romanzo neostorico

Si analizza e chiarisce grazie ad un confronto ragionato della critica, il concetto letterario di "struttura a più voci" e polifonia all'interno del romanzo. Si analizzano poi tre autrici del Postcoloniale italiano e dell'uso che fanno nei loro romanzi della struttura a più voci e della polifonia, mettendo in risalto da una parte il comune utilizzo di questa strategia narrativa, dall'altra gli esiti differenti ottenuti nella scrittura. Si evidenziano attraverso percorsi di lettura dei tre romanzi alcuni elementi dei Postcolonial studies e del postcoloniale italiano, della Race theory e dei Gender studies.

Il mio intervento si sofferma su Des hommes (2009) di Laurent Mauvignier e Le rondini di Montecassino (2010) di Helena Janeczek, due "récits de filiation" nati dal silenzio paterno legato al trauma storico. Di fronte alla duplice censura del discorso ufficiale e familiare, gli autori scelgono di lavorare sulle poche tracce rimaste, "scorie memoriali" da riportare alla luce. Questi depositi marginali non vengono soltanto eletti a materia del racconto, ma guidano il processo di scrittura direttamente sul piano formale, come risulta dall'analisi dei modelli narrativi (monologo interiore, coralità epica), degli spazi testuali e delle figure impiegate (blancs, mise en abyme). Il mio intento è dimostrare come, mediante diversi approcci, gli autori conducano un medesimo movimento centripeto volto a riportare all'interno della memoria culturale quanto ne era stato in precedenza posto ai margini.

«Il passato non è mai finito». Queste parole, che Max Aue rivolge alla gemella Una in Les Bienveillantes (2006), alludono agli aspetti traumatici che definiscono la personalità del narratore del libro di Littell: sono diversi i luoghi del testo in cui emerge la peculiare relazione che Aue intrattiene con lo scorrere del tempo, con effetti importanti sia sul piano della diegesi che su quello della rappresentazione formale. Tempo che, inteso come categoria del racconto, svolge una funzione portante in un testo che oscilla per quasi mille pagine tra la perturbante infanzia dell'ex SS franco-tedesca e il suo anonimo presente di industriale nella Francia postbellica, passando per i terribili fatti della seconda guerra mondiale.
Partendo dall'analisi dei suoi aspetti interni, tematici e formali, il presente contributo si propone di indagare costanti e variabili di un'opera paradigmatica della contemporaneità come Les Bienveillantes rispetto alla tradizione letteraria, operazione che si colloca all'interno di uno studio diacronico delle forme di rappresentazione della Storia: il libro di Littell difatti, pur richiamandosi in parte ai dispositivi tradizionali tramite cui il flusso temporale viene "configurato" nell'intreccio del testo (la mimesis II secondo Ricœur), è al contempo un eccellente rappresentante di quella "svolta testimoniale" che ha interessato l'ambito delle rappresentazioni estetiche a partire dagli anni '60 per arrivare ai nostri giorni.

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L'intervento presenta una riflessione sul rapporto tra agency e democrazia a partire dalla lettura di due recenti romanzi neostorici, L'art français de la guerre (2011) di Alexis Jenni e La gemella H (2014) di Giorgio Falco. Entrambi mettono sotto accusa quella mitologia vittimaria, fondata sul rigetto dell'azione, che da decenni governa le pratiche occidentali. Attraverso l'analisi comparata dei testi, incentrata sull'uso delle istanze narranti e ripartita per nuclei tematici, si intende dimostrare come tale narrazione non sia affatto immune dalla complicità con la violenza storica.

Il romanzo neostorico, forma di scrittura che abbina ricerca documentaria, testimonianza e invenzione romanzesca, costituisce un terreno privilegiato per quel "ritorno del represso formale" teorizzato da Francesco Orlando nei primi anni Settanta. Ne è prova il riemergere, all'interno dei testi, di una pluralità di "scorie memoriali" che, ostacolate nella trasmissione, non hanno trovato spazio nella memoria culturale delle comunità di riferimento.
Il presente contributo si sofferma su Des hommes (2009) di Laurent Mauvignier e Le rondini di Montecassino (2010) di Helena Janeczek, due récits de filiation nati dal silenzio paterno legato al trauma storico. Davanti alla duplice censura del discorso ufficiale e familiare, diventa necessario lavorare sulle poche tracce rimaste, scorie memoriali da riportare alla luce. Questi depositi marginali non vengono soltanto eletti a materia del racconto, ma guidano il processo di scrittura direttamente sul piano formale, come risulta dall'analisi dei modelli narrativi (monologo interiore, coralità epica), degli spazi testuali e delle figure impiegate (blancs, mise en abyme). Il mio intento è dimostrare come, mediante diversi approcci, gli autori conducano un medesimo movimento centripeto volto a riportare all'interno della memoria culturale quanto era stato in precedenza posto ai margini.