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Il codice Tesla: Codex Secolarium vol 1
Il codice Tesla: Codex Secolarium vol 1
Il codice Tesla: Codex Secolarium vol 1
E-book279 pagine3 ore

Il codice Tesla: Codex Secolarium vol 1

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Info su questo ebook

UNA SAGA CHE DIVENTERA' SERIE TELEVISIVA.
Un autore che ha raggiunto 700000 lettori nel mondo

Una quadrilogia da oltre 400000 copie.

La saga Codex si compone dei seguenti volumi:
Il codice tesla
Enigma Heisenberg
L'automa segreto di Vaucanson
La strategia delle ombre

www.alessandrofalzani.com

Nikola Trbojevic è il pro nipote di una delle più grandi menti della storia: Nikola Tesla. Lo scienziato, sul finire della seconda guerra mondiale, viene contattato dal Vaticano e gli viene chiesto di realizzare un particolare e misterioso cinematismo, sfruttando la tecnologia dell'epoca ma anche le sue straordinarie abilità.
L'allora segretario di Stato Vaticano, Filippo Tognini, asserisce che l'operato di Tesla è fondamentale per la custodia e la cura di effetti religiosi dall'immenso valore, culturale e umanistico, facendo quindi leva sulla sensibilità dello scienziato. Tesla accetta l'incarico, praticante e credente, ritiene di poter aiutare la Chiesa nell'intento di custodire uno dei più grandi tesori di sempre, celandoli agli occhi di persone senza scrupoli.
Il pro nipote apprende tutto questo rinvenendo le lettere segrete che all'epoca le due parti si erano scambiate, ma tale ritrovamento non è un caso...

Qualcuno, oltre la Chiesa brama quel valore...

L'intrigo più grande del dopoguerra che coinvolge il Vaticano e i servizi segreti più potenti del pianeta.

Cosa scoprì Tesla e cosa cela il Vaticano in un luogo sconosciuto allo stesso Pontefice?

Codice Tesla è il primo volume di SECOLARIUM SAGA.

Alessandro Falzani vive a Vacri, in Abruzzo, 34 anni e autore indipendente.
Attualmente ha pubblicato la saga fantasy Glenvion, la saga fantasy Hell Kaiser, l'horror La figlia di Teia e il racconto breve, tradotto in inglese, Memoria.
Con i suoi testi ha raggiunto quasi 40000 persone.

LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2016
ISBN9781370705153
Il codice Tesla: Codex Secolarium vol 1

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    Anteprima del libro

    Il codice Tesla - Alessandro Falzani

    Altre opere dell'autore:

    Hell Kaiser Vol.1 Lorian, L’alleanza dei caduti

    Hell Kaiser Vol.2 Baal, L'apocalisse di Salomone

    Hell Kaiser Vol.3 Astaroth, Genesi delle ombre

    Hell Kaiser Vol.4 Lucifero, Oltre i confini di un dio

    Hell Kaiser Armageddon Saga, La tetralogia

    Glenvion Saga Vol 1-La Matrice

    Glenvion Saga Vol 2-La Prigione di Sefrin

    Glenvion Saga Vol 3-L'ultimo Custode

    Glenvion Saga-La Trilogia

    La figlia di Teia

    Memoria (racconto breve)

    Capitolo 1

    Palazzo Vaticano, Roma

    12 novembre 2018, mattino

    Odiava le giornate di quel tipo: uggiose, fredde.

    Le nuvole si accalcavano sopra di lui e sembrava stessero per esplodere da un momento all'altro, con tutto il carico d'acqua che si portavano dietro da almeno tre giorni. Odiava la pioggia e detestava doversi addobbare come un infante nella culla, avvolto sino agli occhi. Roma era così e ormai ci aveva fatto il callo: incasinata, sporca e nel mese di novembre dannatamente gelida.

    Tirò su il bavero del soprabito, mise le mani nelle tasche ampie e salì i gradini che lo avrebbero condotto all'ingresso principale del Palazzo Vaticano. Un gelido refolo di vento gli sferzò la fronte, corrucciò le sopracciglia grigie, il mento nascosto nel tepore, giunse dinanzi all'usciere e questi gli andò di fronte.

