La teoria degli opposti
Di J.R. Gray
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Il primo giorno di college, quando tutti si stanno sistemando nelle loro stanze, ecco che nella mia entra Jeff Woods, il bastardo biondo. È arrogante e intelligente, un nuotatore d’élite e, peggio ancora, adorato da tutti. Solo che è insopportabile, provocante e un dio del sesso.
Preme pulsanti che non sapevo neanche di avere, tutto con un’aria di indifferenza, come se non sapesse l’effetto che ha su di me. Ho già detto che è il ragazzo più figo che abbia mai visto?
Sono solo un omosessuale proveniente dal Sud che non ha il coraggio di fare coming out, qualcuno che è più a suo agio su un cavallo e con un paio di stivali, per niente abituato a gestire queste cose da college di lusso.
Non è possibile che un ragazzo come lui mi degni di una seconda occhiata.
L’odio è l’unica equazione possibile.
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Anteprima del libro
La teoria degli opposti - J.R. Gray
1
JEFF WOODS
Ero al college da appena una settimana, ma sognavo di fare una cosa del genere da quando avevo letto qualcosa al riguardo su Reddit. Forse ero semplicemente solo o affamato di affetto e contatto fisico – o forse entrambe le cose – ma ero maggiorenne e in una città dove non conoscevo nessuno.
Quella sera potevo essere qualsiasi cosa volessi. Chiunque volessi.
Avevo bisogno di una ricompensa dopo aver passato gli ultimi otto anni a lavorare sodo per arrivare a Stanford. Dovevo togliermi quello sfizio prima di tuffarmi a capofitto nell’obiettivo che mi ero prefissato per i successivi quattro anni. Il giorno dopo avrei iniziato gli allenamenti e lo sprint verso le prove olimpiche.
Meritavo una notte per svagarmi. Una notte per divertirmi prima di quattro anni di costante ricerca della perfezione e tutto il dolore che ne sarebbe derivato. Ma non dovevo pensare a niente di tutto ciò. Non quella sera. Quella sera era solo per me. La libertà era inebriante.
Uomini nudi erano distesi su ogni superficie della sauna, in tutte le posizioni. Una porta si aprì, spedendo una corrente d’aria attraverso la nebbia, eliminando parte del vapore e facendomi venire la pelle d’oca. Mi strinsi addosso il pezzo di stoffa che chiamavano asciugamano e che mi copriva a malapena l’inguine mentre mi avventuravo più avanti nella spa.
Ero abituato a stare di fronte a molte persone indossando solo uno speedo, e non ero timido, ma qualcosa nel rimuovere quell’ultimo pezzo di tessuto sottile per passeggiare nudo nella sauna poco illuminata mi faceva bruciare la pelle, lasciandomi anche vibrante di desiderio. Non avevo mai avuto problemi con le persone che mi fissavano – nuotavo fin dalle scuole medie – ma quello era completamente diverso. Uomini di ogni età si voltavano per osservarmi mentre passavo.
Finsi di non vederli. Ero diventato molto abile a mantenere salda la maschera che indossavo. Era più facile far finta che nulla mi disturbasse. Era diventata un’abilità fondamentale per sopravvivere.
Il mio sguardo vagò su tutta la carne esposta. Non ero sicuro di cosa stavo cercando. Un uomo più vecchio, più giovane, un orso, un twink: davanti a me c’erano tutte le opzioni. Avrei potuto avvicinarmi e toccarli tutti, ma continuavo a camminare. La capacità di poter decidere chi scegliere era un lusso dopo una vita passata a fare ciò che mi ordinavano sconosciuti pagati per fingere di essere i miei genitori.
Feci un respiro profondo e spostai l’asciugamano sulla spalla con i palmi sudati, ma mi sentivo sempre più sicuro, oltre ad avercelo duro. Non riuscivo ad avvicinarmi a nessuno degli uomini e non capivo perché. La fiducia in me era sempre stata il mio punto forte. Mi scontravo contro i nuotatori più veloci e vincevo. Allora qual era il mio problema?
Certo, avevo incontrato alcuni ragazzi negli spogliatoi e fatto cose sui sedili posteriori delle auto, ma si era sempre trattato di incontri fugaci tra giovani che avevano paura di venire beccati. Forse la libertà di prendermi il mio tempo mi stava facendo perdere la testa. Avevo bisogno di smettere di rimuginare e pensare solo a divertirmi.
