IL CANTO DEGLI ITALIANI
POESIA DI GOFFREDO MAMELI
MUSICA DI MICHELE NOVARO
EDIZIONE CRITICA A CURA DI
MAURIZIO BENEDETTI
EDIZIONI DEL CONSERVATORIO
IL CANTO DEGLI ITALIANI
Poesia di GOFFREDO MAMELI
Musica di MICHELE NOVARO
per canto e pianoforte
Edizione critica a cura di Maurizio Benedetti
Indice
Prefazione
Introduzione
Il Canto degli Italiani partitura per canto e pianoforte
Note alla partitura
Il Canto degli Italiani spartito delle sole parti vocali
Capitolo 1 Genesi dell’inno nazionale italiano
1.1 Le date e i luoghi
1.2 La cronaca di Anton Giulio Barrili
1.3 La cronaca di Vittorio Bersezio
1.4 Immediato successo
1.5 Conclusione
Capitolo 2 Le fonti
2.1 Fonti della poesia
2.2 Fonti della musica
2.3 Interventi di Novaro sul testo
2.4 Autografi della partitura a confronto
2.5 Scelte operate nell’edizione
Capitolo 3 Analisi e Interpretazione musicale
3.1 Premessa
3.2 La macrostruttura
3.3 Introduzione battute 1-8
3.4 Introduzione battute 9-12
3.5 Introduzione battute 12-14
3.6 Canto battute 13-17
3.7 Dissonanza battute 15-17
3.8 Canto battute 21-26
3.9 Canto battute 26-30
3.10 Ponte modulante battute 29-31
3.11 Seconda parte Allegro mosso
3.12 Battute 37-39
3.13 Battute 39-41
3.14 Battute 43-45
3.15 Battute 45-47
Capitolo 4 Analisi e riflessioni sul testo
4.1 Il titolo
4.2 Prima strofa
4.3 Seconda e terza strofa
4.4 Quarta strofa
4.5 Quinta e sesta strofa
4.6 Conclusioni
Appendici
Appendice I Mameli
Appendice II Novaro
Appendice III Bersezio
Appendice IV Riproduzioni degli autografi
Bibliografia
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A Renzo, mio padre, partigiano a diciott’anni nel 1943
che per tutta la vita, ascoltando l’inno, si commuoveva
e alla fine esclamava: Viva l’Italia!
PREFAZIONE
UN “CANTO” NELLA TRADIZIONE ITALIANA
Vi mando l’inno e sebbene un po’ tardi, spero vi arriverà in tempo.
Ho cercato d’essere più popolare e facile che mi sia stato possibile …
Scriveva così il 18 ottobre 1848 Giuseppe Verdi inviando a Giuseppe Mazzini l’inno Suona la
tromba su versi di Goffredo Mameli. In un momento di grande tensione, ma anche di straordinarie
speranze per il futuro dell’Italia, Verdi si univa con entusiasmo alla schiera nutrita di compositori di
inni patriottici. E nelle poche righe di accompagnamento indirizzate a Mazzini sottolineava un
aspetto fondamentale: la necessità di essere facile e popolare. Questo si chiede a un Inno perché
diventi davvero il simbolo in musica di una Nazione, di un popolo. E a queste esigenze risponde
pienamente Il Canto degli Italiani scritto quasi di getto nel 1847 da Goffredo Mameli e da Michele
Novaro.
Il lavoro di Maurizio Benedetti sul nostro inno nazionale è lodevole e fondamentale per varie
ragioni. Innanzitutto perché restituisce dignità a due artisti genovesi che meriterebbero maggior
fama e che hanno dedicato la loro esistenza alla causa risorgimentale: Mameli addirittura pagò con
la vita la sua dedizione morendo ad appena 22 anni nel 1849 sulle barricate di Roma; Novaro
consacrò la propria arte alla lotta per la libertà, compose decine di Inni e si prodigò a organizzare
concerti e raccolte di denaro finalizzate al finanziamento delle iniziative insurrezionali.
In secondo luogo Benedetti offre un saggio musicologico di notevole interesse, analizza con
rigore testo e musica assicurando un’analisi completa delle varie fonti di un’opera che è figlia del
suo tempo, ovvero di un’epoca in cui i teatri italiani erano dominati dal melodramma. Lo stesso
Novaro era un tenore di belle speranze, aveva persino cantato opere di Donizetti in tournée a
Vienna, esibendosi davanti a Metternich. E lo spirito dell’opera, del resto, aleggia in tutto l’inno
che, non a caso, è intitolato “Canto” e che si configura come una efficace scena teatrale: l’eroe (il
tenore, certamente), a gambe ben piantate in terra, attacca “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta…”
rivolgendosi al popolo (il coro) che lo ascolta, freme e poi interviene, “Stringiamci a coorte ecc.”. Il
teatro verdiano con le sue prime impennate risorgimentali, era lì, ancora fresco.
Giova ricordare (e il nostro autore lo fa con dovizia di documenti citati in apertura) che Il Canto
degli Italiani è stato ufficialmente riconosciuto come inno nazionale solo nel 2017. Nel 1946 era
stato scelto in via provvisoria e, si sa, in Italia nulla è più definitivo delle cose provvisorie.
La legge recentemente promulgata ripara a un torto durato oltre settant’anni e il lavoro di
Benedetti giunge a proposito a mettere una parola definitiva su un Canto che bisognerebbe imparare
ad amare un po’ di più non evocandolo solo quando i nostri undici eroi in calzoncini e maglia
azzurra entrano in campo. Occorre essere grati all’indimenticato presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi che per primo insistette per una maggiore conoscenza dell’inno nazionale.
IV
Va tra l’altro ricordato che l’accettazione del Canto non è stata indolore: c’era chi avrebbe preferito
una nuova composizione commissionata a qualche cantautore di successo (!) e chi avrebbe
volentieri optato per il coro del Nabucco dimenticando che ne sono protagonisti schiavi ebrei,
incatenati, vinti e rassegnati. Nel 1862 Giuseppe Verdi fu invitato a scrivere un Inno per
l’Esposizione universale di Londra. Compose allora, su versi di Arrigo Boito, l’Inno delle Nazioni
inserendo nella sua partitura i temi della Marsigliese, dell’inno inglese (God save the Queen) e di
Fratelli d’Italia: per noi oggi questo è un fatto totalmente normale, ma all’epoca la pagina di
Mameli e Novaro non era, come già ricordato, l’inno italiano, caso mai avrebbe dovuto utilizzare
l’inno di casa Savoia. Perché scelse Il Canto degli Italiani? Evidentemente perché già allora questa
pagina, popolare e “facile”, era percepita come il vero, autentico simbolo della nostra italianità e
della nostra ritrovata libertà.
Roberto Iovino
V
INTRODUZIONE
Con l’edizione critica de Il Canto degli Italiani si vuole offrire ampia documentazione su vari
aspetti che concorrono ad una corretta comprensione del nostro inno nazionale: dalla storia della sua
nascita alla descrizione delle fonti documentarie, dall’analisi musicale all’esegesi del testo.
Le Appendici I e II sono dedicate ad approfondire la conoscenza degli autori Goffredo Mameli e
Michele Novaro, con particolare riferimento agli aspetti connessi al loro inno, mentre
nell’Appendice III viene riportata integralmente la fondamentale testimonianza di Vittorio Bersezio.
Un forte stimolo alla realizzazione di questa edizione è venuto dalla recente approvazione da
parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica della legge 4 dicembre 2017 n. 181,
che riconosce il testo de Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale
di Michele Novaro quale inno nazionale della Repubblica.1
Una legge giunta a sanare l’imbarazzante condizione di provvisorietà della funzione di inno
nazionale, che Fratelli d’Italia assolveva da oltre settant’anni in base ad un provvedimento del
primo Governo repubblicano datato 12 ottobre 1946.
Il primo firmatario di questa proposta di legge, l’onorevole Umberto D’Ottavio, racconta nel suo
saggio L’inno di Mameli - Una storia lunga 170 anni per diventare ufficiale2 il non semplice iter
legislativo che, dalle discussioni sul testo in Commissione Affari Costituzionali, ha condotto alla
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Da questo libro (davvero interessante non solo per la vicenda
specifica, ma anche per comprendere le dinamiche che regolano l’iter legislativo della nostra
Repubblica) riprendiamo la conclusione dell’intervento del 16 febbraio 2017 della relatrice del
provvedimento, onorevole Daniela Gasparini:
In più legislature sono state presentate diverse proposte di legge in tal senso senza giungere alla loro
approvazione. Ad esempio nella XIV legislatura sono stati presentati al Senato due progetti di legge in
materia: il primo, S. 1967, di natura costituzionale, volto a modificare l’articolo 12 della Costituzione
stabilendo che «Fratelli d’Italia» è l’inno nazionale; il secondo, di natura ordinaria. Entrambi i progetti di
legge hanno iniziato l’esame parlamentare presso la 1a Commissione del Senato senza tuttavia essere
approvati definitivamente. In particolare sul disegno di legge S. 1967 sono emersi dubbi e perplessità, non
ritenendosi opportuna una integrazione della Costituzione. Il disegno di legge ordinaria S. 1968 è stato
invece approvato dalla 1a Commissione in sede referente; ne è stato richiesto il passaggio in sede
deliberante, ma l’iter non è proseguito oltre. Anche nella XV legislatura è stato avviato, sempre al Senato,
l’esame di alcuni progetti di legge in materia, senza giungere alla loro approvazione: si tratta di tre
proposte di legge ordinaria, S. 688, 820 e 1660 e della petizione popolare n. 227, al cui esame è stato
successivamente congiunto anche un progetto di legge costituzionale, S. 821. Nella XVI legislatura sono
stati presentati, sia alla Camera sia al Senato, diversi progetti di legge in materia, tuttavia per nessuno di
questi è stato avviato l’esame. Peraltro, si fa presente che nella medesima legislatura, l’inno di Mameli ha
ottenuto un riconoscimento implicito con l’approvazione della legge 23 novembre 2012, n. 222, recante
norme sull’acquisizione di conoscenze e competenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione» e
sull’insegnamento dell’inno di Mameli nelle scuole. L’articolo 1 della legge prescrive l’insegnamento
1
2
Gazzetta Ufficiale n. 292 del 15-12-2017, legge 4 dicembre 2017, n. 181.
Umberto D’Ottavio, L’inno di Mameli – Una storia lunga 170 anni per diventare ufficiale, Torino, NEOS, 2018.
VI
nelle scuole dell’inno di Mameli nell’ambito di «percorsi didattici, iniziative e incontri celebrativi
finalizzati ad informare e a suscitare la riflessione sugli eventi e sul significato del Risorgimento nonché
sulle vicende che hanno condotto all’Unità nazionale, alla scelta dell’inno di Mameli e della bandiera
nazionale e all’approvazione della Costituzione anche alla luce dell’evoluzione della storia europea».3
All’onorevole D’Ottavio e ai suoi colleghi va dunque riconosciuto il merito di aver legiferato per
risolvere definitivamente una questione su cui in passato altre iniziative parlamentari si erano
arenate. Inoltre vogliamo sottolineare come questa legge si collochi in una continuità ideale con la
precedente legge n. 222 del 2012 sopra citata, che, oltre a promuovere l’insegnamento dell’inno
nelle scuole di ogni ordine e grado, all’articolo 1, 3° comma recita:
la Repubblica riconosce il giorno 17 marzo, data della proclamazione in Torino, nell'anno 1861,
dell'Unità d’Italia, quale «Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera»
allo scopo di ricordare e promuovere, nell'ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza,
fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l’identità nazionale
attraverso il ricordo e la memoria civica.4
A sostegno di questa «didattica diffusa», vogliamo dare il nostro contributo con la pubblicazione
della presente edizione critica, che intende offrire la documentazione più approfondita e coerente
del testo e dello «spartito musicale originale»5 del nostro inno nazionale, convinti che quei valori di
coscienza civica richiamati dal legislatore saranno sempre rappresentati e custoditi nella poesia e
nella musica de Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro.
RINGRAZIAMENTI
La realizzazione della presente edizione si è avvalsa della collaborazione di istituzioni, di
studiosi e di amici, a cui vogliamo esprimere tutta la nostra riconoscenza elencandoli qui di seguito:
Marco Zuccarini direttore del Conservatorio di Torino, i docenti Mauro Bouvet, Stefano Casalegno,
Stefano Leoni, Giuliana Maccaroni, Orazio Mula, Marco Ravasini e il webmaster Adolfo Di Gisi;
Raffaella Ponte direttrice dell’Istituto Mazziniano - Museo del Risorgimento di Genova; Liliana
Bertuzzi presidente del Comitato di Genova dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano;
Elisabetta Gnecco responsabile dell’Archivio di Stato Civile del Comune di Genova; Umberto
Levra presidente del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, direttore Ferruccio Martinotti,
responsabili Servizi Educativi Paola Bertolino e Servizi Iconografici Cecilia Traniello; Alessandro
Galoppini direttore artistico del Teatro Regio di Torino; Massimo Sanfilippo direttore della Banda
Musicale del Corpo di Polizia Municipale della Città di Torino; Anna Peyron responsabile Centro
Studi - biblioteca e archivi della Fondazione del Teatro Stabile di Torino e il fotografo Giorgio
Sottile; Paolo Lanfranco sindaco di Valfenera (AT); Fondazione Vittorio Bersezio; Eleonora
Benedetti, Lorenzo Bianconi, Mario Brusa, Fulvio Creux, Massimo Data, Umberto D’Ottavio,
Roberto Iovino, Enrico Mancini, Ugo Piovano, Aldo Salassa, Giuseppe Vettori, Giusy Vitale.
3
Ivi pp. 27-8.
Gazzetta Ufficiale n. 294 del 18-12-2012, legge 23 novembre 2012, n. 222.
5
GU legge 4 dicembre 2017, n. 181, art 1, 1° comma.
4
VII
IL CANTO DEGLI ITALIANI
Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi fummo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam popolo
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Dall'Alpe a Sicilia
Ovunque è Legnano
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano.
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Fratelli ecc.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d'Italia
E il sangue Polacco
Bevè col Cosacco
Ma il cor le bruciò.
Fratelli ecc.
Fratelli ecc.
Uniamoci, amiamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Fratelli ecc.
Evviva l'Italia
Dal sonno s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Fratelli ecc.
NOTE ALLA PARTITURA
Le motivazioni delle parentesi per le indicazioni alle battute 2526 sono esposte nel cap. 3.8, per le note in battuta 31 nel cap.
3.10. Le legature nella parte vocale, pur essendo un intervento
del revisore, non sono tra parentesi per le ragioni esposte nel
cap. 3.6.
Vengono qui sinteticamente riproposte all’attenzione le
indicazioni interpretative della figlia di Michele Novaro,
Giuseppina, analizzate nei capp. 3.6 e 3.15:
-
al verso Dov’è la vittoria, battute 21-23: dolcemente;
-
sulla apostrofe finale Sì, battuta 47: parlato, a viva voce.
Vengono anche proposte, per le ragioni esposte nel cap. 2.5 e a
titolo esemplificativo, alcune varianti alla prosodia nelle strofe
successive alla prima ai versi:
-
Raccolgaci un’unica, battute 56-58
-
Di fonderci insieme, battute 60-62
-
Dall’Alpe a, battute 84-85
7
10
Capitolo 1
GENESI DELL’INNO NAZIONALE ITALIANO
1.1 Le date e i luoghi
«Tale inno con avidità si lesse pubblicamente la prima volta in Genova il 22 novembre,
ed in Torino per la prima volta pubblicamente cantossi il successivo 28.»1
Sono probabilmente queste le date2 e certamente i luoghi della prima apparizione in pubblico, in
quel lontano 1847, dell’inno di Goffredo Mameli, prima nella versione di poesia declamata infine
musicato da Michele Novaro. Il Canto degli Italiani ebbe la sua consacrazione ufficiale nella
grande manifestazione genovese del 10 dicembre 1847 in occasione delle celebrazioni al santuario
di Oregina della ricorrenza della cacciata degli Austriaci da Genova nel 1746,3 quando venne
intonato davanti a un pubblico di trentamila patrioti provenienti da tutta Italia.
Per stabilire la data della prima stesura del testo abbiamo un’indicazione sull’autografo
mameliano custodito presso il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino: Genova 10 9bre 1847.4
Una data coerente con la collocazione temporale dichiarata da Leone Orsini nella citazione sopra
riportata. Sono meno utili le indicazioni temporali negli autografi di Novaro, che scrive un vago
Quest’inno fu da me composto verso la / fine dell’anno 1847 sulla partitura manoscritta del Museo
torinese, mentre su quella conservata presso il Museo del Risorgimento - Istituto Mazziniano di
Genova leggiamo la data Torino 5 X bre 1847, con il numero romano come abbreviazione del mese
di dicembre. Una data poco attendibile trattandosi di un manoscritto redatto in tempi successivi,
come si può dedurre dall’annotazione su Mameli: ucciso dai Francesi combattendo per la libertà
Italiana a Roma, che lo pospone a dopo il 6 luglio 1849, data della sua prematura scomparsa.
Se si eccettuano i primi fogli volanti che hanno subito diffuso il testo di Mameli, la prima
pubblicazione del testo a stampa è di fine dicembre 1847 nel Dono nazionale: scelte prose e poesie
in esultanza e gratitudine per le riforme accordate da S.M. Carlo Alberto re di Sardegna,5 in cui
l’editore torinese Canfari aveva raccolto in un volume di oltre 300 pagine quella straordinaria
fioritura di poesie, discorsi, brindisi, epigrafi, canti e inni sbocciata sull’onda dell’entusiasmo per le
nuove riforme albertine.6 Il testo di Mameli che leggiamo alle pagine 81-82 è simile all’autografo
1
LEONE ORSINI, G. Mameli ed i suoi scritti, Armanino, Genova 1876, parte 1 p. 9.
Su queste date le informazioni non sono univoche, tuttavia Giosuè Carducci afferma che il testo «fu composto l’otto
settembre del quarantasette, all'occasione di un primo moto di Genova per le riforme e la guardia civica» in Bozzetti
critici e discorsi letterari di Giosuè Carducci, Livorno, Vigo, 1876, p. 252.
3
È la vittoriosa rivolta iniziata dal giovane Giovan Battista Perasso detto Balilla col famoso lancio del sasso e la
domanda in dialetto genovese ―che l’inse?‖ (traduzione: ―la inizio?‖).
4
La cifra 9 è parte dell’abbreviazione del mese di novembre e non, come da alcuni frainteso, indicazione del nono mese
dell’anno ovvero settembre.
5
AA. VV. Dono nazionale Scelte prose e poesie in esultanza e gratitudine per le riforme accordate da S. M. Carlo
Alberto Re di Sardegna, Torino, Tipografia e Libreria Canfari, 1847.
6
Il 29 ottobre 1847 Carlo Alberto promulga il Codice di procedura penale, basato sul principio della pubblicità dei
dibattiti senza distinzione fra i diversi ceti sociali, riforma la legge sulla censura, consentendo la pubblicazione di
giornali politici, limita i poteri della polizia, abolisce i tribunali speciali. Il 30 ottobre la Gazzetta Piemontese annuncia
le riforme deliberate il giorno prima dal sovrano e il 31 ottobre, alla sera, una folla immensa si riversa per le strade di
Torino illuminate, inneggiando alle riforme e cantando l’inno di Giuseppe Bertoldi, musicato da Luigi Rossi, Con
l’azzurra coccarda sul petto.
2
11
(su cui torneremo nel capitolo dedicato alle fonti) custodito presso il Museo Nazionale del
Risorgimento di Torino. Da notare che sotto il titolo generico di Inno nazionale si nomina il
musicista Messo in musica dal Maestro Novaro, mentre del nome dell’autore compaiono in calce le
sole iniziali G.M.. La prima edizione a stampa della partitura, ad opera dell’editore torinese
Magrini, può essere collocata, in mancanza dei registri della casa editrice, ma con ragionevole
approssimazione in base al numero di lastra 1193, all’inizio del 1848.7
1.2 La cronaca di Anton Giulio Barrili
Il processo creativo che porta alla composizione del nostro inno nazionale è testimoniato dalle
parole dello stesso Novaro riportate da Anton Giulio Barrili8 in un testo spesso citato parzialmente,
ma che qui di seguito riportiamo per intero per la quantità e la qualità delle informazioni contenute:
Come nacque l'Inno.
Scritto a Genova nel settembre del 1847, l'inno « Fratelli d'Italia » fu vestito di note musicali a Torino,
ma da un musicista genovese. E qui tanta fu la compenetrazione delle note con le parole, così felicemente
trovato il largo giro della frase musicale in piena consonanza coll'ampiezza del pensiero poetico, e quello
e questo così solennemente consacrati dal favor popolare che non parrà ozioso il darne più compiuta
notizia. Michele Novaro, maestro di musica, nato a Genova nel 1822, ed al Mameli amicissimo, si era
condotto a vivere da poco tempo a Torino. Colà in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo
Valerio,9 fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per
mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra
d'Italia, da quello del Meucci,10 di Roma, musicato dal Magazzari « Del nuov’anno già l'alba primiera »11
7
Nel catalogo di MARIO DELL’ARA, Editori di musica a Torino e in Piemonte, Centro Studi piemontesi-Istituto per i
beni musicali in Piemonte, Torino, 1999, le diverse edizioni Magrini de Il Canto degli italiani di Novaro sono elencate
alle pagine 620 e 630 del tomo II senza data ma con il medesimo numero 1193 che le colloca a partire dal 1848.
8
Lo scrittore e giornalista ligure Anton Giulio Barrili (1836-1908) fu volontario garibaldino (1866-1867), deputato
(1876-79), professore di letteratura italiana (1894) e rettore dell'università di Genova (1903). Curò la pubblicazione nel
1902 degli Scritti editi e inediti di Goffredo Mameli.
9
Lorenzo Valerio (1810-1865) nel 1831 fu costretto a lasciare il Piemonte per le sue idee liberali. Rientrato in Italia nel
1836, assunse la direzione di un setificio ad Agliè, fondò il settimanale Letture popolari, poi Letture di famiglia,
soppresso dal governo una prima volta nel 1841 e definitivamente nel 1847. Fondatore anche dell'Associazione agraria
(1844), divenne uno dei capi della sinistra democratica nel 1848, dirigendo il giornale La Concordia e partecipando
attivamente, come deputato, alle discussioni parlamentari. Commissario regio nelle Marche (1860), fu senatore del
regno (1862) e prefetto di Messina (1865).
10
Filippo Meucci (1805-1865) letterato, filosofo e patriota originario di San Polo dei Cavalieri, presso Tivoli. Scrisse
tragedie e drammi, libretti d’opera, liriche e satire. Come politico rifiutava l’estremismo e si situava nell’area moderata
liberale. Prese parte con varie cariche alla Repubblica Romana del 1849, e dovette in seguito riparare in Piemonte, dove
dal 1851, con l’appoggio di M. d’Azeglio, ebbe incarichi come insegnante e direttore di licei.
11
Il testo scritto il primo gennaio 1847 da Filippo Meucci e musicato da Gaetano Magazzari, fu immediatamente
cantato per le vie di Roma e conobbe una notevole diffusione. L’entusiasmo popolare per papa Mastai Ferretti,
soprattutto dopo le sue parole, certamente significative, ma non scevre da ambiguità: «Gran Dio, benedite l’Italia!»,
trovò espressione poetica in diverse composizioni, anche musicali. Degni di citazione i versi di Antonio Peretti Dio lo
vuole! La voce di Pio / echeggiò nella valle dei morti, del poeta di Alba, Alerino Como Italiani! D’Alberto e di Pio / su
un vessillo i gran nomi segnate, di Demetrio Mircovich Pio t’ha redenta e ricreata in Dio, di Pietro Sterbini Di che
temi? Il tuo popolo, o Pio, / l’amor suo, la sua forza ti diè, di Ciceruacchio Oggi per il gran Pio semo felici, / né dai
birbanti più saremo offesi. Della delusione e dello scoramento dei mesi e degli anni successivi citeremo solo una
pasquinata popolare, che gioca ironicamente sul cognome del pontefice: Pio nono, / sei buono, / Ma-stai!.
Testimonianza del successo di questo inno sono le variazioni pianistiche di Moritz Strakosch, Addio all'Italia. Inno
popolare composto in augurio di felicità per l'anno 1847. Al Sommo Pontefice Pio IX da Gaetano Magazzari trascritto
per pianoforte da M. Strakosch, Op. 36 N. 3, Milano, Giovanni Ricordi, 1847.
12
al recentissimo del piemontese Bertoldi:12 « Coll'azzurra coccarda sul petto »,13 musicato dal Rossi.14 In
quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino,15 l'egregio pittore che tutti i genovesi
rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e, voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di
tasca in quel punto: — To', gli disse; te lo manda Goffredo. — Il Novaro apre il foglio, legge, si
commuove. Gli chiedono tutti che cos'è; gli fan ressa d'attorno. — Una cosa stupenda! — esclama il
maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto l'uditorio. — Io sentii — mi diceva il maestro
nell'aprile del '75 avendogli io chiesto notizie dell'inno, per una commemorazione che dovevo tenere del
Mameli — io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che, non saprei definire adesso, con tutti i
ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo coi
versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento,
sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'una sull'altra, ma lungi le mille miglia
dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' di
tempo in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era
rimedio; presi congedo, e corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò
alla mente il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che venne alle
mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e per conseguenza anche sul povero foglio: fu
questo l'originale dell'inno « Fratelli d'Italia ». Piacque pei versi — e qui l'amico era modesto come
sempre, ed ingiusto con sé; ma l'Italia gli renderà la giustizia che egli voleva negarsi — ed era cantato con
entusiasmo. La polizia rincorreva come tante fiere tutti coloro che lo cantavano: ma già il popolo lo aveva
fatto suo; e in ogni moto, in ogni festa, ufficiale o non ufficiale, l'Inno faceva capolino. Fu proibito fino
alla dichiarazione di guerra all'Austria; e da quel giorno, poi, tutte le bande militari lo suonarono. I
soldati, quando partivano per la Lombardia, lo cantavano, alzando i caschetti sulla punta delle baionette.
Un anno dopo, è vero, lo suonarono a scherno le bande militari nemiche, nello entrare in Alessandria. Ma
non fece loro buon pro’; anzi... Ma via, lasciamola lì, poiché la pace si è fatta, e noi siamo in casa nostra
padroni. Tornando a que' tempi, io non vidi il Mameli se non a Milano, nell'aprile del 1848. Si discorreva
in piazza del Duomo di tutte le cose nostre genovesi, quando ad un tratto la banda Nazionale intuona il
« Fratelli d'Italia ». Un urrà generale si levò per la piazza; Goffredo ebbe come un lampo negli occhi, mi
12
Giuseppe Bertodi (1821-1904) poeta piemontese, grande ammiratore di Garibaldi a cui dedicò nel 1846 un carme
semplice, vigoroso, impresso di patria e umana e religiosa idealità, apprezzato dallo stesso dedicatario, ma l’inno che gli
diede celebrità fu quello indirizzato a Carlo Alberto (vedi nota seguente). Fu ispettore generale delle pubbliche scuole,
dapprima in Piemonte, poi a Firenze. Gli impegni amministrativi non inaridirono il suo estro poetico, del quale diede
notevoli saggi, specialmente col carme in morte di Carlo Alberto (1850), con le canzoni indirizzate al conte di Cavour
(1861), a Vittorio Emanuele II (1862). Una prima raccolta dei suoi Canti patriottici fu pubblicata a Torino nel 1847,
un'altra più ampia intitolata Prima e dopo lo Statuto, a Firenze nel 1898.
13
Popolarissimo, conosciuto anche come la Marsigliese dei Piemontesi, questo inno fu pubblicato per la prima volta,
col titolo Le riforme, il 30 ottobre 1847; il giorno prima Carlo Alberto annunciava in Consiglio dei Ministri riforme
giudiziarie, amministrative, di polizia e di sanità. La musica, su commissione dello stesso Carlo Alberto, fu composta a
tempo di record da Luigi Felice Rossi e la prima esecuzione ebbe luogo in Torino il 3 novembre in occasione della
partenza del re alla volta di Genova.