    «Salve, come posso aiutarla?», esordì l'altro visibilmente infastidito dalla temperatura, il volto protetto da una barba scura e ben tenuta.

    L'uomo estrasse un tesserino dalla tasca senza degnarlo di risposta. L'usciere mise a fuoco, lo sguardo incollato sul sottile pezzo di plastica: si ritrasse, assumendo quasi la postura di un soldato al cospetto del suo comandante.

    «La faccio annunciare. Chi desidera incontrare?» Si fece rispettoso e gentile.

    L'uomo dischiuse appena le labbra «Antonio Lanzetti», poi si richiuse in un silenzio tombale.

    Le lenti sottili avevano una montatura moderna e leggera, la vista lo stava fregando ultimamente seppur di poco. Sessantotto anni erano qualcosa e sebbene non avesse intenzione di darlo a vedere, l'età si faceva sentire. Gli occhiali e il taglio di capelli corto e senza riga su un lato, erano il suo modo di opporsi al tempo e di apparire qualche anno più giovane. Stava impiegando parecchio a digitare sulla tastiera e il nervoso lo corrodeva: detestava doversi affidare a qualcuno e farsi scrivere un discorso. Profondamente legato a tutto quello che sapeva di vecchio e antico, Antonio Lanzetti aveva da sempre ripudiato la tecnologia e odiato quei dannati telefonini, che, più di una volta, aveva definito come il nuovo male della società. Se avesse potuto, avrebbe volentieri fatto a meno di possederne uno, così come avere un telefono fisso nello studio. O un televisore o qualsiasi altra cosa di elettronico: tranne un pc. A quello non poteva rinunciare per via delle sue mansioni. Dopo quasi sessanta minuti passati a digitare poco meno di millecinquecento caratteri e aver precedentemente fatto la bozza del suo pensiero rigorosamente con carta e penna si apprestò a cliccare sul tasto inoltra, quando venne interrotto da un insistente bussare. Era solito non rispondere subito e chi era dall'altro lato sapeva di non dover insistere e che passati quei soliti dieci secondi, Lanzetti avrebbe detto a mezza bocca avanti. Ne passarono appena tre e le nocche tornarono prepotenti sulla superficie di legno massello. Lanzetti sbatté il mouse sul tavolo.

    «Carlo! Misericordia! Un momento!», disse quasi meravigliato dall'insolita impazienza del fidato inserviente.

    La voce ovattata di Carlo rispose dall'altro lato della porta. «Sua Eminenza, chiedo scusa, scusi. Possiamo entrare?»

    Antonio portò lo sguardo all'affresco sul soffitto poi tornò sulla porta, «Possiamo? » chiese malizioso. Ebbe silenzio in risposta.

    «Carlo? Chi c'è lì con te?», stavolta fu lui a insistere.

    «Qui, con me, c'è... qualcuno d'importante, un ospite illustre direi. Monsignor Ralf Berger. Ha urgenza di parlarLe » .

    Lanzetti scattò dalla poltrona in pelle rossa e con passo accelerato si diresse verso la porta. Carlo udì i tacchi veloci e cadenzati. Il pomello d'ottone lucente ruotò cogliendo di sorpresa Carlo: in quel momento pensò di essere il primo inserviente della storia a cui un Segretario di Stato Vaticano avesse mai aperto la porta. Gli occhi accesi brillavano del riverbero delle luci del corridoio, sulle lenti rettangolari si erano impresse le sagome scure di due uomini alti e magri e Lanzetti dovette sollevare il capo per poterlo fissare negli occhi. Monsignor Berger rispose con uno sguardo sornione quasi pregustasse quel momento da molto tempo. Alcuni secondi trascorsero nel silenzio, Carlo era visibilmente in imbarazzo.

    «Sua eccellenza, questo è il Monsig... »

    «So chi è Carlo, lo vedo da me. Puoi andare, grazie ».

