Impperfezione
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Firenze. Una vetrina separa Leonardo dall’anello diversamente luminoso, che lo porta a cambiare il suo rapporto con le donne. Un folle Leonardo, narciso, fatto di volti devianti che lo aderiscono. Legittimandolo come quel foglio sottile da usare a protezione dell’ennesimo virus. Samantha è l’anima gemella che sconfina oltre l’umano. Una bambola con intelligenza artificiale che diventa una protesi del sé e non un altro da sé. L’umana perfezione. Il desiderio di Lei di autodeterminarsi e l’amor proprio come cura di sé fanno il resto. Samantha diventa donna. L’umana imperfezione. Leonardo è destabilizzato, privo di coraggio e consistenza. Si riconosce e non si piace. È agganciato alla ricerca dell’altra perfetta, che impietoso la mortifica e che rischia di scadere nel suo perpetuarsi come moto in sé, ma riesce a redimersi dai quei volti e amarsi. Lei, nonostante “diversamente donna”, si basta da sola e sola si salva. Grazie alla giovane ingegnere giapponese che le dona una parte di sé, la più intima, un’anima libera e curiosa. Ora è Mia, determinata a liberare chi come Lei incarna un essere alieno venduto a quella morsa volgare, priva di scrupoli e umana comprensione.
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Anteprima del libro
Impperfezione - Loretta Chiarotti
Loretta Chiarotti
Paolo Torelli
IMPPERFEZIONE
Elison Publishing
© 2021 Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869632921
Alla mia dolcissima mamma Emanuela che,
da brava lettrice, si sarebbe piacevolmente
avventurata nella lettura
del nostro primo inedito.
Paolo
Prefazione
La ricerca complementare dell’essere è e sarà sempre l’essenza del nostro vivere?
La frenesia incollata sui nostri volti, nel suo procedere incessante, in cui rimaniamo intrappolati, fagocitati, perché parte di un complesso ingranaggio dal quale non riusciamo a uscire o il vile narcisista che vive in noi, ci porteranno a fare la scelta del protagonista?
Il desiderio di vivere l’umana imperfezione
nella sua articolata complessità ci abbandonerà per sempre?
Per Leonardo l’individuazione dell’anima gemella nella sua continua ricerca, sconfinerà oltre l’umano, diventando una protesi del sé e non un altro da sé.
L’idea che a me piace definire malsana
, è nata dopo una lunga chiacchierata con un amico. Il tema sempre lo stesso: le donne. Lui, che si presenta come un ragazzo gradevole, simpatico, atleta nel fisico come nella vita, ma particolarmente sfortunato in amore. Ha persino preso in seria considerazione una scelta molto discutibile, proprio come il nostro protagonista Leonardo.
Molto professionale e affidabile sul lavoro, sicuramente instabile e adolescenziale in amore, Leonardo ha dovuto affrontare delle situazioni a dir poco bizzarre e surreali.
La ricerca folle e sincera di un amore diverso ma privo di decoro, non conforme alle norme della morale, discordante dall’amore e dall’umana comprensione, lo porterà a scontrarsi all’improvviso con le sue paure e quei vuoti a perdere che credeva di aver reso innocui, perché compiaciuti da quella scelta così palesemente discutibile. Scellerata, sfacciata, figlia e frutto delle proprie angosce, delle lacune e dei propri eccessi.
Ecco che qui Lori, mia moglie, dolcemente ha iniziato a poco a poco, a inserirsi nella vita di Leo. Curiosa, suscettibile, ipersensibile a quei lividi che affiorano solo a sfiorarli.
In un primo momento gli era antipatico, lo trovava a dir poco odioso. Un frustrato inconcluso. Poi ha iniziato a dialogare con lui, ad averne compassione. A capire il suo di dolore. Poi quella realtà, la sofferenza ineluttabile di Samantha in cui anche lei, Lori, mia moglie, si è ritrovata. Sola, al buio. Un tempo lungo come la vita, in cui ti fermi e basta. Non riesci più a crescere davvero o lo fai male. Storto, eccessivamente sensibile a tutto, ai suoni, agli odori, a ciò che vedi. A volte il tutto è deforme o ti credi tu tale. Non sai guardarti con i tuoi occhi e sentirti con il tuo cuore. Hai solo paura di sbagliare, sempre. Poi Samantha una tenerezza infinita e Mia, forte come il vento.