14
Luigi Felice Rossi (1805-1863) musicista piemontese, attivo anche come critico musicale e didatta. Fu direttore della
scuola comunale di musica di Torino e di alcune delle prime scuole di canto corale. Scrisse un'opera Gli avventurieri
che fu rappresentata per la prima volta a Torino nel 1835 con successo.
15
Giacomo Ulisse Borzino (Milano 1820 – 1906) allievo di G. Frascheri, frequentò l'Accademia Ligustica di Genova,
dove espose negli anni '40 divenendo accademico di merito nel 1850. Da quell’anno e continuativamente fino al 1858
partecipò alle esposizioni della Società Promotrice genovese, di cui fu uno dei fondatori; vi presentò opere storicoletterarie, religiose, di genere e ritratti. Eseguì affreschi per le chiese genovesi di Santa Maria di Castello (1843-1844),
San Francesco di Paola (1846 ca.) e delle Battistine. Prese parte alle vicende risorgimentali (la moglie, la pittrice
Leopoldina Zanetti, era nipote di Daniele Manin), ebbe rapporti di amicizia con Mazzini, Mameli, Novaro e realizzò
ritratti di molti personaggi politici dell’epoca (Genova, Museo del Risorgimento). In epoca tarda abbandonò la pittura
per dedicarsi alla litografia e fondò a Milano il primo stabilimento oleografico della città.
13
gittò le braccia al collo, e mi baciò. Fu l'ultima volta che lo vidi; e fu uno dei pochi baci ond'io serbo
memoria.
ANTON GIULIO BARRILI.16
L’emozione, rievocata da Novaro, del momento in cui posa per la prima volta lo sguardo sui
versi di Mameli rimanda al famoso racconto fatto da Giuseppe Verdi all’amico editore Giulio
Ricordi del suo primo approccio al libretto di Temistocle Solera del Nabucodonosor:
Rincasai e con un gesto quasi violento gettai il manoscritto sul tavolo, fermandomi ritto in piedi
davanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto: senza saper come, i miei occhi fissano la
pagina che stava là innanzi, e mi si affaccia questo verso: Va’ pensiero sull’ali dorate. 17
Anche il racconto di Verdi è di molti anni successivo ai fatti (1842-1879) e forse le due
memorie si ammantano a distanza di tempo di toni romanzeschi, tuttavia nella cronaca di
Barrili troviamo, insieme ad un’imprecisione sull’anno di nascita di Novaro (1822 invece del
1818), molte informazioni utili a definire il quadro storico in cui si colloca la nascita del nostro
inno nazionale. Ad iniziare dal luogo, la casa torinese di Lorenzo Valerio cenacolo di
intellettuali e patrioti liberali, segnalato ancor oggi da una grande lapide sulla facciata del
palazzo nell’odierna
via XX Settembre all’angolo con via Barbaroux che recita: 18
IN
QUESTA CASA CHE FU
VALERIO
UNA SERA SUI 10 DI NOVEMBRE 1847 IL MAESTRO
MICHELE NOVARO DIDI
LORENZO
VINAVA
LE
NOTE
AL
FATIDICO
INNO DI MAMELI
CENTENARIO DELLA
NASCITA DEL POETA
NEL
AUSPICE IL LICEO CAVOUR 1927
19
L’attività che si svolgeva è poi descritta con parole memorabili: «si faceva musica e politica
insieme», a sottolineare l’importanza della musica come efficace mezzo di propaganda delle idee,
16
DOMENICO ALALEONA (a cura di), Il Canto degli Italiani / di Goffredo Mameli e Michele Novaro, Tipografia Operaia
Romana Cooperativa, Roma, 1924, pp. 11-12
17
ARTURO POUGIN, Giuseppe Verdi. Vita aneddotica, con note e aggiunte di Folchetto, Milano, Ricordi, 1881, p. 44.
18
Anche nelle parole incise nel marmo della lapide la data fatidica ―sui 10 di novembre‖ rimane imprecisata. La cronaca
della cerimonia di inaugurazione della lapide, in ANGELO CUSTODERO, Goffredo Mameli e il suo “inno”, Torino,
Paravia, 1929, pp. 15-16, descrive una manifestazione di propaganda fascista dove al canto dell’Inno di Mameli segue
l’inno del regime Giovinezza, tra sfilata in corteo con le autorità e saluti romani.
19
L’immagine della lapide è del fotografo Giorgio Sottile che ne ha gentilmente concesso l’utilizzo.
14
temibile e fortemente contrastato dalla censura come leggiamo di seguito: «la polizia rincorreva
come tante fiere tutti coloro che lo cantavano», e addirittura arma psicologica sul campo di
battaglia: «un anno dopo, è vero, lo suonarono a scherno le bande militari nemiche, nello entrare in
Alessandria».
Nei due canti che animano in quel momento la riunione in casa Valerio ritroviamo temi ricorrenti
nella poesia patriottica: la fratellanza italiana Figli tutti d’Italia noi siamo, l’urgenza della lotta
voleremo alla pugna nel testo di Bertoldi, il risveglio di Quirino la stirpe ridesta, l’immanenza
divina l’aita suprema di DIO nei versi di Meucci. Anche le musiche di Rossi e Magazzari hanno
similitudini stilistiche e strutturali con la composizione di Novaro, come vedremo più avanti.
Il grande successo subito ottenuto viene definito come immediata appropriazione collettiva: «già
il popolo lo aveva fatto suo», quasi un esproprio certamente gradito dall’autore (sul rapporto tra
autore e pubblico torneremo nell’Appendice dedicata a Novaro). Possiamo aggiungere che sbaragliò
la concorrenza di altri musicisti, compositori dilettanti, che si erano cimentati nell’impresa: i
genovesi Nicolò Magioncalda, Giuseppe Novella e Alessandro Botti.20 La partitura di quest’ultimo,
tipografo di professione, fu stampata ed è giunta a noi: per quanto non priva di una certa cantabilità,
la versione di Botti non aderisce in modo efficace al testo.21
Il racconto di Novaro si conclude con l’affettuoso ricordo dell’ultimo incontro con l’amico
Mameli, incontro che avviene in quel mese di aprile del 1848, quando si combattono le prime
battaglie vittoriose della Prima Guerra d'Indipendenza italiana (Goito 9 aprile, Pastrengo 30 aprile),
e in quella Milano liberata dagli Austriaci dopo l’insurrezione delle Cinque Giornate (18-22 marzo
1848), dove Mameli era giunto il 23 marzo in aiuto degli insorti con circa trecento volontari
genovesi che formavano la Compagnia Giuseppe Mazzini.
1.3 La cronaca di Vittorio Bersezio
Un’altra cronaca ci riporta la narrazione, fatta dallo stesso Novaro nella sua casa torinese ad una
fortunata dozzina di amici tra cui il giovane Bersezio, dell’ispirazione da cui era scaturita la
composizione dell’inno. La leggiamo alla fine del capitolo XVIII de I miei tempi di Vittorio
Bersezio,22 un’autobiografia ricca di descrizioni di eventi e personaggi, di esperienze vissute in
prima persona. L’opera si colloca a fianco di altri testi rappresentativi della memorialistica nel
Piemonte ottocentesco come l'opera, dallo stesso titolo, I miei tempi di Angelo Brofferio (23 volumi
pubblicati dal 1857 al 1864) e I miei ricordi di Massimo d'Azeglio, pubblicati postumi nel 1867.
Bersezio lavorò alle sue memorie negli ultimi anni di vita pubblicandole in appendice della
Gazzetta del Popolo nel secondo semestre del 1899, e interrompendosi alla fatal Novara (1849),
battaglia a cui partecipò nelle file della brigata Guardie dell’esercito piemontese.23
20
MICHELE CALABRESE, Il Canto degli Italiani: genesi e peripezie di un inno, in Quaderni del Bobbio n. 3 anno 2011:
Rivista di approfondimento culturale dell'Istituto di Istruzione Secondaria "Norberto Bobbio" di Carignano, p. 126.
21
La partitura, Alessandro Botti Inno Nazionale popolare dell'Avvocato Goffredo Mameli. Posto in musica dal
dilettante Aless.ro Botti. Dedicato alla Guardia Civica, Genova, Lit. Armanino, [1848?] è custodita presso la biblioteca
Universitaria di Genova ed è visionabile sul suo sito internet.
22
VITTORIO BERSEZIO, I miei tempi - con prefazione e note di Remo Formica, Alfredo Formica, Torino, 1931, pp. 230245. Vedi Appendice III.
23
Nei capitoli da XIX a XXII de I miei tempi, Bersezio ripercorre la sua vita militare dall’arruolamento alla sconfitta di
Novara.
15
Nell’Appendice III, per offrire un quadro più ampio del momento storico e tutti i dettagli della
testimonianza di Bersezio sulla nascita dell’inno, è riportato l’intero capitolo XVIII de I miei tempi.
Qui vogliamo sottolineare l’apporto fondamentale dato dalla testimonianza di Bersezio per
comprendere le ragioni dell’intervento più significativo di Novaro sul testo di Mameli: aver
duplicato i versi della prima strofa per assegnarli a due personaggi diversi, creando un dialogo, una
scena teatrale, dove si alternano la voce singola nella prima parte e la risposta corale nella seconda.
Un’impostazione più unica che rara tra le formule adottate dai musicisti che si cimentano nel
mettere in musica testi poetici e che può destare qualche perplessità se non se ne conoscono le forti
motivazioni. Novaro descrive questa struttura bipartita come esito dell’«idea che mi fece nascere il
motivo e l'andamento di questo canto. Dico idea; dovrei dire sogno, fantasticheria, visione. La
troverete bizzarra, e par tale anche a me; ma in ogni modo mi ha dominato e ispirato...».24
Forse nella «visione» che lo guida, possiamo intuire il manifestarsi di quello Zeitgeist, quello
Spirito del tempo, di cui gli artisti più ispirati sono incarnazione quasi inconsapevole e involontaria.
Certamente il clima di grande entusiasmo intorno a Pio IX influenzò Novaro nell’immaginare il
Sommo Pontefice nel ruolo dell’atteso profeta che annuncia la rinascita italiana di fronte alla grande
adunata delle «genti italiche: Pio IX si alza, tende le braccia verso quella moltitudine, e con
voce grave, solenne, lenta, annunzia ai popoli la buona novella: « Italia essersi desta,
riprendere la gloriosa sua strada, doversi fare a lei schiava la vittoria! ».» 25
«Idea, visione» che può apparire «bizzarra» anche a noi oggi alla luce degli sviluppi successivi
del ruolo di Pio IX nella nostra storia, mirabilmente sintetizzati dalle argute parole di Alessandro
Manzoni: « Pio IX prima benedisse l’Italia: poi la mandò a farsi benedire. »,26 ma in quel novembre
1847 era in perfetta sintonia con il sentimento ampiamente diffuso suscitato dalle sue parole, «Gran
Dio, benedite l’Italia!», estrapolate dal motuproprio del 10 febbraio 1848. Anche i due inni sopra
citati ne sono testimonianza: nel primo, che si diffuse col titolo di Inno popolare a Pio IX, Meucci
scrive «tutti al trono accorrete di PIO: di ciascuno Egli regna nel cuore», mentre nel secondo
Bertoldi esalta la figura di Pio IX accostandolo al Re: «Carlalberto si strinse con Pio, il gran patto fu
scritto lassù».
L’altro personaggio sulla scena è il popolo: «una immensa moltitudine, le popolazioni di tutta la
penisola», interpretato dal coro, che assume un ruolo centrale nell’estetica della musica
risorgimentale come invocato da Mazzini nella sua Filosofia della Musica già del 1833:
E perché il coro che nel dramma Greco rappresentava l’unità d’impressione e di giudicio morale,
non otterrebbe nel dramma musicale moderno più ampio sviluppo, e non s’innalzerebbe dalla sfera
secondaria passiva che gli è in oggi assegnata, alla rappresentanza solenne ed intera dell’elemento
popolare? […] Or, perché il coro, individualità collettiva, non otterrebbe, come il popolo di ch’esso è
interprete nato, vita propria, indipendente, spontanea? Perchè, relativamente al protagonista o ai
protagonisti, non costituirebbe quell’elemento di contrasto essenziale a ogni lavoro drammatico,
relativamente a sè stesso, non darebbe più sovente immagine, col concertato, coll’avvicendarsi,
coll’intrecciarsi di più melodie, di più frasi musicali, intersecate, combinate, armonizzate l’una
24
Ivi, p. 242.
Ibidem.
26
GIUSEPPE FUMAGALLI, Chi l’ha detto? Tesoro di citazioni italiane e straniere, di origine letteraria e storica, ordinate
e annotate da Giuseppe Fumagalli, HOEPLI, Milano, 1921, p. 388.
25
16
coll’altra a interrogazioni, a risposte, della varietà molteplice di sensazioni, di pareri, d’affetti e di
desiderii che freme d’ordinario nelle moltitudini? 27
La domanda di Mazzini troverà la più compiuta ed elevata risposta nei melodrammi verdiani, ma
anche nella visione di Novaro il coro interpreta il popolo con una presenza scenica, un’individualità
collettiva ben definita, descritta con parole che sembrano gli appunti di regia per la messa in scena:
«Un susurro si leva da quella folla: si guardano attoniti, s'interrogano, si ripetono a mezza voce,
agitati, frementi, le parole del Pontefice. Se ne persuadono. Ma allora bisogna combattere e vincere;
si combatta: « stringiamci in coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò ». Se lo ripetono
esaltandosi.»28
La cronaca di Bersezio si conclude con una interessante annotazione sul metodo di diffusione
della musica in quegli anni: riunire i «cantori dell'inno del Novaro» con il «pubblico che doveva
giudicarlo e impararlo» nei locali dell’Accademia Filodrammatica, oggi sede del teatro Gobetti in
via Rossini. Sulla facciata nel 1930 fu posta la lapide,29 ornata con un bassorilievo bronzeo che
ritrae il volto di Mameli, su cui leggiamo:
QUI
RISUONÒ PER LA PRIMA VOLTA
L’INNO PROFETICO
DI
GOFFREDO MAMELI
QUI LO RISVEGLIANO
IN LETIZIA DI SPIRITO E DI CUORE
ARDITAMENTE
I SOLDATI D’ITALIA
15 GIUGNO 1930 – VIII PAOLO BOSELLI DETTÒ 30
27
GIUSEPPE MAZZINI, Filosofia della Musica, in Scritti editi e inediti, Ed. Nazionale, Imola, 1910, Vol.VIII, pp. 154-5.
BERSEZIO, op. cit. p. 243.
29
Il palazzo, sede nel 1847 dell’Accademia Filodrammatica, fu in seguito sede del liceo Giuseppe Verdi e poi della
Casa del Soldato, la cui presidentessa, Ildegarda Occella, propose nel 1929 di affiggere una lapide commemorativa in
grado di suscitare forte spirito patriottico nei militari della residenza e delle altre sedi vicine. Nel 1930 (anno VIII era
fascista) la Regia Sovrintendenza alle Arti, la Municipalità e il podestà Paolo Thaon di Revel approvarono la delibera
per l'esecuzione, e nel giugno dello stesso anno l'opera, realizzata in marmo e in armonia con lo stile dell'edificio, potè
essere collocata. Elemento di particolare pregio è sicuramente il medaglione in bronzo che orna la lapide: raffigurante
Mameli, esso fu realizzato dallo scultore Edoardo Rubino (1871-1954), artista che nella prima metà del Novecento
eseguì a Torino importanti monumenti quali il Carabiniere Reale, il Faro della Vittoria e la Fontana dei Mesi.
30
Autore dell’iscrizione fu Paolo Boselli (1838-1932) politico ligure, docente dal 1871 della prima cattedra di scienza
delle finanze nell’università di Roma, fu eletto deputato nel 1870. Appartenne sempre al centrodestra, fu più volte
ministro e presidente del consiglio (1916-17). Senatore dal 1921 fu relatore del progetto per l’approvazione dei Patti del
Laterano (1929). Creò a Roma il Museo del Risorgimento Italiano.
28
17
1.4 Immediato successo
Nel clima di generale entusiasmo per le riforme di Carlo Alberto, pubblico e critica giudicarono
molto positivamente il nuovo inno di Mameli-Novaro. Così scriveva ai primi di dicembre del 1847
il direttore de Il Mondo Illustrato Giuseppe Massari:31
Si aspetta con affettuosa e figliale ansietà il ritorno in Torino di S. A. il re CARLO ALBERTO:
qualunque sia il partito al quale si appigliarono i Torinesi per le feste da farsi in quella fausta occasione
noi non dubitiamo che il loro contegno sarà nobile, dignitoso, veramente italiano. L'augusto principe
annovera altrettanti figliuoli ed ammiratori quanti sono i suoi sudditi, in tutt'i cuori unanime è il
sentimento di ossequio riverente, di patrio entusiasmo verso la sacra sua persona. I componimenti poetici
dettati ad onore di lui sono innumerevoli:32 ve n'ha dei mediocri, dei cattivissimi, dei tollerabili, dei buoni.
La poesia però che per lo splendore delle immagini, per la novità originale davvero del concetto, pel
vigore del sentimento o per la naturale e spontanea armonia del ritmo vince al paragone tutte le altre, e
sopravviverà alle ingiurie del tempo ed alla dimenticanza dei secoli è l'inno nazionale dettato dal giovane
Mameli genovese, che verrà reso di publica ragione in questi giorni. È vero inno nazionale, è inno
italiano, sarà il nostro Peana. Basti a darne idea al lettore la seguente strofa: Dall’Alpi allo stretto33 —
Ovunque è Legnano — Ogni uom di Ferruccio — Ha il cuore e la mano — I bimbi d’Italia — Si chiaman
Balilla — Il suon d'ogni squilla — I vespri suonò. Si può narrar meglio la storia d'Italia, e con laconismo
più sublime e più idoneo ad infiammar gli animi ed accendere in ogni petto faville di patria fierezza, di
nazionale dignità, d'italiano entusiasmo? I versi del Mameli trovarono degno interprete nell'egregio
Genovese, maestro Novaro, il quale seppe vestirli di melodiosa e magica veste musicale. Noi ascoltammo
alcune sere or sono il canto dell’inno del Mameli colla musica del Novaro, e ne fummo profondamente
commossi. Che armonia ispiratrice! che note inebrianti! che incanto, che dolcezza di melodia! Stupendo
esempio della potenza ispiratrice del patrio sentimento. Noi vorremmo trasfondere in tutti l'entusiasmo
che destò in noi la musica poetica e la musicale poesia di quell’inno: il Mameli ed il Novaro, giovani
entrambi, entrambi generosi, entrambi degni dei nome d'Italiani, conseguiscono ad un tratto la più bella
gloria che sia dato raggiungere ad uomo quaggiù, quella di artisti cittadini. In queste due parole sono
compendiati i giusti encomii, che ci arrechiamo ad onore di esser primi nella stampa periodica a tributar
loro.34
Tra le «bandiere … varie e bellissime» che sventolarono nei festeggiamenti per il ritorno di
Carlo Alberto da Genova spiccava quella «dell’avv. Giuseppe Cornero, giovane aureo e di sensi
italianissimi» su cui «stavano scritti due bei versi dell' inno del Mameli - Uniti per Dio - Chi vincer
ci può?»35 e ancora il Massari torna ad elogiare l’inno nel numero del 27 dicembre:
Dell'inno di Mameli parlai a lungo altra volta, ed ora non saprei non ripetere gli encomii sinceri dei
quali gli fui largo. Quell’inno è un capolavoro: è originale dalla prima riga sino all’ultima; annunzia un
ingegno poetico non comune, una fantasia potente, un cuore tutto ridondante di amore alla civiltà e
all’Italia.
31
Giuseppe Massari (1821-1884) storico ed esponente del partito moderato, sostenitore della politica di Carlo Alberto,
di Gioberti e più tardi di quella del conte di Cavour, che gli affidò delicate missioni segrete. Dal 1860 deputato al
parlamento subalpino.
32
Si tratta dei testi che saranno pubblicati nel già citato Dono Nazionale. È certamente una forzatura considerare la
poesia di Mameli scritta in onore di Carlo Alberto, tuttavia la sua prima pubblicazione in un volume a stampa avvenne
in questo contesto. Vedi cap. 1.1.
33
La variante ―allo stretto” invece di ―a Sicilia” non ha altri riscontri.
34
Il Mondo illustrato - Giornale universale 4 dicembre 1847 p. 770.
35
Ivi, 11 dicembre 1847, p. 786.
18
1.5 Conclusione
Infine anche noi vorremmo risvegliare «in letizia di spirito e di cuore» nei nostri lettori
l’attenzione a quei valori civili, politici, artistici e culturali che vuole esprimere e trasmettere da
quasi due secoli Il Canto degli Italiani e che al termine della cronaca di Bersezio sono mirabilmente
ricordati e riproposti per la loro inalterata attualità:
O sacro inno d'Italia! al suono delle tue benedette note quante anime si accesero di più generoso
ardore, quanti cuori si votarono più lietamente al sacrificio, quante intelligenze più efficacemente
travagliarono pel bene della patria! C'è nello svolgersi della tua melodia, o sacro inno, un non so quale
misterioso incanto, che ci penetra, che ci fa scorrere per le membra un brivido soave e potente, che ne
innalza lo spirito a più sereni cieli, che ci fa capaci di comprendere e di compiere le gesta degli eroi.
Anche oggidì, nell'attuale intorpidimento della coscienza pubblica, nell'offuscarsi di quelle idealità a cui
s'è ispirato quel canto della lotta; anche per le giovani generazioni, che non assistettero alle meraviglie
dell'epopea nazionale, quando per le piazze d'Italia vibrano quei magici suoni, la corrente elettrica degli
entusiasmi percorre le epidermidi della folla, il calore d'una fede par che vi sollevi il petto. Ma quelli che
l'udirono, il sacro inno, sui campi di battaglia, al supremo istante del cimento, incorare alla morte la
gioventù riboccante di vita, che videro, al vibrare di quel ritornello, sollevarsi sanguinosi i morenti per
gettare un ultimo grido: Viva Italia!, che parteciparono ai trasporti di gioia con cui il popolo, cantandolo,
festeggiava le vittorie, plaudiva ai nostri valorosi; costoro sentono l’anima brillare ringiovanita, tornare i
palpiti d’un tempo aimè già tanto lontano. E pare di sentire nell’aria gli spiriti dei nostri morti — uccisi in
guerra, strozzati nei supplizi, spenti nel lavorìo della lotta — di sentirli aspirare ancora ai palpiti della vita
e volersi associare alle tendenze, alle bramosie, alle febbri del presente. Oh! Poteste risorgere o caduti
all’ombra del vessillo tricolore! Risorgete dalle glebe che avete inaffiate col vostro sangue; e, vedendo la
scettica indifferenza di troppi, l’avido egoismo di molti, l’inconsulto dispregio delle tradizioni liberali in
parecchi, spirate nelle anime de' giovani, sempre più aperte ai generosi sensi, un poco di quell'amore che
vi scaldava il petto; fate comprendere che, per proseguire altre conquiste del progresso nell’umano
consorzio, non è necessario, è anzi un sacrilegio il rinunciare alla idealità della patria; dite loro che voi
l’avete fatta questa patria, ma in loro sta il renderla prospera e felice; gridate loro coll’autorità del vero
eterno che splende ai vostri ocelli: «Siate concordi, siate provvidi al sollievo delle sociali miserie, siate
nostri degni figli, siate liberi, siate italiani!».36
36
Bersezio, op. cit. pp. 244-245.
19
Capitolo 2
LE FONTI 1
2.1 Fonti della poesia
Presso il Museo del Risorgimento - Istituto Mazziniano di Genova si conserva il manoscritto
autografo della prima stesura della poesia di Mameli, e un foglio volante con il testo a stampa
corredato da annotazioni autografe dell’autore. Questi documenti non hanno una data precisa, ma
sono sicuramente della fine del 1847, mentre riporta una data precisa, Genova 10 9bre 1847, 2
l’autografo custodito presso il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino. Nel manoscritto
genovese troviamo varianti e lacune rispetto alla versione definitiva: l’ordine delle strofe è indicato
da numeri che correggono la disposizione sul foglio, l’incipit è Evviva l’Italia, sul ritornello Siam
stretti a coorte appare la correzione Stringiamci, il secondo verso della quarta strofa È tutto Legnano
presenta la correzione Dovunque. Altre variazioni nell’ordine dei versi e sviste ortografiche: crò per
creò, Ilia invece di Italia, Ballilla per Balilla, l’antiquato gionchi per giunchi; e infine alcuni versi
scritti ai margini: nella parte superiore del foglio È sorta dal feretro, in basso e a lato orientati in
verticale quattro versi di carattere piuttosto diverso:
Tessete o fanciulle,
Bandiere e coccarde.
Fan l’alme gagliarde
L’invito d’amor.
Più chiara la scrittura del manoscritto di Torino con la particolarità della quinta strofa sostituita da
una variante della prima (Evviva l’Italia / dal sonno s’è desta ecc…) probabilmente per sostituire la
strofa antiaustriaca allora censurata. Tuttavia la strofa incriminata è presente, aggiunta a margine con
diversa grafia, dopo la firma dell’autore. Da notare che il titolo, Canto Nazionale, è da intendersi più
come un’indicazione del genere di appartenenza che come titolo specifico della poesia. Ugualmente
Mameli titolerà con un generico Inno Militare il suo testo (noto come Inno di Guerra, All’armi,
all’armi!, e anche Inno popolare) musicato da Giuseppe Verdi con il titolo Suona la tromba (vedi
Appendice I). A questo proposito va notato che la definizione di inno nazionale aveva un significato
molto diverso: mentre oggi qualifica un singolo brano eletto a univoco simbolo di uno stato
nazionale, all’epoca indicava l’appartenenza ad un genere musicale e la produzione di inni nazionali
contava una miriade di titoli. Di notevole interesse è il foglio volante con le annotazioni autografe,
che siamo indotti a considerare una bozza di stampa con le necessarie correzioni apportate
dall’autore. Questi documenti forniscono elementi sufficienti per ipotizzare3 il testo che Novaro
ricevette dall’amico Mameli fosse questo:
1
I manoscritti autografi di Mameli e Novaro sono riprodotti nell’Appendice IV per gentile concessione dell’Istituto
Mazziniano - Museo del Risorgimento di Genova e del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino.
2
Vedi cap. 1.1 nota 4.
3
Permangono dubbi sulla punteggiatura, non univoca negli autografi di Mameli e nemmeno nelle trascrizioni del testo
che Novaro riporta nei manoscritti delle partiture. Nelle successive edizioni a stampa la punteggiatura diventa ancor più
varia e “creativa”, pertanto abbiamo ritenuto preferibile conservare soltanto una punteggiatura essenziale e
20
CANTO NAZIONALE
Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam Popolo
Perché siam divisi
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci ecc.
Uniamoci, amiamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore
Giuriamo far libero
Il suolo natio
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci ecc.
Dall'Alpe a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci ecc.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia
E il sangue Polacco
Bevè col Cosacco
Ma il cuor le bruciò.
Stringiamci ecc.
Evviva l'Italia
Dal sonno s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci ecc.
adeguatamente motivata: valga d’esempio nella prima strofa il verso Dov’è la vittoria che nella prima stesura manca del
punto interrogativo, mentre si chiude con l’interrogativo e l’esclamativo nell’autografo del museo torinese, infine in tutte
le edizioni a stampa il verso si normalizza con il singolo punto interrogativo.
21
Le variabili nella punteggiatura tra le diverse fonti sono generalmente ininfluenti sul significato
del testo, ma nella terza strofa, al settimo verso Uniti per Dio si pone un problema di interpretazione
dovuto proprio alla punteggiatura, differente già negli autografi di Mameli.4 Nel caso in cui per Dio
sia isolato dalle virgole, la punteggiatura suggerisce ovviamente la funzione di un’esclamazione.
Diversamente, l’assenza di punteggiatura unisce i termini e suggerisce un francesismo:5 Uniti per
Dio significherebbe uniti da/per mezzo/per volontà di Dio, concetto che rispecchia la visione
mazziniana, perfettamente espressa nella poesia di Mameli Dio e il Popolo che recita: 6
E vi dico in verità,
Che se il popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Tuttavia nell’Inno Militare All'armi, All'armi! Mameli usa evidentemente per Dio come
esclamazione nel contesto dell’incitazione alla battaglia tra spade e baionette in canna: 7
Fuoco, per Dio, sui barbari,
Sulle vendute schiere!
