare Pavese per la pagina bianca della sua vita.
Il compagno
Pablo arriva a Roma, diventa un attivista del movimento antifascista, conosce e poi frequenta Gina che lo seguirà quando rientrerà a Torino.
Donna semplice e concreta, vive la sua vita con determinazione. Inizialmente, pur attratta da Paolo, diffida poiché indeciso e insoddisfatto ma con il passare del tempo inizia a capire che Pablo è un ragazzo buono e gentile.I due si amano profondamente, il loro rapporto si basa sull'amore e sul rispetto, il loro amore, maturo e consapevole, è anche un legame di solidarietà e di lotta comune.
Sulla relazione uomo-donna, a differenza di tutti gli altri romanzi, Pavese si concentra sui punti di forza e sulle opportunità, piuttosto che sui problemi e sulle difficoltà. Questa narrazione positiva è un modo di raccontare, incoraggiante e stimolante, migliora l'umore e la motivazione ed è un mezzo potente per comunicare in modo efficace e positivo aiutando a migliorare la propria vita e la vita degli altri. Purtroppo, tale modo di narrare non troverà più spazio in tutti gli altri romanzi.
La formazione scolastica e universitaria
Cesare Pavese è stato uno scrittore, poeta, traduttore italiano. Considerato uno dei maggiori scrittori italiani del XX secolo, la sua opera è ancora oggi letta e apprezzata in tutto il mondo.
Nacque a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, in Piemonte, il 9 settembre 1908. Trascorse l'infanzia e l'adolescenza nel paese natale, dove il padre Eugenio era cancelliere presso la Pretura e la madre Consolina Mesturini casalinga. Nelle Langhe, un'area rurale del Piemonte, la sua famiglia possedeva un piccolo podere.
Erano 5 figli, Maria era la sorella più grande di lui di sei anni, una sorella e due fratelli morirono in tenerissima età. Grande sostenitrice del lavoro del fratello, di cui fu fonte di conforto e sostegno durante i suoi periodi di depressione, Maria lavorò presso l'editore Einaudi come dattilografa e correttrice delle sue bozze. Morì nel 1995 all'età di 86 anni.
La madre dello scrittore proveniva da una famiglia di ricchi commercianti di Ticineto Po. Per motivi di salute si faceva aiutare a crescerlo da Vittoria Scaglione, sorella di Giuseppe Pinolo
, falegname, musicista e amico di Cesare Pavese per tutta la vita. Uomo semplice e umile, ma anche molto intelligente e curioso, amava leggere e suonare il clarinetto. A lui Pavese si ispirò per il personaggio di Nuto del romanzo La luna e i falò ambientato nelle Langhe dove Pavese e Scaglione hanno trascorso insieme la loro infanzia e giovinezza. Scaglione morì a Santo Stefano Belbo nel 1988 all'età di 83 anni.
Pavese ricorda così la morte del padre causata da un tumore al cervello, avvenuta il 2 gennaio 1914: «Mio padre morí che avevo sei anni e io giunsi a venti senza sapere come un uomo si comporta in casa. [...] Mia madre aveva cercato di tirarmi su duramente come farebbe un uomo, e ne aveva ottenuto che tra noi non usavano né baci né parole superflue, né sapevo che cosa fosse famiglia».
Frequentò le elementari all'istituto privato delle signorine Trombetta, in via Garibaldi a Torino, il ginnasio inferiore presso l'Istituto «Sociale» dei Gesuiti, nell'ottobre 1923 inizia la formazione presso il ginnasio superiore «Massimo D'Azeglio (e non il liceo «Cavour» come viene riportato da molti biografi).
Aveva già cominciato a «infilare in versi le ideucce brulicanti per il suo cervello» sulla Rivoluzione di Russia; una «canzonetta politica zoppa, e sciancata» dal titolo «Trotzky e Lenin van morti» che, invero, è composta da due quartine mirabili per armonia di verso e per concisione epigrammatica; una tentata poesia; un ingenuo diario in prosa.
Il 1922 erano state compiute azioni che verranno evocate da una ragazzo di appena 14 anni nella poesia Una generazione, scritta nel 1934: la Camera del Lavoro venne assaltata il 18 dicembre dalle squadre d'azione torinesi; erano stati incendiati il Circolo dei Ferrovieri e quello intitolato a Carlo Marx; la sede de «L'Ordine Nuovo» era stata distrutta.