    L'inserviente pesò attentamente l'intonazione di quelle parole, nei cinque anni in cui aveva prestato servizio non ricordava di averlo mai sentito parlare così. Solitamente Antonio Lanzetti era un tipo calmo, riservato e meticoloso nel suo lavoro ma anche gentile nei modi. Non aveva mai interrotto nessuno, egli stesso diceva sempre che era maleducazione. Tuttavia ragionò, non doveva dimenticare la cosa più semplice e naturale, ovvero che era un umile collaboratore, poco più o poco meno di un maggiordomo. Chinò il capo e socchiuse gli occhi leggermente quasi a lasciar intendere che in parte si era sentito ferito, rispose con voce bassa «Sì, Sua Eminenza» e scomparve nella penombra della luce soffusa che bagnava l'immenso pavimento di marmo bianco.

    Antonio chiuse la porta e con qualche difficoltà fece compiere uno scatto alla sedentaria chiave intarsiata, non era avvezzo a chiudersi dentro e se lo faceva doveva trattarsi di qualcosa di veramente importante o vitale per le questioni di politica a cui si dedicava. Stavolta però, aveva il sentore fosse qualcosa di ancor più grave: quell'uomo davanti a lui ne era il segno.

    «Sieda pure, Monsignor Ralf » e lo invitò con la mano ad accomodarsi sull'accogliente poltrona di pelle rossa. Berger notò un angolo con un fuoco scoppiettante acceso e due poltroncine con un tavolino: si sarebbe seduto lì volentieri.

    «Antonio, lascia stare i convenevoli, non mi va proprio di giocare» rispose l'altro sedendosi. Lo sguardo di Lanzetti mutò fulmineo e l'ira che a fatica stava trattenendo sfociò come un fiume in piena, quando gli si parò davanti e gli puntò l'indice dritto in faccia.

    «Sei un pazzo! Sei pazzo a venire qui. Ti rendi conto? I servizi segreti vaticani nel mio ufficio!Voi non dovreste nemmeno esistere. I patti erano chiari da quando ho messo il tuo culo a capo dell'IGESVA: noi non ci conosciamo, non ci frequentiamo e la tua divisione non esiste. E che fai?Vieni ai Palazzi Vaticani e chiedi di me? Di me!» La furia di Antonio era tutta nel reticolo di capillari rossi che gli si erano accessi negli occhi. Ralf ascoltò quasi divertito lo sfogo del Segretario e approfittò dell'istante in cui riprese fiato per afferrargli il grasso collo e portarlo vicino al suo volto. Lanzetti faceva resistenza ma la forza che l'uomo aveva nella mano era sbalorditiva e non poté fare a meno di assecondarne il movimento, che lentamente lo avvicinò al volto scarno e spigoloso del direttore dei servizi segreti vaticani.

    «Solo un rompipalle come te poteva ricoprire il ruolo di Segretario. Ne ho piene le scatole delle tue paure, come se fosse ancora un segreto il nostro rapporto. Credi che non si sappia in giro? Ormai i media ci hanno sputtanato, l'IGESVA esiste e sanno quello che facciamo... o quasi. L'entità: hanno coniato quest'altro bel nome per noi ».

    Antonio gli afferrò la mano che continuava a tenerlo dalla nuca, si liberò e andò a sedersi alla scrivania. Si voltò appena scrutando dietro le veneziane, poi le chiuse e tornò a concentrarsi sull'altro.

    «Che sei venuto a fare Ralf? Dico sul serio. Non è solo questione di posizioni e prestigio, così metti in gioco anche la nostra vecchia amicizia. Qui non puoi stare».

    «Ormai il tuo maggiordomo mi conosce».

    «Lui non parlerà. Ha visto entrare da quella porta persone che tu nemmeno immagini. Di lui non preoccuparti».

    «Se lo dici tu» poi si alzò, rinfoderando le mani nelle tasche.

    «Non sono uno stupido cara Sua Eminenza, non ho violato i patti ma temo che la tua memoria inizi a perdere qualche colpo».

    Estrasse una sigaretta e l'accese.

    Antonio ignorò il suo gesto assolutamente vietato all'interno dei Palazzi Vaticani, gli fece cenno con l'indice verso un rivelatore di fumo e gli porse distrattamente un posacenere annerito dal tempo, restando concentrato invece su quelle parole. Incrociò le mani davanti al mento e pose i gomiti sul piano di rovere lucente, rifletté un minuto.

