Trattati giuridici
TRATTATO DI DIRITTO
DI FAMIGLIA
diretto da Giovanni Bonilini
II Edizione
Volume primo
FAMIGLIA E MATRIMONIO - REGIME PATRIMONIALE
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15/06/22 12:00 PM
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Finito di stampare luglio 2022
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
del danno extracontrattuale), in Riv. dir. civ., 1957, I; F. SPotti, Art. 177 Oggetto della comunione,
in Cod. civ. ipertestuale, 4a ed., Torino, 2012; M. P. SuPPa, Il danno (biologico) da morte: un’altra
tappa lungo il percorso tracciato dalla Corte Costituzionale, in Giur. it., 1998, I; a. tullio, La
successione necessaria, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 2012; iD., Le disposizioni aventi ad oggetto il
diritto al risarcimento ed alla riparazione del danno, in AA.VV., Le disposizioni testamentarie, diretto da G. Bonilini, a cura di V. Barba, Torino, 2012; iD., I diritti di credito, in Trattato di diritto
delle successioni e donazioni, I, La successione ereditaria, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009; iD.,
Introduzione, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, III, La successione legittima, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009; iD., Il calcolo della legittima, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, III, La successione legittima, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009; iD., L’intangibilità dei diritti di riserva. Il divieto di pesi e condizioni, in Trattato di diritto delle successioni e
donazioni, III, La successione legittima, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009; iD., L’azione di riduzione. L’imputazione ex se, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, III, La successione
legittima, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009; F. uccella, I rapporti patrimoniali della famiglia:
linee generali del sistema normativo, in Rass. dir. civ., 1983; P. Venuti, Le prestazioni previdenziali
e assistenziali: assegno ordinario di invalidità – pensione ordinaria di inabilità – pensione supplementare – pensione di reversibilità – assegno mensile, Padova, 2001; G. Villa, Gli effetti del matrimonio, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, 2a ed., Torino, 2007.
Sezione III
L’azienda coniugale
Andrea Genovese
Riferimenti normativi: Artt. 177, 178, 179, 180, 181, 182, 183, 184, 186, 187, 189, 190, 191,
210, 230-bis, 230-ter, 1100 ss., 2083, 2247, 2248, 2254, 2267, 2555 cod. civ.
Sommario: 1. La qualifica dell’azienda come coniugale. Considerazioni introduttive. – 2.
Azienda coniugale per destinazione: l’esercizio dell’impresa coniugale. – 3. Azienda coniugale in base al momento della costituzione, o dell’acquisto, oppure in virtù del titolo di acquisto. – 4. Azienda coniugale senza impresa coniugale. – 5. Azienda di comproprietà dei coniugi.
– 6. Impresa coniugale esercitata con azienda coniugale. – 7. (segue) Applicabilità della disciplina della comunione legale. – 8. Impresa coniugale esercitata senza azienda coniugale. – 9.
Applicabilità all’impresa coniugale dello statuto dell’imprenditore.
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XV. La comunione legale tra coniugi
1. La qualifica dell’azienda come coniugale. Considerazioni
introduttive
È evidente la polisemia insita nella locuzione «azienda coniugale»250. Con questa, infatti, può intendersi, innanzitutto, guardando all’art. 2555 cod. civ., quel
«complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa», il
quale è definibile proprio in virtù dall’aggettivo, «coniugale», che qualifica il sostantivo251. In questa prospettiva, è coniugale l’azienda che appartiene ai coniugi.
Si tratta, peraltro, di un significato descrittivo, che è possibile, cioè, assegnare al
particolare tipo di bene di riferimento, vale dire l’azienda, in virtù del senso
dell’aggettivo che lo qualifica.
Oltre a questo, si danno altri significati di azienda coniugale, i quali non dipendono più, o non dipendono soltanto, dal mero processo di significazione attuato
mediante il rapporto tra sostantivo e aggettivo che lo qualifica. Questi altri significati, infatti, risentono del risultato dell’interpretazione di un insieme di norme,
introdotte a seguito della Riforma del diritto di famiglia del Settantacinque, che
contemplano, disciplinandole, sia l’azienda coniugale da un lato, sia quell’azienda
che coniugale non può dirsi dall’altro.
Assumendo la prospettiva d’indagine più rigorosa, perché illuminata dalla rilevanza giuridica degli argomenti trattati, si rileva, così, che l’art. 177, cod. civ.
prevede alla lett. d) che ricadono in comunione legale anche «le aziende gestite
da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio»252.
È opportuno peraltro porre in rilievo che, secondo quanto previsto dall’art. 1,
comma 13, l. n. 76 del 2016, ogni riflessione svolta a proposito dell’azienda coniugale si addice perfettamente anche all’azienda gestita da entrambe le parti
dell’unione civile in regime di comunione legale, sorta successivamente alla costituzione della stessa unione civile253.
Il cpv. dell’art. 177 cod. civ. distingue l’azienda coniugale da quella che tale
non è, perché appartenuta ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio, a nulla
rilevando, in contrario, di regola, che la stessa azienda sia attualmente gestita insieme dagli stessi coniugi; questa ultima circostanza, infatti, per espressa disposizione normativa, salvo quanto verrà osservato più avanti, non avrebbe di per sé
250
anD. GenoVeSe, I confini attuali dell’azienda coniugale, in Contr. e impr., 2018, p. 522 s.
coluSSi, Impresa e azienda coniugale, in EG, XVI, Roma, 1989, p. 1.
252
Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 8a ed., Torino, 2018, p. 145.
253
Per uno sguardo d’insieme, cfr. alBaneSe, Famiglia e impresa dopo la legge n. 76 del 2016 su
unioni civili e convivenze, in Contr. e impr., 2019, pp. 1600-1602. Parimenti, si segnala che, secondo
quanto previsto dall’art. 1, comma 50, l. 76 del 2016, anche i conviventi di fatto possono stipulare un
contratto di convivenza, attraverso il quale “disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in
comune”, anche attraverso l’eventuale adozione del regime patrimoniale della comunione dei beni ex artt.
177-179 cod. civ. [in argomento, si veda Guerrieri, Contratto di convivenza e gestione (comune) dell’impresa condotta in regime di comunione, in Nuova giur. comm., 2000, p. 1166 ss.].
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
l’effetto di incidere sulla qualifica dell’azienda, potendo invece determinare la
caduta in comunione degli utili e degli incrementi dell’azienda medesima254.
Detto in altre parole, la risposta alla domanda su cosa sia l’azienda coniugale
presuppone l’applicazione di una serie di norme, introdotte a seguito della Riforma del diritto di famiglia, quali, ad esempio, l’art. 177, lett. d), cod. civ., l’art.
177, comma 2, cod. civ. e l’art. 179, lett. d), cod. civ. Solo leggendo quelle norme
alla luce dei criterî interpretativi previsti dalla legge, è possibile stabilire in cosa
consiste l’azienda coniugale, che costituisce oggetto della comunione legale, da
un lato, distinguendola da quell’azienda che, differentemente, tale non può considerarsi, a nulla valendo, in contrario, la ricorrenza di qualche fatto rilevante ai fini
dell’applicazione del diritto di famiglia.
Solo leggendo le norme di cui sono espressione l’art. 177, lett. d), cod. civ. da
un lato, e lo stesso art. 177, cpv., cod. civ., dall’altro, è possibile ottenere non uno,
ma almeno tre differenti criterî mediante i quali qualificare l’azienda come coniugale oppure come non coniugale. Essi, come vedremo, consistono: i) nella
destinazione; ii) nel titolo di acquisto; iii) e, infine, nel momento di costituzione, o di acquisto, dell’azienda. Se fosse possibile confermare quanto appena
visto, tutto si risolverebbe nello stabilire se si dia una prevalenza applicativa
dell’un criterio sull’altro, in modo da prevenire la contesa che, differentemente,
nascerebbe, tutte le volte in cui si operasse non solo in un contesto caratterizzato
dalla potenziale e contestuale applicazione di più di uno dei suddetti criterî, ma
addirittura in uno scenario dove la scelta dell’uno, piuttosto che dell’altro, condurrebbe a differenti esisti interpretativi.
2. Azienda coniugale per destinazione: l’esercizio dell’impresa
coniugale
La destinazione impressa al bene produttivo costituisce il primo dei canoni che
consente di qualificare l’azienda quale coniugale. Esso è offerto dalla norma rac254
Bonilini, ibidem; anD. GenoVeSe, Ibidem; oBerto, Commento sub artt. 177 e 178 c.c., in Codice
della famiglia, a cura di Sesta, 3a ed., Milano, 2015, p. 804 s.; oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 373 s. e 382; iD., Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia,
in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 118; Di Martino, La comunione legale tra coniugi, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, 2a ed., II, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, Torino, 2007, p. 127; MaraSà, Impresa coniugale, in Digesto comm., VII, Torino, 1992, p. 153; F. Del Vecchio, Il nuovo diritto di famiglia alla luce
della legge fallimentare, in Giur. it., 1977, IV, c. 93; Meoli, La comunione legale: natura, caratteri ed
oggetto, in AA.VV., I rapporti patrimoniali. L’impresa di famiglia. Il patto di famiglia, 3a ed., III, in Il
diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza, in Tratt. Autorino Stanzione, Torino, 2011, p. 220;
raGuSa MaGGiore, Comunione legale e fallimento, in AA.VV., La comunione legale, II, a cura di C.M.
Bianca, Milano, 1989, p. 816 s.; coSti, Lavoro e impresa nel nuovo diritto di famiglia, Milano, 1976, p.
34 s.; GionFriDa Daino, La posizione dei creditori nella comunione legale tra coniugi, Padova, 1986, p.
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XV. La comunione legale tra coniugi
chiusa nella lett. d) dell’art. 177 cod. civ., la quale prevede che è coniugale, e
come tale costituisce oggetto della comunione legale, quell’azienda che si caratterizza per due momenti qualificanti, dovendo essere: i) gestita da entrambi i coniugi; ii) e costituita dopo il matrimonio tra i coniugi medesimi255.
