Implacabile Vendetta
Di Ester Ashton
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Info su questo ebook
«Se vuoi te lo ripeto, vivi e respiri. Per me è già tanto.» affermò spietato.
Damon Mcguire è un security contractor al servizio di uomini facoltosi.
Nessuno sa da dove venga.
Nessuno conosce il suo passato.
Nessuno deve sapere che è un ex comandante dei corpi speciali. Ma a mandare all’aria tutti i suoi piani arriva una donna. Il suo odio per lei è così forte da fargli desiderare la sua morte.
Elena Petrova è la direttrice di uno degli hotel di lusso più in vista di Washington, la sua vita non potrebbe essere più perfetta di così.
Per un infausto intreccio del destino le strade di Damon ed Elena sono destinate a incontrarsi.
Inizia così un’interminabile corsa contro il tempo che potrebbe portare alla morte entrambi.
Riusciranno a sconfiggere i loro demoni e vivere quell’amore che sembra promettere l’eternità?
**ATTENZIONE**
Questo romanzo è un Dark Romance e come tale contiene scene forti di violenza. Astenersi dalla lettura se non tollerate determinati scenari.
Il romanzo non è collegato a nessuna serie ed è AUTOCONCLUSIVO.
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Implacabile Vendetta - Ester Ashton
Ester Ashton
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Indice dei contenuti
Copertina
Copyright
Dedica
Citazione
Prologo
1. Damon
2. Elena
3. Damon
4. Elena
5. Damon
6. Elena
7. Damon
8. Sergei
9. Elena
10. Damon
11. Damon
12. Elena
13. Damon
14. Elena
15. Damon
16. Elena
17. Damon
18. Elena
19. Damon
20. Elena
21. Damon
22. Elena
23. Damon
24. Elena
25. Damon
26. Elena
27. Damon
28. Damon
29. Elena
30. Damon
31. Damon
32. Elena
33. Damon
34.
EPILOGO
Ringraziamenti
Note
Copertina
immagine 1Copyright
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Qualsiasi riferimento ad avvenimenti, a persone e luoghi reali è usato in chiave fittizia. I personaggi, località ed eventi sono il prodotto della fantasia dell’autrice e ogni rassomiglianza con fatti, luoghi e persone, realmente esistenti o esistite, è puramente casuale.
Dedica
immagine 1Citazione
immagine 1Prologo
Osservai per l’ultima volta il grande cortile di Forth Knox. Avevo terminato il mio periodo obbligatorio nei S.E.A.L e adesso cominciava finalmente una nuova vita da contractor, per me non era solo quello, ma un punto di partenza.
L’unica cosa che aveva valore in quel momento era Chloe.
Avevo programmato ogni cosa nei minimi dettagli, con lucidità e con un unico obiettivo: trovarla. Non mi sarei fermato fino a quando non avessi avuto risposte.
La mia famiglia non era stata felice della mia decisione, dopo la mia laurea a Yale. Si erano opposti con tutte le loro forze, cercando di farmi ragionare e di trovare insieme un’altra soluzione. Temevano per la mia vita, oltre che vedermi rinunciare alla possibilità di entrare in una delle squadre più importanti della NFL, ma non gli avevo dato altra scelta. Mi ero fidato prima della polizia, poi dell’FBI, aspettando notizie che non erano mai arrivate.
Uscii dal cancello e tutto ciò che ero prima, non esisteva più. Io non esistevo più. Tutta la mia vita, il mio nome era stato spazzato via in un attimo, al suo posto ero diventato Damon Reyes. Continuai a camminare e poco distante, vicino a un’auto vidi l’amico di mio padre, Blake Clark, capo di una società di cui facevano parte i migliori contractor sul mercato.
Neanche lui era stato d’accordo con la mia idea, ma alla fine, entrambi avevano ceduto con riluttanza, consapevoli che avrei agito da solo, senza l’aiuto di nessuno.
I suoi occhi mi scrutarono con intensità, forse per vedere se c’era ancora un barlume di umanità, ma dopo la sofferenza che avevo visto e vissuto, non c’era più niente.