Al liceo classico «Massimo D'Azeglio» di Torino ebbe come compagni Guido Bachi, Giorgio Curti, Remo Giacchero, Tullio Pinelli, Carlo Predella. Suo professore di italiano e latino fu Augusto Monti, crociano, gramsciano, gobettiano. Vi erano anche Umberto Cosmo, Raffaele Ciaffi, Oreste Badellino (!). Delle sue infinite letture ricorderà in particolar modo Le monde avant l'apparition de l'homme di Camille Flammarion. Così scriveva a Bianca Garufi il 21 febbraio 1946: «...era il primo vero libro che leggessi, e sapevo tutto del periodo siluriano e giurassico e capivo che i romanzi d'avventure che avevo letto da ragazzo erano la stessa cosa, e insomma diventavo quello che sono».
Dopo aver tentato di scrivere versi, risultanti alquanto pedanti, si esercitò fino a raggiungere risultati soddisfacenti. Decise quindi di raccoglierne alcuni che inviò agli amici per avere e consigli.
Il 1926 conseguì la maturità classica lasciando finalmente «quella stia da capponi che è la scuola» (Lettera a Tullio Pinelli, 1° agosto). Continuò e si fece intenso il rapporto con Augusto Monti che in profonda amicizia lo incoraggiava («Per voi la scuola nostra comincia ora... venite a parlarmi dei vostri studi, delle vostre opere, dei vostri giorni...» confrontandosi in modo schietto e sincero: «il primo dei miei scolari, il primo che, uscito dalla mia scuola, abbia voluto entrar nella mia amicizia, il primo quindi anche cronologicamente dei miei scolari piú miei, è stato anche quello con cui ho piú a lungo e piú tenacemente discusso -- anzi, letteralmente, litigato». Pavese divorava i classici: studiò il greco, il tedesco sul Faust, Orazio, Ovidio, Quintiliano, Boccaccio, Shakespeare, la Légende des Siècles e le Foglie d'erba di Walt Whitman lo affascinarono tanto che si laureò con una tesi proprio su Whitman.
Si era infatuato per la soubrette Milly (Carolina Francesca Giuseppina Mignone), della famosa compagnia di Ripp e Bel Ami, ma, nel mese di luglio 1927 scrisse a Mario Sturani esponendo il semplice motivo per cui si era imposto che svanisse dalla sua mente: «... È tornata la mia ballerina. [...] | Il primo giorno l'ho voluta rivedere, poi mi sono imposto di girare tutta la notte per le strade delle mie colline, tra i boschi. [...] È bella, sí, giovane, meravigliosa, tutto quello che si può dire, ma ci sono le poltrone in mezzo tra me e lei e nelle poltrone ci sono sempre seduti molti uomini. Questo piccolo fatto mi ha fatto riflettere e a poco a poco, e ci ho sofferto mica poco, la bella, la divina, la venerea lavoratrice delle gambe mi è svanita dalla mente. Cioè, è ancora qui, come un bel ricordo, ma certo non si accenderà piú».
A tale infautazione si contrappose l'amore per «una ragazza» che gli donò una «poesia intensa»: «Prima di te tutte le mie pagine non erano che sfoghi sforzati e tremendi, fulminei, di lunghe sofferenze grige che a un tratto culminavano in una irresistibile potenza di spasimo, o cose morte stentate e sofferte in segreto e con immensa vergogna. Ma ora dopo la tua apparizione azzurra, [...] la poesia è diventata una cosa sola colla mia esistenza». A questa ragazza dedica 25 liriche, tra queste «Ti amo, bambina», «Ho tentato baciarti e tu mi hai morso», «La rosa che mi hai data è tanto triste», «Penso, bambina, quando accanto a te», ecc.
Molte privilegiano il motivo del suicidio accennato anche nelle lettere contemporanee. Il 12 luglio scriveva a Tullio Pinelli: «È, in fondo a ogni mio esaltamento, l'esaltamento supremo del pensiero del suicidio. Oh, un giorno ne avrò bene il coraggio! Lo vagheggio di ora in ora tremando. È il mio ultimo conforto».
