Il Signore del Tempo
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Scritto nel 1902, “Il Signore del Tempo” può essere definito il primo romanzo di anticipazione scritto in Italia, con la forza di porre interrogativi ancora fin troppo attuali. E in fondo, viene da pensare che Giuseppe Lipparini abbia trovato un metodo non solo per fotografare il passato, ma per cogliere anche il nostro futuro.
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Anteprima del libro
Il Signore del Tempo - Giuseppe Lipparini
Viaggi nel tempo & co.
di Mariana Winch Marenghi
Chi legge fantascienza non può non aver letto una delle opere cardine in materia di viaggi nel tempo, ovvero The Time Machine
di Herbert George Wells, scritto nel 1895 e pubblicato in Italia nel 1902 come La macchina del Tempo
.
Anche se si considera questo titolo come uno dei classici per eccellenza del genere, non possiamo dire sia il primo.
Quasi un decennio prima nel 1883, Eugène Mouton scrive il racconto L’historioscope
, Il Cronoscopio
, immaginando la possibilità di scrutare il passato grazie a un telescopio elettrico.
Molto probabilmente è su ispirazione di questo stesso cronovisore di Mouton che, nel 1901, esce il romanzo che state per leggere, Il Signore del Tempo
di Giuseppe Lipparini. Prima pubblicato a puntate sul quotidiano Il resto del Carlino
, poi in versione integrale come romanzo nel 1904 per la Remo Sandon editore, Il signore del tempo
racconta la storia di un eminente scienziato che inventa una vera e propria macchina in grado di catturare momenti del passato. Da quelli più antichi, a quelli accaduti nell’immediato passato.
A ben vedere, l’idea di uno strumento che permetta di vedere
nel flusso temporale, è un tema caro alla letteratura di anticipazione.
T. L. Sherred, nel 1947, scrive E for effort
, pubblicato in italiano come D come diamoci dentro
. Il duo formato da Henry Kuttner e C. L. Moore, che si firmava come Lewis Padget, scrivono A private Eye
nel 1949.
Isaac Asimov ne scrive in The dead past
, tradotto in italiano come Il cronoscopio
, nel 1956.
Persino Philip K. Dick, con il suo racconto Paycheck
, in italiano Previdenza
- o Labirinti della memoria
-, si misura con il tema della visone temporale
, immaginando però uno specchio come visore e un artiglio in grado di prelevare oggetti proprio dal flusso temporale.
Potremmo andare avanti con un lungo elenco in grado di portarci sino a tempi più recenti. Quello che però accomuna quasi la totalità di queste narrazioni, a livelli differenti, è il tema o, meglio, una riflessione che le rende tutte estremamente attuali. Ovvero l’attenzione al tema del diritto alla privacy e alla riservatezza personale.
Ne Il Signore del Tempo
, Giuseppe Lipparini ci racconta del professor Antonio Schwarz, esimio professore di Oppendorf, e della sua scoperta meravigliosa. Per un errore nella preparazione delle lastre fotografiche, Schwarz trasforma la sua macchina fotografica in un vero e proprio cronoscopio
, in grado di guardare al passato come se si guardasse un film al cinema. Gli eventi del passato storico, vengono proiettati sul grande schermo come se fossero state girate nel presente. Sono immagini eteree ed evanescenti che mostrano le tracce lasciate dalle persone, e dalle loro azioni, nel flusso temporale. Quando Schwarz annuncia la sua scoperta alla comunità scientifica a cui appartiene, lo stupore e l’esaltazione della stessa è altissima. Poter conoscere con assoluta sicurezza come si viveva nell’antichità romana o greca, come la civiltà si è evoluta nel corso dei secoli, come la vita ha avuto inizio - confutando le tesi dei Padri della Chiesa - sembra a tutti la scoperta delle scoperte. Così, alla proiezione delle prime immagini dal passato, il senso di straniamento che vivono i personaggi del romanzo, passa direttamente a noi lettori, donando un’interessante sfumatura weird alla narrazione di Lipparini.
Ma cosa accadrebbe se l’occhio indiscreto della macchina fotografica potesse cogliere l’intimità e toccare la privacy di ognuno? L’opinione pubblica come accoglierebbe questa possibilità? E, di conseguenza, si è pronti ad abdicare al proprio diritto alla riservatezza, per la lotta alla prevenzione di atti criminosi o l’amore per la ricerca storica?
Davanti a queste domande, il nostro pensiero contemporaneo rimanderebbe immediatamente all’immaginario creato da George Orwell in 1984
e al suo Grande Fratello. Ai tempi di Giuseppe Lipparini, però, questo immaginario non si era ancora formato completamente e non ha ancora toccato le criticità che il nostro pensiero tocca confrontandosi quotidianamente con un reale che, tra digitale e virtuale, ci porta a un tracciamento continuo. La sua riflessione, quindi, è più uno spunto e una traccia, che non il filo conduttore del romanzo.