Il mio sguardo si posò su una montagna umana. Non c’era altro modo per descriverlo. Era un ragazzo enorme, grosso come una casa. Ero sicuro che molti linebacker fossero invidiosi del suo fisico. Forse era a Stanford per giocare a football. Sembrava avere più o meno la mia età, forse un po’ più grande. Aveva un po’ di barba ed era più alto del mio metro e ottantadue di circa cinque centimetri. Ma aveva comunque un fascino infantile. Doveva essere al college.
Lui sollevò gli occhi verdi e le labbra carnose si aprirono mentre lo osservavo. Ricambiò l’occhiata. Era seduto con l’asciugamano in grembo per coprire il cazzo, ma il resto del suo corpo era quello di un dio. Potevo solo immaginare cosa nascondesse tra le gambe un uomo della sua stazza. Volevo assaggiarlo.
La sua attenzione cadde sul mio uccello, che divenne del tutto duro sotto il suo sguardo. Inclinai la testa in una domanda silenziosa, cercando un invito. Lui si stirò, appoggiando i gomiti sulla sporgenza alle sue spalle in una posa rilassata. Non sembrava infastidito e, non del tutto sicuro di come si svolgessero le cose in posti del genere, mi avvicinai. Lanciai un’altra occhiata al suo asciugamano. Adesso gli copriva a malapena l’inguine, delineando un cazzo enorme: una sfida, ma mi faceva venire l’acquolina in bocca.
I nostri sguardi si incontrarono di nuovo e il respiro mi si fermò in gola. Non avevo mai desiderato nessuno come volevo lui.
«Ehi,» disse con un velato accento del Sud, la cadenza strascicata che emergeva alla fine.
«Ehi.» Mi infilai tra le sue ginocchia, il mio corpo da nuotatore che quasi spariva tra le sue cosce massicce e muscolose. Il mio cazzo dondolava sopra il suo asciugamano, a pochi centimetri dal suo. «Posso?» chiesi mentre gli facevo scivolare una mano dietro il collo.
Le nostre bocche si incontrarono. Lente ma con uno scopo ben preciso. Provai un brivido nell’essere con uno sconosciuto, elettrico come la fredda scossa dell’acqua. Ero molto, molto coinvolto. Mi leccò la bocca e io mi avvicinai, cercando di sentire il suo cazzo quando non fece alcun movimento per farmelo vedere. La punta del mio uccello strusciò sull’asciugamano ruvido, colpendo i suoi addominali quando i nostri petti si incontrarono. Lui sussultò ed entrambi abbassammo lo sguardo. Il tessuto era teso sulla sua erezione. Lo tirai via, rivelando il cazzo più incredibile che avessi mai visto. Potevo anche essere ubriaco di lussuria ed eccitazione, ma sembrava quasi troppo bello per essere vero. Come una fantasia.
Avevo ogni intenzione di divorarlo.
Lui avvolse la sua enorme mano attorno al mio fianco, tirandomi in avanti. Ci scontrammo, i cazzi che scivolavano l’uno sull’altro, il vapore che fungeva da lubrificante per la nostra lussuria, permettendo ai nostri corpi di strofinarsi in una nebbia scivolosa, sensuale e alimentata dal sesso. Ero bisognoso e annebbiato dall’eccitazione, e dentro di me si scontravano il bisogno di continuare a strusciare l’erezione contro la sua e la voglia di avvolgere le labbra attorno al suo cazzo.
La seconda possibilità ebbe la meglio e caddi in ginocchio.
Lui mi guardò con gli occhi spalancati mentre passavo la lingua sull’asta d’acciaio che volevo infilarmi fino in gola.
«Porca puttana.» Le sue parole arrivarono confuse, roche, e rivelarono un accento molto più marcato di prima.
Lo desideravo. Volevo sentirlo perdere il controllo, e lo avrei fatto. Ero del tutto concentrato sul mio obiettivo. Forse mi avrebbe anche scopato. Ma avevo la bocca troppo piena per chiederlo.
«Santo Dio.» Mi afferrò la testa come se non fosse sicuro se spingermi ancora più giù o allontanarmi e scoparmi.
Gemetti intorno al suo cazzo, desiderando entrambe le cose e nessuna delle due, perché non ero ancora pronto a far finire quell’incontro. Mi afferrai il cazzo e lo accarezzai, infilandomi il suo ancora più in profondità mentre la sua presa si stringeva. Si piegò in avanti, gemendo con quel suo accento perfetto.
Com’era possibile che lui fosse reale?
Avrei potuto succhiarglielo per sempre, ed ero sul punto di esplodere, trattenuto solo dalla possibilità che mi scopasse.
