Dr. Lorenzo Passerini Glazel
Dipartimento dei Sistemi giuridici
Università di Milano-Bicocca
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I-20126 Milano (MI)
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e-mail:
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Lorenzo PASSERINI GLAZEL
Il perdono come atto nomotrofico
Relazione per il Seminario
Perdono. Negazione o compimento della giustizia?
Fondazione Bruno Kessler - Centro per le Scienze religiose
Trento, 22-23 ottobre 2013
Sommario:
0.
1.
Introduzione
Il perdono quale atto sociale
1.0. Forme del perdono: perdono quale atto interno vs. perdono quale atto sociale
1.1. Atti spontanei interni e atti sociali nella fenomenologia di Adolf Reinach
1.2. L’atto spontaneo interno del perdono
1.3. L’atto sociale del perdono
2.
Il perdono quale atto performativo
2.0. La teoria della performatività
2.1. Performatività del verbo ‘perdonare’
2.2. Performatività thetica del verbo ‘perdonare’
2.3. Performatività thetica anairetica del verbo ‘perdonare’
3.
Le presupposizioni del perdono, dell’assoluzione religiosa, dell’assoluzione
giuridica, della condanna, della vendetta
3.0. Dalla fenomenologia degli sociali, alla teoria della performatività, alla pragmatica
degli atti sociali
3.1. Le presupposizioni del perdono
3.2. Le presupposizioni dell’assoluzione religiosa
3.3. Le presupposizioni dell’assoluzione giuridica
3.4. La presupposizioni della condanna
3.5. Le presupposizioni della vendetta
4.
La valenza nomotrofica del perdono
4.0. Perdono, assoluzione religiosa, condanna, vendetta: quattro forme di reazione alla
violazione di una norma
4.1. Semantica delle forme reazione alla violazione di una norma in Niklas Luhmann
4.2. Perdono, assoluzione religiosa, condanna, vendetta: quattro forme di agire
nomotrofico
4.3. Specificità del perdono come forma di reazione alla violazione d’una norma
1
“Menschlich ist es bloss zu strafen
Aber göttlich zu verzeihn.”
“Umano è solo punire,
divino è perdonare.”
Peter Winter
0.
Introduzione
Il perdono è un atto giuridico?
Vi sono autori (ad esempio, Bernard Rousset e Norberto Bobbio) che hanno
sostenuto che il perdono non può essere un atto giuridico, perché esso implica gratuità e
non-obbligatorietà.
Altri autori (ad esempio, Marco Q. Silvi) hanno documentato l’esistenza di una
pluralità di declinazioni giuridiche del perdono.
Nella mia relazione non cercherò di rispondere, a mia volta, a questa domanda: mi
limiterò ad indagare il perdono quale atto sociale, e ad analizzare alcune caratteristiche
di questa specie di perdono che mi paiono particolarmente significative per l’indagine
della realtà sociale e giuridica.
Nella mia relazione mi propongo, in particolare, di:
1.
2.
3.
4.
1.
distinguere due atti di perdono (il perdono quale atto interno alla coscienza, e il
perdono quale atto sociale) alla luce della fenomenologia degli atti spontanei e
degli atti sociali del fenomenologo Adolf Reinach;
indagare le specificità dell’atto sociale del perdono alla luce della teoria della
performatività;
indagare le presupposizioni dell’atto sociale del perdono, confrontandole con le
presupposizioni di atti sociali affini (assoluzione giuridica, assoluzione religiosa)
e di atti sociali concorrenti (condanna, vendetta);
indagare la specifica valenza “nomotrofica” del perdono quale atto che conferma e
consolida quelle norme che esso presuppone, e alle quali esso dà (implicitamente
o esplicitamente) espressione.
Il perdono quale atto sociale
1.0. Forme del perdono: perdono quale atto interno vs. perdono quale atto sociale
Propongo di distinguere due specie di perdono:
(i)
un perdono quale atto interno alla coscienza, che può essere compiuto senza che vi sia la
necessità di comunicarlo ad altri soggetti (ed in particolare al destinatario del perdono
stesso), e che opera soltanto sul piano dei sentimenti interni alla coscienza;
2
(ii)
un perdono quale atto sociale, che si rivolge necessariamente ad un altro soggetto, e che
opera non solo (o non tanto) sul piano dei sentimenti interni alla coscienza, ma anche (e
soprattutto) sul piano di specifiche entità sociali e giuridiche (obblighi e pretese).
Che il perdono quale atto interno alla coscienza e il perdono quale atto sociale
siano atti distinti significa che l’uno non implica necessariamente l’altro, che l’uno non
è condizione dell’altro, che può darsi l’uno senza che si dia l’altro; ma non significa che
tra l’uno e l’altro non possano darsi in concreto (e tendenzialmente) rapporti di
condizionamento.
Per illuminare la distinzione tra perdono quale atto interno alla coscienza e il
perdono quale atto sociale mi avvarrò della tipologia degli atti spontanei proposta dal
fenomenologo tedesco (allievo di Edmund Husserl) Adolf Reinach.
1.1. Atti spontanei interni e atti sociali nella fenomenologia di Adolf Reinach
Nel volume I fondamenti a priori del diritto civile (1913), Adolf Reinach [Mainz,
1883-Diksmuide, 1917] propone una tipologia degli atti spontanei [spontane Akte],
nella quale traccia una distinzione fondamentale per la fenomenologia dell’azione e per
la fenomenologia degli atti giuridici: la distinzione tra atti spontanei interni [interne
spontane Akte] e atti sociali [soziale Akte].
