I ROMANI E IL COMMERCIO CON L’INDIA
1. I “confini” di Roma
Quando si pensa ai confini dell'Impero Romano, ci si immagina il limes, i grandi fiumi e i deserti che
hanno per secoli preservato, in maniera più o meno efficace, i domini di Roma, e le legioni che fanno
a pugni con i barbari, i Persiani e tutti i nemici alle frontiere. Questo è un ottimo modo di intendere il
termine "confine", ed è assolutamente corretto. Ma questa visione può certamente essere allargata. A
quelle che sono le frontiere militari, raggiunte e difese dalle legioni, che mi piacerebbe definire "confini
della spada", credo si possano affiancare, infatti, almeno altri due tipi di confine. Il primo di questi è
quello della diplomazia: la rete di stati clienti e alleati di Roma, che ha accompagnato l’Urbe per tutta
la sua esistenza, si estendeva ben oltre il limes, e raggiungeva territori anche lontani dal baricentro
romano. In questi territori Roma riusciva a mantenere una posizione privilegiata, esercitando la sua
influenza e orientando di volta in volta la politica interna, estera ed economica dell'alleato. In cambio,
offriva la propria protezione e si impegnava a difenderli dai nemici, arrivando in qualche caso a lunghi
conflitti. Da questo tipo di strategia derivano quelli che definirei "confini dell'influenza". Ma è con il
terzo tipo di “confine”, quello commerciale, che i romani riuscirono ad andare più lontano, arrivando
là dove non poterono né le armi né la politica. Grazie agli scambi commerciali, infatti, il nome di Roma
raggiunse i luoghi più lontani del mondo conosciuto, e in qualche caso fu possibile stabilire delle
relazioni diplomatiche altrimenti irrealizzabili, nonché avere a disposizione informazioni etnico –
geografiche altrimenti irreperibili. I limiti raggiunti dai mercanti romani tramite i loro scambi
rappresentano, dunque, quelli che definirei “confini della moneta”.
2. Il ‘’Periplo del mar eritreo’’
Tra le diverse vie commerciali che potevano essere percorse all’interno di questi particolari “confini”,
quelle che permettevano di procurarsi beni di lusso erano le più remunerative. La via dell’ambra, che
portava tale prodotto dalle regioni baltiche al mar Adriatico1, e i diversi percorsi della via della seta,
che mettevano in collegamento due dei grandi imperi dell’antichità, quello romano e quello cinese,
sono forse i due casi più illustri. Accanto ad essi, meritano particolare attenzione le rotte commerciali
che attraversavano l’Oceano Indiano. Penisola arabica, Africa Orientale, India: queste regioni erano
divenute accessibili in seguito alla conquista dell’Egitto targata Ottaviano, e dimostrarono ben presto
1
TODD, EICHEL 1976, p. 330
1
di poter essere una fonte di guadagno molto interessante. Ma come erano strutturate queste rotte? Quali
erano le tappe, e quali i prodotti scambiati?
Per poter rispondere a queste domande, possiamo avvalerci di diverse fonti, alcune letterarie (come le
opere di Plinio il Vecchio e Strabone), altre documentarie (è il caso di diversi papiri) o ancora
archeologiche. All’interno del primo gruppo rientra un’opera davvero sui generis, il Periplo del mare
Eritreo2. Si tratta di un testo che descrive i luoghi coinvolti negli scambi commerciali tra Arabia, Africa
e India, aree bagnate da quello che, in antichità, era appunto detto mare Eritreo. Tuttavia, rispetto ad
altri peripli si differenzia per alcune caratteristiche peculiari, la più importante delle quali è la presenza
di una grande varietà di informazioni. L’autore non si limita ad una descrizione meramente geografica,
ma aggiunge notizie di carattere politico, antropologico e, soprattutto, economico: per ogni porto
incontrato vengono descritti i beni commerciabili in esso, sia importati che esportati, i momenti
migliori per navigare lungo una data rotta e quelli adatti per salpare 3, e tutte quelle informazioni che
possono rivelarsi utili in ambito commerciale. Quest’opera ha, dunque, le caratteristiche di una guida,
scritta per coloro che avessero intenzione di avventurarsi nelle acque del mare Eritreo e affrontare i
rischi della navigazione. In palio, d’altronde, c’era la possibilità di ottenere quei beni di lusso, come
spezie, incensi, erbe mediche e avorio che erano in grado di fruttare molto a coloro che avessero osato,
ripagando ampiamente tutti i rischi corsi4.