Lo stesso Monti caldeggiò la nascita della «confraternita» di ex allievi dellle sezioni A e B del D'Azeglio. Nella «confraternita» entrarono a far parte anche Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli, Giulio Cesare Argan che nel D'Azeglio non erano mai entrati.
La «confraternita», inoltre, aveva anche rinsaldato i rapporti di amicizia con molti giovani conosciuti in precedenza, oltre a Mario Sturani, Norberto Bobbio, Federico Chabod, Giulio Einaudi, Massimo Mila, Vittorio Foa, Remo Giacchero, Enzo Monferini, Leone Ginzburg che li accolse nella propria casa ove ebbe luogo la prima riunione dei futuri intellettuali che si chiamavano con soprannomi: «Barone» (è Pavese), «Bindi» (è Bobbio), «Pollo» (è Sturani).
Ormai, prima di laurearsi, aveva acquisito competenze tecniche che lo soddisfacevano. Il 29 luglio così scriveva a Carlo Pinelli: «un tempo smaniavo a applicarmi al tavolino, ebbene, ora, senza sforzo, mi preparo per un esame biennale, studio un mucchio di cose e di tanto in tanto dò fuori come un galletto poesie e novelle».
Aveva ormai acquisito padronanza nel verso libero tanto che allo stesso Pinelli scriveva il 5 agosto: «... in mezzo alla vita che ci circonda, non è piú possibile scrivere in metro rimato come non è lecito andare in parrucca e spadino» ed esibiva le poesie dell'anno raccolte poi in Le febbri di decadenza.
Aveva appreso «lezione tecnica» che gli facilitava «il mestiere dell'arte e la gioia delle difficoltà vinte, i limiti di un tema, il gioco dell'immaginazione, dello stile, e il mistero della felicità di uno stile, che è anche un fare i conti con l'ascoltatore o lettore possibile».
Nel 1930, si laureò con una tesi su Walt Whitman. Dopo la laurea, trovò lavoro come impiegato presso la casa editrice Einaudi, dove rimase per tutta la vita e pubblicò le opere conosciute in tutto il mondo, piene di poesia e di bellezza, caratterizzate da un forte senso di solitudine e di malinconia con personaggi che sono spesso degli antieroi in cerca di trovare il loro posto nel mondo, interrogandosi sul senso della vita e sulla morte.
Il 27 agosto 1950 si suicidò a Torino. Aveva 41 anni.
Dal Premio Strega al suicidio
Nel 1949 l'editore Einaudi nel 1949 pubblicò nella collana I supercoralli tre romanzi brevi di Cesare Pavese in una raccolta intitolata La bella estate che il 24 giugno dell'anno successivo gli valse il Premio Strega commentato dallo scrittore con un parole che sembravano un epitaffio «a questo trionfo manca la carne, manca il sangue, manca la vita», (17 agosto, MV, 400).
È Leone Piccioni, critico letterario tra i più apprezzati da Pavese, autore di saggi su Ungaretti, Federigo Tozzi, Carlo Emilio Gadda, Giacomo Leopardi racconta fedelmente la sua reazione all'annuncio della vittoria nell'introduzione all'edizione del 1968 de La bella estate nella collana I Premi Strega diretta da Maria Bellonci per le edizioni del Club degli Editori.
La sua è una testimonianza affidabile per aver utilizzato gli inserti dei diari ed è una testimonianza diretta in quanto presente alla serata di premiazione che racconta così:*
.«Tardo giugno 1950: illuminazione assai forte su quella terrazza, cineoperatori (la TV non c'era ancora), gente assai fitta, un caldo da scoppiare: era notte ma si sudava, il pavimento (asfalto, non so, mattonelle) ribolliva: vestiti leggeri, per quanto se ne volesse, un bel caldo!
Per la prima volta a me accadde di vedere quella sera Cesare Pavese di persona. Arrivò in atteggiamento assai singolare, e per me indimenticabile, asciutto e schivo, a disagio ma anche un poco abbandonato a quell'insolito piacere (un piacere che avrebbe dovuto essergli sgradito, ma lì per lì, sgradito davvero non gli era), da pochissimi conosciuto personalmente, ma da tutti amato o avversato come scrittore e come personaggio, già un mito vivo per la letteratura di allora, in un momento per lui cruciale anche rispetto a quella che di lì a poco fu la volontaria fine della sua vita.