Avevo spento ogni emozione, sensazione, che aveva fatto parte del mio carattere fino a sei anni prima. Qualsiasi sentimento era sparito come se un’ondata di gelo si fosse riversata nelle vene, pietrificandomi il cuore.
Non provavo nulla, solo furia, vendetta e un forte istinto omicida.
Restrinsi gli occhi in due fessure, mentre lo fissavo. Clark mi si avvicinò. Lo sovrastavo con i miei due metri e la stazza che avevo forgiato lavorando sodo.
«Ciao Damon» mi salutò, nel suo sguardo notai un guizzo di preoccupazione, ma pensai di averlo immaginato, era un uomo duro e spietato, non particolarmente incline a quegli atteggiamenti.
«Era quello lo scopo, diventare un S.E.A.L per passare all’altro più importante» replicai gelido senza alcuna intonazione nella voce.
«Lo so» ammise, osservando attorno, poi riportò di nuovo lo sguardo su di me. «Sei sicuro di volerlo fare?» chiese infilando un paio di occhiali a specchio, coprendo le iridi nere.
«Sì» confermai deciso e determinato a compiere fino in fondo i miei progetti. «Pensavi che avrei cambiato idea? Andrò avanti a qualunque costo. Abbiamo fatto un patto. Adesso mi addestrerai con i tuoi uomini, prima di entrare nei corpi speciali russi» puntualizzai.
Dovevo diventare il migliore per riuscire a infiltrarmi nella Bratva.
«Non rimangio la mia parola, ma proseguire sarà molto pericoloso» mi avvertì.
«Mai quanto lo sarò io» affermai, facendo un passo avanti verso di lui. «Otterremo entrambi dei vantaggi.» In realtà ero a conoscenza che mi tenevano d’occhio come un’occasione da non lasciarsi sfuggire. «Nessuno mi fermerà né mi impedirà di uccidere chiunque mi ostacoli. Troverò Chloe» precisai andandomene.
Non mi sarei arreso… avrei scoperto chi c’era dietro questa storia, ottenendo così la mia vendetta.
Nessuna pietà… spietato fino in fondo.
1
Damon
L’auto si fermò davanti al ristorante. Guardai nello specchietto laterale alla mia destra, poi diedi un’occhiata attorno, sembrava tutto tranquillo, ma il rischio di qualche agguato, verso la persona che stavo proteggendo, era sempre possibile.
«Posizionatevi» ordinai agli uomini che comandavo come capo della sicurezza. Spalancai la portiera e aprii quella posteriore, la mano destra sempre libera per prendere la pistola che avevo sotto l’ascella.
Controllai che non ci fosse alcuna sorpresa, mentre le guardie del corpo si posizionavano fuori e dentro il locale.
«Tutto a posto» informai Dimitri Vasilev, uomo d’affari di spicco di una famosa catena internazionale di hotel di lusso, ma non retto come si pensava. Possedeva diverse società fantasma che gestiva per riciclare denaro sporco, droga e molto altro.
Vasilev scese dall’auto e si girò per aiutare la donna che era con lui. Tese la mano alla modella Zara Valkova, salita alla ribalta per aver posato su Vogue indossando un abito di punta di un famoso stilista.
La donna sorrise a Dimitri, consapevole di averlo in pugno, ma al contempo nel passarmi accanto, mi rivolse un’occhiata di apprezzamento. Ignorandola, feci cenno a un’altra guardia e li precedetti all’interno.
Nonostante avessi pianificato un rigido piano da seguire, controllavo sempre di persona che fosse tutto a posto, non potevo permettermi nessun errore.
Ero considerato uno dei migliori contractor non solo a livello europeo, ma internazionale. Avevo lavorato sodo per raggiungere la perfezione, con Chloe come unico obiettivo, e anche se lungo la strada avessi dovuto uccidere qualcuno, non mi sarebbe importato.
Godevo di una reputazione impeccabile che doveva rimanere tale, nessuno sapeva lo scopo di tale missione, tranne il mio amico e collega che lavorava con me.
