roberto rossi
Roberto Rossi, author of an ample academic volume ("Aristotle: the art of living: fundamentals and practice of Aristotelian ethics as a way to happiness") published by Franco Angeli, has been studying Aristotelian philosophy and ethics for the last twenty years. Previously he has been an Italian career diplomat: in his latest functions he has been the Italian deputy permanent representative (ambassador) to the E.U. in Brussels, chief of cabinet of the Italian minister for European affairs, diplomatic counsellor of the Italian finance minister. He has also been professor of history at the university of Rome 'La Sapienza' . Having left in advance the diplomatic career, he has devoted himself to Aristotelian studies.
Supervisors: Professor emeritus Enrico Berti of the Padova University
Phone: (+39)3496440141
Address: via del Casaletto 455, Rome, Italy
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Drafts by roberto rossi
In principle, pleasure in all its forms is a good for us, because the tendency to pleasure and inner satisfaction is intrinsic to our nature. Pleasure is an instantaneous and complete act of our soul, which inseparably accompanies and perfects each of our vital acts, whether physical or mental; and the more perfect the vital act is, the more pleasant it is.
There are various kinds of pleasures, and since each of them has a different ethical value in view of our happiness, for us it is a question of understanding, with the help of the virtues and in particular of practical wisdom, what are the pleasures to be sought and what are to be avoided.
With every action we perform we pursue a good that personally ‘appears’ good and pleasant to us, but which is not always a ‘true’ pleasure, good and pleasant in absolute terms and according to nature; if that good is really good and pleasant, our action is excellent and virtuous, and if it is not at all, our action is vicious. Actions aiming at goods of the soul (such as the virtues or contemplation) give us pleasures of high ethical value, and with them there is never the possibility of excess; instead actions aiming at goods of the body (such as food or sex) or external goods (such as wealth or power), although being, they too, absolute and natural goods, give us pleasures of less ethical value in view of happiness, and with them there can be excess if we go beyond our natural physical and mental needs. We must therefore, acting according to virtue, pursue in the right measure pleasures relating to all three categories of goods, but giving priority to pleasures relating to the goods of the soul.
Aristotle states that happiness resides in “activity according to virtue”, therefore the more we perform perfect and excellent virtuous actions, the more pleasure we derive from them, and the closer we get to happiness; and if those virtuous actions are maximally perfect (that is, if they are performed for themselves, without any further end) we can derive from them the highest pleasure. However, even if the highest, pleasure is not the supreme good, the ultimate end of our life: that ultimate end is happiness, of which, however, the highest pleasure of the soul is one of the main components.
In linea di principio il piacere in tutte le sue forme è un bene per noi, perché la tendenza al piacere e alla soddisfazione interiore è intrinseca alla nostra natura. Il piacere è un atto istantaneo e compiuto della nostra anima, che accompagna e perfeziona in modo inseparabile ogni nostro atto vitale, fisico o psichico; e quanto più l’atto vitale è perfetto, tanto più è piacevole.
Ci sono varie specie di piacere, e poiché ciascuna di esse ha un suo diverso valore etico ai fini della nostra felicità, si tratta di capire, guidati dalle virtù e in particolare dalla saggezza pratica, quali siano i piaceri da ricercare e quali invece da rifuggire.
Con ogni atto che compiamo noi perseguiamo un bene che personalmente ci ‘appare’ buono e piacevole, ma che non sempre è un piacere ‘vero’, buono e piacevole in assoluto e secondo natura; se quel bene è realmente buono e piacevole, l'atto è virtuoso, e se invece non lo è affatto, l'atto è vizioso. Atti che mirano a beni dell'anima (come ad esempio le virtù o la contemplazione) ci danno piaceri di alto valore etico, e con essi non c'è mai la possibilità di eccedere; invece atti che mirano a beni del corpo (come il cibo o il sesso) o a beni esteriori (come ad esempio la ricchezza o il potere), pur essendo anch’essi beni assoluti e naturali, ci danno piaceri di minor valore etico ai fini della felicità, e con essi può esservi eccesso se andiamo oltre le nostre naturali necessità fisiche e psichiche. Dobbiamo perciò, agendo secondo virtù, perseguire nella giusta misura piaceri relativi a tutte le tre categorie di beni, dando però priorità ai piaceri relativi ai beni dell'anima.
