Papers by Maria Carla Visconti
Il Castello di Moncalieri. Una presenza sabauda fra corte e città, a cura di Albina Malerba, Andrea Merlotti; Gustavo Mola di Nomaglio, Maria Carla Visconti, (Centro Studi Piemontesi - Torino), 2019
Trasformazioni architettonico-decorative ottocentesche negli Appartamenti monumentali del Castell... more Trasformazioni architettonico-decorative ottocentesche negli Appartamenti monumentali del Castello di Moncalieri, Residenza Sabauda.
Memoria e invenzione nel Palazzo Reale di Torino a cura di G. Careddu, F. Gualano, M. Pigozzi, L. Santa, Sagep, Genova , 2019
restauro della cappella privata di Carlo Albero, adiacente alla sala Sala d'udienza del re, nel P... more restauro della cappella privata di Carlo Albero, adiacente alla sala Sala d'udienza del re, nel Palazzo Reale di Torino, realizzata nel 1837 dall'ebanista Gabriele Capello detto il Moncalvo su progetto di Pelagio Palagi
Atti & Rassegna Tecnica - LXXIV-1 N U O V A S E R I E, 2020
Recensione della mostra "Leonardo- Tecnica e Territorio" - Castello del Valentino di Torino - 15 ... more Recensione della mostra "Leonardo- Tecnica e Territorio" - Castello del Valentino di Torino - 15 aprile/14 luglio 2019
Castello di Moncalieri. 2017- La riapertura degli Appartamenti Reali, MiBACT-Polo Museale del Piemonte, pp.30-35, 2017
L'innovativo restauro dell'Appartamento dopo l'incendio del 2008: il restauro conservativo di qua... more L'innovativo restauro dell'Appartamento dopo l'incendio del 2008: il restauro conservativo di quanto l'incendio aveva risparmiato e l'allestimento evocativo delle sale perse. Il sistema di teli Barrisol, attraverso un particolare gioco di luci, consente il contestuale apprezzamento di ciò che di originale resta ancora dietro i teli e il suggerimento dell'assetto degli ambienti prima dell'incendio.
V Centenario della nascita di Giorgio Vasari – Presentazione del restauro della pala d’altare “Adorazione dei Magi” – Roma – Palazzo della Cancelleria 4 novembre – 4 dicembre 2011, catalogo della mostra, Napoli, pp. 29-30, 2011
Brevi note sulla storia architettonica del complesso conventuale di Santa Croce a Boscomarengo, v... more Brevi note sulla storia architettonica del complesso conventuale di Santa Croce a Boscomarengo, voluto da papa Pio V nella sua terra natale, e sulle campagne di restauro attuate
Filippo Juvarra (1678-1736) Architetto dei Savoia, architetto in Europa (a cura di P. Cornaglia, A. Merlotti, C. Roggero, Atti del Convegno, Torino/Venaria Reale/Rivoli 13-16 novembre 2011, Campisano ed, Roma, pp. 43-56., 2011
Nuove riflessioni su interventi juvarriani in Villa della Regina a Torino anche alla luce delle o... more Nuove riflessioni su interventi juvarriani in Villa della Regina a Torino anche alla luce delle osservazioni rese possibili nel corso dei vari, attentissimi, cantieri di restauro conservativo effettuati
Alessandra Guerrini (a cura di) , Il Medagliere del Palazzo Reale di Torino. Storia e restauro della Sala delle Collezioni, in Bollettino d’Arte, volume speciale, MiBACT, Roma, , 2014
È con un certo imbarazzo e, soprattutto, con tanta nostalgia che mi trovo a commentare, seppur br... more È con un certo imbarazzo e, soprattutto, con tanta nostalgia che mi trovo a commentare, seppur breve-mente, i lavori effettuati nel 1995 dalla Soprintenden-za per i Beni Architettonici-relativi al ripristino e restauro del terrazzo che sovrasta sia la volta del Medagliere dell'Armeria Reale sia quella del confi-nante Gabinetto Cinese di Palazzo Reale (figg. 1 e 2)-progettati e diretti dal collega Franco Ormezzano, prematuramente scomparso nel dicembre dell'anno successivo. Non ho trovato suoi appunti particolari sull'esecuzione dei lavori che ho potuto ricostruire schematicamente solo con l'aiuto dell'impresa Zoppo-li e Pulcher incaricata della realizzazione dell'opera. Mi fa piacere però cogliere l'occasione per ricordare l'impegno che Franco Ormezzano ha sempre profuso nel suo lavoro, fatto d'innumerevoli compiti cui una struttura da sempre carente di personale e mezzi ci ha ormai imprescindibilmente tutti abituati. Fra questi numerosi impegni, sicuramente la dire-zione di Palazzo Reale assorbiva la maggior parte delle sue energie, per complessità di problemi e responsabilità di scelte sia operative che gestionali. Rileggendo-in