Era bastato un solo minuto per visionare il locale, mentre l’uomo per cui lavoravo entrava.
«Cosa farò senza di te, Damon, quando te ne andrai tra due giorni?» disse Vasilev, fermandosi vicino a me.
«Troverai un altro capo della sicurezza che veglierà su di te» risposi con indifferenza.
" O che ti farà uccidere in poco tempo" pensai.
«Posso fare niente per convincerti a rimanere?»
« Net » replicai categorico.
Odiavo la Russia per quello che era accaduto anni prima e adesso le persone per cui lavoravo. Non rimanevo mai più di tre mesi, a volte sfioravo i sei, passavo da un contratto all’altro solo per un motivo: scoprire quante più notizie su Chloe e, in caso di informazioni utili, le avrei passate ai servizi segreti americani, la mia patria. Uno scambio di favori per un obiettivo comune.
La compagna sfiorò il mio bacino con il fianco, ma non mi suscitò nulla. Era una bella donna, aveva un corpo longilineo con le forme al posto giusto, gambe lunghe e snelle lasciate scoperte dal vestito da sera che indossava, con tacchi altissimi che slanciavano la sua figura.
Feci finta di nulla, non era la prima volta che mi capitava.
Le donne credevano di avere davanti un bersaglio facile, non sapevano che ero io a detenere il controllo.
Ero consapevole di comportarmi da vero bastardo, approfittavo delle situazioni volgendole a mio favore pur di avere qualche informazione utile alla mia causa.
Nessuna di loro sapeva che le usavo per uno scopo. Vivevo al limite di quel mondo oscuro e malavitoso da qualche anno, avevo bisogno di ogni singola e maledetta notizia, che potessero procurarmi direttamente o no.
Muovermi tra di loro era rischioso, sfidavo continuamente la sorte e la vita, ma non m’importava, se necessario sapevo come dovevo agire.
Indietreggiai di qualche passo notando una piccola rientranza sul lato destro che mi consentiva di vedere non solo la sala, ma chiunque entrasse, celandomi dalla luce soffusa che c’era all’ingresso.
All’improvviso sentii la voce del mio amico Lucas Gray, attraverso l’auricolare.
«Damon, due uomini sono appena arrivati con un’auto scura.» D’istinto mi irrigidii, percependo l’adrenalina cominciare a scorrere nelle vene, come se il mio corpo si stesse preparando allo scontro. «Non sono venuti per cenare, ti raggiungo» mi avvisò.
« Ne t, restate in posizione fino a quando non entrano» ordinai a bassa voce. «Evitiamo di fargli capire che li aspettiamo.»
La porta si aprì e i due tizi, alti e robusti in abito scuro, entrarono. Bastò dargli un’occhiata verso il rigonfiamento sotto la giacca per capire che erano venuti per Vasilev.
Gli avrei volentieri concesso di farlo, ma ero legato a quell’uomo per un motivo.
Non gli diedi il tempo di usare le pistole che avevano estratto senza farsi vedere dalla clientela. Feci un passo avanti alle loro spalle, ne uccisi uno a mani nude spezzandogli il collo così in fretta da non dargli il tempo di accorgersene e al contempo diedi un calcio nell’incavo del ginocchio all’altro, mentre nel locale risuonavano grida di paura.
«Lucas, porta via il corpo» mi piegai su di lui premendo il pollice e l’indice ai lati della sua gola, incurante di ciò che stava accadendo attorno a me. «Chi ti manda?» chiesi gelido in russo e sollevandolo appena, lo trascinai fuori. «Badate a Dimitri» ordinai a un paio di guardie del corpo che stavano tenendo d’occhio l’entrata. «Sto aspettando una risposta.» Strinsi ancora di più le dita sulla gola, impedendogli di respirare. L’uomo si dimenava, provando a lottare, ma con me non poteva, la mia forza era superiore alla sua. «Hai due possibilità o parli o muori» insistetti mentendo. Sapevamo entrambi che sarebbe stato ucciso lo stesso. «Voglio un nome o non avrò alcuna pietà.»
Con la coda dell’occhio notai Vasilev uscire da solo dal ristorante.
