domenica 15 dicembre 2024

Realismo oltre ..

Tigran Tsitoghdzya – Mirror V, 2017 - Olio su tela cm 190 x 127 



Ci stiamo avvicinando al Natale e per questo motivo cercherò di essere buono, o perlomeno di essere meno cattivo di quello che potrei essere se assecondassi ciò che “sento”.

Chi mi conosce sa cosa penso dell’iperrealismo, movimento artistico nato, e morto, negli anni settanta del secolo scorso, deceduto artisticamente ma in salute fuori dai confini dell’arte.

Sicuramente questo è un mio problema, anche se non sono solo a pensarla cosi anzi, ma questa è un’altra questione.

Il punto è un altro, la forzatura di chi cerca di inserirlo tra le “tecniche” artistiche contemporanee, motivando il proprio pensiero arrampicandosi sui famosissimi specchi.

Articoli che titolano: “Giotto era iperrealista” ignorando che cercare di essere realisti in pittura nulla ha a che fare con l’iperrealismo.

Un altro titolo dice: “Iperrealismo, più reale della realtà”, penso che si commenti da solo, se è diverso dalla realtà non è “iper”.

L’ultima variante del sensazionalismo iperrealista è l’articolo dedicato alla sovrapposizione di immagini (apparente) di Tigran Tsitoghdzya, nella foto, i casi sono due o l’artista armeno, di cui è innegabile la tecnica sopraffina, ha dato vita ad un capolavoro dipingendo ciò che non è assolutamente reale oppure ha solo copiato da una riproduzione fotografica.

In entrambi i casi l’arte è l’iperrealismo non possono convivere, se parte da una sua concezione originale basata su un disegno è un conto, se, al contrario, è la realizzazione di un quadro che è la copia di una fotografia mi chiedo qual è il bisogno di perdere tempo e denaro per fare ciò che ho già.

Con questo post non mi farò certo molti amici, ma non è questo il motivo del mio scrivere, semmai cerco un confronto (che su questo argomento è già attivo) partendo da posizioni diverse, senza che nessuno debba cambiare opinione, magari cogliendo l’occasione di “sentire” altre campane, fastidiose se non siamo abituati ad ascoltarle ma magiche nel momento in cui ne comprendiamo l’essenza.

 

giovedì 5 dicembre 2024

Se andassimo su un'isola deserta ...

Il post di Alberto del blog "Alberto Bertow Marabello" dedicato, a modo (geniale) suo, ai nostri libri preferiti, mi ha riportato alla mente un "gioco" di tanti anni fa.

Antonella Avataneo - L'isola d'Elba

Chi non ha mai partecipato al giochino: “vai su un’isola deserta e puoi portarti solo un libro, un film e un “disco” (inteso come album, un brano sarebbe troppo poco)?

Considerata la mia passione e l’argomento del blog aggiungerei un’opera d’arte (pittura o scultura) anche se il post va oltre la scelta che potremmo fare e si chiede cosa ne sarebbe delle nostre scelte se non ci fosse altro a disposizione?

L’isola deserta è un luogo stranamente visto positivamente da molti, è vero che ci garantisce una certa tranquillità, io ne sarei entusiasta, almeno all’inizio considerando il fastidio che mi provoca la presenza di molta gente, ma alla lunga …

La riflessione che voglio fare riguarda la limitata possibilità di scelta che la suddetta isola (luogo metaforico) ci può offrire.

Rileggere più e più volte lo stesso libro, o pochi libri, guardare a ripetizione uno o pochi film, ascoltare sempre gli stessi brani o trovarsi davanti ogni santo giorno lo stesso quadro o la medesima scultura.

Limitando la fruizione si rafforza l’affinità o alla lunga rende insopportabile ciò che amavamo alla follia?

Nella vita di tutti i giorni abbiamo accesso ad infinite serie di brani musicali, di letture di ogni genere e a tantissimi film, le opere sono meno facili da reperire se non in riproduzioni fotografiche, ci affezioniamo ai classici, rendiamo immortale ciò che più ci piace e al contempo scopriamo sempre cose nuove.