occasione della prima stesura di queste brevi note (1999)-la prefazione scritta da Ormezzano ad un volume su Palazzo Reale 1) curato dall'Associazione Amici di Palazzo Reale, e riflettendo sui suoi commenti che rivelavano qualche rincresci-mento, molte speranze e un velato ottimismo per una, sicuramente più meritevole, rivalutazione e valorizza-zione della sede museale, si può comprendere quanta strada sia stata percorsa nonostante le difficoltà. Nonostante, soprattutto, il terribile incendio dell'apri-le del 1997. Gli indirizzi segnati da Franco Ormezzano sono stati raccolti, ricalibrati in base alle mutate condizioni ed esigenze e sviluppati-fra il 1997 e il 2008, in tempi tutto sommato abbastanza brevi-dalla nuova direzione di Daniela Biancolini. I consistenti fondi erogati a seguito dell'incendio, in occasione dell'even-to giubilare 2) e il generoso concorso di "sponsor" isti-tuzionali come la Regione Piemonte, la Compagnia di San Paolo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Tori-no, la Consulta per la valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, hanno ormai reso possibile il totale recupero degli ambienti con l'estensione del percorso di visita all'intero compendio. Il concretarsi di questi obiettivi, allora poco più che sogni nel cassetto, è anche il frutto di una collabora-zione sempre più serrata e proficua tra i diversi enti periferici, tutti parte di uno stesso Ministero, che si trovano a condividere l'uso dell'eccezionale monu-mento, collaborazione di cui Ormezzano fu sempre promotore e sostenitore e che è andata consolidando-si nel corso degli anni fino ad apparire, oggi (2013), ormai irrinunciabile realtà operativa. Ciò ha fatto sì che si potessero presentare a un pubblico quotidiana-mente in crescita ambienti rinnovati e restaurati, gra-zie all'opera congiunta delle varie e specifiche profes-sionalità. Così il restauro dello scalone alfieriano dell'Armeria Reale (1998) e della Galleria Beaumont (2001-2002) con il riallestimento delle collezioni (2005), insieme alla realizzazione della Sala Leonardo (1998) nella sottostante Biblioteca, concorrono a esal-tare i risultati degli interventi attuati in Palazzo Reale che, sotto la guida di Daniela Biancolini, hanno resti-tuito a nuova vita non solo gli ambienti devastati dal-l'incendio (il torrione di sud-ovest, la manica ovest e la torre di nord-est) e dall'acqua di spegnimento (lo scalone d'onore, il salone degli Svizzeri, l'apparta-mento Quadri Moderni) fra il 1997 e il 2000, ma anche quelli, fino ad allora, mai aperti al pubblico: l'appartamento del Re al piano terra e la Quadreria (1999) e l'appartamento della Regina al primo piano nobile (2004), la Cappella Regia (2006), gli apparta-menti "nunziali" del secondo piano (2007), per finire col restauro filologico dell'appartamento di Madama Felicita ancora al piano terra e le Cucine negli inter-rati (2008). In questa serie di gratificanti successi si è inserito anche il restauro del prezioso Medagliere (1999) come ulteriore tassello che attesta la bontà di un agire con-giunto dove, sforzi comuni e confronti continui, hanno portato a risultati sempre più completi e soddi-sfacenti. Risultati che hanno visto riunite, nella recen-te istituzione del "Polo Reale"-promosso dalla Dire-zione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte-tutte le sedi museali che fanno capo al complesso sabaudo: dal Palazzo all'Armeria e Biblioteca Reali, dalla Galleria Sabauda nella sua nuova sede in fase di completamento nella cosiddetta Manica Nuova del Palazzo Reale, all'ultimo giunto, il Museo Archeologico che, con la recentemente apertu-ra (maggio 2013) di una sua ulteriore sezione, è entra-to anch'esso a far parte del vasto complesso museale. Relazione schematica del tipo di intervento eseguito sulla copertura della Sala del Medagliere Ad oggi, la ricerca di notizie sulla costruzione del nostro terrazzo è rimasta ancora infruttuosa e priva di 1 MARIA CARLA VISCONTI CHERASCO IL RIPRISTINO DEL TERRAZZO SOPRASTANTE LA VOLTA DEL MEDAGLIERE Bollettino d'Arte-Produzione-Luisa Tursi Redazione Anna Melograni Volume Speciale Medagliere Torino-VISCONTI CHERASCO-secondo impaginato solo testo-10 settembre 2013
V. CAZZATO (a cura di), Atlante del Giardino Italiano 1750-1940, Ufficio Studi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, pp., 2009