Il dubbio sull’interpretazione di questo verso comunque rimane. Una parte della tradizione
editoriale, propende per l’interpretazione “esclamativa”, di frequente sottolineata proprio dal punto
esclamativo e si dà anche il caso limite di un Uniti, perdio,8 che è una evidente stortura. Tuttavia il
contesto della strofa in cui il verso si colloca (Uniamoci, amiamoci / L'unione, e l'amore / Rivelano ai
popoli / Le vie del Signore) induce a ritenere più vicina alle intenzioni di Mameli un’interpretazione
coerente con la profonda ispirazione religiosa del pensiero mazziniano a cui l’autore aveva aderito fin
da giovanissimo.
4
Nell’autografo e nel foglio volante dell’Istituo Mazziniano di Genova si legge Uniti per Dio senza virgole come nella
prima edizione a stampa degli scritti di Mameli del 1850, nelle successive del 1876 curata da Leone Orsini e del 1878
dell’editore milanese Brigola. Con virgole Uniti, per Dio, compare nell’autografo del Museo torinese come, per
esempio, nell’edizione del 1902 a cura di Anton Giulio Barrili.
5
Un esempio dell’uso nella lingua francese della preposizione par ce lo offre la stessa Marsigliese, l’inno della
rivoluzione francese al quale viene spesso accostato il carattere del nostro inno, quando nella terza strofa leggiamo: Grand
Dieu! Par des mains enchaînées / Nos fronts sous le joug se ploieraient, così traducibile: Gran Dio! Per mani incatenate
/ Le nostre fronti sotto il giogo si piegherebbero.
6
Vedi testo integrale in Appendice I.
7
Vedi testo integrale in Appendice I.
8
In un foglio volante esposto nella mostra Patrioti con spartito / La musica popolare piemontese nel periodo
risorgimentale, Consiglio regionale del Piemonte, Torino 2011. Per contro si dà anche il caso di senso opposto con la
trasformazione del verso in Uniti con Dio presente in una pubblicazione discografica istituzionale: Inno di Mameli,
Banda dell’Arma dei Carabinieri, Roma, Show Service, 2002.
22
2.2 Fonti della musica
Le partiture autografe di Novaro oggi reperibili sono tre: il manoscritto custodito presso l’Istituto
Mazziniano di Genova (d’ora in avanti MsGe), reca sul frontespizio la dicitura Il Canto degli Italiani
/ Inno di Goffredo Mamelli [sic] (ucciso dai Francesi combattendo per la libertà Italiana a Roma) /
Musica di M. Novaro, e in calce M. Novaro / Torino 5 Xbre 1847 / Quando la mia Patria dopo tanti /
anni d’infame servaggio, respirava / la prima aura di Libertà. 9 Presso il Museo Nazionale del
Risorgimento Italiano di Torino è conservato il secondo manoscritto (d’ora in avanti MsTo). Sul
frontespizio si legge: Alla mia diletta città di Torino / Inno Nazionale / Il Canto degli Italiani / Poesia
di Goffredo Mameli / Musica di Michele Novaro / Quest’inno fu da me composto verso la / fine
dell’anno 1847, in Torino dove avevo / stabile dimora. / Novaro Michele. Infine il manoscritto inviato
da Novaro all’editore Francesco Lucca il 27 ottobre 1859 per la pubblicazione di una seconda
edizione a stampa dopo quella dell’editore Magrini.10 Il manoscritto, oggi di proprietà dell’archivio
storico Ricordi di Milano che ha permesso la consultazione, risulta particolarmente chiaro e definito,
e la comparazione con i precedenti ha permesso di risolvere i punti controversi (d’ora in avanti
MsMi).
Le tre partiture presentano diverse organizzazioni dei sistemi di pentagrammi. In MsGe dall’inizio
a battuta 30 è su tre pentagrammi con l’indicazione Canto sul primo in chiave di violino, mentre
secondo in chiave di violino e terzo in chiave di basso sono uniti da parentesi graffa come
consuetudine per l’accollatura del pianoforte. Da battuta 31 alla fine la parte vocale è suddivisa in due
pentagrammi con le indicazioni di Tenori e Bassi, nelle loro chiavi specifiche.
In MsTo abbiamo tre pentagrammi: uno per il Canto in chiave di violino e i due per il pianoforte
per tutto il brano, manca quindi la suddivisione delle voci cantate nella seconda parte.
In MsMi quattro pentagrammi: Tenori in chiave di tenore, Bassi in chiave di basso e due con
l’indicazione P.Forte nelle chiavi di violino e basso.
2.3 Interventi di Novaro sul testo
Una prima analisi comparativa va rivolta al testo utilizzato da Novaro rispetto alla poesia di
Mameli per notare le seguenti differenze:
1. Novaro sostituisce Canto Nazionale con Inno Nazionale, come indicazione del genere musicale, e
inventa il nuovo titolo: Il Canto degli Italiani, che oggi viene nuovamente utilizzato dopo essere stato
sostituito per anni nelle edizioni (soprattutto novecentesche) da altri titoli come Inno di Mameli o
Fratelli d’Italia;
2. il primo verso della seconda strofa Noi siamo da secoli, diventa Noi fummo da secoli; questa modifica
potrebbe essere giustificata da ragioni eufoniche: le due vocali consecutive ia di siamo, pur non
costituendo uno iato poiché l’accento non cade sulla i, hanno un suono meno “cantabile” della u del
9
Xbre abbreviazione per il mese di dicembre. Il catalogo del museo pospone la data alla fine del 1849 con riferimento
all’appunto tra parentesi in cui Novaro ricorda la fine di Mameli nella difesa della Repubblica Romana avvenuta il 6 luglio
1849.
10
Vedi in Appendice II altra documentazione relativa al rapporto con l’editore Lucca.
23
fummo con cui Novaro modifica il verso originale; ugualmente per una migliore cantabilità nel
secondo verso della quarta strofa Dovunque muta in Ovunque, e nell’ottavo verso della quinta strofa
si sostituisce cuor con sen; nella seconda e terza strofa i termini popolo e popoli perdono l’iniziale
maiuscola;
3. anche Novaro oscilla tra le due versioni del settimo verso della quarta strofa Uniti per Dio: senza
virgole in MsGe e in MsMi, mentre in MsTo virgola e punto esclamativo finale;
4. il Sì finale è un’aggiunta di Novaro al verso originale.
5. infine il cosiddetto Refrain suggerito da Mameli con la ripetizione di Stringiamci a coorte ecc. viene
sostituito da Novaro con l’accenno a Fratelli… .
2.4 Autografi della partitura a confronto
Una seconda analisi comparativa evidenzia le differenze nella notazione e nelle indicazioni di
andamento e dinamica tra i tre autografi presi in esame:11
1. in MsGe l’andamento iniziale è indicato con Mod.to mentre in MsTo e MsMi l’indicazione è All.o
Marziale;
2. alle battute 3-4 e alle battute 7-8 la disposizione degli accordi differisce:
MsGe batt. 3-4
MsTo e MsMi batt. 3-4
11
Legenda delle abbreviazioni Mod.to = Moderato, All.o = Allegro, f = forte, pp = pianissimo, ff = fortissimo, cresc. =
crescendo, accel.do = accelerando, batt.= battuta/e.
24
MsGe batt. 7-8
MsTo e MsMi batt. 7-8
3. in MsTo e MsMi alla battuta 9 viene indicato vibrato per la frase melodica alla mano destra del
pianoforte, indicazione assente in MsGe; da battute 9 a 11 in MsGe l’accompagnamento è
omoritmico al tema diversamente da MsTo e MsMi; diversa anche la disposizione degli accordi;
l’accompagnamento del canto che inizia alla battuta 12 presenta in MsGe il Si bemolle sul primo
quarto rafforzato all’ottava inferiore e l’indicazione marcate:
MsGe batt. 9-12
MsTo e MsMi batt. 9-12
4. solo in MsTo e MsMi f con molta energia all’attacco del canto Fratelli d’Italia battute 13 e 14;
5. nella parte del pianoforte alla battuta 16 di MsGe il basso presenta l’accordo in secondo rivolto
mentre MsTo e MsMi insiste sull’accordo in stato fondamentale prima di passare all’accordo di
dominante sul terzo movimento: in quest’ultimo caso si produce una dissonanza nel primo
movimento tra il La della voce interna e il Si bemolle al basso; idem alle battute 20 e 28:
25
MsGe batt. 15-17
MsTo e MsMi batt.15-17
6. nel pianoforte le battute da 22 a 25 presentano alcuni accordi in rivolti diversi in MsGe rispetto a
MsTo e MsMi; solo in MsGe alla battuta 25 il punto coronato sul terzo quarto sospende il tempo
sull’ultima sillaba del verso Le porga la chioma; alla battuta 26 si riprende con l’a tempo:
MsGe batt. 21-26
MsTo e MsMi batt. 21-26
26
7. solo in MsMi a battuta 26 sul secondo movimento il Fa del tema è una croma, mentre in MsGe e
MsTo è una semiminima.
8. nel pianoforte, alla battuta 28, si ripete la differenza già analizzata al punto 5; a battuta 29 in MsGe
troviamo l’intero accordo di tonica mentre in MsTo e MsMi si presenta la sola fondamentale
ottavizzata sull’ultima sillaba del verso Iddio la creò; a battuta 30, il passaggio cromatico in ottave
che conduce alla tonalità di Mi bemolle maggiore, in MsGe approda nella battuta seguente a Mi
bemolle semiminima sia alla mano destra che alla sinistra del pianoforte (in MsMi semiminima alla
destra croma alla sinistra), diversamente in MsTo sul battere della battuta 31 alla mano destra
troviamo una pausa e alla sinistra Mi bemolle croma:
MsGe batt. 27-31
MsTo batt. 27-31
9. all’inizio della seconda parte, battuta 31, in MsGe troviamo Allegro Mosso, in MsTo l’abbreviazione
All.o Mosso come in MsMi, dove si legge anche Rèfrain;
10. ancora a battuta 31 in MsGe sul rigo del canto le indicazioni pp marcate e staccate molto, in MsTo e
in MsMi, nel medesimo punto, al canto si legge pp e molto concitato e al pianoforte pp e staccato;
11. in MsGe a metà della battuta 37 si trova un ff, laddove in MsTo e MsMi si legge cresc..
12. solo in MsGe alla battuta 43 un cresc., che viene ripetuto alla 45;
27
13. in MsTo dalla battuta 43 alla 46 si legge sia nella parte del canto che del pianoforte: cresc. e accel.do
sino alla fine f . . . cresc. . . . ff molto simile a MsMi dov’è omesso l’ultimo cresc. a battuta 45;
14. all’ultima battuta l’accordo finale del pianoforte in MsGe ha la durata di semiminima, mentre è di
croma in MsTo e MsMi;
15. il Sì finale in MsGe è seguito dal punto fermo, in MsTo dal punto esclamativo;
16. infine, qui di seguito, le differenze nella parte dei Bassi tra MsGe e gli altri:
MsGe battute 37-39
MsMi battute 37-39
MsGe battute 40-43
MsMi battute 40-43
MsGe battute 45-47
MsMi battute 45-47
28
2.5 Scelte operate nell’edizione
Come emerge dall’analisi comparativa tra i manoscritti autografi, MsTo e MsMi hanno il maggior
numero di elementi in comune. Concordanze che ci inducono a ritenere che MsGe fosse una prima
versione successivamente rivista da Novaro in MsTo e infine definita in MsMi, tenendo conto anche
della prassi esecutiva stabilitasi nei dodici anni trascorsi dalla prima stesura.
La presente edizione ha mediato assumendo nella maggior parte dei casi dubbi le soluzioni
presenti in MsTo e confermate da MsMi, tuttavia per quanto riguarda l’impostazione generale della
partitura abbiamo optato per la distribuzione presente in MsGe con la prima parte su tre pentagrammi,
canto e pianoforte, e la seconda parte su quattro pentagrammi, tenori, bassi e pianoforte, per coerenza
con la drammatizzazione sottintesa dall’autore con la giustapposizione tra il canto di un singolo
personaggio e la risposta corale del popolo (vedi capitolo 1). Altre scelte derivano dalla
documentazione proveniente dalla figlia di Novaro, Giuseppina anche lei musicista, come si vedrà in
dettaglio nel terzo capitolo.
Per quanto riguarda il testo si è scelto di mantenere la maiuscola poetica all’inizio di ogni verso, e
la punteggiatura, già variabile nelle fonti autografe di entrambe gli autori e ancor più nelle edizioni a
stampa, è stata ridotta all’essenziale.
L’intercalare tra le strofe, che per Mameli è Stringiamci…, nella partitura di Novaro è sempre
indicato con Fratelli etc…. Questa indicazione potrebbe sembrare in contrasto con quanto avviene
nella prima esposizione in cui l’iniziale canto monodico e la successiva risposta corale ripetono il
medesimo testo. In effetti in una delle edizioni Magrini12 e in una partitura manoscritta del fondo
Stefano Tempia,13 custodito nella biblioteca del Conservatorio G. Verdi di Torino, la seconda parte
ripete il testo di ognuna della prime tre strofe prima di concludere con Stringiamci ecc.. Dobbiamo
ritenere che gli utilizzatori di queste partiture in esecuzioni dell’inno più estese della sola prima
strofa, seguissero questa distribuzione del testo, ma le indicazioni dell’autore sul Refrain tra le strofe
sono chiare e univoche, pertanto in esecuzione estese o integrali che intendano rispettare il testo
originale, la seconda parte sarà sempre cantata ripetendo il testo: Fratelli d’Italia …. Sì.
Tuttavia, da questo manoscritto e da questa edizione, traiamo utili indicazioni per l’esecuzione
delle strofe successive alla prima: la seconda e terza strofa della parte vocale sono scritte per esteso e
iniziano in corrispondenza alla battuta 13 della partitura, eliminando così dalla ripresa le prime dodici
battute. Negli autografi di Novaro solo la prima strofa è scritta per esteso, quindi non abbiamo la
prosodia delle strofe successive alla prima e nemmeno una precisa indicazione riguardo al
collegamento tra le diverse strofe, pertanto abbiamo ritenuto valide per la nostra edizione critica le
soluzioni suggerite da questi documenti coevi, mettendo tuttavia in evidenza nelle annotazioni alla
partitura eventuali scelte prosodiche alternative derivanti sia dalla tradizione esecutiva che da diverse
considerazioni sulla metrica poetica.
12
L’editore Magrini, i suoi successori Racca e Balegno, e anche Giudici e Strada stamparono varie volte nel corso
dell’Ottocento l’Inno utilizzando sempre il numero della prima edizione 1193.
13
Il fondo conserva l’archivio del musicista e compositore piemontese, Stefano Tempia (1832-1878), fondatore nel 1875
l’Accademia Corale Stefano Tempia, prima associazione musicale del Piemonte e Accademia corale più antica d’Italia.
29
Capitolo 3
ANALISI E INTERPRETAZIONE MUSICALE
3.1 Premessa
Se è pur vero, come ha scritto Marco Grondona, che «fra scrittura e suono, in musica, c’è sempre
un divario incolmabile e dunque non dobbiamo illuderci di capire sino in fondo quello che sta
scritto»,1 il lavoro che comunque spetta ai musicisti che fanno rivivere le opere di un passato
prossimo o remoto è proprio quello di ridurre nel miglior modo possibile quel «divario
incolmabile» tra il progetto creativo del compositore e la sua rinascita percepibile nel tempo
presente. Il primo passo, ovvero la lettura attenta di ogni dettaglio della partitura, non è comunque
sufficiente poiché è fondamentale approfondire tutte quelle implicazioni che possono essere solo
intuibili in quanto implicite nel testo, rinviando a competenze sulla prassi esecutiva e sul contesto
stilistico dell’epoca di provenienza di un’opera.
Infine riteniamo occorra non lasciarsi influenzare da modalità di esecuzione accreditate, in
quanto consolidate in una certa tradizione, e ugualmente non cadere nella tentazione narcisistica di
sovrapporre la propria visione personale al senso originario; evitare i luoghi comuni, le scelte
scontate, compiere insomma quella «piccola, salvifica apocalisse», per usare le parole di Alessandro
Baricco, «che ha un nome: interpretazione».2 Si tratta di un lavoro difficile e impegnativo che
richiede al musicista adeguate qualità, ampie competenze e la volontà ferrea di perseguire un
risultato valido e apprezzabile non solo per se stessi, ma soprattutto per il pubblico che solo
attraverso l’interprete può fare esperienza dell’opera musicale, può valutarla e apprezzarla.
Potremmo affermare che per l’interprete valga la definizione di demiurgo nel senso etimologico di
lavoratore pubblico,3 ma anche in senso filosofico: nei limiti di quel microcosmo rappresentato da
un’opera musicale, l’interprete è il demiurgo chiamato a ordinarla e ricrearla nel rito che officia a
favore del pubblico.4
Giuseppe Verdi, in una lettera all’amico Vincenzo Torelli,5 sottolinea la necessità che
l’interprete sia all’altezza del compito affidatogli dal compositore. In particolare per le parti vocali
occorre che «il cantante abbia le capacità e i mezzi atti a rendere la parte».6 Sappiamo dagli
aneddoti sulla sua vita, quanto scrupolo Verdi mettesse nelle prove per raggiungere il risultato
voluto, ben conscio che «un’opera mal eseguita, o fiaccamente eseguita, è come un quadro visto al
buio: non si capisce».7
1
MARCO GRONDONA, Lezioni di musica: una introduzione alla storia della musica, Roma, Armando, 1999, p. 48.
ALESSANDRO BARICCO, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin - Una riflessione su musica colta e modernità,
Garzanti, 1992, p. 26.
3
Da δήμιος (dèmios) del popolo, e ἔργον (èrgon) opera oppure ἐργάτης (ergàtes) lavoratore, esecutore.
4
Può sembrare eccessivo definire l’esecuzione in pubblico della musica un “rito” tuttavia molti elementi come il
legame emotivo che si crea tra musicista e pubblico, il radunarsi in luoghi deputati seguendo convenzioni collettive di
comportamento e l’alone quasi magico che avvolge il concerto, lo caratterizzano come tale.
5
Vincenzo Torelli (1807-1882) è stato un giornalista, librettista, scrittore, editore, nonché impresario d'opera italiano, di
origine arbëreshë.
6
GAETANO CESARI e ALESSANDRO LUZIO, I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura della commissione esecutiva per le
onoranze a Giuseppe Verdi nel primo centenario della nascita, Milano, Stucchi Ceretti, 1913, p. 484 lettera del 14
maggio 1857.
7
Ivi.
2
30
In questo capitolo si espongono le ragioni delle scelte effettuate nella nostra edizione della
partitura affinché sia il più coerente possibile con le fonti autografe. Inoltre, senza la pretesa di
raggiungere un risultato perfetto e definitivo, si vogliono offrire informazioni e riflessioni ricavate
dall’analisi della produzione dell’autore e dal contesto stilistico della sua epoca, comunque utili ai
musicisti che vogliano cimentarsi nell’esecuzione de Il canto degli Italiani con una consapevolezza
interpretativa che sappia illuminare il quadro musicale, rivelare dettagli e sfumature, valorizzare
come merita l’opera di Mameli-Novaro.8
3.2 La macrostruttura
La poesia di Mameli ha una metrica ben organizzata e Novaro, come abbiamo visto nel secondo
capitolo dedicato alle fonti, interviene solo marginalmente sui versi con piccoli aggiustamenti
eufonici e con l’unica aggiunta del Sì finale come accento conclusivo.
Ogni strofa è composta da otto senari: il primo verso come il terzo e il quinto sono sdruccioli, o
terminano comunque con un dittongo; sono piani e rimano fra loro il secondo e il quarto verso,
nonché il sesto e settimo; tutti i versi finali di strofa sono tronchi e rimano fra loro. Il ritornello è
formato da tre senari: i primi due rimano fra loro, l’ultimo è tronco e rima con tutti i versi finali di
strofa.9 Metrica e rime elegantemente varie, che Novaro utilizza sapientemente.
La struttura generale della partitura è analizzata con chiarezza da Roberto Iovino:
Appartenente alla categoria degli inni patriottici bellicosi, sul modello della Marsigliese, il Canto degli
Italiani tradisce nel suo teso lirismo il legame col melodramma (è un «Canto», non una marcia). Lo si può
immaginare come una scena teatrale: il tenore (l’eroe) si rivolge al coro (il popolo) con un’invocazione
(«Fratelli d’Italia / l’Italia s’è desta», Allegro marziale in Si bemolle maggiore); il popolo ascolta, freme e
poi ripete (Allegro mosso, Mi bemolle maggiore), sottovoce, quasi a volersene convincere; poi, la
decisione di combattere («Stringiamci a coorte», Do minore) inizialmente piano per poi crescere e
accelerare fino all’esplosione finale in Mi bemolle maggiore (inconsueta la conclusione in altra tonalità
rispetto all’avvio).10
Il parallelo con La Marsigliese è comprensibile, ma può essere fuorviante. Certamente i due inni
sono accomunati dallo straordinario e immediato successo di popolo e dal tono bellicoso con cui
incitano i fratelli, i figli della Patria alla lotta di liberazione, in antitesi agli inni dal tono solenne
come quello inglese e quello austriaco,11 dove i sudditi invocano da Dio protezione e salvezza per le
8
Il concetto di interpretazione, che impone rigore e coerenza rispetto all’opera, non va confuso con la libera
rielaborazione di un materiale musicale, che è diritto di ogni artista realizzare: chi non ammira un genio del rock come
Jimmy Hendrix quando scatena il suono lancinante della sua chitarra elettrica sul tema dell’inno statunitense?
(Woodstock 1969). Come citazione di Hendrix, il chitarrista Pino Russo ha rielaborato la musica dell’inno novariano
per la colonna sonora dei titoli di coda nel docufilm Il Canto degli Italiani al minuto 23:12. Vogliamo ancora segnalare,
a proposito di rielaborazioni dell’inno, la straordinaria performance in occasione della finale di Supercoppa Italiana
2015, della giovane violista ucraina, ma ormai italiana di adozione, Anastasiya Petryshak.
9
Dalle note ai testi di Giuseppe Vettori pubblicate nel cd Il Canto degli Italiani, Progetto Scriptorium, 2002.
10
ROBERTO IOVINO, voce NOVARO, Michele, in Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013).
11
Il riferimento è all’inno austriaco musicato nel 1797 dal Franz Joseph Haydn (1732-1809), che oggi è la musica
dell’inno nazionale tedesco. Anche ai reali Savoia fu dedicato un inno analogo: Hymnu sardu nationale (Inno sardo
nazionale) testo di Vittorio Angius musicato da Giovanni Gonella, prima esecuzione Cagliari 20 febbraio 1844.
L’incipit in sardo logudorese recita: Cunservet Deus su Re/Salvet su Regnu Sardu (traduzione: Iddio conservi il Re /
Salvi il Regno Sardo).
31
maestà reali. Tuttavia si distinguono per altri aspetti. Il primo è la coerenza ideologica: La
Marsigliese rappresenta un paradosso stridente perché il popolo scelse inconsapevolmente come
simbolo della rivoluzione repubblicana l’opera di un convinto monarchico, Rouget de Lisle,12
mentre gli autori di Fratelli d’Italia incarnavano gli ideali contenuti nel loro canto. La seconda
distinzione è musicale: La Marseillaise è una marcia, è stata scritta da un militare per far cantare i
soldati Marchons marchons mentre tengono un passo regolare, diversamente Il Canto degli Italiani,
composto da un cantante d’opera, «è un «Canto», non una marcia» come giustamente sottolinea
Iovino. E non è superfluo ripeterlo perché è l’equivoco maggiormente fuorviante nell’
interpretazione musicale del nostro inno, come testimoniano le numerose esecuzioni che ascoltiamo
sovente, colpevoli di banalizzare la musica di Novaro fino al livello di una insignificante marcetta.13
La musica di Novaro ha un andamento alterno: da un Allegro Marziale (o Moderato) ad Allegro
Mosso, un’agogica14 complessa e sensibile alle direzioni suggerite dalla linea melodica, insomma è
intrisa di quel «teso lirismo» che dichiara apertamente il suo «legame col melodramma».15
La sintetica analisi di Iovino traccia lo sviluppo della scena teatrale, già definita nei dettagli dalla
testimonianza di Bersezio nel capitolo 1, collegandolo alle indicazioni di andamento e al percorso
armonico di Novaro, semplice ed essenziale, ma efficace nel sostenere le diverse situazioni.
Per quanto «inconsueta la conclusione in altra tonalità rispetto all’avvio» è tuttavia tipica del
procedimento compositivo novariano e la ritroviamo in altre sue composizioni tra cui È risorta16 e
Inno di guerra17 dove utilizza appunto l’identica alternanza tra Si bemolle maggiore e Mi bemolle
maggiore.
Possiamo ritenere che la tonalità iniziale di Si bemolle maggiore sia stata scelta da Novaro per
offrire la miglior tessitura alla linea melodica affidata alla voce di tenore. Inoltre questa tonalità
iniziale e il successivo Mi bemolle maggiore favoriscono l’orchestrazione per gli strumenti a fiato
che in buona parte sono tagliati in Si bemolle o in Mi bemolle. Quindi una tonalità “facile” che
risponde a quel criterio psicologico sinteticamente espresso da Robert Schumann: «sentimenti
semplici richiedono tonalità semplici».18
12
Claude Joseph Rouget de Lisle (1760-1836) ufficiale del Genio Militare, poeta e musicista, scrisse le Chant de guerre
pour l'armée du Rhin, poi divenuta La Marseillaise, nel 1792, utilizzando la melodia del Tema e variazioni in Do
maggiore per violino e orchestra (1781) del compositore e violinista italiano Giovanni Battista Viotti (1755-1824), e
correttamente non firmò la musica. Per la cronaca dei paradossi: Viotti fu a Parigi musicista e impresario di corte e
intrattenne rapporti di amicizia con la regina Maria Antonietta, poi decollata dalla Rivoluzione; il maresciallo Nicolas
Luckner a cui l’inno era dedicato e il barone Philippe-Frederic de Dietrich che l’aveva commissionato ebbero la stessa
sorte, che sfiorò anche Rouget de Lisle, imprigionato nel 1793 per essersi rifiutato di giurare fedeltà alla nuova
repubblica.
13
Già nel 1950 Massimo Mila prospettava la nascita di una nuova disciplina musicologica, la storia dell’interpretazione
musicale, sostenuta dalle nuove tecnologie: «nel nostro secolo grammofoni, discoteche e film sonoro assicurano alla
storia dell’interpretazione una ricchezza e una comodità di materiali, un significato duraturo, cui essa non aveva mai
potuto aspirare prima.» (Massimo Mila, L’esperienza musicale e l’estetica, Einaudi, 1950, p. 180). Il tal senso un’ampia
documentazione la fornisce GIANLUCA TARQUINIO, Il Canto degli Italiani. Storia e discologia dell’Inno Nazionale
Italiano (1901-2011) Con CD allegato contenente registrazioni storiche tratte dalla collezione Domenico Pantaleone,
L’Aquila, Kirke, 2015.
14
L’agogica, ovvero quelle minime variazioni della durata dei suoni e dell’andamento che non sempre possono essere
codificati in partitura, è uno degli aspetti più qualificanti dell’intelligenza musicale dell’interprete.
15
Iovino, op. cit..
16
È risorta, su testo di Anton Giulio Barrili, Milano, F. Lucca n.12374.
17
l’Inno di guerra /Ultimo canto di G. Mameli, Genova, G. Poma n. 990.
18
ROBERT SCHUMANN, Gli scritti critici, Milano, Ricordi-Unicopli, 1991, p. 256.