La tipologia degli atti spontanei proposta da Reinach si colloca in una più ampia
tipologia tripartita dei “vissuti intenzionali”, degli Erlebnisse.1
Reinach distingue, in particolare:
(i)
Erlebnisse passivi [passive Erlebnisse]:
ad esempio, l’Erlebnis di un rumore, di un dolore fisico, di un sentimento d’odio;
sono Erlebnisse che si impongono all’io, e rispetto ai quali l’io risulta passivo;
(ii)
Erlebnisse attivi [aktive Erlebnisse]:
ad esempio, l’indignazione che proviene dall’io, l’avere un proposito [das Haben eines
Vorsatzes], l’entusiasmarsi per qualcosa;
sono Erlebnisse che provengono dall’io, e nei quali si manifesta una forma di attività
dell’io: la Aktivität;
(iii)
atti spontanei [spontane Akte]:
ad esempio, il rivolgere l’attenzione a qualcosa, il prendere una risoluzione [das
Vorsatzfassen], il perdonare [das Verzeihen], il domandare, il promettere;
sono atti dei quali l’io è l’autore fenomenico [phänomenaler Urheber], e nei quali si
manifesta una differente forma di attività dell’io: la Tätigkeit; nelle parole di Reinach:
“v’è un fare interiore [ein inneres Tun] del soggetto”.2
L’aggettivo ‘intenzionale’ [‘intentional’] è, in Reinach, terminus technicus del lessico della
filosofia fenomenologica: esso non ha il senso di “fatto con intenzione”, ma si riferisce al concetto
fenomenologico di “intenzionalità”, caratteristico di tutti gli Erlebnisse, in base al quale ogni coscienza è
coscienza di qualche cosa: ogni Erlebnis intenziona un quid che è ad esso correlato, ogni Erlebnis si
riferisce a una qualche oggettualità.
2
Per rendere in italiano la differenza tracciata da Reinach tra Aktivität e Tätigkeit, è stato
recentemente proposto di tradurre ‘Aktivität’ con ‘attività’ e ‘Tätigkeit’ con un termine etimologicamente
affine al tedesco ‘Tätigkeit’ ‘fattività’ (cfr. Francesca DE VECCHI/Lorenzo PASSERINI GLAZEL, Gli atti
sociali nella tipologia degli Erlebnisse e degli atti spontanei in Adolf Reinach (1913), 2012).
1
3
È nella categoria degli atti spontanei che Reinach traccia la distinzione tra atti
spontanei interni [interne spontane Akte] e atti sociali [soziale Akte].
1.2. L’atto spontaneo interno del perdono
Sono atti spontanei interni [interne spontane Akte], secondo Reinach, quegli atti
spontanei che possono compiersi in modo meramente interno.
Sono esempi di atti spontanei interni, in Reinach, il rivolgere l’attenzione su
qualcosa, il prendere una risoluzione [das Vorsatzfassen], l’invidiare, il perdonare [das
Verzeihen].
Poiché gli atti spontanei interni possono compiersi in modo meramente interno,
essi non necessitano di essere esternati, di essere resi noti, di essere comunicati ad altri.
Anche quando un atto spontaneo interno è diretto ad un altro soggetto (è
fremdpersonal, nel lessico di Reinach), come nel caso dell’invidiare e del perdonare,3
(i)
(ii)
(iii)
non è necessario, affinché l’atto sia compiuto, che l’altro soggetto abbia percezione
dell’atto stesso, e dunque
l’atto non necessita di una esternazione, di una manifestazione verso l’esterno [Kundgabe
nach außen],
il soggetto al quale l’atto è diretto non ha alcun ruolo nel compimento dell’atto.
Il perdono [das Verzeihen] è, secondo Reinach, un esempio di atto spontaneo
interno, ed è, dunque, per Reinach, un atto che può compiersi in modo meramente
interno, un atto che non necessita di essere percepito né di essere manifestato.
1.3. L’atto sociale del perdono
1.3.1. Agli atti spontanei interni, che si possono compiere in modo
completamente interiore, senza necessità che essi siano resi noti ad altri, Reinach
contrappone gli atti sociali [soziale Akte].
Agli atti sociali è essenziale il presupposto di un altro soggetto al quale essi si
rivolgono, e al quale essi vogliono rendersi noti [sich kundgeben].
In Nichtsoziale und soziale Akte (1911) Reinach afferma:
Gli atti sociali sono atti che non riposano in sé stessi. Per gli atti sociali è essenziale il
presupposto [Voraussetzung] di un altro soggetto, al quale essi vogliono rendersi noti
[sich kundgeben].4
Reinach illustra questo suo concetto di “atto sociale” attraverso l’esempio del
domandare [das Fragen]:
Domandare è un atto, un fare interiore [ein inneres Tun] del soggetto. È anche
intenzionale, ma è ancora una terza cosa. Questo ci introduce in una nuova classe di atti
È stato recentemente proposto di chiamare “eteroscopici” (dal greco ‘›teroj’ ‘héteros’ “altro” e
‘skopÒj’ ‘skopós’ “obiettivo, bersaglio”) gli atti che sono diretti verso un altro soggetto (cfr. Francesca
DE VECCHI/Lorenzo PASSERINI GLAZEL, Gli atti sociali nella tipologia degli Erlebnisse e degli atti
spontanei in Adolf Reinach (1913), 2012).