CONTE CARLO MARIA ERNESTO BALBO BERTONE DI SAMBUY: LA FIGURA POLITICO-CULTURALE E GLI INTERVENTI ... more CONTE CARLO MARIA ERNESTO BALBO BERTONE DI SAMBUY: LA FIGURA POLITICO-CULTURALE E GLI INTERVENTI PUBBLICI Nella seconda metà dell'Ottocento, quando risultava ormai consolidato anche per l'Amministrazione Comunale di Torino, l'interesse al tema dei giardini da realizzarsi all'interno del tessuto urbanizzato, in un'ottica che vedeva emergenti gli aspetti legati al decoro, all'igiene e alla bellezza della città, compare sulla scena politica cittadina un eclettico nobile piemontese, Ernesto di Sambuy, che per quarant'anni ricoprirà, fra le molte altre, anche la carica di Soprintendente ai giardini pubblici. Il Conte, con il suo carattere deciso e la sua competenza in materia, con l'onesta e perseverante volontà di migliorare la città, imprime una svolta sostanziale alla gestione e allo sviluppo del settore che, fino ad allora, si era basato su incarichi affidati a specialisti chiamati dalla vicina Francia 1 e che Sambuy riconduce, invece, in mani piemontesi. Ernesto di Sambuy nasce a Vienna il 12 aprile 1827, ultimo di quattro figli, da Vittorio Amedeo e Luisa Carlotta Pallavicino delle Frabose. La famiglia vive a Vienna fino al 1846, anno della morte del padre. Rientrato a Torino, il giovane Ernesto effettua numerosi viaggi nell'Italia preunitaria che saranno fondamentali per la sua formazione culturale. Al termine degli studi superiori, completati a Bruxselles presso il Collegio dei Gesuiti, gli interessi di Ernesto si distribuiscono su tre fronti: inizia ad occuparsi delle sue consistenti proprietà terriere e delle relative attività agricolo-produttive sulle orme degli zii Emilio e Manfredo, agronomi di fama 2 ; si avvicina all'ambiente politico dei liberali moderati; coltiva ed approfondisce interessi e contatti con l'ambiente della cultura artistica torinese. Entra a far parte del Consiglio Comunale di Torino il 27 giugno 1867 e rimarrà al governo della città-in qualità alternativamente di consigliere, assessore e sindaco-fino alla morte ricoprendo un ruolo particolarmente attivo nell'ambito dei dibattiti sui problemi sociali, economici e culturali che investivano la città negli anni delicati della transizione dal ruolo di capitale ad una nuova identità. In virtù delle numerose cariche 3 , avvia e coltiva contatti con le personalità più rappresentative della cultura del suo tempo, rapporti che di certo incidono profondamente sulla formazione e sull'evoluzione di un personaggio la cui versatilità assumerà aspetti sorprendenti. L'interesse al tema dei giardini emerge già agli albori della sua elezione in seno al Consiglio Comunale: nel giugno del 1868 solleva il problema della pessima manutenzione dei giardini 4 proponendo di abbandonare il sistema degli appalti a favore di una gestione diretta. Nell'occasione, segnala l'opportunità di consultare Giuseppe Roda, già giardiniere di corte per Carlo Alberto insieme al fratello Marcellino. I documenti d'archivio attestano contatti fra i due fin dal 1857 5 , quando Giuseppe Roda si occupava del parco e dei giardini del Castello di Sansalvà, una delle più estese proprietà del Conte situata nei pressi di Torino. L'articolata proposta di Giuseppe Roda sull'organizzazione di un servizio-giardini e sulle modalità di gestione delle aree verdi cittadine 6 viene approvata dal Consiglio Comunale il 20 ottobre 1869. Dall'inizio dell'anno successivo, al fianco di Marcellino Roda, nominato Direttore del servizio, troviamo Ernesto di Sambuy, in qualità di Soprintendente: la collaborazione procede negli anni serena e fattiva con notevoli risparmi di spesa e grandi soddisfazioni per le condizioni sempre più "rigogliose" delle aree verdi cittadine. Dal 1871 l'impegno dei due è indirizzato alla progettazione e realizzazione dell'ampliamento del parco del Valentino a sud del Castello 7 , grazie al risvegliato interesse della Municipalità per il completamento dell'opera faticosamente avviata con Barillet-Deschamps dieci anni prima nell'area a nord 8. Il parco nel suo complesso, viene così a rappresentare i due caratteri fondamentali del parco pubblico ottocentesco: quello estetico, con la parte nord sottesa a istanze di decoro legate alle aspettative di una città-capitale, e