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FRANCESCO FOLLIERI
Professore a contratto presso la Libera Università Mediterranea LUM
Jean Monnet di Casamassima
[email protected]
POLITICA E AMMINISTRAZIONE
POLITICS AND ADMINISTRATION
SINTESI
L’analisi del significato letterale dei concetti di “politica” e “amministrazione”
permette di enucleare due distinte relazioni: la relazione tra attività politica e
attività amministrativa e la relazione tra gli organi politici e gli organi o uffici
amministrativi. Nella disciplina di quest’ultima relazione, il legislatore ha tentato di bilanciare esigenze di strumentalità e di imparzialità. Il modello attuale risulta, dunque, sostanzialmente ispirato al principio di separazione tra politica e
amministrazione sul piano delle funzioni e delle responsabilità, pur prevedendo
meccanismi ispirati al regime fiduciario, specialmente per quanto concerne il
piano dei poteri lato sensu datoriali degli organi di governo. Una simile ibridazione presenta il duplice rischio, da una parte, che la politica torni ad essere il
modo di accedere agli incarichi più elevati della carriera pubblica, dall’altra, che
venga a mancare la corrispondenza tra chi concepisce l’atto e chi ne risponde.
A tali conseguenze è possibile porre rimedio tramite una separazione tra gli uffici di c.d. staff politico e gli uffici di gestione, con l’istituzione di modalità selettive basate esclusivamente sul merito.
ABSTRACT
Based on the literal definitions of “politics” and “administration”, it is possible
to outline two types of relations: the relation between political organisation and
administrative organisation and the relation between political bodies and bureaucracy.
In this respect, the legislator has tried to balance the principle of instrumentality with the principle of impartiality of the public administration. The current
model thus aims at guaranteeing the separation between politics and administration with regard to competences and responsibilities, but at the same time
provides for certain trustworthy mechanisms, that apply when the public administration acts as an employer. This hybridisation determines the following
risks: on the one hand, politics may strongly influence the access to directional
roles in the public administration, on the other hand, there may not be correspondence between the subject that conceives the administrative act and the
subject that may be deemed responsible for the same act.
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The remedy may be the institution of a separation between offices intended
with functions of political support and offices in charge of proper administration, together with the introduction of different selection methods.
PAROLE CHIAVE: amministrazione - politica - Governo - burocrazia - organizzazione amministrativa
KEYWORDS: administration - politics - bureaucracy - administrative organisation
INDICE: 1. ‘Politica’ e ‘amministrazione’: un approccio analitico. - 1.2. La relazione ‘politica - amministrazione’ come la relazione ‘organi di governo - burocrazia’. - 2. Strumentalità vs. imparzialità della burocrazia. - 3. Separazione funzionale e vincoli fiduciari: il «delitto perfetto». - 4. Buon andamento e organi di
governo.
1. ‘Politica’ e ‘amministrazione’: un approccio analitico.
Il discorso intorno alla relazione tra politica e amministrazione presuppone la distinzione tra politica e amministrazione1: solo se politica e amministrazione non coincidono si può discutere della loro relazione in termini giuridici2 - sebbene tale distinzione, si avvisa spesso in dottrina, non escluda una
certa dose di sovrapposizione tra i due concetti3.
Tale distinzione funge da premessa poi a molte disposizioni costituzionali (rilevanti per il tema): «il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica del
Governo» e «mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo» (art. 95, co. 1,
analogamente l’art. 121, co. 4); l’amministrazione deve essere imparziale (art.
97, co. 1), diversamente dalla politica che è parziale per definizione4, tanto da
essere organizzata in partiti (art. 49); mentre tutti «i cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche», dunque inclusi coloro che rivestono incarichi elettivi o per
investitura politica, «hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore»
(art. 54, co. 2, Cost.), solo «i pubblici impiegati» (cioè i dipendenti assunti dalla
pubblica amministrazione, i funzionari amministrativi), non i politici, «sono al
servizio esclusivo della Nazione» (art. 98, co. 1, Cost.) – tanto che per alcune
1 Sebbene tale distinzione può non essere netta, ma contraddistinta da una certa
vaghezza di grado (come ogni distinzione operata tramite il linguaggio naturale). Sulla
distinzione tra politica e amministrazione non come netta cesura, per tutti G. PASTORI, M.
SGROI, Dirigenti pubblici, in Enc. dir., Milano, Agg. V, 2001, pp. 356 e s.
2 Diversamente sarebbe invece in termini logici: anche l’identità è una relazione.
3 Cfr. per tutti G. PASTORI, M. SGROI, Dirigenti pubblici, in Enc. dir., Milano, Agg. V,
2001, pp. 356 e s.
4 Per tutti, G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, V ed., 2010, p. 77.
110
categorie di pubblici impiegati la legge può stabilire limitazioni al diritto di
iscriversi ai partiti politici (art. 98, co. 3)5.
1.1. Analisi semantica.
‘Politica’ e ‘amministrazione’ sono tuttavia termini ambigui (o equivoci):
ciascuno di essi reca più di un significato, tanto in generale, quanto nella dogmatica del diritto pubblico6. ‘Politica’ e ‘amministrazione’ possono dunque designare «cose» (recte, stati-di-cose) diverse. Sicché, onde evitare fraintendimenti,
si deve innanzitutto chiarire come si intenderanno ‘politica’ e ‘amministrazione’
nella presente trattazione.
(A) Per ‘amministrazione’ si intende tradizionalmente l’attività coincidente con la funzione esecutiva dello Stato, ossia l’amministrare7. Per ‘amministrazione’ tuttavia si intende anche l’insieme degli apparati pubblici che quella funzione sono chiamati ad esercitare, ossia l’amministrazione come organizzazione, come soggetto o insieme di soggetti giuridici8-9. Il significato di amministra-
5 Sul diverso ambito di applicazione dell’art. 54, co. 2, Cost. e dell’art. 98, co. 1, Cost.,
cfr. C. PINELLI, Art. 98, co. 1, in P. CARETTI – C. PINELLI – U. POTOTSCHNIG – G. LONG – G.
BORRÈ, La pubblica amministrazione, in Commentario della Costituzione Branca – Pizzorusso, Bologna –
Roma, 1994, pp. 417 e ss.
6 Per la nozione di ambiguità (o equivocità) qui presupposta, cfr. N. ABBAGNANO,
Univoco ed equivoco, in ID., Dizionario di filosofia, III ed., Torino, 2013, p. 1132; nonché C.
LUZZATI, La vaghezza delle norme. Un’analisi del linguaggio giuridico, Milano, 1990, p. 46.
7 F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana. Linee positive e prospettive, Padova,
1996, p. 98. Più di recente, F.G. SCOCA, Nozioni introduttive, in ID. (a cura di), Diritto
amministrativo, VI ed., Torino, 2019, p. 4 (ove si evidenzia che l’evoluzione del nostro
ordinamento impone di distinguere all’interno della funzione esecutiva, tra la funzione di
governo e la funzione amministrativa, cioè la «attività di gestione, consistente nella cura
concreta degli interessi pubblici, ispirata ai principi del buon andamento e dell’imparzialità, e
finalizzata al raggiungimento degli obiettivi fissati dagli organi di governo”.
8 Cfr. G. TREVES, L’organizzazione amministrativa, Torino, 1975, pp. 5 e ss.; M. NIGRO,
Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, p. 116, ove in verità la
nozione di “organizzazione” pare più lata rispetto a quella dell’organizzazione amministrativa,
giacché Nigro vi ricomprende «il complesso degli uffici, quali strumenti predisposti
dall’ordinamento per la cura degli interessi generali di una comunità: uffici assunti sia nella loro
singolarità, sia nei loro collegamenti, e considerati non solo come meri circoli di competenze,
ma nell’unità dei mezzi personali e reali che rendono possibile la cura degli interessi»; F.
BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana, cit., p. 97.
La definizione di “amministrazione” dal punto di vista soggettivo è tuttavia
problematica, quando ci preoccupa di determinarne precisamente i confini: per tutti e di
recente, M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, pp. 317 e ss. Per una
notevole riflessione sulla definizione di ‘amministrazione’ dal punto di vista finanziario, W.
GIULIETTI, M. TRIMARCHI, Nozione di amministrazione e coordinamento statale nella prospettiva
dell’interesse finanziario, in L. FERRARA, D. SORACE (a cura di), A 150 anni dall’unificazione
amministrativa italiana. Studi, vol. I, L’organizzazione delle pubbliche amministrazioni tra Stato nazionale e
111
zione in senso soggettivo dipende dalla nozione di amministrazione come attività, giacché l’amministrazione in senso soggettivo include nella sua intensione
l’attività amministrativa: se muta la nozione di ‘amministrazione’ come attività,
muta di conseguenza anche il significato di ‘amministrazione’ come insieme di
soggetti deputati a quell’attività10.
(B) ‘Politica’ è un termine ancora più ambiguo. Per un verso anche ‘politica’ designa un’attività (la «politica generale del Governo» - art. 95, co. 1,
Cost.)11 e una certa classe di soggetti che di quella attività si occupa (intesa come classe politica o come gli organi politici dello Stato12). Per altro verso, manca una convenzione linguistica, specialistica o meno, sufficientemente condivisa su che cosa debba intendersi per ‘politica’ come attività13 - ambiguità che si
riflette inevitabilmente sul significato di ‘politica’ in senso soggettivo, per le
stesse ragioni viste per il termine ‘amministrazione’.
integrazione europea, a cura di R. CAVALLO PERIN, A. POLICE, F. SAITTA, Firenze, 2016, pp. 189 e
ss.
9 A queste due accezioni di ‘amministrazione’ come attività e come soggetto (o insieme
di soggetti), si aggiunge quella di ‘amministrazione’ come prodotto dell’attività amministrativa,
ossia l’insieme degli atti di esercizio di potere contraddistinti da un certo indirizzo (come nel
lemma “l’amministrazione Obama”). Mentre questo impiego è diffuso nel linguaggio comune,
probabilmente per derivazione dall’impiego anglosassone (e specialmente statunitense) del
termine ‘administration’, esso è meno frequente nel linguaggio specialistico. Ad ogni modo, esso
non rileva ai fini del presente scritto.
10 Ad esempio, se per ‘amministrazione’ si intende non la funzione esecutiva dello Stato,
ma la gestione ordinaria di un’impresa, ‘amministrazione’ in senso soggettivo diviene il
complesso di soggetti che si occupano della gestione ordinaria dell’impresa.