Il giochino dell’isola dunque vale per quello che in fondo è nato, ci permette di raccontare cos'è che più ci piace, ma se proviamo a giocare ora diremmo le stesse cose che avremmo detto dieci anni fa? o trenta anni fa?


domenica 1 dicembre 2024

Segnali (ignorati) dal passato

José Clemente Orozco – Moderna migrazione dello spirito, 1932-34 – Affresco – Dartmouth College Hanover, New Hampshire

 

Quando l’artista vede il proprio contemporaneo con occhio critico e proietta lo sguardo nel futuro.

Questo è quello che possiamo dire di Orozco, sganciamoci definitivamente dalle posizioni politiche che sfruttano l’artista, immergendoci cosi nell’artista stesso, liberi da fastidiosi preconcetti.

L’immagine, di rara potenza, di Cristo che si ribella all’utilizzo della sua immagine per scopi che con lui nulla hanno a che fare, Cristo creatore che si fa distruttore delle icone simbolo di una modernità corrotta, politica e religiosa, una società alla deriva che non è più in grado di reggersi autonomamente.

Cristo viene ritratto nell’istante in cui, impugnando un’ascia, abbatte la croce che cade al suolo mischiandosi ad armi, e oggetti che rappresentano la società moderna, la montagna di “rifiuti” si innalza immensa, alle spalle del protagonista lasciando intravedere uno scorcio di un tramonto cupo, tutt’altro che bene augurante.

Era forse in atto un cambiamento epocale? Forse è quello che si augurava lo stesso pittore messicano, quello che accadrà nei quindici anni successivi all’opera ci conferma che era in atto una discesa verso gli inferi.

Il corpo di Cristo è in trasformazione, il corpo in disfacimento e, al contempo, in fase rigenerativa, auspica il risveglio delle coscienze, a quasi un secolo di distanza questo “murales” mantiene tutta la sua freschezza, è quanto mai attuale, un monito costante.

Ma la natura umana sembra perennemente immune agli avvertimenti, forse perché non in grado di gestirsi o probabilmente perché esegue perfettamente il compito che gli è stato assegnato, ma questa è un’altra storia.

giovedì 21 novembre 2024

L'impervia e meravigliosa montagna dell'arte

Normalmente mi cimento in considerazioni, recensioni o, più precisamente, interpretazioni personali di questa o quell'opera, visioni da un particolare punto di vista.

Stavolta ho deciso di scendere più in profondità in quello che è il mio "percorso" emozionale all'interno dell'arte, voglio raccontare una particolare esperienza che ho vissuto qualche anno fa e che, ogni volta che lo ricordo, lo rivivo come se fosse adesso (anche se, purtroppo, con minore intensità). 

Qualche anno fa appunto, in visita a Venezia, ho deciso di prendere una strada diversa da quella percorsa dagli altri membri di questa mia “spedizione”, nel momento di organizzare la gita nel capoluogo veneto ho messo in chiaro al resto della compagnia che l’obbiettivo primario era la collezione Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni.

Vassilij Kandinskij - Paesaggio con macchie rosse 2, 1913 - cm. 117 x 140 - Collezione Peggy Guggenheim, Venezia


Arrivati al mattino presto ci siamo addentrati nei meandri della bellissima città lagunare, le viuzze, i canali e naturalmente i ponti e le piazze, tutto è storia, arte e bellezza, ad un certo punto ho chiesto se qualcuno voleva seguirmi alla scoperta dei capolavori dell’arte moderna e contemporanea, nessuno ha accolto il mio invito e di conseguenza ci sono andato da solo.

Erano molti i dipinti e le sculture che mi ero prefissato di osservare, in primis L’impero delle luci di Magritte, ma non era certo l’unica opera che suscitava la mia curiosità.

Nell’istante in cui sono entrato alla Peggy Guggenheim Collection, sono stato accolto dalla bellezza e dal fascino di dipinti di artisti come Magritte, Picasso, Braque, Picabia e Pollock, Max Ernst (solo per citarne alcuni).

Nella prima sala sulla destra era esposto il dipinto di Magritte che tanto desideravo ammirare, mi sono goduto ogni singolo secondo davanti a questo e ad altri quadri, ognuno raccontava la storia del novecento, ognuno con una propria personalità.