    «La mia memoria è migliore della tua, di questo ne sono certo e ricordo i nostri patti. C'era solo una cosa che ti avrebbe concesso di entrare qui ma non può essere quella» .

    Ralf boccheggiò, poggiò una coscia sul bordo della scrivania.

    «E invece è proprio quella. Il segnale. Lo abbiamo intercettato. A dire il vero è accaduto circa nove mesi fa ma non credo sia tanto importante: quel nuovo ragazzo lì da noi al settore informatico, è tonto quanto geniale. L'ha trovato ma si è dimenticato di informarmi» .

    Lanzetti tolse lentamente gli occhiali e serrò forte le labbra, quasi volesse rimangiarsi ogni parola che aveva rivolto in malo modo all'amico, si alzò afferrandolo per le spalle e non riuscì più a nascondere l'euforia.

    «Parli di quel segnale? Ne sei certo? Assolutamente certo? Nove fottuti mesi... chi è il coglione che si è dimenticato? Chi? Avevo dato ordini precisi, massima priorità se fosse sbucato fuori qualcosa!»

    Ralf buttò la sigaretta a terra spegnendola con la punta della scarpa.

    «Non rompere, la colpa non è tutta sua. Ho troppi casini da sistemare e mi è servito per altro. Ci sa fare con i computer e poi, se hai aspettato tutto questo tempo, un anno in più o in meno non vedo che differenza faccia».

    Lanzetti serrò pugni e labbra, Ralf proseguì.

    «Le prime tre stanze del secondo piano dell'intelligence sono adibite alla ricezione dei segnali in media e alta frequenza. Ascoltiamo tutto quello che ci viene segnalato dai nostri analisti e rigiriamo le informazioni alle nazioni che le richiedono: politica, spionaggio, traffico di droga... le solite cose insomma. I quattro super computer e i sistemi di raffreddamento impegnano altri ottanta metri quadrati e ci restano appena diciotto metri quadri di spazio».

    «Vai al dunque Ralf... »

    «Calma, credo sia giusto che tu sappia in che condizioni lavoriamo. Diciamo che in Via dei Cherubini si sta un po' stretti...»

    «Ho capito, ho capito, vedrò di accontentarti. Prosegui».

    Ralf tornò a sedersi sulla poltrona: ancora una volta aveva ottenuto ciò che voleva e aveva trovato la migliore argomentazione per averla. Ora, quella questione lo aveva sempre attratto e finalmente era il giunto il momento di andare in fondo.

    «In quei diciotto metri quadri ho messo uno sfigato, il solito genietto dei computer, laureato con il massimo dei voti. Praticamente lì dentro ci vive. Gli ho assegnato il compito di tenere sotto controllo le frequenze di trasmissione basse e quelle ancora più basse, oltre ai soliti incarichi di decodifica di segnali criptati alfa 1 e alfa 2».

    «Alfa 1...» sorrise il Segretario, accompagnando la frase con l'ampia apertura delle braccia.

    «Sì, è l'unico che ci riesce in brevissimo tempo. Sono codici top secret ma sa tenere la bocca chiusa. Comunque non è questo il punto: per fare ciò che ti ho detto aveva bisogno di poca attrezzatura, dato che ormai nessuno più trasmette così. Se non ricordo male era questo che volevi da me cinque anni fa».

    «Decisamente era questo che volevo, caro Ralf ».

    Il direttore riprese. «Per farla breve, quel ragazzo ha passato quasi cinque anni a monitorare lo spazio aereo senza captare praticamente nulla sino a nove mesi fa, quando ha rilevato un segnale stabile in bassa frequenza e quel segnale, Sua Eminenza, c'è ancora. Di qualsiasi cosa si tratti è stata accesa e poi spenta ma continua a trasmettere, seppur a una frequenza ridicola di appena qualche Hz ».

    Lanzetti girò al lato della scrivania, si abbassò e diede due colpi ripetuti sulle spalle dell'amico, poi lo scosse come volesse dargli la carica.