11 Cfr. A. DURO, Vocabolario della lingua italiana, Roma, 1991, pp. 976 e s., ove si evince
che anche ‘politica’, come ‘amministrazione’, può inoltre essere intesa come il prodotto di
quell’attività (“la politica fiscale del Governo Monti”). Per l’uso di ‘politica’ in quest’ultima
accezione, si veda G. CORSO, Regole e politiche pubbliche: il punto di vista dei destinatari, in
www.giustamm.it, 6/2005, p. 1: «Più norme formano una legge, più leggi che riguardano la stessa
materia e perseguono gli stessi fini esprimono una politica».
12 Per queste due accezioni di ‘politica’ in senso soggettivo, si veda per tutti F.
MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale. Il modello italiano in Europa, Bologna,
2006, pp. 11 e ss.
13 Tanto da far ritenere che la politica sia ontologicamente ambigua (L. ORNAGHI (a
cura di), Scienza della politica, Milano, 1993), o comunque che tale ambiguità dipenda dal
contesto storico della nostra epoca (G. SARTORI, Elementi di teoria politica, Bologna, 1987,
secondo cui, rotta l’identificazione tra Stato e politica che aveva dominato in Occidente
durante l’età moderna, la politica si è dilatata a tal punto da perdere la sua specificità e da
rendere perciò vano ogni tentativo di definirla). Sul punto cfr. A. PANEBIANCO, Politica, in
Enciclopedia
del
Novecento,
III
suppl.,
2004,
disponibile
on-line:
www.treccani.it/enciclopedia/politica_res-a9bf4e6f-87f0-11dc-8e9d0016357eee51_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/, che infatti abbandona immediatamente
l’idea di fornire una definizione di ‘politica’, per limitarsi ad esporre una serie di coppie di poli
tra i quali il dibattito sulla politica oscilla: realismo-normativismo, istituzione-intenzione,
autonomia-eteronomia e così via.
112
Già nella filosofia greca, infatti, si possono distinguere almeno tre concetti di ‘politica’ come attività14:
(i) la politica come dottrina del diritto e della morale, ossia la ricerca del
bene supremo e il suo perseguimento15;
(ii) la politica come teoria dello Stato, ossia la «scienza cui spetta di cercare quale sia la migliore costituzione»16, con il fine tanto di descrivere la forma
di Stato ideale17 quanto di determinare la migliore forma di Stato possibile in date circostanze18;
(iii) la politica come l’arte o la scienza del governo19-20.
L’autonomizzarsi del diritto e della morale dalla politica21 e della teoria/dottrina dello Stato dalla politica22, ha indotto la discussione contemporanea del diritto pubblico a concentrarsi sulla politica intesa come arte o scienza
del governo. Tuttavia, anche in questa accezione di ‘politica’ si annida una certa
dose di ambiguità. L’arte o la scienza del governo è infatti composta da almeno
due attività, complementari ma distinte.
(a) Per ‘politica’ si intende l’«attività volta a conquistare il governo, mantenerne il controllo, oppure cercare di influenzarlo»23. È l’attività per il governo.
14 N. ABBAGNANO, Politica, in N. ABBAGNANO, Dizionario di Filosofia, III ed., Torino,
2013, pp. 829 e ss.
15 ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, I, 2, 1094 a 26. L’identificazione tra politica ed etica
persiste a lungo nella filosofia (cfr. T. HOBBES, De homine, cap. X, par. 5, ove l’etica e la politica
sono identificate nella «scienza del giusto e dell’ingiusto, dell’equo e dell’iniquo» - trad. it.
disponibile on line: www.gianfrancobertagni.it/materiali/corpo/corpouomo.pdf). Lo stesso
accade per l’identificazione tra diritto e politica, tanto che tutti gli scritti antichi e medievali di
diritto naturale furono considerati trattati di politica, come rileva N. ABBAGNANO, Politica, cit.,
p. 830. Cfr. anche W. ECKSTEIN, Politica, Filosofia, in D.D. RUNES, The Dictionary of Philosophy,
trad. it. a cura di A. DEVIZZI, Dizionario di filosofia, 1963, p. 717.
16 ARISTOTELE, Politica, IV, 1, 1288 b 21.
17 Si pensi allo riflessione di PLATONE, Repubblica. In questa accezione del termine
‘politica’ nasce l’identificazione tra Stato e politica, la cui rottura è secondo G. SARTORI, op. cit.,
la ragione dell’accentuata ambiguità del termine politica ai giorni nostri.
18 Ricerca tentata da Aristotele in una parte della Politica.
19 PLATONE, Politico, 259 a-b; ARISTOTELE, Politica, IV, 1, 1288 b 27.
20 A questi tre concetti di politica, A. COMTE, Sistema di politica positiva, 1851-54, aggiunge
quello di politica come sociologia.
21 Tanto da poter, ad esempio, far assurgere la morale a parametro della politica e dei
suoi costumi e il diritto, principalmente costituzionale, a limite della politica. Cfr. per tutti L.
FERRAJOLI, La democrazia attraverso i diritti, Roma-Bari, 2013, pp. 23 e ss., ove si evidenzia che le
costituzioni rigide pongono un argine alle decisioni politiche dei posteri, quantomeno
rendendo talune decisioni più complesse dal punto di vista procedurale o addirittura
precludendole del tutto.
22 H. KELSEN, General Theory of Law and State, London, 1949 (III ristampa), pp. 181 e ss.
23 A. PANEBIANCO, Politica, in Enciclopedia del Novecento, cit. Questo è uno dei due
significati che V. CERULLI IRELLI, Costituzione, politica, amministrazione, in ID., L’amministrazione
«costituzionalizzata» e il diritto pubblico della proprietà e dell’impresa, Torino, 2019, p. 11, attribuisce al
termine “politica”.
113
Intesa in questo modo, la politica può essere considerata in un’ottica realista24,
ossia come un conflitto tra parti, fazioni o partiti per il controllo di posizioni di
dominio che può ricorrere alla violenza, la politica della distinzione “amiconemico”25; oppure in un’ottica normativista, come il fenomeno che soddisfa
l’esigenza di cooperazione tra gli uomini per il perseguimento di obiettivi comuni, che instaura un ordine condiviso o quantomeno accettato da tutti26. Il
diritto pubblico si occupa della politica come attività per il governo al fine di
disciplinare le modalità tramite le quali il governo è “conquistato” (ad esempio,
negli ordinamenti occidentali contemporanei, il sistema elettorale e le modalità
di nomina del Governo), è mantenuto (ad esempio, l’istituto della fiducia o della sfiducia, parlamentare o popolare) ed è influenzato (ad esempio, la disciplina
del lobbying, la prevenzione e la repressione della corruzione). Nella concezione
realista della politica, il diritto pubblico si occupa cioè di sopire il conflitto che
l’attività per il governo implica o quantomeno di arginarne gli eccessi; nella
concezione normativista della politica il diritto pubblico si occupa di istituire
modalità per il compimento della sua funzione collaborativa.
Alla politica come attività per il governo corrisponde la ‘politica’ (in senso soggettivo) intesa come ‘classe politica’, ossia come il novero di coloro che
si confrontano (o si «scontrano») oppure collaborano per la conquista, il mantenimento o l’influenza del governo, anche a prescindere dall’effettiva titolarità
di cariche pubbliche.
Con la politica così intesa, cioè con l’attività per il governo e con la classe
politica, l’amministrazione ha relazioni occasionali (ad esempio, la gestione dei
procedimenti elettorali). Essa dunque assume poco interesse ai presenti fini.
(b) Per ‘politica’ si intende anche l’«attività pratica relativa
all’organizzazione e amministrazione della vita pubblica»27, «l’insieme di quelle
24
Su cui, per tutti, P. P. PORTINARO, Il realismo politico, Roma-Bari, 1999.
C. SCHMITT, Der Begriff des Politischen, in, Archiv für Sozialwissenschaften und Sozialpolitik,
58 (1927), pp. 1 e ss., trad. it., Il concetto di politico, in Le categorie del politico, Bologna, 1972, p. 105:
«la specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici è la
distinzione di amico e nemico».
26 B. DE JOUVENEL, De la souverainetè, Paris, 1955, trad. it. La sovranità, Milano, 1971,
individua innanzitutto nell’instaurazione di un regime di sicurezza per gli uomini lo scopo della
collaborazione che la politica rappresenta (in una sorta di variante dell’esigenza di evitare lo
hobbesiano stato di natura). Evidente è la concezione normativista della politica di F.
GENTILE, Politica (filosofia del diritto), in Enc. dir., Milano, XXXIV, 1985, p. 59.
Sulla compatibilità tra concezione realista e concezione normativista della politica, si
veda C. GALLI, Politica, in R. ESPOSITO, C. GALLI (a cura di) Enciclopedia del pensiero politico,
Roma-Bari, 2000, pp. 540 e ss.
27
Politica, in Dizionario di Filosofia Treccani, 2009, disponibile on-line:
www.treccani.it/enciclopedia/politica_(Dizionario-di-filosofia).
25
114
attività necessarie per il governo di un paese»28: propriamente l’attività di governo29, l’attività di indirizzo della vita della collettività30. È questa la ‘politica’
cui fa riferimento la Costituzione quando sancisce il diritto di ciascun cittadino
di associarsi in partiti per «concorrere con metodo democratico a determinare
la politica nazionale» (art. 49) e nell’attribuire al Presidente del Consiglio dei Ministri la direzione e la responsabilità della «politica generale del Governo» (art.
95, co. 1). Ed è questa l’accezione di politica come attività che più interessa in
questa sede.
A questa nozione di ‘politica’ come attività corrisponde la ‘politica’ in
senso soggettivo intesa come ‘organi politici’, ossia come gli organi pubblici
deputati ad indirizzare la vita della collettività31 e che nel nostro ordinamento
sono forniti di una qualche forma di investitura democratica, diretta o indiretta32.
(C) Dell’attività di governo si registrano tuttavia due nozioni, diverse per
ampiezza dell’oggetto dell’attività. Per un verso, per ‘politica’ si intende esclusivamente la decisione dei fini, cioè del bilanciamento dei valori e (corrispondentemente) degli assetti di interessi33, da attuare tramite “strumenti” giuridici34. La
determinazione del fine è, cioè, l’attività politica, distinta dall’attività di produzione giuridica (e relativa esecuzione): la politica individua il fine che tramite il
diritto viene perseguito. Per altro verso, per ‘politica’ si intende tanto la determinazione dei fini quanto il loro perseguimento tramite gli atti giuridici di ogni
tipo (leggi, decreti legge, decreti legislativi, regolamenti, atti generali, piani, pro28
G. FORNERO, Politica (aggiornamento), in N. ABBAGNANO, Dizionario di Filosofia, III
ed., Torino, 2013, p. 833, secondo cui tale definizione di ‘politica’ presuppone alcuni elementi
«senza i quali non ci può essere governo»: autorità politica, legittimazione di questa autorità e
potere coercitivo attribuito a tale autorità.