Aristotele afferma che la felicità risiede nella “attività secondo virtù”, quindi quanto più compiamo azioni virtuose perfette ed eccellenti tanto più piacere ne ricaviamo, e tanto più ci avviciniamo alla felicità; e se esse sono massimamente perfette (cioè se sono compiute per esse stesse, senza alcun altro fine ulteriore) ne ricaviamo sommo piacere. Tuttavia, anche se sommo, il piacere non è il bene supremo, il fine ultimo della nostra vita: tale fine ultimo è la felicità, di cui comunque il più elevato piacere dell'anima è uno dei componenti principali.
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In principle, pleasure in all its forms is a good for us, because the tendency to pleasure and inner satisfaction is intrinsic to our nature. Pleasure is an instantaneous and complete act of our soul, which inseparably accompanies and perfects each of our vital acts, whether physical or mental; and the more perfect the vital act is, the more pleasant it is.
There are various kinds of pleasures, and since each of them has a different ethical value in view of our happiness, for us it is a question of understanding, with the help of the virtues and in particular of practical wisdom, what are the pleasures to be sought and what are to be avoided.
With every action we perform we pursue a good that personally ‘appears’ good and pleasant to us, but which is not always a ‘true’ pleasure, good and pleasant in absolute terms and according to nature; if that good is really good and pleasant, our action is excellent and virtuous, and if it is not at all, our action is vicious. Actions aiming at goods of the soul (such as the virtues or contemplation) give us pleasures of high ethical value, and with them there is never the possibility of excess; instead actions aiming at goods of the body (such as food or sex) or external goods (such as wealth or power), although being, they too, absolute and natural goods, give us pleasures of less ethical value in view of happiness, and with them there can be excess if we go beyond our natural physical and mental needs. We must therefore, acting according to virtue, pursue in the right measure pleasures relating to all three categories of goods, but giving priority to pleasures relating to the goods of the soul.
Aristotle states that happiness resides in “activity according to virtue”, therefore the more we perform perfect and excellent virtuous actions, the more pleasure we derive from them, and the closer we get to happiness; and if those virtuous actions are maximally perfect (that is, if they are performed for themselves, without any further end) we can derive from them the highest pleasure. However, even if the highest, pleasure is not the supreme good, the ultimate end of our life: that ultimate end is happiness, of which, however, the highest pleasure of the soul is one of the main components.
In linea di principio il piacere in tutte le sue forme è un bene per noi, perché la tendenza al piacere e alla soddisfazione interiore è intrinseca alla nostra natura. Il piacere è un atto istantaneo e compiuto della nostra anima, che accompagna e perfeziona in modo inseparabile ogni nostro atto vitale, fisico o psichico; e quanto più l’atto vitale è perfetto, tanto più è piacevole.
Ci sono varie specie di piacere, e poiché ciascuna di esse ha un suo diverso valore etico ai fini della nostra felicità, si tratta di capire, guidati dalle virtù e in particolare dalla saggezza pratica, quali siano i piaceri da ricercare e quali invece da rifuggire.
Con ogni atto che compiamo noi perseguiamo un bene che personalmente ci ‘appare’ buono e piacevole, ma che non sempre è un piacere ‘vero’, buono e piacevole in assoluto e secondo natura; se quel bene è realmente buono e piacevole, l'atto è virtuoso, e se invece non lo è affatto, l'atto è vizioso. Atti che mirano a beni dell'anima (come ad esempio le virtù o la contemplazione) ci danno piaceri di alto valore etico, e con essi non c'è mai la possibilità di eccedere; invece atti che mirano a beni del corpo (come il cibo o il sesso) o a beni esteriori (come ad esempio la ricchezza o il potere), pur essendo anch’essi beni assoluti e naturali, ci danno piaceri di minor valore etico ai fini della felicità, e con essi può esservi eccesso se andiamo oltre le nostre naturali necessità fisiche e psichiche. Dobbiamo perciò, agendo secondo virtù, perseguire nella giusta misura piaceri relativi a tutte le tre categorie di beni, dando però priorità ai piaceri relativi ai beni dell'anima.
Aristotele afferma che la felicità risiede nella “attività secondo virtù”, quindi quanto più compiamo azioni virtuose perfette ed eccellenti tanto più piacere ne ricaviamo, e tanto più ci avviciniamo alla felicità; e se esse sono massimamente perfette (cioè se sono compiute per esse stesse, senza alcun altro fine ulteriore) ne ricaviamo sommo piacere. Tuttavia, anche se sommo, il piacere non è il bene supremo, il fine ultimo della nostra vita: tale fine ultimo è la felicità, di cui comunque il più elevato piacere dell'anima è uno dei componenti principali.
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