32
Altro dato importante è l’organico: insieme all’immancabile pianoforte, Novaro sceglie le sole
voci virili dei tenori, divisi in primi e secondi, e bassi: un colore timbrico in linea con il carattere
marziale dell’inno.19
3.3 Introduzione battute 1-8
L’andamento indicato da Novaro all’inizio del brano è Allegro Marziale. La frequenza della
pulsazione del tempo Allegro è convenzionalmente associata ad una velocità di metronomo molto
variabile compresa tra i 120 e i 168 battiti per minuto nella maggior parte delle tabelle di
corrispondenza. Novaro non usava indicare nelle sue composizioni un valore di metronomo, tuttavia
la variante dell’indicazione di andamento presente in MsGe,20 Allegro Moderato, ci orienta verso un
valore contenuto della velocità ritmica che possiamo ragionevolmente immaginare all’interno di un
intervallo che va approssimativamente dai 120 ai 130 battiti per minuto.21
L’aggettivo marziale per l’assonanza con il termine marcia ha indotto un grave fraintendimento
sul suo significato con la conseguenza di suggerire l’andamento rigidamente regolare e marcato
tipico di una marcia. Invece marziale si riferisce ovviamente a Marte, il dio della guerra, quindi il
suo significato di battagliero, combattivo, pugnace, va riferito non tanto alla scansione ritmica,
quanto all’atteggiamento psicologico che si vuole esprimere nell’esecuzione del brano. Marziale
caratterizza frequentemente le indicazioni di andamento degli inni patriottici coevi: lo ritroviamo,
ad esempio, nel Suona la tromba, sia nella versione musicata da Daddi che in quella di Verdi, negli
inni La Costituzione di Carlo Coccia su testo di Giuseppe Bertoldi, Il Ritorno di Marchisio su testo
di Carlo Margari, La coccarda di Felice Rossi su testo di Bertoldi, tutti brani in cui il significato di
marziale si chiarisce ulteriormente nello svolgersi delle partiture.
Il carattere guerresco è subito evidente nelle prime note in partitura:
L’insistente ribattere sulla tonica richiama i segnali militari, le cosidette ordinanze, una sorta di
alfabeto Morse22 ante litteram con cui i militari comunicavano a distanza comandi e informazioni
per mezzo di trombe e tamburi. Jean-Georges Kastner nell’appendice del suo manuale di musica
militare riporta numerosi esempi di segnali militari, e in particolare quelli in uso nell’esercito
19
Altrove per ottenere un diverso impasto timbrico Novaro inserisce le voci dei soprani a doppiare in ottava i tenori
come ad esempio in Grido Siculo su testo di Francesco Dall’Ongaro e nel mameliano Suona la Tromba.
20
Abbreviazione per il manoscritto della partitura custodito presso il Museo del Risorgimento di Genova come stabilito
nel precedente capitolo 2.
21
A puro titolo esemplificativo minimale, senza voler condizionare la libera scelta di ogni interprete sulla velocità
dell’Allegro Marziale, si propone l’ascolto delle esecuzioni dirette da Riccardo Muti e Giovanni Allevi, musicisti molto
diversi, ma convergenti nella scelta del valore di metronomo di circa 120 battiti per minuto per la prima parte del Canto.
22
Samuel Morse (1791-1872) pittore e storico statunitense, inventore del telegrafo elettrico e del codice di trasmissione.
33
piemontese ripresi dal Regolamento d’esercizio per l’Infanteria, Torino 1816.23 Un nutrito catalogo
di segnali con i più vari significati costituiti da brevi cellule ritmico-melodiche molto simili a quelle
che Novaro scrive nelle prime otto battute. Nell’introduzione pianistica della sua versione dell’inno
Suona la tromba di Mameli il richiamo a segnali militari è esplicitamente dichiarato dalle
indicazioni degli strumenti da imitare: trombe e tamburri.
Nell’introduzione del Canto il ribattuto si conclude a battuta 2 con un moto ascendente, che
sembra imitare la cadenza interrogativa del linguaggio parlato. In risposta le successive due battute
chiudono la prima frase:
Idem nelle successive 4 battute alla relativa minore:
Di grande effetto le ampie pause, lunghi attimi di silenzio, parentesi di vuoto in netto contrasto
con la pienezza sonora richiesta dall’iniziale indicazione dinamica di ff (fortissimo).24 Pause che
23
JEAN-GEORGES KASTNER, Manuel général de musique militaire, Parigi, Didot, 1848. Appendice p. 34 Sonneries de
l’Infanterie Piemotaise. Riedizione moderna: Genéve, Minkoff Reprint, 1973.
24
In alcune orchestrazioni è stata introdotta una variazione della dinamica nelle prime 8 battute: 1-2 forte, 3-4 piano, 56 forte, 7-8 piano, per accentuare il senso di domanda e risposta creando un’alternanza dinamica, ma questa
34
isolano i quattro frammenti come cesure,25 sospendono il continuum temporale rimarcando
ulteriormente la distanza da un rigido e regolare andamento di marcia.
3.4 Introduzione battute 9-12
A battuta 9 leggiamo vibrato.26 Se per la voce e per gli strumenti a intonazione variabile, il
vibrato è l’oscillazione periodica e modulabile dell’intonazione e dell’intensità nello svolgersi del
suono, qui abbiamo il solo pianoforte, il cui suono non ha la possibilità di vibrare. Quindi
l’indicazione ha un altro significato, non è rivolta alla materia sonora, ma vuole suggerire il
sentimento che l’esecutore dovrà infondere in questo passaggio musicale: una distesa linea
ascendente di una battuta che, giunta al culmine, si frammenta in una progressione discendente,
dove ritroviamo le cellule ritmiche dei segnali di apertura fino ad approdare nel registro grave alla
preparazione ritmico-armonica dell’ingresso del canto. Possiamo intendere vibrato come fremente,
appassionato, veemente, ma per utilizzare i termini tecnici del linguaggio musicale, dobbiamo
tradurlo con sostenuto oppure espressivo indicazioni che comportano fraseggio legato e dilatazione
del flusso ritmico per la prima parte della frase fino al culmine, da battuta 9 a metà della 10, quindi
una graduale ripresa del tempo che si stabilizzerà con a tempo nella battuta 12. Si crea così l’arcata
fraseologica che andrà sottolineata con un naturale e implicito crescendo e diminuendo.
Possiamo notare come nei già citati inni di Magazzari e Rossi,27 le introduzioni pianistiche hanno
strutture molto simili: prima richiami separati da pause, quindi un’ampia frase che da toni acuti
precipita verso il grave lasciando per quasi due battute i soli bassi alla mano sinistra a preparare
l’ingresso anacrusico del canto.
manomissione non trova nessuna giustificazione nella scrittura di Novaro e risulta ridicola se si considerano queste
battute imitazioni di segnali militari che certamente non venivano suonati sottovoce sul campo di battaglia.
25
La cesura ha durata non vincolata al valore matematico della pausa.
26
Termine ricorrente nelle composizioni di Novaro: ad esempio, nel suo Il canto del Dragone su testo di Francesco
Dall’Ongaro, all’introduzione pianistica indica molto vibrato.
27
Sono gli inni che animavano la riunione in casa Valerio secondo la cronaca di Barrili riportata nel capitolo 1.2. Vedi
note 11 e 13 nel capitolo 1.2.
35
3.5 Introduzione battute 12-14
In merito alle battute 12 e 13 dobbiamo constatare che in numerose trascrizioni e orchestrazioni
odierne le due battute si riducono ad una sola: perché? Può sembrare superfluo ripetere la battuta 12
solo se le due battute hanno lo stesso carattere, ma se, seguendo l’indicazione di vibrato della
battuta 9, l’andamento si è dilatato e gradualmente ricomposto, la battuta 12 è la battuta di
assestamento dell’implicito a tempo che necessita di una seconda battuta per stabilizzarsi e
consentire l’attacco in levare del tema su un ritmo regolare e su una intensità moderata che conceda
spazio sonoro all’ingresso del canto.
Gli esempi sopra citati di Magazzari e Rossi (ma se ne potrebbero citare altri) confermano tale
prassi, uno degli stilemi d’uso comune tra i musicisti contemporanei. Riteniamo che non vada
assolutamente cancellato, con il taglio della battuta 13, quel senso di attesa che le due battute
creano e che esalta l’apparizione del primo verso Fratelli d’Italia.
3.6 Canto battute 13-17
L’indicazione dinamica dell’incipit del canto f con molta energia evidenzia che per Novaro la
semplice presenza del segno di forte non era sufficiente a indurre l’esecutore ad esprimersi con la
giusta carica sonora. Si tratta di un’indicazione inconsueta, che ci ricorda per originalità e
significato il Fieramente assai posto da Rouget de Lisle all’incipit del suo Hymne des Marseillais
come pubblicato dall’autore nel 1825.28 Indicazioni che non rientrano nella terminologia codificata
e purtroppo vengono tralasciate o sostituite nelle edizioni meno attente al rispetto del testo
28
La partitura nella versione originale pubblicata da Rouget de Lisle nel 1825 nella raccolta dei suoi Cinquante Chant
Français è visionabile sul sito IMSLP Petrucci Music Library.
36
originale, devono invece essere valorizzate proprio perché impiegate dal compositore per elaborare
quel personale vocabolario che ne caratterizza la scrittura. Nell’opera di Novaro l’indicazione con
molta energia (o i similari energico, con energia) è ricorrente: la leggiamo ad esempio della sua
versione dell’inno mameliano Suona la tromba all’incipit delle parti vocali:
Del resto la linea melodica del primo verso permette di espandere con facilità la dinamica: la
stessa nota Fa ripetuta tre volte con un rapido melisma alla seconda superiore tra la seconda e la
terza ripetizione, pausa per la ripresa di fiato e il tutto si ripete trasposto una sesta sopra.
Sul melisma “croma con punto e semicroma”, il cosiddetto ritmo puntato, è necessario un
approfondimento in merito all’articolazione: normalmente nel cantato due diverse note che intonano
la stessa sillaba vengono eseguite legate, ovvero non si sottolinea con un accento il cambio di
altezza della medesima vocale. Anche la particolare grafia delle parti vocali suggerisce il legato
collegando con un’unica travatura i gambi delle note, di durata inferiore al quarto, per una stessa
sillaba, mentre per sillabe diverse i gambi restano sciolti. Nella musica strumentale la stessa
scrittura non è da eseguirsi legata se non in presenza della legatura di portamento tra i suoni e
infatti nelle orchestrazioni più accorte dell’inno vediamo il tema con le due note del melisma sotto
legatura.29 Un chiarimento in merito possiamo trarlo indirettamente dalla documentazione che la
figlia di Novaro, Giuseppina anche lei musicista, fornì «a memoria, in base ai ricordi paterni»30 per
la pubblicazione da parte di Domenico Alaleona di una «trascrizione per voci di fanciulli». Nella
versione de Il Canto degli Italiani pubblicata da Alaleona, dichiaratamente fedele alla «linea
melodica originale comunicata anche dalla figlia di Novaro», troviamo puntualmente le legature di
portamento su tutti i melismi con ritmo puntato. Abbiamo quindi ritenuto certamente utile
l’inserimento di queste legature nella nostra edizione. Non si è considerato necessario includerle tra
parentesi, come si usa per evidenziare gli apporti del revisore, non solo per non appesantire la
grafica, ma soprattutto perché questo apporto viene da una fonte autorevole, la figlia di Novaro,
che con queste parole accompagnava l’invio della partitura al Ministero dell’Istruzione Pubblica,
promotore del concorso canoro dedicato a Fratelli d’Italia nell’ottobre del 1923:
Pur non essendo questa copia tratta dall’autografo, che fu smarrito alla morte di mio Padre, posso
assicurare che è conforme all’originale, perché fin da bambina così lo udii suonare, cantare e insegnare da
mio Padre ai suoi allievi della Scuola popolare gratuita di canto in Genova.
29
Vedi ad esempio le orchestrazioni “storiche” di Giuseppe Mariani, Alighiero Stefani e Alessandro Vessella
pubblicate da Ricordi o la recente orchestrazione di Giancarlo Gazzani commissionata dall’Orchestra Sinfonica
Nazionale della RAI.
30
DOMENICO ALALEONA (a cura di), Il Canto degli Italiani / di Goffredo Mameli e Michele Novaro, Roma, Tipografia
Operaia Romana Cooperativa, 1924, rispettivamente pp. 24, 25-27, 24, 6. La pubblicazione fu predisposta per la Gara
Nazionale di canto “Fratelli d’Italia” tra gli alunni delle Scuole Elementari Italiane da Domenico Alaleona (18811928) musicista e musicologo, titolare (dal 1916) della cattedra di estetica e storia della musica al Conservatorio di
Santa Cecilia a Roma, autore dell'opera Mirra (Roma 1920), di numerose liriche e del volume Studi sulla storia
dell'oratorio musicale in Italia (1908). Critico musicale dei giornali Il mondo e Il Lavoro d'Italia, fu tra i fondatori della
Società nazionale di musica moderna, e direttore del Gruppo dei madrigalisti romani da lui costituito nel 1926.
37
Un altro dettaglio da rimarcare nella linea melodica del canto è l’uso delle pause che, oltre a
permettere comode inspirazioni a garanzia di un adeguato sostegno polmonare all’esposizione del
tema da cantarsi appunto f con molta energia, a battuta 14 separa nettamente i due termini Fratelli e
d’Italia centrati rispettivamente sul Fa e sul Re, due note a distanza di sesta e quindi piuttosto
lontane sia come timbrica che come emissione vocale. Inoltre nelle battute 14 e 15 le pause
permettono all’accompagnamento di emergere con il battere secondario della battuta di 4/4 ovvero
il terzo movimento su cui il ritmo puntato nel secondo quarto ha indirizzato l’accentuazione
rafforzandola. Diversamente, alla battuta 16 la pausa è assente, mentre il Re si prolunga per due
quarti dando spazio alla voce per espandere l’ultima sillaba di Italia prima della cadenza che chiude
la frase a battuta 17. Purtroppo dobbiamo constatare che l’inserimento a battuta 16 di una pausa per
analogia al disegno delle battute precedenti è uno dei travisamenti della scrittura più frequenti nelle
esecuzioni correnti e ha la grave colpa di privare lo sviluppo del canto di un importante e
interessante elemento di varietà espressiva.
3.7 Dissonanza battute 15-17
Alla battuta 16 il basso cambia: perde il ritmo puntato sul secondo movimento sostituito dalla
semiminima e quindi interrompe quell’alternanza tra il ritmo puntato del canto sul primo
movimento e il ritmo puntato del basso sul secondo movimento.
Nella stessa battuta sul primo movimento è introdotto nell’armonizzazione della melodia un La,
nota fortemente dissonante con l’accordo di Si bemolle maggiore, evidenziato nell’esempio dalla
linea tratteggiata. Come si è visto nell’analisi delle fonti, nel solo MsGe sul battere della battuta 16
al basso troviamo la nota Fa, che evita il prodursi della dissonanza (versione ripresa in numerose
edizioni, anche storiche), mentre negli autografi MsTo e MsMi Novaro adotta il passaggio con la
dissonante settima maggiore (vedi cap. 2.4. punto 5): una scrittura che alcuni trovano stilisticamente
discutibile. Tuttavia una conferma ulteriore di questa scelta compositiva proviene da un altro brano
datato 1864: Roma e Venezia Gran polka nazionale,31 un pot-pourri di ballabili per pianoforte dove
compaiono inframmezzati sia la Marcia Reale di Giuseppe Gabetti che il primo tema di Fratelli
d’Italia. Dalla battuta 101 si legge la citazione nella tonalità di Mi bemolle maggiore:
31
MICHELE NOVARO, Roma e Venezia Gran Polka Nazionale, A S.A.R. Principe Oddone, per pianoforte, Torino,
Giudici e Strada 7649, 1864.
38
Da notare quindi che alla battuta 105 ritroviamo la dissonanza di settima maggiore tra in Mi
bemolle al basso e il Re che armonizza una terza sopra la linea del canto. Idem nel finale la
citazione del tema nella tonalità di Fa maggiore:
Possiamo perciò dedurre che la presenza di tale dissonanza sia un elemento stilistico ricorrente
nella scrittura di Novaro, utile a produrre quella tensione armonica che rende una frase più dinamica
ed espressiva. Alla battuta 16 l’intervallo di settima maggiore Si bemolle-La ha dunque l’effetto di
creare una mobilità tra le voci che direziona in avanti l’espansione della frase verso la consonanza
del secondo e terzo movimento, quando l’arrivo del Fa al basso risolve la disarmonia impostando la
normale cadenza perfetta dominante-tonica che chiude la frase.
Inoltre l’insistenza del Si bemolle sul battere della battuta, in continuità con le quattro battute
precedenti, rafforza la funzione di Urton,32 il suono generatore, che la tonica Si bemolle ha
dall’inizio della composizione. Si può ritenere l’insistenza sulla tonica una scelta estetica naïf, in
linea con un certo arcaismo del linguaggio armonico riferibile agli stilemi della musica popolare;
scelta che trova conferma nella citazione del tema novariano inserita da Giuseppe Verdi nel suo
Inno delle Nazioni, quando tutte le prime otto battute di esposizione nella tonalità di Do maggiore
da parte dell’orchestra poggiano su un costante pedale di tonica, come si nota nel seguente estratto
dalla riduzione per canto e pianoforte:
32
Il termine deriva dalla lingua tedesca e unisce il prefisso Ur che significa antichissimo, primordiale, originario, e la
parola Ton suono. Il concetto di Urton è stato utilizzato in modo particolarmente suggestivo nelle teorie cosmogoniche
elaborate da Marius Schneider (1903-1982) musicologo e professore universitario tedesco.
39
Il terzo e quarto verso Dell'elmo di Scipio / S'è cinta la testa sono musicati da battute da 17 a 21
in modo identico ai due precedenti, quindi alla battuta 20 ritroveremo la stessa settima maggiore
dissonante che ritornerà nella cadenza conclusiva della prima parte al battere della battuta 28 con
maggior evidenza per il raddoppio all’ottava del La.
3.8 Canto battute 21-26
Da Giuseppina Novaro riceviamo un’altra utile indicazione sul levare della battuta 22: «alle
parole «Dov’è la vittoria» … dolcemente».33 A prescindere da questo suggerimento, è evidente che
dopo otto battute cantate forte con molta energia si rende necessario una variazione dinamica, un
mezzoforte che faccia risaltare l’accento della sincope sul secondo movimento di battuta 22 per
tornare con un progressivo crescendo al forte che sostiene il culmine della frase con l’impegnativo
salto di ottava ascendente tra le battute 24 e 25. Sul Mi bemolle alla sillaba finale di la chioma, solo
in MsGe si legge il punto coronato seguito alla battuta successiva da a tempo:
33
ALALEONA, op. cit. p. 24.
40
Il punto coronato oltre a prolungare a piacere la nota, influenza l’agogica di tutta la frase che si
apre gradualmente per sospendersi sul Mi bemolle a battuta 25 e poi recuperare l’andamento
precedente, senza soluzione di continuità con il levare di battuta 26, che ripropone il tema iniziale
del canto. Nella nostra edizione il punto coronato e l’a tempo sono stati mantenuti, includendoli
però tra parentesi in quanto indicazioni presenti solamente in MSGe e quindi non univoche.
Diversamente il dolcemente inserito da Giuseppina Novaro a battuta 22 non è stato introdotto
nella partitura, poiché non trova conferma né negli autografi dell’autore, né nelle prime edizioni a
stampa. Tuttavia per un simile suggerimento, che possiamo ritenere coerente alla scrittura, implicito
nella prassi esecutiva specifica e soprattutto proveniente da una fonte autorevole, ci associamo
all’invito di Alaleona a conclusione delle sue note introduttive:
«Di tali indicazioni tenga scrupolosamente conto l’intelligente esecutore». 34
3.9 Canto battute 26-30
Tra le diverse versioni della battuta 26 (vedi cap. 2.4 punto 7) abbiamo scelto quella con la
croma invece della semiminima sul secondo movimento a chiusura della riproposizione della prima
cellula tematica ai versi Ché schiava sia per avere un interessante elemento di variazione, che per
lasciare un ottavo in più di pausa a vantaggio di una comoda inspirazione prima della potente ed
estesa frase finale.
Da notare un’altra importante variazione nella ripresa della seconda cellula del tema: a battuta 27
non c’è la pausa sul terzo movimento,35 e la frase di Roma Iddio la creò ha un magnifico arco
continuo di sviluppo fino alla cadenza.
34
Ibidem.
Inserire la pausa è uno degli errori più frequenti nelle esecuzioni dell’inno, indotto dalle precedenti esposizioni del
tema, ma ogni musicista sa che sono proprio le variazioni a rendere interessanti le riproposizioni.
35
41
L’efficace formula di chiusura ha un’evidente somiglianza con la cadenza della prima parte
dell’inno di Magazzari:36
Evidentemente, dobbiamo pensare che compositori artigiani come Novaro attingessero con
disinvoltura a quel vasto catalogo di elementi comuni del linguaggio musicale, ampiamente
condivisi e senza pretese di eccessive originalità, che favorivano la comunicazione e la
comprensione tra compositori e pubblico.
3.10 Ponte modulante battute 29-31
Le due battute ponte all’Allegro Mosso e alla tonalità di Mi bemolle maggiore, ripropongono il
ritmo ribattuto dei segnali militari iniziali alternati a pause, da intendersi come cesure che,
separando le incisive cellule ritmiche, ne aumentano l’efficacia espressiva.37 Al cambio di
andamento e di tonalità si associa anche un netto cambiamento dinamico con l’indicazione
pianissimo.
Da notare, in MsTo, che l’arrivo del passaggio cromatico in ottave sul battere di battuta 31
presenta una pausa alla mano destra del pianoforte e lascia alla sola mano sinistra il Mi bemolle in
ottava come attracco del ponte modulante. Una scrittura particolarmente efficace per rendere netto e
immediato il cambio di dinamica, ma che non si ritrova in MsGe e MsMi, dove sul battere di
battuta 31 il Mi bemolle d’arrivo è presente in ambedue i righi: perciò nella nostra edizione
abbiamo lasciato libero l’interprete di scegliere tra le due soluzioni ponendo tra parentesi il Mi
bemolle in ottava alla mano destra.
3.11 Seconda parte Allegro mosso
Alla battuta 31 inizia la seconda parte de Il Canto degli Italiani dove Novaro realizza l’elemento
più originale e innovativo generato dall’«idea che fece nascere il motivo e l'andamento di questo
36
La partitura manoscritta è visionabile sul sito della Biblioteca Universitaria di Genova.
Pause su cui sentiamo sovente, soprattutto nelle orchestrazioni bandistiche, avventarsi senza ritegno dei potenti colpi
di grancassa. Un vero oltraggio alla musica ancor prima che all’autore.
37
42
canto»:38 dopo il solenne annuncio di Pio IX alle «popolazioni di tutta la penisola che l’Italia
essersi desta», ora gli Italiani «si guardano attoniti, s'interrogano, si ripetono a mezza voce,
agitati, frementi, le parole del Pontefice». Con l’ingresso di un secondo attore, il popolo, si crea una
scena teatrale con due personaggi dalle caratteristiche opposte che Novaro traduce in elementi
musicali fortemente contrastanti: se nella prima parte avevamo Allegro marziale, qui l’andamento è
Allegro mosso, il canto monodico diventa un canto corale a tre voci, al forte con molta energia
subentra il pianissimo e molto concitato per la parte vocale e il pianissimo e staccato al pianoforte,
che si limita ad una essenziale pulsazione di crome alla mano sinistra.
Un’indicazione di Novaro merita particolare attenzione: il molto concitato, ovvero incalzante,
agitato e impetuoso, influisce sull’agogica dell’Allegro mosso che quindi non sarà semplicemente
un tempo più rapido del precedente, ma anche più movimentato e variabile, e si riflette anche nel
carattere del ritmo puntato che dovrà essere ben stretto e preciso.39 Novaro compie una
trasformazione radicale della poesia di Mameli infondendo con il suo personale e decisivo apporto
quella intensità narrativa ed espressiva che nasce dalla dialettica interna tra le due parti contrapposte
dell’inno.
In questa seconda parte si riconosce l’influenza di uno degli elementi caratteristici della scrittura
verdiana, a suo tempo già ben descritto dal musicologo Abramo Basevi: «Fra i modi propri del
genio Verdiano havvi il fare i ritmi staccati, o a scatti, convulsi, che scuotono fortemente l’uditore:
di questo ritmo si valse nel Coro dei Leviti».40 Nella partitura del Nabucco parte seconda scena IV
battute 13-15, ai versi Il maledetto non ha fratelli del Coro dei leviti possiamo leggere indicazioni
molto simili a quelle usate da Novaro: Presto, sotto voce al canto del coro e pp e ben staccato
all’accompagnamento strumentale (qui nella riduzione pianistica):
38
BERSEZIO, op. cit. p. 242 e passim. Vedi cap. 1.3.
Da più parti viene fatto notare che le esecuzioni più scialbe dell’inno presentano la trasformazione dell’incalzante
ritmo puntato della seconda parte in un ammorbidito ritmo terzinato, che annienta il carattere originario, putroppo.
40
ABRAMO BASEVI, Studio sulle opere di Giuseppe Verdi (1859), edizione critica a cura di Ugo Piovano, Rugginenti,
Milano, 2001, p. 10. Abramo Basevi (1818-1885: assolutamente contemporaneo di Novaro, si notino le stesse date)
dopo studi di medicina, musicali e filosofici, compose in gioventù opere liriche con scarse fortune e in seguito si dedicò
alla musicologia e alla promozione di numerose iniziative musicali. Fondò a Firenze il giornale L’Armonia (1856) e le
Beethoven Matinées (1859) che si trasformarono poi in Società del quartetto di Firenze (1864).
39
43
Nelle pagine di Novaro e Verdi ora esaminate possiamo individuare una formula musicale che
alcuni musicologi hanno categorizzato come «modalità coro dei congiurati»: Marco Beghelli
annovera tra questi cori il succitato Coro dei Leviti,41 Luigi Dalla Piccola ne descrive le
caratteristiche «figurazioni mosse, accentate e staccate»,42 e conclude, osservando questa e altre
formule adottate nel melodramma, che «il popolo italiano, attraverso questo stile formulario,
trovava la chiave per la comprensione della situazione drammatica e per vibrare all’unísono con
essa».43 Dunque Novaro adotta una precisa figura retorica del linguaggio musicale della sua epoca,
ben comprensibile e coinvolgente per il suo pubblico, ma di cui oggi rischiamo di perdere le chiavi
di lettura se mancano adeguate conoscenze del contesto stilistico e della prassi esecutiva.
3.12 Battute 37-39
Il pianissimo e molto concitato si mantiene fino a battuta 37: qui è rappresentato il momento in
cui «un susurro si leva da quella folla: si guardano attoniti, s'interrogano, si ripetono a mezza voce,
agitati, frementi, le parole del Pontefice».44 Quando poi «se ne persuadono», il crescendo sulla linea
melodica discendente ai versi Ché schiava di Roma / Iddio la creò provoca un’espansione sonora
che culmina in una sottintesa dinamica forte sul primo movimento di battuta 39, subito interrotta
dalla pausa.
41
MARCO BEGHELLI, I buoni e i cattivi: cori di congiurati a confronto, pp. 29-75 in AA. VV., Studi Verdiani 15,
Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2001, p. 71.
42
Parole e musica nel melodramma (1961-1969) pp. 66-93 in LUIGI DALLA PICCOLA, Parole e musica, Milano, Il
Saggiatore, 1980, p. 71.
43
Ivi p. 76.
44
BERSEZIO, op. cit. p. 243.
44
3.13 Battute 39-41
La frase successiva è nuovamente in pianissimo e si presenta nel tono relativo di Do minore, con
un nuovo effetto di contrasto dinamico rispetto alla frase precedente, a sottolineare la cupa
drammaticità al primo affacciarsi dell’idea della morte.
3.14 Battute 43-45
La sezione termina a battuta 43 sulla dominante di Do minore, chiusa da una pausa, una netta
cesura e opportuna presa di fiato, prima di riprendere con una transizione armonica l’accordo del
tono di impianto di Mi bemolle maggiore. Una innovativa soluzione armonica, introdotta nella
seconda metà dell’Ottocento, che Novaro utilizza per sottolineare il diverso andamento di questa
ripetizione di versi: crescendo e accelerando sino alla fine. È il momento della convinzione e del
coraggio: «Ma allora bisogna combattere e vincere […] Se lo ripetono esaltandosi».45
45
Ibidem.