4
Adolf REINACH, Nichtsoziale und soziale Akte (1911), 1989, tr. it. p. 201.
3
4
che sono particolarmente importanti per il diritto civile. Tali atti hanno un momento
sociale [ein soziales Moment], hanno una direzione [eine Richtung] verso un altro
soggetto. Questa direzione non è intenzionalità rispetto a un soggetto. (Una domanda è
intenzionale piuttosto nei confronti del suo oggetto). Questi atti devono anche essere
distinti da odio, invidia e simili. Essi hanno una direzione verso qualcuno per qualcosa
[sie haben eine Richtung an jemanden über etwas]. L’invidia non si comunica all’altro
soggetto, non si rivolge a un altro soggetto [sich wenden an]. Per la domanda, invece, è
essenziale l’indirizzarsi a qualcuno, il penetrare in lui, il rendersi nota [sich kundgeben].5
1.3.2. In I fondamenti a priori del diritto civile (1913) Reinach specifica tre
caratteristiche degli atti sociali.
Gli atti sociali
(i)
si rivolgono [siche wenden an] necessariamente ad un altro soggetto (essi sono, in altri
termini, atti “eterotropici”);6
(ii)
devono necessariamente essere percepiti [vernehmen] dall’altro soggetto, al quale essi si
rivolgono: sono atti caratterizzati da Vernehmungsbedürftigkeit, dalla necessità di essere
percepiti (sono, in altri termini, atti ricettizi);7
(iii)
devono necessariamente essere esternati, manifestati [kundgeben=esternare, manifestare,
rendere noto], comunicati [mitteilen=comunicare] al soggetto al quale si rivolgono:
necessitano di una espressione [Äußerung].
Sono esempi di atti sociali, secondo Reinach, il domandare, il comandare, il
promettere, lo statuire [das Bestimmen], il revocare una promessa, il rinunciare ad una
pretesa [das Verzichten auf ainen Anspruch].
1.3.3. In Nichtsoziale und soziale Akte (1911) Reinach sottolinea una quarta
caratteristica tipica degli atti sociali: gli atti sociali, a differenza degli altri tipi di
Erlebnisse,
(iv)
quando sono compiuti creano [schaffen], lasciano [hinterlassen] qualcosa nel mondo là
fuori (essi sono, in altri termini, atti thetici): dall’atto della promessa, ad esempio,
sorgono un obbligo del promittente e una pretesa del promissario.
È in particolare per questa quarta caratteristica degli atti sociali che Reinach
afferma che gli atti sociali costituiscono “una nuova classe di atti che sono
particolarmente importanti per il diritto civile”; ed è su questi atti sociali che egli fonda
la propria indagine dei fondamenti a priori del diritto civile e dell’ontologia delle entità
giuridiche [rechtliche Gebilde] che sorgono dagli atti sociali e giuridici.
Gli atti sociali e giuridici operano, secondo Reinach, sul mondo esterno alla
coscienza, creando, modificando, dissolvendo entità sociali e giuridiche quali obblighi,
diritti, pretese, etc..
5
Adolf REINACH, Nichtsoziale und soziale Akte (1911), 1989, tr. it. p. 201.
L’aggettivo ‘eterotropico’ (dal greco ‘›teroj’ ‘héteros’ “altro” e ‘tršpw’ ‘trépō’ “volgere”) per
designare questa caratteristica degli atti sociali è stato proposto da Amedeo Giovanni Conte e da Paolo Di
Lucia (ispirandosi agli aggettivi ‘eliotropico’ e ‘nomotropico’).
7
È stato Paolo Di Lucia a proporre il termine ‘ricettizio’ per designare la necessità di essere
percepiti propria degli atti sociali (cfr. Paolo DI LUCIA, Il concetto di valenza nella teoria degli universali
pragmatici, 2008).
6
5
Come una promessa àltera il mondo, incide sul mondo, facendo sorgere un
obbligo e una pretesa, così la rinuncia ad una pretesa àltera il mondo, incide
(anaireticamente) sul mondo, facendo venir meno la pretesa.8
Le entità giuridiche [rechtliche Gebilde] quali pretese ed obblighi sono, sottolinea
Reinach, una specie tutta nuova di oggetti dei quali la filosofia si deve occupare: si
tratta, infatti, di oggetti i quali non sono né fenomeni fisici, né fenomeni psichici: essi
assomigliano agli oggetti ideali della matematica e della geometria, ma, a differenza di
questi ultimi, hanno un’esistenza nel tempo, hanno un inizio, una durata, una fine.
1.3.4. Sebbene Reinach annoveri il perdono tra gli atti spontanei interni (e non
tra gli atti sociali), a me pare, alla luce delle caratteristiche ascritte da Reinach agli atti
sociali, che, accanto al perdono quale atto spontaneo interno alla coscienza, esista un
altro atto di perdono, il quale non è mero atto spontaneo interno, ma atto sociale: si
tratta del perdono quale atto di rinuncia ad una pretesa alla rivalsa.9
Con questa specie di perdono, chi perdona opera sul piano dell’esistenza delle
entità sociali e giuridiche: laddove esistono, ad esempio, un obbligo dell’offensore al
risarcimento correlato ad una pretesa dell’offeso alla rivalsa, chi perdona cancella,
dissolve l’obbligo dell’offensore rinunciando alla propria pretesa alla rivalsa, la quale,
in virtù dell’atto di perdono, viene meno.