Volevo il suo cazzo.
Volevo lui.
E raccolsi il coraggio per chiederglielo, respirando forte mentre mi sfilavo il suo uccello dalla bocca. Ancora legato da un filo di saliva mentre la sua punta gonfia mi pulsava contro le labbra, sussurrai: «Scopami.»
Lui mi guardò negli occhi. «Vieni qui.»
Non aspettò che mi muovessi, mi trascinò sulle sue gambe. Mi baciò, ma quella volta fu diverso, meno bisognoso e più deciso. La mia mente girava, cercando di mantenere i contatti con la realtà mentre il mio cervello eccitato minacciava di eliminare ogni pensiero razionale.
«Preservativo,» riuscii a dire in mezzo alla nebbia della lussuria.
Lui annuì ed entrambi ci guardammo intorno alla ricerca dei distributori automatici che intervallavano la sauna. Il più vicino era appena fuori dalla nostra portata.
«Vado io,» mi offrii, districando i nostri corpi e imprecando per non averne preso uno mentre mi avvicinavo.
Lui si alzò con me, un comportamento strano considerando che bastava una persona per portare a termine il compito, ma forse pensava che qualche orso mi sarebbe piombato addosso e mi avrebbe rapito, quindi non dissi niente. Afferrai un preservativo, poi spinsi il ragazzo contro il muro per metterglielo.
«Dove lo facciamo?» chiese, quella volta senza mascherare la pronuncia strascicata.
«Non mi interessa.»
Mi trascinò di nuovo dov’era stato seduto e io gli salii a cavalcioni sulle ginocchia, prendendogli il cazzo in mano. Lui mi afferrò la mascella, tirandomi la bocca verso la sua e baciandomi piano mentre posizionavo l’uccello contro la mia apertura.
Gemetti nella sua bocca, abbassandomi per incontrare una pressione immensa. «Ce l’hai così grosso.»
Qualcosa che non riuscii a leggere gli balenò di colpo negli occhi. «Mi dispiace. Non posso. Devo andare.»
Mi tirò in piedi e mi spinse di lato, scusandosi di nuovo.
Osservai il suo culo in ritirata con la bocca aperta, lasciato come la versione peggiore di Cenerentola, con solo il suo asciugamano e nessun modo per trovarlo.
2
MASON MILLER
Pensavo di potercela fare ma ovviamente mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso. In qualche modo mi ero convinto che, se avessi spento il cervello, sarei stato in grado di dimenticare di aver fatto sesso, o forse di gestire il ricordo, ma andare in una sauna mi aveva fatto capire che non sarebbe stato così semplice.
Peggio ancora, non era accaduto con un ragazzo facile da dimenticare. Quel tipo mi era rimasto bloccato nella testa e ora era il protagonista di tutte le mie fantasie. Non sapevo nemmeno il suo nome. Non lo avrei mai più rivisto e non ero sicuro se quello avrebbe reso le cose migliori o peggiori.
Continuavo a ripensarci e a prendermi a calci in culo per essere fuggito. Le sue labbra erano così morbide e carnose. Era stato il mio primo bacio con un ragazzo e, in quel posto con così tanti occhi puntati su di noi, ero stato in mostra e al tempo stesso nascosto. Esposto ma anonimo.
Avevo sul serio pensato di riuscirci ma, quando mi aveva baciato di nuovo, succhiandomi il labbro inferiore affamato di me con la pelle nuda che scivolava sulla mia, ero andato nel panico. Mi era piaciuto troppo. Così tanto da pensare di rinunciare a tutto il mio futuro per una notte con lui.
Chi era quel dio biondo, e perché era stato interessato a me?
Rivivere quel momento era diventata la mia ossessione.
Avevo dimenticato i dubbi su me stesso mentre mi baciava, mordicchiandomi il labbro inferiore. Mi ero lasciato travolgere, sopraffatto e inebriato. Lui aveva abbassato una mano tra noi e ci eravamo guardati mentre tirava via il tessuto ruvido.
Lo avevo afferrato. Non ero riuscito a trattenermi. L’avevo trascinato in avanti finché i nostri corpi non si erano scontrati. Il suo cazzo liscio aveva premuto contro il mio. Aveva sopraffatto i miei sensi. Avevo sempre saputo di essere attratto dai maschi, ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato così. Mi ero appena ripreso dal bacio quando lui si era tirato indietro bruscamente.
Avevo sussultato, cercando di tirarlo di nuovo a me, ma lui aveva opposto resistenza ed era caduto in ginocchio.
