Cis-intro
Purtroppo è vero: le Olimpiadi non sono mai state una questione esclusivamente sportiva, sin dall'edizione del 1936, avvenuta sotto l'occhio di Adolf Hitler. Ma l'ultimo paio di eventi - Tokyo 2020 e Parigi 2024 - ha preso una piega particolarmente ignorante e lagnosa, di fatto tradendo, ancora una volta, i veri sintomi dei tempi che corrono. Mascherata da crociata a favore dell'equità nello sport - discorso di per sé già ben più interessante e articolato, se affrontato con la dovuta perizia - la cosiddetta "transgender issue" viene ciclicamente distorta senza clemenza in un corollario di ansie e fobie, generando un astio pronto da incanalare assieme al resto dei malcontenti per andare alle elezioni.
Una strategia certo non nuova per nessuna tendenza fascista; viene però da domandarsi com'è che una comunità così piccola e sfilacciata, spesso spinta ai margini estremi della visibilità, sia allo stesso tempo in grado di rappresentare tal gigantesco spauracchio capace di far crollare l'Occidente. Possibile che i membri di questa minuscola comunità siano tutti pericolosi pugili sfascia-cranio? Come mai devono sempre andare a pisciare nei bagni pubblici, non possono usare uno shewee come le lesbiche in campeggio? (cit. Reddit)
In parziale risposta a quanto sopra, ma in verità aprendo un dialogo molto più ampio e profondo scevro da opinioni esterne, l'associazione a scopo benefico Red Hot Org quest'anno ha imbastito uno dei suoi lavori più ambiziosi di sempre: raccogliere le testimonianze musicali di oltre cento artisti, sparsi lungo otto dischi per quarantasei tracce totali. Una "mappa" dell'esperienza trans e non-binaria in tante forme e sfumature, ordinata idealmente attraverso otto fasi cronologiche: la nascita nel ventre dell'anima, la sopravvivenza, l'acquisto di coscienza durante una drammatica notte scura, poi il risveglio, il dolore, l'accettazione, la liberazione e infine la reinvenzione. Un processo lungo e tortuoso, fatto di dolore ed euforia, rabbie e silenzi, ma atto a riguadagnare quell'umanità altrimenti data per persa. L'ascolto è stato anche diviso in due chiavi tonali, chiaro e scuro; ogni capitolo viene introdotto da un momento meditativo con una voce recitante (scuro), il faro tematico al quale seguono il resto dei contributi, spesso trattati in un più canonico formato canzone (chiaro).
Il risultato è un gigantesco arazzo di rifacimenti e brani autografi, fatto di bozzetti folk e sparate avant-jazz, schitarrate indie-rock e pulviscoli ambient. Tanti gli artisti trans o non-binari coinvolti nell'operazione, tanti altri ancora giunti in solidarietà, alcuni dotati di fama più ampia - Sade, André 3000, Jeff Tweedy, Wendy & Lisa - altri noti al popolo indie di webzine come la stessa OndaRock.
Non affrontate l'ascolto tutto d'un fiato, lo scopo non è completare la storia il prima possibile; provate semmai a empatizzare col percorso scoprendone i punti in comune, per comprendere infine il valore di un'esperienza così preziosa e particolare.
Disc 1 - Womb Of The Soul - Il ventre dell'anima
Non può che iniziare con le onde del mare, con la profonda voce di Jamal Shakeri e le corde di Mary Lattimore e Laraaji: "Midnight Moon Pool" è il morbido ventre sicuro dal quale tutti proveniamo, un'avvolgente fantasia ambient per respirare l'ultimo barlume di sicurezza, aspettando che la nascita porti con sé il primo trauma universale. L'infanzia che la segue sovente regala momenti d'intima dolcezza, ma non è mai priva di cupi presagi, soprattutto quando si giunge al primo incontro col mondo esterno e con le sue regole arbitrarie. Un complesso grumo di sensazioni, qui descritte con tre mutevoli brani d'estrazione folk; la giocosa psichedelia sbilenca di "You Don't Know Me", con Devendra Banhart, Blake Mills e l'immancabile Beverly Glenn-Copeland, poi il carillon in miniatura "How Sweet I Roamed", di Jeff Tweedy e claire rousay, infine l'incantevole acustica pastorale "Same Train", la rapida chiusura di un capitolo che già versa le lacrime sulla propria innocenza perduta.