Scorrendo le varie sale e le varie opere, ricordo quei momenti come se li vivessi ora, passo davanti ad un quadro di Picasso e mi soffermo infine su uno di Picabia, cambio sala ed ecco che alcune opere di Pollock mi accolgono, dopodiché lascio la stanza ed entro in un’altra, ad accogliermi un’opera di Gino Severini che mi colpisce positivamente con i suoi colori.

Mi giro e, proprio di fronte al dipinto di Severini, mi trovo di fronte a Paesaggio con macchie rosse 2 di Vassilij Kandinskij, ed è proprio in quell’istante che inizia ciò che non avevo mai provato e che non ho mai più “rivissuto”.

La tela, che misura circa 120 x 140 cm., mi ha immediatamente ipnotizzato, la dimensione, tutt’altro che ridotta, ha iniziato a diventare sempre più grande tanto che avevo l’impressione di esserne avvolto, ero praticamente entrato nel dipinto.

Lentamente ma inesorabilmente i suoni, i rumori, i brusii degli altri visitatori sono scemati fino a scomparire del tutto, ero nel quadro e c’era un silenzio assoluto, la sensazione che provavo era di una calma e serenità mai provate, tutto era perfetto, le forme e i colori erano immobili ma al contempo tutto si muoveva come a seguire una disposizione precisa, senza però che trapelasse una costruzione artificiosa.

Dopo un tempo indefinito i rumori della sala hanno iniziato a comparire, dapprima lontani fino a tornare alla normalità, nello stesso tempo il dipinto ha ripreso la propria dimensione, sono uscito dallo stesso e mi sono ritrovato davanti alla tela.

Ho compreso immediatamente che qualcosa era andato diversamente dal solito, la prima cosa che ho fatto è guardare l’orologio, secondo alcuni calcoli ero rimasto immobile davanti alla tela per più di venti minuti, immediatamente mi sono guardato attorno per capire se avessi tenuto un comportamento bizzarro, dalla reazione dei visitatori (fortunatamente pochi in quel giorno d’agosto) ho capito che non ero andato oltre l’immobilità “osservativa”.

Finita la visita alla galleria (durata quasi due ore e mezza) mi sono riunito con i miei compagni di viaggio che nel frattempo avevano visitato i consueti luoghi veneziani, appena incontrati tutti mi hanno chiesto cosa fosse successo “dallo sguardo e dall’espressione del viso sembra che tu abbia assistito ad un’apparizione”, disse uno di loro.

Quel senso di pace, felicità, serenità, mi ha accompagnato per molto tempo e ancora oggi ritorna parzialmente quando ricordo l’accaduto. Ho parlato di tutto questo con alcune persone legate al mondo dell’arte e tutte mi hanno detto che ho avuto la fortuna di provare l’emozione più forte che si possa sperimentare davanti ad un’opera d’arte: l’estasi.

Non so se si tratti effettivamente di estasi (da escludere la “sindrome di Stendhal” in quanto non ho provato alcun disagio) ma questa esperienza, che molti artisti e appassionati si augurano di provare almeno una volta nella vita, è qualcosa di incredibile.

Quando sottolineo che l’arte, qualsiasi arte, se compresa nella sua essenza, può raggiungere vette elevatissime mi riferisco proprio a questo.

sabato 9 novembre 2024

I grandi emergono anche da dietro le quinte

Ci sono grandi artisti che sanno di essere tali e non hanno bisogno di sottolinearlo.



Spesso cantanti, attori, scrittori, pittori ecc., non perdono l’occasione di sottolineare, a parole o con determinati comportamenti, quanto siano bravi, belli, eccezionali, fino a volerci convincere che sono una sorta di divinità.

In questo caso mi riferisco ai musicisti nel corso di un evento live, ad un concerto di Tizio, Caio o Sempronio, capita che venga annunciato un ospite particolare, in quasi la totalità dei casi l’ospite viene accolto con grande (anche se non sempre) enfasi, ma durante l’esibizione non deve mai mettersi “davanti” alla divinità titolare della manifestazione, la può affiancare, se l’ospite è di fama internazionale, altrimenti deve stare mezzo passo indietro.