Come purtroppo spesso accade per i documenti antichi, non sappiamo con certezza chi abbia scritto il
Periplo e quando, dal momento che l’opera ci è stata tramandata anonima e non sono presenti
riferimenti temporali precisi. Tuttavia, alcuni indizi disseminati nel testo ci permettono di sapere
qualcosa di più sull’identità dell’autore. Il nostro uomo era, probabilmente (il condizionale resta
d’obbligo) un esperto mercante di origine egiziana che, dopo aver navigato per molto tempo lungo
quelle rotte, decise di mettere per iscritto le sue conoscenze5. Visto il tipo e la precisione delle sue
informazioni, possiamo ragionevolmente supporre che nelle sue intenzioni l’opera sarebbe stata
destinata ad altri mercanti, che avrebbero così appreso le conoscenze che servivano loro per svolgere
le attività commerciali al meglio, e non a marinai come accadeva per i peripli tradizionali. Sulla
datazione, invece, le cose si fanno più complicate, dal momento che la critica è molto divisa a riguardo:
di volta in volta, il periplo è stato collocato a cavallo tra il I secolo d.C. e la seconda metà del III d.C. 6.
2
I riferimenti fatti al testo del Periplo sono fatti secondo la notazione utilizzata da Casson in Peryplis maris Erytharei,
che segue quella più datata di H. Frisk (Le Periple de la Mer Erythree, Goteberg 1927). Per es., PME 24:8.20 fa
riferimento al capitolo 24, pagina 8, linea 25 del testo redatto da Frisk
3
CASSON 1989, p. 15
4
YOUNG 2001, pp. 14-18
5
CASSON L. 1989,
6
Per una bibliografia del problema si veda CASSON L. 1989, p. 10 nota 6
2
Basandoci sul contesto descritto dall’autore e sui sovrani da lui nominati (a titolo di esempio, viene
citato un Malichus, re di Nabatea (PME 19:6:29), il cui nome compare nelle liste dei re nabatei in
nostro possesso7) e confrontando con altre fonti a nostra disposizione, l’ipotesi che sembra più
plausibile è quella che colloca l’opera tra il 40 d.C. e il 70 d.C.
3. Il mondo del Periplo
Due sono le rotte commerciali presenti nel periplo: la prima è diretta in Africa, e segue le coste del
continente fino all’odierna Tanzania, mentre la seconda prosegue verso est, costeggia gli odierni
Yemen e Oman in Arabia e, passando per le coste dell’Iran, arriva infine nell’India meridionale. I punti
di partenza (e di arrivo, come i vedrà) di entrambe erano i porti egiziani che si affacciavano sul mar
Rosso, Myos Hormos e Berenike (PME 1:1.1). Il primo, da identificare molto probabilmente con
Quesir al-Qadim8, era forse attivo ancora prima dei Tolomei9 ed è l’unico nominato da Strabone10, il
quale ci informa anche di come, al suo tempo, più di 120 navi salpassero da lì alla volta dell’Oriente,
contro le 20 del passato11. In seguito, tuttavia, sembra che Berenike abbia strappato a Myos Hormos il
ruolo di porto principale, considerato quello che dice Plinio circa mezzo secolo dopo 12; l’aumento di
importanza della città è dimostrato anche dal fatto che le distanze date all’interno del periplo hanno
come punto di riferimento in Egitto la stessa Berenike, e non Myos Hormos (PME 18:6.21-22; 19:6:26;
21:7-19-20).