Disc 2 - Survival - Sopravvivenza
I sottili synth di Ana Roxanne e la voce libera della poetessa Nsámbu Ze Suékema introducono il concetto di sopravvivenza con una punta di tracotanza: "STAR" è il desiderio di esplodere e raggiungere le stelle, di evadere da quell'opprimente senso di non essere al posto giusto, pur senza ancora avere un piano da seguire. "Please Tell Me", "Make 'Em Laugh" e "Rumblin'" compongono dunque il corpo di un capitolo animato da ispide emozioni e ruvidezze indie-rock, con ospiti del calibro di Faye Webster e Frankie Cosmos a condurre le cerimonie dal proprio studentato idealista.
Ma il centrotavola è "Get Me Away From Here I'm Dying", qui rielaborata da ben quattro artiste: il celebre brano dei Belle And Sebastian è uno dei più puri ritratti adolescenziali mai messi su nastro, che risuona attraverso più generazioni di giovani sensibili e confusi - non a caso, la band scozzese ha sempre raccolto un notevole pubblico queer, categoria che più di tutte, in adolescenza, avverte il bisogno di evadere per non morire.
Nel 1989, Kate Bush pubblicava "Deeper Understanding", una curiosa canzone sulla comunione spesso emotiva tra uomo e macchina - nel suo caso era un computer all'alba dell'era tecnologica. Qui, Bill Callahan e Hand Habits ne offrono una versione sottile e sibillina, lasciando sottintendere quanto questa "profonda intesa" possa essere anche sinonimo di un dialogo interiore, nel tentativo di distinguere e riordinare le varie parti del proprio "io". Il dado è stato tratto: I press execute.
Disc 3 - Dark Night - La notte scura
Un singhiozzante spoken word dall'attrice Hunter Schafer su contorta base jazz porta il primo momento di vero dolore della raccolta, aggravato dal gassoso prolasso post-rock della seguente "Blush", a cura di Grouper e Lucy Liyou. La notte adesso è scura, scurissima. Non v'è più innocenza né ignoranza né indolenza dietro cui nascondersi, la disperazione è inevitabile. "Is It Cold In The Water", brano chiave nella poetica della compianta SOPHIE, viene rielaborato da Anohni e Moses Sumney in uno strisciante passo di basso e falsetti di femminea incertezza: è la paura dell'ignoto, dello scoprirsi per come si è e rimanere esposti al freddo e alle intemperie di quello che verrà, violenze incluse.
Ma anche la notte più scura ha le sue falene; Anajah e Gary Gunn riprendono con mani di fata sintetica un vecchio tema dei Cocteau Twins, "Know Who You Are At Every Age", e l'esortazione non potrebbe essere più letterale. Poi, come spettri nella nebbia, Niecy Blues e Joy Guidry innalzano una devastante richiesta contro quel cielo scuro che pesa come una vòlta di cemento armato: "Is It Over Now?", è finita adesso?
Disc 4 - Awakening - Il risveglio
Se credevate che "TRAИƧA" fosse un viaggio facile o lineare, vi sbagliate. Lungo ben ventisei minuti di minacciosi liquami digitali e pluviali richiami ambient-jazz, è addirittura André 3000 in persona a condurre un primo, doloroso ed estenuante risveglio: "Something Is Happening And I May Not Fully Understand But I'm Happy To Stand For The Understanding", porta con sé l'umile ammissione della propria ignoranza di fronte alla vastità di un cammino impervio e ancora ignoto, ma che adesso vale la pena intraprendere - il finale del brano evade direttamente dalla sfera terrestre per riconnettersi allo spirito di Sun Ra.
Dopo tale ruminante viaggio, ecco finalmente l'euforia di quel primo sole, di quel primo allineamento tra corpo e spirito; "Come Back Different" si dipana nell'etere su una spaziosa pulsazione ambient-house, il riadattamento della celebre "Song To The Siren", a cura di Rachika Nayar, Julianna Barwick e Cassandra Croft, è come un'aurora boreale di voci d'angelo che ti accolgo con un abbraccio materno.