Un armadietto sbatté e mi riportò al presente. Ero nello spogliatoio, per la miseria. A che cazzo stavo pensando? Era una fantasia, una fantasia che non potevo permettermi di rivivere in un luogo simile. In ogni caso, non sarebbe mai diventato niente più di quello. Era stato pericoloso andarci. Troppo pericoloso. Non potevo correre di nuovo il rischio. Qualcuno avrebbe potuto riconoscermi.
Quindi il dio biondo sarebbe rimasto nei miei sogni.
«Esci stasera? Tutta la squadra va a bere qualcosa,» disse Noah, facendomi saltare fuori dalla mia fantasia. Niente riusciva a farmi tornare alla realtà e ricordarmi perché non avevo fatto coming out quanto il mio cugino etero del cazzo deciso a festeggiare durante la sua esperienza al college prima di sistemarsi
. Soprattutto in uno sport come la pallanuoto. Riuscivo già a immaginare quanto a disagio si sarebbero sentiti gli altri ragazzi a strofinarsi contro di me, quasi nudi e bagnati, mentre ci toccavamo sott’acqua. Come se tutti fossero il mio tipo. Non mi piacevano i ragazzi grossi come me. Preferivo di gran lunga quelli più esili. Mi piaceva la differenza nelle dimensioni. Uno dei motivi per cui ero stato così attratto dal dio biondo.
«No, non credo,» dissi quando mi resi conto che non gli avevo risposto.
«Cosa ti ha distratto?» chiese.
Odiavo che se ne fosse accorto. Avevo trascorso gran parte dell’allenamento pensando a quel momento. «Sto cercando di entrare nella mentalità giusta.»
«Sei distratto da circa una settimana. Hai bisogno di rilassarti.» Facile a dirsi per Noah, non c’era niente in grado di toccarlo.
«Ci sto provando,» mentii.
«Un drink stasera ti aiuterà.» Sorrise, asciugandosi i capelli.
«Non ho bisogno di peggiorare le cose con l’alcol.»
Forse un drink non mi avrebbe fatto male, ma non volevo rischiare. Non quando avevo così tanto da perdere.
«Sei così noioso. Ce l’hai fatta. Hai ottenuto quella maledetta borsa di studio. Non hai più scuse per non uscire.» Noah gettò la maglietta nell’armadietto.
Mi sedetti prima che notasse la sagoma della mezza erezione che il sogno a occhi aperti aveva provocato sotto lo speedo. L’ultima cosa che volevo era che mio cugino mi chiedesse come mai ce l’avessi duro. «Come puoi aspettarti che io perda la concentrazione adesso? I nostri posti qui non sono garantiti.»
Noah fece una pausa e si voltò verso di me. «Sei preoccupato che verremo esclusi a giugno? Non c’è fretta! Abbiamo un anno per metterci alla prova. Non è possibile che non rinnovino le nostre borse di studio. Quel genere di cose è un tecnicismo.» Fece un gesto con la mano e non riuscivo a capire come potesse essere così tranquillo.
«Se facciamo festa e non reggiamo gli allenamenti e non rispettiamo gli standard, faranno spazio ai ragazzi più disciplinati.» Non era comune, ma a volte accadeva negli sport universitari della Divisione 1.
«Quindi te ne vai dal ranch per quattro anni per una cosiddetta pausa e non ne approfitti? Stai sprecando la libertà che ti sei guadagnato.» Le sopracciglia di Noah si sollevarono come accadeva ogni volta che era incredulo.
«Non posso ancora rilassarmi. Non posso.» Avevo paura anch’io e Noah non avrebbe mai capito… non quello che stavo passando e neanche come mi ero sentito la notte precedente.
Non riuscivo a smettere di pensare a quel ragazzo. Non avrei dovuto rivederlo mai più, altrimenti ne sarei diventato dipendente. Ne ero certo. Non c’era spazio per lui in nessuna parte nella mia vita. Non rientrava nei miei piani.
«Se continui così, sarà come tornare al liceo e non ti rilasserai mai. Andiamo, non vuoi uscire con qualcuno e diventare finalmente uno studente universitario?» Noah sospirò: avevamo avuto quella conversazione così tante volte.