29 Quella cui probabilmente si riferisce PLATONE, Politica, 259 a-b, quando definisce la
politica «scienza regia».
30 Per questa accezione di «politica», anche V. CERULLI IRELLI, Costituzione, politica,
amministrazione, cit., p. 11.
31 Con ciò non si intende affermare che nel nostro ordinamento v’è una funzione
politica o di indirizzo politico, distinta dalle funzioni che Montesquieu delineò (legislativa,
esecutiva, giudiziaria). Come emergerà oltre, almeno ai presenti fini, in termini giuridici l’attività
politica si traduce nell’esercizio di poteri legislativi o amministrativi. Sul punto, T. MARTINES,
Indirizzo politico, in Enc. dir., Milano, XXI, 1971, pp. 149 e ss.
32 F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, cit., p. 12.
33 Cfr. espressamente C. MARZUOLI, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano,
1985, p. 201 (che se ne occupa per stabilire se la politica può essere considerata una tecnica). È
la fase dell’indirizzo politico che T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., pp. 136 e ss., denomina
«fase teleologica».
34 Cfr. T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., pp. 136 e ss., che individua infatti
nell’adozione degli atti giuridici per il perseguimento del fine e nella produzione dei loro effetti
giuridici rispettivamente la «fase strumentale» e la «fase effettuale» dell’indirizzo politico.
115
grammi, provvedimenti amministrativi)35 e le modifiche dell’ordinamento che
essi producono36.
La definizione di politica estesa anche all’attuazione fa ricadere nella politica l’esercizio di qualunque potere pubblico (e forse non solo pubblico), solo
perché funzionalizzato al perseguimento del fine ordinamentale che gli organi
politici hanno stabilito. Ad esempio, l’attuazione del fine dell’ordinamento, cioè
del bilanciamento tra valori e interessi sotteso ad una norma giuridica (la sua
ratio), è il fine anche della giurisdizione. Alla stregua di questa nozione dunque
anche la giurisdizione può essere ricondotta alla politica, perché attua (recte, deve attuare) l’assetto di valori/interessi indicato dagli organi politici37. Detto altrimenti, la politica così intesa include ogni funzione dello Stato e perciò si risolve nella nozione di ‘Stato’ o di ‘ordinamento’38: essa è inutile ai fini di questo
scritto.
D’altro canto, l’attività di determinazione del fine di per sé non ha rilievo
giuridico. Essa assume rilievo giuridico allorché si traduce in un atto giuridico
quale che sia, fosse anche solo un disegno di legge. Tuttavia, nel momento in
cui la determinazione del fine viene trasfusa in un atto giuridico, essa si associa
quasi in ogni caso all’indicazione del modo di perseguire il fine, cioè alla disciplina giuridica strumentale al perseguimento del fine (più o meno dettagliata a
seconda dei casi), e comunque si associa sempre alla produzione di un effetto
giuridico strumentale al fine (anche solo l’effetto giuridico di avviare il procedimento legislativo o quello di stabilire obiettivi, il cui mancato raggiungimento
può cagionare conseguenze giuridiche sui dirigenti chiamati a perseguirli
nell’esercizio dei poteri di gestione). Inoltre, sul piano della decisione,
l’individuazione del fine può essere distinta dalla decisione circa il mezzo da
impiegare solo a posteriori: nell’effettività delle decisioni, nel concreto processo
del decidere, decisione del fine e del mezzo non sono fasi distinte39. Infine, la
35
T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., pp. 140 e ss., la denomina «fase strumentale»
dell’indirizzo politico.
36 T. MARTINES, Indirizzo politico, loc. ult. cit., che la definisce come la «fase effettuale»
dell’indirizzo politico.
Secondo A.M. SANDULLI, Governo e amministrazione, ora in ID., Scritti giuridici, Napoli,
1990, I, p. 263, l’art. 95, co. 1, Cost. impiega il termine ‘politica’ in questa accezione, in quel
contesto ‘politica’ «non è […] soltanto l’attività “politica” in senso stretto (nell’accezione in cui
l’aggettivo “politico” viene impiegato nell’art. 31 t.u. Cons. St.), bensì abbraccia, in modo
comprensivo, tutta l’attività governativa comunque rivolta alla gestione della cosa pubblica».
37 Anche senza accedere all’inclinazione politica del ruolo della giurisdizione, su cui cfr.
ancora T. MARTINES, Indirizzo politico, cit., pp. 158 e ss.
38 A seconda della concezione di Stato e ordinamento che si accolga.
39 In relazione alla politica, cfr. ancora una volta T. MARTINES, Indirizzo politico, cit.. Si
tratta di una considerazione molto diffusa nell’analisi del processo decisionale della p.a.: fra
moltissimi, V. BACHELET, L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, 1967, ora in ID.,
Scritti giuridici, Milano, 1981, vol. I, pp. 268 e ss.; M. BOMBARDELLI, Decisioni e pubblica
116
determinazione del fine è solo molto raramente esaurita negli atti degli organi
politici: alle altre attività strumentali è frequentemente lasciato un margine di
decisione anche nel fine, come la discrezionalità amministrativa (cioè la ponderazione degli interessi) – margine spesso celato dietro la formula “specificazione del fine” o “concretizzazione del fine”40.
In sostanza, non ha senso includere nella nozione di politica anche
l’attività strumentale, altrimenti si perde la distinzione tra politica e Stato o ordinamento e tra politica e attività strumentali. Tuttavia, la determinazione del
fine assume rilievo giuridico solo nel momento in cui v’è almeno un primo, ancorché embrionale, esercizio delle attività strumentali, è praticamente indistinguibile dalla selezione dello strumento nel processo di decisione ed è spesso lasciata a decisioni spettanti ad organi non politici, chiamati ad esercitare funzioni strumentali. Sicché, almeno ai nostri fini, l’attività di determinare i fini della
collettività (la politica) è una “porzione” della produzione giuridica41 e perciò
trasversale (almeno) alla funzione legislativa e a quella esecutiva. E della funzione dello Stato in cui concretamente si traduce, la politica assume la posizione ordinamentale e il regime giuridico. Se l’indirizzo politico è esternato in una
legge o in un atto che ne ha la forza, l’attività di governo acquisisce il regime
giuridico degli atti legislativi (condizioni formali e sostanziali di validità, efficacia, “impugnabilità”) e l’organo politico che l’ha emanato e/o che ne ha deteramministrazione. La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1996, pp. 175 e ss.; L.
BENVENUTI, La discrezionalità amministrativa e i suoi interpreti, in ID., Interpretazione e dogmatica nel
diritto amministrativo, Milano, 2002, p. 100.
40 La “specificazione” o “concretizzazione” dell’interesse pubblico è infatti una
preferenza fra interessi, che la legge non delimita neanche nel novero: sia consentito rinviare a
F. FOLLIERI, Logica del sindacato di legittimità. Ragionamento giuridico e modalità di sindacato, Padova,
2017, pp. 521 e ss., anche per le opportune citazioni.
41 Tale conclusione non è confutata nemmeno dall’adozione di una nozione ancor più
ristretta di attività di governo (cioè di attività politica).
Nel diritto amministrativo è infatti diffusa una nozione di ‘politica’ in senso stretto,
come l’attività formalmente amministrativa di determinare i fini pubblici al livello più elevato,
un tempo totalmente sottratta al diritto, oggi soggetta esclusivamente alla Costituzione (P.
BARILE, Atto di governo, cit.). Detto altrimenti, non ogni scelta dei fini è attività politica, ma solo
la scelta dei fini “ultimi”, le scelte che riguardano gli interessi supremi dello Stato; altro genere
di preferenze fra fini non fa parte della politica. È la nozione di ‘politica’ (in senso oggettivo)
evocata dall’atto politico che ad oggi l’art. 7 c.p.a. sottrae alla giurisdizione. Sul punto, cfr. A.M.
SANDULLI, Governo e amministrazione, cit., pp. 264 e s., secondo il quale l’atto politico si
contraddistingue per essere un atto soggetto esclusivamente alla Costituzione, che si occupa
degli interessi fondamentali dello Stato e che è adottato dai massimi organi dello Stato, di
rilievo costituzionale. Più di recente, G. TROPEA, Genealogia, comparazione e decostruzione di un
problema ancora aperto: l'atto politico, in Dir. amm., 2012, pp. 329 e ss.
Tuttavia, anche in quest’ottica, la politica assume rilievo giuridico quando la scelta è
esternata in un atto giuridico e dunque a seconda della natura dell’atto emanato e dell’organo
che lo emana muta il regime e la posizione ordinamentale della politica. Tant’è che l’atto
politico secondo l’art. 7 c.p.a. (e già secondo l’art. 31 R.D. n. 1054/1924) è l’atto
“formalmente” amministrativo, non quello “formalmente” legislativo.
117
minato o contribuito a determinare il contenuto acquisisce la posizione ordinamentale del legislatore (ad esempio in tema di responsabilità per l’atto legislativo illegittimo42), si tratti del solo Parlamento (o del solo Consiglio Regionale o
Comunale), del Governo (o della Giunta Regionale o Comunale) oppure di entrambi43. Se l’indirizzo politico è esternato in una direttiva ministeriale o
dell’esecutivo regionale o locale, invece, l’attività di governo assume il regime di
questo tipo di atto amministrativo e l’organo politico (in questo caso il Ministro, la Giunta o l’Assessore) assume la posizione di vertice
dell’amministrazione44.
(D) In sintesi, ai fini del presente scritto, per ‘amministrazione’ si deve
perciò intendere:
(i) l’attività amministrativa, ossia l’attività coincidente con la funzione
esecutiva dello Stato, ossia l’amministrare; e
(ii) gli organi o uffici amministrativi, ossia l’insieme di soggetti e loro articolazioni chiamati ad esercitare questa funzione.
Per ‘politica’, invece, si deve intendere:
(i) l’attività politica, ossia l’attività di governo, corrispondente alla porzione dell’attività di produzione giuridica che determina i fini della collettività,
trasversale alla funzione legislativa ed esecutiva dello Stato; e
(ii) gli organi politici, ossia gli organi chiamati a determinare i fini della
collettività, muniti di legittimazione soggettiva (nel nostro ordinamento, democratica).