L’eccezione, perché deve sempre esserci l’eccezione se vogliamo confermare tutto ciò, è Eric Clapton. Più volte ho notato, guardando moltissimi video che lo ritraggono dal vivo, il grande musicista britannico fare un passo indietro rispetto a chi lo ospita ad un concerto ma soprattutto agli ospiti che lui stesso invita alle sue esibizioni.

Nel video che vi propongo Clapton, siamo nel 1999, invita sul palco Tracy Chapman dove, in un delizioso duetto, propongono Give one reason, brano della stessa cantautrice americana.

La Chapman è già famosissima, da anni è entrata nel club delle stelle mondiali della musica ma Eric Clapton è qualcosa di estremamente più grande, se non altro per la carriera più lunga.

Nonostante tutto questo Eric sta sempre un passo dietro Tracy, la affianca solo quando anche lui deve cantare tornado però nelle retrovie subito dopo, lasciando la scena all’ospite.

Questo mio scritto può sembrare di poco conto (e probabilmente lo è) ma volevo sottolineare che la grandezza di un artista emerge indipendentemente dal fatto che ce lo faccia sempre presente, infatti in questo video Clapton non ha bisogno di offuscare la Chapman per mettersi in luce, la sua esibizione con la chitarra è immensa, il suo compito è quello di fare da cornice alla cantante nel modo migliore, un compito che solo i grandi sanno portare a termine senza necessariamente essere, fisicamente, al centro della scena.

mercoledì 30 ottobre 2024

Cornici, esaltazione o prigione dell'arte?

Cornici si, cornici no, cornici … dipende.

Al di là dei gusti personali che indirizzano da una parte o dall’altra è necessaria la cornice per un dipinto o per una stampa fotografica? Qual è il confine che divide la cornice che “completa il quadro” e quella che lo sovrasta, finendo per sminuirne il valore estetico e artistico?


Vincent Van Gogh - Autoritratto, 1889 – Olio su tela cm 65 x 54 – Museo d’Orsay, Parigi 


Nella maggior parte dei casi trovo che le cornici siano più un intralcio che un completamento, naturalmente in un ambiente privato è il gusto del proprietario ad avere la precedenza, ma in una pinacoteca certe cornici, in particolare quelle antiche di un certo valore storico e di eccelsa fattura, non vanno d’accordo con il dipinto a cui sono abbinate.

Qui subentra in effetti il gusto personale, trovo che cornici lignee “importanti” soffochino il dipinto, la loro pesantezza (e non mi riferisco al peso specifico) impedisce la libertà espressiva dell’opera d’arte che viene rinchiusa in un recinto troppo stretto impedendone anche il minimo “movimento”.

Un quadro senza cornice però non sempre riesce ad esprimersi interamente, le tele contemporanee riescono a farne a meno, quelle più “datate” fanno più fatica, le fotografie ne hanno bisogno, a patto che non prendano il sopravvento.

Mi è capitato di osservare dei dipinti (o meglio la loro riproduzione fotografica) in rete o, meglio ancora, stampati su volumi, normalmente li vediamo senza cornici e questo ci porta ad intraprendere un percorso visivo specifico, quando le stesse opere le vediamo dal vivo con tanto di cornice la percezione cambia completamente.

Mentre il passaggio dalla riproduzione alla visione “live” è, nella maggiorana dei casi, un passo avanti, spesso succede il contrario (almeno è quello che succede a me) quando cornici eccessive sovrastano il dipinto, in questo caso può sopraggiungere quella sensazione di delusione nonostante il quadro sia tutt’altro che deludente.

Ho provato ad accennare questo mio pensiero ad un curatore di un piccolo museo ma mi sono trovato davanti a un muro, alla mia domanda: “le cornici possono modificare la percezione dei dipinti?” la risposta è stata: “se il dipinto di una determinata epoca ha quella cornice noi dobbiamo prenderlo in considerazione cosi com’è”. A nulla è servito sottolineare che spesso la cornice è stata aggiunta a posteriori senza che l’artista abbia avuto voce in capitolo (e questo ribalta completamente il concetto del suddetto esperto) va detto, in tutta onestà, davanti ad un’opera di Monet (si trattava di una mostra temporanea) che il curatore ha ammesso che la cornice nulla aveva in comune con il dipinto, in effetti ne era soffocato, ma che andava esposto cosi perché la cornice aveva la stessa età della tela.