45
3.15 Battute 45-47
Qui si raggiunge il culmine dinamico e agogico del crescendo e accelerando iniziato a battuta
43. È un andamento che nega ulteriormente il carattere di marcia erroneamente attribuito all’inno.
Il Canto degli Italiani si conclude con un’effetto46 capace di generare nell'ascoltatore
un’emozione e un coinvolgimento sempre più intensi e travolgenti fino all'esplosione del finale,
come programmato da Novaro:
l'entusiasmo li manda a un crescendo incalzante che si conchiude in un grido supremo, il quale è un
giuramento e un grido di guerra. E il poeta mi perdonerà se, per mandare questo grido, ho aggiunto
all'ultimo verso una sillaba: «l'Italia chiamò: Sì!».47
Sulla modalità di esecuzione di quest’ultimo Sì abbiamo nuovamente un’importante
informazione dalla figlia di Novaro per il tramite di Domenico Alaleona che così descrive la sillaba
nella partitura fornitagli da Giuseppina Novaro: «Sulla apostrofe finale “Sì”, segnata senza altezza
di suono, si trova la indicazione: parlato, a viva voce».48
Quindi il Sì finale «parlato» anziché cantato assume il carattere di un forte accento ritmicopercussivo che conclude il crescendo e accelerando finale troncandolo con la massima brevità.
Rispetto alla descritta assenza dell’«altezza di suono», abbiamo ritenuto invece di mantenerla sia
perché anche il «parlato» necessita comunque di un’altezza di riferimento, sia perché negli autografi
dell’autore è sempre annotato il Mi bemolle alla sillaba Sì. L’indicazione «parlato, a viva voce»
deve assolutamente essere rispettata per l’autorevolezza della fonte e come altre indicazioni
esplicite e implicite che abbiamo messo in evidenza in tutta l’analisi interpretativa della partitura, è
uno dei molti elementi costitutivi della prassi esecutiva novariana di cui l’esecutore deve essere
edotto e partecipe nella sua interpretazione dell’inno per poterlo restituire al pubblico al meglio
delle sue potenzialità musicali ed espressive.
46
È la tecnica di cui Rossini fu maestro tanto da meritare la definizione di crescendo rossiniano. È uno degli effetti
musicali più coinvolgenti e efficaci per scatenare gli applausi del pubblico. Sulla nozione di punto culminante in
musica, la climax, e sulla sua psicologia implicita segnaliamo il saggio di ENRICO MANCINI, La misteriosa apoteosi,
Milano, Angeli, 1998.
47
BERSEZIO, op. cit. p. 243.
48
ALALEONA, op. cit. p. 24.
46
Capitolo 4
ANALISI E RIFLESSIONI SUL TESTO 1
4.1 Il titolo
Come abbiamo documentato nel secondo capitolo dedicato alle fonti, il titolo dell’inno ha avuto
un’evoluzione dalla prima stesura di Mameli alla versione musicata da Novaro. Sulla pagina del
primo autografo in alto si legge È sorta dal feretro, forse un’ipotesi per il titolo poi accantonata nel
successivo manoscritto per Canto Nazionale. Questo titolo ci offre lo spunto per sottolineare le
significative differenze fra i termini canto e inno: il canto richiama l’atto naturale del cantare e la
poesia in senso lato, mentre il termine inno si caratterizza per il senso di esaltazione e di
celebrazione in un contesto pubblico e solenne. Mameli intitola la sua lirica più intima e dolente
L’ultimo canto, mentre intitola Inno Militare il testo musicato da Giuseppe Verdi.2 Possiamo quindi
dedurre che Mameli usi nel titolo di Fratelli d’Italia il termine canto con la chiara intenzione di
distinguerlo dal genere inno e dalle sue implicite connotazioni.
Del titolo originario Novaro mantiene nazionale unito a inno nel sottotitolo per definire il genere
musicale (vedi cap. 2.1), ma reinventa il titolo come Il Canto degli Italiani anteponendo l’articolo
determinativo, che ne rafforza l’identità e l’unicità,3 e muta l’aggettivo nazionale con la
specificazione degli Italiani. Un cambiamento notevole: l’aggettivo nazionale rinvia al concetto di
Nazione, un’entità astratta rispetto alla realtà di uomini e donne che vivono l’ideale di riunirsi in un
unico popolo, che vogliono definirsi Italiani e questo canto Novaro lo vuole di tutti e di ognuno di
loro. Ma nel 1847 gli Italiani e l’Italia esistono? Con la penisola divisa in sette stati è comprensibile
la frase di Metternich: «La parola "Italia" è una espressione geografica, una qualificazione che
riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari
tendono ad imprimerle».4 Anche dopo l’unificazione, la reale esistenza degli Italiani sarà auspicata
come ancora da realizzarsi secondo la famosa e lapidaria frase attribuita a Massimo d’Azeglio:
«l’Italia è fatta, gl’Italiani sono ancora da farsi».5
1
Questo capitolo si avvale delle note ai testi di GIUSEPPE VETTORI pubblicate nel cd Il Canto degli Italiani, Progetto
Scriptorium, 2002.
2
Il riferimento è all’inno Suona la tromba, vedi Appendice I.
3
L’articolo è parte essenziale del titolo e non deve essere omesso o articolato con preposizioni precedenti nel discorso
quando si vuole indicare il titolo esatto, perciò ad esempio è da evitare: « del “Canto degli Italiani” » mentre è corretto
scrivere: « de “Il Canto degli Italiani” »; da notare che la lettera iniziale di Canto è sempre maiuscola.
4
Dal messaggio inviato il 2 agosto 1847 al conte Dietrichstein da Klemens von Metternich (1773‒1859) Cancelliere di
Stato austriaco.
5
In questa citazione la frase è ripresa nella versione pubblicata dalla Rivista sicula di scienze, letteratura ed arti, vol. 3,
1870, p. 507, ed è interessante leggere il contesto in cui è inserita nella Rassegna Politica dell’aprile 1870 scritta da
Gabriele Colonna: «Certo non giova di calunniare gl’Italiani, chiamandoli gente disadatta alle cose di governo. Ma
grande verità è quella detta da Massimo d’Azeglio, che se l’Italia è fatta, gl’Italiani sono ancora da farsi. Gli uomini
attuali portano con sè tutti i vizii, tutti i difetti, se non altro di una generazione che ha partecipato agli ordini vecchi ed
agli ordini nuovi, che ha lottato continuamente, e che ha compiuto per la patria grandi eroismi. Anche questi, in date
circostanze, sono una difficoltà. Raramente avviene che un popolo eccella nelle armi e ne’ codici, raramente i soldati
d’una resurrezione politica si tolgono dal campo della battaglia e ancora polverosi e insanguinati e stanchi si dànno alla
elaborazione delle leggi con dottrina uguale al valore di dianzi. Certo non vogliamo scemare gli errori degli uomini, di
cui spesso abbiamo altre volte discorso ; ma ai tempi ed alle condizioni speciali va data anche la loro parte».
47
4.2 Prima strofa
Le fondamenta su cui edificare la coscienza nazionale vanno ricercate nel nostro passato e la
poesia di Mameli richiama eventi e personaggi scelti con cura nella nostra storia per offrire a tutti
gli aspiranti Italiani le radici comuni della loro identità culturale e i segni di un destino unificatore.
Ma innanzitutto bisogna uscire dal torpore passivo, annunciare ai figli di una stessa patria che la
nazione si è ripresa dall’oblio di se stessa:
Fratelli d’Italia,
L’Italia s’è desta
L’immagine del risveglio della nazione, incarnata sul modello della Marianne francese da una
giovane donna, è ricorrente nelle composizioni patriottiche: «dal tuo letargo ormai ti desta, misera
d’Italo figlia!» si invoca nella cantata filonapoleonica di Luigi Molino,6 «Bell’italia, ormai ti
desta!» è l’incipit dell’inno filoborbonico di Domenico Cimarosa,7 nell’Inno patriottico per
l’Anniversario della Battaglia di Marengo di Giacinto Calderara,8 dopo il fragoroso giuramento
contro i tiranni, la musica si attenua e il coro canta piano:
Di quel giuro il terribile suono
Udì Italia e dal sonno destossi,
Qual fanciulla atterrita se il tuono
Improvviso succede al balen.
Ma per Mameli l’Italia allegorica non è una bella addormentata da rianimare: è già attiva e
pronta alla lotta, già indossa l’armatura del condottiero vittorioso, Scipione l’Africano:9
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
La scelta di Scipione, nell’ampio panorama dei condottieri che fecero grande Roma, è ben
motivata: Scipione fu l’eroe della Roma repubblicana che liberò l’Italia dall’invasione di Annibale.
6
Al cittadino Luigi Molino (1762‒1846), musicista piemontese che nella sua lunga carriera fu primo violino della
Cappella Regia e dell’orchestra del Teatro Regio e che restò alla guida dell’orchestra torinese anche durante gli anni del
governo napoleonico, si deve una Cantata a tre, commissionata dalla municipalità per celebrare il primo anniversario
della vittoria di Marengo (14 giugno 1800).
7
Domenico Cimarosa (1749‒1801) è un notevole esempio di trasformismo tra i musicisti: autore, nei giorni della
Repubblica partenopea (gennaio 1799), dell’Inno patriottico per lo bruciamento delle immagini dei tiranni da cantarsi
nella festa del 30 fiorile sotto l’albero della libertà avanti a Palazzo Nazionale, su testo del patriota, poeta e avvocato
Luigi Rossi, al subitaneo ritorno di Ferdinando IV, Cimarosa si affrettò a placare le ire del sovrano offrendogli una
Cantata a 3 voci con cori in occasione del bramato ritorno di Ferdinando nostro amabilissimo sovrano e l’inno Bella
Italia ormai ti desta!, omaggi musicali che non gli evitarono quattro mesi nelle carceri borboniche, punizione ben più
tenue della condanna a morte inflitta all’amico Luigi Rossi.
8
Giacinto Calderara (1729‒1803), compositore piemontese, studi musicali a Napoli, fu maestro di cappella della
Cattedrale di Asti.
9
Publio Cornelio Scipione Africano (236 – 183 a.C.) proconsole della Repubblica romana e comandante dell’esercito.
48
Ritroviamo Scipio nei versi dell’ode Dante e l’Italia del 1846, e anche l’elmo ha un precedente:
L'elmo antico s'adatta alla fronte, nella poesia L'alba datata 10 maggio 1846.
Altrove Mameli ha voluto incitare alla lotta brandendo armi cruente: Che si attende a brandire le
spade?,10 Le baionette in canna,11 Colla destra la spada impugnar,12 ma qui di tutto l’armamentario
guerresco sceglie l’elmo, che è la parte più difensiva e simbolica dell’armatura, protegge il capo,
sede del pensiero, e innalza il cimiero, l’insegna che identifica il guerriero.
Le armi cruente le troveremo oltre, in mano ai mercenari al soldo degli oppressori, quelle spade
vendute nella quinta strofa su cui torneremo. Ne Il Canto degli Italiani, rispetto ad altre poesie
patriottiche, manca un forte incitamento alla lotta, tant’è che Mazzini solleciterà nel 1848 Mameli a
scrivere un nuovo inno di «ispirazione bellicosa».13
Qui la vittoria, personificata nella schiava che offre la capigliatura14 in segno di sottomissione a
Roma, simbolo dell’unità nazionale, giungerà perché predestinata dalla stessa volontà divina.
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Infine tuttavia nel ritornello, il serrare le fila nella schiera dei soldati, la coorte, ci riporta sul
campo di battaglia, dove si deve essere pronti ad accettare l’estremo sacrificio.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte,
L’Italia chiamò.
La coorte richiama l’antica organizzazione militare della legione, struttura base dell’esercito
della Roma repubblicana, e ugualmente in coorti era suddivisa la Legione lombarda, costituita
durante il periodo delle repubbliche giacobine, e che per prima innalzò, il 16 novembre 1796 in
piazza Duomo a Milano, il tricolore italiano.
L’idea della morte, da preferire comunque alla sottomissione e alla privazione della libertà, è
presente in numerosi testi patriottici:
Figli tutti d’Italia noi siamo
Forti e liberi il braccio e la mente
Più che morte i tiranni abborriamo
Abborriam più che morte il servir.
10
Da Viva Italia! era in sette partita inno del febbraio 1848.
Da All'armi, all'armi! Inno militare dell’agosto 1848.
12
Da Ella infranse le sette ritorte inno dell'autunno del 1848
13
Lettera del 6 giugno 1848, in GIUSEPPE MAZZINI, Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, Commissione per
l'edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, P. Galeati, Imola, 1906 vol. 32, p. 187. Vedi Appendice I.
14
Presso gli antichi Romani per distinguere le schiave era uso tagliare loro i capelli.
11
49
si canta ne La coccarda, uno degli inni più popolari con cui si faceva politica e musica insieme
in casa Valerio,15 e tra i cori d’opera va ricordato:
Chi per la patria muor vissuto è assai,
La fronda dell’allor non langue mai;
Piuttosto che languir sotto i tiranni
È meglio di morir nel fior degli anni.16
Tratto dall’opera di Saverio Mercadante su libretto di Paolo Pola Donna Caritea (1826), divenne
il brano più celebre di tutta la produzione mercadantiana e a Bologna durante l’insurrezione del
1831 fu scelto come inno nazionale. La sua popolarità divenne ancora maggiore dopo la tragica fine
in Calabria dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, che prima di essere fucilati nel Vallone di Rovito,
lo intonarono di fronte al plotone di soldati borbonici in quella mattina del 25 luglio 1844.
Anche per Mameli la morte è un tema ricorrente: è la morte delle vittime della repressione, i
martiri uccisi dai tiranni,17 dei numerosi combattenti, a mille a mille cadono trafitti i suoi
campioni,18 e anche la propria morte opposta alla vita nella poesia L’ultimo canto:19
Come l'astro morente arde e balena,
Ferve l'anima mia rinvigorita
Nel bacio della morte, e in ogni vena
Freme la vita.
4.3 Seconda e terza strofa
Noi fummo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam popolo
Perché siam divisi.
Raccòlgaci un’unica
Bandiera, una speme
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
L’Italia ha subìto l’efficace strategia di dominatori stranieri ben sintetizzata dal motto latino
divide et impera e favorita dalla mancanza in passato di una coscienza nazionale unificatrice. Alla
divisione, causa delle sventure italiane, si oppone la speranza una speme di riunirsi intorno ad
un’unica bandiera, per avere la forza di riconquistare la propria libertà e indipendenza. In sintonia
15
Secondo la cronaca di Barrili, vedi cap. 1.2.
Il testo originario fu modificato: patria per gloria, sotto i tiranni invece di per lunghi affanni per trasformarlo in coro
patriottico.
17
Da All’armi, all’armi! Inno Militare, vedi Appendice I.
18
Ivi.
19
GOFFREDO MAMELI, Scritti editi e inediti, ordinati e pubblicati con proemio, note e appendici a cura di Anton Giulio
Barrili, Società Ligure di Storia Patria, Genova, 1902, p. 115.
16
50
con il credo mazziniano, l’unione e l’amore conducono alla comprensione del ruolo che Dio stesso
ha tracciato per ogni popolo nel suo grande disegno, destinato ad avverarsi vincendo su tutto:
Uniamoci, amiamoci
L’unione e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
In ogni epoca, ogni schieramento ha arruolato Dio nelle sue fila: Dio con noi, fu il motto sia
dell’impero russo che di quello germanico. Tuttavia una sostanziale differenza va sottolineata tra il
Dio invocato dai sudditi come protettore di sovrani regnanti per diritto divino, come si può leggere
nel testo in italiano dell’inno austriaco: Serbi Dio l'Austriaco Regno / Guardi il nostro Imperator,20
e il Dio nella concezione di Mameli, incarnato nel popolo per partecipare alla sua lotta come
efficacemente rappresentato nella poesia Dio e il popolo.21
In ogni epoca l’unità del popolo è la forza in cui credere per vincere contro gli abusi del potere.
Nel nostro recente passato, va menzionata: El pueblo unido jamás será vencido (Il popolo unito mai
sarà sconfitto).22 La più nota canzone cilena legata al movimento Unidad Popular e al presidente
Salvador Allende, morto nel golpe del 1973. Famosa durante i tre anni della presidenza Allende,
divenne, dopo che militari golpisti portarono al potere il dittatore Augusto Pinochet, un simbolo
della lotta per il ritorno alla democrazia tanto in Cile quanto nel resto del mondo.
4.4 Quarta strofa
Dall’Alpe a Sicilia
Ovunque è Legnano
Ogni uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano.
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
L'inno dedicato all’imperatore d’Austria Francesco I, musicato nel 1797 dal grande compositore austriaco Franz
Joseph Haydn (1732‒1809), oltre al testo in lingua tedesca, aveva versioni per ognuna delle lingue dell'Impero. Nel
lombardo veneto l’incipit dell’inno nella versione in italiano venne storpiato dal sarcasmo popolare in un titolo
nonsenso: La serbidiola.
21
Vedi in Appendice I il testo integrale.
22
La canzone venne composta nel 1970 da Sergio Ortega, musicista cileno facente parte del gruppo musicale
Quilapayún.
20
51
«Avete notato? In una sola strofa c'è tutto quello che un Italiano non dovrebbe ignorare della sua
storia; Legnano, Gavinana, Portoria, i Vespri di Sicilia».23 È il commento di Giuseppe Garibaldi a
questa strofa, un rapido excursus storico tra quattro episodi che Mameli riteneva paradigmatici,
simbolo e anticipazione dell’inevitabile destino di vittoria della nuova Italia-nazione.
1176 battaglia di Legnano: i Comuni della Lega lombarda sconfiggono l’imperatore di casa
sveva Federico Barbarossa, salvano ed estendono quel certo livello di autonomia che i tempi
avevano fin allora consentito.
1530: Francesco Ferrucci muore eroicamente a Gavinana, combattendo un’impossibile battaglia
contro Medici, Papato e Impero, coalizzati contro la Repubblica di Firenze. «Vile! Tu uccidi un
uomo morto!» sono le sue ultime parole, rivolte al crudele mercenario Fabrizio Maramaldo.
1746: un ragazzino di Genova soprannominato Balilla, tirando inopinatamente un sasso contro
un gruppo di soldati austriaci impantanati con un cannone in una strada del quartiere Portoria, dà il
via a una sanguinosa, e vittoriosa, rivolta popolare.
1282: i Francesi dell’usurpatore Carlo d’Angiò vengono aggrediti a Palermo da un gruppo di
popolani inferociti, a causa, pare, di un complimento un po’ pesante rivolto da un soldato a una
siciliana all’uscita di chiesa, una domenica pomeriggio dopo il rito dei vespri. Dai tafferugli alla
rivolta, guidata da Giovanni da Procida, il passo è breve: i Francesi sono letteralmente e
rapidamente cacciati dall’isola.
Legare i quattro episodi a una sorta di filo rosso della coscienza patriottica italiana lungo il corso
di sette secoli può sembrare una forzatura, ma va detto che tali legami non sono un’esclusiva di
Mameli. Basta scorrere le pagine della raccolta di scritti patriottici Dono nazionale del 1847 (vedi
cap. 1.1) per trovare, ad esempio, un altro richiamo alla vittoria di Legnano nella poesia Il bacio
fraterno dei popoli Subalpini co’ Liguri di Emanuele Celesia:24
Giuran pace i fratelli ai fratelli:
L'aura echeggia di unanimi grida....
Questo il giuro ci fia di Pontida,
Di Legnano il dì poscia verrà!!!
e ripetuti richiami a Balilla:
Ferve in tutti, dentro al core,
Di Balilla il santo ardore,
Ogni spada per l'Italia
Invincibile sarà.
23
MAMELI, op. cit., p. 21.
Dono Nazionale, op. cit. p. 96. Emanuele Celesia (1821-1889) Avvocato, storico e poeta ligure, cultore delle
tradizioni popolari (fra le numerose pubblicazioni Linguaggio e proverbi marinareschi). Tra il 1847 e 1848 fu tra i
protagonisti delle dimostrazioni patriottiche a Genova, partecipò alle manifestazioni di entusiasmo per la elezione di Pio
IX, per l'indipendenza e la fratellanza degli Italiani, esprimendo le sue appassionate convinzioni con inni e canzoni
d'occasione. Per anni fu direttore della biblioteca universitaria di Genova.
24
52
nell'Inno popolare di David Chiossone25 posto in musica dal compositore genovese Maurizio
Sciorati; e ancora in coppia con l’eroe piemontese dell’assedio del 1706 Pietro Micca nell’Inno
degli Studenti di Giacomo Lignana: 26
Non più questo popol poeta e guerriero
Fra stolti dissidii s'angoscia diviso,
Ma cigne la testa d'un solo cimiero,
Ma Micca e Balilla con almo sorriso
Si dierono il bacio di forte amistà.
4.5 Quinta e sesta strofa
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l’aquila d’Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d’Italia
Il sangue polacco
Bevè col Cosacco
Ma il sen le bruciò.
Già Carl von Clausewitz27 nel suo lucido trattato sulla guerra aveva preso in considerazione
l’importanza delle ragioni morali, delle motivazioni intime che sostengono i combattenti nella dura
lotta per prevalere sul nemico. Per Mameli le truppe mercenarie, le spade vendute, largamente
utilizzate nell’esercito austriaco, non possono che cedere come fragili canne, giunchi che piegano,
nello scontro con chi combatte mosso da forti ideali, come ribadisce nei versi della tragedia Paolo
da Novi: 28
La spada degli schiavi piega
Nella lor man siccome un giunco, al cozzo
Delle spade dei liberi.
25
Dono Nazionale, op. cit. p. 75. David Chiossóne (1820-1873) medico e drammaturgo genovese scrisse drammi sociali
rappresentati con successo (La sorella del cieco, 1846; La suonatrice d'arpa, 1848, ecc.), e commedie di vago sapore
goldoniano. Notevole anche la sua attività nel campo della medicina sociale: è a lui intitolato l’Istituto per ciechi di
Genova.
26
Dono Nazionale, op. cit. p. 267. Giacomo Lignana (1827- 1891) filologo e accademico italiano, nato in una nobile
famiglia piemontese, svolse incarichi diplomatici per Cavour e fu in contatto con l’anarchico M.A. Bakunin. Docente
nelle università di Napoli e Roma, svolse anche attività politica.
27
Generale e scrittore militare prussiano (1780-1831) autore del trattato teorico Della guerra (postumo, 1832-34).
28
MAMELI, op. cit. p. 137.
53
La mostruosa aquila a due teste raffigurata nello stemma imperiale austriaco appariva
spennacchiata già in una parafrasi italiana della Marsigliese:29
Spennacchiata ed avvilita
Cadde l’aquila imperiale
E qual Icaro senz’ale
Entro i lago s’annegò.
E infine le brucia in corpo il sangue dei popoli oppressi di Italia e Polonia, che beve insieme ai
Cosacchi, soldati al servizio dello Zar reclutati tra le popolazioni nomadi della steppe della Russia
meridionale.
I forti accenti antiaustriaci determinarono la censura da parte del governo piemontese di questa
strofa fino all’inizio della prima guerra di indipendenza nel marzo 1848. In effetti la strofa non
compare nella prima pubblicazione nel volume Dono Nazionale e nemmeno nei fogli volanti diffusi
nella grande manifestazione del 10 dicembre 1847 a Genova. L’inno si concludeva con la ripresa
della prima strofa variata nei primi due versi, che richiamano l’incipit della prima stesura nel
manoscritto genovese (vedi cap. 2.1):
Evviva l’Italia
Dal sonno s’è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci ecc.
4.6 Conclusioni
In questo capitolo la poesia di Mameli è stata analizzata in rapporto alla sua produzione,
all’ambiente e all’epoca, per approfondire la comprensione del significato di parole nate in un
contesto molto diverso dal nostro. Riteniamo che in questo modo la trasposizione del pensiero di
Mameli nella nostra epoca possa avvenire con un’evoluzione coerente dei significati originari che
sappia attualizzarli senza travisarli.
29
Sono versi tratti da Cispadani ite festosi, uno fra i tanti esempi di inno patriottico da cantarsi sull’aria della
Marsigliese, scritto da un anonimo cittadino modenese, fu diffuso da un foglio volante nella Repubblica Cispadana,
creata da Napoleone nel 1796 e formata dai territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio.
54
Appendice I
GOFFREDO MAMELI
(Genova, 5 settembre 1827 – Roma, 6 luglio1849)
Su Goffredo Mameli, patriota mazziniano, eroico combattente, politico e scrittore, si contano una
quantità di scritti che narrano la sua breve vita e celebrano il poeta-soldato come uno delle massime
figure del nostro Risorgimento.1 Per tracciarne il ritratto, riportiamo un testo di Giuseppe Garibaldi
di poco posteriore alla caduta della Repubblica Romana: 2
MAMELI.
Poeta e guerriero, a ventun anno, terminava a Roma una vita consacrata all'Italia, e sacra a chi lo
conobbe.
O borbonici, servi d'un tiranno! Mameli, quel giovinetto, sí bello, sí candido... era quel desso, che alla
testa d'una brigata di giovani palpitanti per l'Italia, vi impauriva, vi sconfiggeva a Palestrina.
Sí; quando, in rotta l'ala destra, voi tenevate alla sinistra, Mameli mi chiedeva di spingerlo a
completare il trionfo, mostrando ad un tempo la saggezza d'un capitano, il bollore, lo slancio di valoroso
soldato. Io dall'alto seguiva collo sguardo il giovine, ammirandone il sangue freddo ed il valore. Voi...
fuggivate, mercenarii, carnefici dei cittadini.
A Roma, ei mi chiedeva pure di permettergli ... nella sera dell'infausto 3 Giugno, quando i nostri,
stanchi e decimati, sopraffatti dal numero, si slanciavano ancora, ma inutilmente, per ritogliere i Quattro
Venti ... Io non rispondevo, distratto. Mameli spariva ... e mi tornava tra poco, ferito ... Io non lo vidi piú,
da quel momento! Altri narreranno come terminò la preziosa vita.
Mameli Goffredo era mio aiutante di campo; piú, amico mio. Il mio cuore è ben indurito dalle vicende
della procellosa mia vita: ma la memoria di Mameli, la sua perdita, mi hanno straziato, e mi straziano,
pensando alle glorie perdute dell'infelice mio paese.
Italia mia! Non la Italia delle turpitudini e del lucro quella del tanto per cento, quella curvata sotto la
sferza dell'Ibero, del Borbone, del Croato! Non quella della pancia e della prostituzione! Ma l'Italia ideale,
sublime, quella concepita da Dante, quella per cui morivano i Bandiera a Cosenza e migliaia di giovani
sotto le mura della sua Metropoli, esaltandola moribondi, acclamandola mutilati! Ebbene, quella Italia del
mio cuore aveva trovato il suo bardo, Mameli, al volto d'angelo, al cuore d'un Masina.3 Non gli
ermafroditi suoi istrioni, i suoi eunuchi, ma egli, Mameli, avría trovato l'inno Italiano, l'inno che la
sollevasse dalla polve, quando generato da un Mameli! I nati sotto il cielo d'Italia non abbisognano
dell'estraneo per redimersi, ma d'unione, e d'un inno che li colleghi, che parli all'anima dell'Italiano,
coll'eloquenza del fulmine, la potente parola del riscatto!...
G. GARIBALDI
1
Vedi testi in bibliografia.
Goffredo Mameli, Scritti editi e inediti, ordinati e pubblicati con proemio, note e appendici a cura di Anton Giulio
Barrili, Società Ligure di Storia Patria, Genova, 1902, Appendice IX pp. 295-6.
3
Nato a Bologna nel 1815, il patriota Angelo Masina (o Masini) morì a Roma nello stesso giorno, il 3 giugno 1849, in
cui Mameli fu ferito.
2
55
Gli scritti di Mameli, raccolti in ponderosi volumi, testimoniano l’ampiezza della sua produzione
e la sua maturità sia letteraria che politica, pur nella giovane età.
Nei limiti di questa appendice, vogliamo fornire al lettore una scelta di scritti rappresentativi di
aspetti diversi della sua personalità, uno stimolo ad approfondirne la conoscenza, iniziando da
questa poesia senza data, ma che per argomento, stile, reminiscenze scolastiche, si colloca
certamente nella prima produzione giovanile, a dimostrazione del suo precoce talento per la
scrittura in versi.