Il primo frammento della norma, che consente di estrapolare quel criterio di
qualifica dell’azienda per destinazione, lungi dal risolvere dubbî interpretativi, ne
suscita di nuovi e inattesi. Essa, prevedendo la fattispecie dell’azienda gestita dai
coniugi, non offre soluzioni in merito a ciò che debba intendersi per azienda coniugale, ma rimanda, in modo inesorabile, alla necessità d’individuare, in via preliminare, in cosa consista l’«attività di gestione» nell’impresa; la quale, nella
sintassi con «attività di collaborazione», ha da sempre costituito il cardine attorno al quale ha ruotato la distinzione tra «impresa coniugale», da un lato, e
«impresa familiare», dall’altro; ove, con tali termini, s’allude, rispettivamente,
all’attività economica, esercitata professionalmente dai coniugi, organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizî (art. 2083 cod. civ.) e
quell’attività nella quale, differentemente, il familiare – l’unito civilmente256 o il
convivente di fatto257 – si limitano a prestare, in modo continuativo, la propria attività di lavoro a favore della famiglia o dell’impresa, per l’appunto, familiare
(artt. 230-bis e 230-ter cod. civ.).
Anche al fine di scongiurare possibili rischi derivanti da soluzioni, legittimate
da ritenuti criterî sistematici, ma che tali poi non debbono essere, se è vero che
sembrano consentire la sovrapposizione tra fattispecie produttive di contrastanti
effetti giuridici258, non v’ha dubbio che utili spunti di riflessione per quanto concerne l’opera di regolamento dei confini tra i due istituti potranno essere ottenuti,
in prima battuta, dall’indagine ermeneutica condotta attraverso l’uso del criterio
letterale.
Da questa prospettiva, l’attività di collaborazione, tipica dell’impresa familiare
regolata dall’art. 230-bis cod. civ., si verifica, dando all’espressione quel significato fatto palese dall’uso proprio delle parole, allorché il familiare si limiti a pre255
F. Del Vecchio, op. cit., p. 90 s. In giurisprudenza, cfr. App. Milano, 10 maggio 2006, in Fam. pers.
succ., 2008, p. 363, con nota di Minneci, Fisiologia e patologia dell’azienda coniugale.
256
alBaneSe, Famiglia e impresa dopo la legge n. 76 del 2016 su unioni civili e convivenze, cit., p.
1586 ss.
257
Per un quadro d’insieme della disciplina introdotta dall’art. 230 ter cod. civ., cfr. Guerrieri, Convivenza di fatto e impresa familiare, in Nuove leggi civili e comm., 2018, p. 1007 ss.
258
BuSnelli, Impresa familiare e azienda gestita da entrambi i coniugi, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1976, p. 1397 ss., spec. 1404 s. reputa che la disciplina dettata per l’azienda coniugale dall’art. 177, lett.
d) cod. civ. e quella derivante dall’applicazione dell’art. 230-bis cod. civ., rubricato «impresa familiare»,
mirerebbero alla regolamentazione di un unico fenomeno, e vale a dire dell’impresa familiare nel suo
complesso, la quale verrebbe in considerazione, rispettivamente, dal punto di vista dell’oggetto dell’impresa, da un lato, e da quello dell’attività imprenditoriale, dall’altro; e, quindi, sempre, rispettivamente,
secondo una concezione statica oppure dinamica della medesima azienda.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
stare in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa,
senza assumerne anche la gestione259. Diversamente, proprio l’attività di gestione
in comune dell’impresa, sempre in virtù di quello stesso canone esegetico, ricorre
nell’impresa coniugale, nella quale i coniugi non si limitano ad esercitare in comune un’impresa, ma ciò fanno sottoponendo l’attività ad amministrazione comune, in guisa che la posizione del singolo coniuge finisce per coincidere con
quella di amministratore260.
Questa soluzione interpretativa è condivisa dal pensiero della giurisprudenza
che non ha mancato di rilevare come l’impresa familiare, disciplinata dall’art.
230-bis cod. civ., ancorché condotta grazie alla collaborazione del coniuge, si
differenzia dalla fattispecie dell’azienda coniugale, prevista dall’art. 177, lett. d),
cod. civ., nella quale la collaborazione dei coniugi si attua attraverso la gestione
comune dell’impresa261.
Nel primo caso, pertanto, al familiare che presta la sua attività a favore dell’impresa, quand’anche fosse il coniuge, non compete la qualifica di imprenditore,
giacché la sua attività di collaborazione si attuerà nei rapporti interni con l’imprenditore e sarà essenzialmente costitutiva di diritti di credito verso quest’ultimo.
Differentemente, nel secondo caso, si assisterà alla figura di coniugi coimprenditori262.
L’indicata soluzione è confermata dall’interpretazione dell’art. 177, lett. d),
condotta alla luce del diverso criterio dell’intenzione del legislatore.
Come illustrato in dottrina, antecedentemente alla riforma del diritto di famiglia, era fatto socialmente tipico quello relativo alla collaborazione del coniuge
nell’esercizio dell’impresa del familiare. Un simile apporto talvolta avveniva con
259
Facendo proprî i risultati raggiungi dalle scienze aziendalistiche, conduce un’ampia riflessione sul
concetto di gestione MaGaZZù, Le «aziende» gestite da entrambi i coniugi, in Dir. famiglia, 1978, p. 801
ss., cui si rinvia per i necessarî approfondimenti.
260
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 384; iD., Responsabilità patrimoniale e
nuovo diritto di famiglia, cit., pp. 120 e 123; MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, in
Giur. comm., 1988, I, p. 639 s.; iD., Impresa coniugale, cit., p. 152; coSti, Impresa familiare, azienda coniugale e «rapporti con i terzi» nel nuovo diritto di famiglia, in Giur. comm., 1976, I, pp. 7 e 14; coluSSi,
Impresa e azienda coniugale, cit.; iD., Azienda coniugale e disciplina dell’impresa, in Riv. dir. civ., 1976,
I, p. 610 ss.; ciaMPi, Impresa coniugale, impresa familiare e procedure concorsuali, in Dir. fall., 1977, I,
p. 9; Meoli, La comunione legale: natura, caratteri ed oggetto, cit., p. 227 s.; G. Ferri, Impresa coniugale
e impresa familiare, in Riv. dir. comm., 1976, I, p. 2; PelleGrino, Impresa coniugale, impresa familiare e
fallimento, in Dir. fall., 1981, I, p. 7; Maccarone, Considerazioni e spunti sulla riforma del diritto di famiglia, in Riv. banc., 1975, p. 930.
261
Cass., 18 dicembre 1992, n. 13390, in Nuova giur. comm., 1993, 1, p. 609, con nota di BonteMPi,
Impresa familiare e retribuzione (e in Dir. famiglia, 1994, 1, p. 106; in Dir. e giur. agr. amb., 1993, p. 83;
in Vita notarile, 1993, p. 813).
262
coSti, Impresa familiare, azienda coniugale e «rapporti con i terzi» nel nuovo diritto di famiglia,
cit., p. 6 ss.; iD., Lavoro e impresa nel nuovo diritto di famiglia, cit., pp. 38 e 46 ss. Contra, vedi BuSnelli,
op. cit., p. 1401.
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XV. La comunione legale tra coniugi
modalità che si estrinsecavano nella mera esecuzione di atti d’impresa, talaltra
attraverso l’esplicazione di vera e propria attività di gestione. Nella prima come
nella seconda ipotesi, la causa giustificatrice della collaborazione, da un lato, e del
mantenimento o della retribuzione, dall’altro, era ravvisata nello spirito di solidarietà familiare che informava il rapporto263. Per questo motivo, i riformatori del
Settantacinque, nella dialettica tra Camera e Senato, si davano cura di disciplinare
quell’attività di collaborazione nell’impresa, distinguendo sul punto, in modo
netto, tra il lavoro di gestione del coniuge, da una parte, e ogni altro tipo di lavoro
prestato dal familiare, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo fosse lo
stesso coniuge, dall’altra.
Il primo tipo di collaborazione, nel quale il coniuge compie atti di gestione, che
poi possono, se del caso, essere eseguiti da altri, importa che l’azienda appartenga
al patrimonio coniugale264, secondo la norma contenuta nell’art. 177, lett. d) cod.
civ.; la seconda modalità di collaborazione, differentemente, è attratta nell’orbita
applicativa dell’art. 230-bis, di disciplina dell’impresa familiare265.
3. Azienda coniugale in base al momento della costituzione, o
dell’acquisto, oppure in virtù del titolo di acquisto
Alcune riflessioni indicono a ritenere, in maniera univoca, la non decisività del
criterio di destinazione all’impresa coniugale, al fine della qualifica dell’azienda
come coniugale.
Innanzitutto, il fatto che il mero criterio fondato sulla destinazione dell’azienda
ad impresa familiare non consenta, di per sé, la qualifica dell’azienda medesima
come coniugale è, innanzitutto, rilevato, per tabulas, dalla lettura dell’art. 177,
lett. d), cod. civ.
Perché si dia un’azienda coniugale, come sopra rilevato, è necessaria la ricorrenza di un altro momento qualificante la fattispecie portata dall’art. 177, lett. d)
cod. civ.: guardando ad un criterio che, nel medesimo contesto, è ora temporale
263
G. auletta, Impresa ed azienda coniugale, in Banca borsa, 1984, I, p. 440, da cui si cita (e in
AA.VV., Scritti in onore di Alberto Trabucchi, Padova, 1988).
264
corSi, Il regime patrimoniale della famiglia, II, Le convenzioni matrimoniali. Famiglia e impresa,
in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 1984, p. 170, osserva sul punto che «l’azienda coniugale nasce dai fatti
e sussiste per il semplice “fatto” della gestione da parte di entrambi i coniugi di un’attività d’impresa, indipendentemente da qualsiasi rilevazione di carattere formale …».
265
G. auletta, op. cit., p. 440 ss.; Mar. nuZZo, L’impresa familiare, in AA.VV., Il regime patrimoniale
della famiglia, 2a ed., in Tratt. Bonilini, Cattaneo, Torino, 2007, p. 489 ricorda poi che nell’art. 55, comma
2, della prima versione del progetto unificato del diritto di famiglia, si prevedesse una disciplina congiunta
dell’impresa familiare e dell’azienda coniugale; successivamente, quella sistemazione era sottoposta a
valutazione critica da parte della dottrina, per l’imprecisione e l’ambiguità di cui era espressione, lasciando il posto, nel corso dell’iter parlamentare, ad una nuova regolamentazione in cui invece erano
nettamente distinte le due ipotesi sopra richiamate.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
ora fondato sul titolo di acquisto, infatti, è possibile osservare che affinché possa
predicarsi la coniugalità dell’azienda, occorre che essa sia stata costituita dopo il
matrimonio o, alternativamente, acquistata successivamente allo stesso matrimonio con i beni oggetto della comunione legale266.