Vestito di chiaro, profilo teso sotto gli occhiali, anche se rispondeva sorridendo ai saluti, e poi ai complimenti -- reso noto l'esito della votazione -- non mutava lo stato della sua tensione. Vinse a mani basse, com'era giusto, ampiamente doppiando gli altri candidati della «cinquina», con enorme distacco di voti anche dal secondo: e di rado premio letterario fu meglio assegnato di questo dato a Pavese per La bella estate. Di fronte a saluti, ad applausi, a complimenti, Pavese cercava piuttosto rifugio nello sguardo e nella vicinanza della bella attrice americana Doris Dowling, sorella di Costance, di cui Pavese era, in quel momento, molto innamorato, ma già in una profonda crisi sentimentale come poi, dalle date del diario, Mestiere di vivere, fu facile ricostruire. (E che sorte tragica e amara toccò anche a quelle due splendide sorelle!)».
Per quella sera del Premio, nel diario è scritto:
«Domattina parto per Roma. Quante volte dirò ancora queste parole? È una beatitudine. Indubbio. Ma quante volte la godrò ancora? E poi? Questo viaggio ha l'aria di essere il mio massimo trionfo. Premio mondano, D. (oris) che mi parlerà -- tutto il dolce senza l'amaro. E poi? e poi? Lo sai che sono passati i due mesi? E che, any moment, può tornare?» (22 giugno)».
(Ed era certo Costance che poteva «tornare»: «For C. Ripness is all» fu la dedica de La luna e i falò. «To C. from C.» sarà quella di Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi).
Poi, passati venti giorni (14 luglio):
«Tornato da Roma, da un pezzo. A Roma, apoteosi. E con questo? Ci siamo. Tutto crolla. L'ultima dolcezza l'ho avuta da D. (oris), non da lei. Lo stoicismo è il suicidio. Del resto sui fronti la gente ha ricominciato a morire». (La guerra di Corea era in pieno corso).
Alla premiazione Pavese si era fatto accompagnare da Doris Dowling, sorella della diva americana di cui era innamorato, suscitando la curiosità e i pettegolezzi dei presenti: «Il premio fu la solita cosa -- un premio dato tra gente che se ne infischia. Ma stavolta li ho battuti: la mia compagnia era tale che io costituivo il centro non solo intellettuale ma altresí mondano e scandalistico della serata. A bomba atomica bomba atomica» (a Lalla Romano, 17 luglio, LII, 550).
Una lettera che nulla faceva presagire sull'imminente suicidio ma, soprattutto, una lettera dove non confessava la propria amarezza, annotata nel Diario, per non avere avuto Constance, bensì la sorella Doris, accanto a sé in occasione del conferimento del premio.
Constance Dowling non era presente e, ultima, grande delusione della sua vita, non lo sarà più.
La Dowling, in Italia dal 1947 al 1950, recitò in alcuni film italiani, fra i quali Miss Italia accanto a una giovane Gina Lollobrigida. Durante la sua permanenza in Italia, nella sera del Capodanno 1949, i due si incontrarono a casa di amici a Roma. Il poeta-scrittore s'innamorò di lei ma, deluso da Roma e dal suo ambiente, tornò a Torino. Qui s'incontrarono nuovamente e trascorsero insieme alcuni giorni in un intenso, ma estremamente breve, idillio d'amore.
La bella illusione svanì ben presto, l'attrice partì per Roma e poi se ne tronò a Hollywood. Non rispose mai alle numerose lettere dell'innamorato: Cara Connie, volevo fare l'uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. (...) Ti amo. Cara Connie, di questa parola so tutto il peso -- l'orrore e la meraviglia -- eppure te la dico, quasi con tranquillità. L'ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è quasi nuova per me
. Nessuna risposta.
Sperando sempre nel suo ritorno, Pavese le inviò la dedica de La luna e i falò (For C. - Ripeness in all
) ma, quando venne a conoscenza che la Constance aveva una relazione con un attore conosciuto sul set del suo ultimo film, aveva finalmente chiaro che l'aveva perduta per sempre e il mancato riscontro alle sue lettere era stato un velato ammonimento. Connie era passata dal suo letto a quello di Andrea Cecchi.
Scrisse le sue ultime poesie, tra cui Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,(gli occhi di Connie!). E, ne Il mestiere di vivere, scrive Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte
.