Delle due rotte del periplo, quella che costeggia l’Africa occupa lo spazio minore, e per questo
potrebbe dar l’impressione di essere un percorso secondario. Tuttavia, non bisogna sottovalutare la sua
importanza all’interno del mare Eritreo, poiché dai porti dell’Africa Orientale era possibile acquistare
beni di lusso, pur di minore qualità, senza dover intraprendere viaggi oceanici verso l’India. Ciò
favoriva chi aveva a disposizione solo imbarcazioni di piccole o medie dimensioni. La rotta prevedeva
di costeggiare il continente dai porti egiziani sul mar Rosso fino al porto di Rhapta, nei pressi
dell’odierna Dar es Salaam, in Tanzania e limite meridionale delle terre conosciute dal nostro autore
(PME 16:6.4). Nel mezzo, i mercanti si trovavano davanti principalmente a piccoli centri guidati da
capi locali, soprattutto lungo le coste della Somalia (tradizionalmente identificate come il leggendario
BOWERSOCK 1971, p. 223
WHITCOMB 1996, pp 752-757; PEACOCK 1993, pp 229-230
9
DE ROMANIS 1996, p. 152
10
Geografia, XVII, 1, 45
11
Geografia, II, 5, 12
12
Naturalis Historia, VI, 26, 103
7
8
3
paese di Punt)13, e a popolazioni primitive, collocate nell’odierno Sudan e organizzate in tribù: gli
Ittiofagi (“Mangiatori di pesci”), gli Agriofagi (“Mangiatori di animali selvatici”) e i Moschofagi
(“Mangiatori di bovini”)14. L’unica eccezione è costituita dai domini di Zoskales, re avido e ambizioso
ma esperto nella lettura e scrittura della lingua greca (PME 5:2.20), e dalla città di Axomites (nome
del periplo per Axum) (PME 4:2.8) I prodotti ottenibili si dividevano in due categorie: quelli di origine
animale, avorio e gusci di tartaruga in primis, e un buon numero di spezie e aromi, come cassia, incenso
e mirra. In cambio, venivano scambiati (o, più raramente, acquistati) vestiti poco costosi, utensili, beni
alimentari e, in generale, prodotti in grado di soddisfare perlopiù prodotti basilari dato che nella
maggior parte degli scali commerciali i mercanti e i signori locali non potevano affrontare grosse
spese15. Può essere interessante notare che, in alcuni casi, le conoscenze del nostro autore sono diverse
e migliori di quelle di geografi più illustri16.
La seconda rotta descritta dal periplo comprende le coste della penisola arabica, della Persia e, infine,
dell’India. L’Arabia, tuttavia, ricopriva un ruolo molto importante e non semplicemente di stazione di
passaggio tra Egitto e India17. Se si esclude la città di Leuke Kome, città dei Nabatei presso il golfo di
Aqaba, i territori più importanti economicamente parlando si trovavano nella parte meridionale della
penisola. Qui, due aree si spartivano l’influenza commerciale della regione. La prima di queste faceva
capo a Muza (PME 21:7.18-24:8-12), il principale porto del regno di Omeriti e Sabei, e si estendeva
soprattutto nell’area dello stretto di Bab el-Mandeb. Qui erano disponibili diverse merci provenienti
dai porti africani (PME 24:8.11), ed era possibile ottenere la mirra: essa veniva coltivata localmente
ed era, assieme ai suoi derivati, la principale esportazione. Assieme ad esso, marmo bianco e la
mercanzia proveniente da Adulis18, porto della costa africana (PME 24:8.9-11). La seconda area
commerciale era guidata da Kanê, un porto nell’Arabia sudoccidentale facente parte del regno di
Eleazos, nella cosiddetta “terra dove cresce l’incenso”. Esso doveva la sua fortuna a due fattori: una
posizione centrale, che permetteva scambi tanto con l’Occidente quanto con l’Oriente (PME 27:9.1112), e la produzione ed immagazzinamento dell’incenso, il principale bene qui commerciato, tanto
coltivato localmente quanto importato dalla Somalia. Kanê esercitava una sorta di monopolio su questo
bene: tutto l’incenso prodotto nella regione o ottenuto mediante il commercio veniva qui convogliato,
e ciò lo rendeva una delle principali fonti del mondo antico19. Un ulteriore rilevante centro
commerciale era l’isola Dioscurides, l’odierna Socotra. Essa era parte del regno di Eleazos, ma la sua
13
KITCHEN 1971, pp. 184-207
Per una descrizione di questi popoli, SHNEIDER 2004, pp. 60-71
15
CASSON L. 1989, p. 20
16
CASSON L. 1989, p. 130
17
FITZPATRICK M. 2011, p.. 50
18
CASSON L. 1989, p. 276
19
SELAND 2014, p. 376
14
4
popolazione era composta da Arabi e Indiani, assieme ad un numero ridotto di Greci (PME 30:10.9).