Da ciò deriva che un’azienda, esercitata attraverso l’impresa cogestita dai coniugi, potrà, senza dubbî, dirsi coniugale, qualora sia stata costituita dagli stessi
coniugi successivamente alla stipula, tra loro, del matrimonio avente effetti civili267.
L’azienda, una volta divenuta coniugale, perché gestita da entrambi i coniugi e
costituita (o acquistata) dopo il matrimonio, non cambia qualifica in caso di eventuale successivo inserimento, in essa, di beni personali di proprietà di ciascuno dei
coniugi. In una simile evenienza, che può essere, di regola, parificata a quella in
cui l’inserimento in azienda abbia riguardato beni di proprietà di terzi, infatti, il
titolo attraverso il quale il bene è adibito all’esercizio dell’impresa, indipendentemente dal fatto che sia a titolo gratuito ovvero oneroso, è allo stesso tempo costitutivo del diritto alla restituzione dello stesso bene, secondo le modalità previste
dal titolo medesimo o, in difetto, dalla legge268.
In mancanza di un previo atto di matrimonio, quell’azienda potrà, a seconda
dei casi, essere, così, di proprietà esclusiva di un coniuge, come confermato dalla
lettura dell’art. 177, cpv. cod. civ., a nulla valendo, in contrario, salvo quanto verrà
precisato più avanti, che la stessa è esercitata attraverso l’impresa coniugale. Sarà,
allo stesso modo, appartenente in via esclusiva ad un coniuge quell’azienda allo
stesso pervenuta per effetto di successione a causa di morte ovvero a titolo di donazione, secondo quanto disposto dall’art. 179, lett. b), cod. civ.269.
In questi casi, caratterizzati dalla proprietà esclusiva dell’azienda in capo ad un
solo coniuge, la norma contemplata dall’art. 177, cpv. cod. civ., letta facendo ricorso al c.d. argomentum a contrario, prevede che quella stessa azienda, indipendentemente dal fatto che mediante essa è esercitata un’impresa coniugale, resta di
266
Di Martino, op. cit., p. 118; Vittoria, I coniugi coimprenditori (contributo allo studio dell’impresa
collettiva non societaria), in Contr. e impr., 1986, p. 869; oPPo, Regìmi patrimoniali della famiglia e fallimento del coniuge, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 47 s.; iD., Famiglia e impresa, in AA.VV., La riforma del
diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Atti del Convegno di Verona 14-15 giugno 1985,
in memoria di Carraro, Padova, 1986, p. 138; MaGaZZù, op. cit., p. 799; e. ruSSo, L’oggetto della comunione legale e i beni personali. Artt. 177-179, in Comm. Schlesinger, Milano, 1999, p. 89 s. osserva che è
indifferente la modalità mediante la quale l’azienda entra a far parte della comunione legale, potendo ciò
avvenire sia mediante l’organizzazione del complesso dei beni organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa, sia ottenendo che la stessa azienda, già formata, entri a far parte della comunione in base ad un atto
traslativo della relativa proprietà.
267
Di Martino, op. cit., p. 118.
268
G. auletta, op. cit., p. 460.
269
inZitari, Impresa e società nella comunione legale familiare, in Contr. e impr., 1986, p. 76 s.
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XV. La comunione legale tra coniugi
proprietà esclusiva del singolo coniuge270, mentre cadono in comunione attuale
«gli utili e gli incrementi» in ipotesi prodotti271. In questa situazione, pertanto,
l’attività dei coniugi, pur non innestandosi su di un bene comune, crea però comunione, posto che gli incrementi e gli utili diventano valori patrimoniali comuni,
soggetti, in quanto tali, alle regole della comunione legale272.
A ben vedere, in questi casi, caratterizzati dall’esercizio dell’impresa coniugale in base all’azienda di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, quest’ultimo,
d’intesa con l’altro, concede un diritto di godimento personale a favore della
stessa impresa coniugale, indipendentemente dal fatto che il contratto costitutivo
del diritto di godimento sia a titolo gratuito, come il comodato, cosa che, da un
punto di vista statistico, accadrà nella generalità delle ipotesi, piuttosto che a titolo
oneroso, come, ad esempio, a seguito della stipulazione di un contratto di affitto.
È evidente che la soluzione indicata resta ferma indipendentemente dal fatto che
la costituzione del diritto di godimento avente a oggetto il bene produttivo sia
stata espressamente convenuta tra le parti, indipendentemente dall’uso della forma
scritta, ovvero sia desumibile per fatti concludenti; ciò che avverrà, verosimilmente, allorché, a seguito del sopravvenuto apporto dell’altro coniuge nell’opera
di gestione dell’impresa, l’azienda divenga oggetto di diritto di godimento a favore della stessa impresa a titolo gratuito. In difetto di un simile accordo tra i coniugi, mediante il quale è conferito a favore dell’impresa coniugale il diritto di
godimento personale avente a oggetto l’azienda già gestita attraverso l’impresa
individuale, quel bene produttivo, di proprietà esclusiva di un coniuge, potrebbe
così, ad esempio, essere adibito all’esercizio dell’impresa individuale dello stesso
coniuge; fatto, questo, espressamente previsto dall’art. 178 cod. civ., il quale dispone che, in queste circostanze, i beni conferiti nell’azienda successivamente al
matrimonio e gli incrementi dell’impresa, maturati sempre successivamente al
matrimonio, formano oggetto della c.d. comunione de residuo, intesa come comunione residuale e differita273.
270
coSti, Impresa familiare, azienda coniugale e «rapporti con i terzi» nel nuovo diritto di famiglia,
cit., p. 12 s.
271
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 622; Di Martino, op. cit., p. 118
s.
272
oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, in Riv. dir. civ., 1989, I, 285,
il quale aggiunge che «l’attività comune dei coniugi su azienda individuale dà luogo ad attribuzione paritetica dei risultati (utili e incrementi) perché questa è la regola della comunione legale, regola che prescinde dalla entità degli apporti e deve trovare applicazione anche nel caso considerato agli utili e incrementi comuni malgrado la disparità, almeno iniziale, degli apporti». Similmente, iD., Responsabilità
patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 118.
273
T.V. ruSSo, Le vicende estintive della comunione legale, Napoli, 2004, p. 67; oBerto, op. cit., p.
795 ss.; coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit., p. 2; F. Del Vecchio, op. cit., p. 93; MaGaZZù, op. cit.,
p. 797; cian-Villani, La comunione legale dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ.,
1980, I, p. 347, da cui si cita (e in NN.D.I., App. II, Torino, 1980); GoraSSini, Azienda coniugale (Art. 177,
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
Il coniuge esclusivo proprietario, ancora, dopo il matrimonio, ben potrebbe
decidere di vendere o affittare a terzi l’azienda costituita prima delle nozze, ricavandone, rispettivamente, un prezzo o un canone, entrambi proventi destinati al
campo di applicazione dell’art. 177, lett. b).
Infine, il pieno esercizio dell’autonomia decisionale, riconosciuta dall’ordinamento a favore del coniuge proprietario esclusivo dell’azienda, poiché costituita
prima del matrimonio, può senz’altro consentire che quell’azienda sia, in un secondo momento, e vale a dire dopo le nozze, «ricostituita» in azienda coniugale,
attraverso la quale esercitare l’impresa coniugale secondo la disposizione di cui
all’art. 177, lett. d), cod. civ.
È evidente che l’ipotesi appena individuata presenta, a livello descrittivo, notevoli affinità con quella, sopra ricordata, nella quale il coniuge proprietario, in via
esclusiva, dell’azienda la conferisce, successivamente al matrimonio, a titolo di
godimento, a favore della impresa coniugale, in virtù di accordi presi con l’altro
coniuge. È anche evidente che le affinità sarebbero destinate a crescere laddove un
tale accordo fosse costitutivo di un diritto di godimento a titolo gratuito, in ipotesi,
per di più, stipulato per fatti concludenti, ricavandosi esso, in buona sostanza,
dalla messa a disposizione dell’azienda di proprietà esclusiva del coniuge, a favore della comunione legale, riservata la proprietà dell’azienda medesima274.
Tuttavia, dal punto di vista giuridico, quelle situazioni sono e dovranno essere
mantenute fermamente distinte, in esito ad un processo d’interpretazione della
volontà idonea a dissolvere ogni dubbio o ambiguità.
In un caso, infatti, i coniugi stipulano un patto, mediante il quale l’azienda individuale, di cui è riservata la proprietà, è oggetto di diritto di godimento a favore
dell’impresa coniugale. Nell’altro caso, differentemente, l’azienda, già di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, diventa coniugale in esito al verificarsi di due
differenti fatti giuridici: a) la rinuncia, anche se implicita, in ipotesi derivante
dalla mancata formulazione della riserva di proprietà, dell’originaria qualifica
dell’azienda, già ottenuta, in precedenza, mediante l’utilizzazione degli altri criterî di imputazione della proprietà (essenzialmente, il titolo e il tempo dell’acquisto); b) e la riqualifica dell’azienda medesima «per destinazione», l’esercizio
dell’impresa coniugale, così come previsto dall’art. 177, lett. d), cod. civ.
lett. d e 2° comma; Art. 178), in AA.VV., Regime patrimoniale della famiglia, 2a ed., III, a cura di Anelli-Sesta, in Tratt. Zatti, Milano, 2012, p. 295, rileva correttamente che, in tal modo, è garantita «all’imprenditore la libertà necessaria all’iniziativa economica anche all’interno della famiglia»; Vittoria, I coniugi coimprenditori (contributo allo studio dell’impresa collettiva non societaria), cit., p. 870, osserva
che l’art. 177, comma 2, cod. civ. è tutto sommato pleonastico, posto che già in base ai principî generali,
il diritto agli utili e quello agli incrementi è acquistato a titolo originario da parte di «chi concretamente
gestisce l’impresa, rappresentando il compenso dell’attività svolta e dell’energia creativa in essa profusa».