quello funzionale, con la parte sud risolta secondo i più moderni concetti di uso igienico-sociale del parco che vedevano indispensabile l'introduzione di attrezzature per lo sport, lo svago e il divertimento. Il tutto legato da un sapiente disegno dei percorsi attraverso il quale, ancora, Sambuy dimostra di aver pienamente acquisito, e saputo sviluppare, le potenzialità legate al mutato ruolo degli spazi verdi a servizio del tessuto urbano 9. Al binomio Sambuy-Marcellino Roda-che si interromperà solo nel 1892 alla morte di Marcellino-si dovranno le ultime sostanziali realizzazioni in fatto di giardini: la riduzione del giardino dei
Paolo Cornaglia (a cura di), Michelangelo Garove 1648-1713, un architetto per Vittorio Amedeo II, Atti del convegno, Venaria Reale, 11-12 dicembre 2009, Campisano editore, Roma, pp. 331-353, 2010
Le fasi evolutive della grande anticamera «a mano sinistra» del maestoso sa-lone di Diana, nel te... more Le fasi evolutive della grande anticamera «a mano sinistra» del maestoso sa-lone di Diana, nel tempo individuata come «Anticamera o Camera del Truc-co», «Salle des Valets-de-pied» e «Sala da ballo» 1 , a dispetto delle indagini condotte da autorevoli studiosi a partire dai fondamentali contributi di Brinckmann e Pommer 2 , appaiono ancora per gran parte misteriose. Certi so-no solo il suo momento di realizzazione, attestato dalle Istruzioni di Michelan-gelo Garove del 26 maggio 1709 3 , e la fretta di Vittorio Amedeo II nell'avviar-ne i lavori, tale da imporre «che per guadagnare tempo se ne faccia hoggi [26 maggio 1709] il Deliberamento» per affidarne l'esecuzione senza dover aspet-tare «mercoledì prossimo secondo li Tiletti che sono stati pubblicati» 4. Precedute dal Calcolo della spesa datato 10 gennaio 5 , le Istruzioni erano come di consueto ben dettagliate: si dovevano demolire «tutte le muraglie, solari, sterniti, stiby di listelli, coperti, scalini di pietre» portando «calcinassi mattoni e pietre nel grande Cortile del sud.o Palazzo», quindi ricostruire «le muraglie con mattoni della Venaria ben cotti e stagionati» e «gl'Archoni e volte [...] con mattoni di Valdocco con calcina forte sabia grisa ben granita senza fango». At-tenzione prioritaria dell'architetto era nell'ottenere la massima garanzia di sta-bilità per volte e arconi, per i quali, oltre a prescrivere mattoni di tipo diverso − evidentemente più "forti" di quelli da impiegarsi nelle «muraglie» e racco-mandando ancora che fossero «ben bagnati prima di metterli in opera» − si ri-chiedeva anche l'impiego di una calcina "migliore", cioè «sufficientemente grassa [...] e crivelata sottilmente». Analoga attenzione era riservata alle malte per gli intonaci che, per «l'infrescadure», dovevano essere di «calcina mettà forte e mettà dolce con sabia grisa ben granuta», mentre «le stabiliture saranno costrutte con calcina dolce e sabia del Fiume Stura o Dora ben purgate, e ben granite senza fango». Insieme alle indicazioni per realizzare i consolidamenti − con chiavi e bolzoni in ferro da introdursi all'interno delle murature esistenti mantenute ancora in opera − e per innalzare nuovi «stiby», «solari in boscami» e porte e finestre «in rottura», si prescriveva di impiegare «quadrettoni» e «quadretti di Valdocco ben cotti e ben stagionati» per la pavimentazione. Le opere vengono quindi affidate in quello stesso giorno al capomastro An-tonio Camerata, nonostante abbia offerto una cifra superiore di «Livre settan
C. MOSSETTI e P. TRAVERSI (a cura di), Juvarra a Villa della Regina. Le storie di Enea di Corrado Giaquinto, catalogo della mostra, Torino, Villa della Regina, 14 novembre- 11 gennaio, pp. 26-29., 2008
Riflessioni sulle scelte di restauro "evocativo" di ambienti perduti in Villa della Regina a Torino
Santa Croce di Bosco. Restauro della Navata a cura de MiBACT – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte, Torino novembre 2008, pp. 4-5 e 8-9., 2008
L'eccezionale complesso conventuale domenicano voluto da papa Pio V , a partire dal 1566 nella su... more L'eccezionale complesso conventuale domenicano voluto da papa Pio V , a partire dal 1566 nella sua terra natia, vero unicum di cultura manierista tosco-romana di altissima qualità in terra piemontese. L'intervento di restauro che sta restituendone i caratteri decorativi originali.