L'AMORE
Cos'è l'amore? Una memoria, un'ora
Di Ciel, che l'ombre, e i nugoli terreni,
Di luce soavissima ristora.
Misero l'uom, che ne' suoi giorni pieni
D'affanni si travaglia e s'addolora;
Nè un'imago diletta gli assereni
L'anima mestamente; e scioglie intanto
L'ira in dolore, e la bestemmia in pianto.
Vedi quegli astri in ciel? Sai tu che sia
Che di sí vaga luce risplendenti
Li fa ruotare per l'aerea via
Con veloci ed eterni avvolgimenti?
È un'ingenita forza, un'armonia,
Che tutti unisce, e muove gli elementi:
Egli è il fato, che a te, Fillide, unío
Con legame d'amor lo spirto mio.
Dolce cosa è l'amor: il suo dolore
All'anima dolcissimo ti viene,
Come canto di cigno che si muore.
Dolce cosa è l'amore: per le vene
Egli ti serpe, e di sé inebria il core,
Che si dischiude a quella prima speme,
Come vergine rosa ai primi fiati
D'April dischiude i calici odorati.
Non è la vita un baratro d'affanni?
Come genio malefico, seguace
La sventura non ti è da' tuoi prim'anni?
Breve è al core la gioia, e pur fallace.
Mentre in questa di duol valle t'affanni,
Dove trovar potrai, dove, una pace,
Se non in cor che ti comprenda, e mite
Balsamo sparga sulle tue ferite?
Dalle mani di Dio bella fra quante
Fatture son, certo la donna escía;
Ma è pur cosa mortale. E ond'è che tante
Volte a me la tua imagine apparía
Quasi celeste? e da magioni sante
Una figlia del ciel, Fillide mia,
Di bellezza immortale a farmi fede,
Quaggiú discesa il mio pensier ti crede?
Dal tono sentimentale a quello comico nel sonetto che segue. Anton Giulio Barrili, curatore
dell’edizione degli Scritti editi e inediti di Goffredo Mameli, lo colloca nel 1845: 4
4
Mameli, Scritti editi e inediti, op. cit. p. 54.
56
SONETTO BERNESCO
Et vidi cuncta quae sub Sole fiunt; et
omnia vanitas vanitatum....
ECCLESIASTE, I, 14.
Rido, che questo mondo è pien di matti:
V'è chi scherza, sull'orlo al precipizio;
V'è chi piange, ed il fato gli è propizio;
V'è chi parla d'onor, di fè, di patti.
V'è chi lascia l'arrosto, e lecca i piatti;
V'è chi è scemo, e lo credon di giudizio;
V'è chi passa per Numa, o per Fabrizio,
E ipocrita è in parole, e birba in fatti.
Tipo dell'universo è l'O di Giotto:
Cristo rotondamente i mondi ordío;
Tondo fe' il Sole, e ciò ch'è sopra e sotto.
Pure, dopo l'O tipo, in tutto il mondo,
In fra i tondi che fe' Domineddio,
Tutti compresi, è l'uomo il piú bel tondo.
Alla poesia che segue si è accennato nel secondo capitolo, analizzando le diverse interpretazioni
possibili di Uniti per Dio, settimo verso della terza strofa de Il canto degli Italiani. Qui di seguito
proponiamo la lettura integrale dell’inno che il diciannovenne Goffredo declamò in pubblico il 9
dicembre 1847, in occasione delle annuali celebrazioni in memoria della liberazione nel 1746
dall’occupazione asburgica.
DIO E IL POPOLO
Come narran sugli Apostoli,
Forse in fiamma sulla testa
Dio discese dell'Italia.
Forse è ciò; ma anch'è una festa.
Nelle feste che fa il popolo,
Egli accende monti e piani;
Come bocche di vulcani
Egli accende le città.
Poi, se il popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Uno scherzo ora fa il popolo;
A una festa ei si convita.
Ma se è 'l popolo che è l'ospite,
Guai a lui ch'ei non invita
Grande è sempre quel ch'egli opera;
Or saluta una memoria,
Ma prepara una vittoria;
E vi dico in verità,
Che se il popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
57
Nol credete? ecco la storia:
All'incirca son cent'anni
Che scendevano su Genova,
L'arme in spalla, gli Alemanni.
Quei che contano gli eserciti
Disser: «l'Austria è troppo forte»,
Ed aprirono le porte.
Questa vil genía non sa
Che, se il popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Quei che contano gli eserciti
Vi son oggi, come allora:
Se crediamo alle lor ciancie,
Aprirem le porte ancora.
Confidiamo in Dio, nel popolo;
I satelliti dei forti
Non si contano che morti.
E vi dico in verità,
Che se il popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Un fanciullo gittò un ciottolo
Parve un ciottolo incantato,
Ché le case vomitarono
Sassi e fiamme da ogni lato.
Perché quando sorge il popolo,
Sovra i ceppi e i re distrutti,
Come il vento sovra i flutti
Passeggiare Iddio lo fa.
Quando il popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Mazzini, scrivendo nel 1836 la sua Filosofia della musica, espone da un lato le proprie critiche
verso la produzione musicale corrente, distaccata dalle vicende della vita civile, e dall’altro traccia
le linee evolutive di un nuovo linguaggio musicale, capace di risvegliare le virtù politiche della
nazione.
La musica (…) s’è rivelata onnipotente sugli individui e sulle moltitudini, ogni qualvolta gli uomini
l’hanno adottata ispiratrice di forti fatti, angiolo de’ santi pensieri; ogni qualvolta gli eletti a trattarla
ricercarono in essa l’espressione la più pura, la più simpatica d’una fede sociale. Un inno di poche battute,
ha creato in tempi vicino a noi la vittoria.5
L’inno cui allude è ovviamente la Marsigliese, il simbolo musicale più noto della Rivoluzione
francese che, tradotta e parafrasata,6 si era diffusa anche in Italia, diventando quel modello d’inno
risorgimentale, a cui si richiama Mazzini nella lettera inviata a Mameli il 6 giugno 1848:7
Cogli il primo momento d'ispirazione che non sia ricordo delle tue Grazie, ma ispirazione bellicosa,
popolare e mandami un Inno che diventi la Marsigliese italiana; e della quale il popolo, per usar la frase
di Verdi, scordi l'autore e il poeta.
5
Giuseppe Mazzini, Filosofia della Musica, in Scritti editi e inediti, Ed. Nazionale, Imola 1910, Vol. VIII, p.129.
Un esempio di parafrasi italiana della Marsigliese è Cispadani ite festosi, composta nel periodo della Repubblica
Cispadana, nata nel 1796 nell’Italia settentrionale (vedi nota 29 a p. 54).
7
MAZZINI, Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini op. cit, vol. 32, p. 187.
6
58
Mameli, che in quel periodo combatte come volontario della colonna mantovana nella guerra
contro gli austriaci, scrive il testo dell’Inno Militare All'armi, all'armi!, l’ultimo prima di morire
nella difesa della Repubblica romana. Verdi lo riceve a Parigi, dove sta lavorando al Corsaro, e lo
mette in musica.
ALL'ARMI, ALL'ARMI!
INNO MILITARE
All'armi, all'armi! Ondeggiano
Le insegne gialle e nere.
Fuoco, per Dio, sui barbari,
Sulle vendute schiere!
Già ferve la battaglia;
Al Dio dei forti osanna!
Le baionette in canna
È l'ora del pugnar.
Non deporrem la spada
Fin che sia schiavo un angolo
Dell'Itala contrada,
Fin che non sia l'Italia
Una dall'Alpi al mar.
Avanti! Viva Italia,
Viva la gran risorta!
Se mille forti muoiono,
Dite, che è ciò? Che importa
Se a mille a mille cadono
Trafitti i suoi campioni?
Siam ventisei milioni,
E tutti lo giurâr
Non deporrem la spada, ecc.
Sarà l'Italia: edifica
Sulla vagante arena
Chi tenta opporsi. Miseri!
Sui sogni lor la piena
Dio verserà del popolo.
Curvate il capo, o genti;
La speme dei redenti
La nuova Roma appar.
Non deporrem la spada, ecc.
Fin che rimanga un braccio
Dispiegherassi altera,
Segno ai redenti popoli
La tricolor bandiera,
Che nata fra i patiboli
Terribile discende
Fra le guerresche tende
Dei prodi che giurâr,
Di non depor la spada, ecc.
Noi lo giuriam pei martiri
Uccisi dai tiranni,
Pei sacrosanti palpiti
Compressi in cor tanti anni;
E questo suol, che sanguina
Sangue de' nostri santi,
Al mondo, a Dio d'innanti
Ci sia solenne altar;
Non deporrem la spada, ecc.
Verdi ne modifica l’incipit, che diventa Suona la tromba, e altri versi, e lo pubblica con il titolo
Inno popolare,8 ma sembra di leggere tra le righe della lettera con cui accompagna la partitura, la
sensazione di non aver centrato l’obbiettivo, di essersi sentito forzato a compiere il suo dovere
musicale per aderire alla pressante richiesta di Mazzini, ma senza una ispirazione autentica e
spontanea:
8
La partitura pubblicata col titolo Inno popolare di Goffredo Mameli musicato a voci sole da G. pe Verdi dall’editore P.
De Giorgi, Milano 1848, è visionabile sul sito della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea (www.bsmc.it).
59
Parigi, 18 ottobre 1848,
Caro signor Mazzini, Vi mando l’inno, e sebbene un po’ tardi, spero vi arriverà in tempo. Ho cercato
di essere più popolare e facile che mi sia stato possibile. Fatene quell’uso che credete: abbruciatelo anche
se non lo credete degno. Se poi gli date pubblicità, fate che il poeta cambi alcune parole nel principio
della seconda e terza strofa, in cui sarà bene fare una frase di cinque sillabe che abbia un senso a sé come
tutte le altre strofe. Noi lo giuriamo... …Suona la tromba, etc. etc. poi, ben s’intende, finire il verso con lo
sdrucciolo. Nel quarto verso della seconda strofa bisognerà far levare l’interrogativo e fare che il senso
finisca col verso. Io avrei potuto musicarli come stanno, ma allora la musica sarebbe diventata difficile,
quindi meno popolare e non avremmo ottenuto lo scopo. Possa quest’inno, fra la musica del cannone,
essere presto cantato nelle pianure lombarde.9
Molti anni dopo, in una lettera all’Arrivabene dell’8 marzo 1884, Verdi confessa apertamente la
sua incapacità di scrivere su ordinazione e non manca un motto di spirito indirizzato a Pio IX:
Poi io non sono mai stato capace di fare note né per l’uno né per l’altro, siano bianchi, rossi o neri.
L’ho sfuggita bella una volta! Fui in pericolo nel ’48 di fare un inno per Pio IX!! Me ne salvai per
miracolo.
Uno sguardo alla musica conferma la sensazione di inadeguatezza: manca una melodia
principale nettamente modellata, mancano formule ripetitive che facilitino l’apprendimento; le
modulazioni armoniche e i salti dinamici sono d’effetto, ma non di facile esecuzione, con la
conseguenza che nonostante le più degne premesse connesse ai nomi degli autori, quest’inno non si
è guadagnato il favore del pubblico. Senza successo anche le versioni di questo inno musicate
successivamente da Giuseppe Daddi, pubblicata a Milano dall’editore Lucca con il titolo Ai prodi
volontari italiani / inno nazionale,10 e dallo stesso Novaro, pubblicata dall’editore genovese Poma
come Inno di guerra / Ultimo canto di G. Mameli.
Concludiamo questa breve appendice dedicata a Mameli con una delle ultime lettere alla
madre,11 scritta il 12 giugno 1849, a meno di un mese dal tragico epilogo del 6 luglio che nemmeno
l’amputazione della gamba riuscirà ad evitare. Ma in quella frase: Un galantuomo fa la sua
figura…ecc., incontriamo ancora una volta quel giovane di straordinaria forza d’animo, capace, pur
nella sua condizione critica, di fare della non facile autoironia:
Car. ma,
tento scrivere lo stesso. La ferita s’è fatta seria, si trattava nientemeno che di tagliarmi la coscia.
Fortunatamente non se ne fece niente e ora vado migliorando giornalmente; non si parla più di taglio,
ciò che veramente mi va molto a genio. Un galantuomo fa la sua figura anche con una gamba, ma con
due è meglio – forse è un pregiudizio mio. Io fui ferito da un bersagliero mentre operavo una carica
alla bajonetta. I nostri si battono come leoni.
Abbraccia papà, digli che è meglio che non abbia a che fare col governo. Amami.
9
ANNIBALE ALBERTI, Verdi intimo. Carteggio di Giuseppe Verdi con il conte Opprandino Arrivabene (1861-1886),
Milano, Mondadori, 1931, pp.18-19.
10
Anche questa partitura visionabile sul sito della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea (www.bsmc.it).
11
Goffredo Mameli, Scritti, a cura di Nino Mameli, con un messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, Firenze, Firenze Libri, 2010, p. 351.
60
Appendice II
MICHELE NOVARO
(Genova, 23 dicembre 1818 – 20 ottobre 1885)
Compositore e direttore, cantante e didatta, Novaro dedicò tutta la sua vita a combattere con le
armi della musica per gli ideali patriottici che condivideva con l’amico e concittadino Goffredo
Mameli. Nel breve spazio di questa appendice non intendiamo ovviamente ripercorrere l’intera
biografia del nostro musicista, rinviando per questo ai testi riportati in bibliografia:1 ci interessa
piuttosto il suo rapporto con quell’inno divenuto celebre come Inno di Mameli, ma che si dovrebbe
più correttamente indicare come Inno di Mameli-Novaro.
Nella sua produzione si contano, oltre a composizioni vocali e strumentali di maniera, molti
brani, sia in forma di inno corale che di romanza, su testi dei più noti poeti-patrioti. Novaro mette in
musica quell’Inno Militare (Suona la tromba) di Mameli già musicato da Verdi su invito di Mazzini
(vedi Appendice I); di Francesco Dall’Ongaro pubblica numerosi testi raccolti nell’album Viva
l’Italia;2 di Arnaldo Fusinato propone una dolente versione musicale del celebre testo poetico sulle
ultime ore della veneziana Repubblica di San Marco;3 e accanto a composizioni su testi di poeti
minori come Ponthenier, Bertoldi, Parato, Barrili, Prati, Sardi,4 non manca la più popolare fra le
poesie del Risorgimento, La spigolatrice di Sapri, di Luigi Mercantini.5
Novaro si potrebbe definire uno specialista nel genere musica patriottica, presente in numerose
edizioni a stampa a testimonianza della popolarità raggiunta dai suoi lavori (vedi oltre il catalogo).
1
Un accurato articolo biografico redatto da Roberto Iovino si può consultare nell’enciclopedia Treccani online
(www.treccani.it).
2
Viva Italia Album di canti popolari italiani di Francesco Dall’Ongaro posti in musica dal maestro Michele Novaro,
Milano, F. Lucca, edizione n.12373. Francesco Dall'Òngaro (1808-1873) letterato, patriota e politico, direttore delle
riviste Favilla e Fatti e parole. Nella Repubblica Romana del 1849 fu deputato alla Costituente e aiutante di Garibaldi.
Riparato all'estero, tornò in Italia nel 1859 e si adoperò a favore della soluzione sabauda nella questione nazionale.
Della sua abbondante produzione poetica si ricordano le Ballate e gli Stornelli patriottici, i vivaci versi in dialetto
veneziano, alcune prose storiche o di polemica anticlericale. Grande successo ebbe a lungo sulle scene il
suo Fornaretto (1855).
3
Venezia, poesia di A. Fusinato, musica di Michele Novaro, Milano, F. Lucca, edizione n.12366. Arnaldo Fusinato
(1817-1889) scrittore e patriota, nel 1848 scrisse il Canto degli insorti che gli dette subito notorietà come poeta
patriottico. Partecipò nel 1849 alla difesa di Venezia e in tale occasione, scrisse la famosa poesia A Venezia. È di questi
anni la sua intensa attività giornalistica prima a Venezia poi a Milano nella redazione de Il pungolo. Autore di Poesie
politiche, Poesie giocose e Poesie serie (1853-1854), tutte caratterizzate da una facile vena giornalistica e dall’impegno
umano e politico.
4
Fede e concordia. I Liguri ai Fratelli piemontesi, Inno di L. Ponthenier, musica del maestro Novaro, Torino, Magrini,
edizione n.1189. Coraggio, coraggio siam oggi soldati, Inno militare di G. Bertoldi posto in musica da Michele
Novaro, Torino, Magrini, edizione n.1200 e La Costituzione, Inno di G. Bertoldi posto in musica da Michele Novaro,
Torino, Magrini, edizione n.1205. La guardia civica piemontese, Inno marziale, poesia di A. Parato, musica di M.
Novaro, Torino, Presso G. Magrini, edizione n.1212. È risorta, canto di A. G. Barrili, musica di Michele Novaro,
Milano, F. Lucca, edizione n.12374. Chi ami? poesia del cav. Prati, musica di M. Novaro, Torino, Giudici e Strada,
edizione n.7316. E' risorta! canto di A. G. Sardi, musica di Michele Novaro, per S., T. e B., dedicato a S. M. il Re
Vittorio Emanuele II, Milano, Ricordi n.32442, 1860.
5
La spigolatrice di Sapri poesia del prof.e Mercantini, M. Novaro, Genova, G. Poma, edizione n.600, in Fiori Liguri
Album di 12 canzoni in chiave di sol del Maestro M. Novaro. Luigi Mercantini (1821-1872) poeta e patriota, fu esule
dal 1849 al 1852, prima nelle Isole Ionie, poi a Torino e a Genova, ove insegnò lettere. Dal 1860 fu professore a
Bologna e nel 1865 ebbe la cattedra di letteratura italiana nell'università di Palermo. Accompagnò con le sue poesie gli
eventi del Risorgimento: assai popolari furono tra le altre Patrioti, all'Alpi andiamo, celebre inno di guerra del 1848-49,
il poemetto Tito Speri(1853), La spigolatrice di Sapri (1857), La fidanzata d'un marinaio della "Palestro" (1866), ecc.
La sua Canzone Italiana, musicata da Alessio Olivieri, è ancor oggi popolarissima come Inno di Garibaldi.
61
Ma in un’epoca in cui non esisteva ancora un’adeguata legislazione sul diritto d’autore, non trarrà
adeguati vantaggi dal successo di pubblico della sua opera e nella sua vita dovrà affrontare fasi di
ristrettezze economiche.
Orio Vergani, in un interessante saggio sulla storia della famiglia Ricordi, propone la riflessione
su un prezioso documento conservato negli archivi di Casa Ricordi, una lettera di Michele Novaro
del 1859 all’editore Francesco Lucca che prelude alla seconda edizione del suo Fratelli d’Italia:6
Genova, 17 ottobre 1859.
Egregio Signore,
ho ricevuto la gentilissima sua del 14 corrente e la ringrazio delle sue graziose espressioni.
Io sono dispostissimo ad inviarle una copia manoscritta del mio Inno Fratelli d'Italia, ma vorrei
prima esser certo di non mancare a quei doveri di delicatezza che ogni uomo deve imporsi, e per
conseguenza le spiego in precisi termini come io mi trovo colla stamperia di musica del fu Magrini,
e Vostra Signoria, che conosce perfettamente la partita, saprà dirmi se io posso o non posso
permetterle di stampare il suddetto Inno.
Come già le dissi, io nel '48 feci l'Inno in questione e diversi altri. Magrini si offerse di stamparli
col patto di darmene delle copie, ora non mi ricordo più il numero. Io aderii, egli lo stampò, ma io
non feci alcun contratto perchè non gli diedi che un semplice permesso a voce, però egli scrisse
sopra: 'Proprietà dell'Editore'. Ora io non so se col mio semplice permesso a voce si possa avergli
accordata la proprietà del pezzo. Vostra Signoria può mettermi a giorno o dirmi (essendo della
partita) se io accordando il permesso a Vostra Signoria possa mancare di convenienza verso gli
editori di Torino, perchè mi dorrebbe assai di fare una cattiva azione.
Spero adunque che ella vorrà francamente dirmi come devo regolarmi, del resto le accerto che
sarei ben felice di vedere fatta una seconda edizione della mia povera musica e andrei superbo se
col mezzo offertomi tanto graziosamente da Vostra Signoria potessi contribuire modestamente
anch'io alla sottoscrizione iniziata dal nostro prode Garibaldi.
Se vuol scrivere agli Editori di Torino dovendo essi dipendere da Vostra Signoria e facendo loro
noto il nostro comune desiderio, credo che i suddetti forse non si opporrebbero. Infine faccia ciò che
crede, che io mi rimetto interamente in lei, mi scriva come devo regolarmi che io sarò ben contento
di poterla compiacere, e intanto io preparo il manoscritto da Vostra Signoria richiestomi, ed
all'arrivo della sua lettera se mi dirà di spedirglielo lo farò a giro di posta.
Gradisca i miei distinti saluti e mi creda il suo
obbligatissimo servitore
Michele Novaro
Vergani sottolinea che Novaro non parla «di denari e di interessi» ed «è bene osservarlo oggi
che, per una qualunque canzonetta che abbia qualche successo, musicisti e 'parolieri' possono
diventare milionari» mentre la lettera è «piena di onesti scrupoli» verso il precedente editore
(che in realtà si era appropriato della composizione senza definire un contratto formale). 7
Coerente con i suoi ideali, Novaro riserva gli eventuali guadagni della nuova edizione a
beneficio di una sottoscrizione a favore delle imprese di G aribaldi. Vergani riporta anche
6
ORIO VERGANI, I Ricordi. Immagini di un'epoca, Milano, Casa Ricordi, 1994, pp. 33-34.
Il disinvolto operato dei numerosi editori che hanno pubblicato Il Canto degli Italiani in una quantità di versioni,
revisioni, arrangiamenti e orchestrazioni, meriterebbe un capitolo a parte perché sovente è venuto meno, purtroppo, il
necessario rispetto per la fedeltà all’opera come originariamente concepita dall’autore.
7
62
una lettera di Luigi Mercantini, autore dell’Inno di Garibaldi, di analogo tenore e infine
osserva «tempi onesti, bonari, entusiastici, quando i canti della Patria erano
semplicemente 'donati' alla Patria» e quindi destinati ad «appartenere al patrimonio
spirituale di tutti». 8 L’ideale dei musicisti patrioti è dunque che la paternità individuale di un
canto si dissolva nell’appartenenza a tutta la collettività nazionale e lo stesso Giuseppe Verdi
auspica che di un inno si «scordi l’autore e il poeta». 9 Significativo in tal senso un passo della
lettera del 22 marzo 1862 10 con cui chiede al suo editore Tito Ricordi di inviargli lo spartito
dell’inno che identifica trascrivendo l’incipit della melodia:
«ora ti prego di mandarmi l'Inno d'Italia che fù fatto, credo, nel 1848. Il motivo è questo
et etc.»
Verdi scrive da Parigi dove sta lavorando alla composizione del suo Inno delle Nazioni, la
maestosa cantata profana su testo di Arrigo Boito commissionata per l'Esposizione Universale
di Londra, e si preoccupa di avere una fonte attendibile della musica dell’inno . Nonostante
all’epoca fosse la Marcia Reale di Giuseppe Gabetti 11 l’inno ufficiale, Verdi per rappresentare
musicalmente la nostra nazione da poco riunificata, affianca agli inni delle nazioni amiche
Inghilterra e Francia, 12 il tema dell’inno novariano unito ai versi di Boito Oh Italia, oh Patria.
Questo è certamente il riconoscimento più qualificato ricevuto dalla musica di Novaro, ma
dobbiamo notare che il compositore Verdi sembra appunto dimenticare il nome del collegacompositore Novaro, non cita né lui né Mameli, si rivolge all’editore e non all’autore per avere
la partitura che indica come «l’Inno d’Italia», insomma si avvera nelle sue parole l’auspicio
sopra citato: l’oblio di autore e poeta, a dimostrazione dell’avvenuta consacrazione a canto di
popolo.
Novaro, in un’altra lettera del 1877 all’amico Anton Giulio Barrili, parla nuovamente del suo
canto, ma la situazione è assai diversa: difficoltà finanziarie e problemi di salute avevano segnato
l’ultima fase della sua vita. Il musicista ci appare in tutta la sua dolente umanità unita all’orgoglio
dell’artista per la sua più celebre creazione:
Il Sottoscritto ha composto nel 184813 un canto che venne dall’universale chiamato la Marsigliese
italiana. Questa povera musica destò e desta ancora un invincibile entusiasmo nel popolo italiano,
8
VERGANI, op. cit. p. 34.
Frase attribuita da Mazzini a Verdi nella lettera a Mameli del 6 giugno 1848, in Scritti editi ed inediti di Giuseppe
Mazzini, op. cit. Commissione per l'edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, P. Galeati, Imola, 1906,
vol. 35 p. 213
10
L’autografo della lettera di Verdi è visionabile sul sito dell Bibloteca Digitale Italiana (www.internetculturale.it).
11
Giuseppe Gabetti (1796-1862) musicista e compositore piemontese, fu capomusica del primo reggimento della
brigata Savoia, violinista alla Cappella Regia e direttore d'orchestra dei balli del Teatro Regio. Nel 1831 ebbe l'incarico
di comporre una Marcia reale d'ordinanza: ne scrisse due che furono sottoposte al giudizio di Carlo Alberto, il quale
preferì quella di carattere più marziale, che divenne l'inno nazionale ufficiale.
12
Da notare che anche la citazione de La Marsigliese nell’Inno delle Nazioni supera l’ufficialità, infatti soltanto nel
1876 fu nuovamente eletta inno nazionale dopo essere stata accantonata durante il Secondo Impero, il regime
bonapartista instaurato da Napoleone III dal 1852 al 1870 tra la Seconda e la Terza Repubblica.
13
In realtà nel 1847.
9
63
accompagnò i nostri soldati sopra tutti i campi di battaglia e tutti dicono che non morrà mai, e languisce
bensì il suo autore nella miseria e nell’abbandono.14
Duole che un uomo di tale valore abbia patito ristrettezze in una fase della sua vita, ma
fortunatamente nel 1878 Novaro ottenne l’incarico di maestro di canto nelle scuole municipali e la
sua condizione migliorò. Inoltre sembra anche ingiustificata la sufficienza e l’approssimazione con
cui viene presentato da certa storiografia musicale: «un "oscuro" Maestro di musica, certo
Novaro»,15 «un compositore di modesta levatura».16 Mentre si tratta comunque di un musicista che
ha saputo, sia pure per lo straordinario successo di un’unica composizione, lasciare un segno
indelebile di sé nella nostra cultura nazionale.
A Genova, sulla sua tomba nel Cimitero Monumentale di Staglieno, non lontano dal mausoleo
dedicato a Mazzini, l’epigrafe di Arrigo Boito così lo ricorda insieme al canto con cui «aveva
inchiodato il suo nome alla celebrità»:17
ARTEFICE DI POSSENTI ARMONIE
OND’EBBE ITALIA QUEL CANTO
CHE RIDESTANDO NEL CUOR DEGLI OPPRESSI
LA COSCIENZA DELL’ANTICO VALORE
PRELUSE ALLA RISCOSSA D’UN POPOLO
E NE ACCOMPAGNÒ L’OMERICHE LOTTE
DALL’ALPI ALLE TERRE DEI VESPRI
IL TUO NOME O MICHELE NOVARO
FINCHÉ ITALIA AVRÀ ASSETTO E DIGNITÀ DI NAZIONE
STARÀ
G.B. CEVASCO
DONÒ 1888
14
M. Novaro ad A. G. Barrili, 7 settembre 1877, Genova, Biblioteca Civica Berio, Sezione di Conservazione e Raccolta
Locale, m.r. XVII.170.
15
MARCELLO BERTI, Da Rossini a Verdi: lungo i sentieri del Risorgimento, Lugo di Romagna, Walberti, 2001, p.167 e
anche l’enciclopedico testo di GIOVANNI MASUTTO, I Maestri di musica italiani del secolo XIX: notizie biografiche,
Venezia, Cecchini, 1884, dedica a Novaro solo cinque mezze righe a p.125.