274
Vedi, in argomento, V. PeScatore, La dichiarazione di riserva, Milano, 2003, passim.
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XV. La comunione legale tra coniugi
In tali casi, caratterizzati dalla rinuncia, espressa o tacita, da parte del coniuge
proprietario esclusivo dell’azienda, si assiste alla seguente sequenza: in un primo
momento, la prestazione d’opera di gestione, da parte di entrambi i coniugi, comporta la comunione dell’impresa, in attuazione del principio di uguaglianza tra i
coniugi medesimi; successivamente, la comunione dell’impresa determina, in difetto di diversa volontà del proprietario, con l’art. 177, lett. d), cod. civ., il fatto
modificativo della titolarità dell’azienda che passa da individuale a coniugale275.
Quanto finora osservato ha consentito di ritenere, innanzitutto, una sicura precedenza applicativa, al fine della qualifica dell’azienda, dei criterî rappresentati dal «tempo» e dal «titolo» di acquisto della stessa azienda, rispetto a
quello della «destinazione all’esercizio dell’impresa coniugale». Oltre a ciò,
peraltro, è stato altresì possibile rilevare una sicura rinunziabilità della qualifica
dell’azienda ottenuta mercé l’applicazione dei primi suddetti criterî, ben potendo, come sopra visto, un’azienda già individuale essere convertita in coniugale, tutte le volte in cui, successivamente al matrimonio, sia esercitata attraverso
la stessa azienda un’impresa coniugale in difetto di riserva di proprietà, manifestata da parte del coniuge a ciò legittimato perché precedente proprietario, in via
esclusiva, della stessa azienda. La mancata formulazione della riserva di proprietà,
infatti, come sopra visto, verrebbe in considerazione quale fatto da cui inferire la
volontà del coniuge di far cadere in comunione legale l’azienda, in via immediata
e non già in comunione de residuo. In tal modo, verrebbe assegnata, conseguentemente, in modo eccezionale, un’efficacia sicuramente poziore al criterio rappresentato dalla «destinazione ad impresa coniugale», altrimenti destinato ad
arretrare di fronte agli altri due criterî.
Inoltre, è stato altresì possibile isolare un profilo di indipendenza tra la qualifica della titolarità dell’impresa, da un lato, da quella che concerne l’azienda,
dall’altro276; indipendenza esemplificata dalla circostanza, sopra illustrata,
dell’impresa coniugale esercitata attraverso un’azienda non coniugale, indipendentemente dal fatto che quest’ultima sia di proprietà esclusiva di un coniuge, sia
oggetto di comunione ordinaria tra i coniugi277 ovvero, ancora, appartenga a
terzi278. Peraltro, è evidente che in tutti i casi appena menzionati, caratterizzati
dalla circostanza che l’azienda appartiene ad un patrimonio diverso da quello
dove si producono i risultati dell’impresa279, è essenziale l’individuazione del titolo di conferimento, da cui deriva la detenzione dell’azienda. Quello stesso titolo
di conferimento, a ben vedere, è anche rilevante giacché produttivo di ulteriori
275
Per una diversa sfumatura, vedi G. auletta, op. cit., p. 445; e. ruSSo, op. cit., p. 99.
G. auletta, op. cit., p. 447; MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 152; coluSSi, Impresa e azienda
coniugale, cit., p. 1; oPPo, Regìmi patrimoniali della famiglia e fallimento del coniuge, cit., p. 46 s.
277
G. auletta, op. cit., p. 454.
278
G. auletta, op. cit., p. 456; coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit., p. 2.
279
G. auletta, op. cit., p. 457.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
effetti giuridici, come quello costitutivo dell’obbligo di restituzione dell’azienda
nei casi previsti avuto riguardo al negozio su cui si fonda la disponibilità dei beni,
oppure, in difetto di indicazioni rinvenibili in quest’ultimo, dalla legge280.
4. Azienda coniugale senza impresa coniugale
Come visto, oltre all’ipotesi consueta, raffigurata nell’art. 177, lett. d), cod.
civ., nella quale l’impresa coniugale è esercitata mediante l’uso dell’azienda coniugale, è stato possibile individuare una porzione di eventuale indipendenza tra
la prima e la seconda.
Si tratta di capire, peraltro, se, riprendendo un’argomentazione in uso alle
scienze matematiche, quella intercorrente tra qualifica dell’impresa e qualifica
dell’azienda sia una relazione d’indipendenza univoca oppure biunivoca; se, cioè,
quella relazione consente soltanto la configurazione di un’impresa coniugale esercitata senza azienda coniugale, secondo le modalità sopra individuate, oppure,
diversamente, permetta anche d’individuare un’azienda coniugale che è oggetto
di comunione legale, pur in difetto dell’esercizio, da parte dei coniugi, di
un’impresa coniugale281.
Si tratta, punto, di soffermare l’attenzione in ordine ad alcune ipotesi, nelle
quali sembra possibile associare all’azienda la qualifica di coniugale, di talché la
stessa azienda costituisca oggetto di comunione legale, in un contesto in cui non è
adibita ad esercizio dell’impresa coniugale.
È peraltro evidente che la seconda delle soluzioni appena osservate, non
avrebbe granché rilevanza, ove con essa si volesse alludere, in via esclusiva, all’ipotesi, tutto sommato residuale, rappresentata dall’azienda che rimane coniugale,
e quindi è oggetto di comunione legale, dopo la cessazione dell’impresa coniugale282.
280
Così, G. auletta, ibidem, il quale aggiunge che il conferimento d’azienda può avvalersi di tre
differenti modalità che rappresentano altrettanti titoli. Si ha, innanzitutto, il conferimento in godimento,
indipendentemente dal fatto che lo stesso sia a titolo gratuito o oneroso. Si ha poi il conferimento in titolarità. Infine, si dà la modalità del conferimento della titolarità dell’azienda accompagnato dall’obbligo di
restituzione dei beni in natura.
281
Si veda, in giurisprudenza, Trib. Roma, 16 settembre 1999, in Famiglia e dir., 2000, p. 183, con
nota di SchleSinGer, Sull’azienda coniugale, secondo cui «La semplice circostanza che i coniugi siano
comproprietari di azienda, non è sufficiente di per sé a ritenere che quest’ultima sia necessariamente cogestita da entrambi …».
282
GoraSSini, op. cit., p. 290, osserva che questa circostanza non è disciplinata dalla legge, che pertanto nulla prevede «circa la comunione o meno dei beni per il caso in cui vi sia cessazione dell’attività
d’impresa prima dello scioglimento della comunione non dovuta a fallimento». Secondo e. ruSSo, op. cit.,
p. 94, in questi casi, esemplificati dalla locuzione azienda senza impresa, i frutti che è possibile ricavare
dall’azienda sarebbero qualificabili quali proventi dell’attività separata di ciascun coniuge secondo quanto
previsto dall’art. 177, lett. c), cod. civ. e dall’art. 179, lett. d), cod. civ. Se, invece, l’azienda venisse in
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XV. La comunione legale tra coniugi
È infatti opportuno verificare se sia possibile pervenire alla qualifica del bene
azienda, in termini di coniugale, in quanto tale facente parte della comunione legale, in un contesto nel quale, ad esempio, i coniugi mai sono stati impegnati
nell’esercizio di un’impresa coniugale.
In argomento, è utile richiamare il pensiero, certamente condivisibile, di una
dottrina, secondo la quale, differentemente da quanto può dirsi in relazione ad
altri tipi di investimento, l’azienda costituita o acquistata da un coniuge con i
proprî risparmi appartiene, in via temporanea, al patrimonio di quello stesso
coniuge al quale è conferito dall’ordinamento il potere di acquistare, in via definitiva, quella stessa azienda, destinandola ad impresa individuale283. In difetto di tale atto di destinazione, e quindi tutte le volte in cui quel coniuge dovesse
alienare l’azienda, piuttosto che concederla in affitto o destinarla, con il necessario consenso, all’esercizio dell’impresa individuale dell’altro coniuge, essa, invece, diventerebbe un’azienda coniugale284.
Allo stesso modo, è qualificabile, in base al titolo dell’acquisto, come coniugale sia l’azienda acquistata o costituita da parte di entrambi i coniugi dopo
il matrimonio, così come previsto dall’art. 177, lett. a), cod. civ.285, sia quella
costituita o acquistata, sempre dopo il matrimonio, mediante l’utilizzazione di
beni coniugali; in tale caso, difatti, la qualifica dell’azienda dipende da quella dei
beni utilizzati per acquistarla, in virtù del principio generale secondo cui sono
coniugali i beni acquistati attraverso l’utilizzazione di beni coniugali286. Similmente, è reputata coniugale anche l’azienda acquistata da uno solo dei coniugi, ma
intestata alla comunione287.
5. Azienda di comproprietà dei coniugi
Non è «azienda coniugale», se non in senso, sopra illustrato, descrittivo e detecnicizzato, e quindi non costituisce oggetto della comunione legale, l’azienda in
comproprietà dei coniugi288.
considerazione come complesso disarticolato di beni, questi ultimi sarebbero oggetto della comunione
legale.
283
G. auletta, op. cit., p. 450 ss.
284
G. auletta, op. cit., p. 450 s.; oPPo, Regìmi patrimoniali della famiglia e fallimento del coniuge,
cit., p. 47. Diversamente, chi, come coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit., p. 1, ritiene indispensabile
al fine della qualificazione dell’azienda come coniugale che mediante la stessa venga esercitata un’impresa in comune da parte dei coniugi, reputa che, in questi casi, l’azienda sarebbe comune, in quanto appartenente alla comunione legale, ma non coniugale.
285
G. auletta, op. cit., p. 453.
286
Quasi letteralmente, G. auletta, op. cit., p. 453.
287
G. auletta, ibidem; MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 152.
288
oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, cit., p. 279.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
Come illustrato in dottrina, infatti, l’espressione comunione legale, secondo la
disciplina che essa riceve dagli artt. 177 ss. cod. civ., indica un regime giuridico
globale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, che va mantenuto nettamente distinto da quello oggetto della comunione ordinaria, regolata dagli artt. 1100 ss.
cod. civ.289.
La comunione ordinaria si riferisce alla disciplina della contitolarità del diritto
di proprietà, o di altro diritto reale, di cui regolamenta sia le modalità del godimento, sia quelle relative all’amministrazione in comune della cosa, sia, infine, i
fatti e la forma da osservare per lo scioglimento290.
