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Libri di primo soccorso per l'anima
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E-book218 pagine2 ore

Libri di primo soccorso per l'anima

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Info su questo ebook

Ci sono le ferite materiali, esposte, visibili: per curarle, facciamo ricorso a una buona cassetta di primo soccorso. Poi c’è un altro tipo di malanni, meno tangibili ma capaci di bruciare e fare male altrettanto, se non di più: quando l’infortunio si annida tra i nostri pensieri, quando a essere feriti sono i nostri sentimenti, ci viene in aiuto Libri di primo soccorso per l’anima. Un prontuario organizzato in sedici “scomparti”, ciascuno dedicato a un’emergenza emotiva e ben rifornito di consigli letterari per curare o alleviare il disagio in questione. Quando hai il cuore spezzato, quando ti manca il coraggio, quando ti senti in ritardo rispetto alle tappe della vita, quando una novità ti scompiglia l’esistenza, quando nessuno ti capisce, quando vorresti ma non puoi… Per ogni acciacco, troveremo libri – romanzi, racconti, saggi, graphic novel – che parlano di noi, a noi, e ci suggeriscono una strada per uscire dalla nostra sofferenza. Libri scelti con cura da due lettrici e un lettore d’eccezione, che su tonnellate di pagine hanno fondato la loro amicizia e hanno preso come bussola il desiderio di inclusività, di abbattimento dei confini geografici, di classe, di genere e di orientamento sessuale, di ricerca di voci e punti di vista spesso trascurati.

Attenzione, però: come scrivono Capria, Ferrone e Martucci, le storie non sono aride prescrizioni mediche, da seguire alla lettera. Sono qualcosa di più: palestre in cui allenare la mente e il cuore per affinare le nostre competenze emotive, per imparare a conoscere meglio noi stessi e gli altri, a dare un nome a ciò che proviamo, a comprendere le situazioni che viviamo e ad affrontarle. E sentire che esiste un’immensa biblioteca immaginaria che anche noi possiamo chiamare “casa”.

LinguaItaliano
Data di uscita6 ott 2023
ISBN9788830592902
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    Libri di primo soccorso per l'anima - Carolina Capria

    QUANDO HAI IL CUORE SPEZZATO

    Che strano organo, il cuore. Dimora più o meno nel mezzo del petto ma, a seconda del nostro stato d’animo, sembra possedere la capacità di spostarsi: Ho il cuore in gola, diciamo dopo uno spavento o una forte emozione, mentre i napoletani, quando sono molto tristi, lo sentono precipitare dint’ ‘e cazette, nelle calze. Non solo: a quanto pare il cuore è in grado, per esempio, di cambiare la materia di cui è fatto – Hai un cuore di pietra! –, cosa che non lo mette però al riparo da un rischio che tutte e tutti, nella vita, corriamo: che si spezzi.

    Quando ciò accade, molto spesso a seguito di una delusione d’amore, abbiamo davvero la sensazione che il cuore si sia spaccato in due e che tutto il bene, la tenerezza e la cura che provavamo fino a poco prima – e che percepivamo come racchiusi in quell’involucro di muscolo – si riversino fuori.

    Ma come si guarisce da un cuore spezzato? Come si ricuce uno squarcio che, a guardarlo, sembra insanabile? La risposta è semplice e anche un po’ deludente, perché nella sua banalità sembra quasi togliere valore al sentimento grande e totalizzante la cui privazione ci ha ridotti in lacrime e sofferenti: da un cuore spezzato si guarisce concedendoci tempo e fiducia. E nel frattempo, quando una palpitazione improvvisa rischierà di far saltare i punti di sutura, potrà tornare utile fermarsi, chiudere gli occhi, prendere un paio di respiri profondi, immaginare di coprire la ferita con un cerotto e, infine, leggere la scritta che decora quel cerotto: ANDRÀ TUTTO BENE.

    Il silenzio è cosa viva, Chandra Livia Candiani

    Einaudi, 2018

    A pensarci bene, un cuore spezzato non è molto diverso da un osso fratturato: per guarire, e ricominciare a funzionare al meglio, ha bisogno di tempo e di riposo. Solo portando pazienza e sopportando una condizione di dolore e disagio più o meno lunga, infatti, diamo modo al nostro corpo di produrre il tessuto osseo necessario per tornare a svolgere le normali attività quotidiane.