«Damon, se deve parlare lascialo respirare» consigliò, mettendosi accanto a me. Tolsi le dita e l’uomo si accasciò su sé stesso, tentando di fare piccoli respiri e tossendo così forte, da dare l’impressione di strozzarsi. «Chi mi vuole morto?»
L’uomo rimase zitto.
«Stai giocando con la tua vita, lo sai vero?» insistetti pronto a mettergli di nuovo le mani alla gola.
«Sono già morto» replicò a bassa voce.
«Portatelo via e continuate a interrogarlo» stabilii. «Vediamo quanto resisterà.»
«Ho la bocca chiusa» insistette dimenandosi dalla stretta, mentre lo sollevavano per trascinarlo in auto.
«Dubito che dirà qualcosa» affermò Vasilev. «Questa nuova minaccia mi preoccupa.»
«Può anche essere una vecchia che ha deciso di cambiare tattica e agire» ribattei accompagnandolo vicino alla macchina.
«Aspetterò che finisca l’interrogatorio, poi da domani comincerò a fare le mie ricerche» sentenziò mentre la modella si avvicinava a noi scortata da Lucas.
«Stai bene?» chiese Dimitri tendendole la mano. «Mi dispiace di averti esposta al pericolo.»
«Mi sono spaventata, non mi sono mai trovata in una situazione simile» rispose poggiando le dita tremanti sul suo palmo, guardandoci terrorizzata.
Doveva sapere che frequentando un uomo del genere c’era il rischio di trovarsi in pericolo.
«Ti porteremo subito via» avvisò Dimitri. «Dopo quanto accaduto è preferibile che non venga con te.» Si girò verso di me. «Damon, scortala a casa.»
«Va bene» assentii aprendo lo sportello, attesi che entrasse e lo chiusi. «Igor, porta due uomini e seguici» decisi prima di sedermi sul sedile anteriore accanto all’autista.
Durante il tragitto nessuno pronunciò una parola, neanche Zara fiatò. Nell’abitacolo la tensione si poteva tagliare con un coltello, l’aria era satura della sua paura.
Attraverso lo specchietto, osservavo la donna rigida sul sedile, l’espressione timorosa sul volto mentre guardava la strada, come se si aspettasse un agguato da un istante all’altro.
Era un bene che capisse quanto fosse stata vicina all’essere uccisa, solo perché si trovava con Dimitri. Ai sicari non interessava se fosse innocente o no, chiunque si trovava con la persona designata era destinata a morire.
La regola base era: nessun testimone.
L’auto si fermò davanti al palazzo dove abitava. Aprii lo sportello, ma non feci in tempo a farlo con l’altro che lei scese in fretta, come se avesse il diavolo alle calcagna.
La seguii con calma perché sapevo che non c’era un vero pericolo. Uno dei killer era morto, l’altro era in custodia e prima del nuovo giorno, l’avrebbe seguito.
Mi avvicinai alle sue spalle.
«Adesso sai cosa comporta associarsi a uomini ambigui come Vasilev» la ammonii parlandole a bassa voce. «In futuro evita e tieni la bocca chiusa su ciò che hai visto stasera. Ovunque ci sono occhi e orecchie pronte a eliminare qualsiasi testimone, se vuoi vivere…»
Lasciai in sospeso la frase intenzionalmente.
«Perché mi stai avvertendo?» domandò facendo un passo indietro come se volesse nascondersi.
" Bella domanda" pensai.
«Sarebbe un vero scempio vedere un giornale con una tua foto dove sei sfigurata o crivellata di colpi.»
«Sei un bastardo» inveì contro di me, indietreggiando per allontanarsi.
«Sì, fai bene a starmi lontano. Perché sono molto più di quello» affermai tenendo la mano sul portone. «Ricordati, dimentica tutto e vai avanti con la tua vita, stasera non hai visto niente.»
«Non sono stupida, ho capito.»
«Lo spero» mormorai togliendo la mano e girando tornai all’auto. «Possiamo andare» comunicai a Ivan chiudendo lo sportello.