Questa forma di perdono è una particolare specie di atto di rinuncia ad una
pretesa; sebbene, dunque, Reinach non abbia indagato specificamente questa forma di
perdono, mi pare che essa, in quanto atto di rinuncia ad una pretesa, vada annoverata tra
gli atti sociali.
Il perdono quale atto sociale di rinuncia ad una pretesa alla rivalsa, infatti,
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
si rivolge necessariamente ad un altro soggetto,
deve necessariamente essere percepito dall’altro soggetto al quale si rivolge,
deve necessariamente essere esternato, manifestato all’altro soggetto al quale si rivolge,
incide (anaireticamente) sul mondo esterno all’io, àltera il mondo esterno proprio facendo
venire meno la pretesa alla rivalsa.
2.
Il perdono quale atto performativo
2.0. La teoria della performatività
2.0.1. Ho detto, sub 1.3.4., che per l’atto sociale del perdono è necessario che
esso sia manifestato al destinatario del perdono. Poiché, infatti, gli esseri umani non
sono angeli, e non possono condividere direttamente, immediatamente, i contenuti della
propria coscienza, è necessario, secondo Reinach, che vi sia una manifestazione
esteriore degli atti sociali affinché essi siano percepiti dai loro destinatari.
Nel presente § 2. (Il perdono quale atto performativo) indagherò il perdono quale
atto linguistico, e ne indagherò alcuni tratti specifici alla luce della teoria della
performatività.
8
Sul concetto di anireticità cfr infra § ????.
È in particolare al concetto di perdono quale atto di rinuncia ad una pretesa alla rivalsa che è
dedicato, ad esempio, il libro di Marco Q. SILVI, Struttura giuridica del perdono, 2004.
9
6
2.0.2. La teoria della performatività si fonda sulla constatazione che vi sono
casi nei quali il fare coincide con il dire di fare, nei quali “il dire di compiere un atto è
compiere, è eseguire l’atto stesso”, e in cui l’atto consiste nel dire che si compie l’atto.10
Il dire ‘Ti ringrazio’ è ringraziare; il dire ‘Prometto che tornerò’ è promettere di
tornare; il dire che si revoca il mandato, ad esempio, è revoca del mandato; il dire che si
rinuncia ad una propria pretesa è rinuncia alla pretesa (il dire di mangiare, invece, non è
mangiare, il dire di correre non è correre, etc.).
2.1. Performatività del verbo ‘perdonare’
Il verbo ‘perdonare’ è un verbo performativo: esso ammette una enunciazione
performativa: attraverso l’enunciazione dell’enunciato ‘Ti perdono’, si compie l’atto del
perdono.
2.2. Performatività thetica del verbo ‘perdonare’
Ma il verbo ‘perdonare’ appartiene ad una categoria particolare di verbi
performativi, la categoria di quelli che Amedeo Giovanni Conte [Pavia, *1934] ha
chiamato verbi performativi thetici.11
I verbi performativi thetici designano degli atti (performativi) thetici, ossia degli
atti i quali sono, in virtù del significato delle parole, immediatamente produttivi d’un
nuovo stato-di-cose (o immediatamente modificano uno stato-di-cose precedente), degli
atti i quali immediatamente àlterano il mondo.12
Ecco cinque esempi di atti performativi thetici:
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
(v)
consacrare13;
sconsacrare;
proclamare;
promulgare;
abrogare14.
10
Per questa definizione del fenomeno della performatività, cfr. Amedeo Giovanni Conte,
Performativi, 2007. Il fenomeno della performatività, come segnala Conte, è stato prefigurato da
Leonardus Lessius e da Erwin Koschmieder. Il termine inglese ‘performative’ è un neologismo del
filosofo inglese John Langshaw Austin (cfr., in particolare, John Langshaw AUSTIN, How to Do Things
with Words, 1962).
11
L’aggettivo ‘thetico’ viene dal greco ‘t…qhmi’ ‘títhēmi’ “porre”. Il concetto di “performatività
thetica” è stato originariamente proposto da Amedeo Giovanni Conte (cfr. Amedeo Giovanni CONTE,
Aspekte der Semantik der deontischen Sprache, 1977; Amedeo Giovanni CONTE, Aspetti della semantica
del linguaggio deontico, 1977, 31989; Amedeo Giovanni CONTE, Performativi, 2007).
12
Agli atti, e ai verbi, performativi thetici Conte contrappone gli atti, e i verbi, performativi
athetici, ossia quegli atti, e quei verbi, performativi che non producono né modificano immediatamente
un nuovo stato-di-cose, che non àlterano immediatamente il mondo: essi si esauriscono nel semplice
compimento dell’atto.
Ecco cinque esempi di atti performativi athetici: dire, affermare, negare, salutare, congratularsi.
13
Come precisa Conte, consacrare una chiesa non significa predicare di essa lo status di luogo
sacro: significa, invece, ascrivere ad essa lo status di luogo sacro (cfr. Amedeo Giovanni CONTE,
Performativi, 2007, p. 204).
14
Abrogare una norma non è dirla invalida: è renderla invalida (cfr. Amedeo Giovanni CONTE,
Performativi, 2007, p. 204).