I rapporti commerciali con l'India erano frequenti, poiché qui veniva portato grano, riso e schiave in
cambio di diversi tipi di gusci di tartaruga, la principale esportazione dell’isola (PME 31:10.21-25).
Dopo Africa e Arabia, il periplo descrive la rotta per l’India, che prosegue dai porti della penisola
arabica. Sembrerebbe essere proprio quella il vero obiettivo dei mercanti a cui è indirizzata l’opera,
vista l’ampiezza che le viene riservata nel testo (ben 25 paragrafi, contro i 17 dell’Africa e i 18
dell’Arabia 18) e considerato il valore delle merci che potevano essere acquistate. Grazie a Plinio il
Vecchio20, infatti, sappiamo che, tramite navi di grande tonnellaggio (le me<gi>sta ploia citate nel
periplo) (PME 56:18.16)21 i commercianti acquistavano una grande quantità di prodotti a basso prezzo
(le navi che salpavano da lì viaggiavano con le stive completamente cariche di mercanzia) (PME
56:18.16-17) per poi rivenderli ad un costo maggiorato, realizzando così guadagni considerevoli22. Gli
scambi commerciali erano sviluppati al punto che nella città di Muziris, situata nella parte
sudoccidentale della penisola, molto probabilmente risiedeva una colonia di mercanti occidentali23,
conosciuti come Yavanar in lingua Tamil24. L’importanza della città era, d’altronde, ben nota alle fonti,
al punto che viene nominata anche nella Tabula Peutingeriana, copia medievale di una mappa di epoca
romana raffigurante l’intera ecumene, al di sotto di un templ(um) Augusti25. Il nostro autore ci fornisce,
poi, nomi di regni e popoli per tutta la parte occidentale della penisola indiana. Alcuni sono
identificabili26, e per altri sappiamo che avevano inviato delle ambascerie a Roma (è il caso, ad
esempio, del regno di Pandya (PME 54:18.5-6), sulla punta meridionale della penisola, che ne aveva
diretta una all’imperatore Augusto27). L’area nordoccidentale, nella zona del fiume Indo, ospitava il
regno Indo-Parto, sulle cui coste si trovava l’importante porto di Barbarikon (PME 38:13.2-3). A sud
del regno Indo-Parto si trovava, invece, il regno dei Saka, e sulle sue coste Barygaza (odierna
Broach)28, uno dei più importanti porti dell’India. Le due aree si differenziavano per importazioni ed
esportazioni, ma un elemento comune era costituito dal pepe, il principale prodotto importato
dall’India. Accanto ad esso, perle, pietre preziose come i diamanti, corallo, avorio, essenze, altre spezie
come la cassia, tutti prodotti in grado di soddisfare le necessità di luxus delle élites della società
romana29. Oltre ad essi si aggiungeva la seta, che lì giungeva direttamente dalla Cina (PME 56:18.24).