Giuseppe Lipparini, però, parte proprio a qui per raccontare una storia che non si può ridurre solo a questa riflessione.
Il Signore del Tempo
ricostruisce la vita quotidiana di un piccolo centro di provincia. Il suo unico pregio è quello di essere sede di una prestigiosa università. Ci restituisce una carrellata di umane vicende, fatte di gelosie, amori giovanili, buoni cristiani, pregiudizi da vegliardi, quotidianità fatte di case e locande, lezioni universitarie e pettegolezzi. In questo rincorrersi di trame che si intrecciano, ci racconta i retroscena di esistenze impeccabili, di contorni familiari all’apparenza perfetti, di regole sociali create e pensate, in realtà, per essere disattese. E nel farlo, mostra proprio ciò che si cela dietro ogni apparente tranquillità, violando lui stesso, in qualità di narratore, il principio di riservatezza che il dottor Schwarz ha mancato con la sua scoperta.
C’è qualcosa di indicibile nella vita privata che ognuno di noi conduce, nascosto, al riparo delle proprie abitazioni. Piccoli peccati alla morale e all’etica, in una società troppo severa e troppo normata. O, a ben vedere, semi di una ribellione al costume sociale che germinano proprio lì dove ci si sente più al sicuro. C’è un limite invalicabile oltre al quale nessuno dovrebbe andare e che spesso coincide con l’uscio della propria abitazione. E ci sono confini che nessuno, neppure l’autorità, dovrebbe superare.
Con la leggerezza di un racconto che oscilla tra fantascienza e pettegolezzo, Giuseppe Lipparini ci porta in questa dimensione per poi abbandonarci al nostro destino di lettori. Che ognuno tragga le proprie conclusioni, liberi di parteggiare per la giovane e ribelle Margherita, per l’impacciato Martin, il rigido reverendo Hauptmann o le chiacchiere da spolvero degli abitanti di Oppendorf.
Il Signore del Tempo
di Giuseppe Lipparini, un unicum nella storia letteraria di questo autore, entra così a pieno titolo nella collana dei Cartesiani de iDobloni, dedicata agli autori, contemporanei e antichi, che sono stati in grado di tracciare nuovi percorsi e nuove rotte narrative.
La sua macchina fotografica
di scrittore sembra aver catturato non solo il passato, ma le linee di un futuro possibile, un futuro che il nostro presente sta ancora percorrendo e che ci porta a riconsiderare il concetto di riservatezza, di regole sociali e della necessità di sviluppare un proprio pensiero critico e consapevole nei confronti delle innovazioni che ci circondano.
Perché, anche se la scienza e la tecnologia progrediscono velocemente nel loro percorso di ricerca, l’animo umano ha bisogno di molto più tempo per capire, valutare e considerare i limiti di una innovazione senza limiti
.
Capitolo uno
In cui il professore Antonio Schwarz parla di una meravigliosa scoperta
Quando il professore Antonio Schwarz entrò nella vasta sala dell’Accademia delle Scienze di Oppendorf, un mormorio di soddisfazione corse per i banchi dove sedevano gli accademici in pompa magna e per le file di sedie su cui il pubblico era gremito.
Finalmente,
mormorò il dottore e accademico Teuffel all’orecchio del suo vicino, un matematico grave e severo: il nostro illustre uomo si è degnato di venire. Credevo quasi che una qualche distrazione lo avesse bloccato.
Infatti,
rispose il matematico, degnatevi di considerare che il suo abito non è certo adatto per un oratore di una tale cerimonia.
In effetti, Schwarz indossava ancora, sopra l’abito festivo, la veste da camera che si era dimenticato di togliersi. La stoffa variopinta che lo avvolgeva, contrastava apertamente con la gravità del suo volto. Ma l’usciere, aiutandolo a togliersi di dosso la scomoda veste, lo fece apparire come sarebbe dovuto essere, serrato nella lunga marsina le cui ampie code gli davano l’aria di un uccellaccio rapace.
Intanto il presidente della Accademia, il dotto e calvo Von Martin, gli era andato incontro con volto festoso, tendendogli la mano lì dove l’anello rettorale splendeva. Il pubblico, che aveva riso quando l’usciere si era avvicinato rispettosamente all’illustre scienziato per toglierli quella sopraveste di foggia così strana, cominciava a spazientirsi. Le seggiole si muovevano, i nasi si soffiavano, gli impeti di tosse si moltiplicavano. Passata la curiosità del primo momento, un chiacchiericcio assordante si levava tra la folla degli invitati, mentre gli altri membri della presidenza porgevano i loro omaggi al più celebre dei loro colleghi.