    Ma se a seguito di una frattura sappiamo di poterci rivolgere a una grande varietà di specialiste e specialisti, quando invece a spezzarsi è il cuore, di solito ci ritroviamo smarriti e senza punti di riferimento autorevoli. Le persone che ci stanno attorno ci suggeriranno di pazientare e ci esorteranno a prenderci cura di noi stessi, a usare il tempo governato dall’amarezza per dedicarci a ciò che amiamo fare... E noi vorremmo davvero seguire queste sagge esortazioni, ma non sappiamo da dove cominciare, perché abbiamo la sensazione che niente possa davvero attutire la pena che proviamo. Ciò che ci rendeva felici e ci faceva stare bene prima che il cuore si spezzasse, nell’oscurità del presente in cui ci troviamo, ha perso la sua forza e non riesce più a distrarci e farci sorridere. Se però vogliamo iniziare a curare davvero il nostro cuore, è proprio sul presente che tanto temiamo che dobbiamo concentrarci, assaporando le piccole abitudini, la semplicità dei gesti quotidiani, e dando valore a quelli che la poeta e scrittrice Chandra Candiani definisce i miracoli del noto.

    Nel saggio Il silenzio è cosa viva, Candiani scrive che la soluzione del dolore si trova nel dolore stesso e non altrove, e che quindi esso non va scacciato, ma assaporato e abitato fino a permettergli di diventare un pezzo di noi. Come? Attraverso la meditazione. Chandra Candiani, che è anche un’insegnante di meditazione, racconta come questa pratica poco conosciuta e spesso fraintesa ci aiuti a riconnetterci con il presente, imparando a sentire il corpo e le sue emozioni, e ci offra un punto di partenza per curare l’anima dolente.

    Come suggerisce il titolo di questo saggio, il silenzio è cosa viva: ciò significa che possiamo e dobbiamo imparare a riconoscerne le sfumature per viverlo e abbandonarci nel suo abbraccio, perché è proprio nel silenzio che possiamo trovare la pace che cerchiamo, che non è fatta di quiete, come siamo soliti credere, ma di un’irrequietezza che va accolta e non combattuta. È solo nel silenzio che possiamo davvero domandarci come stiamo, e rimanere in attesa di una risposta che giungerà quando saremo capaci di formularla.

    Un cuore spezzato può metterci più o meno tempo a guarire, ma nell’attesa che la convalescenza termini, e lui torni a palpitare per nuove emozioni, possiamo dedicare il nostro tempo alla scoperta della persona più importante nella nostra vita: noi.

    Tra quattro mura, Salwa al-Neimi

    Da Il libro dei segreti, traduzione di Francesca Prevedello, Feltrinelli, 2012

    Quando il cuore si spezza per un amore che finisce, il più delle volte ci scopriamo incapaci di agire e di cercare gli strumenti di cui dovremmo servirci per uscire dall’impasse. Sappiamo esattamente che cosa andrebbe e non andrebbe fatto, ma a dispetto di questa apparente lucidità, non riusciamo a scrollarci di dosso pesi e lacci che ostacolano l’azione. Restiamo rinchiusi tra le quattro mura di casa, ci nutriamo di risentimento, ci consumiamo persino, e intanto non facciamo nulla per metterci nelle condizioni di guarire. Riconosciamo l’urgenza di portare il nostro cuore il più lontano possibile dalle mani che l’hanno spezzato, eppure non muoviamo un passo e continuiamo a romperci, un pezzo dopo l’altro.

    La protagonista senza nome di Tra quattro mura, uno degli otto racconti della raccolta Il libro dei segreti, sta facendo i conti con un matrimonio che è arrivato al capolinea. Pur avendo il cuore spezzato ed essendo molto arrabbiata, è in grado di ricostruire con freddezza il processo di deterioramento della sua relazione e sa perfettamente che le cose non torneranno più come una volta.

    Il marito, dal canto suo, l’accusa di essere cambiata dopo la nascita del figlio e, diversamente da lei, non sente il peso della responsabilità per quanto è accaduto. È piuttosto incline agli accessi d’ira, fa scenate di gelosia perlopiù immotivate e, rivendicando la necessità di prendere una boccata d’aria per calmarsi, si allontana spesso da casa, di solito sbattendo la porta.