La comunione legale, diversamente, comprende, una disciplina ben più ampia
ed incisiva, di massima inderogabile, che, passando da quella dell’amministrazione, della gestione dell’azienda coniugale e dei poteri del coniuge sopra ciascun
bene coniugale, riguarda l’intero ciclo dello stesso bene coniugale, che, in quanto
tale, muove dal momento dell’acquisto della contitolarità del diritto a quello, successivo ed estintivo291, dello scioglimento della comunione tra i coniugi292.
Orbene, poste queste precisazioni, costituisce, senza dubbio, oggetto di comunione ordinaria, l’azienda realizzata dai nubendi, in proporzione all’effettivo apporto conferito da ciascuno di essi, prima della celebrazione del matrimonio293. In questo caso, anche dopo la celebrazione delle nozze, infatti, l’azienda
rimane esclusa dalla comunione legale secondo quanto previsto dall’art. 179, lett.
a), cod. civ., secondo cui «non costituiscono oggetto della comunione e sono beni
personali del coniuge (…) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento»294.
È peraltro evidente che in tutti i casi in cui l’azienda sia oggetto di comunione
non già legale ma ordinaria, fatta salva l’applicazione della presunzione iuris tantum di parità delle quote, sancita dall’art. 1101 cod. civ., ciascun coniuge risulterà
comproprietario, nei limiti della quota posseduta, determinata avuto riguardo
all’investimento eseguito o, comunque, agli accordi presi dai comproprietari in
occasione dell’organizzazione dei beni per l’esercizio dell’impresa.
Lo stesso risultato potrebbe dirsi raggiunto qualora le quote di comproprietà
dell’azienda fossero, dopo il matrimonio, veicolate a favore di ciascun coniuge a
causa di successione mortis causa ovvero per effetto della stipula di un contratto
di donazione. Anche in questo caso, conseguentemente, l’azienda, o meglio la
quota di quello stesso bene produttivo, così pervenuto nel patrimonio dei coniugi,
289
inZitari, op. cit., p. 72; G. cian-Villani, op. cit., p. 341; oBerto, op. cit., p. 751 ss.
inZitari, ibidem; T.V. ruSSo, Le vicende estintive della comunione legale, Napoli, 2004, p. 67;
corSi, Azienda coniugale, comunione legale e società, in Giur. comm., 1975, I, p. 619.
291
T.V. ruSSo, op. cit., passim.
292
inZitari, ibidem.
293
G. auletta, op. cit., p. 454.
294
Per uno sguardo d’insieme, v. oBerto, op. cit., p. 807 ss.
290
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XV. La comunione legale tra coniugi
dovrebbe qualificarsi in termini di bene personale, come tale escluso dalla comunione legale in base all’art. 179, lett. b), cod. civ., secondo il quale «non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge … i beni acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione,
quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione».
In entrambi i casi, pertanto, in quanto bene oggetto di comunione ordinaria e
non legale, l’azienda verrebbe ad essere destinataria di atti di amministrazione
adottati secondo il valore delle quote, così come prescritto dall’art. 1105 cod. civ.,
a nulla valendo, in contrario, che, nel frattempo, i comproprietari dell’azienda siano divenuti coniugi per effetto della celebrazione del matrimonio.
Va da sé che le osservazioni svolte non sono messe in discussione dal fatto che,
mediante l’azienda oggetto di comunione ordinaria, sia, in ipotesi, dopo il matrimonio, continuato l’esercizio dell’impresa, secondo le modalità e le forme precedentemente stabilite, oppure esercitata, per la prima volta, un’impresa coniugale.
Infatti, nel primo caso, non sembra che il matrimonio determini, in confronto
alla gestione dell’impresa precedentemente organizzata, effetti ulteriori rispetto a
quelli della caduta in comunione de residuo dei proventi ottenuti, secondo la
norma portata dall’art. 177, lett. c), cod. civ. Nel secondo caso, in modo parzialmente difforme, ad una prima riflessione, sembra potersi affermare che l’impresa
coniugale potrà avvalersi dell’azienda, non coniugale, in base all’atto di conferimento ad effetti obbligatorî, costitutivo, come sopra rilevato, anche dell’obbligo
di restituzione, avente le caratteristiche di esigibilità contemplate nello stesso atto
di conferimento. In questo caso, invece, i risultati dell’attività d’impresa vengono
a costituire, in via immediata, oggetto della comunione legale.
6. Impresa coniugale esercitata con azienda coniugale
Uno degli aspetti più spinosi, che, in quanto tale, ha da sempre affaticato il
pensiero della dottrina, consiste nella disciplina applicabile all’azienda, nel momento, non più statico ma dinamico, in cui la stessa è adibita ad esercizio dell’impresa coniugale.
In questi casi, come correttamente rilevato, l’ostacolo principale è rappresentato dal fatto che il legislatore, attraverso le norme sulla comunione legale, ha
senz’altro privilegiato il profilo della disciplina dei rapporti interni tra i coniugi,
trascurando di offrire un’adeguata regolamentazione anche dell’aspetto relativo ai
rapporti esterni, intercorrenti, cioè, tra la comunione, da un lato, ed i terzi, dall’altro295.
295
G. cian-Villani, op. cit., p. 337 s.; G. auletta, ibidem.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
In questo contesto, conseguentemente, l’interprete, secondo il metodo più accreditato, è tenuto ad individuare la disciplina applicabile a quei rapporti, mediante una lettura delle norme di riferimento che possa dirsi rispettosa di
tutti, nessuno escluso, i criterî di interpretazione portati dall’art. 12 delle
preleggi. Solo qualora il caso concreto dovesse risultare non regolato, non resterebbe altra soluzione che denunciare l’esistenza di una lacuna nell’ordinamento,
destinata, in quanto tale, ad essere colmata attraverso il ricorso, se possibile, al
procedimento analogico296.
Ciò posto, non va sottaciuto come, in questi casi, la precomprensione, che caratterizza, precedendolo, ogni percorso che consente all’interprete di avvicinarsi
al fatto e alle norme interessate, conduce ad un primo risultato297, che, in quanto
tale, può senz’altro costituire il punto di partenza della più ampia operazione ermeneutica.
Allorché si tratta d’individuare la disciplina applicabile all’azienda, con cui è
esercitata l’impresa coniugale, vengono in considerazione, secondo il pensiero
pressoché unanime della dottrina298, due differenti ed eterogenei plessi di norme.
Esse consistono, innanzitutto, nell’insieme di regole che danno corpo alla disciplina della comunione legale. Se fosse dimostrata la bontà dell’illazione, le
norme sulla comunione legale sarebbero applicabili non solo (e non tanto) per
l’individuazione della titolarità del diritto di proprietà sull’azienda, ma anche per
la disciplina dell’attività di gestione esercitata con l’azienda medesima299.
296
In modo parzialmente difforme, vedi G. auletta, ibidem, secondo il quale, in questi casi, «l’interprete deve ricostruire con una interpretazione sistematica preoccupata di una maggiore corrispondenza,
nei risultati, ai principi generali del nostro diritto, in materia di contratti e di rapporti obbligatori».
297
Cfr. oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, cit., p. 280, il quale
osserva che, in argomento, «va affrontata l’alternativa – sempre prospettata nella costruzione e nella disciplina dell’impresa coniugale – tra assorbimento dell’attività comune nella comunione, con applicazione
della disciplina della comunione (legale), e inquadramento nei principi generali sull’esercizio comune
dell’attività economica, cioè configurazione come società con l’applicazione della disciplina relativa».
L’osservazione è accompagnata dall’Autore dalla posizione di un quesito, che contribuisce a mettere ancora meglio a fuoco il problema: «all’attività comune di coniugi, svolta con azienda appartenente alla
comunione legale, si applica, anche per quanto riguarda la gestione la disciplina della comunione legale
oppure la disciplina della società?».
298
È peraltro nota la difforme posizione di BuSnelli, op. cit., p. 1397 ss., spec. p. 1424, elaborata
all’indomani della Riforma del diritto di famiglia, secondo cui, come osservato retro, alla nota n. 4, gli artt.
177 ss. cod. civ. e l’art. 230-bis cod. civ. disciplinerebbero un fenomeno unitario, l’impresa familiare, rispettivamente analizzato dal punto di vista dell’oggetto dell’impresa e dell’attività imprenditoriale. Ciò
conduce l’Autore a ritenere che all’azienda gestita insieme dai coniugi, che sono impegnati per questo
motivo nell’impresa coniugale, si applicherebbe, oltre alla disciplina della comunione legale, quella
dell’impresa familiare così come integrata dai principi in tema di società. Tuttavia, come sopra rilevato,
una tale soluzione non appare apprezzabile già in considerazione del fatto che non tiene fermamente distinte le normative della comunione legale, da un lato, da quella della impresa familiare, dall’altro.
299
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 628 s.
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XV. La comunione legale tra coniugi
In secondo luogo, non v’ha dubbio che appaiono, altresì, astrattamente applicabili al fatto, anche le norme che contribuiscono alla definizione ed alla regolamentazione dello statuto giuridico delle società. Aderendo a questa soluzione,
viceversa, all’attività di gestione dell’azienda coniugale si applicherebbero le regole societarie.
Procedendo per gradi, esigenze legate al taglio dell’indagine, suggeriscono di
condurre in modo separato l’analisi a seconda che essa si attagli all’esercizio comune, da parte dei coniugi, dell’attività d’impresa attraverso l’azienda appartenente alla comunione legale, oppure si verta in presenza di un’impresa coniugale
esercitata su azienda non coniugale300.
Concentrando, in questa sede, l’attenzione sul primo aspetto, e vale a dire il
problema dell’impresa coniugale esercitata mediante azienda coniugale, non sarà
vano ricordare il pensiero di un’autorevole dottrina301 la quale, prima d’indicare
una possibile soluzione al problema dibattuto, ha creduto opportuno passare in
rassegna i principali vantaggi e svantaggi che deriverebbero ritenendo applicabile,
in questo caso, la disciplina della comunione legale, piuttosto che quella dettata
per le società.
