Normalmente mi cimento in considerazioni, recensioni o, più precisamente, interpretazioni personali di questa o quell'opera, visioni da un particolare punto di vista.
Stavolta ho deciso di scendere più in profondità in quello che è il mio "percorso" emozionale all'interno dell'arte, voglio raccontare una particolare esperienza che ho vissuto qualche anno fa e che, ogni volta che lo ricordo, lo rivivo come se fosse adesso (anche se, purtroppo, con minore intensità).
Qualche anno fa appunto, in
visita a Venezia, ho deciso di prendere una strada diversa da quella percorsa
dagli altri membri di questa mia “spedizione”, nel momento di
organizzare la gita nel capoluogo veneto ho messo in chiaro al resto della
compagnia che l’obbiettivo primario era la collezione Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni.
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Vassilij Kandinskij - Paesaggio con macchie rosse 2, 1913 - cm. 117 x 140 - Collezione Peggy Guggenheim, Venezia |
Arrivati al mattino
presto ci siamo addentrati nei meandri della bellissima città lagunare, le
viuzze, i canali e naturalmente i ponti e le piazze, tutto è storia, arte e
bellezza, ad un certo punto ho chiesto se qualcuno voleva seguirmi alla
scoperta dei capolavori dell’arte moderna e contemporanea, nessuno ha accolto
il mio invito e di conseguenza ci sono andato da solo.
Erano molti i dipinti
e le sculture che mi ero prefissato di osservare, in primis L’impero delle
luci di Magritte, ma non era certo l’unica opera che suscitava la mia
curiosità.
Nell’istante in cui sono
entrato alla Peggy Guggenheim Collection, sono stato accolto dalla bellezza e
dal fascino di dipinti di artisti come Magritte, Picasso, Braque, Picabia e
Pollock, Max Ernst (solo per citarne alcuni).
Nella prima sala sulla
destra era esposto il dipinto di Magritte che tanto desideravo ammirare, mi
sono goduto ogni singolo secondo davanti a questo e ad altri quadri, ognuno
raccontava la storia del novecento, ognuno con una propria personalità.
Scorrendo le varie
sale e le varie opere, ricordo quei momenti come se li vivessi ora, passo davanti ad un quadro di
Picasso e mi soffermo infine su uno di Picabia, cambio sala ed ecco che alcune opere di Pollock mi accolgono, dopodiché lascio la stanza ed
entro in un’altra, ad accogliermi un’opera di Gino Severini che mi colpisce
positivamente con i suoi colori.
Mi giro e, proprio di fronte al dipinto di Severini, mi trovo di
fronte a Paesaggio con macchie rosse 2 di Vassilij Kandinskij, ed è proprio
in quell’istante che inizia ciò che non avevo mai provato e che non ho mai più “rivissuto”.
La tela, che misura
circa 120 x 140 cm., mi ha immediatamente ipnotizzato, la dimensione, tutt’altro
che ridotta, ha iniziato a diventare sempre più grande tanto che avevo l’impressione di
esserne avvolto, ero praticamente entrato nel dipinto.
Lentamente ma
inesorabilmente i suoni, i rumori, i brusii degli altri visitatori sono scemati
fino a scomparire del tutto, ero nel quadro e c’era un silenzio assoluto, la
sensazione che provavo era di una calma e serenità mai provate, tutto era
perfetto, le forme e i colori erano immobili ma al contempo tutto si muoveva
come a seguire una disposizione precisa, senza però che trapelasse una
costruzione artificiosa.
Dopo un tempo
indefinito i rumori della sala hanno iniziato a comparire, dapprima lontani
fino a tornare alla normalità, nello stesso tempo il dipinto ha ripreso la
propria dimensione, sono uscito dallo stesso e mi sono ritrovato davanti alla
tela.
Ho compreso
immediatamente che qualcosa era andato diversamente dal solito, la prima cosa
che ho fatto è guardare l’orologio, secondo alcuni calcoli ero rimasto immobile
davanti alla tela per più di venti minuti, immediatamente mi sono guardato attorno
per capire se avessi tenuto un comportamento bizzarro, dalla reazione dei
visitatori (fortunatamente pochi in quel giorno d’agosto) ho capito che non ero
andato oltre l’immobilità “osservativa”.
Finita la visita alla
galleria (durata quasi due ore e mezza) mi sono riunito con i miei compagni di
viaggio che nel frattempo avevano visitato i consueti luoghi veneziani, appena incontrati
tutti mi hanno chiesto cosa fosse successo “dallo sguardo e dall’espressione
del viso sembra che tu abbia assistito ad un’apparizione”, disse uno di loro.
Quel senso di pace,
felicità, serenità, mi ha accompagnato per molto tempo e ancora oggi ritorna
parzialmente quando ricordo l’accaduto. Ho parlato di tutto questo con alcune
persone legate al mondo dell’arte e tutte mi hanno detto che ho avuto la
fortuna di provare l’emozione più forte che si possa sperimentare davanti ad un’opera
d’arte: l’estasi.
Non so se si tratti
effettivamente di estasi (da escludere la “sindrome di Stendhal” in quanto non
ho provato alcun disagio) ma questa esperienza, che molti artisti e appassionati
si augurano di provare almeno una volta nella vita, è qualcosa di incredibile.
Quando sottolineo che
l’arte, qualsiasi arte, se compresa nella sua essenza, può raggiungere vette
elevatissime mi riferisco proprio a questo.