Le stanze magnifiche. Mobili, arredi e decorazioni d’interni, a cura di Silvia Ghisotti e Clara Goria, Genova, Sagep, pp. 118-125, 2018
Come accade in tutte le residenze, anche per il Ca-stello di Moncalieri-molto amato dai Savoia, i... more Come accade in tutte le residenze, anche per il Ca-stello di Moncalieri-molto amato dai Savoia, in certi periodi più vissuto persino dello stesso Palazzo Reale-l'avvicendarsi dei sovrani in carica porta il susseguirsi di riallestimenti all'interno degli appar-tamenti in adeguamento ai nuovi gusti e alle mode e comodità più aggiornate, rinnovo che spesso avviene cancellando del tutto fasi precedenti e immagazzi-nando nei Guardamobili gli arredi ormai superati. Queste frequenti modifiche e migrazioni di mobili fra le varie residenze hanno comportato smembra-menti di nuclei omogenei, anche di grande valore, e proprio il castello moncalierese è stato per lungo tempo sede deputata alla raccolta degli arredi di-smessi. Sul finire del XVIII secolo, risultava comun-que la più aggiornata fra le residenze sabaude grazie al rinomato intervento attuato da Leonardo Marini tra gli anni Settanta e Ottanta del Settecento per i principi di Piemonte al primo piano e all'opera, di poco successiva, degli architetti Giuseppe Battista Piacenza e Carlo Randoni nell'appartamento al piano terra per i duchi d'Aosta. Il devastante periodo di occupazione francese, con la trasformazione in caserma e ospedale militare, scom-pagina completamente l'insieme ma oggi poco resta pure degli interventi successivi alla Restaurazione perché il culmine della dispersione-dopo le movi-mentazioni già dovute ai trasferimenti della capitale-arriva con la remissione al Demanio dello Stato di gran parte delle residenze in virtù del discusso decreto 1792 dell'ottobre 1919: per Moncalieri il passaggio avviene a partire dal 1926, in seguito alla morte della principessa Maria Letizia Savoia Bonaparte, nipote di CASTELLO DI MONCALIERI
Dalle Regge d’Italia a cura di Silvia Ghisotti e Andrea Merlotti, catalogo della mostra alla Reggia di Venaria Reale 25.03.2017- 02.07.2017,Genova, Sagep, pp. 150-153, 2017
Le trasformazioni del Palazzo Reale torinese dal momento in cui Torino perde il ruolo di capitale... more Le trasformazioni del Palazzo Reale torinese dal momento in cui Torino perde il ruolo di capitale d'Italia fino al definitivo abbandono da parte dell'ultima coppia reale sabauda, Umberto e Maria Josè
Palatium Vetus (a cura di Anna Marotta), Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, Gangemi, Napoli, pp. 107-115, 2016
La scoperta e il restauro del Palatium Vetus, antico broletto alessandrino, nel tempo rimasto ing... more La scoperta e il restauro del Palatium Vetus, antico broletto alessandrino, nel tempo rimasto inglobato nella costruzione della ottocentesca Caserma Maggi. Unico caso piemontese di un broletto che ha mantenuto gran parte dei suoi originali caratteri medievali, senza alcun intervento di revival ottocentesco
R. LIVRAGHI e G. PARODI, Arte e carte nella Diocesi di Alessandria, Provincia di Alessandria, pp. 170-177, 2008
Non si può certo dire che il complesso di Santa Croce a Bosco Marengo abbia goduto di grandi fort... more Non si può certo dire che il complesso di Santa Croce a Bosco Marengo abbia goduto di grandi fortune nei suoi quattro secoli e mezzo ormai di vita: pare segnato da una sorte avversa, tanto avversa almeno quanto sono eccezionali le qualità storico-artistiche che lo rendono indubbiamente un unicum in terra pie-montese. (Foto 1) Un unicum per un considerevole insieme di ragioni, a par-tire dalle motivazioni della sua creazione: voluto da un Papa, domenicano, che a Bosco era nato e che intendeva ritornarvi al termine della vita terrena; ideato con gran magnificenza per risollevare spiritualmente, culturalmente e concretamente, le dure sorti dei suoi concittadini ma, anche, per lasciare un segno tangibile di una Chiesa cattolica forte che si stava ristrutturando dopo l'esito del Concilio tridentino; realizzato con il concorso di architetti e artisti, essenzialmente di formazione tosco-romana, chiamati direttamente dal Pontefice, e che, insieme a esperte maestranze-per molta parte provenienti da territori "luganesi"-hanno dato vita ad una notevole opera di cultura manierista tipicamente centro-italiana, in un contesto territoriale distante e periferico dove il Manierismo ha ben poco da vantare. Un monumento-simbolo, quindi, avulso dal contesto e che tale è rimasto, stretto in uno scomodo ruolo di "cattedrale nel deserto" fin dall'inizio della sua vita: volontà del Pontefice boschese era, infatti, di farne il fulcro di una nuova città che avrebbe dovuto racchiudere i territori di Frugarolo e di Bosco in un unico, grande, centro abitato. Progetto grandioso, rimasto incompiuto per la morte del suo ideatore lasciando in una sorta di limbo anche la sua creatura. Molti sono ancora i lati "oscuri" di tutta la vicenda costruttiva anche se una gran messe di documenti è stata esplorata ed analizzata in occasione della mostra organizzata nel 1985, il cui catalogo resta, ancora oggi, fondamentale punto di partenza 1. Le varie e tribolate vicende patite dal convento fra guerre e distruzioni, soppressioni e nuovi usi 2 , non consentono ancora di completare compiutamente il puzzle dell'evoluzione edilizia: alla dispersione ottocentesca di gran parte del ricchissimo archivio dà in buona misura supporto la cronaca di padre Giovanni Della Valle 3 , anch'egli frate domenicano, che rac-conta, un po' confusamente ma con gran dovizia di particolari e sulla base di documenti ancora presenti in convento al 1783, la storia e l'evoluzione del complesso. Michele Ghisleri, ancora cardinale, ha già in mente di realizzare un convento domenicano nel suo paese natale fin dal 1562, quando affida una speciale procura al con-cittadino Serafino Grindelli, canonico lateranense, per procedere all'acquisto di terreni e case all'interno del centro abitato, in zona chiamata Castelvecchio di Bosco 4. Sette mesi dopo la sua salita al soglio pontificio, avvenuta il 7 gennaio 1566, muta radicalmente le intenzioni decidendo di realizzare il "suo" convento al di fuori delle mura urbiche, in modo assai anomalo-ma, d'altra parte, già anomalo era il fatto che proprio lì volesse il suo mausoleo-e rischioso per gli assalti che avrebbe potuto subire, sia a causa di eventi bellici sia per opera di malintenzionati. Fatto, questo, che non turbava più di tanto il nostro Papa il quale aveva in mente un ben preciso disegno formativo della nuova istituzione conventuale rigorosamente sotteso ai dettami del novus ordo post-tridentino 5 : anche le scelte iconografico-decorative che troviamo a corredo dell'architettura rientra-no in un particolare programma di "predicazione per immagini", prettamente ghisleriano, dove l'obiettivo principale è quello di trasmettere il messaggio ben chiaro di "una Chiesa che voleva cambiare riaffermando la tradizione" 6. Quindi, il nostro convento, e in parti-colare la chiesa, non devono essere letti solo come straordinari esempi di architettura d'impianto manierista, ma anche come esiti di uno specifico progetto liturgico-didattico che intendeva rappresentare in modo esemplare le rinnovate prescrizioni accomunate al peculiare pensiero teologico e politico di Pio V che ne guida la realizzazione, sin nei minimi particolari, almeno fino al 1572, anno della sua morte. Gli studi di Giulio Ieni 7 , hanno ridimensionato il contributo del domenicano Egnazio Danti-perugino, cui Della Valle, secondo una consolidata tradizione, asse-gna la progettazione del complesso 8 e che fu sicuramente presente in loco nel 1567-a favore di un più plausibile riconoscimento di paternità del disegno al fiorentino Giovanni Lippi. Non appare, invece, allo stato attuale ancora del tutto chiarito l'ap-porto di Martino Longhi il Vecchio da Viggiù, direttore della fabbrica dal 1568 al 1569 9 , fabbrica che, a quel punto, doveva essere già chiaramente definita nel suo impianto generale se, proprio nel 1569, i frati potevano abitarla. (Foto 2) Dai documenti finora conosciuti nulla ancora traspare in merito a chi suc-cessivamente abbia diretto l'opera sotto l'egida del cardinal nepote Michele Bonelli che, dal maggio 1573, si fa carico dei lavori di completamento fino al 1598, anno in cui muore a Roma: verosimilmente a lui si deve, però, il nuovo indirizzo verso ambi-ti di cultura lombarda 10 .