E così, volendo ipotizzare l’applicabilità della disciplina della società, la gestione comune del bene, oggetto di comunione legale, importerebbe la costituzione di una c.d. società di gestione. In tali casi, peraltro, l’appartenenza alla comunione riguarderebbe non solo l’azienda, ma anche gli utili e gli incrementi
conseguiti a vantaggio della stessa azienda302.
Si fa correttamente rilevare in dottrina che, se l’espressione «incrementi» risulta usata dal legislatore della Riforma del diritto di famiglia anche nell’art. 230bis cod. civ., in nessuna norma è tuttavia offerta una definizione della stessa
espressione. Premessa, per quanto rilevato, l’opinabilità di qualunque scelta interpretativa, si osserva che, se intesa in senso ampio, con la parola «incrementi» può
intendersi «qualunque aumento di valore (anche in ordine all’avviamento), sia
dell’azienda nel suo complesso sia dei singoli beni aziendali …»303.
Assumendo, diversamente, la prospettiva che anche l’attività di gestione è soggetta alle regole della comunione, si avrebbe che delle obbligazioni sorte dall’esercizio dell’impresa risponderebbero non solo l’azienda comune, con i suoi incrementi, ma anche l’insieme dei beni a oggetto della comunione legale (art. 186
cod. civ.), oltreché i coniugi in proprio, anche se in modo soltanto parziario e non
300
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 633.
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 374 ss.; iD., Patrimoni autonomi familiari ed
esercizio di attività economica, cit., p. 280 s.
302
oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, cit., p. 280.
303
Così, Di Martino, op. cit., p. 120 s. In argomento, vedi, altresì, coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit., p. 2; cian-Villani, op. cit., p. 344.
301
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
solidale304, secondo quanto previsto dall’art. 190 cod. civ., secondo cui «i creditori
possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella
misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti
a soddisfare i debiti su di essa gravati».
Guardando poi alla normativa della gestione, l’applicazione delle regole relative alla comunione legale significherebbe, per quanto concerne l’amministrazione ordinaria, un regime di amministrazione disgiuntiva senza diritto di veto
(art. 180, comma 1, cod. civ.); in relazione a quella straordinaria, differentemente, l’amministrazione sarebbe congiuntiva, con intervento del giudice al fine
dell’autorizzazione al compimento dell’atto in caso di mancato consenso di uno
dei coniugi (artt. 180 cpv. e 181 cod. civ.). Se, invece, l’amministrazione dovesse
dirsi assoggettata al modello societario, allora l’amministrazione sarebbe sempre
disgiuntiva, con diritto di veto305.
A quanto osservato, si aggiunge che nella comunione legale le quote dei coniugi sono necessariamente uguali e questa uguaglianza dovrebbe, per questo motivo, valere anche se si dovesse ritenere la gestione dell’azienda sottoposta alle
norme societarie. Tuttavia, una tale uguaglianza minaccerebbe la paralisi della
gestione in caso di dissenso tra i coniugi coimprenditori, tanto da rendere necessario l’intervento, tutt’altro che auspicabile nella governance della società, da
parte del giudice306.
7. (segue) Applicabilità della disciplina della comunione legale
Entrando nel merito del dibattito dottrinale, volto all’individuazione della disciplina applicabile all’impresa coniugale su azienda coniugale, secondo una
prima soluzione, dalla lettura degli artt. 2247 e 2248 cod. civ. sarebbe possibile
dedurre una sicura diversità di ambiti tra comunione e società. La prima sarebbe caratterizzata dall’unico scopo del godimento dei beni oggetto della comunione. La seconda, diversamente, dalla qualificazione del godimento dei beni e
dalla loro utilizzazione all’interno della complessa attività consistente nell’esercizio dell’attività economica307.
304
oPPo, ibidem.
oPPo, ibidem.
306
oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, cit., p. 281.
307
corSi, Azienda coniugale, comunione legale e società, cit., p. 618 ss., spec. p. 621, secondo cui
appare preferibile la soluzione che permette «la contemporanea applicazione della normativa societaria e
di quella relativa alla comunione legale …. La normativa societaria attiene all’attività d’impresa (comune), mentre la normativa sulla comunione legale attiene alla proprietà e quindi all’azienda»; iD., Ancora sull’azienda coniugale, in Giur. comm., 1976, I, 16 ss.; coSti, Impresa familiare, azienda coniugale
e «rapporti con i terzi» nel nuovo diritto di famiglia, cit., p. 13 ss.; SchleSinGer, sub art. 177 cod. civ., in
AA.VV., Comm. Carraro, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, p. 385 ss.; inZitari, op. cit., p. 85; raGuSa
305
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XV. La comunione legale tra coniugi
Da queste premesse, si fa discendere la convinzione che la regolamentazione
della comunione legale non avrebbe introdotto tali elementi da ritenere che, allorquando due coniugi utilizzano l’azienda per l’esercizio dell’impresa, costituiscano
qualcosa di diverso da una società di fatto, regolata dagli artt. 2247 ss. cod. civ.
La soluzione indicata, secondo questa dottrina, riceverebbe conforto dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha escluso la necessità di una manifestazione di
volontà espressa al fine della creazione di una società di fatto. Ciò che accade allorché, a seguito dell’apertura della successione a causa di morte, i coeredi continuino a gestire insieme l’azienda caduta in comunione ereditaria, in tal modo
dando vita ad un’impresa collettiva qualificabile, per l’appunto, come società di
fatto308.
Accedendo a questa soluzione, è fatta derivare, a mo’ di corollario, la deduzione che l’art. 177, lett. d), cod. civ. si limiterebbe a dettare un principio attinente,
in via esclusiva, al profilo dell’attribuzione della titolarità di determinati beni
nei casi in cui l’azienda sia costituita e gestita dopo il matrimonio309. Gli artt. 181,
182, comma 2, e 191 cod. civ. si limiterebbero poi ad offrire la consueta regolamentazione dell’amministrazione dei beni comuni. Per questo motivo, quelle
stesse regole non potrebbero essere chiamate a disciplinare una fattispecie soggetta all’ambito di applicazione di difformi norme giuridiche310.
Sempre aderendo all’indicata prospettazione, con l’esercizio, da parte dei coniugi, dell’attività d’impresa, i beni oggetto della comunione legale verrebbero
conferiti in godimento a favore della società, la quale, su di essi, secondo quanto
previsto dall’art. 2254 cpv. cod. civ., eserciterebbe un potere corrispondente, per
modalità ed intensità, a quello che il conduttore esplica sui beni oggetto del contratto di locazione311.
La presente sistemazione, si fa notare312 avrebbe anche il pregio di garantire,
per alcuni aspetti, un vantaggio a favore dei creditori sociali. Nei confronti dei
terzi, infatti, risponderebbero, per le obbligazioni sociali, sia i coniugi, in via personale e solidale, con il loro patrimonio (art. 2267 cod. civ.); qualora, poi, non
dovesse rilevarsi sufficiente la garanzia patrimoniale dei coniugi al fine dell’esatta
esecuzione delle obbligazioni, i creditori sociali potrebbero sottoporre ad esecuzione forzata anche la quota dei beni oggetto della comunione legale, appartenente a ciascun coniuge, ivi compresi quelli costituenti l’azienda coniugale. In tal
MaGGiore, op. cit., p. 824 ss.; De Martini, Considerazioni sull’impresa familiare e sull’azienda gestita dai
coniugi, in Dir. fall., 1979, I, p. 13.
308
inZitari, op. cit., pp. 74, nota 1, e 84, nota 15, ove si cita Cass., 21 febbraio 1984, n. 1251, in Giur.
comm., 1985, II, p. 174.
309
inZitari, op. cit., p. 85.
310
inZitari, ibidem.
311
inZitari, op. cit., p. 86.
312
inZitari, ibidem.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
modo, i creditori sociali sarebbero preferiti ai creditori della comunione. Mentre
infatti i primi potrebbero soddisfare le proprie ragioni di credito sull’intero patrimonio dei coniugi, i secondi, differentemente, potrebbero rivalersi sui beni personali di ciascun coniuge nella misura della metà del credito, come previsto dall’art.
190 cod. civ.
Dall’indicata ipotesi, peraltro, non deriverebbero solo vantaggi a favore dei
creditori sociali, posto che questi ultimi, al contrario, subirebbero, se non altro, lo
svantaggio di essere posposti, nel soddisfacimento delle loro ragioni di credito, ai
creditori della comunione, titolari del diritto di rifarsi sui beni della comunione
con preferenza rispetto a tutti gli altri creditori, ivi compresi, appunto, quelli sociali.
La soluzione dottrinale sopra osservata non appare, tuttavia, pienamente condivisibile, e non solo perché, come rilevato da parte della dottrina, l’impresa coniugale avrebbe natura non negoziale313 oppure, da altra angolazione, non sarebbe
riconducibile entro la fattispecie societaria a causa di impedimenti di tipo ora
causali, ora dimensionali314.
Oltre a quanto osservato, appare improprio il richiamo, a sostegno della prospettata soluzione, di una pronuncia giurisprudenziale resa con riferimento ad un
caso, relativo alla comproprietà ereditaria, nettamente distinto rispetto a quello
dell’impresa coniugale su azienda coniugale, soggetto, diversamente dal primo, al
campo di applicazione di speciali norme giuridiche.
A parte le notazioni svolte, le ragioni, più profonde, del dissenso traggono linfa
argomentativa dall’interpretazione delle regole della comunione legale, le
quali – anziché limitarsi a dettare qualche norma con riferimento ad aspetti marginali, quali l’imputazione della titolarità dei diritti, piuttosto che il regime di responsabilità – sono tali da offrire una disciplina armonica ed unitaria, che
guarda all’azienda sia come oggetto della stessa comunione legale, sia in termini di attività gestoria che mediante la stessa è possibile esercitare con l’impresa coniugale; attività, questa, che dà corpo, pertanto, ad una forma d’impresa
collettiva non societaria315.
313
Vedi coluSSi, Azienda coniugale e disciplina dell’impresa, cit., p. 614, secondo il quale «… è di
palese evidenza che nella comunione legale dei beni fra coniugi non viene disciplinato un fenomeno contrattuale …». Un tale argomento, come osservato da MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e
società, cit., p. 628 s., non appare decisivo, considerata, al contrario, la natura schiettamente negoziale
dell’impresa coniugale, la quale appare espressione della volontà negoziale dei coniugi ancorché manifestata, in ipotesi, per fatti concludenti.