1.2. La relazione ‘politica - amministrazione’ come la relazione ‘organi di
governo - burocrazia’.
L’analisi semantica di ‘politica’ e ‘amministrazione’ permette di enucleare
due distinte relazioni tra politica e amministrazione: (i) la relazione tra attività
42
Sul problema di configurare la responsabilità da atto legislativo illegittimo, si veda già
L. PALADIN, Cenni sul sistema delle responsabilità civili per l’applicazione di leggi incostituzionali, in Giur.
cost., 1960, pp. 1032 e ss.; più di recente, C. PANZERA, La responsabilità del legislatore e la caduta dei
miti, in Politica del diritto, 2007, pp. 357 e ss.; C. PASQUINELLI, Le leggi dannose. Percorsi della
responsabilità civile tra pubblico e privato, Torino, 2013; E. SPARACINO, Legge incostituzionale e
responsabilità risarcitoria. Spunti di riflessione a partire dalla sentenza n. 20 del 2016, in Giur. cost., 2016,
pp. 126 e ss. Il tema ha avuto poi molto sviluppo in relazione ai danni provocati dall’omessa
attuazione delle direttive comunitarie (a seguito della sentenza Francovich): cfr., ex multis, M.
CARTABIA, Omissioni del legislatore, diritti sociali e risarcimento dei danni (a proposito della sentenza
Francovich della Corte di Giustizia delle Comunità europee), in Giur. cost., 1992, pp. 505 ss.
43 Per limitarsi ad esempi dell’ordinamento nazionale. Il discorso si potrebbe tuttavia
estendere anche al livello europeo.
44 La trasversalità della determinazione dei fini a qualunque funzione pubblica permette
poi di confutare la distinzione ‘politica – amministrazione’ incentrata sulla distinzione tra
produzione ed esecuzione di direttive di governo, formulata da T.W. WILSON, Lo studio
dell’amministrazione (1887), in Storia amministrazione costituzione, 1993, p. 31 e passim.
118
politica (id est, attività di governo) e attività amministrativa e (ii) la relazione tra
gli organi politici e gli organi o uffici amministrativi – ossia tra le articolazioni
organizzative rispettivamente deputate all’attività politica e a quella amministrativa45. L’intenzione di indagare la relazione tra politica e amministrazione sotto
il profilo dell’organizzazione suggerisce di limitare l’attenzione alla seconda relazione.
Il rilievo secondo cui l’attività politica è trasversale alla funzione legislativa ed esecutiva e di conseguenza sono politici sia organi legislativi sia organi
amministrativi (ad es., il Parlamento e i Ministri) suggerisce poi che la relazione
tra organi politici e organi o uffici amministrativi può essere intesa come la relazione ‘organi legislativi – organi amministrativi’ o come la relazione tutta interna all’amministrazione, ossia all’esecutivo, rappresentata dalla relazione ‘organi di governo – burocrazia’ (a livello statale, regionale o locale).
La relazione ‘organi legislativi – organi amministrativi’ coincide con la relazione tra organi lato sensu parlamentari (Parlamento, Consigli regionali e comunali) e organi di governo (Consiglio dei Ministri e Ministri, Giunta Regionale e Assessori, Giunta Comunale e Assessori). Nel nostro diritto positivo, tralasciando le peculiari forme di nomina dei vertici di alcune autorità amministrative indipendenti46 e di talune società a partecipazione statale47, le organizzazioni
burocratiche (o a queste assimilabili) hanno relazioni organizzative con gli organi politici legislativi solo per il tramite degli organi politici amministrativi,
cioè degli organi di governo: gli organi politici legislativi entrano in relazione
45
In termini analitici, la combinazione tra i due significati qui indagati di ‘politica’ e
‘amministrazione’ produce in realtà quattro possibili relazioni:
(i) attività di governo – attività amministrativa,
(ii) attività di governo – organi amministrativi,
(iii) organi politici – attività amministrativa e
(iv) organi politici – organi amministrativi.
Tuttavia, le relazioni “eterogenee”, cioè tra attività politica o amministrativa e organi
politici o amministrativi, indicate sub (ii) e (iii), possono confluire nella trattazione dalle altre
due. Infatti, gli organi politici entrano in relazione con l’attività amministrativa o mediante
l’esercizio dei poteri di indirizzo o normativi, dunque tramite l’attività politica, oppure per via
della relazione (di diritto o di fatto) che sussiste tra loro e gli organi amministrativi. Così
facendo, la relazione organi politici-attività amministrativa si traduce, rispettivamente, nella
relazione attività di governo – attività amministrativa o in quella organi politici – organi
amministrativi. L’attività di governo (cioè l’attività di determinare i fini), poi, entra in relazione
con gli organi amministrativi perché il suo risultato consiste nei fini che tali organi devono
perseguire tramite la loro attività; sicché la relazione ‘attività di governo-organi amministrativi’
si traduce nella relazione ‘attività di governo-attività amministrativa’.
46 Ad esempio, il Presidente e i componenti dell’AGCM sono nominati dai Presidenti
delle due Camere.
47 La nomina di sette consiglieri di amministrazione della RAI è di competenza della
Commissione parlamentare di vigilanza, mentre la nomina del Presidente del consiglio di
amministrazione deve essere «ratificata» dalla medesima commissione.
119
con l’esecutivo tramite l’istituto della fiducia (o, a seconda dei casi, solo della
sfiducia) degli organi di governo48. Intesa in questo modo, tuttavia, la relazione
tra organi politici legislativi e organi amministrativi è una relazione tra organi
politici, tutta interna alla politica (in senso soggettivo) e solitamente appannaggio del diritto costituzionale49, dunque poco interessante ai presenti fini.
Ci si limiterà pertanto ad indagare la relazione ‘organi di governo – burocrazia’.
2. Strumentalità vs. imparzialità della burocrazia.
(A) La discussione dogmatica sulla relazione giuridica tra organi di governo e burocrazia si dipana lungo due direttive.
Da un lato, si dice, l’amministrazione è mezzo per l’attuazione del programma di governo, cioè delle forze politiche al potere per legittimazione democratica. Essa deve dunque essere subordinata alla politica: è il «principio di
strumentalità» dell’amministrazione alla politica50. In questo modo si garantisce
legittimazione democratica all’amministrazione: l’investitura popolare si «trasmette» dal Parlamento al Governo e da questo (quale vertice dell’esecutivo)
all’amministrazione per il tramite della subordinazione dell’amministrazione al
Governo, alla sua «politica generale» e al suo «indirizzo politico e amministrativo» (art. 95 Cost.)51. ll «principio di strumentalità» dell’amministrazione alla politica riposa dunque in ultima analisi sul principio di democraticità (art. 1, co. 2,
Cost.)52. Assolutizzando quest’ottica, ossia massimizzando il principio di strumentalità, l’amministrazione dovrebbe essere organizzata a mo’ di «piramide»,
al cui vertice collocare un organo legittimato politicamente almeno in via indiretta53, secondo il modello della c.d. responsabilità ministeriale (rectius,
dell’esecutivo54) «in purezza». Tale modello può essere così sintetizzato:
48
Cfr. F. MERLONI, Dirigenza, cit., pp. 18 e s.
Ad eccezione delle relazioni intercorrenti su questo piano negli enti locali, ove la
letteratura è principalmente di estrazione amministrativistica.
50 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit., pp. 39 e s., il quale tuttavia ricostruisce
in termini unitari le due esigenze che qui si espongono, alla luce del vigente dettato
costituzionale - artt. 95, 97 e 98 Cost. (pp. 77 e ss.).
51 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 40. Per questa ricostruzione della
giustificazione della strumentalità, L. TORCHIA, I rapporti tra politica e amministrazione: poteri
armonizzati e poteri contrapposti, in S. CASSESE, A.G. ARABIA (a cura di), L’amministrazione e la
Costituzione. Proposte per la Costituente, Bologna, 1993, p. 73.
52 G. CORSO, op. loc. ult. cit.
53 Su questa immagine dell’organizzazione amministrativa, cfr. A. SALANDRA, Lezioni di
diritto amministrativo, Roma, 1901, pp. 319 e ss.
54 Per via dell’estensione del modello anche a livelli territoriali diversi da quello statale:
F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, cit., p. 18.
49
120
(i)
gli organi di governo sono giuridicamente responsabili dei singoli atti della struttura amministrativa che dirigono, oltre che responsabili dal
punto di vista politico dei singoli atti e dell’attività (nel suo complesso) della
struttura burocratica – ove la responsabilità politica risale “al contrario” la catena di legittimazione democratica (i Ministri nei confronti del Parlamento e
questo nei confronti degli elettori; gli assessori regionali nei confronti del Presidente della Regione e questo nei confronti degli elettori, oltre che nei confronti del Consiglio Regionale – entro i limiti della sfiducia, se prevista dallo
Statuto regionale; gli assessori comunali nei confronti del Sindaco e questi nei
confronti degli elettori – salva anche in questo caso la sfiducia del Consiglio);
(ii) la burocrazia ha compiti istruttori e ausiliari per la migliore preparazione delle scelte degli organi politici. I burocrati sono i “consiglieri” dell’organo
politico;
(iii)
gli uffici burocratici e i burocrati sono alle dipendenze funzionali ed organizzative degli organi politici. Tra organi di governo e burocrazia v’è
una relazione gerarchica55;
(iv)
la relazione tra burocrazia e organi politici è fiduciaria. Sicché
dalla fiducia (e dai destini) del politico, non della politica, dipende il rapporto di
lavoro del funzionario.
Dall’altro lato, si oppone, l’amministrazione è massimamente efficiente
se è affidata ad un ceto di professionisti specializzati, se è cioè
un’«amministrazione puramente burocratica»56, ossia se è a-politica o neutrale.
La forza dell’amministrazione è proprio nella competenza tecnica, nel «sapere
specializzato» necessario per gestire lo Stato57: ciò ne fa «il modo più razionale
di esercizio del potere»58. Più le società divengono complesse, più la competenza tecnica per amministrarle diviene essenziale, tanto da divenire «semplicemente inevitabile» nelle società contemporanee59. Un’amministrazione strettamente dipendente dalla politica («politicizzata») o, ancor peggio,
un’amministrazione esclusivamente affidata alla politica è un’amministrazione
55 Su questo tipo di relazione gerarchica tra organo politico e burocrazia e su come tale
relazione sia un modo per imputare la responsabilità degli atti all’organo politico anche ove la
competenza ad adottare gli atti «puntuali» sia conferita agli organi burocratici, cfr. L.