Rivista "Monferrato Arte e Storia"- n. 28, dicembre 2016, pp.75-88, 2016
La Cattedrale di Sant'Evasio a Casale Monferrato (TO), vero unicum di architettura romanico lomba... more La Cattedrale di Sant'Evasio a Casale Monferrato (TO), vero unicum di architettura romanico lombarda, in terra piemontese, ancora per tanta parte misteriosa nelle sue fasi di costruzione: nuove strade di ricerca e restauri
La Basilica di san Gaudenzio (a cura di Raul Capra), Interlinea, Novara 2010, pp. 317-321, 2010
1. Il "cantiere della conoscenza" Il restauro conservativo della facciata del Battiste-ro antonel... more 1. Il "cantiere della conoscenza" Il restauro conservativo della facciata del Battiste-ro antonelliano è scaturito dalla necessità di porre freno all'incalzante processo di deterioramento materico, e conseguentemente di immagine, che da tempo affliggeva il fronte principale del monu-mento, con esiti dannosi e di irreversibilità cre-scente che hanno reso urgente, e non ulteriormen-te procrastinabile, la predisposizione di un inter-vento risolutivo; obiettivi di quest'ultimo doveva-no essere, da un lato, quello di "congelare" i pro-cessi di degrado in corso, rimuovendone ove pos-sibile le cause, dall'altro di rimediare, sia in termini di "rimessa in efficienza" della materia del co-struire, sia in termini di restituzione estetica, ai danni purtroppo già concretizzatisi. La progettazione dell'intervento ha desunto le proprie linee guida dalla predisposizione di un cantiere pilota, o "cantiere della conoscenza", fi-nalizzato a definire con chiarezza e relativa certez-za le problematiche di degrado presenti, precisan-done correlazioni e nessi di consequenzialità cau-sa-effetto, e a verificare in situ l'effettiva utilità de-gli interventi conservativi e restitutivi proposti, pri-ma di estenderne l'adozione alla generalità della facciata. La necessità di operare tale fase di accertamen-to, in via propedeutica alla progettazione esecutiva e all'attuazione estesa dell'intervento-che, per in-ciso, ogni restauro a grandi linee richiederebbe, non essendo possibile definire "a vista" numerose problematiche di degrado e dissesto degli edifici-si rendeva, nel caso del San Gaudenzio, indispen-sabile, in quanto l'esito degli stessi saggi prelimi-nari sembrava prospettare una situazione con am-pi margini di incertezza, sia in merito alla spiega-zione di alcuni processi di deterioramento, sia in relazione alla forte diversificazione, nell'ambito della facciata, delle manifestazioni di degrado, tan-to in termini di tipologia che di intensità dello stes-so, con evidente necessità di calibrare ad hoc gli in-terventi, modulandoli sulle diverse situazioni spe-cifiche, buona parte delle quali, in particolare in relazione alla metà superiore del prospetto, non ri-sultavano comunque accertabili da terra. Una della problematiche più complesse risulta-va essere l'individuazione delle parti superstiti ri-conducibili alla fase decorativa originaria, e di quelle oggetto di rifacimenti successivi storicizzati e recenti; infatti, mentre spesso i rifacimenti delle finiture di facciata si sovrappongono integralmen-te alla situazione precedente, nel caso del Battiste-ro antonelliano i primi rilievi-operati nel 2001 dal Dipartimento di Ingegneria dei Sistemi Edilizi e Territoriali del Politecnico di Torino-sembravano indicare, piuttosto di una situazione di sovrapposi-zione, una situazione di giustapposizione o affian-camento, con parti in vista agevolmente riconduci-bili all'originario trattamento di epoca antonelliana (e talvolta preantonelliana), cui si accostavano par-ti di rifacimento successivo sovrapposto alla finitu-ra originaria, realizzate