16
Guido Davico Bonino (a cura di), Il Canto degli Italiani: Poesie d'amore e di guerra di Goffredo Mameli, Milano,
Bur Rizzoli, 2010, p. 26.
17
BERSEZIO, op.cit., p. 244.
64
Diversamente da quanto auspicato da Arrigo Boito, il nome di Michele Novaro non è stato
adeguatamente presente nella memoria collettiva e nella storiografia nazionale, infatti solo nel 2011,
per iniziativa di Lorenzo Bianconi, 18 tra i curatori del Dizionario Biografico degli Italiani
dell’enciclopedia Treccani, è stato inserito un lemma dedicato a Novaro, redatto da Roberto Iovino
(vedi cap.1).19
In queste pagine tuttavia vogliamo integrare le notizie biografiche con alcune informazioni sulle
vicende meno note del periodo trascorso a Torino, che si protrae fino al 1861 quando Novaro
ritorna con la famiglia nella sua Genova.
Negli anni torinesi il cantante Michele Novaro calca la scena del Teatro Regio in ruoli da
comprimario: nella stagione 1840/41 interpreta Anichino nell’opera Beatrice di Tenda di Vincenzo
Bellini e Isacco ne Il lago delle fate di Carlo Coccia, nella stagione 1841/42 Bruno ne I Puritani di
Bellini e Steno nel Marin Faliero di Gaetano Donizetti, nel 1842/43 Lord Howe ne Il Reggente di
Saverio Mercadante, nel 1844/45 Riccardo in Ernani di Verdi e Flavio nella Norma di Bellini.20 Dal
1847 ricopre l’incarico di direttore dei cori dei teatri Regio e Carignano.
Collabora con importanti editori torinesi, pubblicando numerosi brani per pianoforte, romanze
alla moda e inni patriottici, il cui elenco è riportato da Mario Dell’Ara nel suo catalogo degli Editori
di musica a Torino e in Piemonte.21 Più in generale vogliamo sottolineare il legame di Novaro con
la cultura musicale piemontese, da cui trae spunto per elaborazioni pianistiche di temi popolari
come nelle Quattro Contradanze,22 dove compaiono le melodie di canzoni popolari tra cui la famosissima
Cosa fastu lì Cattina. Ma l’esempio più sorprendente e inedito del legame tra Novaro e la
piemotesità, è frutto di una scoperta del musicista Massimo Data e del sindaco di Valfenera Paolo
Lanfranco, che tra le carte dell’archivio comunale hanno trovato un manoscritto autografo di
Novaro, una sua composizione ancora ignota che titola sul frontespizio:
«I Bougianen / Canzone piemontese dell’Avvocato A. Brofferio / Musica di M. Novaro»
In calce allo spartito la data e la dedica alla prima moglie di Brofferio, Felicie Perret:
«Le 23 8.bre 1865 / Pour Madame Felicie Brofferio / Novaro M.»
18
L'associazione culturale "Il Saggiatore musicale", su iniziativa di Lorenzo Bianconi e Giuseppina La Face (Università
di Bologna), promosse nel 2001 una giornata di studio su “Il canto degli Italiani” di Goffredo Mameli e Michele
Novaro, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica.
19
A Roberto Iovino si deve anche il capitolo, Michele Novaro e l’Inno di Mameli, in Fratelli d’Italia. Goffredo Mameli
e Genova nel 1847, a cura di E. Costa - G. Fiaschini - L. Morabito, Istituto Mazziniano, Genova, 1998, pp. 87-99, a cui
si affiancano per la conoscenza della vita e dell’opera di Novaro i testi, contenuti nella recente pubblicazione Genova
2018 II Edizione 38a Manifestazione Fieristica di Filatelia - Numismatica - Collezionismo Vario, numero unico in
prevalenza dedicato a Michele Novaro nel bicentenario della nascita, Genova, AFN, 2018, di Liliana Bertuzzi, Michele
Novaro, musicista e patriota, pp. 14-13, di Marco Ghiglione, Inneggiamo a Michele Novaro nel bicentenario della
nascita, pp. 14-25 ed Enrico Bertazzoli, Michele Novaro un grande genovese quasi ignorato, pp. 26-30.
20
Da Storia del Teatro Regio di Torino, coordinatore Alberto Basso, 6 voll., Torino, Cassa di Risparmio di Torino,
1976-1991.
21
DELL’ARA, op. cit., tomo II, nelle sezioni dedicate agli editori Francesco Blanchi pp. 270 e 351, Marziano Cantone p.
404, Giudici e Strada pp. 451,487 e 493, Giuseppe Magrini pp. 620, 621 e 630, Racca e Balegno pp. 710 e 714.
22
MICHELE NOVARO, Quattro Contradanze per pianoforte, in Storielle carnevalesche / Album di danze / Gran Raccolta
/ di valzer, polke, mazurke, galop, ecc. / per / pianoforte / di / rinomati autori, Milano, Vismara, s.d.
65
Dunque Novaro mette in musica I Bougianen, 23 la poesia simbolo della piemontesità e dalla
dedica si intuiscono i suoi rapporti d’amicizia con Angelo Brofferio e la sua famiglia. Le tonalità
sono le stesse de Il Canto degli Italiani: inizia in Si bemolle maggiore e a metà passa a Mi bemolle
maggiore, un procedimento caratteristico delle sue composizioni (vedi cap. 3.2). Nell’Appendice IV
la partitura autografa è riprodotta integralmente insieme alla trascrizione del testo piemontese e alla
traduzione.24
Infine la testimonianza più chiara e diretta del particolare rapporto tra il musicista e la città
subalpina, dove trascorse anni di intensa e gratificante attività artistica e che fece da sfondo alla sua
creazione musicale più celebre, ci viene proprio dall’autografo della partitura custodita nel Museo
del Risorgimento torinese, dove Novaro scrive l’affettuosa dedica:
«Alla mia diletta città di Torino […] dove avevo stabile dimora».
23
Pronuncia bugianén, termine quasi intraducibile per i suoi molti significati: letteralmente significa non ti muovere e si
riferisce a un temperamento capace di affrontare le difficoltà senza arretrare, con fermezza e determinazione, ma è
anche usato per ironizzare su una presunta passività troppo succube e prudente dei Piemontesi.
24
ANGELO BROFFERIO, Canzoni Piemontesi, Torino, Borgarelli, 1868, pp. 303-306; edizione moderna con traduzioni,
Torino, Viglongo, 2002, pp. 408-412.
66
CATALOGO
Edizioni de Il Canto degli Italiani
Il Canto degli Italiani Fratelli d’Italia l’Italia s’è desta, Poesia del Conte Mammelli, musica del Maestro Michele
Novaro, per tenori, bassi e pianoforte, Torino, Magrini n.1193, 1848
Fratelli d’Italia. Inno, per canto pianoforte, Torino, Racca e Balegno n.1193, (1853 ca.)
Il Canto degli Italiani (Fratelli d' Italia - L' Italia s' è desta) poesia del Conte Mammelli, musica di M. Novaro,
Riduzione per Pfte e Canto (in Chiave di Sol) o Pfte solo di Filippo Fasanotti, Milano, Ricordi n. 31364, 1859
Inno Nazionale, Il Canto degli Italiani, (Fratelli d'Italia, l'Italia s' è desta) poesia di G. Mameli, musica di M. Novaro,
edizione originale, per Tenori, Bassi e pianoforte, Milano, Ricordi n. 32349, 1860
Il Canto degli Italiani, in Marcie [sic] e Canti Patriottici del 1848, Torino, Blanchi n. 2926, (1875 ca.)
Edizioni musica vocale
Fede e concordia I Liguri ai Fratelli piemontesi, Inno di L. Ponthenier, musica del maestro Novaro, Torino, Magrini
n.1189, (1848 ca.)
Coraggio, coraggio siam oggi soldati, Inno militare di G. Bertoldi posto in musica da Michele Novaro, Torino, Magrini
n.1200, 1848
La Costituzione, Inno di G. Bertoldi posto in musica da Michele Novaro, Torino, Magrini n.1205, 1848
Il canto della guerra, Milano, Ricordi, 1848
Il nuovo anno. Inno di G. Bertoldi. Posto in musica e dedicato a S. M. il Re Carlo Alberto [Torino?], Lith. J. Junck
n.1196, 1848
La guardia civica piemontese, Inno marziale, poesia di A. Parato, musica di M. Novaro, Torino, Magrini n.1212, 1850
Unione e libertà, canto popolare, Milano, F. Lucca n. 8681, 1852-1853, ed. moderna in Unione e libertà, (album di 5
canti patriottici - 1850 ca.), a cura di Cesare Mancini, Padova, Armelin, 2011
È risorta! canto di A. G. Sardi, musica di Michele Novaro, per S., T. e B., dedicato a S. M. il Re Vittorio Emanuele II,
Milano, Ricordi n. 32442, 1860
Inno di Guerra, ultimo canto di G. Mameli (Suona la tromba), per Soprani, Tenori e Bassi e pianoforte, Milano, Ricordi
n. 32505, le sole parti di Canto separate n. 32506, 1860.
Grido siculo, ossia La Rivoluzione siciliana, canto popolare per coro, campane, cannone, tamburo e pianoforte, testo di
F. Dall’Ongaro, Milano, s.d.
Il canto del Dragone, testo di F. Dall’Ongaro, duetto per Tenore, Basso e pianoforte, Milano, F. Lucca n.12360, s.d.
Italia libera, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12361, s.d.
La Livornese, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12362, s.d.
L’anello dell’ultimo Doge, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12363, s.d.
Danziam, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12364, s.d.
Il Noncello, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12365, s.d.
Venezia, testo di A. Fusinato, Milano, F. Lucca n.12366, s.d.
Il Po, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12367, s.d.
La canzone del fabbro ferrajo, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12368, s.d.
L’emissario, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12369, s.d.
Il knout, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12370, s.d.
La donna lombarda, testo di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12371, s.d.
La bandiera italiana, testo di F. Dall’Ongaro, duettino (Ricordo di Donizetti), Milano, F. Lucca n.12372, s.d.
Viva l’Italia: album di canti popolari italiani, testi di F. Dall’Ongaro, Milano, F. Lucca n.12373, s.d.
È risorta, canto di A. G. Barrili, musica di Michele Novaro, Milano, F. Lucca n.12374, 1859
La ronda della Guardia Nazionale Italiana, per coro e pianoforte, Milano, F. Lucca n.12609, 1861 ca.
La donna italiana, canzone per voce e pianoforte, poesia di G. Bertoldi, Milano, F. Lucca n.12655, 1861ca.
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Scena e duetto di due gobbi rivali, per due bassi e pianoforte, Milano, F. Lucca n.13387, 1861 ca.
L’amore, valzer brillante, parole di E. Marenco, Milano, F. Lucca n.13689, 1861 ca.
Chi ami? poesia del cav. Prati, musica di M. Novaro, Torino, Giudici e Strada n.7316, (1863 ca.)
Canto di villanelli, canzone a 2 voci, s.d.
L’augellino che mi dice, scherzo, s.d.
Stornelli di L.C, per canto e pianoforte, Il lamento n.7317, La ghirlanda d’amore n.7318, fascicoli uniti n.7319, Torino,
Giudici e Strada n.7317-19, (1863 ca.)
La spigolatrice di Sapri poesia del prof.e Mercantini, musica di M. Novaro, Genova, G. Poma n. 600, in Fiori Liguri
Album di 12 canzoni in chiave di sol del Maestro M. Novaro: Il Marinaro n. 601, Il Molinello n. 602, La Trovatella
n. 603, Chi ami? n. 604, Coi pensieri malinconici n. 605, Mezzanotte n. 606, La Polka n. 607, Barcarola n. 608, La
Bandiera n. 609, Polka Mazurka n. 610, La Siciliana n. 611, s.d.
La spigolatrice di Sapri, melodia per canto e pianoforte, Torino, Cantone n.1889, s.d.
Edizioni musica operistica
Parodia dell’opera L’Africana di Giacomo Meyerbeer, Genova, Lavagnino, 1867
La sacerdotessa d’Irminsul, parodia della Norma di Vincenzo Bellini, tragicommedia lirica su libretto Emilio Delusi,
Genova, Lavagnino, 1870
Ö mego pe forza, opera in 3 atti in dialetto genovese, poesia di Niccolò Bacigalupo, Genova, Pagano, 1874
Edizioni musica strumentale
Scottisch op.124, per pianoforte, Torino, Magrini n.1376, (1850 ca.)
Effisia. Mazurka op.122, per pianoforte, Torino, Magrini n 1381, (1850 ca.)
Prassede. Polka, per pianoforte, Torino, Magrini n.1389, (1850 ca.)
Italiana, Danza, Polka per pianoforte, Torino, Magrini n.1242, (1849 ca.)
L’Italiana, Nuova danza composta dal maestro Caisson, per pianoforte, Torino, Magrini, 1849
Effisia. Mazurka, per pianoforte, Torino, Racca e Balegno n.1381, 1853
Nuova danza italiana, per pianoforte, Torino, Racca e Balegno n.11242, 1853
Prassede. Polka, per pianoforte, Torino, Racca e Balegno n.1369, 1853
Umberto e Margherita, Marcia reale d’ordinanza, Torino, s.d.
Satana, valzer diabolico per pianoforte, Milano, F. Lucca, s.d.
Roma e Venezia Gran Polka Nazionale, a S.A.R. Principe Oddone, per pianoforte, Torino, Giudici e Strada n.7649,
(1864 ca.)
Una battaglia, pezzo descrittivo di fantasia a grand’orchestra e banda, riduzione per pianoforte a 4 mani di Luigi
Truzzi, (Con vignetta), Milano, Ricordi n. 32551, 1868.
La Costituzione, per pianoforte, Torino, Blanchi, edizione n. 8098, 1896 ca.
4 Contradanze : Cosa fastu lì Catina, Viva la filiberta, Un bel giorno i’ son incontrame, Noi partiamo Bersaglieri,
comprese nella raccolta Storielle Carnevalesche / Album di danze per pianoforte, Milano, Vismara n. 5764, s.d.
Manoscritti inediti
Raccolta di regole d'armonia, opera didattica; il manoscritto autografo, custodito presso Biblioteca del Conservatorio di
Genova, pubblicato con la trascrizione a fronte, nella sezione Manoscritti del Conservatorio sul sito internet
www.conspaganini.it
Salve mio bel suol natio, inno per voci di fanciulli d'ambo i sessi, poesia del Marchese Mameli G.B., 1884, manoscritto
presso Biblioteca di archeologia e storia dell'arte, BiASA, Roma
I Bogianen, poesia di Angelo Brofferio, per canto e pianoforte, manoscritto presso Archivio Comune di Valfenera (AT)
Manoscritti presso Biblioteca dell'Archivio storico Ricordi, Milano:
Povero il fiore che non ha profumo, romanza per voce e pianoforte, 1850 ca.
Caprera, polka per pianoforte, 1862
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Appendice III
VITTORIO BERSEZIO
(Peveragno, 22 marzo 1828 – Torino, 30 gennaio 1900)
Il nostro Bersezio, destinato a raggiungere grande fama di scrittore come autore de Le miserie
d'monsú Travet (1863), nel 1847 è uno studente di giurisprudenza con la passione per la politica e il
giornalismo. È tra i collaboratori de Il Messaggiere Torinese diretto da Angelo Brofferio e delle
Letture di famiglia fondato e diretto da Lorenzo Valerio. È l’inizio di una carriera giornalistica che
lo vedrà direttore già nel 1854 del Fischietto, uno dei più importanti periodici satirici d'Italia, e dal
1867 del quotidiano la Gazzetta Piemontese, integrata in seguito dal settimanale la Gazzetta
letteraria e antenata del giornale La Stampa.
Da notare che come giornalista si occuperà anche di critica musicale con l’acume e la
competenza che dimostra anche nel riferire l’episodio del suo primo incontro con L’inno di Mameli
musicato da Novaro. La cronaca, che ha protagonista Michele Novaro, conclude il capitolo
diciottesimo delle sue memorie pubblicate in appendice alla Gazzetta del Popolo nel 1899 e in
seguito raccolte nel volume I miei tempi.
Qui di seguito riportiamo integralmente, imitandone anche la veste tipografica, questo capitolo
denso di avvenimenti significativi per tracciare il quadro complessivo del clima torinese in quella
particolare fase della nostra storia in cui si colloca la nascita de Il Canto degli Italiani.
E al termine del capitolo la puntuale e preziosa testimonianza del giovane Bersezio diventa
vissuta e appassionata riflessione del maturo Bersezio sul valore del nostro inno.1
1
Vittorio Bersezio, I miei tempi - con prefazione e note di Remo Formica, Torino, Alfredo Formica, 1931, pp. 230 –
245. Il testo di Bersezio ha ispirato la sceneggiatura del docufilm Il Canto degli Italiani.
69
CAPITOLO XVIII.
Agitazione continuata — Per lo Statuto — R. D'Azeglio e i dimostranti — I
sindaci dal re — Concessione dello Statuto — Gioia entusiastica — Grande
dimostrazione — I Valde s i — I pro f ug h i L o mb a rd i — R iv o l uz io ne a Parigi —
Cacciata dei gesuiti — L'inno di Mameli musicato da Novaro.
La tranquillità tradizionale e monotona della vita pubblica torinese non potè
ritornar più. Dimostrazioni di gioia o di protesta, o d'invocazione o di minaccia,
quell'inverno quasi tutti i giorni la popolazione era in piazza con una
provvista di nuovi gridi, di nuovi richiami. Ogni fatto im portante av venuto
nelle altre regioni aveva la sua ripercussione in un assembramento della no stra
cittadinanza: il sangue sparso dagli austriaci a Milano nei primi giorni di
gennaio, a Pavia; l'occupazione di Guastalla fatta dal duca di Mo dena;
l'insurrezione di Palermo, di Catania; e finalmente la concessione dello Statuto
rappresentativo a Napoli, poi a Firenze, furono altrettante fasi di ordinato e
serio fermento popolare.
Poichè Napoli e Toscana avevano ottenuta la Costituzione, si doveva e voleva
averla anche qui. In una seduta dei giornalisti torinesi con quelli genovesi venuti a
Torino per domandare la istituzione della Guardia Nazionale, Camillo Ca vour
aveva francamente sostenuto che la doman da da farsi era quella del governo
parlamentare, ma tal proposta, forse perchè venuta dal figlio del famoso e odiato
vicario, era stata creduta una insidia e rifiutata dalla prudenza dei convocati. Il
popolo invece l'adottò con ardore e pose in atto il solo mezzo di appoggiarla che
avesse; e tutti i giorni una fitta turba si raccoglieva in piazza innanzi al palazzo
reale gridando lo Statuto e temperando la temerità della domanda con qualche viva
il re! Carlo Alberto se ne irritava, i moderati se ne sgomentavano, i retrivi ne
sorridevano sperando nuovi e maggiori guai che finissero per mandare in fondo
anche le riforme. Il Consiglio municipale, raccoltosi in seduta stra ordinaria, dietro
l'eloquente discorso di Pietro di Santa Rosa deliberò di mandare i due sindaci dal
re a fargli presenti i voti della cittadinanz a; e il re pregato di concedere l'udienza
fissò per essa il posdomani che era il 7 del mese di feb braio. Ma tutto questo non
bastò ad acchetare il popolo; e la Polizia, che non osava più praticare i suoi
metodi antichi e non sapeva a quali nuovi appigliarsi, la Polizia pensò essa
medesima di raccomandarsi all'influsso della popolarità di Roberto D'Azeglio; e
questi, sempre pronto a qualunque prova pel bene del paese, accettò il difficile
incarico. Ed eccolo penetrare in Piazza Castello, quando fitta e tumultuante era la
calca. Vedutolo, i dimostranti credettero ch'egli venisse come di solito a capitanarli, e
gli si serrarono intorno acclamandolo; ma egli subito li disingannò. Con parola
piuttosto severa, ammonì quello non essere modo per sup plicare il sovrano; la
rappresentanza municipale avrebbe presentato al trono i desiderii del popolo,
doversi aspettare con calma le decisioni del re senza turbarle con tumulti di piazza;
il meglio, anzi l'unica cosa da farsi essere il ritirarsi tranquilli ciascuno a casa sua.
70
E fidando nella sua influenza conchiudeva: « Fate come faccio io!... Io me ne
vado!... Seguitemi! ». Un alto silenzio rispondeva al suo discorso; gli si apriva
rispettosamente il passo; egli si avviava, ma nessuno lo seguiva. Allora, f atto il giro
del palazzo Madama, il buon Roberto compariva dall'altra parte. Nuovo discorso,
nuove ammonizioni, la medesima chiusa: Io me ne vado!... Seguitemi! », e
medesimo l'effetto. Egli tornava ancora e scorreva da gruppo a gruppo e perorava.
A un punto lo udii io stesso dire con energia queste parole: « Ritiriamoci per oggi.
Se la Costituzione non ci sarà accordata, allora torneremo in piazza, e mi metterò io
alla vostra testa! ». Niente! Per quattro ore il povero D'Azeglio lottò, e poi si
ritrasse stanco, rauco, raffreddato, sfiduciato della sua popolarità, umiliato di non
aver potuto ottener nulla.
Si sapeva per Torino che il re aveva acconsentito a ricevere i sindaci e assegnata
loro la udienza per le quattro pomeridiane del giorno 7, ma col patto espresso che
non ci sarebbe rumore in piazza nè di plausi nè di grida, avendo dichiarato che il
menomo tumulto avrebbe fatto chiudere ai municipali le porte della reggia. La folla
radunata in piazza, forse più fitta ancora dei giorni precedenti, stava in cupo
silenzio, che aveva qualche cosa di solenne e anche di minaccioso. La carrozza dei
sindaci attraversò quella turba taciturna, che fissava ardentemente, ansiosamente
le faccia pallide dietro i cristalli chiusi. L'aspettazione irrequieta della folla si
traduceva in fremiti e sussurri, come quelli del vento negli alberi d'una foresta. La
udienza non fu lunga. La gente si accalcò intorno alla carrozza nel suo ritorno, e
tutti cercavano di leggere sul volto dei sindaci l'effetto dell'ardimentoso passo: il
contegno di quei due era d'un riserbo impenetrabile.
Presto si seppe che il re aveva ricevuto la deputazione con molta freddezza; che
aveva mostrato di ignorare affatto qual domanda fossero venuti a fargli e che di
questa si dichiarava sorpreso; a ogni modo egli l'avrebbe presa a considerare e
studiare, essendo egli disposto a fare tutto quanto, entro i limiti dei suoi alti
doveri, poteva contentare il suo popolo. Questa risposta non soddisfece, ma non
iscoraggiò neppure del tutto le speranze; e nel giorno seguente maggiori che mai
l'inquietudine e l'agitazione. Fin dalla mattina la folla si serrava innanzi alla
piazzetta reale. Respinta dai soldati, cacciata dai birri, essa si ritraeva di qua per
ispuntare di là; si scioglieva da questa parte per agglomerar si da quella, tornava
instancabile, insistente. Finalmente, verso le ore cinque pomeridiane del martedì
otto febbraio, corse per tutta la popolazione il grido: « Carlo Alberto ha concesso lo
Statuto! ». Subito, come per un colpo di fulmine, il tripudio sco ppiò enorme,
inesprimibile. Il proclama che lo annunziava, stampato a una infinità d'esemplari,
venne diffuso per tutto, incollato sui muri, appiccicato agli specchi nei caffè, sotto
ai lampioni, nelle strade, piantato in cima a pertiche e bastoni e portato in giro per
la città da gonfalonieri improvvisati, dietro cui si serravano schiere fitte d'uomini
d'ogni fatta, giovani e vecchi, ricchi e poveri, cantando inni, gridando evviva, e
siccome la notte era discesa, ai lati dei portatori del benedetto manifes to s'erano
venuti a collocare dei volonterosi illuminatori con torchi e fiaccole.
71
La concessione delle Riforme aveva provocato le più vivaci dimostrazioni di
gioia; la promessa dello Statuto meritava un più entusiastico scoppio di applausi e
di gratitudine. E lo ebbe come per l'addietro. Ne fu capo supremo, stratega
ordinatore Roberto D'Azeglio, intorno a cui si strinsero tutti i caporioni e di Torino
e delle altre città. Nella capitale avrebbe avuto luogo la solenne manifestazione; ma
le popolazioni di tutto il Regno vi avrebbero partecipato; quindi fatto accettare dal
re il proposito, e da lui medesimo determinare la data, si scrissero inviti e
sollecitazioni a tutti i Municipi, che s'affrettarono a rispondere e corrispondere con
vivo zelo.
Il giorno fissato fu l'ultima domenica del mese, il 27 febbraio. Tutte le autorità,
le rappresentanze di tutti i Municipii, tutte le corporazioni, le professioni, arti e
mestieri, tutti gli Istituti, gli ordini, le scuole, tutta la popolazione avrebbe
assistito al canto del Te Deum eseguito nella chiesa della Gran Madre di Dio,
occupando la piazza di detta chiesa, e il ponte che vi conduce, e la piazza Vittorio
Emanuele (1) che la fronteggia. Dal palazzo reale alla chiesa tutta la guarnigione,
accresciuta da quelle delle città più vicine, doveva tenere sgombro il mezzo della
strada; e il re a cavallo coi figli e il suo Stato Maggiore, all'ora posta (le dieci del
mattino) si sarebbe recato alla sacra funzione, terminata la quale, il re doveva
venire a portarsi sotto il Palazzo Madama, in faccia alla gran finestra della galleria
d'armi, e di là assistere allo sfilare di tutta quella massa di popolo prima e della
truppa poi.
Già da parecchi giorni erano venuti a Torino a mano a mano, fin dai paesi più
lontani, non solamente le autorità municipali, ma un buon numero degli abitanti,
maschi e femmine, così che a Torino poteva dirsi per davvero essersi raccolta per
numerose rappresentanze tutta la popolazione del Regno. Tutta questa
innumerevole folla di gente occupò le due piazz e della Gran Madre e Vittorio
Emanuele, e dovette ancora rifluire nella via di Po serrata, pigiata; e prima che
tutti fossero a posto si era al mezzogiorno. Il re, che stava da due ore aspettando,
avuto l'avviso che si era in ordine, scese, si pose in sell a e seguìto da un brillante
corteo venne giù per via di Po a passo lento. Dietro le baionette delle armi che le
sue truppe gli presentavano, ribolliva in un grido incessante di ebbrezza patriottica
l'entusiasmo del suo popolo. Tutto quel rumore, tutto quel tumulto lasciavano
impassibile quel volto dai lineamenti mesti e severi; ma entro il cuore? ma nei
penetrali di quell'anima misteriosa?
La funzione religiosa fu spettacolo imponente, indescrivibile. Gremite le due
piazze di armi e di popolo, rigurgitanti di spettatori le case alle finestre, ai balconi,
fin sopra i tetti. Quando il re, sempre a cavallo, curvò la testa scoperta alla
benedizione che il sacerdote impartiva dall'alto della gradinata, e le musiche
militari suonavano e le campane cantavano baldoria, e il cannone tuonava dal
(1) Ora la piazza Vittorio Emanuele I ha cambiato il suo vecchio nome in quello di piazza Vittorio
Veneto.
72
Monte dei Cappuccini, fu un momento di generale ineffabile emozione; corse come
un fremito, una scossa elettrica che tutte congiunse quelle migliaia d'anime in un
comune accordo, in un comune trasporto d'amore: l'amore della p atria!
Poi successe la sfilata. Carlo Alberto col suo corteo a cavallo in faccia alla loggia
della gran galleria; a questa la regina Maria Teresa, la Duchessa Maria Adelaide, in
mezzo a loro Maria Clotilde di cinque anni, Umberto di quattro, figli di Vitt orio
Emanuele. Fra la rigidità guerriera di quel re a cavallo e quella grazia femminile e
infantile, incorniciate nell'omaggio dei cortigiani, scorreva ordinata, incanalata
dalle baionette dell'esercito nazionale, la gran fiumana del popolo festante. Ogni
squadra arrivava innanzi al re con una esplosione di grida frenetiche; si volgevano
le faccie e gli occhi su quel pallore incoronato, si agitavano aria i cappelli; Carlo
Alberto con moto regolare, automatico rispondeva con un saluto, e si passava. Noi,
studenti, avevamo formato un numeroso plotone di vestiti all'italiana, come allora
dicevasi, e l'avevamo posto a capo di tutti. Questa foggia di vestire c'era venuta nel
principio del mese precedente da Milano, dove, dopo i guai dei primi giorni
dell'anno, la gioventù l'aveva proposta per affermazione di nazionalità. Consisteva
in calzoni ampi che scendevano dritti fino ai piedi, in una giacchetta o tunichetta a
falda corta, serrata ai fianchi da una cintura di cuoio alta quattro dita, chiusa
davanti da una grossa fibbia d'acciaio, un mantelletto o sarocchino sulla spalla
sinistra, e in testa un cappello a larga tesa, ornato d'una lunga penna cascante
all'indietro; la stoffa era velluto di cotone, il colore nero. Queste gole di diciottenni
la sera erano tutte afone come se avessero loro strappate le corde vocali.