7
L’atto sociale del perdono è un atto performativo thetico: perdonare è dissolvere, è
togliere, è aufheben, per rinuncia, una pretesa alla rivalsa.
2.3. Performatività thetica anairetica del verbo ‘perdonare’
La natura thetica dell’atto sociale del perdono è, tuttavia, una natura thetica
particolare: essa non consiste nel creare un nuovo stato-di-cose, ma nel dissolvere uno
stato-di-cose esistente.
Con il perdono, infatti, si toglie, si dissolve una pretesa alla rivalsa, pretesa che
era venuta in essere in virtù di un offesa o di un torto subìti in precedenza da colui che
perdona.
Per la performatività thetica che non consiste nel creare, ma nel dissolvere uno
stato-di-cose, Conte ha proposto il termine ‘performatività thetica anairetica’.15
Sono atti performativi thetici anairetici anche altri due atti affini al perdono:
l’assoluzione giuridica e l’assoluzione religiosa.
È, al contrario, un atto performativo thetico non-anairetico l’atto della condanna.
3.
Le presupposizioni del perdono, dell’assoluzione religiosa,
dell’assoluzione giuridica, della condanna, della vendetta
3.0. Dalla fenomenologia degli sociali, alla teoria della performatività, alla
pragmatica degli atti sociali
Dopo aver individuato, sub 1. (Il perdono quale atto sociale), il luogo dell’atto del
perdono nell’ambito della fenomenologia degli atti sociali, e sub 2. (Il perdono quale
atto performativo), il luogo dell’atto del perdono nell’ambito della teoria della
performatività, indagherò ora, nell’ambito di una pragmatica degli atti sociali, le
presupposizioni dell’atto sociale del perdono, confrontandole con le presupposizioni di
atti sociali affini (assoluzione giuridica, assoluzione religiosa) e di atti sociali
concorrenti (vendetta, condanna).
3.1. Le presupposizioni del perdono
Le presupposizioni del verbo ‘perdonare’ sono state indagate in semiotica da
Maria-Elisabeth Conte [Soest in Westfalen, 1935-Pavia, 1998], nel saggio Semantica
del predicato ‘perdonare’ (1992).16
Maria-Elisabeth Conte distingue tre differenti presupposizioni del verbo
‘perdonare’:
15
L’aggettivo ‘anairetico’ deriva dal sostantivo greco ‘Þnaíresij’ ‘anhaíresis’, il quale ha come
traducente (come xenònimo) in italiano ‘abrogazione’, in inglese ‘derogation’, in francese ‘abrogation’,
in tedesco ‘Aufhebung’.
16
Le tre presupposizioni del verbo ‘perdonare’ individuate da Maria-Elisabeth Conte erano già
state anticipate da Charles J. FILLMORE, Verbs of Judging, 1971.
L’analisi delle presupposizioni del verbo ‘perdonare’ è stata fecondamente ripresa da Marco Q.
SILVI, Struttura giuridica del perdono, 2004.
8
(i)
Presupposizione fattiva: il perdono presuppone l’esistenza del fatto che viene perdonato.17
Perdonare, in altri termini, non è né negare, né ignorare, né dimenticare il fatto
che costituisce torto od offesa: al contrario, il perdono presuppone la verità del fatto che
costituisce torto od offesa; si perdona perché qual fatto è accaduto.
(ii)
Presupposizione axiologica: il perdono presuppone il disvalore del fatto che viene
perdonato.
Perdonare non è, in altri termini, né negare la negatività del torto o dell’offesa, né
manifestare indifferenza per il torto o l’offesa: al contrario, il perdono presuppone la
negatività, il disvalore del torto o dell’offesa.18
(iii)
Presupposizione di responsabilità: il perdono presuppone la responsabilità del perdonato
per il fatto che viene perdonato.
Perdonare non è negare la responsabilità.19
3.2. Le presupposizioni dell’assoluzione religiosa
Affine all’atto del perdono è l’atto della assoluzione religiosa, data da un
sacerdote (o attraverso un sacerdote).
L’assoluzione religiosa ha, infatti, le stesse tre presupposizioni individuate da
Maria-Elisabeth Conte per il verbo ‘perdonare’:
(i)
(ii)
(iii)
Presupposizione fattiva: l’assoluzione religiosa presuppone l’esistenza del fatto (il
peccato) che è oggetto di assoluzione.
Presupposizione axiologica: il perdono presuppone il disvalore del fatto (il peccato) che è
oggetto di assoluzione.
Presupposizione di responsabilità: il perdono presuppone la responsabilità del perdonato,
del peccatore, per il fatto che è oggetto di assoluzione.
3.3. Le presupposizioni dell’assoluzione giuridica
È solo apparentemente affine, invece, al perdono e all’assoluzione religiosa
un’altra assoluzione: l’assoluzione giuridica, pronunciata da un giudice in una sentenza.
Il concetto di “fattività” è stato proposto in linguistica da Paul e Carol Kiparsky (cfr. Paul
KIPARSKY/Carol KIPARSKY, Fact, 1970).
18
In alcuni casi, si perdona colui che ritiene di averci arrecato un danno o un’offesa negando che il
fatto compiuto da chi chiede il perdono abbia valore di danno o di offesa. In questo casto, tuttavia, il
perdono non è rinuncia ad una pretesa alla rivalsa: non è rinuncia alla pretesa alla rivalsa perché pretesa
alla rivalsa non v’è: manca, infatti, uno dei presupposti perché pretesa alla rivalsa vi sia, il disvalore del
fatto compiuto.
