L’articolo 9 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»: prendersi cura dei beni culturali è dunque un dovere sancito dalla carta fondamentale dello...
moreL’articolo 9 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»: prendersi cura dei beni culturali è dunque un dovere sancito dalla carta fondamentale dello Stato. Tuttavia, questo dovere si scontra con una realtà difficile: l’Italia ha un patrimonio vastissimo, spesso interessato da fenomeni di degrado più o meno accentuato, e molti beni si trovano in stato di completo abbandono.
E il problema è che i fondi da destinare al restauro del nostro patrimonio non sono illimitati.
Nel 2000, il filosofo Massimo Cacciari, aprendo i lavori della Conferenza di Cracovia sui principî della conservazione, affermava che «non si può conservare se non ciò che si ha a cuore, che si riconosce come parte integrante ed essenziale di un sistema complesso di valori [...]. E allora la conseguenza è inesorabile ed è quella che non si può conservare tutto perché è impossibile tutto ricordare».
L’Italia spende in attività culturali meno di molti paesi europei: secondo i dati elaborati dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, nel 2018 l’Italia ha speso in attività culturali lo 0,3% del Pil, contro la media dello 0,4% dell’Unione Europea, e davanti, nella classifica, soltanto a Grecia, Irlanda, Cipro e Regno Unito. E il nostro patrimonio è costantemente minacciato: l’incuria, i fenomeni e le calamità naturali e il cambiamento climatico renderanno la tutela un’operazione sempre più difficile e dispendiosa. Come fare dunque?
Come conciliare le necessità di un patrimonio vasto come quello italiano con la poca sensibilità nei suoi confronti? Si potrebbe investire di più in tutela e restauro?
E nella situazione attuale, come scegliere gli interventi prioritari? In breve: è possibile conservare tutto? Questa è la spinosa e provocatoria domanda che abbiamo rivolto agli esperti che si alternano nel dibattito di questo numero di Finestre sull’Arte on Paper.