Mi aspettava una dura e lunga notte e non ne ero affatto entusiasta.
2
Elena
Un mese dopo
Stavo controllando i report mensili dell’hotel in cui lavoravo. Ero stata fortunata a trovare un posto come assistente tre anni prima appena laureata, grazie alla mia amica Gabrielle che mi aveva informata di quella opportunità.
Entrambe avevamo sostenuto colloqui differenti, essendo lei arredatrice d’interni, ma grazie alla nostra capacità e determinazione, avevamo ottenuto il lavoro.
Steven Anderson era un magnate del settore che, presa la laurea in economia, aveva sfruttato l’occasione comprando un piccolo hotel in difficoltà economiche.
Con dedizione e sacrifici, in poco tempo, era diventato uno dei tanti fiori all’occhiello di Washington.
Un hotel di lusso, dove ogni desiderio del cliente veniva esaudito; feste vip e matrimoni si susseguivano incessanti, rendendo introvabile una data anche con largo anticipo.
Ad appena quarant’anni era già un famoso miliardario, espandendo il suo impero in altre compagnie e accrescendo così il suo portfolio personale.
Un paio di mesi prima, il direttore a cui facevo da assistente era andato in pensione e mi aveva altamente raccomandato ai piani alti, tanto che Anderson in persona mi aveva chiamato nella sua sede affidandomi il ruolo di direttrice dell’hotel in cui lavoravo.
Sbalordita avevo accettato con entusiasmo, avevo sempre idee nuove e innovative per esaudire ogni richiesta dei clienti.
Un lieve bussare alla porta mi distolse dai miei pensieri, diedi l’assenso e vidi entrare Gabrielle.
«Ciao, cosa ci fai qui a quest’ora?» la salutai. «Credevo avessi un sopralluogo nell’hotel di San Francisco.»
«Ciao Elena» ricambiò il saluto. «Parto domani e poiché ho la giornata libera, che ne dici se pranziamo insieme?»
Lasciai il foglio che stavo esaminando e mi addossai allo schienale della poltrona.
«Mi piacerebbe, ma Anderson mi ha informato che oggi pomeriggio arriverà il suo socio, Sergei Ivanov» spiegai dispiaciuta, perché in quel periodo, non eravamo riuscite a passare del tempo insieme. «Devo controllare che sia tutto pronto con le direttive date dalla sua assistente personale. In più ci sarà un galà di beneficienza e devo ancora accordare alcuni particolari.»
«Puoi fare entrambe le cose. Ti aiuto io così ci sbrighiamo subito e poi andiamo a pranzare» replicò sedendosi, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«È più probabile che pranzeremo con un sandwich al volo.» Scossi la testa infilando il report nella cartella. «Quanti giorni starai a San Francisco?» domandai alla mia amica.
«Se tutto va bene, tre massimo quattro, ma lo sai anche tu che non sempre le cose vanno lisce» rispose.
«Pensi che ci saranno problemi?»
«Non posso dirlo con precisione, devo valutare lo stato attuale dello stabile e decidere le varie ristrutturazioni.»
«Impegnativo» affermai.
«Il galà ha già una data?» chiese Gabrielle, guardando all’interno della borsa.
«Sì, è quasi tutto pronto» confermai, guardando sul cellulare un messaggio appena arrivato. «Diavolo!» pronunciai già con la mente in fermento per trovare una soluzione.
«Che succede?»
«Il socio ha comunicato che arriverà in anticipo e sarà accompagnato da più persone del previsto, che presenzieranno anche al galà» risposi pensando a come sistemarle.
«Risolverai tutto» mi rassicurò.
«Spero solo che le suite siano già predisposte ad accoglierli, nonostante l’anticipo» ricambiai la sua occhiata. «Perché ho la sensazione che stanno per arrivare problemi?»
«È la prima volta che sembri preoccupata e non è da te» constatò la mia amica. «Hai uno staff che si occupa di tutto con efficienza e fino a ora sono stati impeccabili, perché dovrebbero fallire adesso?» Mi scrutò negli occhi. «C’è qualcosa che non so? Non avrai timore del giudizio del suo socio?»