19
In alcuni casi, si perdona disconoscendo la responsabilità di chi chiede perdono, in quanto, ad
esempio, il fatto non è stato compiuto intenzionalmente. Anche in questo caso, il perdono non è rinuncia
ad una pretesa alla rivalsa: non è rinuncia alla pretesa alla rivalsa perché pretesa alla rivalsa non v’è:
manca, infatti, uno dei presupposti perché pretesa alla rivalsa vi sia: la responsabilità di chi ha compiuto il
fatto.
17
9
L’assoluzione giuridica non ha, infatti, le stesse presupposizioni del perdono e
dell’assoluzione religiosa; al contrario, l’assoluzione giuridica ha presupposizioni
opposte rispetto alle presupposizioni del perdono e dell’assoluzione religiosa:
(i) Presupposizione contro-fattiva: l’assoluzione giuridica presuppone, in alcuni casi, la nonesistenza (la non-sussistenza) d’un fatto, d’un fatto che sia stato compiuto dal destinatario
dell’assoluzione.
(ii) Presupposizione anaxiologica: l’assoluzione giuridica presuppone, in alcuni casi (nei casi
in cui il fatto non costituisce reato, ad esempio), la non-axiologicità del fatto compiuto dal
destinatario dell’assoluzione.
(iii) Presupposizione di non-responsabilità: l’assoluzione giuridica presuppone, in alcuni casi,
la non-responsabilità del destinatario dell’assoluzione.
3.4. La presupposizioni della condanna
Ad avere, paradossalmente, le stesse presupposizioni del perdono e
dell’assoluzione religiosa è, nell’ambito del diritto processuale penale, un altro atto
sociale, il quale ha senso opposto rispetto al senso del perdono e dell’assoluzione
religiosa: l’atto di condanna.
Ecco le tre presupposizioni dell’atto sociale della condanna:
(i)
(ii)
(iii)
Presupposizione fattiva: la condanna presuppone l’esistenza del fatto per il quale
l’imputato viene condannato.
Presupposizione axiologica: la condanna presuppone il disvalore giuridico del fatto (il
reato) per il quale l’imputato viene condannato: il fatto costituisce violazione d’una
norma giuridica.
Presupposizione di responsabilità: la condanna presuppone la responsabilità del
condannato, del reo, per il fatto per il quale viene condannato.
3.5. Le presupposizioni della vendetta
Ad avere, paradossalmente, le stesse presupposizioni del perdono è anche un atto
che viene solitamente presentato come l’opposto del perdono: l’atto della vendetta.
Ecco le tre presupposizioni della vendetta:
(i)
(ii)
(iii)
4.
Presupposizione fattiva: la vendetta presuppone l’esistenza del fatto per il quale ci si
vendica.
Presupposizione axiologica: la vendetta presuppone il disvalore giuridico del fatto
(l’offesa) per il quale ci si vendica.
Presupposizione di responsabilità: la vendetta presuppone la responsabilità di colui (o, in
alcuni contesti, della famiglia e dei congiunti di colui) sul quale ci si vendica.
La valenza nomotrofica del perdono
4.0. Perdono, assoluzione religiosa, condanna, vendetta: quattro forme di
reazione alla violazione di una norma
10
Ho mostrato, sub 3. (Le presupposizioni del perdono, dell’assoluzione religiosa,
dell’assoluzione giuridica, della condanna, della vendetta), che il perdono,
l’assoluzione religiosa, la condanna e la vendetta sono atti che (pur avendo in alcuni
casi sensi tra loro opposti) condividono le stesse presupposizioni.
Ma che cos’è che accomuna questi quattro atti sociali?
Ad accomunare questi quattro atti sociali e il fatto che essi sono quattro differenti
forme di reazione alla violazione d’una norma.
4.1. Semantica delle forme reazione alla violazione di una norma in Niklas
Luhmann
4.1.1. Ad indurmi a riflettere sulle diverse forme di reazione alla violazione
d’una norma è stato un passo del sociologo tedesco Niklas Luhmann [Lüneburg, 1927Oerlinghausen, 1998].
La forma probabilmente più evidente di reazione alla violazione d’una norma è
l’irrogazione d’una sanzione.
Ma nella gamma delle possibili forme di reazione alla violazione d’una norma,
l’irrogazione d’una sanzione non è che un caso particolare.
Che le forme di reazione alla violazione di una norma non siano riducibili
all’irrogazione d’una sanzione è segnalato da Niklas Luhmann. Luhmann nel saggio
Normen in soziologischer Perspektive (1969) e in Rechtsoziologie (1972).
Luhmann propone di riflettere sull’esempio seguente:
Se ho dato appuntamento ad un amico in un caffè e non ve lo trovo, mi sento ferito […]
nelle mie aspettative normative. Avrebbe dovuto essere qui! A questo punto, una qualche
“elaborazione” della delusione dell’aspettativa è richiesta, ma vi sono varie possibilità a
mia disposizione, e non tutte hanno il carattere della sanzione20.
