Durante i primi decenni dell'Ottocento alcuni artisti seppero aggiornare la grande tradizione della scultura italiana ottenendo una fortuna internazionale senza precedenti e senza paragoni con le altre arti. La divisione politica del...
moreDurante i primi decenni dell'Ottocento alcuni artisti seppero aggiornare la grande tradizione della scultura italiana ottenendo una fortuna internazionale senza precedenti e senza paragoni con le altre arti. La divisione politica del paese favorì la sopravvivenza delle scuole locali, che si trovarono a misurarsi ciascuna con aspetti differenti del collezionismo, del mercato e della promozione artistica e in diverso grado con le sollecitazioni del dibattito contemporaneo. Nonostante i continui scambi, esiti differenti caratterizzarono dunque la specificità dei maggiori centri della statuaria a quelle date: Roma, Firenze, Milano e Torino. A Roma con la restaurazione pontificia si apriva un'epoca di splendore per la scultura, legata non solo al mecenatismo dei pontefici o di privati come i Torlonia, desiderosi di eguagliare i fasti passati dei grandi casati romani, ma anche al collezionismo estero che, dopo la cesura imposta dalle guerre napoleoniche e dal blocco continentale, riprendeva insieme al ritorno dei viaggiatori impegnati nel Grand Tour. Il prestigio della scultura romana era garantito dalla presenza dei più grandi scultori dei tempo, Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen, ma presto sarebbe stato alimentato da una nuova generazione di artisti che, nei decenni a venire, doveva verificare tutte le residue e riconfermate potenzialità del linguaggio classicista e proporre, nell'ambito dell'arte cristiana, nuove formule rispondenti al rinnovato fervore religioso del pubblico. Canova intanto assumeva nuove responsabilità morali e civili. Grazie ai meriti artistici gli era riconosciuta l'autorità diplomatica per negoziare con i sovrani d'Europa a Parigi, nel 1815, la restituzione dei capolavori pontifici sottratti dai francesi. Nell'incerta trattativa, avversata dal restaurato Luigi XVIII, l'artista faceva appello a un nuovo ideale di tutela che doveva salvaguardare la trama di relazioni tra l'opera d'arte e il complesso di monumenti che qualificavano la sua collocazione originaria, facendo ristampare le Lettres à Miranda del suo amico Quatremère de Quincy. Il successo dell'impresa era celebrato da Pietro Giordani al quale l'artista appariva, grazie a quel ruolo di ambasciatore culturale d'Italia, non solo il protagonista del risorgimento della scultura moderna, ma anche il simbolo comune dell'identità di una nazione divisa politicamente 1 . Napoli, piazza del Plebiscito. 165 2. La scultura Dal classicismo more romano alla scultura romantica come natura, sentimento religioso e impegno civile Dal classicismo more romano alla scultura romantica come natura, sentimento religioso e impegno civile 166 2. La scultura Dal classicismo more romano alla scultura romantica come natura, sentimento religioso e impegno civile Negli anni seguenti si impegnava a soddisfare le commissioni dei sovrani europei che avevano favorito il recupero delle opere d'arte. A Francesco I d'Austria inviava la Musa Polimnia, il pezzo più prezioso dell'"Omaggio delle Provincie Venete" alle nozze dell'imperatore, un tributo economico che Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia di Venezia, aveva proposto di convertire in opere d'arte 2 . Il sovrano si assicurava anche il Teseo che abbatte il centauro, pensato originariamente per il Foro Bonaparte di Milano in omaggio a Napoleone, ma che per l'iconografia poteva essere caricato nella collocazione viennese di un significato politico opposto, allusivo alla definitiva caduta del corso. Anche il gruppo di Marte e Venere, detto anche della Pace e della Guerra, eseguito per il principe reggente d'Inghilterra, festeggiava nella finzione mitologica l'avvento di una nuova età di pace europea. Per Giorgio IV Canova eseguiva anche la Naiade e poi la Dirce, entrambe rappresentate nella tipologia della figura giacente, che costituiva un tema privilegiato ora delle sue invenzioni. Per Napoli attendeva alla statua equestre colossale di Carlo III di Borbone ( ), ma il significato civile della sua opera, in grado di eternare la memoria dei grandi assolvendo il compito più elevato della statuaria, era riconosciuto, dopo il Monumento ad Alfieri, soprattutto alla statua di George Washington, terminata nel 1821 per il Campidoglio di Raleigh ( ). Giordani era colpito da questo primo esempio di statua militare sedente, avvertendo la consapevolezza politica dell'artista che aveva voluto rappresentare Washington non come generale vittorioso ma come pacifico legislatore. Dopo Parigi Canova era stato invitato a Londra per esaminare i marmi fidiaci del Partenone che Lord Elgin aveva trasportato da Atene. La visione diretta di quegli originali lo confortava finalmente, dopo le stroncature di Karl Ludwig Fernow che aveva giudicato i suoi lavori carichi di un sensualismo quasi barocco, nella sua ricerca della "vera carne, cioè la bella natura" 3 , restituita attraverso l'impareggiabile mestiere che gli consentiva di mutare la natura della pietra fino all'apparenza della morbidezza organica. Quatremère, nelle sue lettere sui Marmi Elgin, doveva confermare, sulla base della medesima concezione dell'imitazione ideale della natura, il parallelo tra Fidia e il veneto come i vertici dell'eccellenza antica e moderna. Nell'Endimione dormiente, scolpito per il VI duca di Devonshire ( ), Canova testimoniava le sue riflessioni su quei marmi, riprendendo l'iconografia fidiaca dell'Ilisso, come notava proprio Quatremère 4 , e portando alle estreme conseguenze la lustratura dell'epidermide, in grado di suggerire virtuosisticamente l'ambientazione della luce lunare. A Roma nel frattempo si precisava ulteriormente la sua figura pubblica, non solo per le iniziative di promozio-