20
Naturalis Historia, VI, 16, 101
Si veda anche DE ROMANIS 1996, p. 178 nota 40, dove la lezione mesta viene corretta in megista
22
DE ROMANIS, TCHERNIA 1997, pp. 86-89
23
CASSON L. 1989, p. 24
24
DE ROMANIS, TCHERNIA 1997, p. 100
25
SIDEBOTHAM S. E. 2011, p. 191
26
TORRI M. 2007, PP. 94-96
27
STRABONE, Geografia, XV, 1, 4; Res Gestae, XXXI, 50-51
28
CASSON L. 1989, p. 200
29
YOUNG 2001, p. 15
21
5
Le spedizioni dei mercanti proseguivano, infine, in Egitto, nei porti da cui essi erano partiti. Ma non
era sulle coste del Mar Rosso che il loro viaggio terminava: dopo aver pagato una prima serie di
imposte (una appena attraccati calcolata sul valore delle merci, un’altra necessaria per poter transitare
lungo le piste carovaniere)30, essi intraprendevano un nuovo viaggio, via terra, verso il Nilo, sfruttando
piste carovaniere. La meta era Coptos, centro in cui confluivano le merci, in cui venivano conservate
e tassate31. Da qui, mediante barche, risalivano il Nilo ed arrivavano ad Alessandria, dove si pagava la
tetarte, una tassa del 25% su tutte le importazioni32. Il commercio era estremamente redditizio per lo
stato romano, in quanto poteva guadagnare molto dai dazi doganali e dalle tasse sulle merci) 33. Infine,
le merci potevano finalmente essere imbarcate per Roma e le grandi città del Mediterraneo, pronte a
soddisfare le richieste di luxus dell’alta società.
4. I limiti del mondo
Il fatto che perfino la Cina venga nominata nel periplo non deve stupire. I Romani non conoscevano
con precisione la regione: il nome che davano ai Cinesi, Seres, derivava direttamente dal nome comune
sericum, che indicava la seta, e l’aggettivo serica indicava tanto gli ornamenti di seta quanto qualcosa
che provenisse dalla terra dei Seres34. Eppure, erano ben consci della sua esistenza e del ruolo che
ricopriva. Anche gli storici cinesi, d’altra parte, erano pienamente consapevoli dell’esistenza di rotte
commerciali che li collegavano a Ta-Ch’in (l’Impero romano), Anhsi (il regno di Partia) e T’ien-chu
(India)35. Ed è stato proprio grazie al commercio che questi due mondi così distanti hanno avuto modo
di incontrarsi, laddove né le armi, né la diplomazia avevano avuto grandi possibilità, estendendo a tutto
il mondo allora conosciuto i ‘’confini della moneta’’ di Roma, lambiti dai mari della Cina, dell’India
e dell’Africa Orientale. Insomma, i Romani andarono davvero molto più lontano delle loro legioni.
William Puppinato – Scacchiere Storico
30
DE ROMANIS F. 1998, pp 29-30; YOUNG 2001, p. 67; SIDEBOTHAM 1986 p. 67; NAPPO 2016, p. 142
CASSON L. 1990, pp. 5-6
32
FORABOSCHI, GARA 1988 p. 280; YOUNG 2001, p. 196
33
SIDEBOTHAM 1986, pp. 89-91; SIDEBOTHAM 2011, p. 252
34
GALLI M. 2017 p. 6
35
GALLI M. 2017 p. 5
31
6
William Puppinato è uno studioso di storia antica. I suoi interessi si concentrano principalmente sul
tardo antico romano, periodo in cui si sta specializzando, e sulla tarda repubblica romana, ma non
mancano fugaci immersioni nella storia greca e preromana, oltre che nella storia medioevale.
Bibliografia
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vol. 84, pp. 195-206; DE ROMANIS F. 1996, Cassia, cinnamomo, ossidiana. Uomini e merci tra Oceano
Indiano e Mediterraneo, Roma; DE ROMANIS F., TCHERNIA A. 1997, Crossing: Early Mediterranean
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22, n. 1; FORABOSCHI D., GARA A. 1988, Le direttive del commercio alessandrino, in “NAC”, vol. 18,
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7