    Fa così anche durante un Capodanno, mentre la coppia è in vacanza in una località di villeggiatura affacciata sull’Atlantico. E quando più tardi torna a casa, in effetti, appare rasserenato, ma la moglie, che intanto è rimasta chiusa tra quattro mura insieme al bambino, intuisce che tanta improvvisa leggerezza di spirito non è dovuta alla contemplazione delle onde oceaniche, ma all’incontro con due turiste americane con le quali si è piacevolmente intrattenuto. L’anno nuovo è dunque iniziato con un tradimento e, ragiona la donna, se nel frattempo non sarà cambiato nulla, con ogni probabilità si concluderà allo stesso modo.

    Non è affatto facile, però, costringersi all’azione quando i dubbi sulla bontà delle nostre scelte non cessano un istante di darci il tormento. Alla donna è stato insegnato che il matrimonio comporta delle rinunce, che andarsene non è mai un’opzione, specie quando si è già madri. Il dolore di un cuore straziato può al più essere addormentato. La donna ricorre perciò al Valium, ma il farmaco, se da una parte favorisce il sonno, dall’altra la porta a prorogare ancora le decisioni. Mancandole la spinta all’azione, resta ferma, accerchiata da quattro mura che sono state teatro delle peggiori sofferenze, in preda a domande senza risposta e ai ricordi, ora spensierati ora penosi, della vita coniugale. Sa bene che resterà schiacciata, eppure non riesce a decidersi, perché il dolore la paralizza. Il racconto non ci dice se troverà o meno la determinazione ad agire, ma a noi poco importa, perché è nella fotografia del suo immobilismo, più che in un eventuale prosieguo della storia, che possiamo rivedere noi stessi.

    Osservando la donna mentre compie sempre i medesimi gesti, mentre passa il tempo guardando quello che succede così come si guarda il paesaggio fuori da una finestra, riusciremo a ricordare tutte le volte che abbiamo tratto in salvo il nostro cuore, tutte le volte che l’abbiamo cullato, tutte le volte che l’abbiamo curato. Ricorderemo, più di tutto, l’importanza di non stare fermi, di metterci in ascolto del nostro dolore e agire con tempestività per portarci al sicuro, prima che le quattro mura della nostra storia ci crollino addosso.

    Le ferite originali, Eleonora Caruso

    Mondadori, 2018

    Trascurare una ferita, dimenticarsi di medicarla, ignorare le dolorose pulsazioni della carne viva può scompensare il nostro sistema immunitario esponendoci al rischio di sviluppare infezioni che, estendendosi ad altri organi, compromettono rapidamente il nostro stato di salute. Come accade per qualsiasi altra parte del corpo, un cuore ferito è più vulnerabile di un cuore sano, perché non possiede tutte le difese necessarie a impedire che il male ne intacchi in profondità i tessuti e lo faccia ammalare in maniera irreparabile. Il male che trabocca da un cuore ferito, inoltre, diversamente da quanto avviene per gli altri organi, ha la peculiarità di propagarsi ben al di fuori del nostro corpo e di procurare indicibili sofferenze a chiunque ci stia vicino.

    In questo romanzo di Eleonora Caruso, la ferita originale da cui il male si propaga con la furia devastatrice di un’esplosione appartiene al cuore del protagonista, Christian, un giovane bellissimo non ancora trentenne e affetto da bipolarismo. Christian è un seduttore, è un manipolatore, ma è anche uno nato con il peso della tristezza nel petto. La patologia psichiatrica è per Christian una bestia lanciata in una corsa forsennata e inarrestabile, che ora lo conduce sulle magnifiche vette dell’estasi, ora lo scaraventa in un abisso di disperazione, ora lo trascina in un’abulia spettrale e incolore, che spegne emozioni e sensazioni.

    Vittime privilegiate dell’energia tossica di Christian sono le tre persone con le quali il giovane intrattiene simultaneamente una relazione amorosa: Dafne, fragile studentessa di medicina, Dante, quarantatreenne ricco e cinico, Davide, studente di ingegneria ed ex obeso. Christian è un dissimulatore, mente con straordinaria disinvoltura, perciò ciascuno dei suoi amanti ignora l’esistenza degli altri due. Non resta immune agli effetti della rovinosa frenesia del protagonista nemmeno il fratello minore, Julian. Il suo cuore spezzato, più di quello delle altre vittime, scambia per amore salvifico le smisurate manifestazioni d’affetto cui Christian si abbandona, subito prima o subito dopo un periodo più o meno prolungato di immotivata latitanza.