Il profondo, antico disagio esistenziale pervade totalmente lo scrittore. Torna puntualmente il senso di solitudine e di emarginazione presente nelle sue opere, torna l'ombra minacciosa della morte, torna il vizio assurdo
, come lo definì egli stesso nella stessa poesia. A questo punto organizza la sua uscita di scena.
Il 26 agosto scrive a Mario Motta, direttore della rivista Cultura e realtà: Chi «è tornata»? L'americana? Ho altro da pensare. Ciao. Pavese
.
Il giorno successivo, il proprietario dell'hotel Roma di Torino decide di sfondare la porta della stanza 346 ove alloggia un cliente all'apparenza stralunato. Il letto sfatto, sul comodino delle bustine di sonnifero e I dialoghi con Leucò, testamento della morte prematura e della sua infelicità, il libro a lui più caro.
Per i giornalisti un bigliettino, chiede di non fare troppi pettegolezzi
, riferendosi ovviamente a quella sua ultima tormentata relazione con Connie che, come da testimonianza del nipote, morirà non per attacco cardiaco, riferito ufficialmente, ma, da non crederci, per suicidio con sonniferi.
Ordine cronologico dei romanzi
Questa raccolta comprende i nove romanzi di Pavese secondo l'ordine cronologico in cui furono scritti, tutti pubblicati durante la sua vita. Le date di stesura riportate nelle note che seguono sono quelle segnate da Pavese sui manoscritti. Di quasi tutti i romanzi sono conservati i manoscritti, copie dattiloscritte con correzioni di pugno dell'autore e per taluni anche bozze corrette dall'autore.
Il carcere
Scritto tra il 27 novembre 1938 e il 16 aprile 1939, col titolo Memorie di due stagioni, e conservato inedito fino al 1948, quando venne pubblicato col titolo attuale nel volume Prima che il gallo canti, insieme con La casa in collina. Un primo abbozzo de Il carcere può considerarsi il racconto Terra d'esilio del 1936 (nel volume Racconti, p. 7).
Paesi tuoi
Scritto dal 3 giugno al 16 agosto 1939. Pubblicato in volume nel 1941.
La bella estate
Scritto dal 2 marzo al 6 maggio 1940, col titolo La tenda, e conservato inedito fino al 1949, quando venne pubblicato con questo titolo nel volume omonimo insieme a Il diavolo sulle colline e Tra donne sole.
La spiaggia
Scritto dal 6 novembre 1940 al 18 gennaio 1941. Pubblicato a puntate sulla rivista «Lettere d'Oggi», Roma 1941, nn. 7 sgg., e nello stesso anno in volume, nelle edizioni di «Lettere d'Oggi». L'edizione Einaudi è postuma, del 1956. Il testo da noi seguito è quello del manoscritto.
Il compagno
Scritto dal 4 ottobre al 22 dicembre 1946. Uscí in volume nel 1947. Il tema iniziale del libro (l'amico paralizzato per un incidente motociclistico) era già stato trattato nel racconto Fedeltà del 1938 (nel volume Racconti, p. 251) e in un abbozzo incompiuto di una cinquantina di pagine del dicembre 1941.
La casa in collina
Scritto dall'11 settembre 1947 al 4 febbraio 1948. Uscí in volume nel 1948, insieme con Il carcere, nel volume Prima che il gallo canti. Esistono alcune pagine manoscritte di abbozzi riferentisi a episodi dell'ultima parte del romanzo (la traversata della campagna occupata dai tedeschi) datate 13 settembre-7 ottobre 1944 (cfr. nel volume Racconti: Il fuggiasco, p. 504) e 16 febbraio 1947. La situazione dell'incontro con l'amica d'un tempo, ritrovata con un figlio, è già in alcuni abbozzi di romanzo degli anni 1941-42 (cfr. nel volume Racconti: La famiglia, p. 288).
Il diavolo sulle colline
Scritto dal 20 giugno al 4 ottobre 1948. Pubblicato nel 1949, insieme con La bella estate e Tra donne sole, nel volume La bella estate.
Tra donne sole
Scritto dal 17 marzo al 26 maggio 1949. Pubblicato nel 1949, insieme con La bella estate e Il diavolo sulle colline, nel volume La bella estate.