Signorina Margherita,
domandò un giovane studente curvandosi verso la figlia del professore che gli stava seduta accanto, dunque oggi il mio venerato maestro svelerà finalmente il mistero della sua meravigliosa scoperta? Ne ha egli detto nulla con Lei?
Lei sa,
rispose la signorina, che mio padre nei suoi esperimenti è più muto di una tomba: specialmente con quelli di casa. Io non so nulla da lui.
Eppure
osservò il discepolo, la Gazzetta di Oppendorf reca oggi alcuni particolari che farebbero credere a rivelazioni fatte dal professore al direttore di quel giornale. Senta: «Ieri, recatomi a casa della nostra maggior gloria, Antonio Schwarz, lo trovai fra i suoi strumenti e le sue....»
Fantasie! Fantasie!
interruppe sorridendo la signorina. Lei sa che ieri nessuno è venuto da noi.
E fissava, scuotendo il capo, il biondo interlocutore, che non sostenendo lo sguardo di quei grandi occhi azzurri e soavi, arrossì e guardò con aria compunta il soffitto.
Hai visto?
disse allora il giovane Wolf al suo inseparabile Arrigo Fischer Martin Christ non ha ancora ottenuto con Margherita quel successo che desiderava. Certo, le ha fatto una dichiarazione.
Anzi
osservò Arrigo, io ho sentito la parola «amore»....
Ah! Se io volessi…
sospirò il ragazzo pavoneggiandosi, e lanciando da dietro gli occhiali sguardi infiammati verso la giovanetta: Se io volessi, vedi? Io potrei…
Ma un applauso fragoroso gli ruppe in bocca la vanteria e la parola. Il professore Schwarz era salito alla tribuna tenendo in mano un ampio scartafaccio, alla cui vista molti volti si rannuvolarono. Wolf ricordò un appuntamento dato per le quattro alla figlia del merciaio fuori di porta Federico, e tremò pensando che forse due ore non sarebbero bastate per condurre a fine la seduta. Intanto l’oratore, dopo avere un momento collocato il polpastrello dell’indice sinistro contro la punta del naso, aveva cominciato a parlare.
Le prime parole caddero nel silenzio di tutti i presenti. Antonio Schwarz aveva la voce acuta e sonora e si faceva sentire chiaramente anche da quelli che gremivano la galleria in fondo alla sala. Parlava lentamente, stralunando gli occhi e aggrottando le sopracciglia, come uomo in cerca continua del proprio pensiero. Cominciò ricordando la gloria della piccola città dalla quale aveva l’onore di essere ospitato, e dell’Università antichissima in cui tanti ingegni si accoglievano intorno al rettore Martin.
La nostra città, e dico nostra perché vi abito da trent’anni e vi resterò fino alla morte, è piccola, ma gloriosa. La sua Università è una delle più antiche e popolate di Germania. Dall’Italia i giovani vengono qui per studiare le discipline e le scienze. Negli ultimi trent’anni sono state fatte qui scoperte così importanti per il genere umano, che nessun uomo dovrebbe pronunciare il nome di questo luogo senza inchinarsi profondamente e con reverenza. Io, con la mia modesta e paziente opera, ho fatto per parte mia tutto quanto ho potuto per non essere indegno dei miei illustri colleghi.
Infatti
mormorò il matematico al dottore Teuffel, la scoperta che ha fatto intorno ai rapporti trigonometrici delle distanze astrali ha recato gran lume alle matematiche superiori.
Si dice
cominciò il Teuffel, che un giorno…
Ma l’altro vicino lo pregò, tossendo, di tacere. Dopo l’esordio, l’oratore aveva preso le sue carte e aveva cominciato a leggere tranquillamente.
"La carta che vi ha qui radunati ad ascoltarmi, vi ha già annunciato che io parlerò, oggi, di una scoperta i cui effetti potranno essere incalcolabili. Io ho scoperto, o sono sulla strada di scoprire, quella che vi propongo di chiamare la fotografia del tempo. L’arte fotografica fino ad oggi era stata rivolta solo allo studio e all’imitazione dello spazio. Per mezzo di uno strumento che successivi miglioramenti hanno condotto a tale perfezione, la fotografia si confronta, ora, con la pittura e noi possiamo fermare su una lastra, e quindi riprodurre sulla carta innumerevoli volte, tutti i più rari e fuggevoli aspetti dell’uomo e della natura. Tra venti secoli i nostri posteri potranno avere un’immagine esatta della civiltà odierna e dei grandi avvenimenti che la illustrarono. Noi abbiamo fotografato perfino la notte, e abbiamo rivolto verso gli astri la lente delle