Poi, l'improvvisa scheggia d'energia: "Love Hymn", nella quale il celebre produttore hip-hop Arthur Baker riavvolge il sax di Pharoah Sanders in un ipnotico sabba di vortici concentrici, per scrollare di dosso ogni indolenza del sonno. Il capitolo si conclude pertinentemente con "People Are Small/ Rapture", che raccoglie stralci di voci raccolte dal "NYC Trans Oral History Project" (Imara Jones, Mojo Disco, Ceyenne Doroshow) e le mescola a un immortale inno tratto da "Antony And The Johnsons", qui intonato da L'rain.
Disc 5 - Grief - Dolore
Moor Mother & Jlin arrivano al volo su un lacrimevole tappeto sintetico, pronte a reclamare il proprio posto nella storia, che siano i ricordi di Stonewall o le ingiustizie razziali che certo non esclusono l'esperienza trans, anzi spesso vi si accaniscono con doppia veemenza. Questo perché il risveglio non è certo la fine dell'esperienza, anzi il viaggio inizia proprio adesso, una volta usciti dal torpore del proprio letto, nudi di fronte al mondo giorno dopo giorno.
Ma stavolta, al dolore della perdita del proprio passato, si aggiunge un fondo di maturità di fronte alle scelte intraprese; "My Name" offre una delle collaborazioni più belle in scaletta tra Kara Jackson, Dave Longstreth e l'arpista Ahya Simone, poi Perfume Genius e Alan Sparhawk rimettono mano con sentimento alla pesante "The Point Of Disgust", che fu appunto dei Low.
Seguono "In Another Life", "Pink Ponies" e "A Survivor's Guilt", tre brevi episodi di cantautorato pop-folk per uno sguardo al passato perduto e al bisogno di trovare la forza e le parole per far fronte al proprio presente - accompagnata dal solo piano, la limpida voce di Yaya Bey offre un melodioso tocco r&b.
Disc 6 - Acceptance - Accettazione
Il capitolo forse più duro, perché quello più solitario, che richiede un costante lavoro su se stessi. Quante volte avremmo ascoltato "Feel So Different" di Sinéad O'Connor con le lacrime agli occhi, soprattutto oggi in luce della sua prematura scomparsa? Ezra Furman e Sharon Van Ettenne intonano una versione musicalmente fedele, ma che trasporta le liriche in un nuovo contesto:
Non sono più quello che ero un tempoÈ qui che il lavoro si fa intimo e carezzevole, musicalmente lento e pastorale su nuovi risvolti folk, per offrire il tempo di lenire le cicatrici, siano esse interne o incise sulla pelle; abbiamo emollienti cascatelle di piano con "Mourning Dove", la cumbia di "Querube" cantata in spagnolo, un toccante duetto tra banjo e arpa su "Any Other Way", poi addirittura Adrienne Lenker che con "Feel Better" offre un abbraccio come solo lei potrebbe, tutti amorevoli bozzetti ideati con fili di saggezza e poesia. Ma si trova anche un corale rifacimento di un vecchio brano di Judee Sill, "Down Where The Valleys Are Low", e uno del sassofonista Charles Lloyd, "TM", qui rielaborato con i Fleet Foxes tra gli altri.
Credevo che niente mi avrebbe cambiato
[...]
Non avevo mai visto la libertà prima d'ora
E non me lo sarei mai aspettato
[...]
Le persone trans sono sempre esistiteCosì Kelela ha accompagnato l'uscita di "TRAИƧA", ricordando al mondo che certe identità non sono mode di passaggio, è semmai il continuo susseguirsi delle più larghe organizzazioni economico-sociali a restringere il campo espressivo dell'individuo con nuove regole ogni volta; "Within Without" è la sua poesia d'introduzione al capitolo che finalmente inizia a scuotersi le catene di dosso. Se "Aaron" e "Many Ways" offrono due libere divagazioni indie su questa nuova identità tutta da esplorare, le tre neo-dive d'eccezione del progetto - Moses Sumney, Sam Smith e Lyra Pramuk - decostruiscono con piglio elettro-gospel "You Make Me Feel (Mighty Real)" della Queen of Disco per eccellenza, Sylvester. La disco poi arriva davvero con "I Feel Free", a cura di Sparkle Division (il progetto dance di William Basinski) e della vocalist Pepper MaShay.
01/12/2024