Ripensare l'età dei diritti
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ALDO SCHIAVELLO: già Dottore di Ricerca in “Filosofia analitica e teoria generale del diritto” presso l’Università degli Studi di Milano, insegna ora Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, di cui è attualmente anche Direttore. È stato coordinatore del Dottorato internazionale in “Diritti umani: evoluzione, tutela e limiti” (2010-2015) e delegato all’assistenza del Rettore ai dottorati di ricerca (2014-2015).
È attualmente componente del Senato accademico dell’Università di Palermo. Codirige con Giorgio Maniaci e Giorgio Pino la rivista Diritto & questioni pubbliche e con Vito Velluzzi la collana Filosofi e filosofie del diritto (Ets, Pisa). Fa parte del comitato scientifico o consultivo di più Riviste e Collane editoriali. Oltre a numerosi saggi e articoli ha pubblicato i seguenti volumi monografici: Diritto come integrità: incubo o nobile sogno? Saggio su Ronald Dworkin (1998); Il positivismo giuridico dopo Herbert L.A. Hart. Un’introduzione critica (2004); Perché obbedire al diritto? La risposta convenzionalista ed i suoi limiti (2010). Ha curato con Vito Velluzzi Il positivismo giuridico contemporaneo. Un’antologia (2005) e con Giorgio Pino e Vittorio Villa Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo (2013). Le sue principali linee di ricerca sono il positivismo giuridico, l’interpretazione e l’argomentazione giuridica, il neocostituzionalismo, le teorie della giustizia, la ragione pubblica, la normatività del diritto e i diritti umani.
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Anteprima del libro
Ripensare l'età dei diritti - Aldo Schiavello
Seminari Mutinensi
PICCOLE CONFERENZE
Collana diretta da Aljs Vignudelli
21
Aldo Schiavello
RIPENSARE L’ETÀ DEI DIRITTI
Mucchi Editore
© STEM Mucchi Editore s.r.l.
Via Emilia Est, 1741 - 41122 Modena
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Edizione digitale: settembre 2016
Produzione digitale: Mucchi Editore
ISBN: 9788870007213
Indice sommario
1. Premessa
2. Che cos’è l’età dei diritti
3. La fiducia nei diritti umani e la questione del fondamento
4. Ragione pubblica
5. Minimalismo dei diritti
6. I limiti del minimalismo dei diritti
7. Osservazioni conclusive
1. Premessa
In questo primo scorcio di terzo millennio una riflessione sui diritti umani si impone con prepotenza. Il primo settembre duemilauno ha segnato un punto di non ritorno anche per la cultura dei diritti umani. In un breve saggio che va dritto al cuore delle questioni, David Foster Wallace si chiede cosa si debba essere disposti a fare per salvare quella che egli chiama idea americana
e che coincide quasi del tutto con lo stile di vita occidentale e con una concezione della giustizia liberale e democratica¹. Ci sono due strade percorribili.
La prima consiste nel rifiutare un drastico ridimensionamento della libertà individuale, ben sapendo che questo atteggiamento produrrà un certo numero di «sacrifici sull’altare della libertà». Scrive Foster Wallace: «[…] se decidessimo che una certa vulnerabilità minima di base agli attacchi terroristici rientra nel prezzo dell’idea americana? Che la nostra è una generazione di americani chiamati a fare sacrifici per preservare il nostro stile di vita – non solo dei nostri soldati e dei nostri soldi sul suolo straniero, ma il sacrificio della nostra sicurezza e delle nostre comodità personali? Magari anche della vita di altri civili?». Argomenti contro l’opportunità di operare un bilanciamento emergenziale
tra esigenze legate alla sicurezza e esigenze legate alla libertà sono state avanzate, tra gli altri, da Jeremy Waldron in un fortunato libro del 2010².
La seconda strada impone il sacrificio di pezzi importanti della nostra libertà e del nostro stile di vita a vantaggio (si spera) della sicurezza. Si domanda sempre Foster Wallace: «Quali sono gli effetti sull’idea americana di cose come Guantánamo, Abu Ghraib, Patriot Act I e II, sorveglianza senza garanzie […], ecc. ecc.? Ipotizziamo per un istante che alcune di queste cose abbiano contribuito davvero a rendere la nostra persona e le nostre proprietà più sicure – ne vale la pena? Dove e quando si è tenuto il dibattito pubblico sul fatto che ne valga la pena? […] Siamo diventati così egoisti e spaventati da non volerci porre nemmeno il dubbio che certe cose abbiano la meglio sulla sicurezza?». Guardano ad esempio con favore a cospicui sacrifici della libertà sull’altare della sicurezza, sia pure con sfumature e accenti diversi, tra gli altri, John Yoo, Jay Bybee e Alan Dershowitz, tutti giuristi ampiamente criticati da Waldron.
In ogni caso, e comunque la si pensi, è un fatto significativo che, dopo l’undici settembre, temi come la tortura, il ticking bomb e similari hanno acquisito uno spazio nel dibattito pubblico del tutto inusuale nei decenni precedenti. Già solo discutere sull’ammissibilità della tortura in determinate circostanze implica un ripensamento della cultura dei diritti. Tale ripensamento, peraltro, è di ampia portata, e interseca alcune delle nozioni chiave del dibattito pubblico contemporaneo a partire da quella, ormai non più proprio à la page, di fine della storia
, per continuare con globalizzazione
, scontro di civiltà
ed altre analoghe.
Nelle pagine che seguono non mi occupo direttamente di queste sfide alla cultura dei diritti, ma cerco di compiere un percorso à rebours al fine di valutare se la narrazione mainstream sui diritti umani che si è sviluppata a partire dalla seconda metà del XX secolo non possa essere affiancata da una ricostruzione almeno parzialmente diversa, che magari aiuti a comprendere meglio la crisi dei diritti umani che caratterizza il mondo contemporaneo.
Una riflessione di questo tipo potrebbe servire anche per evitare di commettere l’errore di considerare i diritti umani come una panacea contro tutti i mali. Mi limito ad un esempio significativo. Jan Assmann notoriamente collega la violenza religiosa
, la violenza che