314
Cfr., per un quadro d’insieme, G. Ferri, Impresa coniugale e impresa familiare, cit., p. 4 ss.; iD.,
Azienda gestita in comune dai coniugi e impresa, in Scritti in onore di Nicolò, Milano, 1982, p. 439 s.;
corSi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 167 ss.
315
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 376; iD., Responsabilità patrimoniale e
nuovo diritto di famiglia, cit., p. 118 ss.; iD., Famiglia e impresa, cit., p. 140 s.; MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 634; iD., Impresa coniugale, cit., p. 153 s.; PelleGrino, op. cit.,
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XV. La comunione legale tra coniugi
Detto altrimenti, senza necessità di ricorrere, in difetto di lacune, a controversi
procedimenti, di sapore vagamente analogico316, mediante cui applicare alla gep. 9 ss.; Vittoria, Azienda coniugale, in Vittoria-anDrini, Azienda coniugale e impresa familiare, in
Tratt. Galgano, XI, Padova, 1989, p. 11 ss. e p. 20 ss.; coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit., p. 3; iD.,
Azienda coniugale e disciplina dell’impresa, cit., p. 614; F. Del Vecchio, op. cit., p. 91 s.; MaGaZZù, op.
cit., p. 806 ss.; corSi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 172 ss.; GionFriDa Daino, op. cit., p.
124 ss.; Di Martino, op. cit., p. 128 s., secondo la quale l’impresa coniugale si caratterizzerebbe per dare
vita ad una «figura sui generis ex lege d’impresa collettiva non societaria, ovvero come impresa individuale nella persona di entrambi i coniugi»; ciaMPi, op. cit., p. 7; taBanelli, La comunione legale: l’azienda coniugale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, a cura di Arceri-Bernardini, San
Marino, 2009, p. 628 ss. Perviene allo stesso risultato, in giurisprudenza, App. Milano, 10 maggio 2006,
in Famiglia e dir., 2008, p. 363, con nota di Beccaria; Trib. Catania, 23 dicembre 1982, in Soc., 1984, p.
41. Cfr., altresì, prima della riforma del terzo comma dell’art. 162 cod. civ., attuata con la legge n. 142 del
1981, Trib. Casale Monferrato, 30 marzo 1979, in Giur. comm., 1980, II, p. 229 ss., con nota di P. Ferrero,
Società fra coniugi in regime di comunione legale: nel dubbio prudenza…, che, ritenendo l’incompatibilità tra comunione legale e disciplina delle società di persone, ha ritenuto di dover autorizzare una convenzione tra i coniugi, volta alla stipula di una società personale (mediante l’acquisto da parte di un coniuge
di un mezzo delle quote di una società a nome collettivo già partecipata dall’altro coniuge nella misura
della restante quota di un mezzo), in quanto modificativa del regime di comunione legale. Dopo la riforma, si veda Trib. Cagliari, 6 giugno 1996, in Riv. giur. sarda, 1997, p. 688, con nota di aMitrano, secondo cui «L’azienda a conduzione familiare, configurando una fattispecie riconducibile all’impresa coniugale e quindi un’impresa collettiva non inquadrabile nei fenomeni societari, non è suscettibile di
trasformazione in società in accomandita semplice».
316
Anzi, a ben vedere, le norme relative alla società non potrebbero trovare applicazione con riferimento all’azienda coniugale, oggetto d’attività di impresa da parte dei coniugi, in considerazione della
mancanza, nei i due casi (la società, da un lato, e la gestione dell’azienda coniugale da parte dei coniugi,
dall’altro), dell’elemento in comune rilevante, e cioè della ratio legis. Difetterebbe, detto altrimenti, il
requisito indispensabile, a fianco alla ricorrenza della lacuna, per l’espletamento di qualsivoglia procedimento analogico. Mentre, infatti, la ratio legis che ispira la disciplina societaria è, di massima, quella di
consentire una competitiva iniziativa economica, quella che, diversamente, informa l’intera Riforma del
diritto di famiglia, nel cui campo di applicazione si iscrive anche il thema dell’azienda coniugale destinata
all’esercizio dell’impresa coniugale, è rappresentata, prevalentemente, dal raggiungimento della completa
ed effettiva uguaglianza tra i coniugi e dal soddisfacimento del principio di solidarietà che deve informare
lo svolgimento dei rapporti tra gli stessi coniugi. Un’agevole conferma di quanto illustrato è ottenuta
guardando alle norme che, nella Costituzione, dettano la disciplina del matrimonio, da un lato, e dell’impresa, dall’altro. Quanto al primo, l’art. 29 Cost. prevede che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla uguaglianza morale e
giuridica dei coniugi …». Tutt’altra la finalità tutelata dalla Costituzione con riferimento all’impresa,
come sarà chiaro leggendo il primo comma dell’art. 41 secondo cui «L’iniziativa economica privata è libera». In argomento, per alcuni spunti, cfr. oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività
economica, cit., p. 283, secondo cui l’esame della disciplina della comunione legale consente di isolare
una serie di «indici di una scelta legislativa di fondo, conforme alla ispirazione della disciplina dei rapporti
patrimoniali tra coniugi e dell’ordinamento della famiglia come società “naturale”»; Vittoria, I coniugi
coimprenditori (contributo allo studio dell’impresa collettiva non societaria), cit., p. 874, la quale rileva
correttamente che «l’interesse che ispira i coniugi nella conduzione congiunta di un’attività economica e
che ne orienta le decisioni e i comportamenti, è l’interesse della famiglia; l’esigenza che essi mirano a
soddisfare è quella di far fronte ai bisogni del nucleo familiare, sicché risulta estraneo al fenomeno in
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
stione dell’azienda coniugale eterogenee discipline, dettate con riferimento ad altri istituti, come le società, sono le stesse norme giuridiche costitutive della regolamentazione della comunione legale a prevedere la fattispecie entro la quale è
sussumibile l’azienda coniugale; e ciò vale non solo con riferimento al momento
statico, in cui essa viene in considerazione quale bene oggetto del diritto, ma anche in relazione alla fase per così dire dinamica, dove la stessa azienda è assoggettata all’esercizio dell’attività d’impresa da parte dei coniugi.
A dimostrazione di quanto appena rilevato, basterà osservare, così, che l’art.
181 cod. civ. disciplina l’ipotesi del dissenso tra i coniugi per quanto concerne il
compimento di atti di straordinaria amministrazione. Se uno dei coniugi rifiuta il
consenso al compimento dell’atto, questo potrà essere autorizzato dal giudice
tutte le volte in cui ciò corrisponda «all’interesse della famiglia o dell’azienda che
a norma della lett. d) dell’art. 177 fa parte della comunione». È l’art. 181 cod. civ.,
cioè, a riferirsi testualmente all’interesse dell’azienda, in un contesto nel quale
l’atto che interessa l’azienda è, innanzitutto, quello relativo alla sua tipica funzione produttiva, quale strumento dell’esercizio dell’impresa317.
Procedendo oltre, l’art. 182 cod. civ. disciplina la delega conferita da parte di
uno dei coniugi a favore dell’altro. Essa, di regola, è limitata al compimento di
singoli atti, salvo che non ricorra un impedimento ad esercitarla da parte dell’altro
coniuge. Tuttavia, la stessa disposizione precisa che «nel caso di gestione comune
di azienda, uno dei coniugi può essere delegato dall’altro al compimento di tutti
gli atti necessari all’attività d’impresa». Tutto ciò, oltre ad offrire un secondo riferimento testuale agli atti di impresa, è significativo della soggettiva concezione
del legislatore del problema dibattuto, in base alla quale per «gestione comune
d’azienda» deve intendersi «gestione dell’azienda nell’attività di impresa»318.
Secondo l’art. 191 cod. civ., inoltre, è possibile osservare che, differentemente
da quanto accade nel contesto societario, lo scioglimento dell’azienda ha luogo
in base all’accordo dei coniugi, osservata la forma stabilita dall’art. 162 cod.
civ.; pertanto, lo scioglimento ha luogo per divisione e non già per liquidazione319.
Infine, l’art. 183 cod. civ. prevede l’effetto dell’esclusione del coniuge dall’amministrazione, in relazione a fatti che, quali l’interdizione o la cattiva amministrazione, nella disciplina societaria, sono produttivi di tutt’altre conseguenze giuridi-
questione non solo il caratteristico intento lucrativo del socio, ma, sembrerebbe, ancor più a monte, quello
comunque egoistico dell’imprenditore in generale»; ciaMPi, op. cit., p. 7; MaGaZZù, op. cit., p. 806 ss.
317
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 376; iD., Patrimoni autonomi familiari ed
esercizio di attività economica, cit., p. 281; ciaMPi, ibidem.
318
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 376 s.; iD., Patrimoni autonomi familiari ed
esercizio di attività economica, cit., p. 281 s.; ciaMPi, op. cit., p. 8.
319
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 377; iD., Patrimoni autonomi familiari ed
esercizio di attività economica, cit., p. 282.
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XV. La comunione legale tra coniugi
che, come l’esclusione del socio dalla compagine sociale, con conseguente diritto
alla liquidazione del valore della quota320.
8. Impresa coniugale esercitata senza azienda coniugale
Anche se non costituisce, in via immediata, l’oggetto del presente studio, non
sarà vano, per completezza dell’indagine, spendere qualche riflessione con riguardo all’ipotesi in cui i coniugi gestiscano insieme un’impresa, attraverso un’azienda che non è coniugale, giacché appartenente a terzi oppure in quanto di proprietà esclusiva di uno degli stessi coniugi.
La seconda delle ipotesi descritte, come sopra osservato, è disciplinata dall’art.
177, cpv., cod. civ. la quale dispone la caduta in comunione immediata degli utili
perseguiti con l’impresa e degli incrementi dell’azienda321. La stessa norma è dalla
dottrina reputata applicabile, in via analogica, con riferimento all’impresa coniugale esercitata attraverso l’azienda appartenente a terzi322.
Qualche dubbio, risolto prevalentemente in senso positivo, si dà, in questi casi,
riguardo alla possibilità, da parte dei coniugi – negata pacificamente per quanto
concerne l’ipotesi di impresa coniugale esercitata attraverso l’azienda coniugale323
–, di stipulare una società di fatto, attraverso cui esercitare l’impresa coniugale
senza azienda coniugale324.