Nonostante le particolari quanto artificiose sfumature "impperfette di Lei, la storia grottesca, folle e tragicomica che fa loro da cornice, per un po’ funziona. Tuttavia è
solo" una cornice anche se bellissima e preziosa, come quella dello specchio a casa di Leonardo. Una stupenda intelaiatura, ben fatta, dalla quale volendo si può uscire per sempre e volare.
Lei, anche se diversamente donna, si salva. Riesce a reinventarsi. È nella natura delle donne. Tutte.
Il tempo è un prezioso alleato. Leonardo riesce a capire di essere agganciato, appeso come un fazzoletto usato deriso dal vento, a una ricerca dell’altra perfetta, che rischia di scadere nel suo perpetuarsi come moto in sé, destinato a essere incolmabile e inappagabile.
Poi l’amore, quello vero e la bellezza.
La bellezza è il gioco dell’armonia, che diverte e soddisfa solo chi ha coraggio e ama davvero.
Diversamente luminoso
Ok, tra un po’ scendo. Un’occhiatina allo specchio… non mi capacito quanto è bello, la cornice è superlativa, ottima scelta. Il profumo di quell’essenza legnosa mi fa tornare bambino. La sua luce riflessa cattura l’anima.
È curioso. Preciso, lungimirante per chi lo sa guardare: complice e custode di un segreto incomprensibile e paradossale, se pur annunciato.
Specchio, specchio delle mie brame, a volte ti temo.
Scendo. Oggi è il 15 novembre di un pomeriggio freddo e nebbioso, tipicamente autunnale.
Mi piacerebbe farmi coccolare dal focolare domestico seduto sul divano di casa. A far nulla. Per poi, a poco a poco, scivolare e diventare un tutt’uno con esso. Guardare una pellicola romantica con Lei, una commedia d’amore o surreale, come ciò che a volte vorrei dalla vita, un po’ di magia…
Nulla è ciò che sembra e tutto è anche troppo scontato. I miei volti sono sempre lì, più o meno desiderati, appiccicati, quasi a non volersene proprio andare.
Noi, su quel divano. Magari mentre mangiamo dei buonissimi cantucci voracemente inzuppati nel vinsanto, per poi ballare un lento sulle note sensualissime di Too much heaven
dei Bee Gees, mentre le sussurro:
– I want you and only you…
Invece sono qui. Come un bischero, davanti a questa oreficeria proprio di fronte a casa, nel centro storico di Firenze, la mia città. Almeno da mezz’ora e senza il mio inseparabile foglio di plastica trasparente. Sottile, sottilissimo, quasi inconsistente. Comodo e leggero, facilmente modellabile. Una seconda pelle.
Ultimamente di mezz’ore lì davanti ne ho passate parecchie. In realtà è già da molto tempo che ho iniziato a sostare in questo posto, fermo, ad aspettare.
Sempre insieme ai miei pensieri, tanto confusi e incoerenti tra loro che a volte fatica anche Loretta a ricomporli, a dare loro un senso, una via di uscita. Soprattutto dopo la nostra ultima chiacchierata. Ricordo bene le sue parole e mentre mi parlava, maneggiava uno dei suoi antistress-tech, uno dei tanti: due anelli da sbrogliare in un intreccio impossibile. A me avrebbe fatto l’effetto contrario.
– Forse è meglio l’uncinetto o i ferri, – borbottava sottovoce – almeno confeziono qualcosa di utile e caldo. – ma riusciva sempre nel suo intento. Le piaceva osservare con soddisfazione quei due anelli velocemente liberati, per poi collocarne una davanti ad un occhio come fosse un monocolo e mi guardava tutta seria. Si fa per dire seria, così Loretta mi ricordava una delle faccine tanto usate su WhatsApp, l’emoticon con il monocolo che ti da quell’occhiatina ammonitrice… sì, proprio quella. Poi ha aggiunto:
– Leo sei assurdo a volte. Però ti voglio bene lo stesso.
Sono davanti a questa vetrina in contemplazione di un bellissimo anello in oro bianco con diamante, diversamente luminoso: tanto che devo mettere i miei inseparabili occhiali da sole per poterlo ammirare in tutto il suo splendore.
Tosca, la titolare del negozio, me l’ha messo in un angolo nascosto della vetrina, dove riesco a scovarlo solo se mi metto in una posizione precisa.
