Renato
Giuseppe Bertelli, Profilo continuo, 1933, bronzo, 42 x 25 cm.
Museo
di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART) |
Opera discussa e
che tutt’ora è al centro di molte, a mio avviso futili, polemiche.
Un cilindro di
bronzo modellato alternando rilievi e incisioni, il risultato è che da
qualsiasi punto lo si osservi avremo la stessa percezione, un profilo che,
seppur non menzionato, porta inevitabilmente al ritratto di Benito Mussolini.
1933, l’anno in cui
Bertelli realizza l’opera, è in pieno periodo fascista, la scultura raffigura
il Duce ma non impedisce un’interpretazione più ampia di quella che il regime
concede, possiamo leggerla seguendo le indicazioni del tempo o andare oltre e
ribaltarne i concetti.
Le autorità di quel
periodo non lasciavano spazio all’interpretazione, il profilo di Mussolini
rappresentava la visione continua, l’attenzione ad ogni latitudine, del Duce
verso il suo popolo.
Benito Mussolini,
che può essere giudicato per ciò che ha fatto, non può però essere considerato
uno stupido, da persona colta qual era ha compreso l’importanza dell’arte nel
controllo delle masse e ha immediatamente adottato la scultura di Bertelli
facendone un simbolo del regime.
Da allora ne sono
state fatte innumerevoli copie, duplicati di qualsiasi forma e materiale, molte
create dall’originale, si tratta di multipli riconosciuti
ufficialmente, molte altre sono copie artigianali considerate dei falsi, che se
non hanno valore collezionistico non perdono quello di semplice souvenir (in
quest’ultimo caso apprezzato dai numerosi nostalgici).
Dal 1943 è partita
una, allora comprensibile, caccia a tutto ciò che ricordava quel ventennio,
molte delle copie sono state distrutte, fortunatamente l’originale e molti
altri duplicati sono giunti fino a noi.
A novant’anni dalla
realizzazione dell’opera abbiamo il dovere di prenderla in considerazione come
oggetto d’arte mettendo da parte ciò che rappresentava o che qualcuno voleva
rappresentasse.
Da qui dobbiamo
partire per cercare di comprendere questo lavoro, la rappresentazione dei
principi della dinamica futurista cara a Boccioni fa della scultura la base del
secondo Futurismo, un’ideale proseguimento del movimento nato ventisei anni
prima.
Ma c’è un
particolare che non possiamo ignorare, Profilo
continuo è la riproposizione del celebre Giano bifronte, divinità che
vedeva e soprattutto controllava tutto e tutti, quel “controllava” ribalta la
visione pro Duce che più o meno forzatamente si era imposta, da un benevolo
“padre” che vigilava sui propri figli si trasforma in un “capo” che controlla i
propri subalterni, concetto molto più vicino a quella figura dittatoriale di cui abbiamo tristemente memoria.
Se l’opera fosse
stata realizzata nell’immediato dopoguerra sarebbe potuta diventare il simbolo
di un movimento opposto a quello che ne ha fatto un manifesto, la lettura
dunque non è univoca, il periodo storico e la propaganda hanno tracciato una
strada, non è detto che sia quella giusta.
Naturalmente l’aspetto puramente artistico è fondamentale
anche se ciò che rappresenta ha preso il sopravvento, a dimostrazione che
l’arte va oltre il limite di un pensiero ancorato ad un determinato conteso
(contesto che non va dimenticato ma che non può essere l’unico riferimento).
L’intuizione di
Bertelli è geniale, con dei solchi e dei rilievi a dato vita ad un’opera
iconica e immortale, iconica per ciò che ha rappresentato, immortale per le
infinite possibilità interpretative.
Ultimo ma non per
questo meno importante il legame del futurismo con il cubismo, Bertelli “vede”
la scena da più punti di vista ma lo fa smussando gli “angoli”, creando un
cerchio continuo, l’eterno ritorno, il ciclico ripresentarsi della storia, forse il punto di vista più angosciante dell'opera.