Altra cosa che mi piace prendere in considerazione è la moda che ha preso piede negli ultimi anni, quella di appendere alle pareti cornici vuote, in questo caso si tratta di pura decorazione, il concetto iniziale, tutt'altro che banale, emerso da una cornice senza quadro si è consumato nella ripetizione, ha perso ogni valenza artistica, la moltiplicazione di questi manufatti ha cancellato l’aspetto visionario trasformandolo in una banale consuetudine.

Riassumendo, le cornici incidono non poco sulla percezione di un dipinto (fotografia) sia essa positiva o negativa, un quadro senza cornice è libero di esprimersi senza "barriere", anche se spesso la giusta cornice lo completa, la cornice senza quadro ...


mercoledì 23 ottobre 2024

Scortesia, maleducazione e altri problemi, i musei italiani e la svolta che non arriva.

Se vi capita di leggere le recensioni di un qualsiasi museo italiano non vi sfuggiranno le molteplici critiche riferite alla scortesia degli addetti, alla cassa, nelle sale e al bookshop.

Harry Rutherford -The Custodian

È innegabile che lo stesso potrebbero dire gli impiegati riguardo ai visitatori ma forse sarebbe il caso di saper distinguere il cafone dalla persona educata.

Le recensioni sopracitate sono solo lo spunto del mio ragionamento, la mancanza di cortesia e spesso la maleducazione, le ho verificate personalmente e non si limitano a poche eccezioni.

Nel mio caso più che alla cassa o nella “libreria” è nelle sale che si riscontra il problema, tra i vari musei che ho recentemente visitato l’esempio più lampante è alla pinacoteca dell’Accademia Carrara a Bergamo, le sale sono sorvegliate da giovani provenienti dall’accademia stessa, spocchiosi, arroganti, presuntuosi, che guardano tutti dall’alto in basso pensando che il solo fatto di studiare all’accademia li renda superiori a chiunque, se poi qualcuno si azzarda a fare una semplice domanda ti guardano infastiditi e sgarbatamente di rispondono che hanno altro a cui pensare (se li si osserva attentamente ignorando il fastidio della loro maleducazione si capisce che non rispondono perché di tutto ciò che è esposto non capiscono alcunché).

Il problema è lo stesso per tutti musei, chi più chi meno, la vigilanza nelle sale è assegnata a studenti impreparati, poco competenti e, soprattutto, malpagati (spesso nemmeno quel poco) inoltre sotto organico con orari assurdi, questo porta i giovani a svolgere le mansioni assegnate senza lo stimolo giusto, di malavoglia.

Non va dimenticato però il pessimo comportamento di alcuni visitatori, non sono a favore dei musei ultra silenziosi, non siamo in un luogo di culto, ma trovo fastidiosi gli schiamazzi, gente che parla ad alta voce al cellulare, davanti alle opere persone con lo smartphone alzato per improbabili fotografie e gli immancabili selfie, fino al problema più grave dato dal visitatore poco interessato (non si capisce perché ci sia andato) che si avvicina troppo alle opere, non per studiarle da vicino ma rischia di urtarle perché sta “giocando” con gli amici. Vanno aggiunte le devastanti code, spesso non regolamentate, all’entrata dei musei più celebri.

Il sistema museale italiano ha non pochi problemi, prezzi in continua ascesa, sale strapiene, in particolare nel caso di mostre dedicate agli artisti più noti (dove la metà della gente non si sa come ci sia finita) personale non preparato e un’isteria collettiva che sfocia nella maleducazione.

Per completare l’opera ultimamente ha preso piede l’abitudine di mettere il grande nome sulla locandina per poi esporre nelle sale altri artisti che “si ispirano a …”.