Tutte le volte che voglio vederlo, devo avvicinarmi al lato sinistro della vetrina, appoggiarmi con la mano all’infisso per non perdere l’equilibrio e mettermi in punta di piedi, ruotando leggermente il collo a destra.
Quando sono in questa posizione, mi sento osservato, i passanti mi guardano, ma mi piace ammirarlo e sognare…
Tosca ora è in negozio e la vedo davanti a quel prezioso bancone riporre con cura alcuni gioielli nel pannetto. Peppino invece come sua abitudine è affacciato alla finestra. Lo vedo dietro di me e con la coda dell’occhio cerco di capire le sue intenzioni senza che se ne accorga. Il provvidenziale saluto di Tosca mi salva in extremis.
– Ciao Leo! – esclama salutandomi con la mano.
– Ciao Tosca. – le rispondo.
– Vo’ a desinare! – mi dice Peppino salutandomi con un cenno della mano appena si accorge di Tosca, sapendo che il nostro è un arrivederci, a presto.
– Sì, vai, vai a riempir la buzza. – gli rispondo facendo riferimento alla sua pancia. Tosca mi guarda e ride, poi mi dice:
– Non ti preoccupare Leo, è ancora lì. Chissà che prima o poi…
– Magari sì. – le rispondo sospirando. A volte lo leva di proposito per vedere la mia reazione che subito arriva e con aria apprensiva le domando:
– Non l’hai venduto? Vero?
– No, no! Sei buffo Leo! E sei romantico.
La guardo, me lo dice con quella strana aria e allora mi chiedo: Le piaccio, mi adora. O mi compatisce amichevolmente?
poi aggiunge:
– Tu si nu’ guagliòn Leo! E tu lo sai con che fa rima guaglione?
Tosca. Un concentrato di risa, insieme facciamo le bischerate, sembriamo due adolescenti, ma alla fine dobbiamo fare ritorno nel mondo dei grandi. Amica mia.
L’ho conosciuta due anni fa in estate con il sole alto, bollente. Tosca piangeva, sembrava una bambina, poi improvvisamente diventava furiosa. Parlava in modo concitato, gesticolava ed io ascoltavo. Ascoltavo come non mai, delusa anche lei dall’ennesima storia d’amore finita male. Poi la reciprocità, complice impagabile. Siamo diventati amici, io e lei, un uomo e una donna, amici veri. È stata per amicizia che Tosca ha nascosto ingegnosamente l’anello.
Lontano da altri occhi innamorati dell’amore. Come i miei.
All’inizio ho faticato parecchio per convincerla. Si tratta infatti di un pezzo
a tiratura limitata, una vera e propria opera d’arte, unica per la sua inestimabile bellezza e con un piccolo difetto: ha un graffio che è come una ferita.
L’anello ora è sempre lì a illuminare la vetrina, ma non è visibile a colpo d’occhio ed è bello anche con quel piccolo sfregio.
È stato due anni fa in primavera, durante una delle mie solite girate: a un tratto, anche se soggiogato dai miei pensieri, ho notato un bagliore osservabile solo grazie ai miei inseparabili occhiali scuri. Ero rapito.
Una sorta di spiraglio vitale. Una luce accecante. Solo grazie ai miei
inseparabili occhiali, riesco ad ammirarlo davvero e a comprenderne l’eleganza. Grazie a quelle lenti, magiche
, vedo quella scalfittura. Una ferita, portata con audacia, un segno che lo rende originale. Un pezzo unico.
Tosca lo aveva messo in bella evidenza e solo un lauto acconto, a ragion veduta, è servito a farle cambiare idea.
A dire il vero, il nostro rapporto è stato all’inizio piuttosto burrascoso. Un giorno, mentre ero immobile come solito davanti al negozio, dal vetro, come in uno specchio, ho visto chiaramente avvicinarsi alle mie spalle due carabinieri in uniforme: all’improvviso mi hanno afferrato di peso e mi hanno portato via.
– No, scusate! Scusate, deve esserci un equivoco!
In un attimo mi sono ritrovato con le braccia bloccate e i piedi a mezz’aria. Con un movimento incontrollato delle gambe, cercavo di divincolarmi e chiedere spiegazioni. Inutilmente.