ARCIDIACONO, Gerarchia amministrativa, in Enc. giur., Roma, XV, 1989, ad vocem; G. MARONGIU,
Gerarchia amministrativa, in Enc. dir., Milano, XVIII, 1969; L. CARLASSARE, Amministrazione e
potere politico, Padova, 1974, pp. 48 e ss. e 178 e ss. Più di recente, V. CERULLI IRELLI,
Costituzione, politica, amministrazione, cit., p. 20.
56 M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, 1922 – ed. critica di J. Winckelmann,
1956, trad. it. di T. BAGIOTTI, F. CASABIANCA, P. ROSSI, Economia e società, Torino, III ed., 1999,
vol. I, p. 217.
57 M. WEBER, op. ult. cit., p. 218 e 219.
58 M. WEBER, op. ult. cit., p. 217.
59 M. WEBER, op. ult. cit., p. 218.
121
inefficiente: se il burocrate dipende dalla politica, egli ha più interesse a trovare
un «padrino politico» che ad accrescere ed affinare le sue competenze per metterle al servizio della Nazione60; se il politico è amministratore, non v’è garanzia
che abbia le competenze tecniche necessarie per amministrare61. Seguendo questo ragionamento, in sostanza oggi «c’è soltanto la scelta tra «burocratizzazione» e «dilettantismo» dell’amministrazione»62. Su questi argomenti si fonda (tradizionalmente) il principio di imparzialità dell’amministrazione rispetto alla politica (artt. 97, co. 1, e 98 Cost.)63-64. Assolutizzando questa impostazione, ossia
massimizzando il principio di imparzialità, l’amministrazione dovrebbe essere
sottratta ad ogni influenza diretta della politica, secondo il modello della separazione dell’amministrazione dalla politica «in purezza». Questo modello può
essere così sintetizzato:
(i)
gli organi burocratici sono muniti di competenze proprie, separate
da quelle degli organi politici, l’esercizio delle quali è subordinato esclusivamente al rispetto degli atti normativi;
(ii) gli organi burocratici sono responsabili dei loro atti;
(iii) tra organi politici e burocrazia non v’è rapporto organizzativo, ma
eventualmente di attività (nell’esercizio delle loro funzioni, gli organi burocratici rispettano gli atti normativi prodotti da quelli politici);
(iv) il rapporto di lavoro dei burocrati è a tempo indeterminato.
L’accesso alla carriera e le relative progressioni dipendono esclusivamente dalle
competenze tecniche.
60
Questa la ragione che indusse ad introdurre nel progetto di riforma costituzionale
formulato dalla Commissione Bicamerale la separazione tra politica ed amministrazione tra i
principi costituzionali: cfr. S. CASSESE, Perché una nuova Costituzione deve contenere norme sulle
pubbliche amministrazioni e quali devono essere queste norme, in S. CASSESE – A.G. ARABIA (a cura di),
L’amministrazione e la Costituzione. Proposte per la Costituente, Bologna, 1993, p. 20; F. MERUSI, I
rapporti tra governo e amministrazione, ivi, p. 25; V. CERULLI IRELLI, Il personale pubblico, ivi, pp. 29 e
s.
61 Già M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, cit., pp. 215 e ss.; C. PINELLI, Il «buon
andamento» e l’«imparzialità» dell’amministrazione, in P. CARETTI, C. PINELLI, U. POTOTSCHNIG, G.
LONG, G. BORRÈ, La Pubblica Amministrazione, cit., pp. 31 e ss.
62 M. WEBER, op. loc. ult. cit.
63 Questa è in verità una delle accezioni dell’imparzialità dal punto di vista
dell’organizzazione. L’imparzialità è infatti intesa anche come obbligo di «disinteresse
personale» del soggetto agente rispetto alla vicenda di cui decide (imparzialità come terzietà).
Sul punto, per tutti, D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, IV ed.,
Bologna, 2007, pp. 57 e s.
64 In estrema sintesi, la neutralità dell’amministrazione è funzionale anche al buon
andamento: G. GUARINO, Quale Costituzione? Saggio sulla classe politica, Milano, 1980, p. 109. E se
il fine dell’amministrazione è soddisfare i diritti fondamentali dei cittadini, l’imparzialità come
neutralità assicura questo scopo: G. BERTI, Art. 113, in V. DENTI, G. NEPPI MODONA, G.
BERTI, P. CORSO, La magistratura. Tomo IV, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca,
Bologna-Roma, 1987, p. 106.
122
A ciò si aggiunge che anche un’amministrazione burocratica imparziale
(o indipendente) è comunque munita di legittimazione democratica. In
quest’ottica, cioè, la strumentalità oltre ad essere dannosa per l’efficienza
dell’amministrazione, non è necessaria neanche per assicurarle legittimazione
democratica. La strumentalità dell’amministrazione è infatti essenziale per assicurare legittimazione all’amministrazione solo alla luce del criterio soggettivo di
legittimazione all’esercizio del potere: il rapporto gerarchico e la responsabilità
degli atti in capo all’organo politico assicurano che la sovranità venga esercitata
da chi è soggettivamente legittimato a farlo (nel nostro ordinamento, per
l’investitura elettorale – diretta o meno). Tuttavia, la legittimazione
dell’amministrazione si fonda anche su un criterio oggettivo: sulla legalità e sulla ragionevolezza della sua azione65. Anzi, secondo un orizzonte culturale, nelle
democrazie pluraliste come la nostra66, la legittimazione democratica consiste
nella partecipazione di tutti gli interessi, per il tramite dei loro portatori, al «farsi» della decisione pubblica67. Tale partecipazione si misura nel procedimento
(ove è assicurata dalla partecipazione), ma anche nel rapporto tra politica e
amministrazione: il dirigente competente a provvedere, dunque svincolato dal
rapporto gerarchico che lo sottopone all’organo politico e perciò responsabile
degli atti che compie, partecipa alla funzione non solo come pubblico impiegato, ma anche come cittadino68. E perciò invera la «burocrazia rappresentativa»69, democraticamente legittimata.
65
Cfr. A. ROMANO TASSONE, A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua
legittimazione, in Dir. amm., 2013, pp. 567 e ss.; ma già ID., Sui rapporti tra legittimazione politica e
regime giuridico degli atti dei pubblici poteri, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, Padova, 2007, vol.
I, pp. 259 e ss.
66 A. TRAVI, Responsabilità del pubblico dipendente e ordinamento del pubblico impiego nel dibattito
alla Costituente, in U. DE SIERVO (a cura di), Scelte della Costituente e cultura giuridica, Bologna, 1980,
II, pp. 323 e ss. ritiene che l’amministrazione imparziale sia l’unica configurazione
costituzionalmente compatibile con la democrazia pluralistica.
67 G. MARONGIU, Funzione amministrativa e ordinamento democratico, in G. MARONGIU, G.C.
DE MARTIN (a cura di), Democrazia e amministrazione, Milano, 1992, ora in G. MARONGIU, La
democrazia come problema, vol. I, t. 2, pp. 457 e ss.; nonché ID., Gli istituti della democrazia
amministrativa, ivi, pp. 479 e ss.
68 F. BENVENUTI, Tendenze, soluzioni e problemi del pubblico impiego in Italia, ora in ID., Scritti
giuridici, Milano, 2006, vol. IV, p. 3367 e s. e 3374. In termini analoghi, si veda A.M. SANDULLI,
Governo e amministrazione, ora in ID., Scritti giuridici, Milano, 1990, I, p. 279: «in una società non
omogenea, l’istanza dell’imparzialità – che è istanza di parità, e perciò di democrazia – ha
maggiori prospettive di soddisfazione (soprattutto quando siano garantiti adeguati rimedi
successivi) a opera di una burocrazia di estrazione popolare – la quale, così a causa della sua
formazione tecnica, come della sua estrazione, è tendenzialmente neutrale – che ad opera di
organi politici che siano espressione della maggioranza del momento» (enfasi aggiunta).
69 F. BENVENUTI, op. loc. ult. cit. Si tratta di rappresentatività dipendente dal principio di
legalità e da quello di responsabilità: G. BERTI, La responsabilità pubblica. Costituzione e
amministrazione, Padova, 1994, pp. 50 e ss.
123
Comunque, si avverte, l’eccesso di imparzialità dell’amministrazione (sino a renderla indipendente al pari della magistratura, come nel modello della
separazione «in purezza») rischia di generare «una casta di burocrati che agisce
corporativamente, slegata dall’azione di governo»70. Sicché spesso prevale l’idea
che queste due esigenze rappresentino non «due sistemi contrapposti», ma «entità complementari»71, tanto da affermare che debbano convivere
nell’ordinamento più modelli di amministrazioni, taluni ispirati maggiormente
alla strumentalità talaltri all’imparzialità72.
(B) L’opposizione ‘strumentalità-imparzialità’ risente in primo luogo della
sovrapposizione tra il piano dell’attività e quello dell’organizzazione.
La relazione tra attività politica e attività amministrativa è dominata dalla
strumentalità dell’amministrazione alla politica.
Nel diritto positivo, ciò emerge a tutti i livelli: il principio di legalità assicura la strumentalità dell’attività amministrativa rispetto agli atti legislativi e
normativi in genere (ad es.: anche regolamenti comunali); l’efficacia vincolante
degli atti di indirizzo ministeriali e degli organi di governo regionale o locale,
nonché degli atti amministrativi generali e di pianificazione adottati da tali organi assicura la strumentalità dell’attività burocratica rispetto agli indirizzi politici espressi dagli organi di governo. Detto altrimenti, quale che sia l’atto in cui
la selezione dei fini da attuare si esterni, anche quando è un atto amministrativo
(come gli atti di indirizzo), l’attività amministrativa è tenuta ad attuare quei fini
e a «rispettare» la disciplina giuridica (seppur minima) disposta da quegli atti.
Tale impianto, si può convenire con chi sostiene il principio di strumentalità, è un diretto corollario dell’art. 1, co. 2 Cost.: la sovranità popolare si
esercita «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1, co. 2, Cost.), dunque tramite la democrazia rappresentativa e i partiti politici (art. 49 Cost.); gli
70
M.S. GIANNINI, L’ordinamento dei pubblici uffici, in AA.VV., Attualità e attuazione della
Costituzione, Bari, II ed., 1982, p. 103. Questa preoccupazione emerge anche nei lavori
preparatori della Costituzione. Alla proposta, avanzata da Mortati nella I sezione della II
Sottocommissione della c.d. Commissione dei Settantacinque, di inserire una disposizione
costituzionale che garantisse competenze autonome ai dirigenti, lasciando al ministro solo
poteri di indirizzo, il Presidente della sezione rispose che «già i direttori generali dei Ministeri
ritengono di essere i veri dirigenti della Nazione. È questo un inconveniente troppe volte
lamentato e sarebbe veramente fuori luogo che esso dovesse formare oggetto di un’apposita
norma costituzionale». Cfr. COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE, II SOTTOCOMMISSIONE (I
SEZ.), seduta del 14 gennaio 1947, riportata in La Costituzione della Repubblica Italiana nei lavori
preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, VIII, 1971, pp. 1863 e ss.