    «Ben fatto! Ben fatto! Ma ti rendi conto? Capisci cosa significa?»

    Ralf fece un cenno di consenso, «Che qualcuno l'ha trovata e accesa in qualche modo... »

    «No, non l'ha trovata, non credo. Deve averla... costruita. Ma questo ora non importa. Conta solo trovarla al più presto. Intesi?»

    «Di colpo mi sembri contento di vedermi, Antonio, mi sbaglio?»

    Lanzetti si sollevò, mise le mani dietro la schiena e si diresse verso la finestra, aprì le veneziane e la pioggia battente si rifletté negli occhi scuri.

    «Non ti sbagli amico mio, non stavolta».

    Ralf si alzò nuovamente portandosi al fianco del Lanzetti. Osservarono in silenzio la pioggia cadere in maniera fitta sulla grande piazza, il direttore attese alcuni secondi e si voltò: sarebbe stata quella la sua prima e unica visita ai Palazzi Vaticani.

    «Direi che ci siamo detti quello che dovevamo e credo che se dovessi tornare qui rischierei di farti incazzare davvero».

    «Infatti Ralf, non riprovarci».

    «Cosa vuoi che faccia adesso? Te la vedi tu e io torno ai miei problemi?»

    «No. I miei impegni sono troppi ma questo... piacevole imprevisto viene prima di ogni altra cosa e ho bisogno del tuo aiuto. Di tutto quello che puoi darmi. Una persona di fiducia. Che abbia fiuto e palle da vendere. Dobbiamo ancora capire che cosa sia quell'oggetto e chi sia riuscito a riprodurlo e soprattutto dobbiamo trovarlo, con ogni mezzo».

    Monsignor Berger sollevò il bavero del cappotto pensando alla gelida temperatura che lo avrebbe atteso una volta fuori ma anche al soggetto giusto per l'incarico. In realtà ci aveva già meditato su da ieri, nel caso si fosse presentata l'occasione e questa, puntualmente era lì ad attenderlo.

    «Ho per le mani un giovane ispettore, ispettore capo per essere precisi».

    «Non mi frega del titolo. Che tipo è?»

    «Sveglio. Due lauree, sportivo. Uno un po' fuori dagli schemi. Torna dopodomani sera dalla Svizzera. Qualche controllo su una decina di conti cifrati...»

    «Fallo tornare immediatamente».

    «Ehi vacci piano. Ho anch'io delle responsabilità e devo rispondere ai piani alti. Non posso fare sempre come voglio».

    «Guarda dove ti trovi, Ralf. Questo non è l'edificio più alto di Roma eppure è il più importante. Pensi di poter ambire a qualcosa di più? Pensi che servire la causa di sua Santità non sia la cosa più importante? La cosa più... potente?»

    Ralf estrasse un'altra sigaretta e stavolta fu spiazzato dall'insistenza dell'altro.

    «Ok. Vedo di farlo tornare prima, il prima possibile. Ora devo trovare qualcuno che lo rimpiazzi. Io vado, come procediamo per tenerci in contatto?»

    «Verrò io da voi se servirà».

    Ralf fece una smorfia di sorpresa. «Ah,ok ». Si voltò, dirigendosi alla porta.

    «Ralf?»

    «Che altro vuoi?»

    «Il nome. Come si chiama il tuo pupillo?»

    Il direttore sorrise e sebbene Antonio non potesse vederlo, girato di spalle, immaginò il suo volto sornione e la sigaretta sulla labbra, pronto ad accenderla nel corridoio, fottendosene del personale che lo richiamava. Il loro saluto era tutto in quel nome.

    «Monsignor Luca Blasi. Guardagli le spalle, mi serve».

    La porta si aprì e si richiuse velocemente in un tonfo sordo.

    Il volto del Segretario di Stato Vaticano si abbandonò a una gelida smorfia di soddisfazione.