Ecco alcune delle reazioni ipotizzate da Luhmann:
Posso, rivolgendomi al cameriere, chiedere di lui e dare espressione alla mia norma
d’aspettativa [Erwartungsnorm] con il tono della delusione, dell’irritazione, della
preoccupazione. Posso, in séguito, muovere al mio amico dei rimproveri, ma posso anche
strappargli, o mettergli in bocca, delle scuse, le quali presuppongono che la mia
aspettativa fosse legittima21. Posso anche rimanere seduto al caffè e aspettare all’infinito,
per dimostrare l’importanza della norma nella dimensione del mio sacrifico. Ma posso
anche andarmene immediatamente e abbandonare il ritardatario al proprio danno.
Esistono tecniche consistenti nella notifica e nella divulgazione del caso di delusione,
nell’ingigantimento fino allo scandalo e nell’assaporare fino in fondo la risonanza sociale
(se non della norma, comunque dello scandalo), tecniche consistenti nel reclamare
l’adempimento della norma [Normerfüllung], o nell’accettare con tatto le scuse, tecniche
consistenti in forme di autolesionismo o di sofferenza ostinata, oppure tecniche
consistenti nell’accrescere e nel godere del danno altrui [Schadensfreude]22.
20
Niklas LUHMANN, Rechtssoziologie, 1972, trad. it. p. 75.
Cfr. Marvin B. SCOTT/Stanford M. LYMAN, Accounts, 1968.
22
Niklas LUHMANN, Normen in soziologischer Perspektive, 1969, trad. it. di Edoardo Fittipaldi e
Lorenzo Passerini Glazel pp. 297-298.
21
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4.1.2. “Ognuna delle tecniche menzionate”, scrive Luhmann, “dà alla norma
una espressione adatta alla nuova situazione, in modo che anche le nature meno forti,
incapaci da sole di irrogare sanzioni, possano continuare a vivere con le proprie
norme”.23
In altri termini, ognuno dei comportamenti di reazione alla violazione d’una
norma menzionati da Luhmann (così come le scuse, le giustificazioni, i pretesti, etc.)
“dà espressione” alla norma violata.
Ma in che modo questi comportamenti di reazione alla violazione d’una norma,
alcuni dei quali sono comportamenti non-linguistici, dànno espressione alla norma
violata?
In questi comportamenti, la norma violata può sì essere espressa in modo
esplicito, ossia in forma linguistica; ma essa può essere anche espressa in modo
implicito (attraverso un comportamento non-linguistico), in quanto essa è implicita nelle
presupposizioni di ogni comportamento di reazione alla violazione d’una norma, ed in
particolare nella presupposizione di axiologicità (di disvalore, appunto: di violazione di
una norma) del comportamento al quale si reagisce.
In altri termini, poiché la norma violata è il presupposto della reazione alla
violazione di essa, poiché la reazione alla violazione presuppone l’esistenza della
norma violata, le diverse forme di reazione alla violazione a quella norma dànno
(esplicitamente o implicitamente) espressione a quella norma.
4.1.3. Che vi sia una componente semantica nelle reazioni alla violazione d’una
norma, che le reazioni alla violazione d’una norma possano essere indagate sotto il
profilo di una semiotica dell’azione,24 è suggerito anche dall’articolo 19 del Codice
della vendetta barbaricina (nomograficamente) redatto dal filosofo del diritto sardo
Antonio Pígliaru [Orune, 1922-Sassari, 1969]:
Sono mezzi normali di vendetta tutte le azioni prevedute come offensive a condizione che
siano condotte in modo da rendere lealmente manifesta la loro natura specifica.
La vendetta barbaricina non è (così come altre forme di reazione alla violazione
d’una norma, e a differenza, ad esempio, della condanna o del perdono) un atto
linguistico; esso ha, tuttavia, secondo Pígliaru, una necessaria componente semiotica
(tipica di un atto sociale): essa deve manifestare (linguisticamente o nonlinguisticamente) il proprio significato di “vendetta”.
Ma, manifestando il proprio significato di “vendetta”, l’atto della vendetta
esplicitamente o implicitamente esprime (in quanto suo presupposto) anche la norma
che chi ha compiuto l’offesa ha violato.
23
Niklas LUHMANN, Rechtssoziologie, 1972, trad. it. p. 77.
Contrariamente alla reazione alla violazione d’una norma, non ha necessariamente una valenza
semantica il comportamento conforme alla norma: il comportamento conforme alla norma è di per sé
semanticamente opaco.
L’opacità semantica del comportamento muto conforme alla norma è segnalata dall’antropologo
del diritto Rodolfo Sacco nel saggio Lingua e diritto (2000): “L’uomo che non sa verbalizzare la propria
regola, il nostro antenato privo di parola, l’animale studiato dall’etologo, non utilizzano l’azione come
manifestazione del proprio pensiero. Il “gesto” muto di chi si conforma alla consuetudine ha lo scopo
d’eseguire un programma; il fonema ed il grafema mirano a far conoscere, a spiegare. La funzione degli
uni e degli altri dunque differisce.”
24
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4.1.4. Anche il perdono è, così come la vendetta, una forma di reazione alla
violazione d’una norma.
Ed analogamente alla vendetta, e alle altre forme di reazione alla violazione d’una
norma, anche il perdono dà espressione (in virtù delle proprie presupposizioni fattiva e
axiologica) alla norma violata.25
Scrive Olivier Abel in Tables du pardon (1991):
Il perdono formula sempre un torto subìto.26
4.2. Perdono, assoluzione religiosa, condanna, vendetta: quattro forme di agire
nomotrofico
4.2.1. La reazione alla violazione d’una norma non si limita, in Luhmann, a
“dare espressione” alla norma violata: “è indispensabile che la reazione rappresenti la
volontà di tener ferma l’aspettativa normativa, di riaffermare la norma che è stata
violata”.