Questo non significa che tra i lavoratori nei musei e tra il pubblico non vi siano persone educate e in grado di fare il proprio lavoro anzi, si tratta della maggioranza, ma la tendenza è al peggioramento (come in ogni settore) ed è questa tendenza che andrebbe invertita.


martedì 15 ottobre 2024

"Tu sei quella che paga di più"

Artemisia Gentileschi – Susanna e i vecchioni (part.), 1610 – Olio su tela cm 170 x 119 – Collezione Graf von Schönbom, Pommersfelden


 

Siamo nel 1977, Edoardo Bennato pubblica l’album che l’ha reso celebre, Burattino senza fili è  un concept album che parte da un soggetto di fantasia per raccontare le tematiche di quegli anni.

L’album riprende Le avventure di Pinocchio e le utilizza metaforicamente per mettere in luce alcuni aspetti dell’epoca, le problematiche del mercato discografico (Il gatto e la volpe) l’impatto della cultura sulla società (Dotti, medici e sapienti) la coscienza (Tu grillo parlante) la condizione femminile (La fata).

Ed è proprio di quest’ultimo brano che voglio parlarvi, probabilmente uno dei più belli dell’intera discografia del cantautore napoletano, una poesia amara che, partendo dal dolce sapore musicale, ci mette in guardia (o meglio mette in guardia le donne) dalla falsità delle percezioni maschili di quegli anni, che poi non sono diverse da quelle di oggi a quasi cinquant’anni di distanza.

Il testo parte da un ribaltamento dei personaggi, Pinocchio diventa il maschio adulto “dominante”, la Fata si trasforma nella giovane e ingenua fanciulla ammaliata dal “principe azzurro”, mito che inizia a sgretolarsi proprio negli anni settanta con la presa di coscienza femminista ma che è ancora inconsapevolmente forte.

Ci sono vari modi di ascoltare questo pezzo, lasciarsi cullare dalla melodia dando poco peso alle parole, anche se il ritornello ci “sveglia” e tenta di metterci sulla giusta via, o concentrarci sul testo poeticamente tragico, dove la musica rende il tutto tristemente malinconico.

Possiamo prendere ogni strofa ed interpretarla, non credo che le “letture” di ognuno di noi possano differire se non per piccole sfumature che la sensibilità soggettiva ci porta a cogliere o, al contrario, ci possono sfuggire, il senso penso non si possa travisare, anche nella sua ammaliante vena poetica il messaggio è chiarissimo.

Alcuni passaggi sono apparentemente contrastanti ma tutto fila alla perfezione, lui “Farà per te qualunque cosa” ma tutto ha un prezzo, la freschezza, la bellezza della gioventù sono destinate a cedere il passo, l’inizio è passione dove la “fata” può chiedere e ottenere ciò che vuole ma poi …

Lascio a voi la lettura di questa poesia ma soprattutto vi lascio all’ascolto di un brano meraviglioso, ognuno coglierà ciò che “sente”.  

La fata

C'è solo un fiore in quella stanza
E tu ti muovi con pazienza
La medicina è amara ma
Tu già lo sai che la berrà

Se non si arrende tu lo tenti
E sciogli il nodo dei tuoi fianchi
Che quel vestito scopre già
Chi coglie il fiore impazzirà

Farà per te qualunque cosa
E tu sorella madre e sposa
E tu regina o fata tu
Non puoi pretendere di più

E forse è per vendetta
E forse è per paura
O solo per pazzia
Ma da sempre
Tu sei quella che paga di più
Se vuoi volare ti tirano giù
E se comincia la caccia alle streghe
La strega sei tu

E insegui sogni da bambina
E chiedi amore e sei sincera
Non fai magie, né trucchi, ma
Nessuno ormai ci crederà

C'è chi ti urla che sei bella
Che sei una fata, sei una stella
Poi ti fa schiava, però no
Chiamarlo amore non si può

E forse è per vendetta
E forse è per paura
O solo per pazzia
Ma da sempre
Tu sei quella che paga di più
Se vuoi volare ti tirano giù
E se comincia la caccia alle streghe
La strega sei tu

C'è chi ti esalta, chi ti adula
C'è chi ti espone anche in vetrina
Si dice amore, però no
Chiamarlo amore non si può

Si dice amore, però no
Chiamarlo amore non si può