Contra, G. BERTI, La magistratura, cit., p. 106.
71 U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965, pp. 302 e s.
72 Per tutti, M. NIGRO, La pubblica amministrazione fra Costituzione formale e Costituzione
materiale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, nonché in Studi in memoria di Vittorio Bachelet, Milano,
1987, ora in ID., Scritti giuridici, Milano, 1996, t. III, pp. 1846 e ss.
124
organi (direttamente o indirettamente) rappresentativi del popolo esercitano la
sovranità tramite gli atti previsti direttamente dalla Costituzione o comunque
da questa permessi; l’amministrazione è la cinghia di trasmissione (di una parte)
di questa volontà, affinché gli indirizzi, le prescrizioni “politiche” si traducano
in effettività73. In questo quadro, la legittimazione «oggettiva» che la p.a. ricava
dall’attuazione delle norme dell’ordinamento riposa in ultima analisi sulla legittimazione soggettiva degli organi politici che quelle norme hanno adottato74.
La strumentalità dell’attività amministrativa all’attività politica riposa poi
sul canone di ragionevolezza (o proporzionalità). Il mezzo deve essere idoneo
o adeguato al fine prescelto. – è il canone di idoneità o adeguatezza75. Ergo,
l’attività di attuazione/esecuzione (l’attività amministrativa) deve essere strumentale ai fini dell’ordinamento. E i fini del nostro ordinamento sono determinati dall’attività politica.
In sostanza, l’amministrazione è attuazione dei livelli superiori
dell’ordinamento. Tali livelli sono principalmente composti da decisioni della
politica: la Costituzione, gli atti normativi primari e secondari, le direttive ministeriali e degli organi di governo regionali e locali e così via. Ergo, l’attività amministrativa è strumentale all’attività politica (cioè all’attività di governo), quale
che sia la funzione in cui essa si svolga concretamente.
Solo qualora i livelli superiori dell’ordinamento (frutto, si ripete, quasi
sempre di attività politica) lascino all’amministrazione un margine di decisione
circa il fine (la discrezionalità), emerge il rilievo dell’imparzialità nell’attività
amministrativa: rispetto ai poteri (realmente) vincolati, non v’è spazio per
l’imparzialità, ma solo per la legalità dell’amministrare. Nell’attività amministrativa discrezionale, l’imparzialità si traduce poi nel divieto di “favoritismi”, ossia
nel divieto di disparità di trattamento76, e nell’obbligo di equanimità di giudizio
tra gli interessi, ossia nell’obbligo di prendere in considerazione tutti gli interessi in gioco al fine di ponderarli adeguatamente, senza pregiudizi di “partito”.
Tali prescrizioni possono tuttavia essere facilmente derivate anche da altri principi costituzionali o comunque dell’ordinamento: l’uguaglianza (che implica il
73
Cfr. G. CORSO, Manuale, cit., pp. 166 e ss.
Di recente, M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 61.
75 Sull’inclusione dell’idoneità o adeguatezza nelle clausole generali di proporzionalità e
di ragionevolezza, si veda, se si vuole, F. FOLLIERI, Logica del sindacato di legittimità sul
provvedimento amministrativo. Ragionamento giuridico e modalità di sindacato, cit., pp. 295 e ss.
76 Sia nel caso di trattamenti differenziati riservati a situazioni sufficientemente simili,
sia nel caso in cui la p.a. è tenuta a predeterminare i criteri di procedure selettive (gare o
concorsi) prima di conoscere l’identità dei partecipanti. Anche in quest’ultima ipotesi, infatti, il
fine è evitare che i criteri siano
74
125
divieto di disparità di trattamento)77 e la ragionevolezza (che include l’obbligo
di prendere in considerazione tutti gli interessi in gioco e di soppesarli in maniera misurata)78. In termini estremamente rigorosi, l’imparzialità non ha dunque un ruolo effettivo nell’attività amministrativa, anche discrezionale: il medesimo regime può ricavarsi aliunde. In quest’ottica, potrebbe perciò non essere
casuale che la Costituzione nomini l’imparzialità come fine dell’organizzazione
degli uffici: «i pubblici uffici sono organizzati […] in modo che siano assicurati
il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
Anche lo spazio di decisione dell’amministrazione (anche) rispetto al fine, cioè la porzione di attività politica (di determinazione del fine) spettante
all’amministrazione, è poi il prodotto di un’attività degli organi politici: della
legge che attribuisce un potere amministrativo discrezionale, del Ministro (o
della Giunta regionale o comunale) che non adotta un atto di indirizzo o che
ne adotta uno estremamente generico, del regolamento comunale che non bilancia ex ante gli interessi contrapposti e così via. Se la politica decide,
all’amministrazione viene sottratto ogni margine di decisione (legittima).
Sicché sul piano dell’attività, la soluzione nel nostro diritto positivo è
univoca: l’amministrazione è strumentale alla politica, tanto nel senso che
l’attività amministrativa è strumentale all’attività legislativa, quanto nel senso
che l’attività della burocrazia è strumentale all’attività degli organi di governo79.
Tuttavia, la strumentalità dell’attività amministrativa all’attività politica
non implica alcunché in relazione all’organizzazione, cioè alla relazione tra organi politici e organi o uffici amministrativi (quali che siano).
Sebbene ogni organizzazione si giustifichi in relazione al fine che è chiamata a perseguire e debba perciò essere adeguata a questo fine nelle sue dotazioni, nelle sue articolazioni e nel disegno dei suoi rapporti80, la strumentalità
dell’attività amministrativa all’attività politica può essere assicurata anche a prescindere dall’organizzazione degli uffici (in senso lato) amministrativi e dei loro
rapporti con gli organi politici: essa è infatti assicurata dai vincoli di legittimità
77
G. CORSO, Manuale, cit.
Sia consentito richiamare nuovamente F. FOLLIERI, Logica del sindacato di legittimità sul
provvedimento amministrativo. Ragionamento giuridico e modalità di sindacato, cit., pp. 295 e ss.
79 Tanto che, si è detto, la legalità intesa come dovere di attuare l’ordinamento è una
regola, non un principio: M. MAZZAMUTO, La legalità debole dei principi, in Dir. e Soc., 1993, pp.
473 e ss., ove la dimensione della legalità come principio emerge rispetto al legislatore, in
relazione alla predeterminazione dei poteri amministrativi (da bilanciare con il principio del
buon andamento della p.a.).
80 È la premessa su cui poggia la giurisprudenza costituzionale sul buon andamento
dell’organizzazione amministrativa: cfr. ad esempio Corte cost. n. 14/1962 che dichiarato
l’illegittimità di una legge regionale che aveva istituito un ente, senza munirlo di attribuzioni.
78
126
e/o di efficacia imposti agli atti amministrativi. Lo dimostra la giurisdizione. Se
l’amministrazione è strumentale alla politica perché è (deve essere) attuazione
dei livelli superiori dell’ordinamento (determinati dalla politica), anche la giurisdizione è strumentale alla politica, perché attua (deve attuare) i livelli superiori
dell’ordinamento81. Tuttavia, gli organi giurisdizionali sono indipendenti dagli
organi politici (art. 101, co. 2, Cost.; art. 107 Cost.; art. 108, co. 2, Cost.): al Ministro della giustizia spettano solo «la facoltà di promuovere l’azione disciplinare» (art. 107, co. 2, Cost.) e «l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia» (art. 110 Cost.) - il Ministro della Giustizia ha cioè un ruolo al
più di collaborazione con il CSM82.
Detto altrimenti, la burocrazia può in ipotesi anche essere indipendente
dagli organi di governo, cioè totalmente autonoma dal punto di vista organizzativo dagli organi di governo, sulla falsa riga della magistratura83. E tuttavia la
sua attività continua ad essere strumentale all’attività politica (recte, al suo prodotto), perché subordinata all’attuazione dei livelli superiori dell’ordinamento.
Non v’è perciò un’implicazione, una «necessità logica», tra la strumentalità
all’attività politica e un certo assetto dei rapporti tra organi politici e non. Dunque, dalla strumentalità dell’attività amministrativa alla politica non può dedursi
il regime della relazione organizzativa tra organi di governo e burocrazia.
(C) Inoltre, l’opposizione ‘strumentalità-imparzialità’ non tiene in debita
considerazione che si tratta di principi (in senso stretto) e non di regole84 e che
come tali la nostra Costituzione li sancisce. Sicché, l’incompatibilità fra queste
due norme85 è fisiologica.
L’idea che strumentalità e imparzialità siano principi in senso stretto è
confermata da una considerazione «empirica». Almeno negli Stati occidentali
contemporanei, la relazione tra organi di governo e burocrazia è
81
Anche quando questi livelli superiori sono illegittimi e fino a che non vengano
rimossi (tramite annullamento o dichiarazione di incostituzionalità) o “messi da parte” (tramite
disapplicazione) gli effetti della norma.
Cfr. in senso analogo V. CERULLI IRELLI, Costituzione, politica, amministrazione, cit., p. 29 e
s.
82 Cfr. V. CARBONE, Art. 110, in A. PIZZORUSSO, V. ZAGREBELSKY, V. CARBONE, La
magistratura. Tomo III, in Commentario alla Costituzione Branca – Pizzorusso, Bologna – Roma, 1992,
pp. 110 e ss.,
83 Modello cui si avvicinano le autorità amministrative indipendenti, che secondo alcuni
sono autorità para-giurisdizionali: cfr. M. CLARICH, Manuale, cit., p. 343.
84 Sulla distinzione, la letteratura è sterminata e le soluzioni variegate. Per una proposta
di definizione dei principi e delle regole, se si vuole, F. FOLLIERI, Logica del sindacato, cit., pp.
273 e ss.
85 Spesso messa in luce dalla dottrina: M. NIGRO, La pubblica amministrazione tra
Costituzione formale e Costituzione materiale, cit.; C. PINELLI, op. cit.; V. CERULLI IRELLI, Costituzione,
politica, amministrazione, cit., pp. 22 e s.