«Forse» ammisi. «È la prima volta che viene qui, da quando ha deciso di investire nel nuovo progetto di Anderson, inoltre ho sostituito da qualche mese un direttore che…»
«Elena, in questi mesi hai modernizzato il Magnolia in maniera eccellente, tanto che c’è stata una notevole crescita nelle prenotazioni» mi lodò. «Quindi non devi preoccuparti proprio di niente.»
«Come fai a saperlo?»
«Ne ho sentito parlare» tagliò corto. «Non sarà perché incontrerai per la prima volta un tuo connazionale?» scherzò.
«Sono americana, Gabrielle» dichiarai rivolgendole un’occhiataccia. Spesso mi prendeva in giro per i miei tratti somatici, il colore biondo dei miei capelli e gli occhi grigio chiaro. «I miei genitori erano russi, ma sono venuti a Washington prima che nascessi.»
«Sei sicura che non sia questo a condizionarti?» insistette sorridendo.
«Oh, smettila!» intimai ridendo.
Un colpo alla porta interruppe la nostra conversazione.
«Buongiorno, Elena» mi salutò la coordinatrice del mio staff. «Ciao Gabrielle.»
«Buongiorno Rose» ricambiai il saluto.
«Le suite sono pronte?» domandai mentre si avvicinava alla scrivania.
«Sì, tutto l’ultimo piano, comprese le stanze per la sua scorta» confermò.
«Abbiamo bisogno anche del penultimo» ordinai, digitando sul computer. «Servono almeno altre quattro suite per alcuni ospiti che accompagneranno Ivanov.» Osservai le varie stanze a disposizione per quei giorni. «La sua sarà la suite Diamante all’ultimo piano» stabilii mentre Rose prendeva appunti. «Nessun cliente abituale potrà stare lì, o nelle stanze del corridoio opposto.»
«Diventeranno un bunker quei piani» intervenne Gabrielle.
«Purtroppo sì, per sicurezza loro e nostra» ammisi. «A proposito Rose, dovrai accompagnare il loro capo della sicurezza dal nostro e concordare cosa faranno per l’intero perimetro.»
«Adesso capisco la tua preoccupazione» replicò la mia amica. «Non vorrei essere nei tuoi panni nei prossimi giorni.»
«Farò una grossa preghiera affinché vada tutto bene e non accada niente» affermai rivolgendo un’occhiata a Rose. «Spostiamo gli altri clienti ai piani inferiori, in modo da poterli gestire al meglio. Obietteranno per le suite che avevano prenotato, ma li destineremo in altre di pari valore.»
«Potremmo fargli trovare, oltre ai fiori, champagne e frutta, una selezione di pasticcini creati dal nostro chef» suggerì Rose.
«Perfetto» acconsentii. «Provvediamo a fare il cambio, informa anche la reception e saliamo a controllare che sia tutto sistemato.»
«Certo, c’è altro?» ribatté Rose.
«Il galà, Mary è qui?» domandai riferendomi alla nostra organizzatrice di eventi.
«Sì, sta lavorando nella sala per disporre ogni cosa.»
«Va bene, avvisala che tra un’ora sarò da lei» dissi diretta verso l’ascensore, seguita da lei e Gabrielle.
«Sei più tranquilla?» chiese a bassa voce la mia amica.
«Ho esagerato?» replicai con lo stesso tono.
«Un po’, ma ti perdono» scherzò facendomi ridere. «Te lo…»
«Avevo detto» terminai al suo posto. «Cosa farei senza di te?» Scossi la testa mentre si aprivano le porte ed entravamo in ascensore.
«Te la caveresti lo stesso, tuttavia potresti ringraziarmi con un pranzo e perché no aggiungi pure i piccoli dolcetti dello chef» propose osservando la mia reazione.
Ricambiai il suo sguardo divertita.
«Che c’è?»
«Non immaginavo che fossi così golosa» risposi mentre l’ascensore si fermava all’ultimo piano.
«Il nostro chef è favoloso, fortuna che è capitato poche volte