320
oPPo, ibidem.
MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 154.
322
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 637 s.
323
MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 155, rileva che «i coniugi non possono costituire società che
coincidono quanto a fattispecie con l’impresa coniugale, cioè caratterizzate dalla gestione comune, come
accade per la società semplice o per la collettiva. In questi casi, l’intento giuridico dei soci di assoggettarsi
alla disciplina delle società si scontra con il disposto dell’art. 210, 3 co., cod. civ.». Ed è per questo motivo
che, come sottolineato sempre da iD., Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 639 s., la
gestione comune attraverso la società implicherebbe un’inammissibile deroga della disciplina della comunione legale. Come precisato dallo stesso MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 155; iD., Impresa coniugale,
azienda coniugale e società, cit., p. 639 s., peraltro, si darebbe differenza di fattispecie, con la conseguenza che non esisterebbero ostacoli all’utilizzazione di una società di persone per l’esercizio dell’impresa coniugale, tutte le volte in cui, ad esempio: i) i coniugi sono in regime di separazione dei beni; ii) un
coniuge rinuncia al potere di amministrazione; iii) infine, se l’azienda è previamente sottratta alla comunione legale in base alla stipulazione dell’atto contemplato dall’art. 191 cod. civ., osservate le modalità e
le forme prescritte dall’art. 210 cod. civ. e dall’art. 162 cod. civ. Con riferimento a quest’ultimo aspetto,
vedi Bonilini, op. cit., p. 153; Di Martino, op. cit., p. 134 ss.; coSti, Lavoro e impresa nel nuovo diritto di
famiglia, cit., p. 54 s.; F. Del Vecchio, op. cit., p. 92; MaGaZZù, op. cit., p. 809; oPPo, Famiglia e impresa,
cit., p. 139 s.
Diversamente, vedi P. Ferrero, op. cit., p. 238 s., secondo la quale non si porrebbe alcuna incompatibilità tra il regime di comunione legale tra i coniugi e la costituzione, da parte dei coniugi medesimi, di un
contratto di società di persone; Meoli, La comunione legale: natura, caratteri ed oggetto, cit., p. 225.
324
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 637 s.; iD., Impresa coniugale, cit.,
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
In questo caso, beninteso, l’ipotesi dell’impresa coniugale, esercitata senza
azienda coniugale, sarebbe assoggetta ad un concorso di norme, tolte ora all’art.
177, cpv., cod. civ., ora alla disciplina della società di fatto325, soprattutto per
quanto concerne i rapporti con i terzi e il regime della responsabilità sociale.
A parte le osservazioni svolte, si tratta di capire se, nell’ipotesi divisata, i coniugi possano ricorrere alla stipula di una società di capitali, per l’esercizio
dell’impresa coniugale in difetto di azienda coniugale. Come rilevato in dottrina,
il problema si risolve nell’effettiva individuazione, in questi casi, di una vera e
propria impresa coniugale, che ricorre solo allorquando i soci coniugi esplicano
un’attività che possa dirsi di «gestione comune». Infatti, è evidente che un’attività
di «gestione comune» non potrebbe coincidere, di fatto, con il diverso caso rappresentato dall’«esercizio in comune» dell’attività, tipico delle società di capitali,
nelle quali a difettare è proprio l’elemento dell’«amministrazione comune» da
parte dei soci326.
Per quanto rilevato, e cioè in considerazione della mancanza della fattispecie
dell’impresa coniugale, in dottrina si reputa, in questi casi, pacifica la possibilità
di esercizio dell’attività imprenditoriale, da parte dei coniugi, mediante il ricorso
allo schema delle società di capitali327.
9. Applicabilità all’impresa coniugale dello statuto dell’imprenditore
Pochi dubbî sono emersi in dottrina, in relazione all’applicabilità all’impresa
coniugale dello statuto dell’imprenditore, tutte le volte in cui l’attività esercitata
sia qualificabile come commerciale328.
In tali casi, se si è escluso, in passato, che l’impresa sia assoggettata all’obbligo
di iscrizione nel registro delle imprese329, si è pacificamente ammesso gravante su
ambedue i coniugi un penetrante obbligo di redazione delle scritture contabili.
Più in particolare, come rilevato in dottrina, all’obbligo di tenuta delle scritture
contabili sono assoggettati entrambi i coniugi, sui quali grava un obbligo di carat-
p. 154; Di Martino, op. cit., p. 130 s.
325
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 637 s.
326
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 639 s.
327
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 639 s.; G. auletta, ibidem.
328
MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 636; oPPo, Diritto di famiglia e
diritto dell’impresa, cit., p. 378 s. Per una posizione critica, vedi corSi, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 171.
329
Contra, MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 154; Di Martino, op. cit., p. 129 osserva peraltro che
si dà un sicuro obbligo di pubblicità soprattutto per quanto concerne il conferimento della delega contemplato dall’art. 182 cpv. cod. civ.
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XV. La comunione legale tra coniugi
tere solidale, secondo un contenuto che possa dirsi adeguato al carattere «comune»
dell’impresa330.
Sempre dall’applicabilità dello statuto dell’imprenditore, si ritiene concettualmente ammissibile, in caso di insolvenza, il fallimento della comunione331; beninteso, lo stato di insolvenza va valutato con riferimento a tutto il patrimonio coniugale e non solo in relazione a quello meramente aziendale332.
Con la dichiarazione di fallimento della comunione, quindi, si reputa altresì
assoggettabile a procedura concorsuale, in proprio, anche il coniuge, salvo che
non sia riuscito a far fronte al soddisfacimento della responsabilità parziaria su di
lui gravante, pagando, per la propria quota, i debiti contratti dalla comunione333,
così come previsto dall’art. 190 cod. civ.
Analogamente, non è ritenuto fallibile il «socio cessante», almeno per quanto
può dirsi con riferimento a tutte le volte in cui egli abbia fatto fronte alle obbligazioni contratte dalla comunione anteriormente alla sua uscita dall’impresa cogestita334.
Bibliografia
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330
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 381; MaraSà, Impresa coniugale, azienda
coniugale e società, cit., p. 636; Di Martino, op. cit., p. 129; coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit.,
p. 4 s.; iD., Azienda coniugale e disciplina dell’impresa, cit., p. 623 s.
331
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 379 s.; iD., Patrimoni autonomi familiari ed
esercizio di attività economica, cit., p. 284; iD., Regìmi patrimoniali della famiglia e fallimento del coniuge, cit., p. 50 s.; MaraSà, Impresa coniugale, azienda coniugale e società, cit., p. 636; ciaMPi, op. cit.,
p. 8. Contra, vedi, peraltro, coluSSi, Impresa e azienda coniugale, cit., p. 5, secondo cui in questi casi non
si potrebbe «propriamente parlare di fallimento dell’impresa coniugale né di fallimento della comunione
legale. Per quanto riguarda la prima, infatti, non si pone nemmeno il problema di una sua soggettività,
distinta da quella dei coniugi imprenditori. Per quanto concerne la comunione … si tende ad escludere la
qualifica di soggetto di diritti (…) È nei confronti dei coniugi, quindi, che deve essere accertata l’esistenza
dei presupposti, soggettivi ed oggettivi, che legittimano l’esperimento delle procedure».
332
MaraSà, Impresa coniugale, cit., p. 154; coluSSi, Azienda coniugale e disciplina dell’impresa, cit.,
p. 626 ss.
333
oPPo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, cit., p. 380; iD., Patrimoni autonomi familiari ed
esercizio di attività economica, cit., p. 284; iD., Regìmi patrimoniali della famiglia e fallimento del coniuge, cit., p. 46 s.; ciaMPi, op. cit., p. 8 s.; PelleGrino, op. cit., p. 14 s.
334
oPPo, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, cit., p. 284.
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Parte III. Il regime patrimoniale della famiglia matrimoniale
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XV. La comunione legale tra coniugi
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856.
Sezione IV
L’amministrazione dei beni in comunione
Fabrizio Volpe
Riferimenti normativi: Artt. 180, 181, 182, 183, 184, 185 cod. civ.
Sommario: 1. Il potere gestorio all’interno delle regole di amministrazione. Alla ricerca di equilibri. – 2. La valenza delle norme sulla amministrazione della comunione e parità tra i coniugi.
Indipendenza delle regole di gestione dalle regole di acquisizione delle risorse economiche.
– 3. L’insieme delle regole di amministrazione e le peculiarità proprie. La comunione ordinaria. Ultrattività delle regole di amministrazione in caso di scioglimento della comunione legale
a seguito di convenzione di separazione. – 4. Gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. – 5. Indisponibilità della quota. – 6. Le regole di amministrazione e gli atti d’acquisto.
– 7. (segue) L’amministrazione dei crediti comuni. – 8. Amministrazione e facoltà di godimento dei beni comuni. Il potere di disposizione in senso materiale. – 9. (segue) Stipulazione
di contratti relativi alla concessione o all’acquisto di diritti personali di godimento. – 10. (segue) Le locazioni stipulate in regime di comunione. – 11. La rappresentanza in giudizio. – 12.
Autorizzazione giudiziale. Rifiuto di consenso e rimedio al dissidio tra i coniugi. – 13. Autorizzazione giudiziale al compimento di singoli atti. Amministrazione affidata ad un solo dei
coniugi. Amministrazione di sostegno dei beni della comunione. – 14. (segue) La rappresentanza volontaria tra coniugi. Il rilascio di procura. – 15. Autorizzazione giudiziale. Esclusione
giudiziale dall’amministrazione. – 16. Patologie del consenso. Sanzioni per l’inosservanza
della regola di amministrazione congiuntiva. – 17. (segue) Gli atti relativi a beni mobili non
registrati. – 18. (segue) L’art. 184 cod. civ. Riflessioni sulla incidenza sistematica della norma.
– 19. (segue) Gli atti compiuti senza il necessario consenso. Le tesi della dottrina. – 20. (segue) L’interpretazione della Corte Costituzionale. – 21. (segue) La disciplina e ambito di applicazione. «Atti» da annullare; azione di annullamento; il termine; la convalida; risarcimento
del danno. – 22. (segue) Il preliminare di vendita di un bene immobile comune. – 23. L’amministrazione dei beni personali.
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