127
un’«ibridazione» dei due modelli «in purezza», ossia un bilanciamento tra strumentalità e imparzialità. E il bilanciamento è il modo in cui si «applicano» i
principi86. In Italia, ad esempio, nello Stato liberale la relazione governoburocrazia era improntata al modello della responsabilità ministeriale: il ministro era competente ad adottare tutti gli atti del suo dicastero e ne era giuridicamente (oltre che politicamente) responsabile; la burocrazia ministeriale svolgeva di conseguenza compiti istruttori e di supporto ed era gerarchicamente
subordinata al ministro. Tuttavia, ai burocrati era garantito un rapporto di lavoro stabile, sottratto alla logica fiduciaria e improntato all’assunzione tramite
concorso – elemento caratterizzante del modello della separazione tra organi di
governo e burocrazia e dunque attuazione del principio di imparzialità87.
Che anche la Costituzione repubblicana sancisca strumentalità (sul piano
organizzativo) e imparzialità come principi, che cioè non effettui direttamente
il bilanciamento, si desume dal fatto che a Costituzione invariata sono stati ritenuti compatibili con la Costituzione sia un modello ispirato principalmente
alla responsabilità dell’esecutivo (in maniera più accentuata fino al 1972 e in
una forma più attenuata fino al 1990, a livello locale, e fino al 1992, a livello
statale e regionale), sia un modello ispirato principalmente alla separazione tra
politica e amministrazione88: è bastato intendere la responsabilità dei ministri
per gli atti dei loro dicasteri (art. 95, co. 2, Cost.) come responsabilità politica e
non più come responsabilità giuridica e la responsabilità diretta dei funzionari
(art. 28 Cost.) come competenza dei burocrati ad adottare provvedimenti amministrativi. Tanto che nel 1994, per evitare un eventuale futuro ritorno ad un
modello più orientato alla responsabilità dell’esecutivo, una delle proposte di
modifica costituzionale avanzate alla commissione bicamerale mirava a costituzionalizzare il modello della separazione – con alcuni temperamenti (come gli
uffici di staff, di nomina fiduciaria)89 -, dunque ad anticipare in Costituzione il
bilanciamento tra strumentalità e imparzialità sul piano dell’organizzazione.
86 Per tutti, R. ALEXY, Theorie der Grundrechte, Frankfurt a.M., II ed., 1994, trad. it. a cura
di L. DI CARLO, Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, 2012, pp. 109 e ss.
87 Cfr. F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, cit., pp. 17 e ss., anche
per l’esame di altre esperienze europee ancora oggi improntate al modello della responsabilità
ministeriale.
88 Sul confronto e sulla passaggio dall’uno all’altro sistema la letteratura è amplissima. A
mero titolo d’esempio: C. PINELLI, Art. 97, cit., pp. 173 e ss.; F. MERLONI, Dirigenza pubblica,
cit., pp. 129 e ss.; S. BATTINI, Il principio di separazione fra politica e amministrazione in Italia: un
bilancio, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2012, pp. 2 e ss.; M. C. CAVALLARO, Il rapporto tra politica e
amministrazione, in A. CONTIERI, M. IMMORDINO (a cura di), La dirigenza locale, Napoli, 2012, pp.
1 e ss.
89 S. CASSESE, Perché una nuova Costituzione deve contenere norme sulle pubbliche amministrazioni,
cit., pp. 20 e s.
128
3. Separazione funzionale e vincoli fiduciari: il «delitto perfetto».
In questo quadro, è fisiologico che convivano diversi regimi di relazioni
tra organi di governo e burocrazia, dalla subordinazione fiduciaria
all’indipendenza90, a seconda del «peso» assunto dal principio di strumentalità e
dal principio di imparzialità nel concreto. E il legislatore è chiamato per primo
a bilanciare i due principi costituzionali. Ciò non esclude tuttavia che il bilanciamento del legislatore debba essere vagliato alla luce del criterio di ragionevolezza e alla stregua delle altre norme costituzionali.
Attualmente, in estrema sintesi e semplificando brutalmente, la relazione
tra organi di governo e burocrazia si fonda sui seguenti cardini:
(i) la separazione funzionale tra organi di governo e burocrazia. Ai primi
spettano i poteri di indirizzo, alla seconda (di livello dirigenziale) la funzione
ausiliaria all’indirizzo politico (indagini conoscitive, raccordo tra strutture etc.)
e i poteri di gestione: adozione di tutti i provvedimenti e gestione delle risorse.
Tale separazione è nettissima: l’organo di governo non può avocare il potere o
sostituirsi all’organo burocratico nemmeno in caso di inerzia di quest’ultimo –
può solo nominare un commissario ad acta che si sostituisca all’organo burocratico. L’unico potere di gestione di cui il ministro ancora dispone è
l’annullamento;
(ii) alla separazione funzionale corrisponde una separazione di responsabilità. L’organo di governo è responsabile politicamente di tutti gli atti compiuti
dalla burocrazia soggetta al suo indirizzo, nella valutazione politica di corretta
ed efficiente attuazione del programma di governo. L’organo di governo è poi
giuridicamente responsabile dell’atto di indirizzo: risponde delle direttive illegittime o illecite impartite alla struttura burocratica. La burocrazia è giuridicamente responsabile degli atti di gestione, non solo per l’illegittimità o illiceità degli
atti, ma anche per il mancato o insufficiente o inefficiente raggiungimento degli
obiettivi stabiliti negli atti di indirizzo (la c.d. responsabilità dirigenziale).
Ad un modello sostanzialmente ispirato alla separazione tra politica e
amministrazione sul piano delle funzioni e delle responsabilità – ossia sul piano
delle relazioni tra le strutture organizzative – fa da contraltare un impianto ispirato al regime fiduciario (e dunque della strumentalità) sul piano dei poteri lato
sensu datoriali degli organi di governo. Sebbene la Corte costituzionale sia inter-
90
M. NIGRO, La pubblica amministrazione fra Costituzione formale e Costituzione materiale, cit.,
pp. 1846 e ss.; M.C. CAVALLARO, Il rapporto tra politica e amministrazione, cit., pp. 2 e s.
129
venuta a limitare lo spoils system alle posizioni dirigenziali c.d. apicali91, a dichiarare incostituzionale le decadenze dagli incarichi dirigenziali una tantum92 e a rimarcare che la durata minima dell’incarico debba essere sufficientemente lunga
da assicurare la continuità dell’azione amministrativa e dunque il buon andamento93, la nomina fiduciaria agli incarichi dirigenziali apicali e la facoltà per
l’organo di governo di attendere semplicemente la scadenza dell’incarico per
«liberarsi» del dirigente apicale sgradito (senza dover motivare la mancata conferma in relazione alla performance del dirigente) introducono un forte elemento
fiduciario nell’accesso agli incarichi più prestigiosi (e alla relativa remunerazione)94.
La legittima aspirazione dei burocrati a raggiungere l’apice della loro professione e di mantenerlo è così subordinata al gradimento dell’organo di governo. Questi infatti lo nomina alle posizioni di maggior rilievo (con competenze
di proposta o di nomina vera e propria a seconda dell’incarico da conferire) e
questi può a suo piacimento, cioè arbitrariamente, decidere se confermarlo o
meno al termine della durata dell’incarico. In questo modo, si attribuisce (nuovamente) al patronato politico un ruolo rilevante nella carriera burocratica,
sebbene mitigato dalla distinzione tra qualifica e incarico (cioè dalla conservazione della qualifica dirigenziale a prescindere dalla titolarità di un incarico).
Questo ruolo rafforza la capacità degli organi di governo di esercitare pressioni
sulla burocrazia, anche senza adottare atti di indirizzo: l’interesse ad accaparrarsi il gradimento del politico per acquisire o conservare il prestigio e la retribuzione che le posizioni apicali assicurano spinge il burocrate (apicale e aspirante
tale) a compiacerlo. In questo modo, l’organo di governo è in grado di ottenere
il risultato, senza soffrire il rischio della responsabilità giuridica: indirizza o addirittura decide il caso concreto senza formalizzare indirizzi o provvedimenti.
La cronaca recente ci mette dinanzi al fatto che il Ministro dell’Interno ha prima impedito l’attracco e poi ritardato lo sbarco di una nave carica di migranti
(pare) senza aver adottato un solo atto in cui statuisse tale «indirizzo» (tanto
che la magistratura che sta indagando sull’eventuale rilievo penale della vicenda
91 Corte cost. n. 233/2006, Corte cost. n. 103/2007 e Corte cost. n. 104/2007. Secondo
F.G. SCOCA, Politica e amministrazione nelle sentenze sullo spoils system, in Giur. cost., 2007, p. 1615,
alla luce di queste due ultime sentenze «il principio di separazione tra organi e funzioni
politiche (o di governo) ed organi e funzioni amministrative (operative o di gestione) sembra
assumere valore costituzionale, in quanto diretta esplicazione dei principi di imparzialità e buon
andamento». Sulla portata di tali sentenze della Corte costituzionale, cfr. S. BATTINI, op. cit., pp.
15 e ss.
92 Corte cost. n. 103/2007.
93 Corte cost. n. 11/2002.
94 S. BATTINI, Il principio di separazione tra politica e amministrazione, cit., pp. 28 e ss.
130
ha avuto difficoltà ad individuare ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione a carico del Ministro – a dimostrazione che questi ha esercitato non
poteri pubblicistici, ma solo influenza politica).
Innestare questi elementi fiduciari in un modello ispirato alla separazione
di funzioni ha due conseguenze.
Per un verso, vanifica in gran parte i benefici della separazione funzionale. La burocratizzazione dell’amministrazione, ossia la sottrazione dei burocrati
all’influenza della politica (sul piano organizzativo), ha come fine quello di assicurare l’efficienza dell’amministrazione, incoraggiando il burocrate a puntare
sulle sue competenze per soddisfare le aspettative di carriera. La burocratizzazione dunque promuove un progressivo miglioramento del corpo burocratico.
Per altro verso, la burocratizzazione mira ad assicurare una maggiore terzietà
dell’amministrazione quale strumento di garanzia dei diritti fondamentali degli
amministrati95. La ricerca del political patronage, che l’innesto di questi elementi
fiduciari induce, vanifica entrambi gli scopi: la politica è (ritorna) il modo di accedere agli incarichi più elevati della carriera pubblica e il funzionario ha (di
nuovo) un colore politico.
Per altro verso e soprattutto, questa peculiare ibridazione dei due modelli
assume i tratti del «delitto perfetto»: il vero autore della decisione può sottrarsi
alla relativa responsabilità, a meno che il suo comportamento sia illecito per altre ragioni. Questo regime rischia di scardinare la corrispondenza tra chi concepisce l’atto e chi ne risponde. Rischia cioè di scardinare il principio di responsabilità, fondamento essenziale di ogni stato di diritto96: di un atto di indirizzo troppo dettagliato il Ministro risponde, di una pressione che fa leva (anche) sull’interesse del burocrate alla progressione di carriera no (quantomeno
non in maniera diretta).