La luna e i falò
Scritto dal 18 settembre al 9 novembre 1949. Pubblicato in volume nell'aprile 1950.
Paesi tuoi
I
Cominciò a lavorarmi sulla porta. Io gli avevo detto che non era la prima volta che uscivo di là e che un uomo come lui doveva provare anche quello, ma ecco che si mette a ridere facendo il malizioso come fossimo uomo e donna in un prato, e si butta sotto braccio il fagotto e mi dice: -- Bisognerebbe non avere mio padre --. Che gli scappasse da ridere me l'aspettavo, perché un goffo come quello non esce di là dentro senza fare matterie, ma era un ridere con malizia, di quelli che si fanno per aprire un discorso. -- Stasera mangerai la gallina con tuo padre, -- gli dico guardando la strada. -- La prima volta che si esce dal giudiziario, a casa ti fanno la festa di nozze --. Lui mi veniva dietro e mi stava attaccato come se il carrettino dei gelati che passava a tutta corsa minacciasse noi due pedoni. Non aveva mai traversato un corso, si vede, o mi stava già lavorando. Mi ricordo che né io né lui ci voltammo a guardare le Carceri. Faceva effetto vedere le piante spesse del viale e faceva anche un gran caldo, tanto che sudavo tutto, per via della cravatta stretta. Faceva caldo come là dentro, e a un certo punto avevamo scantonato in mezzo al sole.
-- Non c'è nessuno in queste strade, -- sento che dice tutto calmo, come se fosse a casa sua. Pareva già tranquillo e neanche s'accorgeva che andavamo come i buoi senza sapere dove, lui col suo fazzoletto rosso al collo, il suo fagotto, e le sue brache di fustagno. Questi goffi di campagna non capiscono un uomo che, per quanto navigato, messo fuori un bel mattino si trova scentrato e non sa cosa fare. Perché uno poteva anche aspettarselo ma, quando lo rilasciano, lí per lí non si sente ancora di questo mondo e batte le strade come uno scappato da casa.
-- Andiamo almeno all'ombra; non ci costa un centesimo, -- gli dico tirandolo sul marciapiede.
Lui viene e ripiglia a lamentarsi. Faceva il discorso che mi aveva già fatto disteso sulla branda uno di quei giorni. Che suo padre in quella stagione aveva bisogno di braccia e aveva gridato ai carabinieri che aspettassero a prendergli il figlio dopo il raccolto, e al carcere mandamentale s'era fermato sotto la grata a minacciarlo e voleva intentare causa per danni ai padroni della casa bruciata.
-- Quanti anni ha tuo padre? -- gli dico.
-- Piú di sessanta.
-- E con piú di sessanta è ancora cosí dritto?
Qui Talino tornò a ridere come se fossimo soli. Si lamentava e rideva, e teneva tutto il marciapiede. Cominciava a passar gente e si scontravano, perché Talino camminava come se fosse in piazza solo. Andavamo decisi verso il centro e non so chi guidasse: lui veniva con me, io lo guardavo, lo lasciavo camminare, e venivo con lui. Cercavo un bar che non mi conoscessero, per prendere un caffè e pensarci sopra.
Era già mezzogiorno passato e l'avevo solamente seduto nel giardino della stazione. Aveva in mano il suo foglio di via e tornò a chiedermi fino a quando era valido.
-- Io non torno al paese, -- dice, -- Mio padre mi ammazza --. Cosí grand'e grosso, parlava come se fosse ancora davanti alla guardia, e si asciugò il sudore del collo. -- Mio padre non si è ancora sfogato e per fare il raccolto ha dovuto pagare la giornata a un altro. Mio padre è peggio della giustizia.
-- Se ti hanno messo fuori. Non è ancora contento?
-- Non vuol dire. L'avessero preso lui, si sfogava lo stesso con qualcuno.
Visto che non se ne andava, tirai fuori una sigaretta. Tanto lui non fumava. Piegò il foglio e se lo mise nel taschino della camicia, e guardò la fontana.
Io avevo fame. -- Torna a casa. Talino, -- gli dico. -- Vorrei potermene andar io da questi marciapiedi. Cosa vuoi fare qui, che non conosci nessuno?
Allora mi guardò con un occhio solo, come aveva fatto uscendo di là dentro, e a me veniva la rabbia.