Eravamo in una situazione di stallo. Era entrato al college, quindi pensava che il suo comportamento andasse bene. Ma io non potevo nemmeno rischiare, anche se ero a migliaia di chilometri di distanza dal ranch, perché dopo quella pausa di quattro anni sarei comunque dovuto tornare indietro. Conoscevo il mio destino da quando avevo capito cosa fossi a sei anni. Mio nonno e io eravamo andati fino ai confini del ranch e lui mi aveva mostrato tutto ciò che possedevamo. Come il Re Leone, per la miseria. Sapevo che ero destinato a diventare un allevatore. Il Miller Ranch sarebbe stato mio e non potevo deluderli.
E se avessi fatto finta di non dover tornare lì per i seguenti quattro anni, avrei solo ingannato me stesso. Dopo la sera precedente, sapevo che non potevo nemmeno permettermi di assaggiare la libertà. Il mio compito era produrre altri eredi. Dovevo sposare una brava ragazza del Sud appartenente alla famiglia giusta e vivere come ogni uomo della mia casata aveva fatto prima di me.
«Mason?» mi chiamò Noah.
«Cosa?» replicai, rendendomi conto che avevo smesso di seguire la conversazione.
«Mi stai ascoltando? Esci stasera. Socializzare con la squadra è importante anche se non resti fino a tardi.» Incrociò le braccia sul petto massiccio come se volesse litigare con me. E forse lo avrebbe anche fatto, era una testa calda. La nonna diceva sempre che io ero il cervello e lui il braccio.
«Va bene. Okay.» Aveva ragione ed ero bravo con le persone. Lo ero sempre stato. Avevo lavorato sodo per fare in modo che tutti vedessero ciò che volevo. «Aspetta, ci faranno entrare?»
«Hanno delle conoscenze.» Noah alzò le spalle strofinandosi un asciugamano sul petto. «Oggi lavori?»
«Sì, ma solo per poche ore.» Mi voltai per guardare ovunque tranne che verso di lui mentre si cambiava.
Avevo imparato presto che ai ragazzi etero non piaceva pensare che qualcuno li guardasse mentre erano nudi. Anche la curiosità naturale era mal vista. Ognuno doveva tenere gli occhi nel suo spazio.
«Lavorerai davvero tutta l’estate?» chiese mio cugino. «Dai, amico, sei al college. Devi goderti la prima estate dopo essere riuscito ad arrivare fin qui. Come farai a rimorchiare le donne se lavori tutto il tempo?»
«Cazzo, ci vogliono i soldi per uscire con qualcuno.» Sapevo di far parte della minoranza. Quasi tutti quelli che entravano a Stanford erano ricchi sfondati e non ci pensavano due volte a spendere i soldi dei loro genitori. Era evidente dai vestiti, le macchine e persino gli appartamenti in cui vivevano alcuni di loro. Avevo avuto la fortuna di incontrare un altro ragazzo della squadra che aveva permesso a me e Noah di subaffittare due stanze a casa sua per l’estate. La borsa di studio avrebbe coperto almeno le spese di base una volta iniziata l’università, ma dato che avevo deciso di trasferirmi prima dell’inizio dei corsi, avrei dovuto cavarmela da solo fino a quel momento.
Lasciare il ranch nel pieno della stagione aveva incasinato tutti.
«Faresti meglio a non lavorare tutti i giorni. Alcune delle nostre senior sono uno schianto. Hai visto la squadra di nuoto femminile?»
«Ho già accettato di uscire stasera. Non devi continuare a convincermi.» Infilai la mia roba nella borsa. Il lavoro era un’ottima scusa per non uscire sempre con i ragazzi. Così come lavorare nel ranch lo era stato al liceo. La gente se ne accorgeva se non portavi mai una ragazza a casa, e non volevo finire sul loro radar in quel modo, non prima di aver dato prova del mio valore in piscina.
«Non darmi buca, cazzo.» Mi puntò l’indice contro il petto. «Mandami un messaggio quando esci dal lavoro, così ti dico dove andiamo, va bene?»
Aprii la bocca per rispondere, ma i miei occhi si posarono sul dio biondo.
Il ragazzo della sauna ci passò accanto, ridendo insieme a un paio di tizi, e riuscii solo a fissarlo.
«Mason?» mi chiamò Noah.
Non appena Noah pronunciò il mio nome, il ragazzo si girò e dall’espressione del suo volto compresi che mi aveva riconosciuto.
Lottai per mantenere la calma. «Sì, okay, amico,» dissi in fretta, cercando di togliermelo di torno prima di fare la figura dello scemo.
«Immagino che ci vedremo più tardi.» Noah alzò un pugno.
«Sì.» Picchiai le nocche contro le sue, deglutendo mentre il mio cazzo si induriva ancora di più.
Noah si voltò,