Solo dopo molti giorni ho capito che Tosca, osservandomi con quell’aria sospettosa, da un po’ di tempo telefonava preoccupata alle forze dell’ordine.
Una volta chiarito che non ero uno stalker, ma solo strano, molto depresso e fortemente stordito dopo l’ennesima storia d’amore e di sesso andata male, Tosca ha iniziato a guardarmi con occhi diversi. Compassionevoli! E come darle torto.
Da quel momento abbiamo iniziato a parlare e camminare, camminare e parlare. Quante volte abbiamo vagato e su e giù da Ponte Vecchio, spingendoci fino Oltrarno
, tante volte. È stato tra risa, pianti, molti caffè, qualche aperitivo e soprattutto tanta ironia, che è iniziata la nostra amicizia così disinvoltamente adolescenziale.
Noi, sempre preda di facili entusiasmi.
Anna e le altre
La nebbia. Sembra di essere a Milano. Anche oggi, 16 novembre, è una giornata uggiosa, fa un freddo birbone e trasuda una pioggerellina fine e fastidiosa che mi bagna il viso, come a voler lacrimare. Dei motivi per mettersi a piangere ce ne sono parecchi.
Una birra, ci vuole una birra Pepe o del buon vino. E un po’ di musica: Money’s Too Tight (To Mention)
dei Simply Red, per darmi la carica e farmi scivolare via un po’ di tristezza.
Pepe, la mia amica, si avvicina e mi guarda. Parlo tanto a Pepe, le nostre sono vere e proprie conversazioni. Ognuno a modo suo. Credo, anzi sono convinto, che comprenda quasi o tutto ciò che mi passa per la testa e sa andare oltre. Lei coglie i miei pensieri, i miei stati d’animo e se potesse, li calerebbe in parole.
Ricambio il suo sguardo e mentre mi guardo allo specchio le dico:
– Sì Pepe hai ragione, ho una faccia… è l’astinenza da sesso. Da amore. Fa male Pepe non fare all’amore, fa male! Vedi? Poi ti riduci così… A dire il vero è passato poco tempo dall’ultima volta, a me sembra comunque un’eternità. Non che io sia dipendente…
Mi parte un pianto fanciullesco, un lamento. Mi avvicino a Pepe e con un’espressione involontariamente lussuriosa, le dico:
– Pepe sì. Sì! Ho bisogno di una donna, di una femmina, ho bisogno di fare sesso! La guardo. Pepe basita e preoccupata dal mio sguardo, mi guaisce, abbassa le orecchie, mette la coda fra le zampe e fugge.
– Pepe! Pepe, ma cos’hai capito?
Non ho mai visto nel pianto una debolezza, ma semplicemente una constatazione di ciò che poteva essere e che invece non è stato.
Vado ancora davanti allo specchio con il bicchiere in mano. Mi guardo e improvviso smorfie, boccacce, che come in una caricatura esprimono quel viavai costante e caotico dei miei pensieri. L’ultima smorfia elude un pianto, un frigno infantile. D’altronde come posso non biasimarmi pensando alla mia attuale condizione: sono un uomo di mezz’età, di aspetto gradevole, belloccio, molto simpatico e di compagnia mi dicono, con una gratificante attività lavorativa, sia sul piano professionale sia economico ma tormentato da continui travagli sentimentali. Sono un moto perpetuo: se ne va una storia, finita male, ed eccone un’altra.
Tuttavia non sono mai stato tanto confuso e destabilizzato come dall’ultima, vera, storia d’amore.
Vivo sospeso. Mi sento in una stasi perenne.
Soprattutto dopo averla conosciuta. Penso a Lei e a quella sera.
Alla cena con Rocco e Alessandro, alla situazione surreale che ti fa dire: sogno o son desto?
Alle mie parole afone. Sono proprio loro la causa del mio frignare. Non posso certo incolpare loro: le parole. Loro, che volevano uscire a gran voce, forti, decise, prorompenti come non mai. Loro sì. Io invece sono stato un vile e la mia codardia, inesauribile.
Ora vivo nell’attesa e nella speranza, sono in balia degli eventi. O sono loro in balia di me?
Sta per calare la sera. Dopo che l’ottima birra artigianale bevuta poco fa, ha fatto come sempre il suo dovere, scendo. Ricordo quando Pepe mi rammentava, come sempre, di prendere quel foglio.