Ma perché, secondo Luhmann, è indispensabile che la reazione rappresenti la
volontà di tener ferma l’aspettativa normativa?
Secondo Luhmann,
una aspettativa normativa che viene continuamente delusa senza che si registri una
reazione, sbiadisce e svanisce. Essa viene inavvertitamente dimenticata e, infine, non è
più creduta27.
Il rischio che una norma corre quando viene ripetutamente violata, senza che si
registri una reazione alla violazione, è che essa si atrofizzi, che essa perda vitalità, fino a
divenire non più operante, fino a svanire.
4.1.2. Propongo, dunque, una possibile interpretazione della semiotica delle
forme di reazione alla violazione d’una norma in Luhmann.
Dando espressione, esplicitamente o implicitamente, alla presupposizione
axiologica del disvalore della violazione d’una norma, dunque alla norma violata, e alla
volontà di mantenerla ferma in contrapposizione al comportamento che l’ha violata, le
diverse forme di reazione alla violazione d’una norma assumono una valenza che
propongo di chiamare “nomotrofica”: la valenza di riconfermare, di riaffermare, di
riconsolidare una norma che sia stata violata.
4.1.3. Gli atti del perdono, dell’assoluzione religiosa, della condanna, e della
vendetta, i quali condividono le presupposizioni della fattività e della axiologicità, sono
tutti forme di reazione alla violazione d’una sanzione, e sono tutte forme di “agire
nomotrofico”.
25
Che il perdono dia espressione alla norma violata lo si può inferire da un archetipo di quella
declinazione giuridica che è la sospensione condizionale della sanzione presente nel Codice di
Hammurabi, 168-169: “Se un uomo decide di diseredare suo figlio e dichiara ai giudici: “Voglio
diseredare mio figlio”, i giudici esamineranno il caso, e se il figlio […] è colpevole nei confronti del
padre per un’offesa grave passibile di diseredazione, egli verrà perdonato purché si tratti della prima
offesa. Solo in caso di recidiva il padre potrà diseredare il figlio”.
26
Olivier ABEL, Le Pardon: briser la dette et l'oubli, 1991, p. 220.
27
Niklas LUHMANN, Rechtssoziologie, 1972, trad. it. p. 72.
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Il perdono, dunque, non soltanto ha le stesse presupposizioni, ma ha anche la
stessa valenza nomotrofica degli atti, ad esso opposti, della vendetta e della condanna.
In questo senso, il perdono non ha il senso di una negazione della norma violata;
al contrario, esso ha (così come la vendetta e la condanna) il senso di riaffermazione
della norma violata.
4.3. Specificità del perdono come forma di reazione alla violazione d’una norma
4.3.0. Ma, se il perdono condivide le stesse presupposizioni, e ha, in relazione
alla norma violata, la stessa valenza che hanno la vendetta e la condanna, qual è la
specificità del perdono?
Vi sono almeno due specificità del perdono rispetto alla condanna e alla vendetta.
4.3.1. La prima specificità del perdono si colloca a livello di entità giuridiche
sulle quali il perdono opera: il perdono svolge la stessa funzione nomotrofica della
vendetta e della condanna in una forma differente: il perdono fa venir meno la pretesa
alla rivalsa non esercitandola, ma rinunziandovi.
4.3.2. Ma v’è una seconda specificità del perdono rispetto alla vendetta e alla
condanna, che si manifesta non sul piano degli effetti sulle entità giuridiche sulle quali il
perdono opera, ma sul piano delle relazioni sociali che il perdono influenza.
Mentre la vendetta tende a rompere, una relazione sociale tra offeso e offensore
(e, in molti casi, tra le famiglie dell’offeso e dell’offensore); mentre la condanna tende a
sospendere, a interrompere temporaneamente, una relazione tra il condannato e la
società, il perdono, al contrario, tende a ripristinare la relazione tra l’offeso e
l’offensore, e tra l’offensore e la società (relazioni che, con la violazione della norma
rischiano di interrompersi), e lo fa attraverso una riaffermazione e una ri-condivisione
della norma violata.
4.3.3. Di questa ulteriore valenza sociale del perdono (la valenza del ripristinare
la relazione tra l’offensore e l’offeso, tra colui che ha violato la norma e la società) è
indizio una specifica declinazione giuridica del perdono, che è presente nel diritto
penale canadese.
Nel diritto penale canadese esiste una forma di perdono giudiziale la quale
interviene non in luogo della condanna, ma in seguito ad una condanna, non in luogo
dell’espiazione della pena, ma in seguito alla completa espiazione della pena.
Il perdono giudiziale del diritto penale canadese ha come effetto quello di
annullare, una volta che la pena sia stata completamente espiata dal condannato, le
conseguenze giuridiche della condanna, ossia quelle conseguenze della condanna che
determinano lo status giuridico del condannato, e che sono registrate nel casellario
giudiziario.
In altre parole, il perdono giudiziale canadese esplicitamente ripristina, una volta
espiata completamente la pena, le relazioni giuridiche e sociali del condannato.
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