talora in modo estensivo e generalizzato in relazione a alcune componenti edilizie (sfondati a intonaco liscio, parti di cornici), talora in modo puntuale e disomogeneo. Tale situazione, riconducibile all'intenzione di operare, sia nel secolo XIX che in tempi recenti, "manutenzioni straordinarie", piuttosto della vo-lontà precisa di riconfigurare cromaticamente, o matericamente, o figurativamente la facciata, di fatto aveva prodotto una sorta di patchwork mate-rico che, mentre giustificava-per la diversità qua-litativa e di età dei materiali-il degrado differen-ziato riscontrato sul prospetto, rendeva al contem-po l'intervento difficoltoso da gestire in termini di 313
Il Broletto di Novara e la Galleria Giannoni, Celid, Torino, pp. 77-85, 2011
Nonostante i molti studi che a diverso titolo si sono occupati del Broletto novarese nel corso de... more Nonostante i molti studi che a diverso titolo si sono occupati del Broletto novarese nel corso del tempo-e di cui la bibliografia a corredo del presente volume dà conto in dettaglio-le complesse fasi costruttive ed evolutive di questo articolato organismo edi-lizio sono per tanti aspetti non ancora chiarite, come, d'altro canto, molti punti oscuri segnano i resoconti dei restauri attuati fra Ottocento e Novecento a dispetto della, co-munque nutrita, serie di documenti di cui disponiamo. Documenti che, purtroppo, ri-portano notizie spesso slegate e sommarie e in alcuni casi anche contraddittorie, sia sulla qualità e quantità di resti antichi rinvenuti, sia sulle modalità d'intervento attuate nel corso delle varie campagne di lavori. L'intervento di restauro è sempre un'operazione molto delicata e complessa, tanto più quando l'oggetto su cui si deve intervenire è molto antico, nato anche dall'accorpa-mento di fabbricati diversi, sia per epoca costruttiva sia per destinazione, e ha subìto nel corso dei secoli svariate trasformazioni, con aggiunte o eliminazioni di parti anche sostanziali, determinate da modifiche d'uso o da adeguamenti a nuove esigenze di vita e di fruizione. Se l'aspetto propriamente architettonico di un bene è quello più soggetto a trasformazioni, anche molto traumatiche, dovute al fatto che l'architettura è per sua natura a servizio dell'uomo e quindi soggetta ad adeguarsi alle varie necessità che cam-biano con il cambiare di stili di vita e di organizzazione sociale, non di meno lo è l'a-spetto decorativo, che va man mano adeguandosi alle evoluzioni di gusto. Spesso, noi funzionari della tutela ci troviamo di fronte a puzzle intricatissimi da risol-vere, nell'obiettivo, quale istituzionalmente ci compete, di vigilare affinché sia restituita il più correttamente possibile la sopravvivenza delle testimonianze del passato, senza travisarle o prevaricarle. Ed è oggettivamente l'aspetto più difficile e più carico di re-sponsabilità, che certamente non può essere raggiunto se non attraverso un confronto diretto e continuo, fra tutti gli attori che compartecipano all'evento: progettisti, direttori dei lavori, imprese esecutrici, restauratori, chimici e analisti del restauro, storici e rile-vatori 2. Ognuno porta tasselli del suo sapere e delle sue competenze che, solo se cor-rettamente uniti e giustamente amalgamati, potranno consentire il raggiungimento dell'obiettivo iniziale. Nel caso specifico del Broletto novarese, i "restauri in stile" dell'inizio del secolo scorso hanno non poco complicato le scelte da attuare e ciò che si restituisce in queste note − in un momento in cui ancora sono in corso lavori, in particolare per quanto attiene agli 77
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Papers by Maria Carla Visconti