    Via dei cherubini 32, Roma

    13 novembre 2018, ore 9:43

    Durante il tragitto in auto non aveva fatto altro che rimuginare su quell'ordine, devi tornare subito, erano state le uniche parole di Berger. A nulla erano valse le più che soddisfacenti tracce che il giovane ispettore aveva sapientemente seguito, fino ai tre conti cifrati a sei zeri a cui l'Inghilterra teneva in modo particolare. Un favore in più da sommare a quelli che l'IGESVA aveva già fatto allo stato inglese. Gli sarebbero bastate solo poche ore ancora, tre o quattro al massimo e i giochi sarebbero stati scoperti definitivamente e invece dovette limitarsi a una telefonata piuttosto sbrigativa con il suo contatto inglese. Ne era profondamente infastidito; il mastino, così lo avevano soprannominato, non lasciava mai un lavoro incompiuto, non mancava mai di servire Sua Santità e di prodigarsi per il bene della Chiesa.

    Scese dal taxi, era giunto al cancello ferruginoso senza nemmeno accorgersene e del viaggio ricordava poco o niente, immerso com'era nei suoi pensieri. Il numero civico 32, piazzato lì sul muro percorso da crepe e la pulsantiera citofonica bellamente imbrattata di spray rosso erano ad aspettarlo come sempre.

    Ultimamente si vergognava dello stato in cui versava il palazzo dei servizi segreti vaticani: rozzo, trascurato, non dissimile dalle numerose strutture in cui i senzatetto cercavano dimora. Poi ripensava agli ambienti interni: il lungo pavimento di parquet, i dipinti di inestimabile pregio affissi in tutti gli uffici, il caldo tepore dei caminetti restaurati e questo gli bastava a togliergli qualsiasi cruccio dal cervello e uno sguardo di orgoglio e superiorità tornava prepotente sul suo volto.

    Pigiò il pulsante privo di etichetta porta nome, dopo alcuni secondi una voce roca gracchiò dal posto esterno,«Chi è?»

    «Sono il postino».

    Silenzio.

    Un'altra voce si sostituì alla prima, parlò schiarendosi bene, conscio che l'apparecchiatura elettronica avrebbe certamente storpiato le parole.

    «Il postino è passato ieri, ci deve essere un errore».

    Luca Blasi allentò il colletto della camicia, stufo. Si osservò bene intorno, sicuro che nessuno lo sentisse, si avvicinò al microfono e poté udire il leggero fruscio di sottofondo e il lento respiro dell'uomo alla cornetta.

    «Nessun errore, porto un pacco dalla Svizzera».

    Un altro secondo e la serratura elettrica scattò, Luca accompagnò il cigolio ferruginoso, trascinò il bagaglio all'interno del cortile e richiuse il cancello con vistoso fastidio. La sede dell'IGESVA non era nel palazzo, era il palazzo.

    Una guardia armata gli aprì il portone blindato e lo osservò mentre si sottoponeva ai test di rientro, cui tutti i dipendenti IGESVA dovevano adempiere, nessuno escluso.

    La scansione retinica era il primo di questi, seguito dal doppio confronto delle impronte digitali di ambo i pollici e dal riconoscimento del timbro vocale.

    Faticava a contenere la stanchezza: di quel lavoro amava tutto ma quei dannati controlli non riusciva a sopportarli. Finalmente l'ascensore salì al secondo piano e quando la porta automatica si aprì, si trovò di fronte l'elegante pavimento e il tepore prodotto dalle stufe gli carezzò il volto. Lo splendido quadro contrastava con il continuo vociare, trillare di telefoni e urla inconfondibili che provenivano sempre dal solito ufficio. Lasciò il bagaglio lì, un inserviente se ne sarebbe occupato e si incamminò verso l'ultima porta in fondo, quella intagliata d'ebano. Nella targa apposta si leggeva il nome di Ralf Berger. Notò che la stanza prima, quella in cui un ragazzo brillante e taciturno aveva passato gli ultime cinque anni o giù di lì, era stranamente popolata da tecnici e non ricordava che vi fossero così tanti computer tutti su una scrivania. Un groviglio di cavi si dipanava a terra e ventilatori soffiavano verso hard disk accatastati. Scosse appena la testa, in fin dei conti provava pena per quegli schizzati e si chiedeva come potessero passare l'intera

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