Ma due furono le schiere che all'emozione generale ne arrecarono una particolare
e tutta propria: la prima di tenerezza e compiacenza, la seconda di tenerezza e
dolore.
Ecco una massa di gente che cammina non divisa in isquadre, ma tutta in un
gruppo solo, eppure senza confusione e tumulto, uniti senza distinzione giovani e
vecchi, donne e bambini, poveri e ricchi, tutti cogli abiti festivi e più festiva
l'espressione del volto. Direste che è un paese intiero, anzi tutta una regione che ha
abbandonato le sue stanze in un pellegrinaggio patriottico di riconoscenza: ed è
così. Sono i Valdesi che un editto regio la settimana precedente ha emancipati, ha
fatti uguali agli altri cittadini. Questi stati sempr e fedeli e valorosi sudditi di Casa
Savoia, anche quando tenuti in una mezza schiavitù, anche quando perseguitati ed
oppressi, hanno voluto testimoniare in modo splendido la loro gratitudine al
sovrano e alla cittadinanza di Torino che molto si era adopera ta per essi. Tutti
quelli che poterono si misero in viaggio. Erano giunti la sera prima, e subito
recatisi all'alloggio di Roberto D'Azeglio, uno dei più strenui patrocinatori della
loro causa, sotto alle sue finestre, al chiaror delle fiaccole, ne avevano commosso il
cuore col canto solenne d'uno dei loro inni religiosi di ringraziamento e di lode a
Dio. E ora gridavano: Viva il Re! tendendo in atto di amoroso ossequio le braccia al
loro liberatore, come figli ribenedetti al padre che li ammette alle dolce zze della
comune famiglia.
73
Quest'altra schiera, invece, non canta, non grida, non ha bandiere, nè coccarde,
nè segni giulivi. Pochi, abbrunati, mestamente severi; hanno il pallore sulle
guancie, le lagrime agli occhi. Sono i Lombardi sfuggiti alle sciabol ate in Milano,
scampati per miracolo dagli artigli della polizia che stava per mandarli a
continuare il martirologio italiano nelle fortezze della Moravia. La loro presenza, il
loro contegno dicono che non vi può essere vera gioia per gl'italiani, vera lib ertà
per la patria, finché sul nostro suolo sia il dominio straniero: e questo lo capisce il
popolo tutto, che ammutisce al loro passaggio, e questo pensa di certo quel re muto
che fa scendere su di loro il suo sguardo di sfinge. Giunti al cospetto del re, i
profughi abbassano il cappello e sfilano silenziosi; e Carlo Alberto, che alle grida
delle squadre ha risposto sollevando di pochi centimetri dalla fronte il cappello da
generale, ora si toglie affatto il cappello e rimane a testa nuda finché tutti sono
passati.
Questa grande sfilata non era finita, che per tutta Torino si diffuse una
strepitosa notizia: la rivoluzione scoppiata e vittoriosa a Parigi: Luigi Filippo e la
sua famiglia in fuga: proclamata la repubblica! Fu un fulmine che sbalordì. Varii i
giudizi, i timori, le speranze, tutta una confusione. Quella gran parola repubblica
faceva paura ai più. Carlo Alberto, da essa spaventato, non si sarebbe tirato
indietro? Come sperare ch'egli osasse assalire l'Austria avendo alle spalle un
focolare di rivolta? La rivoluzione francese non avrebbe imitato l'esempio di quella
dell'altro secolo e inondata l'Europa delle sue idee ed armi sovversive o messo a
soqquadro anche l'Italia prima che essa si potesse costituire?
Ma d'altra parte non era da rallegrarsi che fosse caduto quel Governo
mercantesco incarnato nel dottrinarismo del signor Guizot, il quale ancora pochi
giorni prima dalla tribuna aveva, non che condannato, schernito il movimento di
redenzione che ferveva in tutta la penisola? La pubblica opinione presto si
rassicurò: nessuna paura, nè dubbio, nè esitanza. Il cammino era segnato e aperto,
bisognava percorrerlo. Si credeva oramai alla stella d'Italia. Era quell'astro che
Carlo Alberto, pochi anni prima, colla fatidica e augurale sua medaglia aveva d etto
d'attendere. Quell'astro era spuntato sull'orizzonte e illuminava la pallida fronte
del re guerriero. Tutti si strinsero intorno a lui; ed egli, snudando finalmente la
spada, pronunzierà il motto sublime, cui dovranno smentire gli eventi, ma che
rimarrà grido di altissima fede, titolo di gloria innanzi ai più tardi posteri: Italia
farà da sè!
La sera luminaria generale, gran fiaccolata, numerosa mascherata
rappresentante il carroccio dei Comuni medievali vincitori del Barbarossa,
circondato da cavalieri e pedoni armati e seguìto da una folla di vestiti all'Italiana:
canti, grida, applausi, ovazioni ai cittadini più in fama di liberali, continuo
esuberante entusiasmo.
Pareva che in tanta misura soddisfatte le brame del popolo, dovesse la calma
ritornare nelle già sì quiete strade torinesi; e così non fu. Ogni giorno una nuova
causa di agitazione. Prima i gesuiti. L'odio sì a lungo covato, tanto tempo
compresso, avuto campo dalla libertà, scoppiò irrefrenabile. Cominciò in Sardegna.
74
A Cagliari i gesuiti, assaltati da una folla furibonda, furono salvi a stento dalle
autorità civili e militari, senz'altro imbarcati sopra una nave fortunatamente
pronta a partire e trasportati a Genova. Questa città montò sulle furie al vedersi
regalato un nuovo manipolo di quella nera milizia e trasse a tumulto al loro
quartiere per farli sfrattare e peggio. Non si vide per loro altro mezzo di scampo
che quello di far fagotto, e tutti, gli antichi e i nuovi venuti, pigiatisi in modeste
carrozze, di notte, alla chetichella, partirono alla volta di Torino, dove credevano
potere star tranquilli come in inespugnabil rocca. Sbagliarono. Torino se ne adontò
si e come aveva fatto Genova. La sera minacciosi assembramenti tumultuarono
innanzi alle loro case, in Via Dora Grossa, ora Gar ibaldi, presso la chiesa dei
Martiri, dove avevano il convento, in via del Carmine, dov'è il Collegio -Convitto, e
perfino nella via dell'Ospedale all'educandato delle dame del Sacro Cuore,
gesuitesse, in quell'ampio edificio, dove ora è allogato il Museo i ndustriale. La
polizia, dopo la concessione delle Riforme, aveva poco meno che rinunciato a
compiere il suo ufficio: scombussolata dalla novità dei casi, parte non osava più far
nulla, temendo eccedere, parte non voleva, sperando che i crescenti disordini la
facessero reintegrare nel suo potere. Per custodire la pubblica sicurezza, i cittadini
medesimi, poichè già era promessa la Guardia Nazionale, si iscrissero in una
provvisoria milizia urbana volontaria, e il Governo consentì che cosi facessero,
accordando loro per distintivo e autorità certe gibernaccie a tracolla e vecchi
moschettacci a pietra focaia del secolo precedente; e quelle brave persone, formate
le compagnie, pattugliavano di notte, come vecchia milizia sperimentata. A loro si
ebbe ricorso per la difesa dei gesuiti: e due giorni e due notti stettero in
permanenza manipoli scambiati dopo tante ore a proteggere i luoghi e le persone
minacciati. Uscì finalmente il decreto che bandiva la famosa Compagnia da tutti gli
Stati del Re di Sardegna; e il giorno 6 marzo tutti gli istituti e collegi e conventi
gesuitici erano vuoti e deserti.
Nuove dimostrazioni di gioia: passeggiate, fiaccolate e canti serali per le piazze
e le strade. E fu in queste dimostrazioni che s'intese per la prima volta in Italia
quell'inno del Mameli, musicato dal Novaro, che doveva diventare il canto
nazionale italiano. Ed ecco il come. Una sera dei primi giorni di marzo nel Caffè
Calosso, dopo le Riforme ribattezzato patriotticamente Caffè della Lega Italiana,
entrò con passo risoluto ed affrettato un uomo sui trent'anni, di mediocre statura,
con una bella testa piuttosto grossetta, un naso risentito, due baffetti neri, capelli
alla raffaellesca, occhi vivacissimi. In quel momento la sua fisionomia,
abitualmente animata, aveva un'animazione maggiore, e gli occhi sfolgoravano
sotto l'ampia fronte lasciata scoperta dal cappello rigettato indietro.
— Amici! — gridò con voce alquanto concitata. — Ho scritto la musica dell'Inno
di Mameli. L'ho finita adesso. Voglio che la sentiate... Venite!
Un'irruzione di applausi salutò quell'annunzio. — Andiamo! andiamo! — si
esclamò. — Subito!
Si uscì dal caffè in dieci o dodici, e si seguì il nuovo venuto. Questi era Michele
Novaro da Genova, secondo tenore e maestro dei cori dei teatri Regio e Carignano
75
esercìti da una medesima impresa. Egli abitava al terzo piano del secondo
casamento di via Roma (allora Nuova), a sinistra di chi viene da Piazza Castello,
una stanza non tanto vasta perchè l'invasione d'una dozzina di uomini non vi
facesse ingombro.
Il padrone di casa accese quante lucerne e candele aveva per la camera, e le
depose qua e là sulla caminiera, sul canterano, sulla scrivania, sul pianoforte,
scoprì la tastiera, mise sul leggio un foglio di musica scritta e accomodò lo sgabello
per sedervisi; ma di colpo, per una improvvisa risoluzione, si volse verso
quell'uditorio che si serrava intorno al piano, e disse con un'intima emozione, che
vibrava nell'accento e nello sguardo.
— Bisogna ch'io vi dica l'idea che mi fece nascere il motivo e l'andamento di
questo canto. Dico idea; dovrei dire sogno, fantasticheria, visione. La t roverete
bizzarra, e par tale anche a me; ma in ogni modo mi ha dominato e ispirato... Ecco
dunque. Mi parve di essere in una gran pianura il cui confine si perdeva dietro
l'estrema linea dell'orizzonte; a capo di essa, un rialzo, su cui un trono.... una
cattedra... sì, la cattedra di bronzo in San Pietro del Vaticano; e in essa
solennemente assettato in solenni paludamenti Pio IX... Intorno e sotto a quel
trono un innumerevole corteo di re, di principi, di guerrieri, di prelati, di
magistrati: in faccia una immensa moltitudine che fittamente riempiva tutto quello
spazio immenso, le popolazioni di tutta la penisola là convocate a una dieta
universale delle genti italiche. Tutti avevano viso ed occhi intenti nel Pontefice, e
un gran silenzio incombeva su quella folla immobile ed aspettante. Pio IX si alza,
tende le braccia verso quella moltitudine, e con voce grave, solenne, lenta,
annunzia ai popoli la buona novella: « Italia essersi desta, riprendere la gloriosa
sua strada, doversi fare a lei schiava la vitt oria! » Un susurro si leva da quella
folla: si guardano attoniti, s'interrogano, si ripetono a mezza voce, agitati,
frementi, le parole del Pontefice.
« Se ne persuadono. Ma allora bisogna combattere e vincere; si combatta:
« stringiamci in coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò ». Se lo ripetono
esaltandosi, l'entusiasmo li manda a un crescendo incalzante che si conchiude in un
grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra. E il poeta mi
perdonerà se, per mandare questo grido, ho aggiunto all'ultimo verso una sillaba:
« l'Italia chiamò: Sì! ».
Sedette al piano. La sua voce, che pel teatro era poca, per quella camera riusciva
piena e sonora; e l'interno affetto e il sentimento onde era stato ispirato, davano al
suo canto una efficacia di espressione che nulla più. Quando ebbe gettato
quell'ultimo grido, quel sì finale che ha tanta forza e fierezza, scoppiò un vero
entusiasmo; tutti ci si strinse intorno al maestro, lo si abbracciò, si baciò, si plaudì,
si gridò, si pianse. Si proclamò, ed era vero, che l'Italia aveva il suo canto.
76
Quel canto bisognava farlo conoscere, diffonderlo. L'Accademia Filodrammatica,
che risiedeva ove ora sta il Liceo musicale (1), aveva già nello autunno concesso i
suoi vasti locali a pian terreno per imparare e provare gli inni con cui salutare il
ritorno del re da Genova; essa aprì anche questa volta le sue porte ai cantori
dell'inno del Novaro e al pubblico che doveva giudicarlo e impararlo. L'effetto ne fu
enorme. Pochi giorni dopo tutta Torino sapeva quel canto, poi tutto il Piemonte,
poi tutta Italia. Il modesto istruttore dei cori, il mediocre artista di canto aveva
inchiodato il suo nome alla celebrità.
O sacro inno d'Italia! al suono delle tue benedette note quante anime si accesero
di più generoso ardore, quanti cuori si votarono più lietamente al sacrificio, quante
intelligenze più efficacemente travagliarono pel bene della patria! C'è nello
svolgersi della tua melodia, o sacro inno, un non so quale misterioso incanto, che ci
penetra, che ci fa scorrere per le membra un brivido soave e potente, che ne innalza
lo spirito a più sereni cieli, che ci fa capaci di comprendere e di compiere le gesta
degli eroi. Anche oggidì, nell'attuale intorpidimento della coscienza pubblica,
nell'offuscarsi di quelle idealità a cui s'è ispirato quel canto della lotta; anche per le
giovani generazioni, che non assistettero alle meraviglie dell'epopea nazionale,
quando per le piazze d'Italia vibrano quei magici suoni, la corrente elettrica degli
entusiasmi percorre le epidermidi della folla, il calore d'una fede par che vi sollevi il
petto. Ma quelli che l'udirono, il sacro inno, sui campi di battaglia, al supremo
istante del cimento, incorare alla morte la gioventù riboccante di vita, che videro,
al vibrare di quel ritornello, sollevarsi sanguinosi i morenti per gettare un ultimo
grido: Viva Italia!, che parteciparono ai trasporti di gioia con cui il popolo,
cantandolo, festeggiava le vittorie, plaudiva ai nostri valorosi; costoro sentono
l’anima brillare ringiovanita, tornare i palpiti d’un tempo aimè già tanto lontano.
E pare di sentire nell’aria gli spiriti dei nostri morti — uccisi in guerra, strozzati
nei supplizi, spenti nel lavorìo della lotta — di sentirli aspirare ancora ai palpiti
della vita e volersi associare alle tendenze, alle bramo sie, alle febbri del presente.
Oh! Poteste risorgere o caduti all’ombra del vessillo tricolore! Risorge te dalle glebe
che avete inaffiate col vostro sangue; e, vedendo la scettica indifferenza di troppi,
l’avido egoismo di molti, l’inconsulto dispregio delle tradizioni liberali in parecchi,
spirate nelle anime de' giovani, sempre più aperte ai generosi sensi, un poco di
quell'amore che vi scaldava il petto; fate comprendere che, per proseguire altre
conquiste del progresso nell’umano consorzio, non è necessario, è anzi un sacrilegio
il rinunciare alla idealità della patria; dite loro che voi l’ave te fatta questa patria,
ma in loro sta il renderla prospera e felice; gridate loro coll’autorità del vero eterno
che splende ai vostri ocelli: « Siate concordi, siate provvidi al soll ievo delle sociali
miserie, siate nostri degni figli, siate liberi, siate italiani! ».
(1) Non più ora (1931) Trasferito il Liceo musicale nel grandioso edificio appositamente costruito
in Piazza Bodoni, i vecchi locali da esso prima occupati (in via Rossini) sono stati concessi per la
Casa del Soldato.
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78
Appendice IV
RIPRODUZIONI DEGLI AUTOGRAFI
Nelle pagine che seguono sono riprodotti, per gentile concessione dell’Istituto MazzinianoMuseo del Risorgimento di Genova e del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, i preziosi
manoscritti autografi della poesia di Goffredo Mameli e della partitura di Michele Novaro, su cui si
fonda questa edizione critica (vedi capp. 2.1 e 2.2). Inoltre viene pubblicata in prima assoluta la
partitura inedita de I Bougianen di Angelo Brofferio proveniente dall’archivio del Comune di
Valfenera.
1. L’autografo di Mameli del museo genovese, prima stesura di Fratelli d’Italia, era contenuto
all’interno di un quaderno personale con appunti, considerazioni, poesie e scritti vari. La grafia
testimonia con correzioni, refusi, parole incomplete e omissione degli accenti, la rapidità della
scrittura per fissare concetti e rime frutto dell’ispirazione frenetica del poeta.
2. L’autografo di Mameli del museo torinese, datato Genova 10 9bre 1847 e intitolato Canto
Nazionale, è la copia che Mameli inviò al Novaro affinché lo musicasse: la grafia è più chiara,
l’ortografia più corretta e le prime cinque strofe riordinate, mentre la strofa antiaustriaca è
aggiunta dopo la firma dell’autore.
3. La partitura di Novaro del museo genovese, donata da Filippo Aonzo, è stata catalogata come
una copia autografa successiva, databile al 1849 pur recando la data del 5 dicembre 1847, a
causa dell’annotazione tra parentesi su Mameli (ucciso dai Francesi combattendo per la libertà
Italiana a Roma), in cui Novaro ricorda la fine del poeta nella difesa della Repubblica Romana
avvenuta il 6 luglio 1849. Altra annotazione di Novaro dopo firma, luogo e data: Quando la mia
Patria dopo tanti / anni d’infame servaggio, respirava / la prima aura di Libertà.
4. La partitura autografa di Novaro custodita dal museo torinese reca sul frontespizio, oltre a titolo
e autori, la dedica Alla mia diletta città di Torino e un’approssimativa indicazione temporale
Quest’inno fu da me composto verso la / fine dell’anno 1847, in Torino dove avevo / stabile
dimora, per cui anche in questo caso si tratta di documento di incerta datazione.
5. Partitura autografa de I Bougianen / Canzone piemontese dell’Avvocato A. Brofferio / Musica di
M. Novaro, in calce la data, la dedica alla prima moglie di Angelo Brofferio, Felicie Perret e la
firma: Le 23 8bre 1865 / Pour Madame Felicie Brofferio / Novaro M..
Il testo in lingua piemontese musicato da Novaro adotta la grafia ottocentesca, che si riscontra ad
esempio nell’edizione Borgarelli, Torino 1868, delle Canzoni Piemontesi di Brofferio, piuttosto
diversa dalla grafia del piemontese oggi adottata da edizioni come la Viglongo, Torino 2002, a
cui abbiamo fatto riferimento per la traduzione in italiano.
79
I BOUGIANEN
I Bougianen a ’n dio:
Famousa novità!
Già tuti a lo savio
Da doui mil ani ’n sa.
Riputassion franch giusta:
Sul Po, sul Var, sul Ren,
A l’è na storia frusta
Che noui bougiouma nen.
Pien d’ debit e pien d’ crussi,
Per devossion d’ fratei,
S’ i fusso Alman o Russi
N’ avrio ringrassià mei.
E daje, e pista, e caria,
El sach a l’é già pien:
Mandroumne tut a n’ aria?
Noui ciuto, e bougianen.
Lo san s’a l’è nen vera
Guastalla e San Quintin,
Pastrengh, Goito, Peschiera,
Palestro e San Martin.
Geneuria farisea
Veule accertevne ben?
Non lo san fina a ’n Crimea
Che noui bougiouma nen.
La lealtà? La fede?
Istorie d’ fol-foutù.
Esse d’ Cagliostro erede
Suprema dle virtù.
Stort pass, fausse parole,
E la fourtuna a ven!
Magnifiche subiole,
Noui ciuto, e bougianen.
Cosa mai veule? I souma
Na rassa d’ fa-fiochè,
Che un ciò quand i piantouma
Gnun an lo fa gavè.
Per l’Italiana gloria
Un dì s’butoumne an tren?
An pisto la sicoria,
Ma noui bougiouma nen.
An lasso ant’ le disgrassie,
Fra ’l sangh e fra ’l doulour.
Ma bravi, tante grassie!
I s’ ricourdrouma d’ lour.
Genio del Po e d’ la Doira,
Se ti t’ destisse nen,
Ch’a vado a soa rastloira,
Noui ciuto, e bougianen.
Oh quanti afann, oh quanti
Sudour a n’è coustà
L’impresa d’andè avanti
Pr’aveite, o libertà!
Ohimè, che tassa amara!
Ahi, che crudel velen!
Ma gnanca dop Novara,
Per Dio, bougiouma nen.
Ma cribbio, ’l temp s’ambreuia,
Papa, Franseis, Alman,
Per piene fin la greuia
Al scur a s’dan la man.
Fora i barbis ch’a luso
E con la spa an t’ i ren,
Addoss ai bruti muso…
Contacc, bougioumne nen?
Re Bomba e ’l Diau ch’lo pluca
Tourno a Caserta a spass:
Boboli a ’s beiv so Duca:
I taicc tourno a Biagrass.
A ’s tourna a piè Marforio
So vei serpent a ’n sen:
A Albert succed Vittorio,
E noui bougiouma nen.
94
Traduzione:
Ci chiamano i Bogianen: famosa novità! Già tutti lo sapevano da duemila anni in qua.
Reputazione giustissima: sul Po, sul Varo, sul Reno, è una vecchia storia che noi non ci
muoviamo.
Lo sanno se non è vero Guastalla e San Quintino, Pastrengo, Goito, Peschiera, Palestro e
San Martino. Razza farisea volete accertarvene bene? Lo sanno fino in Crimea che noi non
ci muoviamo.
Cosa ci volete fare? Siamo una razza di acchiappanuvole, che quando ci piantiamo un
chiodo in testa nessuno ce lo leva più. Per l’italiana gloria un giorno partiamo? Ci pestano la
zucca ma noi non ci muoviamo.
Oh quanti affanni, oh quanti sudori ci è costata l’impresa di andare avanti per averti, o
libertà! Ohimè, che amaro calice! Ahi, che crudele veleno! Ma neppure dopo Novara per
Dio, non ci muoviamo.
Re Bomba (Ferdinando II di Borbone), e il diavolo che lo pilucca, tornano a passeggiare a
Caserta, Boboli si succhia il suo Duca (di Toscana): i Tedeschi tornano ad Abbiategrasso, (a
Roma la statua di) Morforio si riprende in seno le sue vecchie serpi: a (Re Carlo) Alberto
succede Vittorio (Emanuele) e noi non ci muoviamo.
Pieni di debiti e di crucci per devozione di fratelli, ci avrebbero ringraziati meglio se
fossimo stati Tedeschi o Russi. E dagli, pesta, grida; il sacco è già colmo. Manderemo tutta
all’aria? Noi zitti, non ci muoviamo.
La lealtà? La fede? Storie di uno sciocco: essere eredi di Cagliostro è la suprema delle
virtù. Passi falsi, parole sbagliate e la fortuna arriva! Magnifici minchioni, e noi zitti e non ci
muoviamo.
Ci lasciano nelle disgrazie, fra il sangue e il dolore. Ma bravi, tante grazie! Ci
ricorderemo di loro. Genio del Po e della Dora, se non ti spegni, che se ne vadano alla loro
greppia, noi zitti, e non ci muoviamo.
Ma cribbio, il tempo s’intorbida, Papa, Francesi e Tedeschi, per prenderci persino il
guscio (gli avanzi) si danno la mano e tramano. Fuori i baffi impomatati e lucidi (degli
ufficiali austriaci) e con la spada alle loro reni, diamo addosso ai brutti musi… Accidenti,
non ci muoviamo?
95
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Catalogo della mostra Patrioti con spartito / La musica popolare piemontese nel periodo
risorgimentale, a cura di Livio Musso e Maurizio Benedetti, Torino, Consiglio regionale del
Piemonte, 2011.
99
L’edizione critica de Il Canto degli Italiani vuole offrire ampia e approfondita
documentazione sui vari aspetti che concorrono alla chiara e corretta comprensione
del nostro inno nazionale: dalla storia della sua nascita alla descrizione delle fonti
documentarie, dall’analisi musicale all’esegesi del testo. Un forte stimolo alla
realizzazione di questa edizione è venuto dalla recente approvazione nel dicembre
2017 della legge n.181, che riconosce il testo di Mameli e lo “spartito musicale
originale” di Novaro quale inno nazionale della Repubblica. Una legge giunta a
sanare l’imbarazzante condizione di provvisorietà della funzione di inno nazionale,
che Fratelli d’Italia assolveva da oltre settant’anni in base ad un provvedimento
datato 12 ottobre 1946 del primo Governo repubblicano. La legge n.181 del 2017 si
colloca in una continuità ideale con la precedente legge n. 222 del 2012, che, oltre a
raccomandare l’insegnamento del nostro inno nelle scuole di ogni ordine e grado,
intende promuovere, nell’ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza,
fondamento di una positiva convivenza civile, nonché riaffermare e consolidare
l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica. A sostegno di questa
didattica diffusa, vogliamo dare il nostro contributo con la presente pubblicazione,
convinti che quei valori di coscienza civica richiamati dal legislatore saranno sempre
rappresentati e custoditi dalla poesia e dalla musica de Il Canto degli Italiani di
Goffredo Mameli e Michele Novaro.
Maurizio Benedetti, docente di flauto presso il Conservatorio di Torino, ha iniziato
ad occuparsi dell’inno di Mameli - Novaro nel 2000 quando, durante la Presidenza di
Carlo Azeglio Ciampi, ricevette dal Quirinale l’incarico di curare una ricerca
musicologica sul repertorio risorgimentale italiano, che ebbe come esito la
pubblicazione per la Presidenza della Repubblica della revisione dell’autografo di
Novaro custodito presso il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino. In seguito
si è dedicato alla divulgazione dell’opera di Novaro e della musica patriottica
dell’Ottocento con concerti e edizioni discografiche. Nel 2011, anno delle
celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ha realizzato il cortometraggio
Il Canto degli Italiani dove si narra la storia della nascita del nostro inno nazionale
nella Torino del 1847 secondo la testimonianza diretta di Vittorio Bersezio.
EDIZIONI DEL CONSERVATORIO
Il Canto degli Italiani
Edizione critica di Maurizio Benedetti
© 2019 Edizioni del Conservatorio
Conservatorio Statale Giuseppe Verdi di Torino
Istituto Superiore di Alta Formazione Artistico Musicale
Via Mazzini 11 – 10123 Torino
www.conservatoriotorino.gov.it
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senza la preventiva autorizzazione scritta.
Dipartimento di Teoria, Analisi e Composizione
Redazione, elaborazione grafica della copertina e impaginazione a cura di Mauro Bouvet
EDIZIONI DEL CONSERVATORIO è un progetto ideato da Mauro Bouvet affiancato
nel lavoro redazionale dai proff. Stefano Leoni, Giuliana Maccaroni e Giorgio Pugliaro.
Pubblicazioni musicali
Giorgio Federico Ghedini Sonata in La maggiore per violino e pianoforte (1918)
Giorgio Federico Ghedini Con che soavità (1936)
Trascrizione del Concerto di Claudio Monteverdi
(partitura e parti separate)
Giorgio Federico Ghedini Entrata per organo (1943)
Pubblicazioni musicologiche
Giorgio Federico Ghedini: dallo spirito torinese alle suggestioni europee
Atti del convegno del 22 gennaio 2016
Il Canto degli Italiani
poesia di Goffredo Mameli musica di Michele Novaro
Edizione critica di Maurizio Benedetti
Pubblicazioni didattiche
BraPrad'Ac Vol. 1
Brani per la prova d’esame di Pratica dell’Accompagnamento