    Scomparendo all’improvviso dalla vita di chi lo ama, Christian governa umori e bisogni di tutti. Non si può mai dare per certo che un giorno farà ritorno, ma intanto ciascuna delle sue vittime vive nell’attesa che accada, condannandosi così a una triste e logorante prigionia. Che Christian sia presente oppure no, dunque, le lesioni del cuore rimangono aperte e l’infezione corre, smorzando progressivamente ogni anelito di vita.

    Una volta che le ferite sono state contaminate, il potere distruttivo dell’originale agisce senza che si possa fare molto per arrestarlo. E quando la verità sulla condotta di Christian verrà a galla, i tentativi di smascherarlo si riveleranno più dolorosi delle ferite stesse, e il percorso verso la liberazione che ciascuna delle sue vittime dovrà compiere sarà lungo e tortuoso. Rischieranno tutte di sprofondare nel baratro dell’autodistruzione, e soltanto la ferma determinazione a prendere le distanze dalla ferita originale – per guarire le proprie – le condurrà a salvarsi.

    La loro storia mostra una volta di più l’importanza di allontanarci da chi ci ha spezzato il cuore. I dubbi cercheranno di trattenerci, i rimorsi freneranno il nostro impulso a fuggire, ma quando accadrà, se accadrà, sarà importante mostrarsi irremovibili, perché non esiste alcuna cura per chi resta.

    Di troppo amore, Ameya Gabriella Canovi

    Sperling&Kupfer, 2022

    Io che non vivo più di un’ora senza te, come posso stare una vita senza te?, recita il ritornello di una famosissima canzone degli anni Sessanta portata al successo da Pino Donaggio. Anche se con parole diverse, probabilmente tutte e tutti ci siamo trovati nella vita ad affermare che senza la persona amata non saremmo stati in grado di andare avanti. Quando veniamo lasciati, infatti, abbiamo la sensazione che un buco nero inghiottisca con la sua forza di attrazione tutto quello che gravitava attorno a noi, facendoci piombare in un buio profondo e senza speranza. Soffrire per amore dopo la fine di una relazione è fisiologico, tanto più se quella relazione durava da anni, e se con la persona amata abbiamo condiviso un percorso di crescita, ma talvolta ci sembra proprio di non riuscire a elaborare l’accaduto e di non sapere come tornare a noi stessi. Non vogliamo che la storia d’amore vissuta volga al termine perché sentiamo di averne bisogno per respirare, e così rimaniamo incastrati nella speranza che lo strappo si possa in qualche modo ricucire e che tutto possa tornare come era prima.

    Nel saggio Di troppo amore la psicologa Ameya Gabriella Canovi parla di un disturbo ancora poco conosciuto, quello della dipendenza affettiva, e attraverso le storie delle sue pazienti e dei suoi pazienti ci guida in un percorso di educazione sentimentale con lo scopo di aiutarci a comprendere il dolore che può lacerarci il cuore e imparare a vivere con più equilibrio e serenità i rapporti amorosi che verranno.

    Sebbene il tema di partenza sia quello degli amori impropri, ovvero quei legami che causano angoscia, tristezza e costante paura di essere abbandonati, la dottoressa Canovi esplora ampiamente un tipo di relazione che riguarda ciascun individuo e in qualunque momento della vita: quella con se stesso.

    Per riuscire a capire le ragioni dell’eccessivo attaccamento alla persona amata e della nostra incapacità ad andare avanti dopo una separazione, per prima cosa dobbiamo tornare al nostro passato e scandagliare il luogo in cui abbiamo sperimentato l’affetto e abbiamo imparato l’amore verso noi stessi. Le ferite che ci portiamo dietro e che ci impediscono di costruire relazioni basate sulla totale reciprocità e sullo scambio, infatti, spesso hanno origine nel modo in cui siamo stati educati all’amore dai nostri familiari e dal nucleo sociale in

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