Peraltro la mancata corrispondenza tra responsabilità per l’atto ed imputabilità effettiva della decisione è stata la giustificazione dell’abbandono del sistema precedente: era difficile immaginare di imputare giuridicamente
all’organo di governo tutti gli atti della struttura amministrativa. L’introduzione
di quegli elementi fiduciari realizza lo stesso paradosso, ma all’inverso: permette all’organo di governo di «dettare» un provvedimento, senza assumersene la
responsabilità giuridica.
Il rimedio a queste conseguenze è eliminare il corto-circuito tramite due
interventi:
95
G. BERTI, La magistratura, cit., p. 106.
G. BERTI, La responsabilità pubblica. Costituzione e amministrazione, cit.; C. PINELLI, Art.
97, cit., pp. 226 e s.
96
131
(i) separare la funzione di ausilio agli organi di governo dalla funzione di
gestione. La funzione di supporto agli organi di governo è l’unica infatti ove si
giustifichi un nesso realmente fiduciario. Tale funzione è ad oggi esercitata da
taluni organi burocratici apicali, insieme ad una parte delle funzioni di gestione.
Separare queste funzioni, permetterebbe di distinguere gli uffici di supporto alla politica (lo staff politico) con funzioni istruttorie, di studio e di raccordo con
gli uffici di gestione, dagli uffici di gestione. E dunque di distinguere le modalità di attribuzione dell’incarico per gli uni e per gli altri97;
(ii) istituire modalità selettive basate esclusivamente sul merito per il conferimento degli incarichi apicali diversi da quelli di supporto politico e subordinare anche la mancata riconferma in questi incarichi alla motivazione circa la
performance del dirigente98. In questo modo, ci si assicura che il dirigente abbia
interesse a fare bene il suo lavoro, cioè attuare il programma di governo, senza
doversi ingraziare il politico di turno per ottenere l’incarico o la conferma,
dunque ripristinando la sua posizione di argine e garanzia contro gli «eccessi»
degli organi di governo.
4. Buon andamento e organi di governo.
Non va infine dimenticato che anche gli organi di governo sono organi
amministrativi, sebbene peculiari. Essi sono, come Giano bi-fronte, organi
dell’amministrazione in qualità di vertici delle loro strutture amministrative (dicasteri o assessorati) e componenti di organi a rilevanza costituzionale (Consiglio dei Ministri, la Giunta Regionale) o meno (Giunta Comunale) con funzioni
di indirizzo politico generale della comunità cui si riferiscono (nazionale, regionale o locale). Gli organi di governo sono dunque organi amministrativi ad «essenza» politica.
In virtù di questa peculiarità, la dottrina esclude che a tali organi possa
applicarsi il precetto dell’imparzialità, intesa come a-politicità o neutralità, nonostante riconosca che essi appartengono all’amministrazione. Per gli organi di
governo, il precetto di imparzialità sul piano dell’organizzazione si limita
all’obbligo del legislatore di approntare misure per garantire il disinteresse dei
politici investiti dell’organo di governo rispetto alle materie di cui decidono (sci97
Era una delle proposte di separazione avanzate alla Bicamerale: si veda il testo
dell’articolato, riportato in S. CASSESE, A.G. ARABIA (a cura di), L’amministrazione e la
Costituzione, cit., pp. 87 e ss.; cfr. S. BATTINI, Il principio di separazione tra politica e amministrazione,
cit., pp. 24 e ss.
98 Anche per quest’ultima indicazione, cfr. S. BATTINI, op. ult. cit.
132
licet, assenza di conflitto di interessi)99. Nessuno però mette in dubbio che gli
organi di governo debbano essere politici e che dunque non possano essere
neutrali.
L’argomento della specialità, valido per la (parziale) disapplicazione
dell’imparzialità, non può essere tuttavia impiegato per evitare di applicare agli
organi di governo il precetto di buon andamento: una volta scissa l’endiadi tra
imparzialità e buon andamento100, la natura politica di questi organi esclude che
si possa imporre loro l’a-politicità, ma non esclude che la legge debba organizzarli in modo da assicurarne l’efficacia, l’efficienza e l’economicità.
Come la già citata analisi weberiana aveva messo in luce, solo
un’amministrazione sufficientemente competente è in grado di gestire la complessità delle società contemporanee101. L’assenza di garanzie di competenza
tecnica nella selezione della classe politica consiglia, sempre nell’impostazione
weberiana, di «puntare» sulla burocrazia imparziale, selezionata sulla base della
sua competenza. Il ragionamento weberiano si fonda su una sfiducia nella
competenza tecnica della classe politica che la storia e l’attualità dimostrano essere giustificata: il sistema elettorale, fondato sull’universalità dell’elettorato
passivo, non è in grado di assicurare il livello minimo di competenza tecnica
che invece la selezione dei burocrati in base a titoli di studio e prove di accesso
permette102.
Tuttavia, se anche gli organi di governo devono essere organizzati per assicurare l’efficienza della p.a. ai sensi dell’art. 97 Cost., anche per l’accesso a
questi deve essere previsto uno standard minimo di competenza, in grado di garantire il «minimo sindacale» del buon andamento. Ciò non significa modificare
in Costituzione le modalità di selezione e nomina degli organi di governo, affidandole al concorso: così facendo si massimizzerebbe il principio di buon andamento a discapito di quello di democraticità. L’attuazione minima del principio di buon andamento in relazione agli organi di governo però impone al legi99 F. MERLONI, Dirigenza pubblica, cit., pp. 222 e ss. Taluni si spingono ad interpretare
l’imparzialità per gli organi di governo come un obbligo di agire nell’interesse generale (in uno
spirito di continuità politica bipartisan che nelle principali democrazie occidentali pare
tramontato), ricavabile dall’applicazione degli artt. 97 e 98 Cost. agli organi di governo: C.
PINELLI, op. cit.. Si tratta però di una dimensione dell’imparzialità attinente all’attività, non
all’organizzazione.
100 C. PINELLI, op. cit., pp. 56 e ss.; G. CORSO, Manuale, cit., pp. 182 e ss.
101 Cfr. supra, par. 2.
102 Tale argomento, insieme all’universalità dell’elettorato attivo, è il fulcro della tesi di J.
BRENNAN, Contro la democrazia, Luiss University Press, 2017. Brennan sostiene l’epistemocrazia,
in antitesi alla democrazia: la limitazione dell’elettorato attivo a coloro i quali dimostrino certe
competenze. Solo in questo modo, secondo Brennan, le decisioni fondamentali sono prese
nell’interesse comune
133
slatore di introdurre requisiti soggettivi minimi di competenza per ricoprire tali
organi: ad esempio, avere un titolo di studio adeguato a gestire una delle principali economie del mondo o una sua organizzata porzione (piccola o grande
che sia), come una laurea. In questo modo si eliminerebbe un macroscopico
paradosso della nostra democrazia: perché il Segretario Comunale del più piccolo Comune d’Italia deve essere laureato, mentre il Ministro dell’Istruzione o
della Giustizia o dell’Interno può essere in teoria analfabeta (o avere solo la licenza superiore – per evocare molti esempi recenti)103?
L’obbligo di prevedere tali standard minimi, derivato dall’art. 97 Cost.,
grava ovviamente sul legislatore. Sicché questi requisiti dovrebbero essere introdotti con legge ordinaria (o con atto che ne ha la forza). Si può tuttavia dubitare che l’attuale classe politica attui una riforma del genere.
L’attuazione del buon andamento per gli organi di governo, al livello minimo qui ventilato, è però doverosa per il legislatore: questa omissione è incostituzionale. L’assenza nel nostro ordinamento di un ricorso alla Corte costituzionale per inadempimento del legislatore impone di far valere tale omissione
tramite una questione di illegittimità costituzionale della disciplina della nomina
degli organi di governo nella parte in cui non prevede requisiti minimi di competenza, in un giudizio amministrativo per l’annullamento di una (o più) nomine di persone manifestamente prive di requisiti di questo genere.
L’impugnazione avrebbe vita più facile (ma non strada spianata) se riguardasse
nomine ad organi di governo regionali o locali, contro le quali la giurisprudenza
già ritiene ammissibile la domanda di annullamento104.
Si tratterebbe certamente di un tentativo coraggioso e forse non risolutivo: non tutti i laureati sono infatti sufficientemente capaci di guidare uno Stato,
103
Su questi profili, sebbene in un’ottica diversa, S. CASSESE, Prefazione a J. BRENNAN,
Contro la democrazia, cit, (pubblicata anche sul Corriere della Sera del 20 febbraio 2018). Cassese,
diversamente da Brennan, sostiene che si possano eliminare le storture della democrazia
limitando l’elettorato passivo. Il discorso qui condotto non giunge all’estremo di limitare
l’elettorato passivo, ma ha il pregio di poter essere immediatamente applicato a Costituzione
invariata ed eventualmente anche senza attendere l’intervento del legislatore – come si vedrà
tra poco nel testo.
104 La giurisprudenza, infatti, ritiene che la nomina degli assessori non sia un atto
politico e che dunque essa sia soggetta alla giurisdizione del g.a.: cfr. expressis verbis, Cons. Stato,
sez. V, 10 luglio 2012 n. 4057; TAR Lazio, Roma, sez. II, 5 maggio 2014 n. 4637; TAR Puglia,
Bari, sez. I, 13 gennaio 2015 n. 34; presuppongono che non si tratti di un atto politico (perché
la assoggettano a sindacato, spesso per violazione della c.d. parità di genere), tra le tantissime,
Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2012 n. 3670 (a proposito della nomina degli assessori regionali),
TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 26 gennaio 2016 n. 70 (sulla nomina degli assessori
provinciali), TAR Veneto, sez. I, 30 marzo 2016 nn. 334 e 335 (sulla nomina degli assessori
comunali – ove si precisa che la legittimazione ad impugnare spetta a ciascun cittadino elettore
del Comune).
134
una Regione o un ente locale. Tuttavia, qualora andasse a buon fine, questa iniziativa escluderebbe quantomeno i meno adatti a governare: forse non eliminerebbe, ma perlomeno arginarebbe il «dilettantismo» di cui Max Weber rappresentava il pericolo nel 1922 e di cui oggi sperimentiamo quotidianamente le
gravi conseguenze.
135